VIII Congresso Nazionale IGIIC – Lo Stato dell’Arte – Venezia, 16-18 settembre 2010
SEPARAZIONE E RECUPERO DI UNA PELLICOLA PITTORICA SUPERFICIALE STESA COME RIFACIMENTO SULLA POLICROMIA ORIGINALE DI UN DIPINTO TESSILE
Franco Del Zotto
Restauratore, via Principale 4, 33033, Codroipo (UD) tel - fax 0432 778249; cell 348 8939088, mail: franco.delzotto@gmail.com
Abstract
Molte volte nella realtà pratica del restauratore ci si trova ad affrontare delle problematiche estreme che possono mettere in crisi le nostre convinzioni sulle più corrette metodologie d’intervento. Talvolta nella storia del restauro si sono sviluppati interventi che richiedevano delle procedure particolari atte alla salvaguardia del bene in casi eccessionali, quali la trasposizione del colore dal supporto originale in legno, quand’esso non assolva più alla sua funzione e ne diventi fonte di danno per il resto dell’opera; oppure lo strappo o lo stacco degli affreschi, quando le condizioni conservative lo rendono assolutamente necessario. Affine ma non conforme a tali assunti, questo lavoro intende sviluppare un caso, per l'appunto, molto particolare: un dipinto su tela che si è individuato essere un’opera completamente ridipinta e riadoperata per la creazione di un altro soggetto. Usando una tela del settecento, che aveva già subito un restauro con relativa foderatura, un “manutentore” di fine ottocento, realizzò sopra d’essa un’opera ex-novo. Tale situazione è stata rilevata dopo un serie di analisi, che hanno messo in luce come nella parte sottostante si presentasse un’opera, che se pur rovinata, era completa nella sua integrità formale. L’apparente buono stato di conservazione degli strati sottostanti e la non eccelsa qualità del dipinto di fine ottocento, aveva indirizzato la direzione lavori verso una scelta di pulitura totale per la messa in luce del dipinto sottostante.
Il concetto di minimo intervento è relativo alle problematiche reali che l’operatore si trova ad affrontare nel momento in cui deve intervenire, la scelta di eliminare una ripidintura diventa quindi irreversibile, anche se correttamente giustificata. In questo caso, quindi, è stata condotta una valutazione nella logica del minimo intervento, sebbene ciò non identifichi una minor quantità di lavoro e di tecniche e materiali impiegati. Si è privilegiata la salvaguardia di entrambi gli strati pittorici indipendentemente dal potenziale valore estetico e/o storico delle due superfici, senza dover scegliere di eliminare la ridipintura ottocentesca. È stato proposto un progetto d’intervento che riuscisse a salvare entrambi gli strati policromi dei due dipinti. In seguito ho quindi elaborato una procedura metodologica e teorica, per verificare la possibilità di separare la pellicola di colore di fine ottocento dal dipinto sottostante, sia senza mettere a rischio il dipinto più antico, sia senza rovinare la pellicola pittorica più recente. Tale lavoro quindi è diventato un prototipo di metodologia applicativa, lavorando al limite delle capacità chimiche e fisiche dei materiali impiegati.
Introduzione: stato di conservazione e analisi dell’opera.
Nel lontano 1994 un committente mi portò in laboratorio [1] un dipinto su tela di dimensioni 93 x 78 cm, che sembrava appartenere alla fine dell’ottocento, primi del novecento. Esso si presentava abbastanza sudicio e metteva in evidenza una qualità pittorica di non eccelsa mano. L’opera si presentava come una tela su telaio ad incastri rigidi (mortasa e tenone con due cavicchi), apparentemente più antico della policromia del recto. Osservando la tela dal verso si poteva riconoscere che il supporto tessile del dipinto era stato in precedenza foderato, utilizzando però una pessima tela di rifodero, composta da due teli giuntati con una cucitura mediana molto prominente, che attraversava tutto il dipinto orizzontalmente. Per tale foderatura era stata usata colla di pasta che unitamente al supporto tessile presentava grossi problemi di attacchi fungini. Mentre dal retro si notava una gibbosità dovuta alla cucitura, sul davanti erano presenti due gibbosità longitudinali ed orizzontali, distanti l’una dall’altra di alcuni centimetri. Ciò stava a significare che anche la tela originale aveva una cucitura orizzontale.
Figura 1.
Gli strati policromi del verso erano offuscati da sporco e vecchie vernici ossidate (Figura 1). Questo sudiciume benché nascondesse il craquelure del dipinto, non impedì di notare la strana distribuzione di quest’ultimo: troppo ampio e fessurato in rapporto alla tela che si poteva vedere sul recto e sul margine del telaio. Il craquelure si presentava eccessivamente ben disegnato e privo di un craquelure minore, secondario, ed inoltre era troppo scodellato per la tipologia di materia policroma che componeva l’opera a vista. Precisamente la pellicola pittorica era costituita da uno strato molto sottile e levigato, su cui non si notava assolutamente la trama della tela sottostante. Lungo i margini del telaio si potevano notare porzioni della tela antica libera dalla foderatura, la quale mostrava, a sua volta, un tessuto a trama e ordito dal filato abbastanza grosso (otto fili di ordito, otto fili di trama molto disomogenei). Quest’ultimo elemento, entrava in opposizione con la policromia del recto, troppo liscia e assente di tramatura sottostante, la quale sarebbe stata troppo difficile da nascondere totalmente attraverso la stesura di una semplice preparazione.
