WORKWEAR
( Abiti da Lavoro )
COPERTINA / COVER
Issey Miyake Extreme Film, Collezione A/I 13 Extreme Film, AW13 Collection
WORKWEAR
( Abiti da Lavoro )
A CURA DI / CURATED BY ALESSANDRO GUERRIERO
FONDAZIONE LA TRIENNALE DI MILANO CONSIGLIO
SETTORE BIBLIOTECA,
D’AMMINISTRAZIONE
DOCUMENTAZIONE,
BOARD OF DIRECTORS
ARCHIVIO
Claudio De Albertis, Presidente / President Giovanni Azzone David Bevilacqua Clarice Pecori Giraldi Carlo Edoardo Valli
L I B R A RY, DOCUMENTATION, ARCHIVES
Tommaso Tofanetti Claudia Di Martino Paola Fenini Elvia Redaelli
COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI
SETTORE INIZIATIVE
AUDITORS COMMITTEE
PROJECTS DEPARTMENT
Maria Daniela Muscolino, Presidente / President Barbara Premoli Giuseppe Puma
Laura Agnesi Roberta Sommariva Laura Maeran Carla Morogallo Violante Spinelli Barrile Alessandra Cadioli Luca Lipari
DIRETTORE GENERALE DIRECTOR GENERAL
Andrea Cancellato UFFICIO SERVIZI TECNICI COMITATO SCIENTIFICO
TECHNICAL SERVICES
SCIENTIFIC COMMITTEE
Alessandro Cammarata Cristina Gatti Franco Olivucci Luca Pagani Xhezair Pulaj
Claudio De Albertis, Presidente / President Silvana Annicchiarico, Design, Industria e Artigianato / Design, Manufacturing, Handicraft Edoardo Bonaspetti, Arti visive e Nuovi Media / Visual Arts and New Media Alberto Ferlenga, Architettura e Territorio / Architecture and Territory Eleonora Fiorani, Moda / Fashion
UFFICIO SERVIZI AMMINISTRATIVI ADMINISTRATIVE SERVICES
Paola Monti Silvia Anglani UFFICIO STAMPA E COMUNICAZIONE COMMUNICATION
SETTORE AFFARI GENERALI
DEPARTMENT
GENERAL AFFAIRS
Antonella La Seta Catamancio Marco Martello Micol Biassoni Dario Zampiron
Maria Eugenia Notarbartolo Franco Romeo
TRIENNALE DI MILANO SERVIZI SRL
CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE BOARD OF DIRECTORS
Carlo Edoardo Valli, Presidente / President David Bevilacqua Andrea Cancellato, Consigliere Delegato / CEO ORGANO DI CONTROLLO SUPERVISORY BODY
Maurizio Scazzina UFFICIO SERVIZI TECNICI TECHNICAL SERVICES
Marina Gerosa UFFICIO SERVIZI AMMINISTRATIVI ADMINISTRATIVE SERVICES
Anna Maria D’Ignoti Isabella Micieli Chiara Lunardini UFFICIO MARKETING MARKETING OFFICE
Valentina Barzaghi Olivia Ponzanelli Caterina Concone Valeria Marta Giula Zocca
PARTNER ISTITUZIONALE TRIENNALE DI MILANO
PARTNER PER ARTE
INSTITUTIONAL PARTNER
E SCIENZA
TRIENNALE DI MILANO
ART AND SCIENCE PARTNER
Fondazione Marino Golinelli
FONDAZIONE MUSEO DEL DESIGN CONSIGLIO
RICERCHE MUSEALI
D’AMMINISTRAZIONE
MUSEUM RESEARCH
BOARD OF DIRECTORS
Marilia Pederbelli
Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Presidente / President Maria Antonietta Crippa Carlo Alberto Panigo Anty Pansera
COLLEZIONI E ARCHIVIO DEL DESIGN ITALIANO ITALIAN DESIGN COLLECTIONS AND ARCHIVES
DIRETTORE GENERALE
Giorgio Galleani
GENERAL DIRECTOR
Andrea Cancellato
UFFICIO INIZIATIVE PROJECTS DEPARTMENT
COLLEGIO SINDACALE
Maria Pina Poledda
BOARD OF STATUTORY AUDITORS
UFFICIO STAMPA
Salvatore Percuoco, Presidente / President Maria Rosa Festari Andrea Vestita
E COMUNICAZIONE
COMITATO SCIENTIFICO
ATTIVITÀ TRIENNALE
SCIENTIFIC COMMITTEE
DESIGN MUSEUM KIDS
Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Presidente / President Silvana Annicchiarico Mario Bellini Anna Calvera Pierre Keller Alessandro Mendini
TRIENNALE DESIGN
PRESS OFFICE AND COMMUNICATION
Damiano Gullì
MUSEUM KIDS ACTIVITIES
Michele Corna UFFICIO SERVIZI AMMINISTRATIVI ADMINISTRATIVE SERVICES
Marina Tuveri
TRIENNALE DESIGN MUSEUM
LOGISTICA / LOGISTICS
Giuseppe Utano LABORATORIO DI RESTAURO,
DIRETTORE / DIRECTOR
Silvana Annicchiarico
RICERCA E CONSERVAZIONE RESTORATION, RESEARCH
PRODUCER
AND PRESERVATION
ATTIVITÀ MUSEO
LABORATORY
MUSEUM ACTIVITIES
Barbara Ferriani, Coordinamento / Coordination Rafaela Trevisan
PRODUCER
Roberto Giusti
WORKWEAR ( Abiti da Lavoro )
PARTNER DELLA MOSTRA EXHIBITION PARTNER
MEDIA PARTNER
CON IL PATROCINIO DI WITH THE PATRONAGE OF
CON IL SUPPORTO DI WITH THE SUPPORT OF
arkadiaonlus.it
tam-tam-tam.org
GHIO AZ. AGRICOLA
R O B E R T O
速
A CURA DI / CURATED BY
Alessandro Guerriero
25 giugno — 31 agosto 2014 June, 25 — August 31, 2014 ASSISTENZA ALLA CURATELA CURATORIAL ASSISTANT
Alessandra Zucchi ALLESTIMENTO / EXHIBITION DESIGN
Atelier Biagetti, Milano Alberto Biagetti Alice Stori Liechtenstein con / with Erica Albero DIREZIONE ARTISTICA E PROGETTO GRAFICO / ART DIRECTION AND GRAPHIC DESIGN
TESTI DI / TEXT BY
Martina Lucatelli e /and Leandro Favaloro
Claudio De Albertis Eleonora Fiorani Francesca Alfano Miglietti Marco Scotini Giacinto Di Pietrantonio Giacomo D. Ghidelli Alessandro Guerriero Testi degli abiti / Lyrics about the Dresses Stefano Caggiano
COORDINAMENTO ORGANIZZATIVO
TRADUZIONI / TRANSLATIONS
Frank Studio Beatriz Lamarca Francesco Geronazzo FOTOGRAFIA / PHOTOGRAPHY
Delfino Sisto Legnani STYLING
EXHIBITION COORDINATION
Laura Maeran, Alessandra Cadioli Settore iniziative / Exhibition Dept. La Triennale di Milano COORDINAMENTO TECNICO TECHNICAL COORDINATION
Marina Gerosa, Cristina Gatti Ufficio tecnico / Technical Dept. La Triennale di Milano COMUNICAZIONE / COMMUNICATION
Antonella La Seta Catamancio Marco Martello, Micol Biassoni, Dario Zampiron Ufficio stampa e Comunicazione / Communication Dept. La Triennale di Milano MARKETING
Valentina Barzaghi Ufficio Marketing / Marketing Dept. La Triennale di Milano
Remo Rapetti Patricia Kennan COMUNICAZIONE E SVILUPPO COMMUNICATION AND DEVELOPMENT
Gabriella Foglio, Associazione Tam Tam REALIZZAZIONE ALLESTIMENTO EXHIBITION DESIGN PRODUCTION
Plotini Allestimenti Srl ILLUMINAZIONE / LIGHTING
Marzoratimpianti SERVIZI LOGISTICI LOGISTICAL SERVICES
Koiné, Milano Open Care, Milano SI RINGRAZIANO VIVAMENTE SPECIAL THANKS TO
Laura & Roberto
INDICE ARTISTI
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TOSHIYUIKI KITA Abito del gelataio vegetale Clothes for a Vegetable Iceman
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MELLA JAARSMA The Senses Cheat You The Senses Cheat You
48
GENTUCCA BINI Abito del pornografo casto Clothes for a Chaste Pornographer
69
ANTONIO MARRAS Abito del cacciatore di nuvole Clothes for a Cloud Hunter
51
GUDA KOSTER Rosso con pois bianchi 2012 Red with White Dots 2012
70
TARSHITO Abito del ricercatore del divino Clothes for the Researcher of the Divine
53
CLARA ROTA Tuttatuta Tuttatuta
73
OTTO VON BUSCH Shape Shifter Shape Shifter
55
MARGHERITA PALLI Abito da lavoro della scenografa Clothes for a Set Designer
74
CANO Icaro Icarus
57
A M B A M O L LY Simbiosi Symbiose
76
COOP HIMMELB(L)AU CHBL_JAMMER_Coat CHBL_JAMMER_Coat
58
NATHALIE DU PASQUIER Oroval Oroval
79
FRÉDÉRIQUE MORREL Adam et Eve font leur marché en costume Adam and Eve are Going Shopping in Costume
61
ALBERTO ASPESI Camicia da lavoro per pitturare i sogni Work Shirt to Paint Dreams
81
RODRIGO ALMEIDA Corpo oggetto dell’anima The Body is Object of Soul
62
BERTJAN POT Masks 2010 — Ongoing Masks 2010 — Ongoing
82
NUALA GOODMAN Hot and Cool Dress Hot and Cool Dress
65
ALLAN WEXLER Hat / Roof Hat / Roof
84
DEA CURIC Abito dell’innamorato Sweetheart’s Clothing
AFRAN Il Vestito del Migrante Clothes for a Migrant
107
VIVIENNE WESTWOOD Lumberjack Lumberjack
89
FAYE TOOGOOD Workers of the World Unite Workers of the World Unite
108
ELIO FIORUCCI Abito della coltivatrice d’orto Dress for a Crop—Raising Girl
90
ANGELA MISSONI Abito del sognatore Dreamer’s Clothes
111
DANIELE INNAMORATO Abito da lavoro dell’italiano Work Clothes for an Italian Citizen
93
FRANCO MAZZUCCHELLI Abito del dopolavoro Clothes for the Working Men’s Club
113
ERWIN WURM Curators Choice 2014 Knitted Dress Curators Choice 2014 Knitted Dress
94
ALESSANDRO MENDINI Abito per Laurea Honoris Causas Clothes for a Degree Honoris Causa
115
ANDREA BRANZI Post Fordista Post—Fordist
96
NANNI STRADA Abito della raccoglitrice di conchiglie Dress for a Shell—Picking Girl
117
COLOMBA LEDDI Abito della raccoglitrice di carote Clothes for a Carrot—Picking Girl
98
DENISE BONAPACE Abito del monaco titubante Clothes for a Dithering Monk
118
MATTEO GUARNACCIA Abito del latore di buone notizie Clothes for the Bearer of Good News
10 1
MELISSA ZEXTER Mirabelle Shining Star Mirabelle Shining Star
120
NACHO CARBONELL Time to Work Time to Work
10 2
LUCIA PESCADOR Abito del potatore di alberi Clothes for a Tree Trimmer
123
ANDREA SALVETTI Grembiule per lavori normali Apron for Regular Jobs
10 5
KLAUDIO CETINA Multiproof Multiproof
124
ISSEY MIYAKE Extreme Film, Collezione A/I 13 Extreme Film, AW13 Collection
ARTISTS INDEX
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CLAUDIO DE ALBERTIS Presidente Fondazione La Triennale
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La Triennale di Milano, istituzione internazionale che ricerca, studia, e racconta il contemporaneo, ha tra i suoi campi di indagine, la moda, l’arte e il design. La mostra “Abiti da lavoro” rappresenta un esempio di come multidisciplinarietà si può declinare e raccontare. L’abito da lavoro, la divisa e rappresentazione del mestiere diventa strumento di identità individuale, ma anche involucro a tratti lontano dalla funzione. È una ricerca interessante e del tutto inedita che affronta il tema in modo trasversale, del come vestirsi rispetto al lavoro che si fa e come il lavoro che si fa trasforma il modo di vestire. Di questa rappresentazione dobbiamo ringraziare i 40 progettisti italiani e internazionali chiamati a partecipare a questo esperimento di Alessandro Guerriero, ideatore e curatore della mostra, al quale insieme all’Associazione Tam Tam, che con la collaborazione di Arkadia Onlus ha realizzato gli abiti, va il mio più sentito grazie. La mostra Abiti da lavoro richiama tre considerazioni. La prima è che la Triennale ritorna al settore moda con un ciclo di mostre che riportano l’istituzione a una disciplina di grande interesse grazie alla nomina del nuovo responsabile di settore, Eleonora Fiorani, docente al Politecnico di Milano di Evoluzione e innovazione dei linguaggi per design per il sistema moda. La seconda é che si tratta del primo di una serie di progetti multidisciplinari che incrociano arte, design e moda, che rappresentano la grande peculiarità della Triennale rispetto ad altre istituzioni italiane e internazionali. Infine l’auspicio che questo sia un progetto che possa suscitare dibattito sul valore del progetto nei campi in cui l’Italia primeggia, che questa mostra possa essere itinerante e possa incuriosire un vasto e variegato pubblico.
CLAUDIO DE ALBERTIS President, La Triennale di Milano
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La Triennale di Milano is an international institution that researches, studies, and illustrates the contemporary world, among other things investigating fashion, art and design. The Work Clothes exhibition is an example of how a multidisciplinary approach can be used to examine and inform. Work clothes are transformed from uniforms and the symbols of a profession into the expression of an individual identity, but also into a form of cladding that is at times far removed from its original function. This fascinating new study adopts a comprehensive approach to dress in terms of the work it is for and how the work people do transforms the way they dress. I should like to express my heartfelt thanks to the 40 Italian and international designers who accepted the invitation from Alessandro Guerriero, who devised and curated the exhibition, to take part in the event, as well as the Associazione Tam Tam, who made the clothes with the assistance of the Arkadia non-profit organisation, to whom I am most grateful. The Work Clothes exhibition brings with it three considerations. The first is that La Triennale is returning to the world of fashion with a series of events that are bringing the institution back to a sector of great interest, thanks to the appointment of Eleonora Fiorani, Professor at the Politecnico University of Milan of Evolution and Innovation in Languages for Design for the Fashion System, as its new chief for this sector. This is the first in a series of projects which bring together art, design and fashion, a combination of disciplines that sets La Triennale apart from other Italian and international institutions. Lastly, it is hoped that this project will lead to a debate on the value of design in those fields in which Italy excels, and that this event may become a travelling exhibition, appealing to a broad and varied public.
ABITI DA LAVORO
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ELEONORA FIORANI Curatore del settore moda della Triennale
Corpo, abito, lavoro sono parole così cariche di significato e così evocatrici di sensi profondi, e così mutanti che non possiamo non continuare a chiederci, ogni volta che li trattiamo, in che termini il corpo attraverso l’abito e il lavoro si dia e si rappresenti, quale lingua parla e quali saperi e lingue lo parlano.
Il vestito rende il corpo significativo, ne fa il significante portatore di segni (compresi i suoi stessi), che riproducono e rispecchiano il mondo, attuando il passaggio dal sensibile al senso in cui il corpo manifesta la sua intenzionalità nel mondo. Un nesso stretto linguistico e semantico collega l’abito e l’abitare, come fossero due lati dello stesso tessuto. Habitus – da habeo – è tanto vestito quanto modo d’essere. è vestiario e atteggiamento mentale e comportamentale. Habitus sono le tecniche somatiche apprese: rappresentano l’arte di essere nel corpo e di utilizzarlo. A sua volta il corpo vestito e quello parlato dall’immagine è un corpo che istituisce una pervasiva dialettica tra abito e identità, in grado anche di trascendere i limiti della condizione sociale e di genere e di offrire una superficie con cui identificarsi. Con i vestiti il corpo indossa modi d’apparire, quindi d’essere. Diventa la superficie di scrittura di nuove progettualità antropologiche, declinando insieme la dimensione dell’effimero e quella del sogno e dell’immaginario. Così corpo è incorporamento della cultura, luogo in cui la cultura si fa visibile e in cui il corpo individuale prende a essere in tutte le sue valenze sociali. L’io si veste e si traveste nel grande teatro del mondo. E dichiara, così facendo, il carattere liminale dell’identità. Corpo, abito, lavoro sono parole così cariche di significato e così evocatrici di sensi profondi, e così mutanti che non possiamo non continuare a chiederci, ogni volta che li trattiamo, in che termini il corpo attraverso l’abito e il lavoro si dia e si rappresenti, quale lingua parla e quali saperi e lingue lo parlano. Tanto più ciò vale se la domanda riguarda il corpo che veste il lavoro, che con
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la modernità entra nel processo attraverso il quale si diventa soggetti della propria vita in un dato tempo e luogo e su cui si fonda il sentimento di appartenenza del soggetto individuale a se stesso e il soggetto collettivo. Così, in quest’epoca in cui il lavoro manca e assume una cittadinanza incerta e si smaterializza mentre la condizione operaia non ha più visibilità né voce, le tute, e le salopette, come quella che indossava Chaplin in Tempi Moderni, gli abiti da lavoro di materiale resistente, che sfuggono alle logiche della moda e della sua temporalità e che ben si adattano al corpo sia maschile che femminile di chi li usa o li abita, sono diventati un genere della moda e di nuove avveniristiche case specializzate. Per saperne di più occorre indagare sulle singole visioni della corporeità che veste il lavoro e sui modi in cui essa si rappresenta. Sono allora gli sguardi e i gesti dell’arte, del design, dell’architettura e della moda che aprono a una poetica del lavoro con una visione panoramatica, in senso benjaminiano, con installazioni di abiti che parlano polifonicamente di un mondo sfaccettato e multiverso, in cui l’abito da lavoro segnala i nuovi comportamenti e la nuova condizione di vita che si indossino lavori immaginati o la precarietà. Abiti di lavoro in cui ritorna in primo piano la dimensione emozionale e immaginativa del proprio essere sociale e culturale. Ogni abito è allora espressione di una sua “verità”, che è quella di trovare il proprio posto nel mondo. Così ogni abito è un mondo a sé conchiuso in cui nel soggetto si specchia il collettivo, è uno e molteplice e un dialogo con chiunque gli stia davanti.
WORKWEAR
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ELEONORA FIORANI Curator of the fashion sector of the Triennale
Body, dress, work are words so full of meaning, evoking profound resonances and also so mutant that when we come to deal with them we cannot not go on asking ourselves in what terms the body offers and represents itself via clothes and work, what language it speaks and what knowledges and languages speak it.
Clothes give the body meaning and are the bearers of signs ( including their own), which reflect and reproduce the world, effecting passage from sensible phenomena to the meaning with which the body shows its intentions to the world. A close linguistic and semantic link remains in Modern English with habit as a garment (riding habit) and habitat as an abode, as though they were the two sides of the same cloth. The Latin habitus – from habeo – is in fact as much clothing as way of being. It is apparel and also mental and behavioural attitude. The features learnt are habitus: they represent the art of both being in the body and using it. In turn the clothed body and the one presented by the image set up a pervasive dialectic between garment and identity, and are also capable of transcending the limits of the social/gender condition and offer a surface to identify with. With clothes the body puts on ways of appearing and therefore of being. It becomes the surface where new anthropological projects are written, which trace the dimension of the ephemeral, dreaming and the imagination. So the body is an embodiment of culture, the site in which culture is visible and where the individual body takes on all its social values. The individual dresses, and dresses up in the great theatre of the world. And in doing so declares the liminal character of his/her identity. Body, dress, work are words so full of meaning, evoking profound resonances and also so mutant that when we come to deal with them we cannot not go on asking ourselves in what terms the body offers and represents itself via clothes and work, what language it speaks and what knowledges and languages speak it.
