novembre 2012 EDITORE: sergio curtacci CAPO REDATTORE: vania elettra tam COLLABORATORI DI REDAZIONE marco besana isabella elena avanzini giorgio barassi raffaella caruso silvia giulia fabbri SI RINGRAZIA PER LA PREZIOSA COLLABORAZIONE Paola C. Manfredi Studio Via Marco Polo, 4 ‐ 20124Milano Tel . +39 02 87 23 80 04 F + 39 02 87 23 80 14 Fax + 39 02 87 23 80 14 press@paolamanfredi.com
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INDICE ARTISTI IN EVIDENZA ARON DEMETZ ENRICO ROBUSTI ANTONIO DE LUCA SONO… SARANNO FAMOSI Andrea Carpita Pietro Maietta Barbara Bonfilio Ester Negretti Giuseppe Biguzzi Max Petrone Roberto Fontana Emila Sirakova Degal Andrea Greco Marco Rea Irene Lucia Vanelli Roberta Ubaldi Angela Viola Rudy Cremonini Jessica Rimondi Alessio Bolognesi Annamaria Di Giacomo Stefania Zocco
FRATTURA SCOMPOSTA novembre 2012
GALLERIA IN EVIDENZA Vecchiato Art Galleries ‐ Padova Il nuovo progetto ‐ Vecchiato stART VISITATI PER VOI Alvaro Siza ‐ viagem sem program The small utopia ars multiplicata Silvio Porzionato ‐ Back to grey Vania Elettra Tam – cielo, cielo… mi manca PROGETTI SPECIALI Annamaria Di Giacomo e Stefania Zocco Devi piegarti verso ciò che raccogli. L’ospite ostile Manuale per artisti CircoloQuadro ‐ Milano L'INFORMATORE ARTISTICO 21, rue la Boétie Vivian Maier Guernica,il falso mito Keith Haring, la liturgia dei segni La congiuntura La Biennale è come una macchina del vento Alex MacLean progetto “Up on the Roof” d ARTISSIMA 19 Edizione 2012 PHOTISSIMA ART FAIR Torino
LA CREDENZA DEI RICORDI ARON
DEMETZ
L’utilizzo del fuoco come strumento espressivo, mii permette tt una riduzione id i all’ ll’essenziale i l della d ll materia e dei livelli interpretativi. La scultura e l’architettura condividono l’alfabeto dello spazio, la necessità di articolare i volumi, strutturare t tt glili equilibri, ilib i armonizzare i lle fforme, per esprimere significati e funzioni. Sono anche accomunate dalle valenze simboliche e antropologiche, il rifugio, la prote ione la sede delle relazioni protezione, rela ioni e q quindi indi scrigno principale in cui lesperienza si snoda e i ricordi prendono forma e si stratificano. La scultura, m’interessa anche come recupero delle sue valenze ancestrali rituali rituali, come simbolo simbolo, espressione di una dimensione mitologica e quindi traduzione di una memoria collettiva. Architettura e scultura rappresentano quindi una dimensione personale che diviene universale attraverso l’elaborazione tecnico-formale. Il fuoco, con le sue valenze purificatrici e di rinnovamento che attraversano la dimensione religiosa passando per quella sociale per arrivare religiosa, a quella agricola - riduce all’essenziale i significati, elimina le infrastrutture socio-culturali, gli elementi percettivi indotti dall’abitudine al pervasivo flusso dimmagini quotidiane quotidiane.
Con la sua forza distruttiva il fuoco, mantiene intatto l’involucro formale con tutte le sue valenze e i portati di memoria e simbolici. Preserva e cristallizza lidentità dell’elemento riprodotto. Nella scultura valorizza la dimensione simbolica, identitaria, gli restituisce allo stesso tempo quel sentore primordiale di contatto materico. Nella dimensione architettonica, il fuoco, radicalizza l’involucro, mettendo in luce lo scrigno dei ricordi, il genius loci, lo spirito del luogo, frutto delle stratificazioni di qualcosa che è stato che non è più, ma di cui vediamo gli esiti esterni, concedendo ampio spazio all’immaginazione e forzando lo spettatore ad assumere una funzione attiva, d’interpretazione, affrancata dalla mera contemplazione. Il fuoco, m’interessa anche per le sue implicazioni culturali, storiche e mitologiche, per la sua valenza di elemento di relazione con il mondo ultra terreno, spirito della Natura e di strumento di purificazione, espiazione delle colpe e trasmigrazione spirituale. Soprattutto il fuoco, come mezzo espressivo, in grado di dar vita a una pirografia dei sentimenti, dei ricordi e risvegliati da decorazioni in ottone già presenti nell architettura del Florian.
Il “felze”, ora ormai in disuso, era una sorta di cupola posta sulle gondole per proteggere i passeggeri dalle intemperie e spesso dagli sguardi indiscreti. Questa copertura era nera, come nera è la gondola. Quando ho potuto ammirare l’installazione di Aron Demetz al Florian il richiamo è stato immediato. Mi è sembrato di sedermi sotto un enorme felze dove è dolce lasciarsi cullare dalle onde immaginarie di una città nata sull’acqua e che dall’acqua trae fonte vitale del proprio esistere. Come una gondola, gondola ll’opera opera di Demetz nasce dal fuoco che curva le assi necessarie a plasmare la barca più bella del mondo. E mi piace immaginare questo artista, nato sulle Alpi, che riannoda l’antico legame che univa Venezia alle sue montagne. Venezia è città costruita su una foresta di alberi che, sotto i nostri piedi, la sostengono. Il tronco, piantato nel fango, subisce un processo di mineralizzazione che gli impedisce di marcire e così sorregge le fondamenta dei palazzi. E Aron, novello Vulcano, come un’antica divinità trasforma l’abete in giaietto, il prezioso legno fossile usato in oreficeria. La sua installazione,, nata dal fuoco – un fuoco che nasce dal mito, un fuoco creatore, un fuoco sacro, quello dei Veda – rende la Sala Cinese luogo di meditazione. Ma è anche luogo amico dove si possono riporre i propri pensieri migliori come in una credenza, oppure luogo dove la credenza, sia essa religiosa o filosofica, falsa
o per la maggioranza di noi pura verità, ci obbliga a mettere in discussione le nostre certezze Il titolo scelto da Aron, certezze. Aron “La La credenza della memoria”, è volutamente ambiguo ma non è certo ambiguo quello che si disvela ai nostri occhi. Il nero prodotto dal fuoco, come per un procedimento alchemico, sembra negare i colori e invece li possiede magicamente tutti. Il nero, nato dal fuoco, diventa punto di partenza nella ricerca di se stessi, perché l’uomo cerca la luce. Ma la partenza è sempre quel nero, nero quel caos primordiale dal quale si comincia, quel numero uno di Pitagora alla base del tutto. Ho paragonato Aron Demetz a Vulcano che forgia le sue opere: nell’antica Roma la fine di agosto era dedicata ai Volcanalia, i festeggiamenti del dio del fuoco. A volte le coincidenze sono proprio strane! Sediamoci quindi in questa sala del Florian, rivisitata dal fuoco vero, ma anche spirituale di questo artista e fermiamoci a spirituale, meditare. “Il fuoco”, come ha scritto François Rabelais in 'Gargantua e Pantagruel' “è il grande maestro delle arti”. Stefano Stipitivich
ENRICO ROBUSTI
Eppur si move. Se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi sulla rotondità e sul moto del nostro pianeta, gli basterebbe osservare un’opera di Enrico Robusti per ricredersi. E rendersi conto di essere precipitato e schiacciato su un mondo instabile, sempre sulla china di un baratro che si apre nella quotidianità, di un “black hole” che inghiotte la vita a brandelli, dopo averne strappato fin l’ombra. Non c’è bisogno di suggestioni sonore, d’effetti tridimensionali, laddove l’abilissimo disegno riesce da solo a sconvolgere i punti di vista, mentre la maestria nella distorsione prospettica conduce immediatamente l’osservatore sull’orlo del precipizio, non solo psicologico ma proprio fisico f perché davvero a guardare i quadri di Robusti si ha la sensazione della “Vertigine”.
Egli è nato a Parma nel 1957 e proprio qui ha iniziato il suo percorso artistico con una mostra di raffinatissimi ritratti in stile Van Dick, allora presentata da un lungimirante Federico Zeri Zeri. Quell’abilità riproduttiva, la tecnica affinata sull’osservazione dei grandi maestri nei musei – è geniale autodidatta - gli è servita per distruggere il formalismo, spezzare la maschera imperturbabile e perfetta, sotto la quale era già insinuato – Goya docet – , seppur in maniera appena percepibile, il germe dell’ironia. Ha scelto così di mostrare non più quello che “appare”, ma quello che è, ossia il grottesco di pirandelliana memoria: la bellezza disfatta, i legami opportunistici opportunistici, la solitudine atroce di vite vissute cercando l’illusione della quiete, la speranza dell’amore, ma infine costrette a essere tutti “ipocriti” ipocriti , attori dell’umana declinante commedia.
Non molto distante dal suo atelier in centro a Parma, a pochi passi dalla sua personale rassegna d’anime condannate, angeli precipitati nel quotidiano, c’è la cupola del Duomo dove il suo predecessore Correggio ci trascina verso l’alto, in vortici di luce. Robusti invece ribalta la visione, rovescia il cielo, per lasciarci sull’orlo dell’infinito, sgomenti e senza appiglio, periclitanti su questa faglia di realtà in fondo alla quale ribolle la coscienza. Non bisogna illudersi. Anche la scena apparentemente quieta e serena, può nascondere un più profondo e dolente significato, esplicitato nel titolo, come nel caso de “La bambina nutre le sue ombre”. Altrove l’ironia è più pungente e immediata, morte e vita s’affiancano impunemente e in piena luce in quest’immensa “fiera delle verità”, come recita il titolo di una sua mostra. Perché vanità e verità si sovrappongono nell’inutile affaccendarsi dei giorni, nella grandguignolesca giostra di corpi disarticolati, spadellati – c’è spesso nei suoi quadri il cibo, metafora dell’esistenza - sul desco della vita, per essere divorati dal male.
E se la sua opera può essere facilmente accostata all’Espressionismo di Otto Dix e di Georg Grosz o al Realismo olandese, di fatto c’è una differenza fondamentale che deriva a Robusti dalla sua cultura classica: non c’è atteggiamento critico, moralista, ma osservazione partecipe, amara empatia. Si può ridere coscienti di essere tutti sulla stessa barca, alla deriva disancorati dall’unica salvezza: la consapevolezza. Proprio qui ci vuole ricondurre Enrico Robusti. Se abbiamo il coraggio di affrontare il suo specchio deformato, le nostre ombre che abbiamo nutrito fin da piccoli e la vertigine della verità possiamo trovare scampo. E quindi non temere di precipitare fino in fondo al cuore, fino a un labirinto di stelle, per accorgerci che, nonostante tutto, quello che ci circonda – dal titolo di un altro suo quadro ‐ è meraviglioso, divinamente imperfetto, disumanamente bello. Come direbbe Pirandello: così è, se vi pare. Manuela Bartolotti
ANTONIO DE LUCA
Antonio De Luca è un fotografo di origini siciliane, ma ormai adottato da anni dalla metropoli milanese che da lungo tempo lavora su temi e milanese, soggetti offerti dalla cronaca e dalla realtà quotidiana urbana, alla ricerca di spazi, volti e situazioni emblematiche, con un'ostinata e infaticabile curiosità per il mondo circostante circostante. Ma la sua è una ricerca che non sfrutta con facile opportunismo tecnicismi esasperati, benché padroneggi magistralmente ogni tecnica relativa al mezzo fotografico - dall dall'analogico analogico "vecchio vecchio stile" stile al digitale professionale, dal video alle Polaroid come ogni genere di formato - da quello dei "manifesti" alle dimensioni piccole, piccolissime, "extra extra-small small" - ma si affida alla sua straordinaria sensibilità per registrare, più che catturare, le immagini che attirano il suo sguardo, in giro per il mondo. Così i suoi soggetti, immortalati e tagliati dall'obiettivo dall obiettivo, rivelano aspetti nascosti o imprevedibili, aprono nuovi orizzonti e reinterpretano, spesso trasfigurandola, la realtà: a volte si tratta di geometrie che si aprono allo sguardo e mostrano in un paesaggio o nel taglio di un'inquadratura una nuova poetica, così come oggetti, emblemi, cartelli stradali, segni metropolitani, scritte, striscioni, cartelloni pubblicitari insegne che si ricompongono in pubblicitari, armonia quasi a delineare nuove forme perfette, astratte
Ma Antonio De Luca, nel corso della sua lunga carriera che si è snodata anche tra set fotografici di moda e pubblicitari pubblicitari, tra riviste patinate e case di produzione produzione, ha molto sperimentato con il mezzo fotografico, fotografico aderendo sempre alla realtà circostante: così a partire dagli anni novanta, ad esempio, ha documentato raccogliendo poi il materiale in una mostra personale "Lo schermo di Scipio" - uno dei fenomeni più sconcertanti della cronaca italiana, l'avvento in politica di Berlusconi e del "partito dello spettacolo", in un modo del tutto originale: scattando le foto di cronaca su rullini già impressi con inquadrature televisive o urbane, dando così vita a immagini del tutto casuali ma con effetti diversissimi, quasi surreali e neodada, divertenti a volte e in altri casi sconcertanti. Da qui a un altro ciclo - esposto nella mostra "Era mio padre", di fortissima tensione emotiva - testimonia la quotidiana parabola del padre morente, con una serie di foto di estrema intensità ed eleganza formale formale, asciutte ed essenziali essenziali.
Una lunga carriera, riconosciuta anche con il premio internazionale ART DONKEY PRIZE, che è poi approdata l'anno l anno scorso alla 54.Biennale 54 Biennale di Venezia Venezia, all'interno all interno del Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi, in cui ha esposto una serie di foto dal titolo "Perché i mendicanti vivono ancora" presentato dall'intellettuale e filosofo Sossio Giametta. Qui in una serie di strisce orizzontali Antonio De Luca presenta uno spaccato simbolico, insieme crudo e poetico, della nostra realtà, dei piccoli drammi e delle quotidiane ingiustizie di questa società: giovanissimi mendicanti e vetrine splendenti splendenti, simboli del consumismo come la Coca-Cola e crocefissi abbandonati e accostati casualmente, scritte e pixel digitali che si sovrappongono in modo anarchico, senza gerarchie di valori, portando alla luce le contraddizioni brucianti che tutti i giorni incontriamo sulla strada e nella nostra vita, ma anche il fascino meraviglioso di un'iconografia un iconografia indomabile e continuamente sorprendente sorprendente.