Opera prima del restauroLa compresenza di tali elementi in antitesi mi condusse quindi a ipotizzare la presenza di una ridipintura importante e mi spinse a fare delle analisi più approfondite. Osservando, quindi, l’opera al microscopio, compresi che l’eventuale ridipintura non copriva solo parzialmente l’opera visibile, ma essa si estendeva su tutta la superficie sottostante all’opera senza alcuna interruzione di materia: si trattava di due strati pittorici congiunti. Con la consapevolezza di consolidare l’assunto inizialmente ipotizzato, si decise di procedere con delle analisi radiografiche non tanto per dimostrare la presenza della ridipintura, ma per identificare cosa rappresentasse il soggetto sottostante: individuare il suo periodo storico, la composizione e lo stato di conservazione (figura 2). I risultati delle analisi portarono alla luce la presenza di un “Ritratto di Gentiluomo” sottostante il “Ritratto di Dama con cammeo”. Tale policromia sembrava veramente in discreto stato di conservazione. Quest’ultimo ritrovamento, come periodo storico, poteva essere ricondotto al settecento ed esibiva una qualità pittorica migliore rispetto all’opera visibile.
La committenza, resa edotta della condizione dell’opera, sorpresa ed entusiasta, manifestò la volontà di scendere con la pulitura finalizzando l’intervento al recupero del dipinto più antico. A fronte di tale richiesta operativa cercai di studiare meglio il caso e verificai la possibilità di recuperare entrambe le pellicole pittoriche. Vennero svolte delle ricerche bibliografiche su tali procedure operative, ma all’epoca (era il 1994) non fu riscontrato nulla di simile e quindi l’attenzione fu tutta direzionata verso i dati che potevano fornire le analisi sul manufatto. Dalle radiografie si notavano alcune cadute di policromia che mettevano in luce la trama tessile originale. Tali lacune erano localizzate in una piccola porzione centrale e soprattutto nella parte bassa dell’opera. Dalle indagini si desumeva, altresì, che l’opera sottostante fosse settecentesca, con un craquelure molto fitto ed evidente, parzialmente seguito dall’opera soprastate. Nel contempo le linee del craquelure dell’opera sottostante si mostravano molto nitide e precise, indice di una necessaria interferenza materica di differente natura tra i due strati pittorici, altrimenti assai più simili e indistinti nella mappatura del craquelure. Ciò voleva dire che tra il colore originale e lo strato soprastante c’era una differenza chimica e fisica ben precisa. Entrambi gli strati pittorici sembravano essere ad olio. Se il colore ottocentesco fosse entrato in profondità nel craquelure settecentesco, come di norma accade, questo non si sarebbe visto nitidamente ai raggi X. Con ciò si dedusse, quindi, che la ridipintura non fosse penetrata tanto in profondità nel craquelure, o che il ridipintore, prima di procedere con la nuova opera, avesse uniformato il craquelure con un altro materiale diverso chimicamente dalla materia della policromia settecentesca. Decisi quindi di procedere con cautela a fare dei test di pulitura superficiale [2] per valutare la resistenza e la qualità della policromia. In corrispondenza di tali zone di indagine, eseguii, lungo il perimetro, delle micropuliture più profonde, da cui ebbi conferma di quanto sopraddetto: la tela del settecento, prima di essere ridipinta, fu scialbata per coprire le imperfezioni con un leggero film, quale una miscela a base di gesso, colla animale e olio. Come se non bastasse, al legante oleoso usato per la stesura dei pigmenti, sono stati aggiunti più strati di vernice; parte del legante dei pigmenti (olio) e parte delle vernici (resine naturali), quindi, è penetrata all’interno della scialbatura, fino ad arrivare a contatto con la policromia settecentesca. Osservando la stratigrafia dell’insieme dei due dipinti, possiamo sintetizzare la composizione così rilevata. Partendo dal basso si trovava prima la tela di rifodero (G), costituita di canapa, in pessimo stato di conservazione e di bassa qualità fin dall’origine. A seguire si vedeva uno strato di colla per la foderatura (F), costituita da colla di pasta con una percentuale di Trementina Veneta al suo interno. Essa era molto cristallizzata e manifestava attacchi fungini ed aveva perso in alcuni punti l’adesione con gli strati soprastanti. Successivamente si trovava il tessuto settecentesco originale (E) a trama e ordito non compatto (otto fili di trama ed otto fili di ordito) e costituita da un filato abbastanza grosso, probabilmente in fibra di canapa. Al di sopra si trovava la preparazione originale settecentesca (D), abbastanza spessa e composta da una miscela di colla animale, gesso di Bologna, terra rossa ed oli vegetali. Con lo strato (C) si individuava la policromia del dipinto settecentesco, stesa a campiture successive, in più strati, a seconda della zona, in cui come legante era stato usato l’olio. Successivamente si incontrava un sottile strato biancastro che risultava essere la scialbatura (B) stesa su tutta l’opera in maniera disomogenea, composta da gesso, colla animale ed olio. L’ultimo strato era quello che si poteva vedere dal recto del dipinto ottocentesco, ed era un film pittorico molto sottile e liscio (A), composto da pigmento ed olio abbastanza recente, in cui erano completamente assenti i segni del pennello. Tale film era coperto da un sottile strato di varie verniciature disomogenee molto ossidate (figura 3). Ipotesi d’intervento generale
Figura 3. Sezione stratigrafica dei due dipinti sovrapposti: A ridipintura, B scialbatura, C strati policromi originali, D preparazione originale, E tessile originale, F collante, G tessile di rifodero.
