ETICA PAROLE DESIGN Francesco Saponaro Appunti di Fondamenti di Etica del Design prof. Philippe Daverio e Donatella Ferrari
PAR INTRODUZIONE 1. RINASCIMENTO 2. CLASSICO 3. CONTAMINAZIONE 4. BELLEZZA 5. ARCHITETTURA E REAL ESTATE 6. GESAMTKUNSTWERK 7. ARTI DECORATIVE 8. MUTAZIONI MATEMATICHE 9. UTOPIA
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INTR ODUZ IONE La morale prevede un mondo che si ripete ciclicamente; l’etica prevede la rottura, ovvero la creatività , una mutazione del percorso previsto.
La parola rinascimento è solo una necessaria icona del pensiero Tiziano, Venere di Urbino (dettaglio), 1538, olio su tela Sandro Botticelli, Nascita di Venere (dettaglio), 1486, pittura a tempera
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NTO Se si abolisce la parola rinascimento, si chiarisce subito un concetto che è anche abbastanza banale: Tiziano e Botticelli, due dei massimi esponenti del periodo, hanno ben poco in comune! Da una parte, c’è un campagnolo veneziano che dipinge corpi materici in un’atmosfera erotica; dall’altra un orafo fiorentino affascinanto dalle figure esili ed eteree. Bisogna capire come i due siano finiti sotto lo stesso termine ombrello di rinascimento. La parola rinascenza è stata usata per la prima volta da Leon Battista Alberti in occasione della conclusione del suo rapporto di lavoro con Papa Nicolò V, che gli incaricò di ridare vita a uno degli antichi aquedotti di Roma; quan-
SCIME do si rimise in moto l’acqua antica, l’architetto parlò di risorgenza, poi di rinascenza, ad indicare cioè l’acqua che ritorna. La parola Renaissance diventò poi di moda a Parigi alla fine della Restaurazione (scoperta di Panofsky in un testo di Balzac). Inoltre, nelle prime pagine di un romanzo di George Sand, La mare au diable, compare spesso la parola Renaissance. Non potendone più del neoclassicismo napoleonico che era stato emblema della modernità, gli intellettuali del periodo si inventarono i loro nuovi valori prendendoli dal passato. Gli stessi valori sono ripresi da Jacob Burckhardt ne ”La civiltà del Rinascimento in Italia” (1860) diventando quindi ufficiali, a tal punto che quando nacque la prima avanguardia d’Occidenti, i Preraffaelliti, loro contestano la reinassance. La parola rinascimento è quindi solo una necessaria icona del pensiero, da sviscerare in tutti i suoi molteplici aspetti.
L’idea di classicità è centrale nel processo creativo, perchè costantemente si va alla ricerca di modelli
Pablo Picasso, Testa di donna, 1907, olio su tela Maschera dell’Africa Occidentale, scultura
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CO -
Di una cosa o di un comportamento riferibile a un modello stabile, che può servire da parametro per esprimere un giudizio oggi.
In origine, la parola è legata al concetto di classi sociali e viene dalla Roma Antica, quando Servio Tullio (VI sec. a.C.) definì la popolazione romana in base a cinque classi sociali. La prima classe - la più ricca - era quella dei più responsabili, cioè coloro che dovevano stare in prima linea nelle questioni sociali, anche in guerra. La parola classis divenne lentamente la parola che si riferiva all’esercito stesso. La Basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, per esempio, si chiama così perchè fu costruita nel porto dell’esercito.
Entrava quindi nella mentalità della lingua quotidiana l’idea che classe volesse dire “di livello superiore”. Aulo Gellio (I sec.), scrittore e giurista romano noto principalmente in quanto autore delle Noctes Atticae, selezionò alcuni testi indispensabili per poter scrivere e parlare correttamente, che verranno chiamati classici perchè, secondo lui, di livello superiore. Da quel momento in poi, la parola classico assume un significato diverso: diventa il modello di formazione. La nostra idea di classicità è centrale nel processo creativo, perchè costantemente si va alla ricerca di modelli. Una prima forma di neo-classicismo si sviluppò quando Alessandro Magno e il suo “uomo visivo” Lisippo codificarono i parametri del passato per costruire la nuova Grecia, che però viveva di estetiche diverse: da una parte quella attica elegante, dall’altra quella più barocca dell’Oriente.
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Qui, quando Attalo III, ultimo re del regno di Pergamo morì (133 a.C.), era talmente romanizzato e Roma era talmente potente che egli decise di lasciare in eredità tutti i suoi beni mobili a Tiberio, imperatore dei Romani. Questo messaggio dell’antichità presto si portò a Roma, decorandola. Questi modelli di classicità, citazione a loro volta di un’altra classicità, rimasero nelle rovine di Roma, sotterrati fino al Cinquecento, quando furono riscoperti, formando il nuovo modello classico rinascimentale. Il modello riappare e forma un nuovo modo linguistico: ogni classicismo esiste in quanto trova un modello. La mutazione del gusto avvenne in modo disorganico: Leon Battista Alberti riscoprì l’antichità da Vitruvio, che gli diede un codice, e dagli scavi, che gli diedero le prove di questa antichità. Tutta l’archittettura quattrocentesca si rifece a questi modelli. La prima voglia di riscoprire l’antichità fu prima di tutto letteraria: Francesco Petrarca (metà del Trecento) fu il primo che percepì la bellezza dei testi del passato. Lui, aretino, si spostò in Provenza, che mostrava agli occhi del poeta i resti di Roma (vedi arena di Nîmes).