SONO… SARANNO FAMOSI
Andrea
Carpita
Innamorato dell'antica iconografia giapponese "ukiyo-e" ("immagini del mondo fluttuante", appunto), e in particolare dell'opera di Katsushika Hokusai Carpita crea nelle sue tele un mondo di Hokusai, acqua e alture, alberi e bonsai, demoni, animali e umani, spesso ibridati in misteriose creature o architetture. Un'intera Un intera generazione di artisti, artisti tra impressionismo e post-impressionismo, subì l'incanto delle rappresentazioni delicate e fantasiose dei grandi incisori giapponesi del primo Ottocento: parlavano di una cultura diversa, radicata con orgoglio nelle proprie tradizioni, di rispetto per la natura e amore per la vita, mostrando una perfetta simbiosi tra forza e poesia in uno scorrere del tempo a un ritmo totalmente nuovo e sconosciuto. Ma oggi, a un secolo dalle avanguardie, può un artista poco più che ventenne lasciarsi affascinare dal japonisme? Se lo chiede Stefano Annibaletto, parlando di "silenziose, silenziose, intense messinscene quasi una sorta di personale kabuki - in cui il "mondo fluttuante" della tradizione ukiyo-e lascia spazio anche a una vita interiore già libera di manifestare i propri fantasmi, a una sensibilità pop europea e a tentazioni decorative secessioniste (come dire, Hockney e Schiele). "
PIETRO
MAIETTA
E un lavoro silenzioso quello di Pietro Maietta, E' Maietta delicato e sottile. Forme rigorose vengono tagliate, aggredite dalle impronte dell'artista. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe queste edificazioni alla semplicità non cadono di fronte al gesto gesto, non perdono eleganza ma resistono resistono, acquisendo forza e stabilità. Il segno squarcia il tessuto duro dei materiali bianchi per permettere ulteriori interpretazioni. Pietro Maietta si appropria di parallelepipedi parallelepipedi, semisfere, semisfere strutture geometriche, le apre, le esplora e poi come un chirurgo rigoroso opera. Ma la sua è un operazione inversa, un tentativo di rendere imperfetto quello che lo è, riuscendo a conservare dopo l'intervento l intervento il lirismo e l'equilibrio l equilibrio della forma originale. Dopo queste intromissioni i solidi assumono sembianze umane; risulta quasi naturale l'inserto, l'inserimento di particolari e piccoli organi: un orecchio, un occhio lesioni scoperte occhio, scoperte. Cavità e ferite da chiudere chiudere, nelle quali Maietta abbandona riflessioni, notizie, carta stampata. Piccoli aeroplani di carta, esercizi di abilità, pieghe imparate a memoria colmano ogni possibilità di vuoto o assenza. Ma per quanto si cerchi di conservare la purezza purezza, intervenendo nei limiti delle modifiche da poter effettuare per conservare l'eleganza della composizione, non è possibile dimenticare la realtà. Il mondo esterno, i mass-media, gli altri restano parte del nostro mondo controllabile controllabile. Il nostro compito secondo l'artista è quello di regolare la loro influenza, di limitarla, di indirizzarla verso la scoperta della personali visioni.
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BARBARA
BONFILIO
Barbara Bonfilio dipinge figure femminili con la grazia dei ritratti del Rinascimento, a tre quarti e con lo sguardo rivolto direttamente allo spettatore nell’atto di invitarlo ad entrare nel quadro, proprio come avveniva nella più pura tradizione pittorica del Cinquecento Cinquecento. Un lavoro “prezioso” reso tale forse dall’utilizzo di materiali plastici su superfici che te-ndono a rendere l’immagine appiattita quasi senza volume appiattita, volume, resa però invitante dall’aspetto dall aspetto tattile, caratterizzandosi per un realismo estremo ma non certo scontato. Superfici piatte su cui la figura si staglia netta netta, un’individualità un individualità rigorosa, ma pronta, forse, ad ironizzare su se stessa concentrando al contempo tutta la forza, la crudezza, l’incedere sicuro nello sguardo, quasi un’arma muta capace di combattere tutto un mondo di contraddizioni contraddizioni. Immagini che sembrano formarsi per ritagli e sovrapposizioni. Volti leggiadri dallo sguardo lucido. Lo sguardo di donne dall’aspetto dall aspetto fiero, fiero donne della contemporaneità ritratte nella loro essenza, dirette, come è normale che appaiano forse in un atto di difesa, proprio nel momento in cui il mondo femminile subisce attacchi da una rinnovata società maschilista - benché sorpresa in un fragilità imbarazzante e imbarazzata - ed in cui esse si riappropriano di un innato ruolo matriarcale.
Un ruolo che pare leggersi per immagini attraverso le figure femminili di Barbara Bonfilio, tracciate con una linea precisa, netta, in un lavoro in cui l’ossimoro diviene slogan di una società basata sovente sull’ambiguità, tanto forte quanto l’omologazione del pensiero e delle abitudini. Una linearità formale che fa da contraltare ad una complessità caratteriale. Sguardi silenziosi che comunicano una bellezza seducente quanto disincantata a metà fra sostanza intangibile e negazione della stessa, attraverso il rigore del messaggio. p.4 SMALL ZINE n. 1, Gennaio_Febbraio_Marzo 2012 Luca Cofone
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ESTER
NEGRETTI
il concetto di forma Le tracce di materia “vivente” e i colori naturali della terra modellano l’opera, come reperti archeologici dell’epoca moderna riammessi allo sguardo attraverso un esame antropologico t l i d dell rifiuto ifi t urbano, b aiutano i t ad d essere coscienti i ti di stare scavando. Questi lavori "suonano" come interrogativi e moniti sociali; in essi le idee circolano rumorose, insistenti, insinuanti. E’ qui q i che la natura nat ra lancia messaggi tras trasversali ersali per coinvolgerci nel profondo della nostra esistenza fino a farci capire che non c’è separazione tra umanità e natura. Dalla consistenza materica si percepisce una reale partecipazione che coinvolge il fruitore, fruitore per comunicare una speranza di rianimazione, anche se flebile, per l'umanità. Abbandonato il binomio forma-immagine, l’opera diventa sempre più libera libera, legata soltanto alla materia da un processo genetico. La tecnica e i consueti materiali del dipingere vanno sempre più scomparendo per lasciare il campo aperto a nuove esperienze.
Nasce così davanti ai nostri occhi l’affascinante mondo della creazione in atto che ricorda molto da vicino il formarsi attraverso le ere geologiche: ripetere nel piccolo della nostra officina pressappoco lo stesso procedimento che continuamente la natura attua nell nell’universo universo è come rifare secondo natura l’opera d’arte. Forme, colori e materiali dialogano con la realtà circostante svelandone l'Essenza l Essenza. Stratificata Stratificata, bruciata e scolpita la materia diventa epidermide attraverso una pittura che spinge l'immagine a rinascere dalle proprie macerie.
GIUSEPPE
BIGUZZI
Biguzzi torna ad offrirci i suoi pensieri, le sue riflessioni. Va oltre l’apparenza. Prende spunto dal quotidiano per mostrarci, attraverso le sue opere, la caducità del tempo, la disillusione, la deriva di una umanità che affoga in miseri valori. E’ un’artista unico nel suo genere. Immortala “ Sentimenti ed Emozioni” attraverso la trasposizione pittorica di forti sensazioni che affida alla bellezza dei corpi di donna che dipinge. p g Corpi vicini e lontani, corpi distratti, corpi che si offrono allo spettatore per sedurlo attraverso “ la bellezza che tenta di negare la bellezza stessa”, persa in uno spazio “liberato” dove la voce dell’animo sussurra e racconta delle infinite lacerazioni che ci dividono da noi stessi e dall’altro, persi in un groviglio di vie dove si smarriscono i pensieri e…..la vita. Corpi p di donna che,, come “soma vibrante”,, raccontano la tristezza, mentre lentamente oscillano ed espirano il suono di rimembranze che fanno tremare le “cicatrici” non chiuse e che il tempo non può risanare. E’ “ l’estraneità “ delle donne dipinte p da Biguzzi g che colpisce p lo spettatore!! E’ l’estraneità che rende irresistibilmente affascinanti le sue opere. Essa rappresenta la nostra stessa estraneità, il nostro mondo p possibile,, q quel nostro eventuale futuro che la contemporaneità ha soffocato, costringendolo in una coatta direzione a senso unico : essere e non apparire!
Così, nelle opere di Biguzzi, valori e sentimenti umani universali si fondono con la “pena quotidiana”. L’artista concilia coerenza e varietà, resta fedele all’impulso primario della sua immaginazione e produce sempre nuove e sorprendenti bellezze femminili, facendo valere la sua naturale vocazione al sincretismo. Tutte le sue opere, messe una accanto all’altra, si trasformano in una rappresentazione teatrale dove attore e spettatore recitano un ruolo primario. Entrambi raccolgono dati riguardanti l’esistenza, li assorbono, li rigenerano e li ripropongono attraverso uno specchio: lo specchio di fuggenti pensieri. “ La vita è un gioco di pazienza “ sembrano dire le ragazze dipinte da Biguzzi. Ragazze comuni, giovani ed uniche protagoniste delle sue tele, adagiate su uno sfondo quasi sempre volutamente piatto, avvolte in una dinamica velatamente statica che si trasforma, quasi per magia, in un vorticoso movimento di fuga dai corpi per inseguire misteriosi pensieri. ….e invano e disperatamente lo spettatore cerca…. d’incontrare un loro sguardo ! Carla Petrella
MAX
PETRONE
La pittura di Massimiliano Petrone fa del ritratto, prevalentemente individuale talvolta di gruppo, il cardine della sua poetica. Parlando di permanenza della tradizione nella contemporaneità nulla è più significativo di questo genere, che ha conosciuto numerose varianti con l’alternarsi dei cicli storici e sociali. Da un punto di vista semantico il ritratto designa la riproduzione delle fattezze di persone con modalità tali per cui l’opera tenda ad essere una copia p speculare p dell’originale g o comunque q ne esalti le caratteristiche caratteriali e spirituali al di là delle impostazioni iconografiche e della tecnica usata caratteristica, quest’ultima, dell’arte tardo moderna e contemporanea. I ritratti di Petrone tendono a sposare p la causa della verosimiglianza, g , ma con caratteristiche tutt’affatto personali ed aliene da qualsiasi semplificazione iperrealista. L’artista si sofferma sul volto dei soggetti gg p prescelti,, tratti dalla cerchia delle sue amicizie o semplici conoscenze, ponendolo in una posizione tale da porsi in parallelo con il fruitore. Ne risulta uno sguardo compiaciuto ed ammiccante, che davvero fa intuire i tratti distintivi della p personalità dei singoli, g , ed avvolge g lo spettatore p in un abbraccio di morbida complicità, come se l’individuo si rivelasse, caratterialmente, una sorta di parte per il tutto e la sua espressione racchiudesse in sé l’universalità pur mantenendo inalterate caratteristiche assolutamente personali. p
I soggetti ritratti da Petrone hanno in comune quasi tutti una ben precisa caratteristica, far parte di una scena giovane e creativa creativa, attratta ed attiva nell’arte, nella musica, nelle varie forme possibili di attivismo urbano, e dotata di un look tale da manifestare apertamente al prossimo una costruttiva diversità diversità. Rappresentare questa originale porzione di umanità, così come esercitarsi con le varie forme in cui si declina lo stile writer coniugato alla cultura di strada è esercizio al giorno d’oggi d oggi piuttosto diffuso e e, sebbene quasi sempre dotato quantomeno di una rispettabile dignità formale, talvolta può cadere nella stereotipia del “già visto”. Petrone, pur cimentandosi in un genere assai praticato, praticato è, è come ho già sottolineato in precedenza, in grado di infondere alle sue rappresentazioni una carica di forza espressiva che è sinonimo di uno stile perfettamente riconoscibile ed al quale gli altri, altri semmai, possono, come già capita, ispirarsi da queste considerazioni traspare evidente la capacità non comune di Petrone nell’impiegare lo strumento della pittura per dare un senso alle nostre esistenze fluttuanti all’interno dell’eterno presente della attuale “modernità liquida”, bloccando istanti di contemporaneità e donandoli ad una visione futura futura. Edoardo Di Mauro
ROBERTO
FONTANA
L arte si è liberata da ogni intento riproduttivo L'arte riproduttivo, narrativo o celebrativo per divenire espressione diretta dell'essere nel mondo dell'artista e dell'uomo. L'oggetto-immagine ha subito ogni sorta di mutazione sino ad essere privato p ato d di og ogni co contenuto te uto manifesto a esto e evidente, de te, d divenendo e e do cos così veicolo e co o plurisignificante, spesso in forma traslata e simbolica. Non vi sono più punti di riferimento stabili o designazioni precise: l'idea trascende ogni rappresentazione formale. L'artista possiede gli strumenti per dar vita all'intuizione che lo muove, ma è nel processo creativo,nel suo divenire, nel suo "farsi" in bilico tra istinto e cognizione, nell'incontro con lo stesso mezzo espressivo, con il materiale, con l'elemento tecnico, che l'opera acquista una identità. L'immagine, quindi, è da intendersi come il risultato di una attività dell'immaginazione dell immaginazione e del pensiero pensiero, come processo formativo stratificato mai definitivamente compiuto, in cui si proiettano qualità sia emozionali che cognitive. Così, la disgregazione e/o ricomposizione della materia, la stratificazione, il gesto e il movimento, il contrasto e il rimando dei colori, il disporsi dei segni, esprimono e comunicano questa esperienza in forza della necessità stessa del comunicare. E' proprio il riconoscimento di questa formatività intrinseca all'immagine a rendere possibile la strutturazione dell'opera, anche quando essa si presenti come il prodotto di un agire per lo più inconscio. In questo senso, il costituirsi della forma pittorica è espressione dell'esperienza individuale dell'artista, così come la tecnica (o stile che dir si voglia) è la traduzione di questa esperienza; ed è la forma stessa, quindi, a farsi carico della genesi dell'opera, a definirne la struttura, la storia, oltre ciò che è immediatamente dato dato, visibile visibile. Francesca Murana
EMILA
SIRAKOVA
Emila Sirakova, in dialogo con la contemporaneità attraverso le considerazioni inattuali della classicità, dunque con parole supercontemporanee. Oggi ci si balocca col corpo elettrico facendo ammuina al povero Ray Bradbury, ma lei sussurra nelle tenebre interconnesse dell’attualità cafona con le sue anatomie di corpi onirici onirici. Internet Internet, Facebook e Twitter (che nome delizioso per la portineria delle esternazioni non richieste), le applicazioni per iPhone (sapevo di carte, applicate appunto, alle pagine di libri illustrati di pregio, ma questa delle applicazioni all’etere suona come il capocottaro che tenta di berciare Shakespeare) e androidi vari (meglio gli zombies di Romero, sono più cólti nella loro bestialità) ci mordono alle caviglie come cagnetti attaccabrighe attraverso l’outing virale della privacy i cialtronesca i lt stesa t suii b balconi, l i l’l’universo i dell’inutile da condividere con gli amici tuoi e i loro amici. Questa non è l’epoca dell’immagine e basta, questa è ll’epoca epoca dell’immagine3 dell immagine3, cioè dell’immagine dell immagine elevata al cubo, uno stato di cose di inesausta potenza come l’incubo del terzo episodio della serie Alien, titolato appunto Alien3. Un’epoca in cui la favella conta poco o quando v’è, viene conculcata e offesa dal p peso nulla. E, q d’immagini assordanti. Oppure vien scambiata per vaneggiamento.
Eppure nella Grecia antica la follia aveva un posto privilegiato! Infatti era attraverso essa che si manifestava la divinità. Nella follia si indi id a a la matrice della sapienza. individuava sapien a Del resto resto, il filosofo Platone, nell’opera denominata Fedro, faceva derivare la mantica (divinazione) dalla mania (follia)! E dal momento che egli identificava la sapienza nella poesia invasata invasata, allora noi possiamo a buon diritto affermare che la sapienza era (è) dei folli. O meglio, dei tossici, se prestiamo fede alla validità dei vaticinii oracolari, nella realtà suffumigi di sostanze tossiche esalate dal terreno. Ma oggi il verbo della Sibilla Cumana è solo flatus vocis e in vece sua parla questa enciclopedia visuale di autori t i classici, l i i l’l’ultima lti produzione d i di Emila E il Sirakova che sintetizza in immagini le parole degli archetipi della mente umana, universo di discorso, si diceva, inattuale e quindi supercontemporaneo. supercontemporaneo (Estratto dal testo di Emanuele Beluffi) www.kritikaonline.net
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DEGAL
Degal definisce la sua vita di artista da “bohemien”, un modo di stare dentro l’arte ma fuori da qualsiasi schema o sistema codificato, una scelta di libertà assoluta. Lavora con smalti su supporti plastificati, un insieme di passaggi con visioni, cancellazioni, sottrazioni, fino ad arrivare all’immagine che ha dentro, arte come flusso di coscienza, che deve uscire. I suoi ritratti e i paesaggi sono immagini interiori, fisionomie che nascono da sue percezioni, da incontri o pensieri. Prima dell’intervista ha realizzato un’opera, un nuovo progetto, dipinto e video insieme, per documentare la memoria dei vari passaggi di realizzazione del lavoro pittorico.