Da queste riflessioni ho proposto un intervento a carattere sperimentale, che sulla base di un’accurata ricerca, non trovava casi analoghi, se non un unico caso a nome del Restauratore Clauco Benito Tiozzo, risalente al lontano 1965 [3]. Tale traccia
Figura 2. Montaggio delle radiografie dell’opera e dettaglio del craquelure.tuttavia, essendo risalente agli anni sessanta, non poteva essere tuttora fonte di utili metodologie applicative rispettose della contemporanea disciplina del restauro e, oltre a ciò, tali fonti non descrivevano nello specifico le metodologie utilizzate. Prima di arrivare quindi alla scelta metodologica definitiva, ho fatto una serie di test e di ipotesi d’intervento. In linea esemplificativa l’intervento si doveva dividere in tre fasi:
1) separazione dei due dipinti
2) restauro del dipinto raffigurante “Giovane gentiluomo”
3) restauro dipinto raffigurante “Dama con cammeo”.
1) Il primo punto è il fulcro di tutto il lavoro ed è stata la fase più complessa ed impegnativa. Per prima cosa bisognava proteggere la superficie del dipinto raffigurante “Dama con cammeo” per mezzo di una serie di carte e garze, applicate con un adesivo adeguato, reversibile e facile da rimuovere senza intaccare l’integrità della policromia, nonché compatibile con altri possibili materiali e altre fasi successive. Questa protezione aveva lo scopo di diventare supporto provvisorio della pellicola ottocentesca in fase di separazione, dandogli sufficiente resistenza strutturale ed elasticità.
Per riuscire a separare la pellicola ottocentesca bisognava intervenire nella scialbatura di mestica sottostante (B) ammorbidendola, rigonfiando l’eventuale percentuale di colla animale presente tra i due strati. In tale operazione si doveva fornire allo strato (B) la quantità di umidità necessaria e sufficiente allo strappo, senza però eccedere. In fase di ammorbidimento si poteva quindi procedere con la separazione.
2) Ipotizzai delle fasi per il recupero del dipinto sottostante programmando di non smontare il dipinto dal telaio originale, con riserva di eliminare o meno l’intervento di foderatura, mantenendo praticabili sia un’ipotesi più conservativa, sia un’ipotesi più impegnativa di restauro del supporto, attraverso l’inserimento di un nuovo telaio ad autoespansione controllata. A seguire, quindi, sono state progettate fasi di pulitura del recto del dipinto, che si sarebbe presentato completamente coperto da residui dello strato di scialbatura (B) al momento dello stacco, ed altresì, fasi di pulitura da vecchie vernici ossidate e ridipinture che avrebbero fatto seguire una presentazione estetica.
3) Sono state ipotizzate delle fasi per il ripristino della visibilità del dipinto più superficiale, quali la pulitura del verso da residui di gesso, livellamento e consolidamento dello stesso, realizzazione di un nuovo supporto tessile integrato di strati preparatori, e successiva progettazione di un nuovo telaio o pannello per accogliere la tela staccata, come nell’ipotesi sopradescritta. Successivamente si poteva considerare la fase di svelinatura del recto del dipinto, coperto dalle veline per lo stacco, e la sua conseguente fase di presentazione estetica.
Test dei prodotti per la preparazione della velinatura da stacco
La policromia ottocentesca reggeva bene ai solventi acquosi, ma essendo un olio relativamente giovane, poteva essere solubilizzata con vari solventi organici neutri e, soprattutto in alcuni colori bruni, percentuali di Acetone anche basse potevano essere troppo aggressive. Al contempo, il dipinto settecentesco non soffriva la presenta di tali solventi, ma l’umidità poteva essere pericolosa per la sua preparazione (D), facilmente rigonfiabile.
Eseguii una serie di test di velinatura fuori opera (come simulazione) e microtest in opera. Per fare ciò sono state incollate delle carte giapponesi (tipo 512) a due strati, con diversi prodotti.
- La Vernice Damar, risultava di debole resistenza all’adesione e soprattutto lenta nell’asciugatura. Bisognava aggiungere troppo materiale per ottenere un risultato sufficiente, inoltre creava barriera al vapore.
- Il Paraloid B72 in Alcool etilico e acqua con un’eventuale stiratura aumentava il suo potere adesivo. Presentava una certa difficoltà ed un certo rischio per la policromia nella fase di eliminazione.
- Beva 373 in White Spirit presentava una buona adesione, soprattutto dopo la stiratura, buona reversibilità in fase di eliminazione.
- Paraloid B72 in Acetone aveva anch’esso un buon potere adesivo, poteva creare problemi su determinate velature in fase di rinvenimento e creava una barriera al vapore molto netta.
- La resina vinilica a rapida asciugatura, pretrattando la superficie con un film protettivo intermedio di vernice, è stata inoltre testata. Essa aveva un buon potere adesivo e anche una sufficiente reversibilità nel rigonfiamento in tempo brevi, però nel tempo poteva creare problemi di reversibilità con l’invecchiamento.
- Il Beva D8S in gel era simile al precedente ma pareva avere più potere adesivo se coadiuvato da una leggera stiratura.
- La colletta, applicata dopo essere stata ben sgrassata la superficie, aveva un buon potere adesivo e dava la possibilità di applicare più strati di carta.
- Il Primal AC33 appariva più debole rispetto ad una colletta od un Beva e dava problemi per la sua basicità (ph 9,5).
- Il Mowilith DMC 2 aveva un adesione non troppo forte ed inoltre possedeva un ph acido (ph 4-5) [4].