Successivamente, la riscoperta dell’antichità si interruppe a metà del Cinquecento per poi ricominciare a metà del Settecento con le scoperte di Pompei ed Ercolano. Ogni volta che si va ad aprire la scatola del passato, vengono fuori delle stramberie che diventano modelli di citazione. Quando, più tardi, Ernst Curtius scoprì le rovine di Olimpia alla fine del XIX sec., venne fuori un’altra grecità, più muscolata. La pubblicazione dei testi di Curtius fece sì che nascesse una terza versione di classicità che influenzò tutto il mondo germanicoitaliaco-americano: la scultura e l’architettura fascista si rifece a questo modello. Tutto può essere classicità. Picasso è classico, perchè lui prese come modello non la statua grecia, ma la statua africana; ma si tratta comunque di classicità, un’altra classicità. In definitiva, il comportamento si definisce classico se si riferisce a modelli pre-esistenti.
Busto di Mussolini in gesso, laccato in nero, anni 20
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rno, rom ico , gi
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La modernità nasce quando si rompe un parametro esistente L’opposto dialettico di classico è moderno. La parola “moderno” è di recente invenzione: non esiste nella tradizione latina. Probabilmente è la contrazione della locuzione “modus parisiensis” a seguito della mutazione della scrittura alla fine dell’XI secolo.
formò un’estetica mentale nuova che avrebbe portato in seguito al gusto gotico.
La lettera che invadeva il mondo prima era la lettera latina, quella incisa nel marmo. In prima epoca barbarica (IV-V sec.) ognuno iniziò a scrivere a seconda della propria estetica e anche se si parlava una stessa lingua ufficiale, non si era più in grado di leggere i testi. Quando Carlo Magno volle “rifare” l’Impero, capì che era fondamentale partire dalla cancelleria e, così come riformò le strutture amministrative di questa Europa frammentata, inventò la scrittura: la lettera carolina. Questa lettera, a differenza di quella latina, veniva scritta con il calamo, una pennina leggera di bambù.
La modernità nasce quando si rompe un parametro esistente.
A metà dell’XI secolo, i Francesi introdussero la penna d’oca, che accelerò i tempi di scrittura rispetto al calamo: si abbandonò quindi una scrittura tonda e perfetta, a favore di una scrittura più appuntita e sismografica; si
Da questa scrittura nuova che si adottava a Parigi, il modus parisiensis, probabilmente prende nome il concetto di moderno.
Un altro concetto che si oppone alla classicità è il romantico. La cultura romantica percepisce il passato come valore proprio, ma mentre il classico è citazione del modello, il romantico è voglia di rivivere lo stesso modello. A metà del Settecento, in piena monarchia assoluta, Russeau in una conferenza affermò che il miglior modo di vivere fosse quello della Repubblica antica e che quesi valori lontani nel tempo fossero rivissuti attraverso le arti. Il vero grande intellettuale che mutò la visione del tema è Winkelmann. Quando Winkelmann fece il suo viaggio a Paestum per “ritrovare la rosa di Paestum”, voleva vedere il passato che viveva ancora.
Il romanticismo è un pervertimento della classicità
Jacque Louis David ne “La storia dell’arte dell’antichità” affermava che la virtus romana non fosse da citare, ma da rivivere. Mentre il classico guarda alla classicità, il romanticismo è una sorta di pervertimento della classicità. L’identificazione nel presente assoluto è di radice intellettuale (ego sum), ma che in realtà difficilmente è applicato. Quello che si fa nel presente, anche e soprattutto nel campo della creatività, lo si fa o come conseguenza del passato, o come volontà di partire da zero. Quest’ultimo atteggiamento è quello che sta alla base dell’arte contemporanea dal XX secolo in avanti. Il vero opposto di classicità è quello dell’assoluto distacco dal modello: il concetto di sorgevità. Il nuovo modello rifiuta il mondo esterno con tutti i suoi stimoli e guarda solo dentro di sè. è la primordialità, che accomuna tutta la specie umana. La stimolazione di questa primordialità ha portato, per esempio, alle sperimentazioni estetiche del primo Novecento, tra i quali i Fauves e l’Espressionismo tedesco.
Il vero opposto di classicità è il suo assoluto distacco: la sorgevità
Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, 1785, olio su tela Paul Klee, Ad Parnassum, 1932, olio su tela
Noi assimiliamo costantemente delle grandissime mutazioni che sono contaminanti e contaminatorie e spesso si genera la paura. Il Cardinal Carlo Maria Martini affermava: “La cultura vera è la cultura del contagioâ€?.
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CONT AMINA
ZIONE L’ortodossia non esiste. La cultura occidentale (dal substrato abbastanza facilmente definibile, cioè quello greco-romano, che a sua volta è contaminato dall’indio e dall’egizio) è stratificata. A partire dall’XI secolo, la contaminazione è drastica: il contatto col mondo arabo. Si rompe l’idea del numero pieno a discapito del numero leggero: lo zefiro (lo zero). L’effetto contaminatorio non avviene sulle arti visive e sull’architettura, ad esclusione della scoperta dell’arco rotto, arco ad oggiva.