ANDREA
GRECO
Andrea Greco è nato nel 1978, vive e opera a Mozzate, nella provincia di Como. Nipote di un pittore e scultore, i i i a dipingere inizia di i da d autodidatta t did tt giovanissimo. Come insegnante della scuola primaria, ha partecipato a vari corsi sulla metodologia didattica di Bruno Munari Munari. Lavora creando delle serie di opere che indagano diversi aspetti dell’uomo; vengono trattati stati d’animo, rievocazioni della q g memoria,, tensioni emotive,, tutti quegli elementi che fanno sì che ci sia un profondo coinvolgimento dell’anima di ciascuno di noi. Tra il 2007 e il 2010 compie dei viaggi in Kenya e Turchia d dove h ha modo d di perfezionare f i l’l’uso dei pigmenti naturali. Realizza a cavallo tra il 2009 e il 2010 una sere di opere che chiama Polaroid. Nel 2010 le espone a Berlino Berlino, all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Lubiana, a Roma, a Como e a Milano. Viene segnalato per premio Il segno g nel 2010 con merito al p l’opera Polaroid of my little world. Successivamente partecipa alla Biennale di Ferrara.
Sue opere vengono pubblicate sul catalogo International Contemporary Artists della Ica Publishing di New York. Nel 2011 è tra i finalisti del premio Artgallery di Milano con La voce della brughiera, opera che fa parte del ciclo pittorico denominato Brughiere. Nei primi mesi dell’anno, dopo varie sperimentazioni, presenta la serie di opere Karma, realizzate con vari tipi di catrame catrame, smalti smalti, pigmenti e resine. Viene segnalato al premio Jacopino da Tradate e nel 2012 viene selezionato per l’anteprima Up_nea 2012 da Fabbrica Borroni. g La via italiana Viene inserito nel catalogo all’informale, da Burri, Afro e Vedova alle ultime tendenze, pubblicato da Editoriale Giorgio Mondadori e presentato nella mostra omonima a Palazzo Zenobio a Venezia. Hanno scritto di lui Giorgio Barassi, Francesca Lucioni, Alessandro Celli, Ambrogio Chiari e Virgilio Patarini. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni private private. sito web: www.grecoandrea.com
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MARCO
REA
Marco Rea nasce nel 1975 a Roma, città deve vive e lavora. La sua ricerca artistica, unica nel genere, si muove su binari paralleli al mondo della street art e del pop surrealismo mantenendo però sempre una propria i eb ben riconoscibile i ibil originalità. i i lità La tecnica da lui utilizzata e creata è pittura spray su manifesti pubblicitari. Il lavoro di Marco Rea nasce da un'immagine patinata, nata per vendere un prodotto prodotto, carica di messaggi sottesi che portano alla fascinazione e al desiderio, che incitano al feticismo materiale verso prodotti della cultura di massa. Da questa immagine di base Marco elimina il prodotto e profana la seduzione iniziale, cambiando p l'atmosfera e p portando il soggetto gg ap piegarsi g alla sua completamente volontà, a diventare altro da se. I soggetti prediletti delle sue opere sono donne colte nella loro intimità, perse in pensieri, sogni, esplorazioni psicologiche, prigioniere dei loro spazi mentali. L sue iispirazioni Le i i i artistiche ti ti h vanno d da B Bacon, Schiele, S hi l Witkin Witki e Bellmer B ll ad artisti della cina contemporanea. Da grandi autori della letteratura come Poe e Kafka alla cultura orientale caratterizzata da un'estetica del vuoto e del silenzio. Tra le varie esposizioni ci sono quelle all'estero all estero presso la Strychnin Gallery (insieme a Mark Ryden e Ray Caesar) e la Cell63 Art Gallery (Berlino), la Fun House Gallery (Detroit), L'Art de Rien Gallery (Parigi), la Genuine Artikle Gallery (New York) la Kaneko's Gallery (California), ); in Italia espone p per p la Fluxus Art alla BLOOOM Art Fair ((Colonia); Gallery di Bari, la galleria MondoPOP (Roma) e la Mondo Bizzarro Gallery ecc...
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ILV ILV nasce il 6 Gennaio 1982 a Novara. Figlia unica, trascorre la sua infanzia e adolescenza nella provincia novarese, una provincia dominata ancora dalla d ll agricoltura, i lt d dove ancora sii possono osservare anziani contadini che coltivano, come un tempo, i loro orti e i loro campi. A 12 anni decide che da grande sarà una Psichiatra; e da allora non ha mai cambiato idea idea, come un prete che avverte la propria chiamata. Intraprende studi classici presso il Liceo Classico Statale Carlo Alberto di Novara e, ovviamente, si g Frequenta q ip primi tre iscrive a Medicina e Chirurgia. anni di università a Novara, poi prende il volo verso Lisbona, dove resterà per 4 anni frequentando Medicina ed intraprendendo ricerca in psichiatria. Pubblica in quegli anni alcuni articoli scientifici e si occupa della d ll ttraduzione d i ed della ll edizione di i ititaliana li di d due importanti testi di Psichiatria. Torna in Italia il 28 Febbraio 2009 e dal 12 Marzo 2009 inizia la sua esperienza milanese come specializzanda in Psichiatria. Psichiatria Da sempre interessata all'arte, inizialmente come semplice spettatrice (di teatro, di mostre, di concerti)… poi qualcosa scatta. Tutto ciò che per anni ha portato p g ha dentro di se,, con sé,, nelle sue peregrinazioni cercato il modo e la via per emergere e straboccare..
L’epifania del suo inconscio avviene sul finire del Gennaio 2012: ed ecco allora che inizia a sperimentare a seguire il flusso di pensieri sperimentare, pensieriintuizionisensazioni, nel tentativo incalzante di rincorrere le emozioni, cercando di rendere tali sentimenti-percezioni in modo percettibile, concreto, reale: lo stato d'animo viene reso attraverso il materiale che, a intuito, meglio lo esprime; le forme utilizzate – volutamente grezze, talvolta più mansuete - cercano di mettere a fuoco i moti dell’animo che si susseguono in una sorta di “St “Sturm und dd drang”. ” In diverse delle sue creazioni vengono utilizzati materiali ripresi da quella vita contadina nella quale, con gratitudine e rispetto, si è trovata a vivere gli anni più importanti della sua vita: l'infanzia l infanzia. All'interno di ogni opera si snoda un insieme di concetti, di pensieri e significati sintetizzati in un gg visivo, materico, concreto; una messaggio elaborazione che porta l'astratto al tangibile. Simbolicamente, sintesi e caleidoscopio di ciò che è; di ciò che sente. Il suo percorso si sviluppa, tra aggressività-feriteriflessioni-introspezioni, ifl i ii t i i lungo l lla ricerca i di fforme espressive articolate, materiali opposti: forzatamente uniti e volutamente stridenti. Una sintesi intellettuale che si avvale della scelta di materiali, forme visive (dalla pittura pittura, all'installazione all installazione, alla scultura) che pretendono irruentemente e violentemente di comunicare ciò che l'inconscio cova e la parola non riesce a verbalizzare.
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ROBERTA
UBALDI
Roberta Ubaldi nasce a Terni, vive e lavora a Narni Scalo (TR) . Si diploma maestra d’arte presso ll’Istituto Istituto “Orneore Orneore Metelli Metelli” di Terni . La curiosità e la voglia di crescere la portano a sperimentare di continuo : dopo aver studiato e frequentato le diverse tecniche classiche, arriva g a sviluppare una sua ben progressivamente definita cifra stilistica , una tecnica estrema e delle cromie ridotte all’osso sono al servizio di un lavoro personalissimo . La continua ricerca di materiali diversi l’ha portata attualmente ad utilizzare tili lamiere l i di fferro in i cuii l’l’ossidazione id i creata dal tempo supera lo status di mero supporto per divenire parte essenziale dell’opera pittorica. L’amore per il corpo umano, la porta a raffigurazioni che a partire da una matrice ancora volutamente figurativa, sembrano volersi celare dentro una trama di ossidazioni. Lamiere di formato diverso, ossidate in maniera mirata a mezzo di bagni d’acqua, stracci e mordenti naturali, diventano la base reattiva di una sapiente pittura a olio, lavorata a partire dal colore l medio. di
Roberta Ubaldi si rifà in maniera dichiarata alla lezione anatomica rinascimentale, fondendola però, con un’informalità un informalità tutta contemporanea, contemporanea al disegno organico del supporto: ne risultano visioni efflorescenti, metamorfiche e luministiche, sempre in bilico tra definizione e dissoluzione delle forme. Nel caso della mostra di Rieti, la circostanza che le opere raffigurino corpi femminili attraversati dalla maternità aggiunge una suggestione ulteriore, quasi il lento stabilirsi t bili i d della ll vita it avvenisse i iinsieme i nell soggetto, nell’immagine e nella materia stessa dell’opera, definendo ogni lastra come un’inedita e sorprendente matrice. Luca Arnaudo
ANGELA
VIOLA
Rosso: p perfetta aderenza di magma g scarlatto alle pareti dei nostri vasi sanguigni, sottili fili in cui scorre l’essenza, che si estende, si espande silenziosa e si rende visibile in un segno che diviene macchia, fino a ricoprire tutto per poi svanire. E’ una presenza, è il mio compagno che muove l’odio e la passione, masse indistinte che si mescolano tra loro e si confondono. Rosso è l’invasore muto che si ferma e colma un silenzio in un instabile urlo urlo, che lentamente come un’eco risuona in ogni angolo e in ogni forma del quotidiano. Angela g Viola
RUDY
CREMONINI
"Cremonini lavora sul volto dando vita a una vera e propria archeologia dello sguardo che scava nella distanza temporale del passato grazie allo strumento della pittura, metodo e mezzo vitale di recupero e rinascita di presenze altrimenti smarrite. ...Volti evocati da un passato lontano assumono quasi il rilievo di documenti dedicati alla presenza incongrua e inquietante di un altro, di una “differenza” rispetto ai valori sociali condivisi condivisi, si trasformano in testimonianze di un estraniamento dal processo generale e accettato di costruzione dell'identità personale e collettiva e appaiono nella loro cruda e gg evidenza come p prove misteriose di sfuggente una diversità ignota da isolare e analizzare." Lorenzo Canova da " documenti d'alterità"
JESSICA
RIMONDI
Jessica Rimondi è nata a Torino nel 1987. Segue il corso di pittura all’Accademia Albertina di Torino Torino. Nel 2007 lavora per la rivista “Offerta Offerta speciale” di poesia visuale e partecipa a mostre di libri d’artista tra cui la “Fe-Art Books” di Bologna.Attraverso la partecipazione al g concorso “4 Premio Internazionale Arte Laguna 2009.2010” espone alla collettiva degli artisti finalisti del medesimo, presso le Tese dell’Arsenale di Venezia e vince il premio speciale che la rende partecipe alle mostre collettive ll tti ttenutesi t i aglili iistituti tit ti di cultura lt di Vi Vienna e Praga. Nel 2011 partecipa al “Premio Combat” ricevendo la menzione da parte della giuria. Attualmente vive e lavora a Berlino Berlino, dove ha partecipato alla perfomance dell'artista Olaf Nicolai “Innere Stimme”. La sua ricerca artistica mira sempre più all’interazione tra suono e pittura che subiscono, g p già allo stato attuale, grande influenza reciproca. In ambito pittorico, nell’ultimo anno, particolare attenzione è stata data all’analisi delle possibili “densità” del gesto relazionato alla forma. Equilibri e contrasti creati d questa da t relazione l i rappresentano t l’i l’interesse t nodale,nonché il mezzo espressivo dell’artista.
Alessio
bolognesi
sfiggy
Al Alessio i B Bolognesi l i Il ferrarese dai trentaquattro natali autore di Sfiggy è un ingegnere appassionato del suo lavoro ma desideroso di evadere da quelle congetture sistemiche date dalla società e dal consumo: si fa dunque giustizia da sé con un personaggio evasivo ed irriverente, sfortunato ma vendicativo. per Bolognesi g avviene nel L’iniziazione alla tela p 2008 con lo studio del corpo e della sua stilizzazione, cedendo il testimone ad un progetto che tutt’ora lo vede coinvolto intimamente, Sfiggy, appunto. Dopo numerose mostre dislocate sul t it i ititaliano territorio li che h h hanno ffatto tt di discutere t giornali i li e radio per la loro singolarità macabra – prima fra tutte il ritrovamento del fantoccio di Hello Kitty accoltellato al pedibus nel centro di Treviso, Bolognesi dà tregua e ci rassicura sul ritrovamento e l’arresto del temibile assassino di cartoons. Sfiggy è un work in progress tanto quanto lo siamo noi: in perenne evoluzione e desiderosi di vendetta più g grande di noi. su ciò che è p Beatrice Giovannoni.
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PROGETTI SPECIALI
Devi piegarti verso ciO’ che raccogli L’ospite ostile
Annamaria Di Giacomo e Stefania Zocco interagiscono con l’Agorà di Sebastiano Mortellaro | i t interact t with ith the th Agorà A à off Sebastiano S b ti M t ll Mortellaro con il contributo di Alessandra Ferlito e Giusi Diana | with contributions by Alessandra Ferlito and Giusi Diana A due mesi dall’apertura, dopo aver ospitato incontri dibattiti incontri, dibattiti, video-proiezioni e altri eventi che hanno realizzato il significato più profondo della sua presenza al Bocs, l’Agorà di Sebastiano Mortellaro esplicito invito a vivere lo spazio espositivo come p delle relazioni” - si trova a dialogare g con “spazio l’intervento di Annamaria Di Giacomo e Stefania Zocco, che vediamo lavorare insieme per la prima volta. L’opera delle due siciliane, anticipazione di un progetto tt nato t nell 2011 e ancora iin via i di sviluppo, il sii innesta su quella preesistente con un peso tale da impedirle di rispondere alla sua funzione primaria: raccogliere i visitatori al suo interno, chiamandoli a sostare di fronte a un dubbio amletico rispetto al quale interrogarsi e confrontarsi.