- Il Plextol B500 aveva una buona adesione migliorabile a caldo con una leggera stiratura, essendo un materiale termoplastico, inoltre manifestava lo stesso problema del Primal AC33 (ph 9,5).
- Il Plexisol P550 aveva una buona adesione, migliorabile con una leggera stiratura e facilmente reversibile anche dopo parecchio tempo dall’asciugatura con solventi (quali il White Spirit). Da tale test appariva un materiale adatto per la velinatura. Il suo comportamento adesivo era il migliore ed inoltre era a solvente (non solubilizzava o rammolliva in acqua), non creava problemi alla policromia, poiché eliminabile attraverso l’uso di metodi con solventi maggiormente apolari a cui l’olio sembrava essere meno suscettibile. Tuttavia la sua applicazione avrebbe generato una barriera superficiale all’umidità e sarebbe diventato naturale per inumidire lo strato B, passare dagli strati G, F, E, D e C con l’uso del sottovuoto. Ciò poteva
generare uno strappo non uniforme della materia policroma. L’alternativa era quella di passare da A prima dell’incollaggio delle garza. Questa operazione diventava difficile poiché il potere adesivo del Plexisol P550 sulla policromia ottocentesca si dimostrava, in tal condizione, molto meno efficace.
- Provai anche a fare una velinatura a Beva 373 inumidendo preventivamente lo strato policromo. Per tale operazione la velina era stata pretrattata a Beva 373 e veniva applicata (a solvente evaporato) sulla pellicola tramite stiratura. Il risultato era buono, ma non soddisfacente. Il lavoro però diventava complicato per grandi superfici. Il Beva 373, inoltre, impediva il passaggio di umidità dall’esterno verso l’interno.
Ipotesi d’intervento successiva ai test eseguiti e progetto per un meccanismo di tensionamento utile alla fase di separazione delle pellicole pittoriche
Dopo i test eseguiti potei ulteriormente ottenere un modus operandi il più coretto possibile, ossia riuscire ad ammorbidire lo strato B, senza toccare gli altri strati (soprattutto lo strato D). Lo strato B essendo una preparazione con una percentuale di gesso e colla, rinveniva molto bene con l’uso dell’umidità. L’unica strada per inserire l’umido a livello di B, era passare attraverso A, ma la velinatura con Plexisol P550 non permetteva il passaggio in maniera sufficiente ad ammorbidire lo strato. In fase operativa mi accorsi dell’importanza della permeabilità della pellicola pittorica, oggetto della separazione. Per tali motivi quindi i risultati migliori potevano essere dati dall’impiego della colla animale. Inoltre per permettere uno stacco corretto le veline dovevano essere totalmente asciugate ma lo strato di scialbatura (B) doveva essere ancora morbido, ottenendo così un effetto ceretta sulla superficie interessata. Per tale motivo, quindi, l’asciugatura della velinatura, per essere molto superficiale, fu forzata e velocizzata attraverso l’uso di termocauterio oppure phon a bassa temperatura.
Riepilogando il piano d’intervento doveva essere:
1) Inumidire e ammorbidire la preparazione (B) della policromia (vedi schema stratigrafico).
2) Una volta ammorbidito lo strato di gesso, veniva eseguita una pulitura perimetrale dello scialbo di rigessatura per creare una linea netta indispensabile per avere una buona partenza in fase di stacco.
3) Velinatura del perimetro con carta giapponese dai due ai tre strati.
4) Asciugatura forzata del perimetro mentre si continuava a tenere morbido il dipinto, chiudendo la parte non velinata con del Melinex.
5) Per alcuni millimetri, perimetralmente, andava cominciato lo stacco.
6) A strato ammorbidito si poteva quindi velinare tutta la superficie con più strati di carta giapponese ed una garza come strato finale.
7) Asciugatura forzata delle veline applicate a termocauterio. Non dovendo togliere umido dallo strato B tale stiratura è stata fatta con l’interposizione di Melinex, favorendo, così, la penetrazione dell’umidità. Inoltre non bisognava schiacciare la policromia e l’imprimitura ammorbidita per evitare la compressione degli strati.
8) Appena asciugata la velina e la colletta riprendeva la sua forza di adesione, si procedeva ad un cauto strappo.
Il lavoro vero e proprio e tutte la fasi operative sono cominciate nel 1996 e si sono prolungate in varie fasi fino al 2008 [5] Nell’operatività si è dimostrato essere impossibile un intervento di ampia scala su tutta l’opera, a causa dell’assoluta precisione che i vari tempi d’intervento richiedevano. Ricavai quindi un sistema che permettesse di procedere per singoli gradi d’intervento in maniera programmatica:
a) Intervenire con la separazione lungo il perimetro per qualche millimetro, come descritto nelle ipotesi d’intervento. b) Montare la tela (con il recto verso l’alto) in un sistema rigido e vincolato, per poter agire sullo strato dello stacco con una certa sicurezza, tenendolo sempre in tensione.
c) Creare una macchina che tenesse in tensione continua e in maniera planare gli strati staccati. Inoltre tale meccanismo doveva dare la possibilità di sollevare in maniera millimetrica lo stacco rispetto al piano della tela originale (figura 4).