Giorgio d’Antiochia, ammiraglio delle flotte dei Normanni nella Sicilia dell’XI sec., è greco, di chiesa latina e di cultura araba, costruisce a Palermo il primo edificio oggivale dell’Occidente, il ponte dell’ammiraglio. La grande contaminazione avviene quando Eiffel costruisce la Torre di Parigi (anti-oggiva): il virus è l’ingegneria nell’architettura, fenomeno di autocontaminazione. In quegli stessi anni in cui si sta pensando all’architettura del ferro, la più grande contaminazione è quella giapponese. Il Giapponese non rappresenta l’uccello che vola (Occidente: mimesi con la realtà) ma il concetto del volo di un uccello. Il Giapponese è il genio della concettualità. Il vero Giappone lo scoprono i Francesi quando nella sua contro-Expo del 1867 ritengono di non desiderare il commercio giapponese, ma loro
stessi. Da quel momento in poi, a Parigi ci si veste giapponese, si cucina giapponese e tutti si mettono a fare i giapponisti. Avviene la mutazione estetica: il trasferimento in Francia della concettualità. La botanica diventa per la prima volta un’area di ispirazione obbligata: c’erano i frutti cinquecenteschi di Giovanni da Udine, ma l’idea dello zen giapponese cambia il modo di vedere il decoro. La pittura era una materia che si doveva articolare nel proprio spessore: i giapponesi appiattiscono la pittura.La mimesi non è più un obbligo: è più importante raccontare il concetto delle cose. Muta il rapporto tra l’essere, lo spazio, l’architettura e il decoro: si scopre la bellezza di un muro bianco o monocromo. Il contatto con l’architettura giapponese è il momento nel quale si rompono i parametri storici dell’habitat. Viviamo nel mondo dei contagi e dobbiamo nè averne paura nè ricercarli: prenderne atto.
La bellezza fa parte di quei valori assoluti che noi crediamo che esistano Sandro Botticelli, La primavera (dettaglio), 1482, pittura a tempera Pieter Paul Rubens, Le tre grazie, 1638, olio su tela
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ZZA -
La bellezza non esiste. Ciò che intendiamo essere bello è in realtà stabilito da accordi sociali. Le cose, per esistere, devono avere un nome condiviso. I temi realmente condivisi hanno una parola unica. La parola bellezza esiste solo in italiano e in francese; il concetto di bello legato alla parola cambia di cultura in cultura.
La parola eleganza viene dalla Roma antica, dove non si votava, ma si eleggeva. Il voto è la voce del popolo che proclama il proprio re; il senatore invece è eletto. I senatori si vestivano di una toga bianca con una riga rossa, che diventò il simbolo degli eletti. In seguito, eleganza.
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Per i Greci, la Bellezza non esiste se non accompagnato a un altro valore: la Kalokagathia, per esempio, relaziona il concetto di bellezza al concetto di utilità. Per i Latini, l’uomo bello è l’uomo formoso e virtuoso mentre la donna bella è pulchra, cioè graziosa e garbata. “La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin ne L’idiota di Dostoevskij; in realtà Miškin sta storpiando un concetto di S.Antagostino: la pulchritudo dei salverà il mondo, che è la grazia divina, non la bellezza divina. Nel XIII secolo si realizzano in Europa due cose opposte: da un lato le cattedrali gotiche francesi, dall’altro la pittura primitivista italiana (Cimabue, Giotto). Gli italiani scelgono una strada opposta all’estetica perfetta francese perchè: 1) la cultura tirrenica è espressivista da sempre, 2) la bruttezza della morte diventa un valore etico-positivo. La radice del nostro linguaggio visivo sta nel dibattito tra il bello france-
La mutazione del gusto è un fatto antropologico, non estetico-astratto se (classico) e l’espressivismo italiano (primitivista). Il classico garantisce la bellezza, mentre il primordiale visivo è l’opposto. La figura femminile in Botticelli, per esempio, è assolutamente esile; dopo 30 anni Michelangelo sviluppa la figura femminile muscolata; dopo un secolo viene fuori la cellulite nei dipinti di Rubens. Questo si spiega perchè il mondo di Botticelli è un mondo di sedentari fiorentini dove lo sport non esiste; il mondo di Michelangelo è già completamente cambiato perchè nello sfondo delle guerre francesi, la fisicità è assolutamente utile; all’inizio del Seicento, invece, essere cicciottelli è una garanzia di sopravvivenza. I nostri modelli estetici cambiano così velocemente in base alle situazioni, perchè queste situazioni sono la causa vera.
Per citare San Tommaso d’Aquino: una cosa va bene quando ha la debita proportio. Sembra quindi esister un’armonia perfetta, la divina proportione, come la chiamerà Fra’ Luca Pacioli, ma che in realtà ha ben poco di divino, in quanto è stabilita dalla società. La mutazione del gusto è un fatto antropologico, non esteticoastratto. Chi cambia il patto sociale? I motori della modernità sono costituiti o dalla società stessa o da un personaggio molto influente. L’avanguardia è un concetto militare antichissimo e si riferisce a gruppi di soldati che devono trascinare l’intera massa dell’esercito. Esiste un’avanguardia in quanto esiste una massa trascinabile. Le avanguardie storiche nacquero infatti dove c’erano le masse, cioè le grandi città: Parigi, Londra, Berlino, Milano. L’avanguardia individua i percorsi nuovi, va in opposizione con la società esistente, pone le critiche alla classe dominante e pone le alternative in estetica e in politica. L’avanguardia scomparve quando scomparvero le masse.