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And it is even more true if the question concerns the body dressed by the work it carries out and with modernity enters the process by which we become the subjects of our own lives in a given moment and time. And on this is based the feeling of belonging of the individual both to him/herself and the community. Nowadays work is hard to find, becomes very precarious and is often lost, while the working classes are neither seen nor heard. And so overalls and dungarees as worn by Chaplin in Modern Times, work clothes made of resistant material which ignore the logics and time-spans of fashion and adapt well to the male or female bodies using or living them, have now become fashion items promoted by high-tech, ultramodern, specialist brands. To know more about them, we need to investigate the visions of corporeal being in working clothes and the way it appears. So the glances and gestures of art, design, architecture and fashion open up to a poetics of work with a panoramic vision in Benjamin’s use of the word, with installations of clothes that speak of a multi-faceted and multi-sided world, in which work clothes point to new behaviours and new living conditions which bring with them imagined or insecure jobs. Work clothes which bring back to the fore the emotional and imaginative dimensions of their social and cultural being. Each garment is therefore an expression of its own ‘truth’, which is to find its own place in the world. So it is therefore a world complete in itself in which the individual reflects the community, and is both one and multiple , dialoguing with any one standing before it.
GARDE—ROBE
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FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI Teorico e critico d’arte
Ogni giorno vi devono spuntare le ali. E nuove ali vi possono spuntare solo se continuamente vi innalzate, vi espandete, crescete e lottate. Dovete amare continuamente. (Krishnamurti)
Rivestimenti, protesi, estensioni, coperture, velature, vestiti come seconda pelle, elementi organici, smembrati, lacerati, disfatti. La Storia della Carne scritta dalla ferita, la storia del vestito scritta nel suo fantasma, nella sua assenza. Una mappatura del corpo secondo schemi acquisiti, linee d’incisione precise. Frammenti di abiti, abiti come corpi che attraversano i filtri/difesa della propria anatomia per realizzarsi nell’impalpabilità di un ulteriore corpo... Extracorpo... gioco di illusione: fenomeno che porta al gioco il gioco, traduzione istantanea di corpo in fantasma e viceversa. Abiti di rivolta e di desiderio, brandelli di stoffa, tessuto caldo, dettagli estraneanti, anatomici, frontiere scomode di resistenza, il corpo come frontiera, come shock, come relazione sconosciuta, il corpo come progetto. Il corpo come traccia, scoria, residuo, fluido, una liquefazione ingombrante e classica. Rivestimenti per percorrere le zone più inaccessibili del corpo, che lo scompongono, che lo definiscono come territorio confuso e vulnerabile. Corpi scomposti, rifigurati, frammentati, corpi riplasmati, ricostruiti, rimodellati: se negli anni 70 il corpo costituiva un luogo da esplorare nei suoi più reconditi recessi, oggi diventa una decisione da affrontare con tutti gli interrogativi, le perplessità, le problematiche che ne conseguono. Un corpo capace di assecondare i cambiamenti che stanno emergendo nel tessuto sociale e culturale. Nel film Appunti di viaggio su Moda e Città, 1989, diretto da Wim Wenders, una conversazione tra il regista e Yohji Yamamoto, Yamamoto dichiara di continuare a trarre ispirazione dalle fotografie di August Sander, nella sua clamorosa opera Uomini del XX secolo, in cui il fotografo di Colonia è riuscito a cogliere l’individuo nella sua connotazione sociale e professionale, per legarlo al contesto del qui e ora degli anni venti, ‘reperti’ di una società in rapido cambiamento, all’inizio del “secolo breve”. L’opera di Sander è suddivisa in contadini, artigiani, donne, classi, artisti, città e reietti, e le persone sono fotografate, in una posa colta nella naturalezza del momento, persone caratterizzate talvolta dagli oggetti del mestiere, più spesso dall’abito. Tema centrale dell’opera di Sander è l’uomo inserito nel proprio contesto sociale e professionale, così da creare un vero e proprio archivio. Yamamoto dichiara nel film di cercare la sua ispirazione negli abiti di lavoro di tutte quelle centinaia di figure anonime che rispecchiano diversi gruppi sociali: essi sono tutti chiamati a svolgere il delicato ruolo di archetipi e testimoni della loro epoca.
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In quelle fotografie, Yamamoto trova uomini e donne vere, esseri umani che non indossano abiti, ma indossano la realtà. Gli individui ritratti da Sander, non consumano gli abiti, potrebbero vivere tutta la vita con quei vestiti. E Yamamoto, dichiara che è proprio quello il suo scopo: creare un cappotto che duri per sempre, creare così un amico, un parente stretto, un affetto. Le foto di Sanders permettono di risalire a un’epoca in cui si era circondati da cose ’importanti’, in cui si dava credito a un cappotto che aveva valore eterno. “Io voglio disegnare il tempo”, dichiara Yamamoto, il tempo che indossano le persone come nelle fotografie di August Sander, il tempo che trascorre tra materiali, forme e abiti. Il tempo che sarà indossato. 20
Dunque degli intrecci misteriosi tra linguaggio, lavoro, politica, storia… Una sorta di pulsione mitologica, una fuga dalle immagini. Le società avanzate attuali hanno un consumo enorme di immagini e un consumo minimo di credenze. Le tute e gli abiti da lavoro, che molto hanno ispirato la moda, hanno la caratteristica di essere abiti che non invecchiano, non sono legati alle tendenze e che proteggono perché fatti di materiali resistenti al calore, all’acqua, al freddo. Una sorta di relazione con il tempo. I ragazzi neri dei ghetti urbani di New York, arrestati ai tempi della Tolleranza 0 del sindaco Giuliani, rimessi in libertà sfoggiavano pantaloni abbassati sui fianchi con l’elastico dei boxer in vista. Portata dai rapper ovunque, la moda contagia milioni di giovani in tutto il mondo. Lo scrittore William Gibson lavora sulla campagna di moda militare, emersa dalle strade dopo l’attacco di al Qaeda a New York l’11 settembre 2001, nel suo ultimo romanzo Zero History (2010). William Gibson, che preferisce definirsi un narratore di eventi contemporanei piuttosto che un profeta di eventi futuri, narra di personaggi letteralmente investiti dal mondo delle nuove applicazioni, totalmente dipendenti da un universo che è diventato pieno di mode più che di soluzioni tecniche davvero innovative, mode che imprigionano la creatività e raggiungono un punto di non ritorno spesso definitivo. Se in storie precedenti come La notte che bruciammo Chrome, Neuromante, Giù nel cyberspazio, Monna Lisa Cyberpunk e Luce Virtuale Gibson era arrivato a ipotizzare l’esistenza del cyberspazio (anticipando in qualche modo la nascita di Internet) in Zero History è la moda al centro del plot, sotto la specie della collezione Gabriel Hounds. Dice Bigend che la genialità della misteriosa creatrice di questo abbigliamento (“oggetti veri, non capi di moda”) consiste nel saper reinterpretare la semiotica dell’abbigliamento americano per la distribuzione di massa... Molti dei “feticci tecno-culturali del ventunesimo secolo” vengono
smontati da Gibson nella sua storia, ricordandoci esplicitamente come le informazioni vengano oramai veicolate in maniera frenetica attraverso gli iPhone e in particolare sulle pagine di Twitter piuttosto che continuare ad essere diffuse attraverso i giornali. Da questa ipotesi nasce un thriller che mischia elementi fashion, produzioni belliche industriali, marketing virale, antropologia comportamentale. Protagonista delle vicende è l’ex cantante rock Hollins Henry che, divenuta giornalista, accetta di lavorare per Hubertus Bigend. Questo grande magnate, esperto di marketing globale, vorrebbe reclutare il misterioso creatore della linea d’abbigliamento Hounds Gabriel per convincerlo a produrre nuove rivoluzionarie uniformi per l’esercito statunitense. Bigend è profondamente convinto che tutta la moda del XX secolo sia stata affascinata e influenzata dall’abbigliamento militare. Ma da quando il sistema bellico statunitense è andato in crisi nessuno vuole più vestirsi con camicie, pantaloni e anfibi militari e per poter reclutare nuovi soldati, per convincerli a intraprendere quella carriera è necessario trovare nuovi abiti che rendano appetibile entrare nelle forze armate. Bigend conosce a menadito le tecniche di “guerrilla marketing” ma ha bisogno di uno stilista che dia forte risonanza alla sua campagna e così Hollins Henry e l’esperto di crittologia Milgrim cercano di dare un’identità all’ambiguo designer che con il marchio The Hounds Gabriel, è il solo capace di creare moda e gusto con fiuto segreto che sembra aver diabolicamente stregato gli acquirenti di mezzo mondo. Problema complesso quello del vestire… Questione decisiva: per Lacan l’abito, come tessitura, è un testo (il gioco in francese è texture/texte). L’abito è un simbolo, qualcosa che svia e crea un’apparenza, il produttore di un quid di finzione e quindi di mistero. Uno specchietto per le allodole: per far vedere quel che non c’è o per occultare quel che è presente. L’abito è una protezione, permette di portare con sé qualcosa di intimo e inseparabile, è un oggetto scelto appositamente per darsi un’identità. Quando Winckelmann stendeva i suoi cataloghi ragionati delle collezioni di principi e cardinali, vi scopriva l’alfabeto di tutta l’arte occidentale. Dalle gemme incise egli estraeva, in quello scorcio d’Illuminismo, i motivi e le figure dai quali sarebbero nati i moderni studi d’iconologia. Studiato come oggetto, l’abito si sottrae al dominio esclusivo della sociologia, o della storia dell’arte. In primo piano è la funzione espressiva, immaginativa, e di socializzazione, che esso ha svolto e svolge nelle diverse culture. Alla Storia del costume si affianca una Antropologia dell’abbigliarsi. Perché storicamente gli esseri umani parlano attraverso i vestiti non meno direttamente che attraverso le grandi opere d’architettura collettiva, come le cattedrali gotiche o le grandi e storiche città. Il mistero del loro fascino risiede nell’irripetibile miscela, che inconfondibilmente le identifica, una per una, di caos e pianificazione.
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GARDE—ROBE
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FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI Art theoretician and critic
You must grow wings, new wings every day, to fly to that height. And you can only grow new wings if you are all the time soaring, expanding, growing, struggling. . . You must be falling in love all the time. (Krishnamurti)
Coatings, prostheses, extensions, covers, layers, close-fitting dresses are a sort of dismembered, torn, wasted organic elements. It is like flesh history written by the wound or clothing history written on its ghost, while absent. It is a sort of body mapping made along standard schemes and precise incision lines. Clothes are like fragments, like bodies piercing through the safety filters of their anatomy in order to come to existence through a further impalpable body. An extra body is a conjuring show, a phenomenon that brings a game to gamble, it is a simultaneous translation of a body into a ghost and viceversa. There are clothes meaning rebellion or desire, sometimes strips of cloth or warm fabrics, anyway estranging anatomical details. It deals with uncomfortable frontiers of resistance, where the body itself is a frontier, a shock, an unknown relation: the body as a project. The body becomes taint, dross, remainder or fluid, a sort of bulky and classic melting. Clothes are coverings suitable to explore the most inaccessible areas of the body, to break it up and to define it as a confused and vulnerable territory. Nowadays we disassemble bodies and shape them again; we reduce them to fragments and mould, build and model them again. In the 70s the body was a place we had to explore in its most hidden recesses, nowadays it becomes a decision to take, followed by questions, perplexities and problems. It is now a body capable to comply with those changes that are emerging in our social and cultural texture. In Wim Wenders’ documentary movie Notebook on cities and clothes (1989), which is a conversation between the director and Yohji Yamamoto, the latter declares that he keeps deriving inspiration from August Sander’s photographs and from his sensational work People of the 20th century. There this photographer from Cologne succeeds in catching man’s social and professional connotation and in tying it to the actual context of the Twenties. His characters become a sort of “findings” of a rapidly changing society at the beginning of the “short century”. Sander’s work is divided into farmers, artisans, women, classes, artists, cities and the last people; the photographer captures those persons in momentary natural postures; they can be identified by their working tools and more often by their clothes. Sander’s focus is man in his own social and professional context and his work becomes a proper archive. In that movie, Yamamoto explains that he looks for inspiration among the work clothes of those innumerable anonymous figures mirroring various social groups: they play the delicate role of archetypes and witnesses of their times. In those photographs, Yamamoto sees true men and women, human beings that do not wear clothes but their own reality. The individuals that Sander depicts do not wear out their clothes; they could live their whole life in those garments. In addition, Yamamoto declares that his aim is to create an everlasting coat, a sort of friend or close relative, in short, affection.
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Sander’s photographs unable us to go back to a time when people were surrounded by “valuable” things and attached importance to a coat due to last forever. “I want to design time” , says Yamamoto, time that people wear, like in August Sander’s pictures, time passing by among materials, shapes and clothes, the time that we are going to wear. Well, there are mysterious connections between language, work, politics and history...a sort of mythological compulsion or flight from pictures. Contemporary advanced societies have an enormous consumption of pictures and a small consumption of beliefs. Overalls and work clothes, which have strongly influenced fashion, are garments that do not get old, are not tied up to trends and give protection because of their resistance to heat, water and coldness. They have a sort of relation to time. 24
The black boys living in urban ghettoes in New York, seized at the time of Mayor Giuliani’s zero tolerance, when released, flaunted trousers taken down to their hips and exposing the elastic band of their shorts. Launched by rappers everywhere, this trend infected millions of youngsters all over the world. Writer William Gibson, in his latest novel Zero History (2010), focuses his attention on the spreading of military clothes in the streets after al Qaida’s attack in New York on September 11, 2001. William Gibson, who likes to call himself a teller of contemporary facts rather than a prophet of future events, tells about characters literally knocked down by new applications, completely addict to a universe full of trends rather than of innovative technical solutions, trends that hinder their creativity to a definitive point of no return. In previous novels, such as Burning Chrome, Neuromancer, Count Zero, Monna Lisa Overdrive, Virtual Light, Gibson conjectured the existence of cyberspace, in a way foreseeing the birth of the internet, but, in Zero History, fashion, that is the Gabriel Hounds collection, is the focus of the plot. In this novel Bigend says that the genius of the mysterious woman who created these garments (“real objects, not fashion items”) lies in her capacity of reinterpreting the semiotics of American clothing for mass distribution... In this novel, Gibson dismantles many of the “techno-cultural fetishes of the 21st century”, explicitly stressing how information are hectically spread through smart phones and especially through Twitter rather than through newspapers. From this assumption a thriller, mixing fashion elements, warlike industrial products, viral marketing and behavioural anthropology, springs up. The main character of the novel is the former rock singer Hollins Henry, who, after becoming a journalist, chooses to work for Hubertus Bigend. This tycoon, great expert on global marketing, would like to hire the mysterious creator of the Gabriel Hounds collection and ask him to produce new revolutionary uniforms for US army. Bigend deeply believes that the whole fashion of the 20th century was fascinated and affected by military clothing. However, since
US warlike system had collapsed, nobody wanted to wear military shirts, trousers and boots. Therefore, in order to recruit new soldiers and push them to take up this career it was necessary to design new clothes suitable to make armed forces more tempting. Bigend knows “guerrilla marketing” techniques back to front but he needs a fashion designer capable to boost his campaign. Therefore, Hollins Henry and Milgrim, an expert on cryptology, try to identify the ambiguous designer who, through his brand The Gabriel Hounds collection, is the only one capable to set trends and shape the taste thanks to his secret instinct, which devilishly seems to bewitch the customers in half the world. Clothing is a complex problem...This is the ultimate question: in Lacan’s opinion, clothes, being texture, are a text (in French the pun is texture/texte). Clothes are a symbol, something that misleads and creates appearance, producing some kind of pretense, therefore of mystery. They are a sort of decoy, to display what does not exist or conceal what exists. Clothes are a protection that allows us to bring along something intimate and inalienable, they are objects chosen on purpose to give ourselves an identity. When Winckelmann drew up his catalogues raisonnées of the collections of princes and cardinals, he found in there the alphabet of the whole western art. In those years of Illuminism, he could extract, from those carved gems, motives and figures, from which the modern studies of iconology would arise. When studied as an object, clothing can elude the exclusive rule of sociology and of history of art. Then the expressive, imaginative and socializing function that it plays in different cultures comes to the forefront. An Anthropology of Clothing goes alongside a History of Costume, because in history human beings talk through clothes not less directly than through the great collective architectural masterpieces, such as the gothic cathedrals or the large and historical cities. The mystery of their charm lies in that unique mixture of chaos and planning that identifies them one by one.
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L’ABITO DA LAVORO E LA SUA FORZA POLITICA
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MARCO SCOTINI Curatore indipendente e direttore Dipartimento Arti Visive NABA
Anno 1895. In meno di un minuto, e con una sola inquadratura, una massa di persone esce dalla fabbrica ed entra nello schermo. La fabbrica è quella delle industrie Lumière a Lione e lo schermo è quello del Salon indien du Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi.
Il momento di nascita della storia del cinema si
una sola inquadratura. Il sistema di produzione
annuncia, com’è noto, con La sortie des ouvriers
sociale indotto dalla fabbrica è perfettamente
de l’usine, il primo film presentato in pubblico.
parallelo al punto di vista meccanico dell’apparato
Dopo una giornata di lavoro la porta si apre e una
cinematografico. L’uscita dei lavoratori attraverso
fiumana di lavoratori (di donne soprattutto) varca i
i cancelli di quella che sarà la futura industria
cancelli della fabbrica Lumière, traboccando lungo
fordista corrisponde al momento della loro massima
rue St. Victor, in un quartiere della periferia di Lione.
compressione in un’unica rappresentazione (quella della collettività della produzione).
Chi va a destra, chi a sinistra. L’abbigliamento è ancora quello tipico della Belle
Ma l’azione corrisponde anche all’ultimo istante
Époque, con grandi cappelli e gonne lunghe
prima che quella collettività totalizzante si
coperte da un grembiule legato attorno ai fianchi
scomponga in una miriade di passanti sconosciuti.
mentre gli uomini indossano giacche e pagliette:
In questo preciso istante ciò che fino a un momento
qualcuno ha la bicicletta, uno ha un cane. Dovremo
prima era identificabile come “lavoratore”, finisce
ancora aspettare qualche anno per vedere le tute
per non esserlo più.
operaie e le masse compatte di Metropolis di Fritz Lang. Ma l’aspetto particolare de La sortie des
Fuori dallo spazio disciplinare della fabbrica
ouvriers de l’usine - la grande anticipazione che
l’operaio non è più tale: perde i suoi attributi, entra
esso annuncia - è che si tratta di un documento
nella vita privata e si confonde nella folla.
filmico e sociale dove l’equivalenza dei mezzi di
Proprio per questo motivo, in piena epoca
produzione capitalistica e dei mezzi di percezione
postfordista, quando Harun Farocki vorrà ritrarre
cinematografica si rivela già perfetta. Tanto la
l’attuale condizione e trasformazione del lavoro,
fabbrica comprime i singoli lavoratori (uomini e
ripartirà da questo documento d’archivio dei
donne) in forza-lavoro, quanto la camera da presa
fratelli Lumière. Quando un secolo dopo Farocki
riduce la loro molteplicità e il loro movimento a
ripropone la videoistallazione Workers leaving the
27
Factory, di fatto il ciclo di produzione fordista
reinviarci? Di quali comportamenti collettivi possono
appare terminato: gli operai si sono lasciati alle
ancora parlarci? Se gli abiti della creative class o
spalle definitivamente un ciclo della produzione per
dei lavoratori immateriali non sanno più rimandarci
passare a un’economia cognitiva e immateriale,
a nessuna “differenza” è perché, come ha detto
in cui il lavoro non è più riconoscibile come tale.