Figura 4. Meccanismo tenere in tensione planare la pellicola pittorica separata: a profilo di aggancio, b asta bilancere di aggancio, c tenditori con molle contrapposte orizzontali asta a, d tenditori a molle verticali asta b, e cerniera, f policromia velinata, g opera settecentesca.
d) Bloccando la tela lungo un dei bordi perimetrali, prolungando la sua estremità con delle fasce perimetrali, si agganciava al bordo a l’asta b (come in figura), completamente bassa, dando con i tenditori c una leggera tensione. Partendo da questo bordo (il bordo vincolato della tela) seguendo tutta la su lunghezza e per una profondità di alcuni centimetri, si procedeva con
la tecnica di separazione sopra descritta, facilitando lo stacco dando una tensione orizzontale con i tenditori c, e una tensione verticale con i tenditori laterali d. Tale operazione contemporaneamente consentiva un controllo delle fasi di stacco (figura 4).
Fasi operative di stacco degli strati policromi
Il dipinto “Dama con cammeo” è stato pulito in maniera superficiale ed è stata sgrassata tutta la superficie. In alcune zone, dove c’erano craquelure troppo ampi e delle cadute di colore, sono state eseguite delle stuccature a livello. Invece di procedere con una sfoderatura del retro, che poteva creare problemi per le fasi successive, preferii ristabilire l’unitura con l’uso di umidità e colla animale con l’ausilio del sottovuoto. Lungo il perimetro è stata fatta una millimetrica pulitura del bordo per arrivare ad avere un segno netto tra policromia settecentesca e policromia ottocentesca. Lungo il margine è stato steso sul bordo della tela settecentesca un film protettivo di separazione, in caucciù liquido [6]. Nel perimetro è stata fatta quindi una leggera velinatura per alcuni centimetri, facendola precedere da una leggera stesura di Beva Gel molto diluito in H2O. Prima di applicare le carte a colletta è stata asciugata la superficie. Per alcuni millimetri avviai la separazione della pellicola. Dopodiché, partendo da un angolo, per zone sono stati applicati più fogli di carta assorbente, inumiditi con acqua e poco alcool etilico, direttamente sulla policromia ottocentesca, avendo cura di coprire il tutto con il Melinex. Successivamente sono state incollate le carte giapponesi, usando la colletta [7]. Come ultimo strato incollai una membrana di tessuto-non-tessuto in fibra di seta, leggera, resistente, con una fibra molto lunga che permetteva il passaggio sia in entrata, sia in uscita, dell’umidità, caratteristica indispensabile per il lavoro. Incollata la fibra di seta, il tutto veniva stirato leggermente con il termocauterio tra i 50-55°C interponendo del Melinex, il quale bloccava l’evaporazione dell’acqua e ne facilitava la sua distribuzione tra i due strati di colore. Quando, invece, ritenevo pronta la superficie per la separazione, il Melinex veniva tolto per accelerare l’asciugatura superficiale. Lentamente e con leggera tensione e l’ausilio di bisturi, cominciai la separazione delle due pellicole. Esse dovevano separarsi quasi da se, senza sottoporre la pellicola ottocentesca a trazioni pericolose per la sua integrità. Poteva succedere che tra le due pellicole mancasse l’umidità sufficiente per l’operazione, in quei casi si procedeva in modi diversi a seconda della gravità: o inserendo dalla parte della velinatura un’aggiunta di umidità, o mettendo direttamente tra le due pellicole acqua con poco alcool etilico, chiudendo poi con il Melinex veniva leggermente ripassato tutto a termocauterio. Le operazioni dovevano essere lente e continue, con tempi definiti. In alcune zone la pellicola ottocentesca era molto adesa alla pellicola settecentesca, o per mancanza di scialbatura (strato B), o per lo spessore troppo sottile, o perché il legante oleoso della ridipintura era troppo penetrato, o perché le vernici soprastanti si erano infiltrate a contatto con l’opera del settecento. Risolsi tale problema mantenendo le zone ad una temperatura di circa 30-35° con l’uso di lampade IR e inserendo una miscela di Ligroina ed Acetone in percentuali diverse a seconda dell’occorrenza. Lo stacco veniva quindi fatto calcolando il tempo esatto necessario a far sì che la pellicola di colore si incollasse sulla carta da stacco, e che il film di scialbatura in gesso e colla rimanesse sufficientemente morbido. A tal punto veniva applicata una leggera tensione per permettere la separazione dei due dipinti. Realizzata la separazione dei due dipinti (il dipinto ottocentesco composto da A con parte di B ed il dipinto settecentesco composto da parte di B più C, D, E, F, e G) si poteva quindi procedere in maniera differenziata al restauro delle due opere (figure 5 e 6).
Restauro del primo strato policromo “Dama con Cammeo”
Per il dipinto ottocentesco così staccato, bisognava procedere in modo particolare, come nei punti elencati a seguire:
1. Poiché il lavoro proseguì per tanto tempo causa le operazioni di stacco, la policromia incollata sulle garze presentava alcune viziature (anche se in fase di separazione la tela veniva tensionata dal meccanismo creato ad hoc). Fu montata quindi su una struttura di tensionamento (telaio con tenditori) con l’ausilio di fasce perimetrali (in carta) per parecchio tempo (mesi) e rimase sospesa in leggera tensione. Con l’ausilio di poca umidità localizzata e tanta pazienza, giunse a un perfetto appianamento.
2. Livellamento dei residui di gesso (strato B) con l’ausilio di bisturi e carta vetrata.
3. Consolidamento di questo strato (probabilmente colla animale) attraverso un’apprettatura con resine adeguate quale Paraloid B72 al 8% in Acetone caricato con caolino. Questo aveva una buona penetrazione ed una buona velocità di
Figura 5. Fase di stacco della policromia e dettaglio imprimitura del craquelure Figura 6. Policromie separate: a dipinto stappato, b originaleevaporazione. L’acetone non intaccava le veline dello stacco, la resina non sarebbe rinvenuta in fase di svelinatura con l’uso dell’umidità, inoltre era un materiale che non ingrassava la superficie e quindi non poteva compromettere la stesura degli strati d’intervento successivi.