Le masse sono numeri di persone che hanno vettori paralleli, comportamenti analoghi. Dagli anni Settanta in poi, arrivarono nuovi meccanismi aggregativi: il fax, poi il telefonino, poi Internet. Oggi si è formato un popolo curioso e trasversale abbastanza simile a quello che esisteva nel Medioevo, dove esistono due tipologie di corpi esterni: il frate predicatore - o il tribuno popolare - e il tavolo di Re Artù, dove vengono prese decisioni in un tavolo, senza neanche il bisogno di confrontarsi con il popolo trasversale. Per fare un esempio, Coco Chanel inventa il gusto dell’abbronzatura, perchè passeggia in giro per Parigi con la sua nuova amante creola, rompendo nettamente il modello di bellezza femminile lattea che esisteva prima. La determinazione del patto sociale di ciò che è bello è lasciata quindi o nelle mani del tribuno o alla tavola di Re Artù.
Mauro Botta, Banca del Gottardo, Lugano, 1982-1988 Daniel Libeskind, J端disches Museum, Berlino, 2001
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ARCHITETTURA E REAL
ESTATE -
La Torre Eiffel (forma parabolica) è stato il punto di rottura dell’architettura che nella nostra cultura è sempre stata geometrica. Nella tenda del nomade c’era già questa forma non-geometrica.
In questa lezione, sono messi a confronto Daniel Libeskind, architetto statiunitense, tra i principali esponenti del decostruttivismo, e Mario Botta, architetto ticinese.
Da una parte in Libeskind, vedi il Museo dell’Ebraismo a Berlino, esiste un’architettura alternativa di tipo neogotico oppure neoespressionista, riassunto delle sue ansie architettoniche, tensione psicologica. L’edificio sembra la tenda del nomade, fatta da pali di sostegno che chiedono ai visitatori di accettare questa posizione di “nomade” per creare disagio. Dall’altra parte, Botta ha costruzioni tradizionali, dove la statica è la regola assoluta, esaltazione dell’idea della statica come base dell’architettura.
Libeskind: “Il mio vero mestiere è il musicista. Quello che io faccio in architettura è figlio della fisarmonica.” Gli europei costruiscono for eternity, gli americani per l’ammortamento del real estate. Il real estate è una concezione di tipo strumentale dei manufatti, dei fabbricati e delle cose che ci si mettono dentro per viverci: ogni cosa ha un costo che deve essere rapportabile all’utilitità che si ricava. Nel concetto del real estate quando una cosa è consumata economicamente, va buttata giù. Per un americano veder demolire un’architettura significa business, l’europeo percepisce ansia e insicurezza: culture antropologiche diverse. Chi fa real estate, cancella ciò che ha esaurito il suo compito.
L’uomo del real estate dice: quanto rende? L’uomo dell’architettura dice: quanto costa?
Massimo esempio dell’architettura for eternity sono i cimiteri. Quando si crea la cultura stanziale, nasce la tomba (es. la piramide). L’architettura nasce come grande memento del passato. Intorno all’architettura tombale, nasce la pittura che va a decorare le pareti: le poche cose che realmente conosciamo nel mondo greco (ormai evanescenti) sono pitture tombali. Da noi, una delle cose più antiche che conosciamo è la tomb francois del IV sec. Diversamente, i nomadi hanno un’altra concezione del culto dei morti. Molti, come i Germanici, facevano la pira. I monoteisti (mondo ebraico, cristiano ed islamico) credono nella resurrezione dei corpi, quindi bisogna tenere il cadavere intatto, sottoterra e protetto perchè non venga mangiato dalle bestie. Per i nomadi, il concetto del costruire è un concetto finanziario: l’impegno deve corrispondere al reddito tecnico che ne proviene. Per lo stanziario, l’impegno è molto di più. La casa dello stanziale si copre di decori, e nasce l’architettura.
Si sviluppano quindi comportamenti diversi: lo stanziale adora l’oggetto; il nomade adora l’oggetto che porta con sè, che è anche tecnicamente migliore. L’uomo del real estate dice: quanto rende? L’uomo dell’architettura dice: quanto costa? Gli italiani sono talmente legati al fatto che il manufatto abbia valore eterno, che metalizzano costantemente. In Italia si forma un fenomeno in più: avviene la prima grande operazione di archeologia industriale, con Costantino (mostra palazzo reale) inizio del IV sec., inizio alla tolleranza dei cristiani, e poi sanzione della religione di stato. migliaia di templi non servono più a niente, cioè ci costruiscono altre cose. Con quella mutazione, avviene il fenomeno prettamente italico dell’architettura come trasformazione dell’esistente: la metabolizzazione. Le città italiane sono piene di palazzi, perchè la distinzione tra fedaulesimo esterno e la vita in città non avviene mai. Anche il feudatario rimane in città. La città italiana non ha la chiesa e le casette, ma
tante chiese, la basilica, il palazzo comunale, i palazzi signorili ecc. (specifico dell’Italia). Mettendo insieme la metabolizzazione e la mescolanza sociale della città si arriva ad una cosa italianissima: Ponte Vecchio a Firenze, ovvero: il Vasari collega tutti gli edifici del potere (palazzo vecchio, Uffizi, attraversa il fiume e finisce il palazzo Piti). Si fa una sorta di Cremlino: chi è al potere non cammina tra la gente. Dall’altra parte, il ponte viene salvato con un intervento di un’opera assolutamente geniale urbanistica e architettonica. Quindici anni dopo si pone un problema analogo a Parigi: il ponte di legno che attraversa la Senna è totalmente obsoleto e il re di Francia decide di abbatterlo e ricostruirlo; nasce il Ponte Nuovo. L’architettura francese opta per il ponte nuovo, quella italiana opta per il ponte vecchio (misoneista). è un dato ormani caratteriale, non solo fiorentino. Ecco perchè la basilica di s.Lorenzo a Milano sembra romantica per
tutte le modifiche che le sono state fatte, ma non è stata abbattuta. Pochissimi edifici al mondo hanno subito questa mutazione: il Pantheon degli dèi è diventata una chiesa: miracolo di stabilità comportamentale e capacità di metabolizzazione. Tutte le altre civiltà avrebbero messo un tritolo sotto il Pantheon.