Se l’Agorà (una serra di dimensioni ambientali, il cui ingresso coincide con quello del Bocs) è stata concepita in maniera tale da includere e costringere tutti gli agenti e gli attori all’interno di un’unica scena (un unico volume compatto e chiuso, con un’unica via ) l’azione del duo vìola di entrata/uscita), apparentemente - questa premessa basilare e ribalta le posizioni iniziali; si libera dei limiti fisici imposti dalla serra-tempio, ne espande i propositi e agisce attraverso lo “spazio interstiziale” (i t (intermedio, di ttra lle cose, Chôra Chô platonica), l t i ) d dove altri lt i scambi, incontri e relazioni sono ancora possibili. L’Ospite ostile (prima opera del progetto “Devi piegarti verso ciò che raccogli”) è insieme conseguenza, effetto e, e a sua volta, volta causa; risponde a una richiesta di partecipazione critica, nasce da un’urgenza creativa condivisa e sfocia in impulso all’integrazione. Un corposo strato di cotone grezzo in fiocchi (che Annamaria e Stefania hanno raccolto a mano,, nei campi di Gela, ormai incolti da decenni), occupa interamente la superficie calpestabile dell’Agorà, rendendola di fatto impraticabile; allo stesso tempo, la sua presenza ambigua (hospes e hostis, ospite e nemico/estraneo) i / t ) spinge i il ffruitore it ad d esplorare l nuove traiettorie (quelle che finora gli erano state negate) e a rinnovare la propria esperienza percettiva e relazionale, in un continuo muoversi tra contenitori e contenuti. contenuti Alessandra Ferlito
Manuale per artisti CircoloQuadro - Milano
MANUALE PER ARTISTI Tutto quello che un artista deve sapere per entrare nel mondo dell’arte contemporanea III edizione a cura di Ivan Quaroni Dopo il successo delle precedenti edizioni, Circoloquadro organizza la terza edizione del corso "Manuale per artisti. Tutto quello che un artista deve sapere per entrare t nell mondo d d dell’arte ll’ t contemporanea", ideato e realizzato da Ivan Quaroni. Il corso si propone di preparare i partecipanti a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza per affrontare l’ingresso nel sistema artistico. Si valuteranno le modalità e le strategie di presentazione delle opere e si analizzeranno le ricerche di ognuno q individuali e collettivi. Un’occasione unica con colloqui per imparare in breve tempo tutto quello che c’è da sapere per muovere i primi passi nel mondo dell’arte. Durante il corso saranno invitati artisti e professionisti (tra questi Silvia Argiolas, Vanni Cuoghi, Michael R t di IIgor Zanti Rotondi, Z ti e molti lti altri) lt i) che h arricchiranno i hi il programma valutando il lavoro dei partecipanti con uno sguardo diverso da quella del critico. Alla fine del percorso verranno selezionati i partecipanti più maturi e preparati preparati, i quali esporranno in una mostra collettiva presso Circoloquadro.
Tra ag gli a argomenti go e t de del p programma: og a a co come eèo organizzato ga ato il sistema dell’arte; come si fa un portfolio; che cos’è uno statement; il ruolo del critico oggi e l’interfaccia col sistema artistico; presentazione del proprio lavoro agli altri partecipanti; elaborazione dei feedback dei partecipanti; colloquio individuale con Ivan Quaroni; presentazione del proprio lavoro ad artisti e professionisti; elaborazione dei feedback degli artisti; la promozione: il ruolo di internet, dei social network e dei portali d’arte; d arte; come organizzare e comunicare una mostra. Punto di forza del corso rimane il lavoro curatoriale svolto da Ivan Quaroni che riesce a fornire consigli e risposte puntuali agli artisti e che ha intercettato con grande sensibilità un bisogno diffuso ovvero quello dell’incontro e del confronto di chi fa quotidianamente lo stesso lavoro. Le lezioni avranno luogo dal 5 novembre 2012 al 21 gennaio 2013, ogni lunedì dalle ore 18.00 alle ore 20.00, presso Circoloquadro, Via Thaon di Revel 21 Milano. Milano Corso completo (9 lezioni): € 350 comprensivi di tessera associativa Circoloquadro per l’anno 2013. Le iscrizioni sono aperte fino al 2 novembre 2012. Il corso verrà attivato con un minimo di 10 partecipanti.
Ivan Quaroni, giornalista, critico e curatore è nato a Milano nel 1970, curatore, 1970 dove è auditor presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Come giornalista ha collaborato con la rivista A.D. (Condé Nast ed è stato redattore di programmi radiofonici della Rai. Attualmente scrive per diverse testate, tra cui Flash Art (Politi Editore) e Arte (Cairo Editore). Nel 2008 ha pubblicato il volume Laboratorio Italia. Nuove tendenze in pittura (Johan & Levi editore). Nel 2009 ha curato la sezione Italian Newbrow alla Biennale di Praga. Nello stesso anno ha curato la se ione Spaghetti Pop di SerrOne sezione Biennale Giovani di Monza. Ha curato oltre 150 mostre in gallerie private e spazi pubblici. Cura sul sito Lobodilattice com la rubrica The Lobodilattice.com Butterfly Effect. Alla fine del 2010 ha pubblicato il libro Italian Newbrow (Politi Editore). INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: Circoloquadro, Via Thaon di Revel 21, Milano info@circoloquadro.com T l 02 6884442 – 339 3521391 Tel. www.circoloquadro.com
GALLERIA IN EVIDENZA Vecchiato arte
Vecchiato Art Galleries è un nucleo galleristico in continuo sviluppo e costante ricerca. ricerca Esso comprende due realtà complementari, Vecchiato nuove proposte e Vecchiato storica, che lavorano in parallelo per organizzare eventi e promuovere artisti storicamente e internazionalmente consolidati, ma anche esponenti più giovani, vantando da anni contratti di esclusiva con numerosi di essi. a ga galleria e a ssi è d distinta st ta anche a c e per pe la a capac capacità tà d di cog cogliere e e le e novità o tà mondiali o d a esse essendo do stata, ad ese esempio, p o, ttra a le e La prime in Italia ad organizzare un'importante mostra con artisti contemporanei cinesi (Made in China, Padova, 2006). Il nucleo galleristico Vecchiato Art Galleries viene fondato nel 1986 da Dante Vecchiato a Padova: all'inaugurazione prendono parte i maggiori esponenti dell'arte italiana del XX secolo, tra cui Sironi, Campigli, Afro, Burri, Vedova e Fontana. L'anno successivo si raggiungono grandi risultati con una personale del fondatore dello Spazialismo ed una collettiva in cui compaiono, accuratamente selezionate, opere dei più grandi maestri. Aperto ad ogni corrente artistica, il gallerista Dante Vecchiato accoglie i lavori di esponenti del Nouveau Réalisme come Cèsar, Réalisme, Cèsar Arman e Christo, Christo e dell'Informale dell Informale, organizzando personali di Tancredi Tancredi, Santomaso, Santomaso Afro e Vedova; guarda inoltre alla produzione latino-americana con Matta e Lam, e, sensibile al fascino della Pop-Art, allestisce nel 1991 una memorabile personale di Andy Warhol. Intanto continua a sostenere il lavoro dei maestri italiani, da Morandi e Campigli, a De Chirico, Savinio, Rosai e De Pisis. Nel 1999 l’artista l artista Jean Michel Basquiat è assoluto protagonista delle iniziative della Galleria: viene organizzata una mostra con trenta grandi capolavori dell’artista nelle sedi di Forte dei Marmi e di Cortina. Negli stessi anni l'edizione italiana del catalogo generale dell'artista afro-americano, riscuote un enorme successo. Edito in collaborazione con la Galerie Enrico Navarra di Parigi, il catalogo viene presentato in anteprima alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia alla presenza di 500 invitati e con la partecipazione alla conferenza stampa di personalità come Luca Massimo Barbero, Enrico Navarra ed il gallerista newyorkese dello stesso Basquiat, Tony Shafrazy. "Made in China", 16 marzo al 30 giugno 2006, Padova. Con Xin Haizhou, Ma Han, Xing Jun Qin, Yin Kun, Fu Lei, Renslhong, Chen Wenling, Zheng Xiaogang, Shen Xiaotong 5 settembre1999 settembre1999, sede collezione Guggeneheim, Guggeneheim Venezia
Sono numerosi anche i contratti stipulati con artisti il cui rilievo è risultato essere crescente nel corso del tempo e che hanno permesso a Dante Vecchiato di conquistarsi il titolo di “Talent Scout”; fra questi ricordiamo Cesare Berlingeri e Rabarama. Il lavoro con tali artisti ha comportato una sempre maggiore apertura verso l’estero senza tralasciare i paesi p da q qui la scelta di p puntare con sempre p maggior gg forza agli g investimenti all'estero ((organizzazione g extraeuropei, di mostre, trasferte, collaborazioni con gallerie estere, ecc) e di concentrare la presenza in Italia nella galleria madre di Padova, con il progetto del suo potenziamento e la chiusura delle sedi minori fuori città. www.cesareberlingeri.com www.rabarama.com Il lavoro della Galleria, dunque punta molto sulla promozione dell’arte contemporanea italiana nel mondo: numerose a riguardo le manifestazioni che hanno coinvolto diverse strutture museali, raggiungendo persino le coste d'oltreoceano, dagli Stati Uniti (Museo d'Arte Contemporanea di Boca Raton, Florida) al Messico (Museo Olmeto Patino, Patino Città del Messico), Messico) dal Venezuela (Giardini del Centro Culturale La Estancia, Estancia Caracas) alla Cina (Millennium Monument, Pechino e Palazzo delle Esposizioni di ShenZhen e Shangai), senza dimenticare, in Europa, la Francia (Place du Panteon, Parigi e Musée Fleury, Lodève). Il 2006 rappresenta un anno molto importante per la Galleria d'Arte Vecchiato, culminato con l'inaugurazione p a Padova,, che vanta uno spazio p moderno concepito p come un loft in cui la di una nuovissima sede sempre tecnologia d'avanguardia permette un'innovativa fruizione delle opere d'arte. Il 16 marzo dello stesso anno, viene inaugurata nella nuova sede la mostra Made in China in cui si sono potuti apprezzare i lavori di undici artisti cinesi contemporanei, selezionati personalmente da Dante Vecchiato. La stessa sede ospita poi a giugno la mostra 5 Nouveau Réalisme che raccoglie opere di Christo, Hains, S Spoerri, i César Cé ed d Arman, A artisti ti ti per cuii D Dante t Vecchiato V hi t ha h sempre di dimostrato t t un particolare ti l iinteresse, t e ad d ottobre quella dedicata ai momenti salienti dell’intero arco dell’attività artistica del padre della Pop Art, Andy Warhol. In concomitanza con le mostre organizzate all’interno della galleria, lo staff si muove in altre direzioni proponendo eventi a livello nazionale ed internazionale come la personale di Rabarama a Cesena Cesena, Rabarama a Paris e Rabarama in the Mizner Park a Miami.
Dal 2008 la Vecchiato ha cominciato inoltre ad avvalersi di un canale televisivo puntando sulle eccellenze artistiche nel tentativo di far conoscere anche al grande pubblico le nuove proposte della Galleria tramite dirette televisive su canali del digitale terrestre e satellitari. portato avanti dalla sorella Cinzia la q quale collaborava g già Da due anni ormai il lavoro di Dante Vecchiato viene p da molto tempo con il fratello nella gestione delle gallerie. A questa nuova gestione si deve in particolare l’organizzazione dell’esposizione dal titolo Anti-conforme che ha visto non meno di 30 opere di Rabarama esposte da Giugno a Settembre 2011 a Firenze tra il Complesso Le Pagliere, il Giardino delle Scuderie Reali, Piazza Pitti e il Giardino di Boboli. Altro traguardo importante è la partecipazione di Rabarama alla Biennale di Venezia, 54th International Art Exhibition e l'attenzione verso i nuovi media e le nuove tecnologie: in questa direzione si realizza nel 2011 il primo esperimento a livello mondiale di 360° 3D Mapping Projection live su una scultura di Rabarama e si da sempre maggiore importanza ad Internet come canale di promozione promozione, contatto e vendita vendita, giungendo alla inaugurazione nel 2012 del primo esperimento italiano di vendita di arte contemporanea su Facebook (Vecchiato stART). potenziata con l'ampliamento p e la realizzazione di un Nello stesso anno la sede centrale di Padova viene p ambiente dedicato esclusivamente alla televisione (dirette, registrazioni, internet live streaming) ed alla produzione multimediale. Vecchiato Art Galleries S.r.l. www.vecchiatoarte.it hi t t it www.vecchiatochannel.it Via A. da Padova, 2 - Italy 35137 Padova (PD) tel +39 049 8561359 tel. fax +39 049 8710845
visitati per voi
ALVARO SIZA Viagem sem Programa I Interview i and d portraits i
“ÁLVARO SIZA. VIAGEM SEM PROGRAMA” DISEGNI E RITRATTI EVENTO COLLATERALE DELLA 13. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA - LA BIENNALE DI VENEZIA Venezia, 27 Agosto 2012_ Un progetto espositivo completamente dedicato al lato più intimo e meno conosciuto dell’architetto portoghese Álvaro Siza, figura di spicco nel panorama progettuale internazionale, insignito proprio in questi giorni del Leone d’Oro alla carriera della 13. Mostra Internazionale di Architettura - la Biennale di Venezia Venezia. “Álvaro Álvaro Siza. Siza Viagem sem Programa”, questo il titolo della mostra che si terrà nel palazzo cinquecentesco della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, dal 27 Agosto all’ 11 Novembre 2012, con ingresso gratuito. g dall’associazione culturale Medicina Mentis,, in La mostra,, organizzata collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia, nasce dai numerosi incontri che i due curatori, Greta Ruffino e Raul Betti, hanno avuto con l’architetto lusitano, presso il suo studio a Porto e racconta, attraverso l’esposizione di 53 opere, tratte dai suoi quaderni di appunti e personalmente selezionate dallo stesso autore, non solo l’attività dell’architetto ma soprattutto quella dell’uomo. Il percorso espositivo sottolinea la straordinaria memoria eidetica dell’architetto dell architetto Siza, Siza prendendo le mosse dai suoi disegni (in prevalenza ritratti) realizzati durante gli anni della giovinezza, con una sezione dedicata alla famiglia, i numerosi viaggi compiuti all’estero, le più recenti cene con gli amici e i momenti liberi da peso de del lavoro”, a o o , e ssi popo popola a via a via ad di ricordi, co d , se sensazioni, sa o , note ote “dal ironiche e visioni, tutte valide, in quanto inerenti alla vita.