Sergio Bologna, hanno perduto la loro condizione di
Forse è aumentato in modo talmente smisurato
rappresentabilità e di forza politica.
da riguardare la vita tutta intera e da risultare, perciò, invisibile. Ma chi sono i nuovi lavoratori?
E allora come ripensare una nuova dignità per
Come rappresentarli? Come determinare oggi
questa moltitudine sociale che non passi per il
una misura del tempo di lavoro in rapporto a un
proprio abito da lavoro?
tempo che non è più qualificabile come lavorativo? Come fotografare o filmare i soggetti di questa singolare economia contemporanea? Se guardiamo l’immagine di un minatore degli anni 30, di un gueule noire belga con la lampada sulla fronte e la faccia annerita, perché quest’immagine non smette di attirarci? Perché la foto di un’operaia Fiat degli anni 60, con il camice e alla catena di montaggio, ci riguarda direttamente fino a emozionarci, mentre un’immagine di oggi di un uomo dietro un pc o di una donna alla scrivania in un open space ci lascia totalmente indifferenti? È la scarsa fotogenicità dei loro abiti da lavoro, delle loro attitudini, della loro faccia a non evocare più nulla per noi? Dov’è la loro storia o la loro epica? A quali lotte sociali sanno
WORK CLOTHES AND THEIR POLITICAL POWER
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MARCO SCOTINI Independent Curator and Director of the Department of Visual Arts at NABA
In the year 1895, in less than just a minute and with just one framing, a mass of people goes out from a factory and enters the screen. The factory is the one by Lumière Industries in Lyon and the screen was in the Salon Indien du Grand Cafè in Boulevard des Capucines in Paris.
The birth of the history of cinema was announced,
of movie machinery. Workers’ leaving through
as well known, by La sortie des ouvriers de l’usine,
the gates of the future Fordist industry coincides
the first movie shown in public.
with their heaviest compression into a unique representation (that is collectivism of production).
After a day of work, the doors open and a flood of workers (mainly women) crosses the gates of
However, the action coincides also with the last
Lumière factory and overflows along rue St. Victor,
moment before the break-up of that unified
a neighbourhood in the outskirts of Lyon. Someone
community into a myriad of unknown passers-by.
goes right someone goes left. Their clothing is still
In that very moment what just a moment earlier
typical of Belle Époque, with large hats and long
could be identified as “worker” stops to be such.
skirts, covered with an apron tied around the hips.
Out of the ordered space of a factory the worker is
Men wear jackets and straw hats; someone has a
not such anymore, he loses his features, enters his
bicycle, someone (one man) a dog. One had to wait
private life and merges into the crowd.
still some year to be able to see workers’ overalls and compact masses in Metropolis by Fritz Lang.
For this very reason, in the middle of post-Fordist
Anyway, the particular feature of La sortie des
age, when Harun Farocki wanted to portrait
ouvriers de l’usine is the great anticipation that it
contemporary work conditions and changes,
announces – that we deal with a film and social
he started again from this archive document by
document where the means of capitalist production
Lumière brothers. When one century later Farocki
and film perception perfectly match. The factory
presents his video installation Workers leaving the
squeezes every worker (men and women) into
factory, actually the Fordist production cycle seems
work force as much as the camera cuts down their
to be over: workers have definitely left behind that
multiplicity and their movement to just one frame.
production cycle and have passed on to a cognitive
The social production system induced by the factory
and immaterial economy, in which work cannot be
perfectly matches the mechanical point of view
recognized as such. Perhaps it has grown to such
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an extent that it now pertains to the whole life and
any “difference” it is because, as Sergio Bologna
therefore has become invisible.
said, they have lost their condition of representation and of political power. Therefore, we should think to
Who are the new workers, how can we represent
give this social multitude a new dignity, not passing
them? How can we determine a working time
through their work clothes.
measure (unit) compared to a time that cannot be anymore defined as working hours? How can we film this peculiar contemporary economy with a still or a movie camera? If we look at a picture of a miner in the ‘30s, of a Belgian gueule noir having a lamp on the forehead and a blackened face, why are we still charmed by this image? Why does a picture of a FIAT female worker in the ‘60s, working at the assembly line dressed with a coat, matter to us and move us? On the contrary, nowadays the picture of a man sitting at his computer or of a woman behind a desk in an open space leaves us completely indifferent. Perhaps their work clothes, their attitude or their faces are not photogenic enough to mean something to us. Where has their history or their epic gone? They cannot refer us to any social struggle nor talk about collective behaviours. If creative class’ clothes or immaterial workers’ garments cannot refer us to
ABITORITRATTO
GIACINTO DI PIETRANTONIO Prof. Accademia Brera, Milano Direttore Gamec, Bergamo
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Gli abiti da lavoro si sviluppano non a caso con la rivoluzione industriale e quindi con la modernità, perché il lavoro si specializza, diventando una parte “separata” della giornata che necessità di abiti diversi da quello del resto del giorno.
Se oggi ci serve un’informazione dove andiamo
spesso vestono con il gessato. Poi ci sono categorie
a cercarla? In internet naturalmente e su Google
per cui l’abito da lavoro è qualcosa di più di un
innanzitutto. Infatti, digitando: Abiti da lavoro
semplice vestito funzionale, perché, come nel caso
escono 887.000 voci in 0,20 secondi, mentre con
delle toghe, rivestono un significato simbolico e qui
Abbigliamento da lavoro se ne hanno 1.600.000 in
parlo dei religiosi, militari, sportivi i cui abiti sono
0,22 secondi. Se poi si affina la ricerca cliccando
delle divise, uniformi che non hanno la semplice
su una delle voci ci si trova nella home page di
funzione di protezione, ma soprattutto denotano
un’azienda che produce e/o vende abiti da lavoro
un’appartenenza a un’idea di mondo e quindi sono
e si trovano altre voci come edilizia, abbigliamento,
prima di tutto simbolici.
impiantistica, metalmeccanico, ospedaliero, agricoltura e zootecnica, automotive, alberghiero,
Tuttavia ci sono abiti da lavoro che hanno avuto
infanzia, estetico, sanitario farmaceutico, chef,
un significato sociale molto forte per alcuni periodi
sommelier, ristorazione caffetteria, alberghiero,
come ad esempio la tuta blu nel periodo della
sport servizi... Ovviamente queste non esauriscono
modernità, perché questo capo di abbigliamento,
tutte le categorie per esempio non troviamo le
in un tempo in cui dominava l’ideologia marxista,
voci: giustizia, economia, politica sia perché queste
aveva, come l’operaio che la indossava, un forte
non hanno dei veri e propri abiti da lavoro, o se
valore simbolico, in quanto la classe operaia,
lo avevano li hanno smessi, oppure sono abiti
era depositaria dell’idea di un nuovo mondo in
che vengono indossati sia per il lavoro che non.
via di realizzazione. Per questo importanti artisti
Naturalmente questo non accade per gli avvocati
modernisti utopisti si sono cimentati nel disegno
e giudici che indossano in tribunale la toga, mentre
di abiti da lavoro da loro stessi indossati come
quando sono fuori dal tribunale vestono con abiti
Rodchenko in Unione Sovietica, o Itten nella scuola
“normali” il più delle volte giacca e cravatta, come
della Bauhaus. Tuttavia l’arrestarsi dell’idea della
lo stesso accade per i politici obbligati giacca e
promessa di questo paradiso in terra, che è pure
cravatta solo in Parlamento, o per i finanzieri che
simbolico del passaggio dalla modernità fordista
31
alla postmodernità postfordista, la si può trovare
abbiamo visto il campo dell’abbigliamento da lavoro
da noi a Torino nello scontro tra tute blu (operai)
riveste ancora oggi un ambito molto interessante
e colletti bianchi o quadri (impiegati) avvenuto il
per la progettazione, in quanto, benché gli abiti da
14 ottobre del 1980, cinque giorni prima del 63°
lavoro abbiano una certa viscosità stilistica, si sono
anniversario della Rivoluzione d’ottobre sovietica.
molto evoluti nel tempo sia nel disegno simbolico sia dal punto di vista tecnico per la scoperta di nuovi
Allora la marcia silenziosa dei quarantamila a
materiali, e per questo è un tipo di progettazione
Torino da parte dei cosiddetti quadri FIAT sintetizzò
che come per l’architettura, soggiace, specialmente
lo scontro tra tute blu e colletti bianchi con la
per i lavori a rischio, a precise norme di sicurezza
sconfitta dei primi. Ma questo è interessante anche
che ne limitano o ne favoriscono lo sviluppo e quindi
per quanto riguarda l’argomento che stiamo
una chance per i progettisti.
trattando, difatti se osserviamo le foto di questa
Ma oggi questa problematica non può non
marcia vediamo che per lo più i quadri indossavano
sollevarne a specchio un’altra: quella della
abiti con camicia bianca, cravatta e pullover, loden
disoccupazione dilagante che riducendo i posti
e impermeabili elementi dell’abbigliamento tipico
di lavoro coinvolge anche la questione degli abiti
della classe media e quindi di un’idea di società.
da lavoro e non solo quantitativamente. Infatti,
Difatti ciascun abbigliamento ha un significato
seppur non esiste l’abito da disoccupato, c’è un
culturale e sociale, ad esempio nell’antica Roma
ambito progettuale che questa nuova situazione
solo i senatori romani potevano indossare vestiti
sembra stimolare ed è quello dell’autoproduzione
tinti con porpora di Tiria. Va precisato che gli
e autoprogettazione, una condizione sociale in
abiti da lavoro si sviluppano non a caso con la
espansione che naturalmente non riguarda solo i
Rivoluzione industriale e quindi con la modernità,
vestiti ma la riprogettazione della società nel suo
perché il lavoro si specializza, diventando una parte
insieme.
“separata” della giornata che necessita di abiti diversi da quello del resto del giorno. Ma come
SELF PORTRAIT
GIACINTO DI PIETRANTONIO Prof. Accademia Brera, Milano Director Gamec, Bergamo
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The use of work clothes grew during the industrial revolution, that is during the era of modernism. This happened because work became more specific and belonged to a “detached” part of the day, a part needing different clothing from the rest of the day.
Nowadays where are we searching for information
The same happens to politicians, compelled to wear
if we need to? On the net, of course, and namely
jackets only in the Parliament, or to financiers, who
on Google. If we enter “Abiti da lavoro” (Work
often wear a pinstripe suit. Moreover, there are jobs
clothes), in 0, 20 seconds we get 887.000 items,
where work clothes are more than a plain functional
while entering “Abbigliamento da lavoro“ (Work
dress, because their garments, like in the legal
clothing) we get 1.600.000 items in 0, 22 seconds.
profession, have a symbolic meaning. I am referring
If we narrow the research and click on one of the
to religious, soldiers, sportsmen, whose clothes are
items, we reach the homepage of a company, which
uniforms that do not have a plain protective function
makes and/or sells work clothes.
but are a sign of belonging to a certain view of life and therefore are symbolic.
There we find references to so many jobs in the field of construction, clothing, engineering, metal
However some work clothes had a strong social
industry, hospitals, agriculture and stock farming,
meaning for a while, for example the blue overalls
car production, hotels, children, beauty, sanitary and
during the years of modernism, because this
pharmaceutical industry, catering and refreshments
garment, when Marxist ideology predominated,
services (as a chef or sommelier), sport services, etc.
had a strong symbolic meaning as well as the
Obviously, the above-mentioned categories do not
workers wearing it, because the working class was
exhaust all possibilities and we have not mentioned
repository of the idea of a new world to be built.
for example justice, economy and politics. These jobs
For this reason, outstanding modernist and utopian
do not have proper work clothes, or, if they had, they
artists, like Rodchenko in the Soviet Union or Itten
have now dismissed them or they wear the same
in the Bauhaus School, engaged in designing work
dress both when working and when not. This does
clothes, which they wore. However, this hope of a
not happen, of course, when lawyers or judges are
promised paradise on earth was later dismissed,
concerned. In court, they wear a gown while outside
this way symbolizing the transition from Fordist
they wear regular clothes, such as a jacket with a tie.
modernity to postmodern post-Fordism. An episode
33
that happened in Turin on October 14, 1980 (five
from the technical point of view. The introduction
days before the 63rd anniversary of Soviet October
of new materials entails a kind of design that
Revolution) is emblematic of all this: a silent march
should take into consideration specific safety rules,
by forty thousand white-collar workers (clerks and
especially with reference to risky jobs. These rules
managerial staff) meant disapproval for blueoverall
either restrict or favour the development of design,
labourers’ policies and caused their defeat.
like in architecture, and therefore offer a new
This is very interesting also with reference to our
chance to designers.
subject. If we look at the photographs of this march, we discover that the clerks wore suits, white shirts,
Today this issue cannot but mirror another problem,
ties and pullovers, loden and rain coats, which are
namely growing unemployment. Job reduction
typical garments of the middle class and of their
affects also the production of work clothes and not
idea of society. Clothing, actually, has a cultural and
only in terms of quantity. Although a garment for
social meaning.
a jobless person does not exist, this new situation favours self-production and self-designing, an
In ancient Rome, for example, only senators could
expanding social condition that does not concern
wear clothes dyed Tyrian purple. We have to
only clothing but also the whole concept of society.
specify that the use of work clothes grew during the industrial revolution, that is during the era of modernism. This happened because work became more specific and belonged to a “detached� part of the day, a part needing different clothing from the rest of the day. Work clothes, anyway, are still very interesting for designers, because, although they have a sort of style viscosity, they have changed in time their symbolic meaning and have developed
PELLE A PELLE
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GIACOMO D. GHIDELLI Scrittore
Se la moda è uno dei modi attraverso cui si costruiscono le funzioni sociali, sembra veramente difficile, forse impossibile, sfuggire alla costrizione del significato sociale dell’abito. Ma arte e design lo negano, aprendo lo spazio a infiniti nuovi racconti di sé.
Il primo abito da lavoro è uguale per tutti: una
ma anche altro, come accade, ad esempio, con
membrana sottile e resistente che ci racchiude
certi guardia-sale dei musei, al cui
all’interno del ventre materno, dove noi svolgiamo il
rigore dell’abito in alcuni casi il corpo si ribella,
lavoro di crescere.
dimostrando la propria noia nella scompostezza di un afflosciamento sulla sedia, mentre lo sguardo
Quando però veniamo gettati nel mondo, l’abito da
vaga in nebbie associative, senza saper bene dove
lavoro cambia e diventa subito un racconto: di chi
andare.
siamo, di come ci vedono gli altri e anche, ma molto dopo, di come vogliamo essere percepiti.
In altri casi siamo noi a decidere come vogliamo essere percepiti. Negli anni 70, ad esempio, per i
All’inizio è un racconto che altri ci cuciono addosso
cosiddetti creativi delle agenzie pubblicitarie l’abito
e che cambia in base ai paesi in cui il caso ha
informale era di rigore, mentre per gli account
voluto nascessimo: ad esempio, la tutina più o meno
altrettanto di rigore erano abiti spezzati con camicia
ricamata in Occidente, le fasce in Mongolia, il sacco
dotata di bottoncini e ornata di cravatta, salvo poi,
in Namibia. Poi la vita ci cambia e trasforma –
negli anni ’90, invertire quest’auto-attribuzione
con il nostro corpo – noi e gli abiti che di noi sono
estetica.
racconto. In molti casi il nostro abito da lavoro è cucito sempre
Ma già questo accenno ci dice che è pressoché
dagli altri. Come le tute che le grandi fabbriche
impossibile parlare di abiti da lavoro (il lavoro di
impongono ai propri operai, in alcuni casi di colori
vivere) senza fare un pur fuggevole accenno alla
diversi in base al reparto di appartenenza, così
moda, anzi alle mode che imprigionano il mondo
che se uno si sposta da un reparto all’altro per fare
in una serie di abiti nati dalla forse irrimediabile
quattro chiacchiere con la ragazza che ammira
pervasività del marketing, delle sue segmentazioni
subito il capo lo becca. E lo punisce. Oppure
di target, delle sue molte modalità di intervento.
pensiamo alle divise che dicono appartenenza
E non possiamo non fare un accenno a ciò, visto che
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viviamo in tempi in cui il marketing ha saturato
di abito. Un destino? Arte e design lo negano e
le nostre vite con migliaia di oggetti e di abiti e di
seminano indizi, come accade in questa mostra al
comunicazioni, offrendo a ciascuno la possibilità di
cui percorso ho contribuito scrivendo una trentina
costruzione di identità istantanee – tanti racconti
di piccole storie sugli abiti da lavoro, via via
uno diverso dall’altro – che possono essere assunte
pubblicati su facebook, nella pagina dedicata
proprio grazie agli abiti. E se la moda è uno dei
all’iniziativa. Raccontini che sono una serie
modi attraverso cui si costruiscono le funzioni sociali,
di “variazioni” sugli abiti più diversi, visto che si va
a guardar bene sembra veramente difficile sfuggire
dall’abito da lavoro del vivente (guardato da due
alla costrizione del significato sociale dell’abito.
prospettive differenti) a quello del vedovo, dall’abito
Quasi impossibile.
da lavoro dell’adolescente a quello della moglie del lanciatore di coltelli, all’abito da lavoro del
Ed è forse proprio per ribellarsi a ciò che il corpo
timido, del clandestino, dell’incantatrice di serpenti,
ritorna nudo, come quando è nato, per inseguire una
degli innamorati e così via. Tutti hanno però in
sua ideale personalissima identità. La insegue nelle
comune una cosa: raccontare chi siamo e lo sforzo
cuffie che, a contatto delle orecchie, immettono
per cogliere chi vogliamo essere nelle molteplici
musica in formato digitale. La ricerca nel trucco
variazioni dei nostri abiti da lavoro mentali.
e nei tatuaggi, anche se poi si acquieta – tranne le solite eccezioni – nelle proposte musicali più consumistiche, in pletore di capelli arancioni scolpiti a cresta, nelle ormai abituali farfalle più o meno grandi piuttosto che nei diffusissimi nomi e numeri disegnati in caratteri gotici. Sembra proprio che l’innocenza perduta del corpo nudo non possa essere ritrovata in nessun tipo
SKIN TO SKIN
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GIACOMO D. GHIDELLI Writer
If fashion is a way of building social functions, then it looks difficult, even impossible, to avoid the constraint of the social meaning of clothing. However, art and design deny it and open up room for innumerable new stories about themselves.
The first work clothes are the same for everybody:
museum attendants, whose bodies sometimes
a thin and tough membrane, enclosing us inside
protest against their clothing stiffness and show their
our mother’s womb, where we perform our job of
tedium collapsing on a chair in an unseemly position,
growing. However, when we are thrown out into the
while their eyes wander aimlessly in the mist of their
world, our work clothes change and immediately
minds. In other cases, we choose how we want to
become a sort of tale: it tells about whom we
be perceived. In the 70s, for example, in the field
are, how people see us and how we want to be
of advertising, artists had to dress informally while
perceived. In the beginning, other people tailor this
accountants wore blazer and slacks, button-down
tale on us, and it changes according to the country
shirt and a tie. In the 90s, instead, this self-made
in which by chance we were born: for instance, in
aesthetic rule turned over.
