Dora di Limpica - anteprima

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Dora di Limpica ovvero una molto libera rivisitazione della favola di Amore e Psiche di Apuleio

Francesco Troccoli


Copyright - 2017 Francesco Troccoli Tutti i diritti riservati

La prima edizione del racconto eè apparsa nella raccolta "C'era st(r)avolta - Non tutto il bene viene per nuocere. Come riscrivere le solite storie." a cura di Lidia Caivano e Luigina Sgarro, Homeless Book 2015 Immagine di copertina: copyright 2014 Luca Frasca, tutti i diritti riservati La scrittura di questo racconto eè debitrice della lettura di "Storie di Amore e Psiche", L'Asino d'oro Edizioni, a cura di Annamaria Zesi.


L'autore ringrazia Luca Frasca per l'immagine di copertina e per la consulenza sui dialoghi in siciliano


Sommario

La favola di Amore e Psiche di Apuleio in breve Mattino Palazzo Sera Donna Vena Ricchezza Sorelle Curiosa Ancora le sorelle Sospetto Libera Taliari Lieto fine Nota dell'autore L'autore


La favola di Amore e Psiche di Apuleio in breve

Psiche, la piuè giovane di tre sorelle, eè venerata per la sua bellezza. Le genti accorrono per vederla, le recano offerte, paragonandola a Venere. La dea della bellezza, morsa dall'invidia, incarica il figlio Eros di suscitare amore nella fanciulla verso un uomo vile. Psiche eè molto triste, percheé nessun uomo chiede la sua mano; il re suo padre interroga l’oracolo di Apollo a Mileto invocando per lei un matrimonio felice. Seguendo il responso, la conduce in cima a una rupe, percheé ella si congiunga a un mostro temuto anche da Giove. Il padre e le sorelle fanno ritorno in lacrime per l’indegna sorte della ragazza. Psiche, rimasta sola sul colle, sospinta dal lieve alito di Zefiro giunge in uno splendido palazzo e comprende di trovarsi in un luogo divino. La giovane viene accolta da misteriose voci che la guidano, la servono, le mostrano la nuova dimora, mentre durante la notte ella si congiunge con Eros; ma l’amante la obbliga a rinunciare a conoscere la sua identitaè . Psiche riesce a convincerlo ad accogliere le due sorelle nel palazzo, ma queste, cariche d’invidia verso la sorella fortunata, la inducono a spiare le sembianze del marito alla luce. Servendosi di una lampada a olio, la ragazza rimane folgorata dalla bellezza del dio, ma uno schizzo d’olio bollente cade sulla pelle dell'amante, che si sveglia, la ripudia e fugge sull’Olimpo. Venere, ormai a conoscenza del fatto che il figlio non ha eseguito l’incarico, s'infuria con lui. Psiche, ripudiata da Eros, si getta in un fiume, le cui acque peroè la salvano. Quindi decide di vendicarsi delle sorelle che, seguendo il suo consiglio, si gettano dalla sua stessa rupe alla ricerca di un marito. Dopo aver vagato alla ricerca dell’amante, e dopo vari incontri con divinitaè e il superamento di quattro ardue prove imposte da Venere (dividere un mucchio di semi in vari gruppi a seconda del tipo prima che Venere tornasse da una festa, portarle un po' di lana di alcune pecorelle dal vello d'oro, arrampicarsi su un monte e riempire un'ampolla con acqua di fonte sacra e infine recarsi negli Inferi e chiedere a Proserpina di mettere in un vaso un po' della sua bellezza), la fanciulla viene assolta: Zeus le dona vita immortale. Dall’unione con Eros nasceraè cosìè il figlio Diletto.