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“La mostra – dicono i due curatori - addentrandosi nella natura umana e nella cultura progettuale, intende mettere in risalto il legame inscindibile tra queste due componenti, svelando attraverso un percorso emotivo, l’aspetto più intimo e privato di Álvaro Siza che si manifesta in una profonda e intensa capacità di osservare e successivamente tradurre in segno i frammenti della realtà”. Le opere ((stampe L t autenticate t ti t dall’autore, d ll’ t n. 53, 53 1 di 1 – che h iinsieme i costituiscono un’opera inedita e unica), si susseguiranno in un percorso espositivo che metterà in luce sguardi e sogni, ricordi e volti di sconosciuti e di tutti quegli amici incontrati in quello straordinario viaggio senza programma” programma , che è la vita vita. “viaggio L’esposizione, presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia, prevede inoltre uno spazio dedicato alla video-proiezione dell’intervista, realizzata in Portogallo nell’Agosto del 2011, in cui Álvaro Siza parla della sua intima relazione con il disegno, soffermandosi sull’infanzia, gli inizi della carriera, gli incontri di vita e le amicizie maggiormente significative, con uno sguardo verso nuovi sorprendenti progetti. Santa Maria Formosa, C t ll 5252, Castello 5252 30122 V Venezia i tel + 39 041 2711411 fax + 39 041 2711445 ufficiostampa@querinistampalia.org www querinistampalia it www.querinistampalia.it Il catalogo della mostra, con le 53 opere esposte, accompagnate dal testo integrale dell’intervista ad Álvaro Siza, tradotto in quattro lingue, g e realizzato con una nuovissima edito e distribuito dalla Red Publishing carta ecologica Favini, sarà in vendita dal 29 Agosto presso il bookshop della Querini Stampalia e nelle migliori librerie italiane e internazionali.
www.viagemsemprograma.com Press e info: f press@dumbodesignstudio.it Tel. +39 342 8490082 Medicina Mentis - Associazione Culturale di Venezia, promuove l’arte in ogni sua espressione, attraverso l’organizzazione di mostre, eventi culturali e incontri. p aperto, p , luogo g di incontro e Nasce come spazio confronto. I fondatori credono nelle capacità “terapeutiche” che l’arte, nelle sue diverse espressioni, può infondere nelle menti tormentate e talvolta assuefatte dell’homo urbanis. Medicina Mentis, rappresentata da professionisti provenienti dal mondo dell’architettura, del design, della grafica e della comunicazione, collaborando con altri Enti e professionisti del settore, favorisce e incentiva la libera fruizione e il libero accesso alla cultura. www.medicinamentis.it
ALVARO
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The Small Utopia. p Ars Multiplicata p alla Fondazione Prada
The Small Utopia. Ars Multiplicata alla Fondazione Prada La mostra curata da Germano Celant riapre la meravigliosa sede della Fondazione Prada a Venezia: Palazzo Corner della Regina sul Canal grande evento artistico che percorre la Grande. Un g storia dell'arte moderna e contemporanea, la cui ampiezza temporale e la vastità tematica affrontata ha richiesto la collaborazione di musei internazionali e esperti curatori. Già il titolo esprime il desiderio di ampliare la diffusione dell’arte nella società, attraverso la moltiplicazione dell’oggetto, sperimentandone le inedite fruizioni estetiche e sociali. sociali Il restauro della Fondazione Prada restituisce a Venezia un palazzo amato e molto frequentato, fino qualche decennio fa, come biblioteca e luogo g di aq studi, di creazione e di ispirazione: Ca' Corner della Regina fu l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale, un inestimabile patrimonio di 130.000 volumi sulle arti contemporanee e la storia della Bi Biennale, l costituito tit it da d libri, lib i opere video, id periodici, i di i cataloghi e multimedia, raccolti dalla Biennale di Venezia dalla sua nascita in poi. Il materiale poteva essere consultato, anche per fruizione diretta, nelle sale del palazzo palazzo. Dal 2010 l'Asac l Asac, la Biblioteca della Biennale, ha sede negli spazi adiacenti al Padiglione Centrale ai Giardini.
La Fondazione ha rispettato, con il suo recupero di spazi e funzioni, lo spirito del luogo, la vocazione a biblioteca e luogo di studi di Ca' Corner della Regina, cosa evidenziata anche da questa mostra: Al pian terreno e nel primo amme ammezzato ato lo spa spazio io di tre sale è dedicato a libri e ri riviste; iste la storia del cinema sperimentale, le incursioni nei campi della performance vocale, del suono registrato e della radio, e i dischi d’artista a partire tra gli anni Cinquanta e Settanta. Il corpo centrale della mostra si trova nel piano nobile e nel secondo piano ammezzato ammezzato, con oltre seicento opere tra oggetti di design, ceramiche, vetri, tessuti, giocattoli, edizioni di originali e di multipli d’artista; la trasformazione dell’idea dell’unicità nell’arte e la sua percezione, che unisce tutti i principali movimenti e scuole, dal Futurismo italiano al Costruttivismo russo e al Bauhaus, dal Neoplasticismo al Surrealismo, per approdare, attraverso le pratiche dei Nouveaux Réalistes e della Optical Art, alla grande esplosione di ars multiplicata indotta dalla Pop Art, promotrice di un vero “supermarket” dell’oggetto artistico. CA' CORNER DELLA REGINA Santa Croce 2214 - Venezia Curatori: Germano Celant Email: press@fmcvenezia it press@fmcvenezia.it Sito Web: http://www.fondazioneprada.org
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Silvio Porzionato
Silvio Porzionato Back to grey 11 - 30 Settembre 2012 Back B k to t grey è il tit titolo l della d ll mostra t dedicata d di t a Silvio Porzionato, giovane artista nato a Moncalieri. Una ventina di opere celebrano il corpo come oggetto, struttura, materialità, ma al contempo come riflesso dell’anima dell anima e dell’inquietudine umana. Storie di donne, di uomini, di individui che abitano le tele, che parlano a chi li osserva. Back to grey è, oltre a questo, anche la rappresentazione di un lavoro assiduo nell’uso del colore- non colore, nuances di bianchi, di neri, ricerca del grigio, ritorno al grigio. In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo. Silvio Porzionato è nato a Moncalieri M li i (T (Torino) i ) nell 1971. 1971 Vi Vive e llavora nella sua casa-studio a Pancalieri (Torino). Galleria Biasutti&Biasutti http://www.biasuttiebiasutti.com/gallery.asp
"cielo, cielo... mi manca" Vania Elettra Tam
"cielo, cielo... mi manca" Vania V i Elettra El tt Tam T raffigura ffi donne d malinconiche, li i h squisitamente impacciate, perse in un mondo di convenzioni, intrappolate in tele quadrate che diventano le loro piccole celle; impaurite… ma da cosa? Partendo dal manifestarsi di un fatto reale, quale la rottura di un tacco o la percezione delle proprie p p p paure, “cielo…un ragno!”, g esse sono chiamate a fare i conti con il loro inconscio; l’attimo in cui questo accade diventa l’“epifania”, l’episodio rivelatore che mostra i significati più profondi dell’esistenza. Il fascino f i d dell llavoro è proprio i quii nascosto. t Ecco che si apre “un altro mondo” dal sapore onirico e misterioso, che invita lo spettatore a giocare con le forme, con le ombre e spinge a guardare con attenzione attenzione, poiché nulla è come sembra. La prima opera presentata in questa mostra già dal titolo tale intendimento,, “nel bosco rivela g non c’è campo”: si viene catapultati immediatamente in una dimensione favolistica e sollecitati ad andare oltre il reale; proprio il bosco, con i suoi alberi, dall’aspetto grafico e d ll struttura dalla t tt verticale, ti l rimanda i d alla ll presa di coscienza dei soggetti.
Le opere mostrano un taglio fotografico ben q le donne sono inquadrate q nella equilibrato: parte destra del quadro, la proiezione delle loro sagome le accompagna nel lato sinistro e il mondo onirico le circonda tutt’attorno, andando oltre i confini della tela e trascinando nella sua morsa sognante t lo l spettatore tt t stesso. t In queste tele Vania sembra allontanarsi dallo stile di Alex Katz, a cui meglio si accostava nei suoi primi lavori; lo sfondo piatto piatto, color pastello diventa l’immediato tramite tra il mondo reale e quello del sogno. Le forme, infatti, si rivelano più consistenti, definite da pennellate polverose. L’utilizzo di tonalità chiare rafforza la condizione di incertezza e la presenza del nero, più deciso nell’accompagnare ogni donna raffigurata, rimanda nuovamente al lato oscuro con il quale ognuna di esse si deve misurare. I Inevitabile it bil è pensare alle ll suggestive ti atmosfere t f di Edward Hopper; Vania di lui coglie la particolarità di immortalare l’attimo che svela il senso più introspettivo della scena, ma nello stesso momento palesa l’unicità l unicità della sua ricerca. I movimenti, infatti, sono pervasi da reale dinamicità e ciò che maggiormente colpisce sono le espressioni enfatizzate e p da fortemente caricate dei volti: ispirazione ricercare nelle illustrazioni di Walter Molino e Norman Rockwell, autori di cui Vania subisce fortemente il fascino.
L’atmosfera onirica ricreata in ogni opera, inoltre, non disdegna neppure l’incanto del mondo del cinema d’animazione: come non notare nelle luci, nelle ombre e nelle sagome del bosco quel mistero dei primi film di Walt Disney, che tanto ammaliarono e tuttora ammaliano bambini e adulti! Un eclettismo nella ricezione degli stimoli che ha per ris risultato ltato un’ironia n’ironia tutt’altro t tt’altro che banale e una na componente comunicativa com nicati a immediata immediata, che conduce lo spettatore ad andare a fondo e a riflettere sorridendo. Intrinseco di queste opere è il bisogno di recuperare quella dimensione fanciullesca che aiuta a prendersi meno sul serio e a beffare quelle situazioni che sembrano così disperate disperate. Il recupero di un passato passato, quello in cui collezionare e scambiare figurine bastava per essere felici, quella “voglia di leggerezza”, che si trasforma in angoscia se contaminata dagli stereotipi. L’indiscutibile forza di questi lavori è celata all’interno delle ombre. Esse incombono, avvolgono e coinvolgono, ma all’interno della scena non sembrano essere percepite, o meglio, si rivelano consapevolmente solo nella proiezione delle paure dei personaggi. Esse diventano un rifugio, la difesa contro quella luce che prepotentemente incombe da destra e verso la quale ogni azione, però, è indirizzata. I bambini non hanno paura, i bambini non sono mai soli, i bambini ridono di un tacco rotto. Eppure questo mondo d iincantato t t non d deve iintrappolare, t l ma d deve iinsegnare a vivere i lib liberii il proprio i ttempo. IImpaurita it d dunque da cosa? L’invito di Vania diventa chiaro: “Cielo… fai quel salto, diventa donna!”. Laura Angelone Dal 22 ottobre al 30 novembre 2012 - CIELO,CIELO... MI MANCA personale di VANIA ELETTRA TAM a cura di Laura Angelone ART FOR INTERIOR GALLERY via Pellegrino Rossi 5 - Milano
L'INFORMATORE ARTISTICO
Sara Nathan 21,, rue la Boétie "21, rue la Boétie" di Anne Sinclair, brillante giornalista televisiva nonché moglie di quel q Strauss-Kahn,, ex direttore generale g Dominique del Fondo Monetario Internazionale, ora tristemente alla ribalta non per le sue performances da economista. Si da il caso che Anne Sinclair sia la nipote da parte materna di P lR Paul Rosenberg, b "J "Je suis i la l petite-fille i fill d'un d' Monsieur qui s'appelait Paul Rosenberg et qui habitait à Paris, au 21, rue de la Boétie" fra i più grandi mercanti d'arte del '900, sua l'esclusività di vendita per anni di Picasso Picasso, Braque Braque, Matisse Matisse, Fernand Léger, Marie Laurencin, la musa del poeta Apollinaire, e non serve aggiungere altro per sottolineare il calibro del personaggio. Con prende nel 1905 le redini il fratello Léonce Paul p della galleria paterna avviata ai suoi albori con l'acquisto di un Sisley per 87,50 franchi, ma nel 1910 i due fratelli si separano e ha inizio la solitaria, straordinaria avventura di Paul Rosenberg in rue la Boétie.
Ai piani superiori dell'immobile gli appartamenti privati, sotto la galleria grande e stupenda (i (inseriti iti nell pavimento, i t per esempio, i ad d ognii angolo quattro rettangoli in mosaico di Braque, copia fedele delle nature morte dell'artista), punto di passaggio obbligato per tutti coloro che seguono l'evoluzione l evoluzione degli artisti innovatori dell'arte moderna; nella grande sala al piano terreno mensilmente si susseguono appesi alle pareti i quadri di Braque, Matisse e Picasso, al p che ormai il p pubblico mezzanino invece le opere ha imparato a conoscere ed apprezzare, i Degas, i Renoir, i Rodin, i Géricault, i Manet, i Delacroix, solo pezzi da novanta perché l'eccellenza nella scelta delle opere da esporre è il criterio it i principe i i d dell gallerista. ll i t Il mercante t sa fare bene il suo lavoro, quando intuisce lo sguardo perplesso del cliente di fronte a forme e colori rivoluzionari, lo rassicura portandolo al piano superiore dove sono esposti gli artisti ormai consacrati, compresi ed accettati. Attirare con il " vecchio" per promuovere il p "vendibili" come all'epoca p "nuovo",, offrire opere erano già gli impressionisti o la scuola di Barbizon con Corot e Theodore Rousseau in testa per sostenere i nuovi artisti contemporanei che dipingono case che h vacillano, ill donne d storte t t dagli d li occhi hi sbilenchi bil hi o alberi viola. Usando una parola in voga oggi si
potrebbe dire che grandi galleristi e mercanti sono gli "sponsor" degli artisti, formano e educano d il gusto t d dell pubblico bbli sempre llento, t investono su di loro iniziando a comprare le loro opere quando ancora nessuno le vuole per consentire un lavoro sereno senza la preoccupazione di sbarcare il lunario lunario, orientano i loro sviluppi creativi, per Picasso per esempio andare oltre il cubismo o tornare dall'astratto al figurativo come sa fare Rosenberg che nelle p della sua scuderia ha " toujours j esposizioni l'obsession de montrer que l'art est une continuité et que les oeuvres qu'il expose et qui font hurler les bourgeois s'inscrivent dans la continuité de l'histoire de l'art de son pays". E questo t instancabile i t bil lavoro l di ""sensibilizzazione" ibili i " al contemporaneo, al "nuovo" Rosenberg lo farà fino all'ultimo istante della sua vita, negli anni '50 firmerà un contratto con Nicolas de Stael e tenterà di lanciare con scarso successo la pittura "purista" di Le Corbusier. Fin dall'arrivo di Hitler al potere nel '33, molti artisti prendono la strada dell'esilio. Non solo possono esporre p o vendere opere, p , ma non p addirittura creare perché è proibito l'acquisto di tele e colori, il solo odore di terebentina o la vista di pennelli umidi a una visita improvvisa della Gestapo rappresentano causa d'arresto ( (come segnala l Ni Nicholas h l Lynn L nell suo ttesto t "Le "L Pillage de l'Europe").
Il 3 settembre 1939, giorno della dichiarazione di guerra, Rosenberg chiude la galleria parigina e con la famiglia ripara a Floirac, vicino a Bordeaux, traversando Spagna e Portogallo seguirà poi un soggiorno a Sintra, a 25 chilometri da Lisbona, e infine nel settembre 1940 tutta la famiglia sbarca a New York, grazie all'aiuto ll' i t del d l vecchio hi amico i Alf Alfred d Barr, B conservatore del MoMa, che spiegando alle autorità americane l'utilità della presenza di Rosenberg per la diffusione dell'arte oltre oceano riuscirà a fargli ottenere l'affidavit oceano, l affidavit necessario per sbarcare negli States. Rifiutano l'opportunità di salvezza Alexandre, il diciannovenne figlio di Rosenberg (fratello di Anne Sinclair) e due cugini che scelgono di combattere raggiungendo Londra prima ancora della chiamata alla resistenza del Generale De Gaulle. E la l storia t i di un lluogo o di un quadro d può ò risultare altrettanto avventurosa di quella di un uomo: a seguito della disposizione di Hitler del 30 giugno 1940 di "mettere in sicurezza" opere e oggetti d'arte d arte appartenenti agli ebrei ebrei, viene subito stilata la lista dei nomi dei galleristi che scottano, Berneheim-Jeune, Alphonse Kann, Seligmann, Wildenstein e Paul Rosenberg e p straordinario il 4 luglio, g a con tempismo distanza di solo quattro giorni, i nazisti sono già presenti in rue la Boétie per impadronirsi di luoghi ed opere.