4. Stesura di un nuovo strato portante di preparazione (gesso e colla) o meglio “I strato cuscinetto”. Dopo steso l’apprettatura consolidante è stata stesa a più mani incrociate un impasto di Paralid B72 in Acetone, caricato sempre a Caolino. Il Caolino doveva essere in quantità sufficiente a rendere la materia leggermente addensata rispetto all’apprettaura. Questi primi strati permettevano una leggera e prima “levigatura” delle imperfezioni.
5. Su tale superficie asciutta è stata eseguita poi una prima e successivamente una seconda velinatura, usando fogli di carta giapponese sottili con la miscela sopradescritta.
6. Rasatura con altro gesso e colla per avere una superficie perfettamente piana e senza pori. Lo strato cuscinetto è stato seguito da un secondo strato cuscinetto: una stesura a due passaggi sottili di preparazione, composti da stucco elastico ad acrilico. Il gesso, abbastanza cremoso, è stato steso a spatola per due passaggi leggeri. Successivamente è stata fatta un levigatura: prima una rasatura con lama metallica e a seguire una levigatura con carta abrasiva.
7. Primo rinforzo strutturale. Ho deciso di adoperare un crinolino di cotone molto leggero, che doveva entrare a far parte della nuova preparazione, prima della foderatura vera e propria. Il crinolino, quindi, è stato lavato tre volte, fatto asciugare e successivamente montato in tensione su di un telaio interinale appositamente realizzato. Tale telaio doveva entrare all’interno del telaio di supporto strutturale temporaneo in cui si trovava tensionata l’opera, per permettere l’unitura delle due parti con entrambi i telai tensionati. Il crinolino è stato apprettato con del Plextol B500 diluito in acqua al 20%, non troppo denso per non chiudere i vuoti della trama tessile. Il retro dello strappo è stato trattato con Plextol B500 diluito al 50% in acqua con un’aggiunta di Tritanolammina per portare tutto ad un Ph neutro.
La policromia, tensionata nel suo pre-telaio su supporto di tessuto-non-tessuto in seta, ed il crinolino, sono stati uniti (a superfici umide). Successivamente al crinolino è stato steso a pennello uno strato di Plextol B500 abbastanza denso. Il tutto è stato messo sotto vuoto per permettere una buona ed uniforme adesione. Dopo aver controllato la perfetta unione sono stati chiusi i pori della trama con lo stucco precedentemente illustrato.
8. È stata svelinata la policromia del verso. Per eliminarla è stata usata l’umidità e le veline sono state tolte a strati. Successivamente sono state eliminate le fasce di carta per il tensionamento, lasciando la policromia sul secondo telaio e liberando quindi totalmente il verso dell’opera.
9. Preparai un nuovo supporto di sostegno del dipinto. Sarebbe stato molto più semplice usare un pannello rigido ma ritenni che l’opera doveva essere rimontata su di un supporto tessile che richiamasse l’intenzione dell’esecutore ed anche il tipo di craquelure sparso sulla superficie. A parte è stata tensionata la tela di rifodero, o meglio la tela di supporto definitivo (lino e canapa fitto), su di un terzo telaio interinale ad espansione. La nuova tela di supporto era molto fitta e non molto grossa di filato. L’unione tra la nuova tela e la policromia fu fatta a Beva. I lati di contatto (tela nuova e retro della policromia), sono stati trattati a Beva 373 steso a spruzzo. L’unione è stata fatta sottovuoto e con un ferro da stiro a temperatura controllata. È stata usata una temperatura bassa ed un massaggio delicato fatto dal retro (a policromia rovesciata).
10. Infine fu necessario realizzare un nuovo telaio definitivo magari flottante. In queste fasi di intervento cercai di tener presente la possibilità di un eventuale intervento di restauro futuro e quindi cercai di dare la massima versatilità d’uso alla pellicola così ottenuta. Le ipotesi d’intervento potevano essere due: un pannello con capacità autoadattative, oppure un telaio flottante autoadattativo. Era indispensabile usare un sistema flottante, poiché i materiali e gli strati aggiunti erano numerosi.
Bisognava trovare un sistema di sospensione non rigido per dare il tempo alle sovrapposizioni di strati di stabilizzarsi. Scelsi di realizzare un telaio flottante da molti anni da me prodotto e collaudato. Questo telaio, come prassi da me sempre adottata, segue due caratteristiche: i margini non vanno chiodati con vincolo rigido perimetralmente, ma lasciati liberi per permettere una adeguata distribuzione delle forze di tensionamento; realizzazione di un sistema di pistoncini tarabili che trasmettono una spinta fino ad un valore ed una posizione determinata. Tali pistoni prediligono alla spinta continua della tensione la possibilità di restringersi in casi di forti ritiri della fibra e degli strati policromi [8], (figura 7).
Restauro del secondo strato policromo “Ritratto di Gentiluomo”.