Western countries it might be some kind of more or less embroidered rompers, while in Mongolia it will
It is, anyway, almost impossible to talk about work
be swaddling bands and in Namibia sackcloth.
clothes (the work of living) without fleetingly hinting at fashion, better at the different kinds of fashion,
However, later life changes us and transforms both
which trap the world into series of clothes, existing
our body and the clothes that tell about us. In many
just because of an unbeatable and pervasive
cases, however, it is still other people who tailor our
marketing action, which splits up targets and
work clothes, such as the overalls that large factories
operates in so many ways.
impose on their workers, sometimes in different colours according to the department to which they
Therefore, nowadays marketing crammed our
belong. Therefore, if some worker moves to another
lives with thousands of objects, clothes and
department to talk to his girlfriend, his boss can
communications and offered each of us the chance
catch him immediately and punish him. Moreover,
of instantly creating new identities, one different
we can think of uniforms, which mean belonging
from the other, thanks to different garments. If
but also other things; let us take as example certain
fashion is a way of building social functions, then it
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looks difficult, even impossible, to avoid the
shy person, an illegal immigrant, a snake-charming
constraint of the social meaning of clothing. May be,
woman, sweethearts, etc. These garments have just
it is just to rebel against all this that the body gets
one goal in common, to tell who we are and who we
back to nakedness, as if at birth, to pursue an ideal
try to be in the innumerable variations of our mental
and personal identity.
work clothes.
We do so using earphones, which pour digital music into our ears, or through make-up and tattoos, even if later we calm down to more consumerist musical choices or to a variety of orange crest-like hairstyles, to the usual smaller or larger butterflies and to the widespread names and numbers written in Gothic letters. It looks like we cannot recover the lost innocence of a naked body through any kind of garment. Is it because of fate? Art and design seem to deny it and try to spread clues. This happen also through this exhibition, which I contributed to build up, writing approximately thirty short stories about work clothes, which I kept publishing on a specific page of Facebook. These short stories are a sort of “variations� concerning different work clothes of different characters, a living person (seen from two different perspectives), a widower, a teenager, a knife thrower’s wife, a
L’A B I TO A L L E S PA L L E
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ALESSANDRO GUERRIERO Curatore
Inevitabilmente la nostra vita è fatta di elementi che vengono alla ribalta e si ritirano, si contrastano e si connettono in una trama sempre mutevole di temi e di episodi. È in questo “mondo plurale” che la nostra anima trova le fonti da cui trarre significato, direzione e valore. Ma per farlo deve dare ascolto ai diversi sogni che abitano la molteplicità che ci compone, la pluralità che condensa in sé la comunità di molte persone che noi siamo, ciascuna con bisogni, paure, desideri, stili specifici, linguaggio.
Che cosa ha alle spalle la mostra “Abiti da lavoro”? C’è innanzitutto TAM-TAM, la “non scuola” da cui l’iniziativa nasce. E poi ci sono momenti di pensiero, emozioni, desideri, elenchi. UNO
( I testi teorici di TAM-TAM ) La scuola TAM-TAM non è, innanzitutto, una scuola, perché non ne prevede il flusso più tipico, che è il passaggio di nozioni, modelli, tecniche e metodi da un piccolo gruppo che sa verso un grande gruppo che non sa. La scuola TAM-TAM non appartiene a colui che sa, né a colui che non sa, non si svolge tramite insegnanti e allievi. Si svolge proprio solo fra coloro che assieme intendono scoprire e scegliere nozioni, modelli, tecniche e metodi che gli si addicono. La scuola TAM-TAM non ha struttura, è amorale, originale, discontinua, classica, destrutturata. Non è collettiva, non è obbligatoria, non è autoritaria, non è statale, non è borghese, non è operaia, non è ideologica. Non provoca partecipazione e nemmeno acculturazione: non trasmette messaggi in codice. Può esserci o non esserci: è un evento naturale, e quando c’è induce a comportamenti di vita propri e differenziati. Suo fine strategico è che ogni uomo possa produrre e consumare la sua imprevedibile attività mentale come fenomeno di comunicazione spontanea, da solo o in gruppo. Suo fine tattico è l’eliminazione della didattica istituzionale. Non avviene per accumulo ma per azzeramento. Suoi riferimenti sono i bambini, le avanguardie, i paranoici, i selvaggi, gli umanisti, le culture arcaiche, i classici lontani. La scuola TAM-TAM, in particolare, non è fatta di edifici scolastici belli o brutti. Non si applica a orario fisso dentro le classi, ma è latente ovunque, è uno spazio virtuale, psicofisico, che ciascuno sempre possiede. La scuola TAM-TAM, in definitiva, consiste nella non esistenza della scuola stessa.
DUE
Inevitabilmente la nostra vita è fatta di elementi che vengono alla ribalta e si ritirano, si contrastano e si connettono in una trama sempre mutevole di temi e di episodi. È in questo “mondo plurale” che la nostra anima trova le fonti da cui trarre significato, direzione e valore. Ma per farlo deve dare ascolto – con assoluta imparzialità – ai diversi sogni che abitano la molteplicità che ci compone, la pluralità che condensa in sé la comunità di molte persone che noi siamo, ciascuna con bisogni, paure, desideri, stili specifici, linguaggio.
TRE
Gli alchimisti ci offrono un’interessante immagine per esprimere la capacità di trasformare la sofferenza e il suo sintomo in un valore condiviso: il processo di creazione della perla perfetta.
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All’inizio la perla è un granello di sabbia, un sintomo, un fastidioso corpo estraneo penetrato nella nostra segreta carne interiore, nonostante i gusci difensivi. Il granello viene ricoperto strato su strato e, incessantemente elaborato, diventa una perla. Ma non basta: bisogna pescare la perla dal profondo e liberarla dalle valve sigillate. A questo punto il “granello redento” deve essere portato sulla pelle nuda affinché mantenga il suo splendore: ciò che un tempo provocava sofferenza, è esposto alla vista di tutti come una virtù. QUATTRO
Un tempo l’abito faceva il monaco, il metalmeccanico, l’avvocato… Un tempo l’abito era la rappresentazione immediata del ruolo che occupavamo nel mondo e dell’immagine che il ruolo trasmetteva. Originariamente però l’abito è stato altro. Quando – dopo l’episodio della
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mela – l’uomo fu gettato nel mondo, Dio fece “all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li veste”. Consegnando l’uomo a un mondo ostile, Dio con il suo gesto disse: “Vai, ma ricorda che sei solo un uomo e che hai bisogno di una protezione perché sei limitato”. L’abito originario nasce quindi da un gesto d’amore che da un lato protegge e dall’altro segna la nostra condizione. Con la definizione delle scale di potere, però, questi due sensi sono stati in stravolti e da segno della nostra fragilità l’abito si è trasformato soprattutto in funzione e segno sociale. Il contemporaneo emergere dell’individualità ne ha però ancora una volta mutato il senso e l’abito è diventato soprattutto l’espressione del proprio sé. Diventa travestimento e forma dei nostri pensieri. Se prima era l’immagine che il mondo ci attribuiva oggi è l’immagine di ciò che noi vogliamo essere nel mondo. CINQUE
L’abito di chi fa il pane, del falegname, del sarto, del raccoglitore d’uva, di chi lavora al computer, di chi fa i gioielli, di chi lavora in magazzino, di chi fa le pulizie, del lettore, dello scrivano, del disegnatore, del viaggiatore, del sognatore, di chi svuota il mare con il cucchiaio, del distruttore di mail, del nostalgico, del monaco titubante, di chi si perde in città, del macchinista di farfalle, del curatore dei sani, del cercatore di aghi nel pagliaio, del frettoloso, dell’innamorato, del naufrago, dello studioso di capelli, del fumatore di pipa, dell’astronauta di campagna, dello spegnitore di candele, del telefonista muto, del lettore di biglietti del tram, del suonatore di giaggioli, del litigante, del...
BEHIND THE CLOTHES
ALESSANDRO GUERRIERO Curator
Inevitably, our life consists of facts that come to the fore and then disappear, clash and interfere with each other in an ever—mutable plot of subjects “ ” and episodes. In this plural world , our soul finds the sources from which meaning, direction and value spring up. To do so, it has to listen impartially to the different dreams that live in our multiple being, in the plural essence that includes the community of the many people we are, each with specific needs, fears, wishes, styles and language.
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What is behind the exhibition “Work clothes”? First, there is Tam–Tam, the “non-school” from which this initiative springs. Then there are thoughts, emotions, wishes and lists. ONE
(TAM-TAM Manifesto) TAM-TAM is not properly a school because it does not entail the most typical flow of a school that is the handover of ideas, models, techniques and methods from a small group who knows to a larger group who does not. The school does not belong to those who know, nor to those who do not. It does not happen through teachers and students, but only among people who want to discover together ideas, models, techniques and methods that fit them. The TAM-TAM School has no structure. It is amoral, original, erratic, classical,
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and destructured. It is not collective, nor obligatory, nor authoritarian. It is not a public school or ideological, not a labour school, or bourgeois. It does not bring about participation or acculturation; definitely, it does not send coded messages. It can exist or not. It is a spontaneous event, and when it happens, it leads to unique and personal behaviours. Its strategic aim is to enable each person to produce and consume their own unpredictable creative activity as a spontaneous act of communication, alone or in groups. Its tactical aim is to do away with institutionalized teaching. This does not happen by stockpiling, but by resetting. Its point of departure is the children, the avant-gardes, the paranoids, the uncivilized, the humanists, the archaic cultures, the classics from the past. Most of all, pretty or ugly buildings do not make the TAM-TAM School. It does not happen at fixed times in a classroom, but it is something latent everywhere, it is a virtual, psychophysical space, that everybody owns at any time. Ultimately, the TAM-TAM School consists of the non-existence of the school itself. TWO
Inevitably, our life consists of facts that come to the fore and then disappear, clash and interfere with each other in an ever-mutable plot of subjects and episodes. In this “plural world”, our soul finds the sources from which meaning, direction and value spring up. To do so, it has to listen impartially to the different dreams that live in our multiple being, in the plural essence that includes the community of the many people we are, each with specific needs, fears, wishes, styles and language.
THREE
Alchemists used a very interesting image to express our ability of changing pain and its symptoms into a shared value: the process of creating a perfect pearl.
At the beginning, the pearl is a grain of sand, a symptom, an annoying outside body that pierced into our inner secret flesh, in spite of our protective shell. The grain, coated in layers and constantly processed, becomes a pearl. However, this is not enough; we must fish it out from deep waters and set it free from sealed valves. At this point, we should wear this “redeemed grain” on naked skin to preserve its brightness. Therefore, we display as a virtue what once caused pain. FOUR
Some time ago, the cowl did make the monk, the metalworker, the lawyer... Our clothes were the direct representation of our role in society and of our relevant image. Originally, however, clothes were something else. After the case of the apple, when man was thrown into the world, “the Lord God made garments of skin for Adam and his wife and clothed them”. When delivering man to a hostile world, God says, “Go but remember that you are just a man and that you need protection because you are limited”. Therefore, the original garment derives from a love gesture that on one side protects us and on the other underlines our condition. However, when society defined the power balance, these two meanings were upset and clothing changed from being a mark of our fragility into a social function and sign. Nowadays, our individualism changed once again this meaning and clothing became above all the expression of our own self. It is now a way of disguising our thoughts and of giving them a new shape.
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The clothing of a baker, a carpenter, a tailor, a grape gatherer, a computer operator, a jeweller, a warehouse keeper, a reader, a scribe, a designer, a traveller, a dreamer, a hole digger in a pond, an e-mail eraser, a nostalgic person, a doubtful monk, the one who gets lost in town, a butterfly engineer, a healer of the healthy, the one who looks for a needle in a haystack, a hurrying person, a person in love, a survivor, a trichologist, a pipe smoker, a countryside astronaut, a candle extinguisher, a dumb switchboard operator, a tramway ticket reader, an iris player, a quarreller, ...
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STEFANO CAGGIANO Design interpreter specializzato in linguaggi del design
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L’immanenza della trascendenza Mentre il corpo è mera immanenza, il corpo vivo è allo stesso tempo immanenza e trascendenza: è “cosa” fisica, pezzo di materia cieca, ma è anche dispositivo percepente, che penetra nel mondo tramite i suoi sensi e il suo agire. In quanto materia, allora, il corpo sopporta la gravità dell’essere, come qualsiasi pietra o albero; ma in quanto materia viva se ne svincola attraverso l’anelito della danza, slancio senza scopo che attinge all’apertura del cielo. Non è quindi un caso che la lingua tedesca (seconda solo a quella greca quanto a performance filosofiche) disponga di due termini per indicare il corpo: Leib e Körper. Il termine Leib viene dall’antico tedesco leiben, che significa “vivere”, mentre Körper si riferisce al corpo inteso come mera anatomia, il corpo come “cosa”. Così, mentre il Körper si limita ad essere nel mondo, il Leib reagisce al mondo come un polmone reagisce all’aria. Si scompone e si mescola al corpo dell’amante; si ricompone e annette oggetti che sono sue parti integranti. L’oggetto d’uso, infatti, e l’abito in particolare, è tutt’uno con il Leib. È parte integrante del corpo vivo come lo sono braccia e gambe. Ecco perché, mentre la mano scrive, la mente non ha bisogno di pensare alla penna che sta usando, così mentre cammina non ha bisogno di pensare alle gambe – quali muscoli innervare, quali nervi attivare, che angolo definire con il movimento articolatorio dello scheletro. Come il bastone per il cieco, gli oggetti d’uso, pur essendo esterni al Körper, fanno tutt’uno con il Leib. Sono cioè parte del corpo vivo dal punto di vista motorio-funzionale. Mentre si usano oggetti e si indossano abiti, non si ha bisogno di pensare a come usarli e a come indossarli perché in quel momento abiti e oggetti sono parti vive della corporeità, che
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agisce attraverso di essi così come cammina grazie alle gambe, come sue articolazioni specifiche. È questa la dimensione dell’abito presa in carico dal dressing design, che appartiene appunto all’ambito del design e non del fashion. Il design lavora il pezzo con pazienza, cercando di penetrarne le logiche interne per metterne in discussione, o confermarne, l’intimità strutturale. Il fashion esiste invece solo come scia di se stesso, è un lampo che abbaglia mentre fugge per non essere smascherato. E se il buon design va lasciato lievitare, come il pane, la moda va tenuta in ebollizione, pena il suo spegnersi. Stante questi due approcci, che presentano più punti di divergenza che di convergenza, il dressing design applica l’approccio del design alla ridefinizione sperimentale dell’oggetto abito, cercando di individuarne, come fa con gli oggetti d’uso, il sistema nervoso portante, così da estrarne la ragione progettuale e cogliere il senso fenomenico (estetica) del suo essere al mondo.
STEFANO CAGGIANO Design interpreter specializing in design languages
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The immanence of transcendence While a body is merely immanent, a living body is at the same time immanent and transcendent. It is a physical “thing”, a piece of blind substance, but it is also a perceiving device, entering the world through its senses and actions. As substance, then, the body bears the gravity of being, like any stone or tree; but as living substance, it sets itself free through dance yearning, an aimless effort attaining sky heights. Therefore, it is not by chance that the German language (just behind the Greek one, as far as philosophical performances are concerned) has two words meaning body: Leib and Körper. The word Leib comes from ancient German leiben, meaning “to live”, while Körper refers to the body meant as a mere anatomy, as a “thing”. Therefore, while the Körper is limited to being in the world, the Leib reacts to the world as a lung reacts to the air. It breaks up and mingles with the lover’s body, and then it reassembles itself incorporating objects that are part and parcel of it. As a matter of fact, objects, especially clothing, are one with the Leib. They are part and parcel of the living body in the same way as arms and legs. This is why, while the hand is writing, the mind does not need to think of the pen it’s writing through, as well as it does not need to think of the legs by which the living body is walking – indeed, in order to walk you do not need to focus your attention on which muscles move, which nerves put into action, which angle draw by the joint movement of the skeleton. Like a stick for a blind person, objects, although external to the Körper, are strictly connected with the Leib; they are actual parts of the living body. So while we use objects and wear garments, we do not need to think of how to use them or to wear them, because at that time garments and objects are
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living parts of our body, so we act through them the same way as we walk through legs. This is the side of the clothes dressing design takes care of. Design patiently polishes the piece and tries to enter its inner logic, in order to question it or to confirm its structural intimacy. Fashion instead exists just as a trail of itself; it is a blinding flash fleeing in order to avoid being unmasked. While we should leaven good design, like bread, we should let fashion boil, or else it will die out. Assuming that these two approaches are more divergent than convergent, dressing design applies to clothes the design approach consisting in carrying out the experimental redefinition of the object. Therefore it tries to locate clothes nervous system, as it does with products, in order to single their reason out and so to understand the phenomenal sense (aesthetics) of their being in the world.
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TOSHIYUIKI KITA Abito del gelataio vegetale Una casacca da lavoro che riprende stilemi del passato giapponese. Per vendere la pasta di cui sono fatti, se non tutti, almeno alcuni sogni. Pasta di crema fredda, tenera e dolce, offerta come ricompensa per le papille di un bambino che ha appena finito di giocare e ha un grande bisogno di ritemprarsi l'animo, perchÊ ha giocato cosÏ a lungo che nel frattempo è diventato adulto. Clothes for a Vegetable Icecream Man This work blouse resembles stylistic features of a Japanese past. The goal is to sell the dough of which some dreams, if not all, are made. This cold, soft, sweet and creamy dough is offered as a reward for the taste buds of a child, who just stopped playing and now needs to tone up his soul, because he played for such a long time that he grew adult.
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GENTUCCA BINI Abito del pornografo casto Il seno della modella, le natiche, il pube, non sono mai espressioni di nudo perché il suo è un corpo interamente semiotizzato. Un corpo che non può essere nudo perché è il metro su cui si misura la nudità (come il metro preservato a Parigi non è lungo un metro). Donne intrappolate in bellezze aliene, le modelle sono segni integrali che hanno rinunciato alla possibilità di essere svestiti, e la cui sostanza corporea risulta pertanto negata, bulimica, anoressica. Il corpo torna allora ad essere nudo solo quando viene celato. Siamo tutti nudi, sotto i vestiti. Clothes for a Chaste Pornographer The model’s breast, buttocks and pubis are never expression of nude, because her body is completely semiotic. Her body cannot be naked because it is the yardstick on which nakedness is measured (the same way the prototype meter bar preserved in Paris is not one meter long). The models are women trapped in a sort of alien beauty; they are integral signs that gave up the possibility of being undressed. Therefore, their body substance appears to be denied, bulimic and anorexic . Their body, then, is naked again only when it is hidden. We are all naked under our clothes.
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GUDA KOSTER Rosso con pois bianchi 2012 Abito-bambola che coincide con la sua stessa casa, rossa e a pois, in cui non c'è nulla che abbia il volto crudo del reale. Tutto qui è protetto, gentile, inscatolato. Ma allo stesso tempo sfacciatamente senza volto. Quindi, senza pietà. Capace di pathos perfetto perché non toccato da nessuna forma di empatia. Come lo sguardo tenero di una bambola. Red with White Dots 2012 This garment is a doll that coincides with its own house, a polka-dot small house in which nothing has the cruelty of reality. Everything is gentle, harmless, boxed up, but also shamelessly faceless and therefore pitiless. It is capable of a perfect pathos because it is not moved by any empathy, just like the soft look of a doll.