Il 3 settembre 1939, giorno della dichiarazione di guerra, Rosenberg chiude la galleria parigina e con la famiglia ripara a Floirac, vicino a Bordea Bordeaux, tra traversando ersando Spagna e Portogallo seguirà poi un soggiorno a Sintra, a 25 chilometri da Lisbona, e infine nel settembre 1940 tutta la famiglia sbarca a New York, grazie all'aiuto all aiuto del vecchio amico Alfred Barr, Barr conservatore del MoMa, che spiegando alle autorità americane l'utilità della presenza di Rosenberg per la diffusione dell'arte oltre oceano, riuscirà a fargli ottenere l'affidavit necessario per sbarcare negli States. Rifiutano l'opportunità di salvezza Alexandre, il diciannovenne figlio di Rosenberg (fratello di Anne Sinclair) e due cugini che scelgono di combattere b tt raggiungendo i d L Londra d prima i ancora della chiamata alla resistenza del Generale De Gaulle. E la storia di un luogo o di un quadro può risultare altrettanto avventurosa di quella di un uomo: a seguito della disposizione di Hitler del 30 giugno 1940 di "mettere in sicurezza" opere e oggetti d'arte appartenenti agli ebrei, viene subito stilata la lista dei nomi dei galleristi che scottano, Berneheim-Jeune, Alphonse Kann, Seligmann, Wildenstein e Paul Rosenberg e con tempismo straordinario il 4 luglio, a di t distanza di solo l quattro tt giorni, i i i nazisti i ti sono già ià presenti in rue la Boétie per impadronirsi di luoghi ed opere.
Sotto la tutela della Gestapo la galleria diventa la sede dell'Institut d'étude des Questions juives la cui g antisemita e dar seguito g missione è fare propaganda alle denunce dei delatori, la foto del maresciallo Pétain e affiche antisemite si impossessano dei bianchi muri che prima avevano visto sfilare i capolavori di fine ottocento e dei moschettieri avanguardisti di ti d dell primo i novecento. t L Le opere conoscono destini diversi, alcune si salvano perché Rosenberg le aveva provvidenzialmente già spedite in America, fondo per la sua nuova futura galleria in Madison avenue o perché le aveva prestate per mostre ai musei d'oltre oceano, le altre, la maggioranza, circa 400, nascoste in luoghi diversi finiranno nelle collezioni tedesche, Goering gerarchi p più avidi. notoriamente fra i g Uno dei bottini più grossi quei 162 quadri chiusi in banca a Libourne nella cassaforte forzata e svuotata dai nazisti nel settembre 1941, requisite nell'occasione pure le l più iù b belle ll ttele l di B Braque che h l'l'artista, ti t rifugiato if i t a Floirac dai Rosenberg aveva pensato di "proteggere" mettendole in una cassaforte accanto. Nell'agosto 1944 un distaccamento di truppe della II divisione agli ordini di Alexandre Alexandre, il figlio di Paul Paul, ferma a Olnay l'ultimo treno a destinazione Germania di opere d'arte rubate: 148 casse di arte moderna fra cui anche delle opere appartenenti al padre. Ricordo di aver visto un proposito p tanti anni fa e Burt Lancaster film in p interpretava l'eroico macchinista del convoglio. A fine guerra il grande sforzo di Rosenberg sarà quella di recuperare soprattutto in Baviera e Svizzera questo
straordinario patrimonio artistico, ma non tutte le opere faranno ritorno a casa, chissà in quali pareti in giro per il mondo hanno trovato la loro collocazione g segreta. Spulciando in profondità nei vari archivi familiari inediti e non Anne Sinclair offre una documentazione ricchissima, emergono un numero impressionante di scritti, la corrispondenza che R Rosenberg b h ha ttenuto t per d decennii con i mostri t i sacrii dell'arte; 214 lettere per esempio, ora al museo Picasso di Parigi, scritte fra il 1918 e la morte del mercante nel 1959 con l'amico Pic (Picasso). Picasso era venuto ad abitare al 23 di rue la Boétie, Boétie chiamava il gallerista"Mon cher Rosi" e i due erano diventati inseparabili, chiamandosi dalle finestre delle loro cucine rispettive che davano sullo stesso cortile interno. Quali gli aspetti salienti della personalità del gallerista attraverso gli occhi della nipote? " l'obsession de sa vie: ses tableaux, qu'il aimait comme des êtres vivants, leur récupération qui lui donna tant de mal, la volonté l té d de ffaire i valoir l i ses d droits it ett celle ll d' d'assurer à ses enfants une vie confortable". Quale il suo rimpianto più grande? Come risulta dalla sua corrispondenza con Matisse e Picasso, quello di essere stato solo un mediatore e non un creatore "...les regrets de n'être que le passeur, jamais celui qui crée...." e ancora " si seulement je pouvais créer quelque chose, si Dieu m'avait donné ce don, je plaisir sans limites à le faire. Mais, trouverais un p hélas, je dois me conter de jouir de l'admiration que j'ai pour les créations des autres.... "
Se credete che esista il caso ma non il destino, se pensate che le favole siano solo una meravigliosa illusione degli scrittori, fermatevi q alche min qualche minuto to e leggete q questa esta storia storia.
Scoprendo Vivian Maier
“400 dollari e uno, 400 dollari e due, 400 dollari e tre. Aggiudicato al signore là in fondo!”. John Maloof prese lo scatolone e se ne tornò a casa. Odorava di polvere, l’odore del tempo che ha fermato la sua corsa tra pareti di cartone e che gli stava incipriando di nero i polpastrelli delle dita mentre se lo rigirava tra le mani, alla ricerca del punto giusto in cui affondare il taglierino. Un’incisione, una boccata d’aria e il tempo tornò nuovamente a scorrere, per un attimo. John, agente i immobiliare bili di professione f i e appassionato i t storico nel tempo libero, stava collaborando alla realizzazione di un libro riguardante il quartiere Portage Park di Chicago e sperava che in quello scatolone zeppo di negativi potesse esserci qualche immagine utile al suo lavoro; li sfilò controluce, li scorse velocemente, uno dietro l’altro,come chi, alla ricerca di qualcosa di ben preciso, è cieco di fronte a ciò che non corrisponde al suo obiettivo; affondò le mani in centinaia di pellicole, ma non trovò ciò che cercava. Riscattate dall’oblio John ve le rimandò chiudendo hi d d di nuovo con un colpo l secco llo scatolone; pensava al suo libro, non gli interessava la fotografia… non ancora.
Quei negativi sbucarono fuori per poi essere ancora nascosti in un giorno non ricordato, altrettanto lt tt t non ricordato i d t il giorno i di alcuni l i mesii dopo in cui John decise di tornarvi. Perché la memoria a volte è strana: trascina in un sonno sotterraneo persone, oggetti, avvenimenti, per poi svegliarli d’improvviso d improvviso, senza che glielo venga richiesto. Così John, in quel giorno qualsiasi, tornò a rovistare nello scatolone. Riprese in mano i negativi ma non più con fare guardò p per la p prima meccanico e distratto, li g volta: sentì il pianto e le risate dei bambini che giocavano per strada, le note di Little Walter e Willie Dixon provenire dalle Chevrolet di passaggio, il rumore dei tacchi di donne i impellicciate lli i t che h camminano i suii marciapiedi, i i di lla tenerezza di un amore non più giovane che non si nasconde in mezzo alla gente. E ogni tanto lei, una giovane donna, capelli corti nascosti da un cappello a larga tesa tesa, abiti mascolini a coprire un corpo esile, sguardo timido che sfugge all’occhio della sua Rolleiflex mentre immortala se stessa nel riflesso di una vetrina. g sapevano p p parlare e John non Quelle immagini fece altro che ascoltarle, per giorni, finché sentì sempre più forte il richiamo a una sfida: “Forza, provaci anche tu! Vediamo cosa riesci a fare”. Coglierla fu la sferzata decisiva verso un nuovo amore, la l ffotografia t fi e colei l i che h gliela li l ffece conoscere. Comprò una fotocamera medioformato, identica a quella della ragazza
delle foto, e si mise sui suoi passi; percorse le stesse strade, alla ricerca degli sguardi e dei saporii che h sii erano iimpressii nella ll sua mente, t per comprendere ben presto che quella freschezza, quella immediatezza, quella capacità di vedere non erano affatto così semplici; quella ragazza ci sapeva fare fare, eccome. Scivolò pian piano nell’arte dello scatto, e più p di tempi p ed esposizioni, p p più voleva sapeva sapere di quella donna in bianco e nero. Come un investigatore alla ricerca di indizi, si rivolse per prima cosa alla casa d’asta: “ Spiacente, ma questi negativi sono stati messi all’incanto d l padrone dal d di un d deposito it d dove stati t ti llasciati i ti e mai più reclamati; l’affittuaria ha smesso di pagare, pare sia malata, ma di lei si sono comunque perse le tracce”. Deluso, ma non abbastanza da sotterrare la sua curiosità curiosità, John scoprì poco tempo dopo che il fratello di un suo amico, un certo Ron Slattery, aveva acquistato come lui una parte dei negativi; radunarono il tesoro e cominciarono a scansionare e a sviluppare, già, perché alcune foto erano ancora custodite nel silenzio dei rullini e non avevano mai incontrato gli occhi di chi le aveva create. Occhi che incrociarono lo sguardo di i hi e di vagabondi, b di di gente t qualsiasi l i i e pure ricchi qualche stupita celebrità, tra gli angoli di Chicago e qualche angolo del mondo.
Quei negativi sbucarono fuori per poi essere ancora nascosti in un giorno non ricordato, altrettanto lt tt t non ricordato i d t il giorno i di alcuni l i mesii dopo in cui John decise di tornarvi. Perché la memoria a volte è strana: trascina in un sonno sotterraneo persone, oggetti, avvenimenti, per poi svegliarli d’improvviso d improvviso, senza che glielo venga richiesto. Così John, in quel giorno qualsiasi, tornò a rovistare nello scatolone. Riprese in mano i negativi ma non più con fare guardò p per la p prima meccanico e distratto, li g volta: sentì il pianto e le risate dei bambini che giocavano per strada, le note di Little Walter e Willie Dixon provenire dalle Chevrolet di passaggio, il rumore dei tacchi di donne i impellicciate lli i t che h camminano i suii marciapiedi, i i di lla tenerezza di un amore non più giovane che non si nasconde in mezzo alla gente. E ogni tanto lei, una giovane donna, capelli corti nascosti da un cappello a larga tesa tesa, abiti mascolini a coprire un corpo esile, sguardo timido che sfugge all’occhio della sua Rolleiflex mentre immortala se stessa nel riflesso di una vetrina. g sapevano p p parlare e John non Quelle immagini fece altro che ascoltarle, per giorni, finché sentì sempre più forte il richiamo a una sfida: “Forza, provaci anche tu! Vediamo cosa riesci a fare”. Coglierla fu la sferzata decisiva verso un nuovo amore, la l ffotografia t fi e colei l i che h gliela li l ffece conoscere. Comprò una fotocamera medioformato, identica a quella della ragazza
delle foto, e si mise sui suoi passi; percorse le stesse strade, alla ricerca degli sguardi e dei saporii che h sii erano iimpressii nella ll sua mente, t per comprendere ben presto che quella freschezza, quella immediatezza, quella capacità di vedere non erano affatto così semplici; quella ragazza ci sapeva fare fare, eccome. Scivolò pian piano nell’arte dello scatto, e più p di tempi p ed esposizioni, p p più voleva sapeva sapere di quella donna in bianco e nero. Come un investigatore alla ricerca di indizi, si rivolse per prima cosa alla casa d’asta: “ Spiacente, ma questi negativi sono stati messi all’incanto d l padrone dal d di un d deposito it d dove stati t ti llasciati i ti e mai più reclamati; l’affittuaria ha smesso di pagare, pare sia malata, ma di lei si sono comunque perse le tracce”. Deluso, ma non abbastanza da sotterrare la sua curiosità curiosità, John scoprì poco tempo dopo che il fratello di un suo amico, un certo Ron Slattery, aveva acquistato come lui una parte dei negativi; radunarono il tesoro e cominciarono a scansionare e a sviluppare, già, perché alcune foto erano ancora custodite nel silenzio dei rullini e non avevano mai incontrato gli occhi di chi le aveva create. Occhi che incrociarono lo sguardo di i hi e di vagabondi, b di di gente t qualsiasi l i i e pure ricchi qualche stupita celebrità, tra gli angoli di Chicago e qualche angolo del mondo.
E poi, due anni dopo, intervenne ancora lui, il caso, se di questo si tratta: sulla carta ingiallita d ll b della busta t di un llaboratorio b t i ffotografico t fi apparvero inaspettate due parole, “Vivian Maier”. John e Ron si fermarono, sorpresi e increduli di fronte a quel nome che non pensavano nemmeno più esistesse esistesse. “Dunque Dunque è così che ti chiami…”. V-I-V-I-A-N M-A-I-E-R cliccato su Google e… g g origine g francese e “Vivian Maier, di orgogliosa residente a Chicago negli ultimi 50 anni, è morta serenamente Lunedì. Seconda madre di John, Lane e Matthew. Uno spirito libero e gentile che toccò magicamente le vite di chi la conobbe. bb S Sempre pronta t a ffornire i consigli, i li opinioni o a dare una mano. Critica cinematografica e straordinaria fotografa. Davvero una persona speciale che mancherà dolorosamente ma la cui lunga e meravigliosa dolorosamente, vita tutti noi celebreremo e ricorderemo sempre”. Così citava un necrologio del Chicago Tribune, p 2009. Solamente due g giorni datato 21 Aprile prima. E così a volte capita che delle vite si incrocino senza mai conoscersi. Da lì, il passo a contattare chi della sua vita ne fece parte fu b breve. L Le parole l d deii Gensburg G b presentarono t ufficialmente Vivian Maier a John. “Quando si presentò alla nostra porta sembrava
Mary Poppins: indossava un pesante soprabito, sotto spuntavano una lunga gonna orlata in pizzo i e robuste b t scarpe, portava t con sé é un’enorme borsa da viaggio. E come Mary Poppins arrivò per prendersi cura di noi, era il 1956. Era nata a New York, ma era per metà francese e per metà austriaca austriaca. Visse in Francia per un certo periodo, ma poi decise di far ritorno alla Grande Mela. Cosa la portò qui a Chicago non saprei, era una persona molto riservata, p le domande sul suo p passato. schivava sempre Noi bambini la adoravamo: ci raccontava storie, ci faceva vedere film, visitare monumenti, raccogliere fragole nel bosco. Voleva che esplorassimo la vita al di là di Highland Park, il nostro t quartiere, ti che h ffossimo i consapevolili di ciò iò che accadesse intorno. Ricordo ancora il giorno in cui, guardando fuori dal finestrino del treno di ritorno da uno dei nostri giri, le feci notare con stupore che c’erano c erano dei vestiti appesi fuori dalle case ad asciugare, -Pensi davvero che tutti abbiano un’asciugatrice in casa?- mi disse. Non sappiamo se avesse amici o un fidanzato, per sbaglio g le si rivolgeva g ma a chi p apostrofandola come signora -Signorina – rispondeva- e ne vado orgogliosa-. Di certo la macchina fotografica era il suo compagno più fedele, se la portava in giro appesa al collo e libero sii chiudeva hi d iin b bagno a nell ttempo lib sviluppare.