La mia intenzione era quella di fare un intervento il più conservativo possibile, mantenendo anche il telaio antico, tuttavia la foderatura era troppo malconcia per essere mantenuta, aveva attacchi fungini ed una cucitura centrale con grumi di colla di pasta ed in più il craquelure della policromia era troppo evidente e scodellato. Per un’adeguata stesura e appianamento degli strati policromi, si rendeva necessaria quindi l’eliminazione della tela di rifodero. Preventivamente eseguii i necessari interventi di pulitura dai residui della scialbatura e da altro sudiciume e/o verniciature con gel acquosi. Inoltre le ridipinture e le vernici sono state trattate con dei solventi gelificati. Perciò sfoderai
Figura 7. Sezioni telaio flottante nuovo. Modello brevettato.necessariamente il dipinto per appianare la policromia una volta velinato il verso dell’opera. Quindi dal retro, lasciando la tela montata sul telaio, eliminai la tela di rifodero lasciando solo i margini che andavano sotto la struttura lignea del telaio. La fibra tessile originale, inoltre, è stata liberata dalla colla di pasta ed è stata rinforzata la velinatura per schiodare la tela dal telaio, cosicché anche i margini della foderatura antica potessero essere liberati. Sono state prodotte delle fasce perimetrali alla tela, successivamente vincolabile ad un telaio interinale. La fibra tessile poteva essere quindi tesa adeguatamente per attenuare gibbosità e viziature. Questo è stato ottenuto con la combinazione di umidità, leggera tensione controllata e tempo. Solo quando si recuperò la planarità del dipinto si è potuto procedere con la ricucitura delle mancanze passanti. Queste sono state risarcite con degli inserti di tela nuova, molto simile all’originale, adeguatamente apprettata. L’unitura è stata fatta con incollaggio testa a testa dei fili e quindi rinforzata con fibra di seta molto sottile. Non era possibile mantenere il tessuto originale senza un rinforzo strutturale tessile e quindi si è resa necessaria una nuova foderatura ed i materiali utilizzati sono stati una tela di lino e canapa molto fitta e adesivo Beva 373.
La tela però aveva bisogno, per la sua salvaguardia, di una tensionamento adeguato, controllato e flottante-autoadattativo. Il vecchio telaio non era in ottimo stato di conservazione: debole, attacchi xilofagi, unitura degli angoli critica, senza inclinazione di falda, svergolato. Scelsi pertanto di recuperare l’antico restaurandolo, e trasformando l’unione tra tela e telaio da chiodatura rigida a sistema flottante. Restaurato il telaio originale ad esso è stato aggiunto un micro telaio, posizionato nel suo verso, vincolandolo (vedere la sezione di figura 8).
Questo dava consistenza strutturale al telaio, distanziava la tela dallo spigolo del telaio interno e uniformava il perimetro creando una superficie di scivolamento perimetrale adeguata alle fasce perimetrali. Infatti per permettere una tensione flottante della tela studiai un sistema di tenditori a molla esterni tarabili. Questa metodologia è alla base delle ultime ricerche e applicazioni, recentemente brevettate, che, per le caratteristiche funzionali ed estetiche ben rappresentano un approccio alla questione basato sul minimo intervento. Per utilizzare un telaio originale o storicizzato, la tela viene montata grazie a tenditori caratterizzati da prestazioni elastiche, che collegano, tramite appositi cavetti, la tela del dipinto o delle fasce perimetrali di ampliamento, rivoltata sul retro del telaio, in due modi: in opposizione fra loro, oppure a una struttura di collegamento – ad esempio un profilo-telaio – sospesa all’interno del telaio principale [8], (figura 8).
Conclusioni
Sono stati eseguiti una serie di test fuori opera, su dei campioni simili all’originale, da tali test è stata scoperta una metodologia che poi si è evoluta nel tempo. Sono arrivato all’individuazione di un metodo basato sull’utilizzo di materiali sintetici e naturali e su dei meccanismi specifici che, nel contempo, hanno permesso la separazione della pellicola pittorica. Questo è avvenuto tramite una ricerca equilibrata di materiali e tecnologie applicative, calcolo delle resistenze chimicofisiche delle opere, in relazione a precisi calcoli temporali, parametri fondamentali per la buona riuscita di tali operazioni. Il risultato dell’intervento è stato ottimo e per certi aspetti imprevedibile.
Una volta separati i due strati policromi, per completare l’intervento, ho individuato due metodi dissimili. Nel caso del dipinto settecentesco è stato studiato un metodo specifico, sia per gli strati policromi, totalmente recuperati senza alcuna perdita di policromia, sia per il tessile supportante che alla fine è stato rimontato sul telaio originale. Il telaio originale è stato quindi conservato e trasformato da telaio rigido a telaio flottante tramite un sistema particolare di tensionamento senza modificare la struttura del telaio. I tenditori presenti nel nuovo telaio, oltre a dare la possibilità di conoscere esattamente a quale forza di trazione sia soggetta la tela, seguono i movimenti del tessile e degli strati policromi. Per la pellicola pittorica dello strato di fine ottocento è stata predisposta, attraverso una serie di studi, una metodologia adeguata. Questo ha permesso di ricollocare la pellicola in una superficie portante, trasferendola su di una nuova membrana di supporto. Anche in questo caso tale dipinto è stato montato su di un nuovo telaio flottante adeguatamente studiato al caso. Queste tecniche d’intervento sono sperimentali, cominciate diversi anni addietro; esse hanno fornito un ottimo risultato, determinato non solo dalla qualità dei materiali ma soprattutto dalla metodologia d’impiego. Attualmente la ricerca dei materiali è molto progredita e sicuramente può portare grossi contributi a questi impieghi.