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CLARA ROTA Tuttatuta Citazione della tuta di Thayaht, futurista, fascista, studioso di esoterismo, autore nel 1919 di una tuta pensata come abito universale che univa in un solo pezzo camicia, giacca e pantaloni. La struttura di linee rette e piani geometrici è mantenuta, ma viene introdotto un colore insano, comunque sorvegliato, e una linea diagonale, sempre geometrica, ma sbilanciata rispetto alla stabilità fascista dell'ortogonale. Tuttatuta This garment is quotation of and reference to Thayaht’s overalls. He was a futurist, a fascist and an esoteric scholar, who in 1919 made overalls meant to be a universal garment joining in one piece shirt, jacket and trousers. The designer retains the original structure made of straight lines and geometric planes but she introduces an insane, yet restrained, colour and a diagonal line, still geometric but unbalanced with reference to the fascist stability of orthogonality.
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MARGHERITA PALLI Abito da lavoro della scenografa Un set designer inchioda assi di immaginario e pianta storie con i chiodi. Non arriva mai sul palcoscenico privo di sacca, martello e strumenti vari. Né arriva quando è tempo di andare in scena, ma ben prima. Sente lo spettacolo quando gli altri non ci pensano, lo costruisce tenendolo su dall'altra parte rispetto a quella su cui si affolleranno gli altri. Controparte strutturale della meraviglia che li colpirà quando si alzerà il sipario. Clothes for a Set Designer A set designer hammers imaginary boards and nails down tales. He never goes to the stage without a bag, a hammer and other tools. He does not get there when it is time to start the show but always in advance. He feels the show when the others do not even think of it and he builds it up from the opposite side to the one on which people will crowd. He is the structural counterpart of the wonder that will strike them when the curtain will rise.
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A M B A M O L LY Simbiosi Assembramento di pezzi provenienti dall'esplosione di oggetti, abiti, corpi. Non abito sovrapposto a un corpo ma abito e corpo disassemblati e rimescolati in ordine sparso, fino ad ottenere una creatura senza regno che percorre il disordine del mondo come un grumo di caos, di cui è impossibile dire quale sarà il prossimo passo: baluginare di fauci che sbranano la vita diversa, o apparire miracoloso della carezza che accoglie l'altro. Symbiose This garment assembles different pieces deriving from objects, clothes and bodies. Therefore, it is not a cover for the body, but garment and body disassembled and then reshuffled helter-skelter, to obtain a desperate creature travelling through a messy world like a clot of chaos. It is not possible to know which step will follow, either the flash of jaws mauling dissimilar lives or a miraculous caress welcoming a misfit.
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NATHALIE DU PASQUIER Oroval Abito realizzato con lo stesso tessuto usato per fare gli orsetti da portarsi a letto. Quegli oggetti transizionali su cui il bambino proietta un surrogato del corpo della madre, con il quale si trova così in contatto senza toccarla, preparandosi all'imminente distacco definitivo e all'accettazione del proprio essere persona autonoma fisicamente e psicologicamente indipendente. Nel frattempo, sulla schiena campeggia la scritta “lavoro”; un lavoro tenero, tranquillo, accattivante. Oroval This clothing is made of the same fabric than teddy bears, which are transitional objects on which a child casts a substitute of his mother’s body, with which he is in contact without touching her, while he is getting ready for the forthcoming, final separation and for becoming an autonomous person, physically and psychologically independent. In the meanwhile, the word “Work” stands out in relief on the back: a tender, quiet, charming work.
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ALBERTO ASPESI Camicia da lavoro per pitturare i sogni Abito-installazione distribuito nello spazio, che invita a essere imbrattato, inzuppato di sogni e colori, fino al punto da sgocciolare a terra e trasudare l'ispessimento informale di cui si è imbevuto. La camicia, qui, non è da indossare. La sedia non è fatta per sedersi. I colori non sono disposti per asciugare. Ogni parte ammicca all'altra tramando nello spazio la tenuta astratta dell'abito-installazione. Da indossare non con il corpo, ma con l'azione che riveste. Work Shirt to Paint Dreams This garment is a sort of installation spreading in space, ready to be stained and soaked by dreams and colours until it drips onto the floor and to ooze the informal thickening that it has absorbed. You cannot wear this shirt, nor seat on the chair and the colours are not placed there to get dry. Every part blinks at each other weaving in space the abstract attire of this garment-installation. One should wear it not on the body but on a covering action.
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BERTJAN POT Masks 2010 — Ongoing “In me, tutto volto”, rispondeva il primitivo all'uomo moderno che gli chiedeva perché girasse nudo. L'abito completo può, allora, essere composto solo da una maschera, anzi da una serie di maschere le cui fisionomie non nascono dalla sottolineatura della fisiognomica ma dalla negazione del volto, significante che si accanisce sul significato, e lo rifiuta per farsi “arte disapplicata”. Masks 2010 — Ongoing “Me, I am all face”, a primitive man replied to a modern man asking why he walked completely naked. Therefore, an outfit can consist just of a mask, or rather of a series of masks. Their features do not come from emphasizing lineaments but from denying the face itself, signifier that is merciless against the meaning, rejecting it to become “misapplied art”.
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ALLAN WEXLER Hat / Roof Abito-attrezzo, cappello, struttura. Abito-trappola che serra il corpo nel lavoro. Telaio ligneo che non contempla il riposo, non permette di divincolare momenti. Abito-macchina da cui non c'è via di liberazione, strutturato per un tempo di fronte a cui non c'è orizzonte che tenga. Il corpo, annesso come una componente meccanica, è solo al servizio della raccolta. Il cappello è largo, come una pagoda, non per dare conforto ma per proteggere il meccanismo con una qualche forma di carrozzeria Hat / Roof This garment is a tool, a hat, a framework. It is a trap that tightens a body to a job. This wooden frame does not consider rest, does not allow wrenching free for a moment. It is a machine from which there is no way out, made for a time to which there is not any possible horizon. The body, connected just as a mechanical component, is of use only to collect resources. The hat is as large as a pagoda, but is does not give comfort but just protection like a sort of coachwork.
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MELLA JAARSMA The Senses Cheat You I sensi mentono. Ma il corpo è fatto di sensi. Il corpo è allora un dispositivo fatto per mentire, per ingannare l'istanza senziente che lo abita. E se essere corpo è essere menzogna, l'abito, nella misura in cui traveste, è inganno che traveste e mente su un altro inganno. Generando così, forse, l'opposto della menzogna. O forse no. The Senses Cheat You Senses cheat you but a body is made of senses. Therefore, the body is a device meant to lie, to cheat the sentient need living in it. If being a body means to lie, a garment, as far as it disguises, is a deception lying on another deception. Perhaps it can generate the opposite of a lie or perhaps it cannot.
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ANTONIO MARRAS Abito del cacciatore di nuvole Abito architettonico, totemico, uno spaventapasseri gentile in tensione tra la terra e il cielo. Alto quattro metri al cappello, nel suo vuoto abita uno spirito buono che accoglie la gravità dei corpi proiettandoli in aria come fili di fumo. Abitocomignolo che disperde le nuvole, giganti e indifferenti, per far posto alla carne del portatore, il quale entra nell'abito dal basso ed esce in alto dal cappello andandosene in fumo. Clothes for a Cloud Hunter It is an architectonic and totemic garment, a sort of gentle scarecrow, balanced between earth and sky. It is four meters high at hat level and a good spirit floats in its empty space, welcoming body gravity and setting it aloft like a thread of smoke. It is a chimney pot that scatters gigantic and indifferent clouds to leave room for the wearer’s flesh. He enters the garment from the bottom and goes out on high from the hat, going up in smoke.
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TARSHITO Abito del ricercatore del divino Abito partecipe del buddismo come un polmone è partecipe dell’aria. Nel mantello sono inserite delle campanelle che suonano mentre si cammina e si disperde la strada dietro di sé, come un suono nell’aria. In fondo alla via, un muro su cui giocare a palla muta con il silenzio. Clothes for the Researcher of the Divine This garment is vital for Buddhism the same way air is vital for a lung. Small bells, ringing while walking, are attached to this cloak. Behind it, the road disappears like sound in the air. At the end of the road, there is a wall, against which one can throw a dumb ball together with silence.
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OTTO VON BUSCH Shape Shifter La moda è incendio che divampa come se non ci fosse un domani. L'abito è una stratificazione di pelli bestiali che trasformano il portatore in un mutaforma, liberando finalmente la deriva entropica del fashion. Abito-bestia per la bestia che abita l'uomo; vestizione nebbiosa per portare in luce il lato demoniaco della moda. Evocatore di spiriti fuori controllo lontani dalla ragione, l'abito mostra la follia che guida il ragionevole business del fashion. Shape Shifter Fashion is a fire, blazing as if there will not be a future. This garment is a stratification of animal skins that transform the wearer into a changeling and finally set fashion entropic drift free. It is a beast made for the beast living in man. It is a foggy garment able to bring to light fashion devilish side. It can evoke berserk and crazy ghosts and show how mad is fashion reasonable business.
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CANO Icaro Abito aereo fatto di carta ma tenuto al guinzaglio dal flatting, un materiale pesante e velenoso. Abito che quindi non si può indossare, per un Icaro che non può decollare. E che, allora, confeziona un abito pensandolo come un sogno che non si realizzerà mai. Che rimarrà sempre tale, autentico e incorrotto. Icarus This garment is a paper airplane, kept on the leash by flatting, a heavy and poisonous material. We cannot wear this garment, made for a sort of Icarus not able to take off. Therefore, he makes a garment that is like a dream that will never come true and will remain an authentic, incorrupt dream.
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COOP HIMMELB(L)AU CHBL_JAMMER_Coat Nel mondo perennemente connesso il diritto all'oblio diventa una libertà da reclamare. Abito come scudo per sparire agli occhi di Google e del mondo. Il tessuto metallizzato blocca le onde elettromagnetiche, e sottrae così alla tracciabilità. Il portatore diventa un buco nero dell'informazione, una “singolarità” che non restituisce alcun tipo di segnale. CHBL_JAMMER_Coat” In this endlessly connected world, our right to oblivion is a freedom that should always be granted. This garment is a sort of shield to disappear from Google’s sight and then from everybody’s sight. The metallic fabric stops electromagnetic waves and protects from traceability. Therefore, the wearer becomes a sort of black hole of information, an “extraordinary” person, who does not respond to any kind of signal.
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FRÉDÉRIQUE MORREL Adam et Eve font leur marché en costume Abiti fatti di immagini, così aderenti da strizzare i corpi e plasmarli in forma d'altro. Abiti su cui trovano posto frammenti di storia dell'arte, musi di cani, profili di gatti e sembianti di bambini, che forse sono solo giocattoli rapiti dal Paese dei Balocchi. Abiti per corpi che hanno assaggiato la mela, la cui nudità viene coperta da un'altra nudità, quella della storia, delle esplorazioni, delle figure del mondo al fuori dell'Eden. Adam and Eve are Going Shopping in Costume These clothes are made of pictures and are so tight to squeeze the body and shape it into something else. It deals with clothes where fragments of art history lie: dog snouts, cat muzzles, children figures that are perhaps toys kidnapped from the Pleasure Island. They dress bodies that have already eaten the apple and cover their nudity with a further nudity, the one of history, of explorations, of people living in the world outside Eden.
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RODRIGO ALMEIDA Corpo oggetto dell'anima Abito nato assemblando i brani di scarto di quella favela che è l'universo dell'immaginario estetico, da cui sono ricavate strutture tremolanti rese ancora più instabili dall'energia simbolica che promanano. Contravvenendo, così, Aristotele, secondo cui l'anima era la “forma” del corpo, ciò che impediva alla corporeità di disperdersi nell'anonimato della materia bruta. E se grazie alla morphé dell'anima il corpo era persona, è grazie ai simboli che ora indossa che può disperdere la propria personalità nel mondo. Spargendola al vento come polline. The Body is Object of Soul This garment is made up of junks coming from that sort of favela being the universe of aesthetic imagination, from which trembling structures derive, made even more unsteady by the same symbolic energy they issue. This assumption rebuts Aristotle, who thought that soul is the “shape” of the body, i.e. what prevents the body substance from disappearing into some anonymous raw material. It is thanks to soul morphé that the body becomes person and it is thanks to the symbols it wears that it spreads its personality all over the world, scattered to the wind like pollen.
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NUALA GOODMAN Hot and Cool Dress Abito-catalogo da indossare durante il Salone del Mobile, quando fa caldo ma bisogna essere “cool” (quello della design week è un caldo che rinfresca). Gli oggetti di design, di cui qui ci si veste, sono messi a nudo nel loro essere immagine. Segni che ti si attaccano addosso non oltre il tempo del cambio d'abito. E di stagione del design. Hot and Cool Dress This garment is a sort of catalogue that we should wear on the occasion of the Salone del Mobile, when it is hot but we must be “cool” (during the design week heat cools one down). The design objects that we wear here are exposed in their being just image. They are things that stick on you no longer than a change of clothes or a design trend.
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DEA CURIC Abito dell’innamorato Il tessuto è il supporto di un racconto. Stampato con un “lui” e una “lei” che si completano e sbilanciano a vicenda, costringendosi reciprocamente al passo, alla vista oltre la siepe. Ai piedi dell’abito, un bauletto aperto sulle lettere che aspettano di essere indirizzate al luogo ignoto dell’amore accenna a un futuro già tradotto in passato senza mai essere stato presente. Sweetheart’s Clothing Textile is the support of a tale. It is printed with a “he” and a “she”, complementing and unbalancing each other, compelling each other to walk in step, to watch over the hedge. At the foot of the garment, there is a jewellery case, open to show letters waiting to be sent to an unknown love place. It is a hint to a future already turned into a past, without going through the present.
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AFRAN Il Vestito del Migrante Cercare lavoro è un lavoro. Il kuluba, il vestito da lavoro usato in Africa centrale, è qualsiasi vestito dismesso usato per lavorare. L'abito, allora, sveste qui la leggerezza del quotidiano per vestirsi del peso del lavoro. Per resistere e proteggere nei momenti più impegnativi, per accogliere su di sé il peso enorme della fatica. Per farsi malandato, consumato, avvezzo al peggio; eppure sempre e ancora lì, sporco e tenace come la vita, o la forza affamata del migrante, la cui vita contiene tutte le altre vite. Clothes for a Migrant Looking for a job is still a job. The Kuluba, work garment used in Central Africa, is any cast-off clothing, later used while working. This garment gets rid of the lightness of everyday life and wears the heaviness of work. It endures and protects in the most challenging moments and takes on itself the enormous weight of hard work. It is shabby, threadbare, accustomed to the worse, but it is still there, dirty and stubborn like life, like the migrant’s hungry strength, whose life contains all other lives.
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FAYE TOOGOOD Workers of the World Unite Quattordici abiti dipinti a mano, ciascuno dedicato a un lavoro differente. Se nell’abito si abita, queste abitazioni sono tutte diverse, ma allo stesso tempo sono anche simili. Architettate tutte secondo la stessa identica diversità. Il rovescio alienante del lavoro, la necessità che piega il corpo alla coercizione produttiva, è la fatica di Sisifo, ripetuta identica in ogni giorno, in ogni lavoro, in ogni abito. Workers of the World Unite It deals with fourteen hand-painted garments, each concerning a different job. If we inhabit our clothes, these dwellings are quite different from each other, yet very similar, all designed according to the same, identical diversity. The soul-destroying reverse in any job, a coercive power subduing a body to toil, is a sort of Sisyphus’ fatigue, identically recurring every day, in every job, in every garment.
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ANGELA MISSONI Abito del sognatore Abito-collage fatto di stoffe diverse. Abito incontenibile, che esubera attraverso le cuciture volando via come un sorriso di farfalle, capricciose e delicate. Stoffe che sfuggono come sogni come sguardi dagli occhi, silenzi dalle orecchie, brame dagli orifizi. I sogni non si possono imprigionare: evaporano liberi come fumi nell'aria. Dreamer’s Clothes It is a patchwork garment, made up with various fabrics. Therefore, it is an unrestrainable garment, which overflows through stitches and flies away like a smile of fickle and delicate butterflies. Fabrics run away like dreams, like glances fleeing from eyes, like silence flying from ears, like lust radiating from orifices. Dreams cannot be jailed; they evaporate, as free as smoke in the air.
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FRANCO MAZZUCCHELLI Abito del dopolavoro Abito non da indossare ma da giocare. Composto da una quarantina di ciambelle in plastica che, una volta collegate, diventano copertura-giocattolo per il corpo. Non conta il risultato, ma il processo di montaggio. Lo scopo è in fondo solo il punto di tenuta del gioco, ciò che conta è giocare. Rimescolare l'abitudine all'abito. Clothes for the Working Men’s Club We should not wear this garment but play with it. It is made up of about forty plastic rings, which once connected together turn into a toy cover for the body. The result is not important, but the assembling process that has achieved it. Actually only the staying power of the game is the goal, what really matters is playing. It is like remixing our habit of dressing clothes.
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ALESSANDRO MENDINI Abito per Laurea Honoris Causas Abito per la cerimonia di conferimento della Laura Honoris Causa da parte dell'Accademia di Belle Arti di Wroclaw. Mendini non disegna, non perimetra con il segno. Quello che fa è convocare frammenti di colore tenendoli insieme con il solo magnetismo dei legami estetici. Lasciando emergere per inversione gestaltica ciò che tiene insieme i brani di Arlecchino. L'abito è allora scuro, come quello di un sacerdote, ma chiazzato di schegge cromatiche che rompono la seriosità della cerimonia per convocare la parola dell'arte, via laica alla sacralità. Clothes for a Degree Honoris Causa This garment is meant for the award of a Degree Honoris Causa by the Academy of Fine Arts in Wroclaw. Mendini does not draw, does not sketch a perimeter by a sign. He just summons up colour fragments and keeps them together through the magnetism of aesthetic ties. Therefore, the suit is dark, as if a priest’s, but is spotted by colour splinters, which break ceremony seriosity to call upon the words of art, which is a secular way to sacredness.
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NANNI STRADA Abito della raccoglitrice di conchiglie Abito-bacheca tassonomica per la collezionista di conchiglie, innocente razziatrice che percorre la spiaggia in cerca di reperti del mare. Le tasche trasparenti mostrano il progressivo accumularsi degli istanti di meraviglia incontrati man mano, le futilità uniche che hanno attirato la sua attenzione prensile e scivolosa, ora fagocitate nell'amnesia visibile che ella indossa. Dress for a Shell—Picking Girl This dress is a sort of taxonomic showcase made for a shellcollecting girl. She is an innocent looter, combing the beach in search of sea findings. The see-through pockets show the gradual build-up of the amazing moments she keeps coming across and the unique trifles that catch her prehensile and slippery attention but immediately later are swallowed up by the evident amnesia she wears.
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DENISE BONAPACE Abito del monaco titubante Se l'abito non fa il monaco, il monaco si fa titubante in merito alla propria identità. E più è titubante, più l'abito esita a prendere forma, fino a ritrattare il proprio sviluppo e ridursi alla geometria basilare di una croce. Ma è allora nel dubbio sulla propria fede che il monaco trova la sua via. Non nelle spalle coperte dalla certezza, ma nella loro nudità esposta al vuoto coprente del cielo Clothes for a Dithering Monk If the cowl does not make the monk, the monk dithers about his identity. The more he is dithering, the more his cowl wavers in shaping up, until it withdraws its own development and ends up to the basic shape of a cross. It is then, when doubting about his faith, that the monk finds again his way, surely not in having his shoulders covered by certainty, but in their being naked and exposed to the protecting emptiness of the sky.