E la macchina fotografica fu l’unica cosa che l’accompagnò quando decise per sei mesi di girare i il mondo d d da sola. l C Cosa lla spinse i a partire ti anche questo è un mistero, e dopo essere stata a Los Angeles, a Manila, Bangkok, in Egitto e in Italia, tornò a essere la nostra babysitter, fino a quando fummo abbastanza grandi da cavarcela da soli. Lasciò la nostra casa nel 1972, nessun cenno a dove sarebbe andata; la ritrovammo all’inizio degli anni novanta e perché accettasse di andare dovemmo insistere p a vivere in un appartamento confortevole a Rogers Park, dove avremmo potuto anche occuparci di lei. Per tutti quegli anni aveva continuato a fare la babysitter, aveva continuato a fotografare f t f e continuava ti ad d andare d in i giro i per la città, da sola. Poi l’anno scorso scivolò sul ghiaccio, una banale caduta dalla quale però non riuscì più a riprendersi del tutto. E poi com’è poi…com è finita già lo sa. sa Abbiamo sparso le sue ceneri tra le fragole di bosco.” Col passare dei giorni John non smise di pensare a q p quella ragazza g che entrava nelle case delle famiglie portandosi dietro tutta la sua vita racchiusa dentro scatoloni. La sua storia era (e tuttora lo è) una trama aperta, con personaggi e scene ancora da scoprire, e per scovarlili John J h comprese di d dover proseguire i a scansionare e a sviluppare i negativi, come un archeologo che strato dopo strato trova le
tracce nascoste per ricostruire un quadro, il più fedele possibile, alla realtà. L’archeologia e la f t fotografia fi per certiti aspetti tti sono simili: i ili salvano l dal tempo esistenze. Recuperò dagli altri acquirenti ulteriori negativi, 12.000 in tutto, raccolse abiti e documenti dalle famiglie che la incontrarono, incontrarono trovò persino registrazioni audio. Lo stupore per ogni foto che affiorava era tale che non poté più tenerselo per sé, così fece quello che qualsiasi ventottenne può fare nell’era della comunicazione web: aprì p p un blog, per pubblicare di volta in volta gli scatti ritrovati, cosicché, ancor oggi, sembra di partecipare personalmente a una continua scoperta. Alla ricerca di un’opinione da parte di chi hi se ne iintendesse t d un pò ò di ffotografia, t fi ne pubblicò alcune su Flickr, sito di photo sharing per appassionati e addetti al mestiere; alla domanda “Cosa ne pensate di queste immagini? Sarebbero adatte a un’esposizione?” un esposizione? Arrivò una valanga di impressioni entusiaste, che ne elogiavano la composizione, la poesia, l’ironia o il dolore di cui si facevano portatrici, g p paragoni g con i p più noti maestri non disdegnando dello scatto, da Erwitt a Klein, da Frank a Doisneau. La straordinarietà di ciò che gli capitò tra le mani non poteva dormire invisibile in una soffitta, così John fece di tutto perché anche gli lt i vedessero d il mondo d attraverso tt glili occhi hi di altri Vivian.
Le sue foto ora sono esposte al Chicago Cultural Center; in autunno la Powerhouse Books, raffinata casa editrice della fotografia e dell’arte che conta, pubblicherà il suo primo libro; nel 2012 uscirà un documentario sulla sua vita. Una domanda però rimane aperta: cosa penserebbe Vivian Maier di tutto ciò, lei che tenne la sua arte per sé e non fece nulla per rivelarla agli altri? Lei, che scattava e subito scompariva tra le strade di Chicago, forse non perdonerebbe John o forse, come in una delle sue registrazioni registrazioni, direbbe “Bisogna lasciare spazio ad altre persone, perché esse hanno la possibilità di arrivare fino in fondo”. Finding Vivian Maier Chicago Cultural Center chicagoculturalcenter.org vivianmaier.blogspot.com
Guernica,il falso mito Guernica,il celebre dipinto è diventato il simbolo per protesta dell'umanità contro la eccellenza della p barbarie, ma è un falso storico. Guernica era un obiettivo militare. Varese - “Guernica, la verità oltre il mito - Il celebre dipinto di Pablo Picasso, è un quadro riciclato. Fu infatti realizzato dall’artista molti anni prima del bombardamento tedesco della cittadina basca durante la guerra civile spagnola (1936-39). Come tutti gli spagnoli, Picasso amava le corride e rimasto colpito dalla morte del famoso torero Joselito, suo beniamino,
decise di dedicargli un dipinto. Così alcuni anni dopo realizzò una grande tela gremita di figure tragicamente atteggiate, tra cui un toro decapitato e un cavallo sventrato (quello del matador), che titolò per l'appunto " Lamento en muerte del torero Joselito Joselito". Nel 1937, in piena guerra civile, il governo repubblicano-comunista, di cui Picasso era un fervente sostenitore, gli commissionò un quadro per ricordare, o meglio enfatizzare, le conseguenze del bombardamento tedesco avvenuto nei pressi della cittadina Basca di Guernica da esibire all'Esposizione Universale di Parigi prevista per l'anno dopo..
così il nostro artista riesumò il dipinto dedicato al torero e, apportati alcuni aggiustamenti, lo ribattezzò governo alla modica cifra "Guernica" e lo cedette al g di 300.000 pesetas dell'epoca. Qualcosa come un milione circa degli attuali euro. In quegli anni di guerra civile, di morte e distruzione, le popolazioni pativano la fame e il nostro uomo, i icona d della ll sinistra i i t proletaria, l t i non ebbe bb scrupolili a intascare quella enorme somma che contribuì a fare di lui uno degli artisti più ricchi della storia. Da allora il celebre dipinto è diventato il simbolo per eccellenza della protesta dell'umanità dell umanità contro la barbarie, tale da meritarsi una sala tutta per sé al Metropolitan Museum di New York dove migliaia di "pellegrini" per anni hanno sfilato in religioso silenzio, g o consapevoli p di trovarsi di fronte ad un ignari evidente falso storico che ha fatto ricco il suo autore. Altro falso storico è la vicenda che ha ispirato il quadro, ossia il bombardamento di Guernica. S Secondo d certa t storiografia t i fi ffaziosa i lla cittadina itt di B Basca, il 26 aprile del 1937, fu rasa al suolo da un violento attacco dell’aviazione tedesca che voleva sperimentare nuovi aerei e nuove tecniche di bombardamento Per puro sadismo i nazisti bombardamento. nazisti, che sostenevano il fronte monarchico del generale Franco contro quello repubblicano appoggiato da Stalin, decisero di effettuare l’azione giorno di mercato. La conseguenza g di di lunedì, g questo vile attacco su una pacifica e indifesa cittadina fu di 1654 morti e 889 feriti, in massima parte civili.
Questa tesi, ancora oggi propagandata e riportata addirittura nei libri di testo, è stato smentita nel 2003 g dal titolo “Los da un imponente volume di 600 pagine mitos de la Guerra Civil”, in cui lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo, ricostruisce con assoluto rigore la controversa vicenda. R Recentemente t t il giornalista i li t R Raii St Stefano f M Mensurati ti nel suo documentatissimo libro “Il bombardamento di Guernica", sfata definitivamente il mito di una cittadina immersa in un'atmosfera bucolica, colta di sorpresa e attaccata senza motivo e in maniera selvaggia. Guernica era in realtà un obiettivo militare. Distante una ventina di chilometri dal fronte, era sede di due fabbriche di armamenti, di un nodo ferroviario cruciale per i rifornimenti e di un ponte indispensabile ai repubblicani per ripiegare in difesa di Bilbao. Era presidiata da un contingente di 2.000 uomini e protetta da un sistema di batterie contraeree. t Numerosi N i rifugi if i erano stati t ti predisposti di ti iin previsione di possibili attacchi dall’alto. Ad effettuare l’incursione furono, quel 26 aprile del ’37, alcuni bombardieri tedeschi affiancati da una quindicina di velivoli italiani italiani. L’obiettivo L obiettivo era il ponte di Renterìa, Renterìa sul fiume Oca, che doveva essere distrutto per ostacolare il transito delle truppe repubblicane. Inevitabilmente (non c’erano ancora le bombe g ) alcuni ordigni g caddero nel centro abitato, intelligenti) infatti su 39 crateri individuati dalla ricognizione aerea, solo 7 risultano nell’abitato.
I morti realmente accertati furono 126 e i feriti una trentina, numeri ben distanti da quelli propagandati. p p g Le due fabbriche di armi,, p poco distanti dall’abitato,, non furono neanche sfiorate dagli ordigni (se fossero state colpite il numero di vittime sarebbe stato molto maggiore) segno che l’obbiettivo non era il paese e né tantomeno i suoi abitanti. Altra interpretazione truffaldina riguarda le famose fotografie che cii mostrano una città i à semidistrutta. idi F Fu iinvece appurato che h furono proprio i miliziani anarchici, durante la loro ritirata, a far saltare con la dinamite, di cui disponevano in abbondanza (siamo nelle Asturie, terra di miniere) gran parte degli edifici per ostacolare l’avanzata l avanzata delle truppe franchiste franchiste, il fuoco delle abitazioni in legno fece il resto. La stessa tecnica fu poi adottata dai sovietici durante l’invasione tedesca della Russia. p sconcertante riguarda g la p presunta crudeltà dei Un aspetto tedeschi che per infierire sulla popolazione civile, dicono gli storici partigiani, decisero di effettuare l’incursione di lunedì, giorno di mercato. Tesi completamente falsa perché il mercato (che fra l’altro quel giorno era stato soppresso) terminava a mezzogiorno, mentre l’azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16 e 15. Come si è giunti a uno stravolgimento dei fatti così clamoroso lo possiamo comprendere leggendo la cronaca di quei giorni attraverso l’unico corrispondente di guerra presente che, come a volte avviene ancora oggi oggi, seguiva gli avvenimenti bellici da una comoda stanza d’albergo a debita distanza dal fronte. Si tratta dell’inglese George L. Steer il quale lavorando di fantasia, venuto a sapere che il lunedì era giorno di mercato, g avvenimenti descrivendo le scrisse da Bilbao la cronaca degli inermi massaie e i vecchi contadini morti sotto le bombe tedesche e il mitragliamento a volo radente. Peccato che quel giorno il mercato fu sospeso.
Tuttavia, nonostante si capi fin da subito che la corrispondenza non era il resoconto oculare, ma il parto di una mente fantasiosa, la cosa venne accetta come vera. Il motivo è semplice: faceva comodo sia alla propaganda comunista per coprire le malefatte dei rossi ai danni dei cattolici perseguitati e massacrati a migliaia, sia a quella del governo britannico impegnato a convincere l’opinione pubblica della necessità di sostenere t le l ingenti i ti spese per il riamo i all fifine di ffronteggiare t i il potenziale bellico che i tedeschi hanno dimostrato di possedere a Guernica, anche se a essere impiegati erano dei normalissimi apparecchi come il trimotore Junkers-Ju-52 e non certo i modernissimi Stuka. Stuka Scorrendo su internet è sorprendente notare come questo duplice falso storico (il quadro milionario riciclato di Picasso e la ricostruzione artefatta del bombardamento di Guernica) sia invece comunemente accettato come verità assoluta. Evidentemente certi miti che hanno fatto la fortuna (è il caso di dirlo) di qualcuno e di una parte politica a corto di idee, non si toccano. La verità può attendere. Chissà se a qualche artista contemporaneo un giorno verrà in mente di dipingere un quadro d per ricordare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane e tedesche sul finire della guerra, le bombe atomiche sul Giappone prossimo alla resa, il napalm sui villaggi vietnamiti e gli ordigni al fosforo che fecero strage di civili a Falluja in Iraq? Crimini contro l’Umanità per i quali nessuno ha mai pagato. E chissà se esiste un governo disposto a sborsare un milione di euro per acquistarlo, come avvenne per il fortunato quadro di Picasso? Mah. Gianfredo Ruggiero Presidente Circolo Excalibur
Keith Haring, la liturgia dei segni Semiotica, Disney, pubblicità. Così il «bambino» dell'arte dell arte cercava la sua via spirituale Nel 1970 Keith Haring compì dodici anni e prese una decisione: smettere di crescere. Fermarsi lì, in quell'aspetto quell aspetto spigoloso e occhialuto da studente di buona famiglia della Pennsylvania, perché intuiva che le «parole dei grandi» non facevano per lui. Già da qualche tempo coltivava un alfabeto bizzarro, fatto di segni corti e secchi, sagome buffe ma che composte sulla tela rimandavano a messaggi solenni: un abbraccio fraterno, una croce gravida di presagi, girotondi messianici. «Spiritualità nuda» la definisce il curatore Gianni Mercurio che a «Bianco & Nero», insieme alla regista Christina Clausen, Clausen porta un Haring segreto, inatteso: quello della contrapposizione tra pop e religiosità, autenticità infantile e spirito missionario nel diffondere il disegno come elemento unificante. Il Keith Haring come incarnazione degli anni Ottanta. Un documentario, degli incontri e una mostra alla chiesa di San Francesco. Il film di Clausen «The Universe of Keith Haring» è il racconto della vita dell'artista, dall'adolescenza in periferia fino ai successi newyorkesi; l'esposizione è una dichiarazione di intenti: la serie dei Dieci Comandamenti e il dipinto «The Marriage of Heaven and Hell». Hell Ossia: un atto di fede in forma laica, laica pop, pop grafica. «Ho incontrato Haring nel 1983, quando venne a dipingere al negozio di Fiorucci - racconta Mercurio - e mi sembrò un piccolo Cristo.
Da sempre questa sua duplicità mi ha attratto: l'artista anarchico, prolifico, senza schemi da una parte e dall'altra un isolamento radicale, imperniato sull'arte come missione educativa e accessibile». Un Vangelo fatto di segni, messaggio primordiale e comprensibile, nato dagli studi di semiotica ma anche dal mondo di Disney e dalla pubblicità che si affermava ff ovunque. I Dieci Comandamenti sono una contraddizione solo apparente: sulla tela vengono rappresentati i peccati (mani che afferrano banconote, banconote una sessualità non gioiosa ma estrema) e non la punizione, come da Tavole della Legge. Un ribaltamento semantico che sarà al centro di alcuni incontri sul tema, previsti il 3 questa - dice settembre. «La sua dottrina era q Christina Clausen, che ha lavorato al film per anni -: non proibire, bensì illustrare azioni ed eventuali conseguenze». Ed è qui che si coglie lo stretto legame di Haring con il suo tempo, con la particolarissima ti l i i religiosità li i ità che h h ha attraversato tt t glili anni Ottanta. «La paura del nucleare, la guerra fredda e l'Aids - commenta Mercurio - riportavano a galla una strana fede, che in Haring si manifesta come fede sociale sociale, fiducia nel mondo e negli uomini». Negli Stati Uniti troviamo il movimento «Born again Christian» a cui appartiene Jimmy Carter. C'è persino (l'ebreo) Bob Dylan che pubblica un disco dal titolo «Saved», dove nel testo si aggiunge: «by the blood of the Lamb» («Salvati dal sangue dell'agnello»), una conversione che fa discutere. Negli anni Ottanta c'è il trionfo della New
Age e dei veggenti di Medjugorje, il messaggio umanitario di Desmond Tutu e, ovviamente, la g fortemente mediatica di Karol Wojtyla. jy religione «The marriage of Heaven and Hell», 1984Haring è figlio di tutto questo. «È come se sacro e profano convivessero - dice Clausen -. Nel mio film, la t ti testimonianza i di Y Yoko k Ono, O che h racconta t di aver ricevuto un messaggio di Haring dall'aldilà, si accompagna al ricordo tenero e lucido di David LaChapelle». E in questo sempiterno adolescente («Voglio restare per sempre un dodicenne») si fosse addensato quel culto dell'immagine che esplose proprio negli anni Ottanta, alimentando una gigantesca liturgia dei segni: i crocifissi di Madonna, il volto di John Lennon stilizzato come un martire, la simbologia di «E.T.» di Spielberg. E poi c'è l'aspetto dell'agonia (l'Aids lo ha eroso lentamente), vissuta fino alla fine con febbrile voglia di consumarsi. «Le opere in mostra a Udine - spiega M Mercurio i - sono state t t fatte f tt in i pochi hi giorni. i i Lui L i era così: a differenza di Andy Warhol, non si risparmiava per proteggere il nome, il marchio, l'opera. Haring, fino alla fine, è andato a disegnare sui muri, in metro tra la gente. metro, gente È anche per questo che le sue quotazioni sono basse rispetto al reale valore delle sue opere». E cinque anni prima di morire, nel 1985, Haring p uno dei suoi q quadri p più imponenti p ((alto oltre 7 dipinse metri e largo 13), «The Marriage of Heaven and Hell» (in mostra a Udine), che gli era stato commissionato dal Roland Petit Ballet di Marsiglia.