popolo sostanzialmente contadino e stanziale, hanno un’idea di stabilità che è diversa: buttano giù per replicare all’infinito lo stesso modulo. per i cinesi é vero ciò che è similare al vero; per i francesi è vero ciò che è nuovo; per gli italiani è vero ciò che è stato metabolizzato sul vero, ma è sempre architettura.
L’architettura non è un dato universale, ma è specifica dei popoli stanziali. I cinesi, ad esempio,
Il real estate costruisce cose che devono scomparire una volta che son fatte. Anche i Tedeschi
Ponte Vecchio, Firenze Ponte Nuovo, Parigi
costruiscono cattedrali, ma ci son voluti mille anni prima di iniziare a costruire. L’antropologia culturale distingue l’autentico dal fallace (non bello o brutto), cioè autentico è ciò che va in sintonia armonica con le prassi culturali della tribù. Nel campo del design: promessa di eternità o real estate? Forever o for fashion?
Interno del Festspielhaus di Bayreuth, dedicato alle rappresentazioni di Wagner, adattato dallo stesso compositore
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GESAMT KUNST
WERK Gran parte dei progettisti della fine del IXX secolo escono dal mondo della progettazione architettonica pura e vanno verso il mondo della pittura riprendono un concetto wagneriano: Gesamtkunstwerk (opera d’arte completa).
L’opera d’arte complessiva è un fenomeno che avviene ogni tanto: collegare tutto in un linguaggio unico; questo è un fenomeno non naturale e non stabile. Gli uomini del Rinascimento convivevano con letture estetiche completamente disparate, perchè non esisteva un’estetica trasversale. Altre epoche sono più determinate: sulla scia di una mutazione linguistica, avviene
una trasformazione radicale di vedere il mondo (l’esempio della penna d’oca che fa nascere la scrittura moderna). Ricompare nuovamente quando il Concilio di Trento abolisce il ruolo delle classi intellettuali: la riforma del compromesso perenne. Si abolisce la figura dell’artista onnisciente e si ritorna alla messa in valore in modo quasi paritetico di tutte le classi produttive: il decoratore di marmi ha lo stesso valore del pittore. Si legittima ogni professione. Ogni opus si equivale (barocco). Anche nel campo musicale (plurale di opus è opera): la prima opera di Claudio Monteverdi è del 1608. Con questa prima performance dove lingua, recitazione, musica e gestualità si fondono e si forma una nuova concezione del vivere: il melodramma. L’opera diventa un modo della cultura barocca occidentale. Wagner nasce in ambito romantico, quello germanico. Lo spirito romantico si può tracciare citando Hölderlin: “Oh, come un
Dio è l’uomo quando sogna, come un mendicante quando riflette.” Bisogna entrare nel mondo magico del sogno per scoprire una dimensione diversa. Wagner studia filosofia, diventa amico di Semper (Teatro di Dresda) e di Bakunin (anarchico russo) e parteciperanno ai moti insurrezionali di Dresda, verranno cacciati e vanno a vivere a Zurigo, dove Semper pubblica un libro sull’architettura integrata (progetto integrante del tutto: fondativo del design). Wagner inventa una cosa parallela, cioè il Gesamtkunstwerk, analoga all’opera italiana, ma molto di più. Giuseppe Verdi è un autentico protagonista del percorso che porta all’unità d’Italia, nel senso che i suoi primi interventi in musica (Nabucco, dove diventa famosissimo) interpreta il pensiero risorgimentale italiano (vedi il coro degli schiavi). In Verdi, è la musica che domina: è una musica semplice, perchè Verdi è melodico e produce canzoni. La qualità delle parole non è necessariamente altissima (nello stesso periodo, Manzoni pubblica I promessi sposi). In questo senso diventa fondatore della cultura italiana: l’improvvisazione. Wagner è l’opposto. Wagner è prima di tutto un letterato, a tal punto che non ha un librettista che gli scrive la roba (come si è sempre fatto nella tradizione dell’opera italiana); scrive prima di tutto il testo. Il testo del Lohengrin era stato scritto 3 anni prima. Wagner reinventa le parole, va alla ricerca di parole medievali, oniriche. Wagner
scrive anche la sceneggiatura cinematografica, perchè descrive perfettamente la scena e inventa la gestualità scenica e solo alla fine compone la “colonna sonora” , il leitmotiv. Wagner torna alla tragedia greca (non a caso Wagner è amico di Nietzsche). Il percorso di Wagner ha un risultato: tutta l’opera gira intorno a uomo unico, sè stesso. Quando farà il suo teatro a Bayreuth: ogni sedile è posizionato in modo tale che non si può più muovere e ognuno ha la visuale esatta sul direttore d’orchestra che per la prima volta esce dal golfo mistico ed è visibile. Lui è il capo della sua opera, e qui risiede il concetto di Gesamtkunstwerk (la stessa cosa fa Le Corbusier quando disegna la casa e il cucchiaino).