Figura 8. Montaggio pistoncini di trazioneespansione per il telaio originale. Modello brevettato. Figura 9. Foto dei due dipinti separati dopo il restauro.Allo scopo recentemente è stata fatta una simulazione in laboratorio su dei campioni d’opere. Questo ha messo in luce la validità e la versatilità di nuovi prodotti che si cominciano ad diffondere più in ampia scala in questo settore, quali il Ciclododecano. I dati rilevati a tali campagne di studio hanno individuato vantaggi e svantaggi rispetto ai precedenti metodi. Il Ciclododecano si è rivelato essere il materiale più consono, capace di creare un film isolante e allo tesso tempo, possibile adesivo e fissativo per gli strati di carta da applicare per lo strappo della pellicola. Tale utilizzo tuttavia si propone come temporaneo, a causa della capacità di sublimare del Ciclododecano e questo potrebbe essere considerato uno svantaggio. Per ovviare a tali meccanismi fisici il materiale applicato deve essere bloccato con una ulteriore velinatura a colla di coniglio, e deve inoltre successivamente essere tempestivamente consolidata la policromia in fase di strappo per non avere cadute di policromia dovute alla sublimazione del Ciclododecano. Questa sintetica esposizione dei nuovi approcci in tale ambito non è esaustiva per problemi di spazio, ma si ripropone si essere un punto di ripartenza per sviluppare ulteriori processi metodologici in casistiche affini, con l’auspicio di trovare il modo di spiegare esaurientemente i risultati ottenuti in una futura occasione.
NOTE
[1] Dal 1994 al 1997 presso il laboratorio di restauro R.C.A. Restauro: Conservazione dell’Arte di Franco Del Zotto e Francesca Tonini s.d.f., dal 1997 al 2006 presso il laboratorio di restauro R.C.A. Restauro: Conservazione dell’Arte di Franco Del Zotto s.a.s.
[2] All’epoca è stato utilizzato il test di Worbers con uso di Mineral Spirit/Acetone/Alcool Propolico, più completo rispetto a quello di Feller poiché esplora maggiori zone di solubilità anche ad alti valori di Fh e zone di solubilità maggiormente polari.
[3] Glauco Benito Tiozzo nel 1965, in quel di Venezia, portò alla luce l’Annunciazione di Giovanni Rottenhammer in San Bartolomeo risalente al ‘600, la quale era completamente ridipinta in un periodo successivo da una simile annunciazione da un pittore ignoto. Di tale intervento tutt’oggi si possono trovare memorie presso quotidiani quali Il Corriere dell’Informazione 10-11 Maggio 1966, Giornale del Mattino, Firenze 9 Aprile 1966 ed Il Gazzettino di Mercoledì 23 Febbraio 1966.
[4] È stata utilizzata la Trietannolamina per portare a ph neutro il composto, controllando la miscela con il piaccametro fino a raggiungimento del ph ideale.
[5] Dal 1997 al 2006 presso il laboratorio di restauro R.C.A. Restauro: Conservazione dell’Arte di Franco Del Zotto s.a.s., dal 2007 ad oggi presso il laboratorio di restauro Del Zotto Franco Conservazione – Arte
[6] Il cacciù è un polimero ottenuto naturalmente dall'estrazione di alcune piante, un esempio particolare è quello ottenuto attraverso il procedimento di coagulazione del lattice estratto dall' Hevea brasiliensis
[7] La colletta animale usata per la velinatura non conteneva aceto (come nella tradizionale ricetta), esso avrebbe rotto le proteine del collante, ma solo una percentuale di miele, che serviva a trasmettere l’elasticità al mio adesivo.
[8] Modello brevettato, Franco Del Zotto Copyright. È possibile trovare riferimenti in: F. Del Zotto, Telaio-cornice con sistema di sospensione flottante autoadattivo per dipinti su tela recto-verso, sta in Kermes n. 69, Trimestrale, Nardini Editore, 2008, pagine 61-73.
BIBLIOGRAFIA
1. Cremonesi Paolo, “L’uso dei solventi organici nella pulitura di opere policrome”, Collana I Talenti, Il Prato, Padova, 2000, pagine 60, 105-111.
2. Del Zotto Franco, “Bastidores y pinturas sobre lienzo. Equilibrio de las tensiones y propuestas operativas (primera parte”), sta in PH47 - Boletin del Instituto Andaluz del Patrimonio Historico, n.47, Febrero 2004, Siviglia, pagine 106119,
3. Scicolone Giovanna C., “Il restauro dei dipinti contemporanei. Dalle tecniche di intervento tradizionali alle metodologie innovative”, Nardini Editore, Firenze, 2004.
4. Del Zotto Franco, “Minimo intervento e prassi della conservazione: dipinti su tavola, scultura lignea e dipinti su tela”, sta in Minimo intervento conservativo nel restauro dei dipinti. Atti del convegno a cura del Cesmar7. Secondo congresso internazionale Colore e Conservazione, materiali e metodi nel restauro delle opere policrome mobili, Il Prato, Padova, 2005, pagine 109-127.
5. Cremonesi Paolo, “Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome”, Collana I Talenti, Il Prato, Padova, 2005.
6. Mecklenburg M.F., “Meccanismi di cedimento nei dipinti su tela: approcci per lo sviluppo di protocolli di consolidamento”, Collana I Talenti, Il Prato, Padova, 2007, pagina 21.
7. Del Zotto Franco, “Bastidores y pinturas sobre lienzo. Equilibrio de las tensiones y propuestas operativas (secunda parte)”, sta in PH57 - Boletin del Instituto Andaluz del Patrimonio Historico, n.57, Febrero 2006, Siviglia, pagine 82-96.
8. Del Zotto Franco, “Telaio-cornice con sistema di sospensione flottante autoadattivo per dipinti su tela recto-verso”, sta in Kermes n. 69, Trimestrale, Nardini Editore, 2008, pagine 61-73.