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MELISSA ZEXTER Mirabelle Shining Star Abito che combina il processo lento, attento, meditativo del ricamo fatto a mano con l'immediatezza meccanica, cieca, gelatinosa della fotografia. L'ordito mette insieme piÚ occorrenze della stessa immagine di volto: niente vita, solo ripetizione. La trama cuce invece un colore in cui non c'è ripetizione ma dove tutto fluisce attraverso un gesto vivo reiterato, scorrere filamentoso di sangue secco lungo sentieri venosi che solcano l'opacità di superficie delle immagini. Mirabelle Shining Star This garment combines the slow, painstaking, meditative process of hand-made embroidery with the quick, mechanical, blind and gooey action of photography. Warp puts together many occurrences of the same picture of a face; there is no life, just repetition. Texture, instead, stitches a colour, where there is no repetition but where everything flows through a lively, reiterated gesture, just as some dried blood flows threadlike along venous lanes going through the matt surface of pictures.
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LUCIA PESCADOR Abito del potatore di alberi Abito come abilitatore di simbiosi, che allaccia rapporti omeopatici tra un albero e il potatore. “Potare è farsi albero”, scrive l'autrice, “è osservare la luna, ospitare le rondini, seguire i conigli, tutto con grande quiete”. Potare è fare, e farsi, silenzio. Il silenzio dell'arto potato, reso cieco da un abito che come una macchina segatrice inghiotte l'uomo e l'albero mutilato. Clothes for a Tree Trimmer This garment is capable to cause symbiosis, a sort of homoeopathic relation between a tree and a trimmer. “Trimming is to become a tree”, says the designer, “it means watching the moon, hosting swallows, following rabbits, all very quietly.” Trimming means keeping silence, becoming quiet. It is the silence of a trimmed limb, made blind by a garment that, like a sawing machine, swallows both the man and the maimed tree.
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KLAUDIO CETINA Multiproof Abito-transformer complesso, composto e ricomposto da duecento pezzi collegati con delle zip. Abito che non è fatto di trama e ordito ma di ripetizione, punto nodale di una tessitura piÚ ampia disarticolata ma connessa, come i sentieri non allineati della vita, tenuti insieme dalla comune impossibilità di stare insieme. Multiproof This garment is a complex transformer, made up of two hundred pieces joined by zips. This garment does not consist of warp and weave, but of repetition, crucial point of a larger texture, disjointed but connected like life out-of-line paths, held together by the common impossibility of staying close.
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VIVIENNE WESTWOOD Lumberjack Abito macho, rude, selvatico come il maschio. Avvezzo ai lavori pesanti e poco incline a venire addomesticato. Abito per l'uomo che si rifiuta di chiedere, sempre. Che non ama i fronzoli nÊ ostenta ricercatezza, che è poi la forma di ricercatezza suprema, padroneggiata cosÏ bene da piegare anche il graffio all'interno del proprio ordine trans-estetico. Come la superficie ruvida del vento, l'abito addomestica un corpo che si finge indomabile. Lumberjack This clothing is macho, rough and wild like a butch man, accustomed to hard work but not willing to be tamed. It is meant for a man that never asks. He does not love frills or show off sophistication, which is anyway a form of supreme sophistication, perfectly mastered so that it can bend even a scratch inside its own trans-aesthetic order. Like the rough surface of the wind, this clothing tames a body that pretends to be untameable.
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ELIO FIORUCCI Abito della coltivatrice d'orto Abito per un'ulteriore Biancaneve, vestita di ingenuità come sublimazione di un'astuta malizia. L'abito raccoglie frutti leciti che di notte diventano proibiti; veste di innocenza il candore albino di una pelle il cui nitore, come quello del latte di cui parlava Paul Valery, nasconde sempre una segreta nerezza. Dress for a Crop—Raising Girl This clothing is meant for some further Snow White, wearing a sort of naivety that is sublimation of wily malice. Her clothing picks up licit fruits that by night become forbidden and it dresses with innocence her albino skin, which is as clear as Paul Valéry’s milk, but which always hides a secret blackness.
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DANIELE INNAMORATO Abito da lavoro dell’italiano Il colore è stato covato qui all'interno dell'abito stropicciato. Lo si è lasciato crescere come un magma, si è lasciato che ogni sfumatura si espandesse fino a invadere, e disperdere, le altre. Fino al punto in cui ogni tinta ha trovato nell'altra il fronte d'onda del proprio pulsare, il proprio inverarsi nel momento stesso della sua massima dispersione. Si è aspettato tutto questo, se ne è attesa la mescola, la fluidificazione del battito cromatico, portato infine allo scoperto una volta aperto il cartoccio. Work Clothes for an Italian Citizen They have hatched colours inside a crumpled garment. Colours grew like magma and every shade expanded to the point of invading and dispersing the other ones, in which every shade could find the wave front of its own beating, its own becoming true in the moment of the widest dispersion. We have been waiting for all that, for the blend and fluidification of the chromatic beat, discovered at the opening of the bag.
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ERWIN WURM Curators Choice 2014 Knitted Dress Abito preciso e calibrato, compositivo, ottenuto per addizione di blocchi grafici che trovano il loro contrappunto nella vestizione mutagena dell'architettura, dalla quale scendono misteriose maniche ripetute senza senso, come una cellula “abitativa” tumorale. Abito, quindi, sparso nell'architettura, o architettura raccolta nell'abito. Chiasmo cromatico in cui niente è posizionato dove dovrebbe essere e il cui tutto risulta quindi armonico e luminoso. Curators Choice 2014 Knitted Dress This garment is precise and well balanced, a sort of composition achieved through the summing up of graphic blocks. They have their counterpoint in the mutagenic clothing of architecture, from which mysterious sleeves come down, meaninglessly recurring as a tumoural “housing” cell. The garment spreads in architecture while architecture is housed in the garment. It is a sort of chromatic chiasmus, where nothing is located where it should; therefore, the whole appears harmonic and bright.
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ANDREA BRANZI Post Fordista Abito composto da una serie di elementi divisi secondo un ordine razionale, ciascuno all'interno della propria casella tipologica. Gli indumenti presentano le grafiche leggere tipiche del momento vacanziero, ma con un viraggio omogeneo saldamente controllato. Il momento dello svago e del lavoro sono infatti mescolati nelle professioni postfordiste. E anche gli accessori sono qui allo stesso tempo per lo svago e per il lavoro, per la connessione e la dispersione. Per la concentrazione e la diluizione. Post Fordist It is a garment made up of a series of elements, arranged according to a rational logic, each inside its own typological box. These clothes present the light drawings typical of the holiday season, with a homogeneous toning that is firmly under control. In the post-Fordist professions, in fact, leisure and work, connection and dispersion mingle, as well as concentration and dilution. This principle applies also to accessories.
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COLOMBA LEDDI Abito della raccoglitrice di carote Abito raccolto tra petali e radici, digitalizzati a mente e shakerati al computer. Pensato per andare a caccia di carote, le stesse che mangiano i conigli tra una ripresa e l'altra delle fiabe. E tuttavia, abito distante dal paese delle meraviglie, avvezzo piuttosto alle meraviglie del paese. Da indossare per attingere ai sapori delle cose che crescono vive e si accolgono in pancia. Clothes for a Carrot—Picking Girl A garment bunched together with petals and roots, which have been digitalized by heart and shaken on the computer. It is meant for picking carrots, the ones that rabbits eat during the shooting of tales. However, it is a garment far from wonderland but perhaps accustomed to the wonders of our country. We should wear this garment to draw the taste of things that grow alive and we harbour in our stomach.
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MATTEO GUARNACCIA Abito del latore di buone notizie Abito-pigiama per abitare la notte, ispirato al pigiamino che indossa Little Nemo di Winsor McCay mixato con la tuta da cosmonauta di Dan Dare di Frank Hampson e con un classico outfit da sciamano siberiano. La notte è un tempo autonomo fatto di nebbia scura mai del tutto impenetrabile, che non ha un vero inizio e nemmeno una fine, a cui si può accedere solo indossando un pigiama, perché i mostri vivono sotto il letto ed è bene rintanarsi tra le coperte se non ci si vuole fare afferrare per i piedi. Clothes for the Bearer of Good News This garment is a sort of pyjamas to live in the night and it is inspired by the sleeping suit worn by Little Nemo by Winsor McCay mingled with the space suit of Dan Dare by Frank Hampson and with a classic outfit for a Siberian shaman. Night is an independent time made of dark fog, not fully impenetrable, without a proper beginning or end, to which one can gain access only if wearing pyjamas, because monsters dwell under the bed and we‘d better hide ourselves under the blanket, if we do not want to have our feet grabbed.
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NACHO CARBONELL Time to Work Comodo, unitario come una tuta, abito che si sviluppa senza soluzione di continuità in un lungo cappuccio all'interno del quale si possono trovare attrezzi, idee, strenne di Natale. Perché creare oggetti senza categoria è un lavoro imprevedibile per cui è necessario essere pronti a tutto. Time to Work Comfortable, in one piece like overalls, this garment develops without interruption into a long hood, able to contain tools, ideas and Christmas gifts. Making funky objects is an unpredictable job and one should be ready for anything.
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ANDREA SALVETTI Grembiule per lavori normali L'abito da lavoro deve proteggere il corpo, come un'armatura. Ma deve anche essere leggero, aliante, come una professione nella società del terziario avanzato. L'abito è allora qui in alluminio, per essere trasformato in corazza all'occorrenza ma celermente rimosso non appena le condizioni di contorno si modificano. Scudo solido ma friabile per i pericoli materiali che si nascondono nel lavoro immateriale. Apron for Regular Jobs Work clothes should protect our body, like a suit of armour, but they should be light as well, like a glider, like a job in our quaternary services society. Therefore, this garment is by aluminium, to act as a suit of armour when needed but removable as soon as context conditions change. It is a tough but crumbly shield against the material dangers hidden in immaterial jobs.
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ISSEY MIYAKE Extreme Film, Collezione A/I 13 Abito riflettente senza un interno, tutto orientato verso un’esteriorità assoluta, aliena. Realizzato con il tessuto termico impiegato nei soccorsi d’emergenza per essere usato sulla terra, luogo alieno per eccellenza. Extreme Film, AW13 Collection This reflective clothing does not have any lining. It is completely oriented towards absolute, alien outward appearances. Made of the thermal fabric employed for emergency rescue, it is meant to be used on our Earth, alien place par excellence.
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BIOGRAFIE
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TOSHIYUKI KITA Toshiyuki Kita ha ampliato il suo campo creativo dal Giappone all’Italia e all’arena internazionale fin dal 1969 in qualità di designer ambientale e industriale. Ha progettato e creato molti apprezzati articoli per i produttori europei e giapponesi, dai mobili ai televisori LCD, dai robot agli oggetti di uso quotidiano, dagli utensili alle attrezzature. Molti dei suoi lavori sono conservati nelle collezioni permanenti dei musei di New York, Parigi, Monaco eccetera. GENTUCCA BINI Gentucca Bini (nata a Milano nel 1970) è una stilista che ha seguito le orme della nonna. Fin dall’inizio i suoi progetti hanno affascinato il mondo ufficiale della moda e molte delle sue creazioni, cappelli e altri accessori, apparvero nelle collezioni delle maggiori firme. Dopo aver aperto il proprio atelier, i suoi prodotti sono divenuti estremamente accurati in ogni dettaglio, mirati a donne di grande personalità ma che non rinunciano alla propria femminilità. GUDA KOSTER Guda Koster è nato ad Alkmaar (Paesi Bassi) nel 1957 ma vive e lavora ad Amsterdam. Il suo lavoro consiste soprattutto di installazioni, sculture e fotografie in cui l’abito recita una parte importante. L’abito non ha solo una funzione ma invia anche un messaggio, perché nella vita di tutti i giorni noi comunichiamo identità e posizione sociale soprattutto attraverso l’abito. Ha frequentemente esposto i suoi lavori in patria e all’estero (Germania, Cina, Corea, eccetera). CLARA ROTA Clara Rota, milanese, risiede da qualche anno a Livorno. Da sempre ha sperimentato l’universo cartaceo in tutte le sue forme, dal restauro agli oggetti di arredo, dalle decorazioni agli allestimenti di mostre. Ha tenuto numerose mostre personali e collettive di scultura e ha pubblicato due manuali: Intaglio della carta e Fare e decorare la carta. Oltre la carta Clara Rota non disdegna altri materiali, soprattutto tessili, coi quali si diletta tra abiti e sculture.
MARGHERITA PALLI Margherita Palli nel 1984 inizia una proficua e costante collaborazione con Luca Ronconi che la porta a creare le scenografie per moltissimi spettacoli di prosa e operistici realizzati dal regista in vari teatri in Italia e nel mondo (Venezia, Milano, Roma, Salisburgo, Bruxelles, eccetera). Ha vinto moltissimi premi, tra cui il Premio UBU, il Premio Abbiati, il Premio Gassman eccetera e nel 2007 entra nel Guinness World Records con il muro di schermi più grande del mondo. A M B A M O L LY Amba Molly (Paesi Bassi, 1984) è un designer che apprezza l’estetica sia del mondo artigianale sia di quello industriale. Essa immagina che in futuro i prodotti industriali includeranno parti fatte dalla mano di un artigiano e viceversa. Questo interesse alla combinazione di due mondi nasce dalla sua origine multiculturale (Suriname/ Olanda). Secondo lei questa impollinazione incrociata di discipline amplierà il settore del design. NATHALIE DU PASQUIER Nathalie Du Pasquier è nata a Bordeaux (Francia) nel 1957. Vive e lavora a Milano dal 1979. Fino al 1986 ha lavorato come designer ed è stata membro fondatore di Memphis. Ha disegnato numerose “superfici decorate “: stoffe, tappeti, laminati plastici, ma anche mobili e oggetti. Dal 1987 la pittura è diventata la sua attività principale. Il suo lavoro è stato frequentemente esposto ad Hong Kong, Edimburgo, Milano eccetera.
Ph. by Pascal Moscheni
TOSHIYUKI KITA Toshiyuki Kita has extended his creative field from Japan to Italy and onto the international arena as an environmental and industrial designer ever since 1969. He has designed and created many highly acclaimed products for European and Japanese manufacturers, ranging from furniture, LCD TV sets, and robots to everyday household goods, utensils and appliances. Many of his works are held in permanent collections of museums in New York, Paris, Munich and elsewhere.
GUDA KOSTER Guda Koster was born in Alkmaar (the Netherlands) in 1957 but he lives and works in Amsterdam. His work mainly consists of installations, sculptures and photographs in which clothing plays an important role. Clothing does not just have a function but also conveys a message, because in our everyday lives we communicate identity and social position primarily by means of our clothing. He has extensively exhibited his works at home and abroad (Germany, China, Korea, etc.). CLARA ROTA Clara Rota, born in Milan, lives and works in Livorno. She has always tried to experience the whole paper universe, from restoration to furnishing objects, from decorations to exhibition installations. She has held numerous oneman and group shows of sculpture and has published two books: “Paper cutting” and “Making and decorating paper”. Besides paper, Clara Rota is not averse to other materials, mainly textiles, by which she likes to make clothing and sculptures.
MARGHERITA PALLI Margherita Palli in 1984 starts a fruitful and steady collaboration with Luca Ronconi, designing the stage sets of numberless prose and opera shows in various theatres in Italy and abroad (Venice, Milan, Rome, Salzburg, Bruxelles, etc.). She has won numerous prestigious prizes, such as UBU Award, Abbiati Award, Gassman Award, etc. In 2007, she entered the Guinness World Records for building the largest screen wall. A M B A M O L LY Amba Molly (the Netherlands, 1984) is a maker who appreciates the aesthetics of both the craft world and the industrial world. She envisions that in the future industrial products will include parts made by an artisan’s hand and vice versa. This interest in combining two worlds arises from her multicultural background (Dutch - Surinamese). In her opinion, this cross-pollination of disciplines will broaden the field of design. NATHALIE DU PASQUIER Nathalie Du Pasquier was born in Bordeaux (France) in 1957, but she lives and works in Milan from 1979. Until 1986, she worked as a designer and was a founder member of Memphis. She designed numerous “decorated surfaces”: textiles, carpets, plastic laminates but also furniture and objects. In 1987, painting became her main activity. She has extensively exhibited her work in Hong Kong, Edinburgh, Milan, etc.
BIOGRAPHIES
GENTUCCA BINI Gentucca Bini (born in Milan in 1970) is a fashion designer, who followed her grandmother’s example. From the beginning her projects have intrigued the Mainstream fashion world and many of her creations, like hats and other accessories, appeared in major brands’ collections. After starting her own atelier, her products became extremely accurate into the smallest details, focused on woman, with strong personality but never giving up her femininity.
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BIOGRAFIE
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ALBERTO ASPESI Fin dal 1969, anno della sua fondazione da parte di Alberto Aspesi, il marchio si è distinto per la ricerca sull’abbigliamento basico classico. Aspesi ha concentrato il suo sviluppo sulla ricerca di tessuti esclusivi e all’avanguardia. La selezione dei materiali principali è aggiornata e leggermente rivisitata ogni anno, così come i modelli iconici sono reinterpretati e progressivamente ampliati ad ogni stagione. La fabbrica di Aspesi, situata a Legnano. Oltre ai negozi monomarca, le collezioni Aspesi sono vendute in Italia, Europa,EE.UU e Giappone. Con il suo spirito non convenzionale e intenzionalmente non pubblicizzato, Aspesi ha conquistato un seguito di clienti esigenti e affezionati BERTJAN POT Bertjan Pot è un designer olandese, noto soprattutto per la sua Random Light (1999). La luce era all’inizio ricerca di materiale, che è il punto di partenza per ogni prodotto creato dallo Studio Bertjan Pot. Il risultato è di solito un prodotto di interni che subisce il fascino di tecniche, strutture, modelli e colori. Pot affronta la sfida con i produttori per esplorare le possibilità e spingere i limiti un po’ oltre. Il premio per ciascuna sfida è sempre nuovo. ALLAN WEXLER Allan Wexler ha lavorato nel campo dell’architettura, del design e dell’arte per quarantacinque anni. Costruisce edifici, mobili, recipienti e utensili come fondali e attrezzi della quotidiana, normale attività umana. E’ dissolvendo i confini fra arte e arti applicate, fra design d’arredo, architettura e spettacolo teatrale, fra scultura e design di mostre interattive che fioriscono nuove idee innovative. MELLA JAARSMA Mella Jaarsma è nata ad Emmeloord (Paesi Bassi) nel 1960 e si è trasferita in Indonesia nel 1984. E’ diventata famosa per le elaborate installazioni di costumi e per le performance di cucina. Il suo lavoro è stato esposto in Indonesia e in eventi artistici internazionali a Singapore, Bangkok, Helsinki, New York, ecc. Le sue opere si trovano in importanti collezioni pubbliche a Brisbane, Melbourne e Singapore.