Mattino -A mia iddu non mi piace!- esclamoè Doruzza, la voce rotta dai singhiozzi, la testa bassa. -E mica ti deve piacere per forza. Che ti credi che a tua madre ci piacevo, io?- le disse Ranuccio, suo padre. Mammuzza Rosaria smise di farsi aria con il ventaglio. Sorrise. -Ma ora non putissi vivere senza di mia, ah?- aggiunse l'uomo. Mamuzza Rosaria fece cenno di sìè con la testa, e sollevando un sopracciglio si portoè un dito sull'occhio per asciugare una lacrimuccia. Ma tutte queste moine Doruzza non le vedeva. Di tirare su la testa, di guardarlo negli occhi, suo padre, non le veniva proprio coraggio. E come avrebbe potuto? Ranuccio l'amava tanto da volere per lei il migliore futuro possibile, in una casa grande, ricca, ricchissima, circondata di servitori fedeli e protetta da un uomo forte almeno quanto lui, se non di piuè ; era suo padre, e per lei, la figliuzza piuè piccola, aveva pensato a tutto, proprio a tutto. -Ma non avi la faccia.- spiegoè la ragazza. -Eh, ma quanti storie! Non ha la faccia, figuriamoci! EÈ solo che essendo una persona importante, anzi assai importante, non ci piaci di farsi vedere in giro. Eros Calatafimi eè lu megliu partitu di tutta la provincia, figlia mia. -Dicono che ci ebbe un incidente, e che percioè se ne va firriannu con una maschera. -Eeeeh, chi muini! - s'intromise Rosaria. -Chiacchiere, sono. EÈ giovani, eè riccu. Ma si puoè sapiri che cosa vuoi di piuè , ancora? Ma se tutte le femmine di Limpica darebbero oro per averlo! -Non eè vero! A iddu nessuna lo vuole, e io nemmanco. Sfigurato eè , bruttu, bruttissimo!gridoè la ragazza. -Io non lo sposo, no, non lo sposo! M'aviti ammazzari, prima. Aveva ancora la testa bassa Doruzza. Quelle parole erano uscite da sole, chissaè come, e ormai era tardi per ritirarle, per dire che non era vero niente. E allora si portoè subito le mani alle orecchie Doruzza, e chiuse gli occhi, percheé sapeva che adesso mammuzza avrebbe gridato, eccome, e allora avrebbe gridato pure suo padre, e meno male che le sorelle erano nei campi e non avrebbero sentito, altrimenti sarebbero venute pure loro, a gridare. Eppure, mammuzza non gridoè . E nel piuè totale silenzio, un silenzio che, se avesse potuto, Doruzza avrebbe sentito gli asini che ragliavano e il vento che soffiava sul grano, sulle sue orecchie tappate arrivoè non giaè la voce della madre Rosaria, ma il primo manrovescio che Ranuzzu avesse osato darle da quando, diciotto anni prima, aveva pianto come un vitello quando l'aveva vista per la prima volta fra i seni di sua moglie gonfi di vita. Fu proprio un gran bello schiaffo, uno scapaccione in piena regola, libero da ogni inibizione, carico di tanto amore paterno quanto pesava. Solo allora Doruzza, dopo aver ondeggiato fin quasi a cadere in terra, alzoè la testa. Si guardoè la mano che copriva l'orecchio, che era diventata bollente e viola; a suo padre ebbe il coraggio di lanciare appena un'occhiata impaurita, cosìè che del suo viso in quel momento, per il resto dei suoi giorni, avrebbe ricordato nient'altro che i baffi appena sfoltiti dal barbiere, due linee sottili sulla pelle bianchissima sopra la bocca carnosa, come fossero disegnate, e gli occhi: neri, stretti e senza vita. La ragazza accennoè un inchino, si voltoè e corse via in lacrime. -Oh, Madre mia santissima, ma che colpa abbiamo per avere una figlia tanto stupida?mormoroè Rosaria.


Ranuzzu, invece, agguantoè la mano colpevole con l'altra e poi la strinse, forte, sempre piuè forte, fino a farsi male.


Palazzo -EÈ cosìè bella come dicono?- domandoè Eros. -Di piuè . EÈ bedda come una rosa profumata, che cancia colore in ogni momento della giornata. - rispose Alfio. -Con il sole, con il vento... io tante volte la spiai, e credimi se ti dico che diversa mi sembroè ogni volta. E nessuno, nessuno ti potraè dire niente per la tua scelta. EÈ di Limpica, la famiglia ha un po' di terra, non sunu stracciuni, e soprattutto eè pura come una Madonna Santissima. E pure le sorelle abbastanza buone sono, e chissaè ca' macari un giorno non ti ricordi di tuo cugino. Insomma per un capo figlio di capo, come te, eè perfetta. Eros Calatafimi se ne stava seduto sulla poltrona in vimini, giusto al crocicchio fra i vialetti di ghiaia che tagliavano un terrazzamento del giardino. Teneva il busto diritto, impettito come un principe sul trono, il gilet aperto sulla camiciola di seta, le braccia distese in avanti a stringere con tutt'e due le mani il pomello d'avorio di un bastone da passeggio piantato in terra come l'asta di una bandiera. Sulla panca di fronte, accanto al fidato Alfio, si trovava una maschera finemente intagliata. Il cugino fissoè Eros in volto e pensoè che non aveva mai visto uno sguardo come il suo. Dietro quell'apparente assenza, laggiuè , in fondo a quegli occhi persi nel vuoto, ogni sera si sentiva montare la marea. Da quei pozzi scuri la piena dei pensieri era sempre sul punto di traboccare, e a chi li guardava, se a Eros voleva bene, mettevano una tristezza infinita. -Sono tutti d'accordo, allora, Alfiuzzo? -Ranuccio Montalto, u patri, entusiasta eè . Quando il tuo nome gli feci, a momenti mi sviene. E quanto a Don Gioè , a quel vulcano di tuo padre ci stava prendendo un attacco di bile nera dall'invidia, per quanto eè bedda Doruzza. Si ci gonfioè tutta la pancia dall'orgoglio. Disse che bene hai scelto, e che un nipote glielo devi dare presto. -Insomma resta solo Donna Vena. -Come d'intesa, cumpari, con lei non parlai. EÈ tua madre, tocca a tia. Alfio tese la mano e raccolse la maschera. -Tieni- disse porgendola a Eros -eè pieno di servitori che apparecchiano il ricevimento di stasera per il sindaco, meglio se te la metti. Stretta stretta, eh, mi raccomannu. Eros posoè la maschera sul viso, con la lentezza teatrale con cui sempre accompagnava quel gesto. Alfio balzoè in piedi per allacciargliela sulla nuca. -Va' da lei, ora. Vuoi ca viegnu cu' tia? -No. Solo vado. -Come vossia desidera.- Alfio sorrise. -Tieni, cumpari, il bastone.

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