Nella mutazione wagneriana avviene uno dei fenomeni più incredibili e forti di ciò che andrà a determinare l’idea del design moderno. Durante l’industrializzazione in Inghilterra, il prodotto ha bisogno di una progettazione che sia tale da emanciparlo dal culto artigianale che lo determinava prima. Il prodotto ha bisogno di una cosa diversa: a metà degli anni ‘40 del Settecento nasce il Journal per l’Industrial Design. La parola “design” viene dalla parola francese (differenza dalla parola “draw”). L’invenzione della matita è un’altra mutazione fondamentale nel campo della progettazione.
Christofer Dresser viene chiamato dall’industria per razionalizzare il processo produttivo dell’oggetto e a darlgi una forma. Dresser è il padre dello stilismo: dà una forma all’oggetto per dare funzione al sistema produttivo. Nella prima Expo londinese (1851) si glorifica il gioco della grande industria e del proletariato lavoratore e del sogno industriale. Il sogno industriale era già stato infranto: i preraffaelliti, infatti, non credevano nella modernità; a loro piaceva il mondo prima di Raffaello, il mondo fiorentino, dove l’artigiano valeva quanto l’artista. Il messaggio è identico al messaggio della Controriforma italiana. Qui, nel ‘48, arriva William Morris: il falegname che riprende il disegno celtico antico e lo esegue nell’oak britannico è molto più interessante delle sedie di ghisa in grande serie: nasce l’arts and craft. Altra linea sulla quale nasce il design.
Morris e i preraffaelliti da una parte, Marx ed Engels dall’altra, nello stesso anno si oppongono alla macchina infernale dell’industrializzazione. Linee parallele e opposte di critica all’industria. Nascono una serie di opzioni che hanno un punto in comune: i progetti di design devono essere omnicomprensivi e omnivori. L’ultimo che parteciperà a questa mutazione è il francese Emile Gallè: si cambiano i riferimenti estetici e si prende la natura come canone estetico.
< Emile Gallè, Lotto 78 , vaso in vetro a base quadrata < Christopher Dresser, Blue Floral Urn > William Morris, Stampa rossa
Gustav Klimt, Lâ&#x20AC;&#x2122;albero della vita (dettaglio), 1905-1909
7 ARTI
ATIVE A metà del XIX sec., le borghesie liberali sono onnivore di tutte le estetiche. C’è come modo comportamentale nella borghesia che si forma dal 1815 in avanti un’inclinazione costante di assorbire l’assorbibile che diventerà il modo estetico che chiamiamo eclettismo, il linguaggio delle borghesie liberali.
La Francia è la prima che inventa la linea dell’artigianato totale: dal cucchiaino, ai mobili, ai vetri, alle porcellane, alle terrecotte: è così che nasce l’art nouveau. La parola nasce dal negozio dei fratelli Ping a Parigi (1895) che forma un gusto personale. La formazione di questo gusto avviene anche e soprattutto nelle campagne della Lorena che vuoi scoprire radici antichissime, quelle del Medioe-
DECOR vo: ne scoprono i fascini simbolici, il gusto simbolista e le tematiche naturali e naturalistiche, la passione per la pianta e l’idea che tutto debba essere correlato. Così come la cattedrale gotica è una sorta di selva di colonne mitiche, il loro mondo diventa una selva di rapporti e di richiami estetici. Questa formazione avrà una conseguenza rapida nel campo dell’architettura: un giovane architetto di Bruxelles di nome Victor Horta fa un edificio dove non esistono più citazioni classiche. Intorno a lui, evolvono nuove estetiche, quella detta “colpo di frusta”, movimenti che nascono dalla contaminazione della pianta, un disegno nuovo, quello delle bocche della metropolitana. Attorno a loro evolve un’estetica trasversale: un terzo di Parigi prende il sapore art nouveau. Questa linea curva ha a che vedere con la mutazione delle tecnologie costruttive (vedi la Torre Eiffel).
Il progetto che dura all’infinito è il progetto che parte da una visione ideale sognata.
Contemporaneamente, nel mondo austriaco-tedesco-meridionale avviene un’altra rivoluzione: alcuni degli artisti noti, come Gustav Klimt, copiano la Francia e decidono di fare una loro Secessione anti-accademica (prima Monaco, poi Vienna, poi Berlino). Attorno a questo movimenti, si sviluppa un movimento editoriale, Jugents e Versacrium. Nasce uno stile nuovo: una volontà di rottura con i parametri precedenti: il bisogno di immaginare che la loro modernità abbia diritto a una declinazione linguistica completaente autonoma. A Vienna arriva Mackintosh che rompe tutti i fiorellini di prima e darà un contributo mentale a tutto il gruppo di progettisti, tra i
quali Josef Hoffmann. Il Bauhaus contiene in sè la mescolanza della voglia estetica di Morris e della voglia sociale molto forte e affermativa: con loro diventa social-nazionale. Il percorso più potente che sta dietro il design è la realizzazione di un’utopia. Lampada Castiglioni. Milano, gruppo di giovani creativi usciti dal Politecnico di Milano. Idea sociale dell’intervento progettuale, usciti dal fascismo. Immaginano un mondo migliore, dove la casa non è buia, dove i rapporti tra le persone siano più rilassate. La rivoluzione oggettiva nelle abitudini e nelle prassi. Marco Zanuso, Gigi Caccia, Vico Magi-
> Charles Rennie Mackintosh, Hill House Chair
stretti, Gae Aulenti. Il loro sogno è la radice del design italiano del dopo-guerra. Il sogno parallelo post-bellico analogo è quella della migrazione degli scandinavi in America, nella fabbrichetta che diventerà poi la Knoll. Il gusto della modernità post-bellica evolve da questi due nuclei minimi: i finlandesi in America e i Milanesi. Questo percorso trasversale lascia una lezione importantissima: il progetto che dura all’infinito è il progetto che parte da una visione ideale sognata. Per questo le grafiche di Vignelli per il Piccolo Teatro negli anni ‘50 sono ancora attuali come la poltrona Barcellona.