ANTONIO MARRAS Antonio Marras nasce ad Alghero, Sardegna, terra che segna profondamente la sua cifra stilistica. Fin dall’inizio della sua attività (1996) sono presenti gli elementi chiave del suo stile: l’attenzione all’artigianalità, la Sardegna come spunto d’ispirazione, il filo conduttore del “ligazzio rubio” (in sardo, il legaccio rosso) che diventa trademark del suo stile. Nel 2003 è nominato direttore artistico della Maison Kenzo, con cui rimane fino al 2011. TARSHITO Tarshito nasce in Puglia, Italia, nel 1952. Architetto e artista, lavora tra l’ Occidente e l’ Oriente sulla Spiritualita’, Creativita’ e Tradizione. Tarshito non appartiene a correnti, è un outsider delle tendenze e un insider di quel flusso di ispirazione che dal Cielo scende sulla Terra. Adotta materiali e simboli che appartengono a tradizioni e culture antiche, ma il suo lavoro aderisce al presente e vuole contribuire a costruire il futuro. OTTO VON BUSCH Il Dott. Otto von Busch è docente di design al Konsfack University College di Stoccolma e professore associato e ricercatore al Parsons the New School for Design di New York. Ha una formazione in arte, artigianato, design, teoria e critica della moda. Nella sua ricerca e nel suo lavoro esplora come il design e l’artigianato possano essere condivisi fra molti partecipanti come nuova forma di impegno civile, attivismo sociale e misticismo della liberazione.
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BERTJAN POT Bertjan Pot is a Dutch designer, probably best known for his Random Light (1999). The light started as a material research, which is the starting point for each product created by Studio Bertjan Pot. The outcome is usually an interior product showing a fascination for techniques, structures, patterns and colors. Pot takes on challenges with manufacturers to explore possibilities and push the boundaries a bit. The reward for each challenge is a new one.
ANTONIO MARRAS Antonio Marras was born in Alghero in Sardinia. This region deeply influences his work. From the beginning of his activity (1996), the main elements of his style are already present: great attention to artisanship, Sardinia as a source of inspiration, the common thread of “ligazzio rubio” (i. e. “red string”), that becomes his trademark. In 2003, he is appointed artistic director of Maison Kenzo, where he stays until 2011.
ALLAN WEXLER Allan Wexler has worked in the fields of architecture, design and fine art for forty-five years. He makes buildings, furniture, vessels and utensils as backdrops and props for everyday, ordinary human activity. It is by dissolving the boundaries between the fine arts and the applied arts, between furniture design, architecture and theatrical performance, between sculpture and interactive exhibition design that new ideas and innovation flourish.
TARSHITO Tarshito was born in Apulia, Italy, in 1952. He is an architect and artist working between the East and the West on Spirituality, Creativity and Tradition. Tarshito does not belong to trends, he is an outsider to them and an insider to that flow of inspiration from Heaven that comes down to Earth. He adopts materials and symbols that belong to ancient cultures and traditions, but his work adheres to the present and he wants to contribute to building the future.
MELLA JAARSMA Mella Jaarsma was born in Emmeloord, the Netherlands, in 1960 and moved to Indonesia in 1984. Jaarsma has become known for her elaborate costume installations and cooking performances. Her work has been shown in exhibitions in Indonesia as well as in international art events in Singapore, Bangkok, Helsinki, New York, etc. Her work is in major public collections in Brisbane, Melbourne and Singapore.
OTTO VON BUSCH Dr. Otto von Busch is professor in design at Konstfack University College in Stockholm, assistant professor and researcher at Parsons the New School for Design in New York. He has a background in arts, craft, design, theory and critical fashion practice. In his research and practice, he explores how design and craft can be hacked and shared among many participants as new forms of civic engagement, social activism and liberation mysticism.
BIOGRAPHIES
selective offering. Located in Legnano, Italy an arsenal of favorite materials is updated and tweaked slightly each year, just as its iconic models are re-featured each season and gradually added upon as needed. The brand is sold exclusively in Aspesi stores and selected shops Italy, Europe,EE.UU and Japan. Unconventional and purposefully under-promoted, Aspesi has nonetheless captured a dedicated following of discerning customers who respond to superb quality and distinction.
Ph. by BentSynnevag
Ph. by Mario Sorrenti
ALBERTO ASPESI Since its founding by Alberto Aspesi in 1969, the Aspesi brand has been defined by its unwavering pursuit of basic, timeless classics. Frill-free, the emphasis of the clothes is on impeccable cuts and exceptional materials. Year after year, the Italian brand undergoes extensive fabric research, bringing the latest developments to its
Ph. by Luca Quagliato
BIOGRAFIE
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CANO Cano, nato nel 1976 a Milano, inizia a dipingere per le strade, su muri, treni, banchine e tunnel della metropolitana. Realizza grandi lavori scenografici per importanti aziende per poi approdare alla tela, anche se spesso di grandissime dimensioni. Oltre che in Italia, ha esposto le sue opere a New York, in Brasile, in Svizzera e in Argentina. COOP HIMMELB(L)AU Wolf D. Prix (nato a Vienna nel 1942) è co-fondatore, Direttore di Design e Amministratore Delegato di COOP HIMMELB(L)AU. Dal 1993 al 2011 è stato docente di Architettura all’Università di Arti Applicate di Vienna ma anche professore invitato a Londra e negli Stati Uniti. Sophie C. Prix (nata a Berlino nel 1975) è associata anziana di Coop Himmelblau. E’ stata architetto e designer di molti dei progetti Coop Himmelblau come la Chiesa Martin Lutero a Hainburg o il Padiglione Opera 21 a Monaco. FRÉDÉRIQUE MORREL Frédérique Morrel, fondata dalla coppia parigina Frédérique Morrel e Aaron Levin, è un’avventura artistica disegnata per esplorare il paradiso perduto e gli animali dell’Eden, usando come materia prima le dismesse tappezzerie popolari ritrovate nelle svendite da giardino e nei negozi dell’usato. Le creazioni sono “ri-fatte” a mano mediante stampi tassidermici di fibreglass e tessuti. Gli “artefatti” sono disegnate per ri-incantare il mondo, usando materiali che raccontano storie di semplice, ideale felicità. RODRIGO ALMEIDA Rodrigo Almeida è un designer autodidatta, nato nel 1977 a San Paulo. Egli rappresenta diversi aspetti della cultura brasiliana, che ha riferimenti storici ed estetici provenienti dalla mescolanza di razze della popolazione brasiliana. Ispirato dal movimento del Tropicalismo, egli combina diversi materiali, oggetti, trame, colori e linguaggi, che parlano fra di loro su base sperimentale. I suoi lavori, estremamente colorati, sono stati esposti in tutto il mondo.
NUALA GOODMAN Nuala Goodman è nata a Dublino e vive a Milano dagli anni ‘80. Il suo sguardo al mondo del design è sempre quello di un’artista. Utilizza pittura, tessuti e tecniche miste nella ricerca di creare un linguaggio visivo singolare. Ha lavorato con Alessi, Swatch, Moroso, I+I, nella moda con Biffi, Pellini, Aspesi e altri. Le sue opere d’arte sono presenti nelle collezioni permanenti del Museo Fortuny a Venezia, nel museo dell’OPW, Irlanda e in numerose collezioni private. DEA CURIC Dea Curic, nata in Croazia nel 1986, è approdata alla moda attraverso una collaborazione con Dolce&Gabbana, dopo diverse esperienze di lavoro nelle arti visive, musica, scrittura e arte grafica. Nel settembre 2013 decide di aprire un suo marchio, dea mademoiselle, che si specializza in motivi originali disegnati a mano. Dea è anche cantastorie e scrive favole per adulti. Presto le illustrazioni delle favole diventeranno motivi tessili. AFRAN Afran, Francis Nathan Abiamba, nasce in Camerun nel 1987. Coltiva la pittura, sua grande passione, presso gli atelier dei più grandi pittori camerunesi e congolesi. Attento alle problematiche ambientali e alla tutela dell’identità culturale, usa la Public Art (installazioni e performance) per rendere l’arte alla portata di tutti. Ha esposto le sue opere in Guinea Equatoriale, Camerun, Spagna e Italia, dove ora risiede.
Ph. by Maurizio Marcato
CANO Cano (born in Milan in 1976) starts painting on the streets, on walls, trains, platforms and tunnels of the subway. He makes wide spectacular works for major companies but later he lands in canvas, often of large dimensions, though. Besides Italy, he has exhibited his works in New York, Brazil, Switzerland and Argentina.
FRÉDÉRIQUE MORREL Frédérique Morrel, founded by Parisian couple Frédérique Morrel and Aaron Levin, is an artistic adventure designed to explore paradise lost and the animals of Eden, using as raw material the discarded popular tapestries found in yard sales and thrift shops. The creations are “re-made” by hand using fibreglass taxidermy moulds and textiles. The “artefacts” are designed to re-enchant the world using materials that tell stories of simple, ideal happiness. RODRIGO ALMEIDA Rodrigo Almeida is a self-taught designer born in 1977 in Sao Paulo. He represents several aspects of Brazilian culture, which has distinctive historical and aesthetical references stemming from the mixture of races among Brazilian people. Inspired by the Tropicalism movement, he combines different materials, objects, textures, colors and languages talking to each other on an experimental basis. His amazingly colorful works have been exhibited worldwide.
NUALA GOODMAN Nuala Goodman was born in Dublin but moved to Milan in the 1980’s. She always looked at design as an artist. She makes use of painting, fabrics and mixed techniques trying to achieve a distinctive visual language. She has worked with Alessi, Swatch, Moroso, I+I and in the field of fashion with Biffi, Pellini, Aspesi and many others. Her works are present in the permanent collection of Fortuny Museum in Venice, in the Museum of OPW in Ireland and in many private collections. DEA CURIC Dea Curic, born in Croatia in 1986, has landed in fashion by collaborating with Dolce&Gabbana, after several work experiences in visual arts, music, writing and graphic art. In September 2013, she decides to start her own brand, dea mademoiselle, which specializes in original hand-drawn pattern. Dea is also a storyteller, she writes fairy tales for adults. Soon her illustrations of tales will become textile patterns. AFRAN Afran, Francis Nathan Abiamba, was born in Cameroon in 1987. He devoted himself to painting in the studios of the major painters in Cameroon and Congo. He is deeply interested in environment problems and in protecting cultural identity. He makes use of Public Art (installation and performances) in order to put art within everyone’s reach. He has exhibited his works in Equatorial Guinea, Cameroon, Spain and Italy, where he presently lives.
BIOGRAPHIES
COOP HIMMELB(L)AU Wolf D. Prix, born in 1942 in Vienna, is co-founder, Design Principal and CEO of COOP HIMMELB(L)AU. From 1993 to 2011, he was Professor for Architecture at the University of Applied Arts in Vienna but he also taught as a visiting professor in London and the USA. Sophie C. Prix, born in 1975 in Berlin, is a senior associate at Coop Himmelblau. She has been the design architect for several Coop Himmelblau projects like the Martin Luther Church in Hainburg or the Opera Pavillion 21 in Munich.
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BIOGRAFIE
134 FAYE TOOGOOD Faye Toogood è una designer inglese. I suoi mobili ed oggetti dimostrano preoccupazione per la materialità e la sperimentazione. Tutti i suoi pezzi sono fatti a mano da piccole aziende o artigiani tradizionali, che rispettano la grezza irregolarità del materiale prescelto. Il suo lavoro è altamente scultoreo e deriva da pura autoespressività ed istinto. Ciò le permette di sperimentare con i materiali e i processi che dominano il suo pensiero a un determinato momento. ANGELA MISSONI Angela Missoni è Direttore Creativo di Missoni dal 1997. Da allora Missoni ha conquistato una sua nuova autorevolezza, proiettando nel futuro gli oltre sessant’anni di storia di un’impresa tra le più longeve del Made in Italy. FRANCO MAZZUCCHELLI Franco Mazzucchelli nasce nel 1939 a Milano, dove tuttora vive e lavora. Studia - sogna - gioca - dipinge - scolpisce - insegna - presiede - ispeziona - pensa - progetta - gonfia sgonfia - abbandona - sostituisce - si riappropria. La sua produzione artistica segue da vicino il clima culturale contemporaneo, analizzando il problema dello spazio e la sua utilizzazione in senso lato. Attualmente lavora a un altro progetto che ha chiamato BD (Bieca Decorazione). ALESSANDRO MENDINI Alessandro Mendini è nato a Milano. Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora con compagnie internazionali ed é consulente di varie industrie in Europa e nell’Estremo Oriente, per l’impostazione dei loro problemi di immagine e di design. Suoi lavori si trovano in vari musei e collezioni private. Il suo lavoro, teorico e scritto, oltre che progettuale, si sviluppa all’incrocio fra arte, design e architettura.
NANNI STRADA Nanni Strada, milanese, è nota per aver introdotto il linguaggio del design nella creazione di moda. Il suo approccio trasversale, saldamente ancorato ai principi della sperimentazione industriale, è sempre stato connotato da una sorprendente concretezza. Nel corso della sua carriera ha disegnato abiti “da viaggio” comprimibili imitati in tutto il mondo. I suoi lavori sono stati esposti in prestigiose istituzioni internazionali a New York, Parigi, Los Angeles, Londra, ecc. DENISE BONAPACE Denise Bonapace è una progettista che indaga il rapporto tra corpo e abito: la moda, per lei, è linguaggio del progetto applicato al corpo e alla persona. E’ stata consulente per diverse aziende di moda italiane, e ha parallelamente sviluppato progetti sperimentali personali. I suoi progetti sono stati esposti in eventi ed esposizioni a Milano, Pechino, Shangai, San Francisco, ecc. MELISSA ZEXTER Melissa Zexter è nata in Rhode Island, Stati Uniti e attualmente vive e lavora a Brooklyn, New York. Ha esposto in tutti gli Stati Uniti e il suo lavoro è stato pubblicato e recensito in numerose importanti pubblicazioni. Per molti anni Zexter ha combinato il lento e meditativo processo di ricamo a mano con il più immediato strumento tecnologico della fotografia. I suoi ritratti e il suo lavoro figurativo esplorano l’identità e le rappresentazioni della femminilità.
FAYE TOOGOOD Faye Toogood is a British designer. Her furniture and objects show a preoccupation with materiality and experimentation. All of her pieces are handmade by smallscale fabricators and traditional artisans, with honesty to the rawness and irregularity of the chosen material. Her highly sculptural work derives from pure self-expression and instinct. This allows her to experiment with the materials and processes that dominate her thinking at a particular time. ANGELA MISSONI Angela Missoni has been Creative Director for Missoni since 1997. Since then Missoni has gained new authoritativeness, casting into the future the more than sixty-year long history of this longest-lived company of Made in Italy. FRANCO MAZZUCCHELLI Franco Mazzucchelli was born in 1939 in Milan, where he still lives and works. He studies, dreams, plays, paints, sculpts, teaches, presides over, inspects, thinks, designs, inflates, deflates, leaves, replaces and repossesses. His artistic production seems to follow closely the contemporary cultural climate by analyzing the problem of space and its usability in a wide sense. He is now working to a new project that he calls BD (Bieca Decorazione i.e. Grim Decoration). ALESSANDRO MENDINI Alessandro Mendini was born in Milan. He has produced objects, furniture, rooms, paintings, installations, architectures. He collaborates with international companies and is a consultant for setting their problems of image and design. His works can be found in museums and private collections. His theoretical and written work and his projects move between art, design and architecture.
NANNI STRADA Nanni Strada (born in Milan) is known for introducing the design language into fashion creation. Her transversal approach, steadily based on industrial experimentation principles, has always been marked by an amazing concreteness. Throughout her career, she has designed squeezable “suitcase� clothes that have been imitated all over the world. Prestigious international institutions have exhibited her works in New York, Paris, Los Angeles, London, etc. DENISE BONAPACE Denise Bonapace is a designer that looks into the interconnection between body and garment: in her opinion fashion is the language of design applied to the body and to the person. She has been a consultant for different Italian fashion houses, while developing her own personal experimental projects. Her work has been exhibited in several international events in Milan, Beijing, Shanghai, San Francisco, etc. MELISSA ZEXTER Melissa Zexter was born in Rhode Island, USA and currently lives and works in Brooklyn, New York. She has exhibited throughout the United States and her work has been published and reviewed in numerous outstanding publications. For many years, Zexter has combined the slow and meditative process of hand-sewn embroidery with the technologically immediate medium of photography. Her portraits and figurative work explore identity and representations of femininity.
BIOGRAPHIES
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Ph. by Andy Gotts
ELIO FIORUCCI Elio Fiorucci è nato a Milano nel 1935. A partire dal 1967, anno in cui apre il suo primo negozio, lo “stile Fiorucci” diventa sinonimo di innovazione creativa e coraggio imprenditoriale. Molte delle sue iniziative si impongono sul mercato nel campo della moda e del “lifestyle”. I suoi negozi nel mondo diventano il punto di incontro di artisti, musicisti e intellettuali che gli riconoscono un importantissimo ruolo come stilista, talent scout, imprenditore e comunicatore.
BIOGRAFIE
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LUCIA PESCADOR Lucia Pescador è nata a Voghera nel 1943. Ha lavorato prevalentemente su supporti di carta, spesso carte già usate come pagine di registri contabili o di libri, pagine di musica e vecchie fatture, privilegiando il disegno e l’acquerello. Ha esposto in gallerie private e musei dal 1965 con esposizioni collettive e personali in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Austria, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Egitto, India e Cina.
DANIELE INNAMORATO Daniele Innamorato è un artista e designer italiano che lavora a Milano. Ha studiato fotografia ma è diventato famoso come pittore autodidatta. Dal 2003 ha tenuto mostre personali a Milano, Bologna, Parigi e Dubai. Le sue opere sono state presentate in molte collettive e in varie fiere internazionali di arte e design. Daniele Innamorato è uno dei fondatori del collettivo artistico e della rivista indipendente “Kings”.
KLAUDIO CETINA Klaudio Cetina è nato a Fiume, in Croazia nel 1968. Si è occupato di grafica, architettura, moda, teatro, design, allestimenti museali. Ha creato abiti, tessuti, biancheria da letto e da cucina, cartoleria; ha progettato numerose scenografie per mostre e spettacoli teatrali e ha curato l’immagine coordinata di innumerevoli progetti editoriali per importanti case editrici. Egli inoltre utilizza la fotografia come strumento unificante delle diverse discipline.
ERWIN WURM Erwin Wurm (nato nel 1954) è un artista austriaco che attualmente vive e lavora a Vienna e Limburg. Fin dai tardi anni ’80, ha sviluppato una serie, tuttora in corso, di “Sculture in un Minuto”, in cui pone se stesso o i suoi modelli in un rapporto inatteso con oggetti quotidiani a portata di mano, proponendo allo spettatore di interrogarsi sulla definizione stessa di scultura. Nel creare una scultura egli cerca di usare la via più breve, una forma di espressione chiara e veloce, talvolta umoristica.
VIVIENNE WESTWOOD Vivienne Westwood è una delle icone della nostra epoca. Insieme a Malcolm McLaren, Vivienne ha creato il fenomeno globale del Punk, gestendo un piccolo negozio di abbigliamento alla fine di King’s Road. In seguito le sue collezioni ispirate a dipinti settecenteschi ebbero un profondo impatto sulla moda e sulla sartoria, rinvigorendo tutta l’industria del tweed inglese. E’ attivamente impegnata nella difesa dei diritti umani e dell’ambiente.
ANDREA BRANZI Andrea Branzi, architetto e designer, è nato a Firenze ma vive e lavora a Milano dal 1974. Ha fatto parte del movimento di “Architettura Radicale”. Si occupa di design industriale e sperimentale, architettura, progettazione urbana, didattica e promozione culturale. Nel 1982 ha co-fondato e diretto Domus Academy, prima scuola post-universitaria di design. I suoi progetti sono conservati presso molti musei a Parigi, Gent, New York, Denver, ecc.
Ph. by ASerena Vitale
DANIELE INNAMORATO Daniele Innamorato is an Italian artist and designer based in Milan. He studied photography but became renowned as a self-taught painter. Since 2003, he has held one-man shows in Milan, Bologna, Paris and Dubai. His artworks have also been featured in many group exhibitions and in various international contemporary art and design fairs. Daniele Innamorato is one of the founders of the artistic collective and independent art magazine “Kings”.
design, museum installations. He has created clothing, textiles, bed and kitchen linen, stationery. He has designed numerous sceneries for exhibitions and theatre shows, and the corporate branding of several publishing projects for outstanding publishers. Besides, he makes use of photography as a unifying tool of the different disciplines.
ERWIN WURM Erwin Wurm (born 1954) is an Austrian artist who currently lives and works in Vienna and Limburg. Since the late 1980s, he has developed an ongoing series of “One Minute Sculptures” in which he poses himself or his models in unexpected relationships with everyday objects close at hand, prompting the viewer to question the very definition of sculpture. He seeks to use the shortest path in creating a sculpture, a clear and fast, sometimes humorous, form of expression.
VIVIENNE WESTWOOD Vivienne Westwood is one of the icons of our time. Together with Malcolm McLaren, she invented Punk global phenomenon, after opening a small dress shop at the end of King’s Road. Later her collections inspired by eighteencentury paintings had a deep impact on fashion and dressmaking, giving new strength to British tweed industry. She is actively committed to defending human rights and environment.
ANDREA BRANZI Andrea Branzi, architect and designer, was born in Florence but lives and works in Milan from 1974. He was a member of the “Radical Architecture” movement. He dealt with industrial and experimental design, architecture, urban design, teaching and cultural promotion. In 1982 he has been co-founder and director of Domus Academy, the first post-graduate design school. His projects are held in many museums in Paris, Gent, New York, Denver, etc.
KLAUDIO CETINA Klaudio Cetina was born in Rijeka (Croatia) in 1968. He has dealt with graphic art, architecture, fashion, theatre,
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BIOGRAPHIES
Ph. by Andy Gotts
LUCIA PESCADOR Lucia Pescador was born in Voghera in 1943. She has mainly worked on paper and often on used sheets of paper, such as account books, music scores or old invoices. Her techniques are mostly drawing and watercolour. Since 1965, she has exhibited her works in museums and private galleries, in group shows or one-man exhibitions, in Italy, France, Belgium, the Netherlands, Austria, Great Britain, Germany, United States, Egypt, India and China.
ELIO FIORUCCI Elio Fiorucci was born in Milan in 1935. From 1967, when he opened his first store, the “Fiorucci style” is a synonym of creative innovation and entrepreneurial bravery. Some of his initiatives become very popular in the field of fashion and “lifestyle”. His stores all over the world are the meeting points of artists, musicians and intellectuals who appreciate his outstanding role as a fashion designer, talent scout, manager and communicator.
BIOGRAFIE
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Ph. by Brigitte Lacombe
COLOMBA LEDDI Colomba Leddi è nata a Milano. Nel 1992 entra nel Gruppo Frammenti per sperimentare diverse tecniche artigianali da applicare all’abbigliamento ma in seguito la sua ricerca si è orientata alle immagini. Fotografie, scansioni di materiali tessuti, ricami ed elementi naturalistici sovrapposti vengono impresse sul tessuto e sulla carta da parati e diventano abiti, tappeti, tende, armadi e soprattutto installazioni tessili. MATTEO GUARNACCIA Matteo Guarnaccia (Milano, 1954) è artista, saggista e storico del costume. Figura di riferimento della cultura visionaria contemporanea, è attivo nell’ arte, moda, design, scrittura, giornalismo, insegnamento, musica. Ha collaborato con grandi firme e testate (Westwood, Munari, Mendini, Vogue, Rolling Stone, ecc.). Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni quali la Triennale di Milano, la Hall of Flowers d San Francisco, ecc. NACHO CARBONELL Nacho Carbonell ha creato collezioni come, nel 2009, Evolution, che gli ha guadagnato la nomination a design dell’anno da parte del London Design Museum e che ha segnato la sua attuale collaborazione con la Galleria Rossana Orlandi. Il suo attuale stile fatto di forme organiche e di ruvide e coloratissime rifiniture lo sta conducendo su una scena internazionale di collezioni private e musei. Attualmente Nacho lavora con il suo team a Eindhoven, nei Paesi Bassi. ANDREA SALVETTI Andrea Salvetti è nato nel 1967 in provincia di Lucca, dove vive e lavora. La sua attività interessa varie tematiche muovendosi in uno spazio interdisciplinare molto ampio tra scultura , design, architettura, performance e cucina. Le opere che ne derivano spesso faticano a riferirsi e affrancarsi ad uno solo di questi settori tendendo piuttosto a unirli in senso orizzontale. Ha esposto a Venezia, Basilea, Mosca, Londra, Dubai, ecc.
ISSEY MIYAKE Issey Miyake ha fondato lo studio di design Miyake nel 1970 e ha cominciato a presentare le proprie collezioni a Parigi nel 1973. L’esplorazione di Miyake dello spazio creato fra il corpo e la stoffa che lo circonda si è evoluto, sempre partendo dal concetto di “pezzo di stoffa”. Miyake ha sempre gettato il suo sguardo sul futuro e sullo stadio successivo del design, sia che si tratti della serie “PLEATS PLEASE ISSEY MIYAKE” (1993-) o del più recente progetto d’abbigliamento “132 5. ISSEY MIYAKE” (2010-). Oggi Miyake lavora con il suo gruppo di ricerca e sviluppo chiamato Reality Lab, per esplorare nuove possibilità di fare le cose. Reality Lab. Un team di ricerca e sviluppo guidato da Issey Miyake e formato da un gruppo di designer e di tecnici del modello, alcuni dei quali sono giovani. Il team è stato formato nel 2007 e si basa sul principio di collaborazione e lavoro di gruppo. Il loro scopo è di esplorare, attraverso la ricerca e lo sviluppo di materiali e tecniche, il futuro del produrre cose, dagli abiti ai prodotti industriali. Il team cerca sempre di creare prodotti che riflettano i bisogni della gente e di trovare nuovi modi di stimolare la produzione creativa in Giappone
COLOMBA LEDDI Colomba Leddi was born in Milan. In 1992, she joins the group Frammenti in order to experiment different craft techniques to apply to clothing. Later her research turns to images. Photographs, scanning of woven materials, embroideries and superimposed naturalistic elements are imprinted on fabric, wallpaper, and change into clothes, carpets, curtains, cabinets and especially textile installations.
NACHO CARBONELL Nacho Carbonell created collections such as Evolution in 2009, which won him nominations to the design of the year by the London Design Museum, and which marked his ongoing collaboration with Galleria Rossana Orlandi. His present style of organic forms and rough and colourful finishing textures is bringing him into an international scene of private collections and museums. Nacho currently works with his team in Eindhoven, the Netherlands. ANDREA SALVETTI Andrea Salvetti was born in 1967 near Lucca (Tuscany), where he still lives and works. His activity spans many subjects and moves through a wide interdisciplinary space between sculpture, design, architecture, performance and cooking. The resulting works cannot be easily related or ascribed to just one of these areas but tend to unify them horizontally. He has exhibited his works in Venice, Basel, Moscow, London, Dubai, etc.
ISSEY MIYAKE Issey Miyake founded the Miyake Design Studio in 1970, and started to present the collections in Paris in 1973. Miyake’s exploration of the space created between the body and the cloth surrounding it has evolved, always starting from the concept of “a piece of cloth”. Miyake has constantly set his sights upon the future and the next stage of design, whether his functional and versatile “PLEATS PLEASE ISSEY MIYAKE” series (1993-) or his latest clothing project “132 5. ISSEY MIYAKE” (2010-). Today, Miyake works with his research and development team named Reality Lab. to explore new possibilities of making things. Reality Lab. A research and development team led by Issey Miyake and comprised of a group of designers and pattern engineers, some of whom are young. The team was formed in 2007, and is based upon the principle of collaboration and teamwork. Their goal is, through research and development of materials and techniques, to explore the future of making things from clothing to industrial products. It always seeks to create products that reflect what people need and to find new ways to stimulate creative production in Japan.
BIOGRAPHIES
MATTEO GUARNACCIA Matteo Guarnaccia (Milan, 1954) is an artist, an essayist and a costume historian. Reference character of contemporary visionary culture, he is active in the field of art, fashion, design, writing, journalism, teaching and music. He has collaborated with important brands and magazines (Westwood, Munari, Mendini, Vogue, Rolling Stone, etc.). His works have been exhibited in prestigious institutions such as Triennale in Milan, Hall of Flowers in San Francisco, etc.
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ARKADIA ONLUS Terranova Bracciolini (AR)
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L’abito dello stupore Non avremmo mai creduto che “la cosa” sarebbe approdata a questi risultati! “La cosa” è nata una sera, in un dopo-cena, da una risposta dell’amico Alessandro Guerriero (ospite dell’agriturismo che gestiamo) alla domanda “Faresti qualcosa per aiutarci?”. E lui ci ha subito detto: “Certo. Aprite una piccola sartoria nella vostra Onlus, che poi vediamo cosa fare”. L’idea ci aveva dapprima stupito ma ci era sembrata buona. E ci siamo dati da fare per realizzarla. Il secondo stupore è derivato dalla facilità con cui abbiamo trovato macchine e strumenti in comodato d’uso per aprire il nostro piccolo laboratorio di sartoria sociale. Lo stupore è poi aumentato quando abbiamo incontrato la disponibilità delle sarte e di molte donne del nostro paese (zie e mamme non contano) che ci hanno insegnato a diventare sarti. Ma è stato quando abbiamo visto le firme sugli schizzi degli “Abiti da lavoro” da realizzare che lo stupore è cresciuto a dismisura: artisti, stilisti e designer che offrivano gratuitamente a noi, proprio a noi, il contributo del loro importante lavoro, consentendoci di mettere in vendita abiti ad esempio firmati “Antonio Marras per Arkadia”, “Vivienne Westwood per Arkadia” etc. (impossibile citarli tutti). Infine, quando abbiamo saputo che tutto ciò avrebbe dato vita a una mostra alla Triennale di Milano lo stupore è diventato incredulità. Per questo abbiamo affittato un pullman e il giorno dell’inaugurazione saremo tutti, ma proprio tutti, presenti. Se non altro per gridare (il verbo non è eccessivo) con il nostro grazie anche il nostro stupore.
ARKADIA ONLUS Terranova Bracciolini (AR)
Astonishing clothes We would have never thought that this “thing” could achieve this result. This “thing” was born one evening, after dinner, when our friend Alessandro Guerriero, who was a guest of our holiday farm, answered the following question: “What can you do to help us?” He said immediately “Just open a small dressmaking workshop in your non-profit organization and then we will see what we can do”. The idea was quite astonishing but we still thought that it was a good idea; therefore, we did our best to implement it. Later it was quite astonishing how easily we found machines and tools on a free loan to open our small social dressmaking workshop. We were even more astonished when we found out that many dressmakers and other women in our village (not counting aunts and mothers) were ready to teach us dressmaking. However, when we saw the signatures on the sketches of the “Workwear” to be made, we were shocked. Artists, fashion designers, designers were offering us, just us, the contribution of their important work and were allowing us to sell clothes, labelled for example “Antonio Marras for Arkadia” or “Vivienne Westwood for Arkadia”, etc. (it is impossible here to mention all of them). Finally, when we knew that these clothes would be exhibited in the Triennale Museum, our astonishment almost became disbelief. For this reason we have already chartered a bus and on the occasion of the opening we will be all there, just all, to be able to shout (this verb is not excessive) our astonishment together with our thanks.
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01
ELISA GENNAI Modellista Pattern Maker
16
C L A U D I O M . ( Arkadia ) Accende e spegne le luci Switches lights on and off
02
C L A U D I O B . ( Arkadia ) Stira Irons
17
L A U R A F . ( Arkadia ) Infila gli aghi Threads needles
03
GIACOMO GHIDELLI Scrittore Writer
18
R O M I N A M . ( Arkadia ) Cuce di precisione Sews accurately
04
GIORGIA ROSANO Modellista Pattern Maker
19
KATIA DENTE Realizzazione abiti Clothes implementation
05
E R I K A ( Arkadia ) Imbastisce Bastes
20
R I C C A R D O C . ( Arkadia ) Sviluppa le taglie Develops sizes
06
E N R I C O Z . ( Arkadia ) Cuce a macchina Sews by machine
21
S I L V I A L . ( Arkadia ) Stira Irons
07
C A R M E L O S . ( Arkadia ) Mette le fodere Applies linings
22
IRENA PAMUKOVA Designer
08
F I L I P P O S . ( Arkadia ) Cuce i polsini Sews cuffs
23
ALESSANDRA GIANNINO Realizzazione abiti Clothes implementation
09
G R E G O R W . ( Arkadia ) Taglia le stoffe Cuts fabrics
24
REMO RAPETTI Traduttore Translator
10
P A T R I Z I A M . ( Arkadia ) Manichino vivente Living dummy
25
STEFANO CAGGIANO Design Interpreter
11
CATERIN SASSO Assistente di Klaudio Cetina Klaudio Cetina Assistant
26
MARIYA RUSEVA Modellista Pattern Maker
12
FABRIZIO & ANNA LOATELLI Modellisti Pellettieri Dealer in Leather Goods
27
L A R A P . ( Arkadia ) Fa gli orli Hems
13
M A S S I M O R . ( Arkadia ) Seleziona le stoffe Chooses Fabrics
28
C L A U D I O S . ( Arkadia ) Esperto di Chiaccherino Is expert at Chiaccherino points
14
E D O A R D O R . ( Arkadia ) Cuce le etichette Sews labels
29
O R A Z I O B . ( Arkadia ) Cuce di precisione Sews accurately
15
ANTONIO BONFRATE Realizzazione abiti Clothes implementation
30
S A M U E L G . ( Arkadia ) Ragazzo di bottega Apprentice
CON IL CONTRIBUTO DI
142
GRAZIA BILLIO Sviluppo di Brand Identity Brand Identity Development
46
B A R B A R A A . ( Arkadia ) Ricama Embroiders
32
P A T R I Z I A B . ( Arkadia ) Cuce e canta Sews and sings
47
ALESSANDRO OGGIANU Realizzazione Abiti Clothes Implementation
33
P A O L A U . ( Arkadia ) Fa magie con le stoffe Does magic with fabrics
48
M A U R I Z I O M . ( Arkadia ) Disegna i modelli Draws patterns
34
L I D I A P . ( Arkadia ) Aiuta gli altri Helps the others
49
ELENA BECCARO Modellista Pattern maker
35
L U C A F . ( Arkadia ) Seleziona i colori Chooses colours
50
F A B I O F . ( Arkadia ) Prepara le gugliate Fixes needlefulls
36
G I G I C . ( Arkadia ) Disegna i modelli su stoffa Draws patterns on fabric
51
S I M O N E P . ( Arkadia ) Infila gli aghi Threads needles
37
A N T O N I O L . ( Arkadia ) Realizza le asole Makes buttonholes
52
L O R E N A B . ( Arkadia ) Insegna a cucire Teaches how to sew
38
V I T T O R I O B . ( Arkadia ) Ricama a gigliuccio Embroiders gigliuccio points
53
F L O R A F . ( Arkadia ) Gestisce l’archivio modelli Runs the pattern archive
39
MAURIZIO LAZZARI Artigiano appassionato Avid crafter
54
D A N I E L E L . ( Arkadia )
41
VITTORIO GIOMO Textile Designer & Trend Forecaster
55
A L E S S A N D R O G . ( Arkadia ) Sceglie le stazioni radio Chooses radio stations
40
V A L E N T I N A S . ( Arkadia ) Cuce a macchina Sews by machine
56
CARLOMARIA FILIPPELLI Scenografo generoso Generous production designer
42
SOFIA BONINI Realizzazione abiti Clothes implementation
57
LILIANA MONDARDINI Amica che aiuta Helping friend
43
SIMONE LA BELLA Modellista Pattern Maker
58
GABRIELLA FOGLIO Comunicazione e Sviluppo Tam Tam Communication and Development Tam Tam
44
R A F F A E L E L . ( Arkadia ) Seleziona le stoffe Chooses fabrics
59
ANNA CARDANI Modellista Pattern Maker
45
G I U L I A C . ( Arkadia ) Realizza le asole Makes buttonholes
Attacca i bottoni Sews buttons
143
WITH THE CONTRIBUTION OF
31
03
01
02
04
09
08
11 10
18
17
23
16 22 21 20
32
31 30
29
19
41 37
40 38
54 39
47
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Un tempo l’abito faceva il monaco, il metalmeccanico, l’avvocato… Un tempo l’abito era la rappresentazione immediata del ruolo che occupavamo nel mondo e dell’immagine che il ruolo trasmetteva. Originariamente però l’abito è stato altro. Quando – dopo l’episodio della mela – l’uomo fu gettato nel mondo, Dio “fa all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li veste”. Consegnando l’uomo a un mondo ostile, Dio con il suo gesto dice: “Vai, ma ricorda che sei solo un uomo e che hai bisogno di una protezione perché sei limitato”. L’abito originario nasce quindi da un gesto d’amore che da un lato protegge e dall’altro segna la nostra condizione. Con la definizione delle scale di potere, però, questi due sensi sono stati in stravolti e da segno della nostra fragilità l’abito si è trasformato soprattutto in funzione e segno sociale. Il contemporaneo emergere dell’individualità ne ha però ancora una volta mutato il senso e l’abito diventa soprattutto l’espressione del proprio sé. Diventa travestimento e forma dei nostri pensieri. Se prima era l’immagine che il mondo ci attribuiva oggi è l’immagine di ciò che noi vogliamo essere nel mondo. Alessandro Guerriero
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Some time ago, the cowl did make the monk, the metalworker, the lawyer...Our clothes were the direct representation of our role in society and of our relevant image. Originally, however, clothes were something else. After the case of the apple, when man was thrown into the world, “the Lord God made garments of skin for Adam and his wife and clothed them”. When delivering man to a hostile world, God says, “Go but remember that you are just a man and that you need protection because you are limited”. Therefore, the original garment derives from a love gesture that on one side protects us and on the other underlines our condition. However, when society defined the power balance, these two meanings were upset and clothing changed from being a mark of our fragility into a social function and sign. Nowadays, our individualism changed once again this meaning and clothing became above all the expression of our own self. It is now a way of disguising our thoughts and of giving them a new shape. Once it was the image that the world gave us but now it is the image of what we want to be in the world.
CANO COOP HIMMELB(L)AU FRÉDÉRIQUE MORREL RODRIGO ALMEIDA NUALA GOODMAN DEA CURIC AFRAN FAYE TOOGOOD ANGELA MISSONI FRANCO MAZZUCCHELLI ALESSANDRO MENDINI NANNI STRADA DENISE BONAPACE MELISSA ZEXTER LUCIA PESCADOR KLAUDIO CETINA VIVIENNE WESTWOOD
Alessandro Guerriero
ELIO FIORUCCI DANIELE INNAMORATO ERWIN WURM ANDREA BRANZI COLOMBA LEDDI MATTEO GUARNACCIA NACHO CARBONELL ANDREA SALVETTI ISSEY MIYAKE