Raffaelo Sanzio, La scuola di Atene (dettaglio su Pitagora), 1509-1510, affresco
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MUTAZIONI MATEM
ATICHE -
scuole aristocratiche dove lui insegnava. L’alunno accedeva al sapere, e nel momento in cui diventava colto si chiamava “matema”. La matematica è il rito dell’iniziazione.
Ci sono dei dati di permanenza delle culture che sono assolutamente sostanziali. Eppure ci sono anche dei dati di rottura. Attraverso la visione filosoficoesistenziale che deriva dalla matematica, si possono definire 3 precisi momenti di rottura: l’inizio del percorso, Pitagora; nel Duecento, quando avviene l’importazione dei numeri arabi; quando nasce la matematica moderna.
Nell’ambito della Grecia presocratica del VII sec. si viene a formare la radice dello spirito scientifico, ovvero la certezza del numero. Il vero genio di quel periodo è Pitagora. Nella sua società a Crotone, dove vi si era trasferito per insegnare, c’erano
A Crotone nasce il concetto di matematica e di filosofia, perchè lì hanno fatto una serie di scoperte, una sorta di koinè del pensiero del mediterraneo orientale, una serie di concetti che si fondano su un’idea di base molto curiosa: che il mondo possa essere spiegato dai numeri. Alla radice di tutto non esiste l’acqua, o la terra, o il fuoco, ma esiste l’Uno: questa è la prima visione del mondo monoteista. L’n è alla radice di tutto: se una cosa non è n, non può esistere. L’idea di zero verrà molto dopo. Quindi solo il numero può spiegare l’armonia delle cose, ovvero l’equilibrio del cosmo. In questa idea del cosmo, loro iniziano a guardare il mondo delle stelle con occhio filosofico: esiste una ritmica nei cieli che rappre-
senta una armonia regolare, che corrisponde a una sua musica. Attraverso la musica, i numeri iniziano a diventare interessanti: se prendo una corda tesa e la taglio a metà, il suono sale di un’ottava. Il primo passo della cultura iniziatica insegna che esiste equilibrio nei numeri e ciò che vale in un cosmo può valere in un altro cosmo, come quello della musica, o quello del calcolo. La parola calcolo deriva dalla pietrina.; il numero è all’inizio solo un sassolino posato. Con la tetraktys, i greci pensano di aver risolto il mondo. Perchè hanno in sè le dimensioni possibili: il punto, la linea, la superficie e il volume. Oltre la tetraktys esiste una dimensione altra, che è quella del pentagono, o quella del cerchio. Per passare da una dimensione all’altra, hanno cercato le chiavi, come per esempio π, la pi greca. Se il cerchio ha 5 punti, li posso collegare come pentagono, o come stella. Tentando di capire questi equilibri, scopro che i rapporti sono molto curiosi ed è tutto in proporzione, la famosa
proporzione aurea, il segreto degli equilibri che sta nel numero 5. Solo oggi il numero aureo lo chiamiamo φ (fi), in onore di Fidia. Il numero magico rivelava un’altra verità, ovvero: φ + 1 = φ². Esiste un numero che sommato all’Uno dà come risultato sè stesso nel mondo del quadrato. Una rivoluzone. Quasi tutta la filosofia greca ne deriva. Si muta la concezione dei numeri nel Medioevo. Il figlio dell’ingegnere capo di Pisa, Fibonacci, viene mandato a studiare nel Nordafrica, scoprendo che lì calcolano in maniera diversa. Pubblica intorno al 1220 un libricino sui conti, nei quali inserisce un numero nuovo: “quello che per gli arabi è chiamato zefiro”. Un numero non consistente, leggero come il vento, il numero che vola. Introdurlo non era stato tanto facile, e chi sposa la sua causa è Federico II, l’imperatore, che spinge molto sulla cultura. Si narra che lui assume Fibonacci tra quelli che dovranno irrompere nel modo di pensare. La sequenza di Fibonacci si basa sul concetto che il numero non nasce dall’n, ma da un numero
Frattale di Mandelbrot, 1975
già esistente. Ogni numero è la conseguenza della sua pre-esistenza. Tutto il pensiero di circa venti secoli precedenti salta. L’umanità fa oggettivamente un passo avanti: da quel momento lì l’n non è centrale, perchè c’è lo 0 + la creazione. Nel De divina proportione di Luca Fra’ Luca Pacioli, inizia la matematica della modernità, ovvero il riassunto tra l’ipotesi dell’n e quello dello zefiro, ovvero l’1 e lo 0, l’essere e il non essere, il sistema binario. Roger Penrose sostiene una tesi che risolve la dialettica tra l’empirismo aristotelico e l’idealismo platonico: il mondo dei numeri contiene la realtà, e di più della realtà, cioè quello che si può creare. La realtà è un cono illuminato dalle equazioni. Se inventiamo delle equazioni nuove, inventiamo un mondo nuovo che prima non c’era, come per esempio i frattali. Tre passaggi, uno conseguente all’altro, che corrispondono a un salto mentale totale. In matematica abbiamo una certezza: l’umanità evolve.
Pacchetto di Lucky Strike, progettato da Raymond Loewy nel 1940
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Il confine tra arte e progetto dell’oggetto è un confine abbastanza recente, perchè in tutte le culture del passato questa commistione era abbastanza accettata, in alcuni momenti di più, in altri di meno. Ci sono alcuni periodi storici in cui l’idea che la progettazione debba coinvolgere tutto diventa un’idea naturale. Uno dei periodi formidabili da questo punto di vista è il gotico, dove tutto si tiene: la cattedrale, le finestre, l’oggetto della consacrazione e la veste dei sacerdoti vanno d’accordo; l’idea del tutto insieme ha un senso. Altri momenti in cui queste idee si separano, di solito per colpa degli intellettuali: il Rinascimento ne è un esempio. L’invenzione di quello che oggi chiamiamo
OP
design probabilmente risiede nel mondo dei preraffaelliti, che si rifanno al periodo aureo della seconda metà del Quattrocento, quando si progettava un piatto con la stessa passione con la quale si dipingeva un fondo oro. Il mondo preraffaellita e Morris sono molti vicini. Oggi è parzialmente così: siamo affascinati dall’idea che un artista possa vendere 3 milioni di dollari per un quadro, ma un buon diritto d’autore su una sedia può fare molto di più! Oggi si può considerare che occuparsi di arti decorative è importante tanto quanto occuparsi di arti maggiori. Quando Wagner inventa la sua visione dell’opera pone sul tavolo l’idea di ciò che sarà il design moderno: l’opera non è grande perchè c’è un grande musicista che la fa, ma l’opera è la somma di tutte le componenti piccole. Per lui, la figura del direttore è di un uomo che coordina tutti gli elementi, dove non c’è uno che predomina.
Ludwig Mies van der Rohe, Poltrona Barcelona (dettaglio), 1929 Achille Castiglioni, Lampada Arco (dettaglio), 1962 Michael Thonet, Sedia n째14 (dettaglio), 1855 Jacob Devis, Blue Jeans (dettaglio), 1870
L’utopia è ancora possibile e rimane la radice vera del design. La lingua usata è appropriata per l’opera; la storia è legata al movimento della scena; la scena è descritta nel libretto in tutti i suoi dettagli; la musica è una conseguenza ultima. Se la si ascolta staccata dalla rappresentazione scenica, perde il suo senso. Questa idea wagneriana avrà un’influenza enorme sulla genesi successiva del design moderno, che vuole essere opera d’arte moderna. Questo pone una linea di demarcazione molto significativa fra la funzione di chi fa il designer e la funzione di chi fa lo stilista: sono due modi molto diversi di guardare la questione. Raymond Loewy (che progetta il pacchetto delle Lucky Strike, le locomotive, l’interno della prima navicella spaziale e tazzine da caffè) non ha nessuna ideologia: fa quello che gli si chiede. Cosa rende un oggetto obsolescente? E cosa rende un oggetto senza tempo? Gli oggetti che hanno la capacità di andare oltre il tempo sono i veri oggetti di design; gli oggetti che rimangono ancorati all’epoca in cui sono stati inventati sono oggetti di stilismo.
Sedia Barcellona. Lampada Castiglione. Sedia Thonet. Blue Jeans. Ognuno di questi oggetti crede a un’utopia possibile: immagina di non essere solo un disegno fatto per un prodotto, ma il risultato di una visione del mondo ideale. Per questo sono oggetti di design. Il design vero è il risultato di un pensiero idealista, e ogni volta che avviene un pensiero idealista, si crea un oggetto di design. Il designer deve essere un utopista sognatore. Gli utopisti sono alla radice della modernità. Ne è un esempio il gruppo dei designer milanesi negli anni ‘50 che avevano un intrigante antifascismo rampante; avevano un ideale urbano, sposavano la causa della mutazione sociale italiana con un sogno democratico convinto. È interessante vedere che tutta la creatività milanese di quegli anni erano tutti di sinistra. Fino agli anni ‘70 c’era una connessione diretta tra la visione delle cose e la visione del mondo. John Cage è stato il più potente musicista di frontiera della musica atonale del dopoguerra. Quando fece il suo primo viaggio in Europa, venne a Milano,
perchè girava nel mondo l’idea che the real place to go was Milan. A Milano c’era il laboratorio di fonologia musicale, che era uno dei punti di ricerca più avanzato. In questo mondo di utopie c’è il design. Ultimamente il design è in crisi di utopia. è ancora possibile immaginare un’utopia? Nel mondo in cui viviamo l’utopia è leggermente repressa. L’utopia è però ancora possibile e rimane la radice vera del design. Il vero progetto è quello che riesce intimamente a convincersi di star cambiando il mondo.