Lavorò ininterrottamente per ore, ascoltando musica, con le tele per terra, tratteggiando freneticamente f omini in croce, mani che si sfiorano, mondi affastellati che si confondono come l'unione di opposti. Bianco e nero. «Avrei voluto fare disegni sulla sabbia confessò in una delle ultime interviste -. Disegni nel deserto». Roberta Scorranese dal corriere.it La vita • Nato a Kutztown, in Pennsylvania nel 1958, Keith Haring compie i primi studi a Pittsburg, ereditando dal padre la passione per il disegno. Poi va a New York, dove studia alla School of Visual Arts. Qui incontra Jean-Michel Basquiat, con il quale condivide importanti esperienze dell’arte grafica degli anni Ottanta. Ottanta • Inizia a realizzare graffiti soprattutto nelle stazioni della metropolitana. Nel 1980 partecipa insieme ad Andy Warhol alla rassegna artistica «Terrae Motus». più famosi di Haring g ricordiamo il Murale di Tra i lavori p Harlem e quello all’Hôpital Necker di Parigi. • Nel 1989, vicino alla chiesa di Sant’Antonio abate di Pisa, esegue la sua ultima opera pubblica, un grande murale intitolato «Tuttomondo». Muore nel 1990, prima di compiere 32 anni, vittima dell’Aids.
Tratto da milano arte expo - La congiuntura - di Gustavo Bonora
La congiuntura Da mezzo secolo nel campo dell’arte si verifica un fatto straordinario, l’artista esordiente non ha più accesso al mercato dell’arte, fra lui e il mondo dell’arte si configura una faglia voluta e gestita da un monopolio di operatori che non si colloca più nell’ambito tradizionale costituito dai tre elementi storici – l’artista, il critico e la mediazione commerciale – ma sussiste in un sistema elitario che c e dete determina a sia s a la a validazione a da o e estet estetica ca cche e le e regole commerciali dell’opera d’arte. La cosa non è determinata dalla congiuntura economica, ma il disagio endemico ne ha facilitato l’occasione: soppresso il commercio spontaneo, vige un mercato elitario fissato alle alte quotazioni e alla feticizzazione dell’artefatto o dell’opera storica, con l’effetto di escludere gli artisti esordienti. A dire il vero il mercato tradizionale tradizionale, più che libero, era selvaggio, e la produzione artistica, che da mezzo secolo campa sotto l’egida Postmoderna del Concettuale, ha prodotto una generazione di esordienti che, alienati al mito di un’Avanguardia oramai estenuata, sono improponibili, e quelli proponibili soggiacciono all’inedia di un sistema obsoleto.
Per altro, nello stesso”mezzo secolo” si delineano le novità del cambiamento: le frontiere del mercato, implementate dall’estensione di Internet, fanno emergere nuovi territori operativi quali le fiere e le aste on line e nuove figure professionali quali il curatore, l’operatore di marketing e il brocker d’arte; tutte strutture indotte da una nuova normativa cui si oppone l’indole della resistenza al nuovo. Vada V d per esempio i lla norma d dell Di Diritto itt di seguito it (“Droit de suite”: Legge comunitaria n. 39, 1 marzo 2002; Disposizioni del decreto di attuazione della Direttiva 2001 per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza alla Comunità Europea), Europea) in poche parole parole, viene riconosciuta all’artista una percentuale sulle transazioni successive alla prima vendita che, nel corso degli anni, variano con il variare delle quotazioni. Legge che, paradossalmente, è ignorata dagli stessi interessati, con l’effetto che migliaia di euro giacciono presso la SIAE e vengono risucchiati dalla stessa dopo un tot di anni. In Italia, spesso, dagli artisti, le norme fiscali, più che evase, sono disattese di tt per mancanza d’informazione; d’i f i per esempio ignorano che, per vendere ed esportare all’estero, oltre che per il mercato nazionale, occorre essere in possesso di una partita IVA internazionale valida sia per l’Agenzia l Agenzia delle entrate entrate, ma anche per le dogane (D PR 633 del 26-10-72, con le varianti da Paese a Paese. Negli “anni d’oro” del mercato i contratti che legavano l’artista al mercante con la clausola dell’esclusiva, difficilmente si attenevano alle regole che già vigevano in Europa e tanto meno al Diritto di seguito. In Inghilterra, dove la quotazione di base del “Droit de suite” è di 1000 Euro, (mentre in Italia è di
3000), un artista esordiente può vendere attenendosi alle regole trasformandolo in un vero e proprio sussidio. Tornando alla crisi del mercato dell’arte, gli elementi che l’hanno determinata, sono anche: Maggiore competitività sia sul numero che sulla quantità delle opere sul mercatoImpossibilità di accertamenti sulle quotazioni t i i ““reali” li” d delle ll opere d’ d’arte t soprattutto tt tt per lle opere d’arte contemporanea di artisti non storicizzati o esordientiMancanza di accertabilità di provenienza dell’opera d’arteMancanza di adempimenti delle regolamentazioni europee e internazionaliPressapochismo da parte degli artisti che persistono nella concezione che all’artista basti “dipingere” delegando ogni responsabilità agli organizzatori e galleristiChi investe oggi in opere d’arte, sempre più richiede maggiori tutele e garanzie e, poiché, è finito il periodo d’oro di chi investiva soltanto per “passione” o per “hobby”, attualmente, anche gli appassionati d’arte, oltre al loro piacere e soddisfazione personale, l ttendono d sempre più iù a ricercare i qualità lità e certezze di responsabilità. Dobbiamo però aprire una ulteriore parentesi, non secondaria, ossia della trasformazione di una figura di riferimento, quale il critico d’arte d arte, che in passato era il mediatore fra l’artista l artista (interpretazione dell’opera) e la sua potenziale valutazione (collocamento nel mercato o in un movimento artistico) che oggi come oggi ha perso la sua g stesso operatore p e funzione orientativa, divenendo egli imprenditore e, a questa figura, si sovrappongono, creando ulteriore confusione, altri protagonisti come il curatore di mostre e consulenti.
Al cambiamento del mercato dell’arte contribuiscono necessariamente anche i nuovi supporti promozionali, informativi e di mediazione alle trattative di vendita che sono i network, i quali oltre a fornire velocemente tutte le quali, informazioni sugli artisti, le tendenze e le quotazioni (e creano una forte concorrenza), aprendo alle potenzialità dei mercati mondiali emergenti (Cina, Russia, India, Emirati) oltre a quello anglosassone (America e Inghilterra) formando delle vere e proprie sinergie e creando una vera e propria “Borsa dell’Arte” (VEDI ARTICOLO di Federica Codignola pubblicato su Tafter Journal, giugno 2010) per cui, i mercati locali o periferici e i galleristi o artisti, che non modificano il loro operato e le loro competenze, rischiano sempre più l’emarginazione e l esclusione. l’esclusione Il dibattito per essere costruttivo, dovrebbe includere anche tutti questi elementi e non limitarsi alla crisi economica o alla crisi di idee dell’arte contemporanea che, certamente esistono e pesano fortemente ai cambiamenti, ma sono solo alcuni aspetti di un mercato che sempre di più si sposta e si inserisce nella globalizzazione.
La Biennale è come una macchina del vento
La Biennale è come una macchina del vento Ogni due anni, scuote la foresta, scopre verità nascoste, dà forza e luce a nuovi virgulti, mentre pone in diversa prospettiva i rami conosciuti e i tronchi antichi antichi. La Biennale è un grande pellegrinaggio dove nelle opere degli artisti e nel lavoro dei curatori si incontrano le voci del mondo che ci parlano del loro e del nostro futuro. qui intesa come attività in continua evoluzione. L’arte è q Se un museo si qualifica principalmente per le opere che possiede (anche se non esclusivamente, visto che ai direttori di musei si chiede oggi di essere anche manager e impresari), un’istituzione come la Biennale si qualifica piuttosto per il suo modus operandi, per i metodi seguiti, per la natura dei soggetti che vi partecipano, per le scelte sul metodo e per i principi e le regole che ispirano la sua organizzazione, per gli spazi di cui dispone, insomma per la Forma dell’Istituzione che si riflette nella Forma data alla Mostra che vi si tiene ogni due anni anni. Ed è dalla qualità di questa Forma che dipende il raggiungimento del principale nostro obiettivo: ottenere la stima del mondo. Dopo 116 anni di vita della Biennale, la Forma della Mostra attuale è quella definita in modo compiuto perfezionata negli g anni successivi. Dico nel 1999 e confermata e p questo perché è proprio a partire da quell’anno che alla Mostra organizzata per Padiglioni si affianca in modo netto e distinto la Mostra che il curatore nominato dalla Biennale deve organizzare come Mostra internazionale, con un compito chiaro non dovendo egli farsi carico della selezione del Padiglione Italia. La Mostra della Biennale si presenta dunque ora fondata sui seguenti pilastri.
1) Primo pilastro: i Padiglioni dei Paesi partecipanti. Sono 28 i Padiglioni fissi dei Paesi, costruiti all’interno dei Giardini, utilizzati da 30 Paesi titolari considerati partecipanti permanenti. Sono però partecipanti a egual titolo altri Paesi che chiedono di essere invitati alla Mostra; di questi alcuni trovano spazio all’interno d ll’A dell’Arsenale, l altri lt i in i luoghi l hi diversi di i di V Venezia. i IP Paesii partecipanti erano 77 nel 2009, 89 nel 2011. Tra questi alcuni presenti per la prima volta. Ricordo che per ogni Biennale le amministrazioni degli stati che gestiscono i Padiglioni (o le amministrazioni cui gli stati hanno affidato la gestione del Padiglione) nominano un commissario e un curatore. Nell’autunno che precede la Mostra si tiene una riunione generale nella quale il curatore nominato dalla Biennale illustra le linee del suo progetto per la “sua” Mostra internazionale. Si tratta solo di un’informazione, i curatori dei vari Paesi non sono vincolati e possono compiere le loro scelte liberamente. I Padiglioni P di li i d deii P Paesii sono una caratteristica tt i ti molto lt importante della Biennale di Venezia. Una formula antica di presenza degli stati eppure viva e vitale più che mai. Preziosa in tempi di globalizzazioni, perché ci dà il tessuto primario di riferimento sul quale possono essere osservate e meglio evidenziate le autonome geografie degli artisti, sempre nuove, sempre varie. Ci si può chiedere in che misura questi Padiglioni portino con sé, per q p quanto ampia p sia l’autonomia lasciata ai curatori, anche desideri di rappresentazione del Paese che li organizza. Ognuno ha la sua storia e il suo stile. Possiamo senz’altro dire che in essi i Paesi rivelano il
ruolo attribuito all’arte contemporanea quale messaggera del loro presente e della loro ricchezza culturale. Ma dai Padiglioni vengono anche rivelazioni su realtà e ricchezze più profonde di quelle delle pretese o consuete immagini ufficiali e stereotipate. 2) Secondo pilastro: la Mostra internazionale del curatore d ll Bi della Biennale. l Al centro, parallela alla serie dei Padiglioni dei Paesi, sta la Mostra internazionale del curatore, quest’anno Massimiliano Gioni, Gioni che ha scelto come titolo Il Palazzo Enciclopedico. Il curatore è chiamato espressamente a realizzare una mostra “senza confini”. La Biennale non ha nominato comitati o commissioni, né diversi curatori per diverse aree, ma si affida alla singolare responsabilità di un curatore (assistito dai suoi consiglieri, e, per l’esecuzione, dalle strutture della Biennale). Tra scelte dei curatori dei Padiglioni nazionali e scelte del curatore t della d ll Bi Biennale, l ttra M Mostra t iinternazionale t i l d dell curatore e Mostra internazionale dei Padiglioni, si determinano così, liberamente, scelte condivise o scelte diverse. Il rapporto dialettico tra queste diverse scelte rappresenta un elemento qualificante il suo carattere internazionale: una Mostra dai molti occhi, dai molti punti di vista.
3) Terzo pilastro: gli spazi per realizzare la grande Mostra internazionale del curatore della Biennale. Dovevano essere adeguati allo scopo. E proprio per questo, nel 1998 abbiamo ampliato grandemente gli spazi che oggi sono costituiti da un lato dal Padiglione Centrale e dall’altro dall’Arsenale. Gli spazi costituiscono un elemento essenziale della Mostra che, in essi e nella loro particolare articolazione e qualità, trova lo strumento più opportuno per formare il proprio linguaggio. Vale la pena ricordare che da quando abbiamo realizzato quegli spazi e chiarito il nuovo impianto della Mostra è aumentato il numero dei paesi che chiedono di partecipare alla Biennale. Negli anni recenti è stato realizzato, e poi molto ampliato, il nuovo Padiglione Italia all’Arsenale, il cui curatore è nominato dal Ministro della Cultura italiano. 4) Un’ulteriore componente: gli eventi collaterali. Soggetti non profit possono presentare progetti per piccole mostre, da tenersi nella città di Venezia, normalmente per tutti i sei mesi della mostra. Il curatore della Biennale, anche qui in totale autonomia, giudica la loro qualità e ammissibilità come “collaterali”. Quelle ammesse
possono fregiasi del logo Biennale, sono incluse in una sezione speciale del catalogo e sono pubblicizzate dalla Biennale. Si offre così a soggetti capaci di esprimere una scelta di qualità un modo di essere presenti. In alcuni casi l’opportunità è stata raccolta da minoranze etniche che scelgono l’occasione della Biennale d’Arte per far sentire la loro presenza e dimostrare la loro identità culturale. Abbiamo sempre attribuito grande importanza a questa possibilità (quest’anno sono state presentate 83 domande, la selezione del curatore ne ha ammesse circa il 50%).
5) Un elemento decisivo: la città di Venezia che per sei mesi accoglie sul suo territorio questo grande insieme di energie vitali. 6) U Un p pilastro ast o se sempre pep più ù importante po ta te de della a nostra ost a costruzione è poi la cura del pubblico. Da tempo la Biennale sviluppa attività educational e visite guidate. Queste attività sono svolte con un numero sempre crescente di scuole della regione. Quest’anno, però, abbiamo aperto un nuovo campo d’azione. Dopo l’esperienza compiuta favorevolmente con la Mostra di Architettura nel 2010 per il quarto anno consecutivo lanceremo il 2010, programma Biennale Sessions. Esso è rivolto a istituzioni operanti nella ricerca e nella formazione nel campo delle arti o nei campi affini, Università, Accademie di Belle Arti, Istituti di formazione e di ricerca. Scopo è quello di offrire una facilitazione a visite di tre giorni da loro organizzate per gruppi di almeno 50 tra studenti e docenti, con vitto a prezzo di favore, la possibilità di organizzare seminari in luoghi resi disponibili gratuitamente, assistenza all’organizzazione del viaggio e del soggiorno. Vorremmo che queste istituzioni considerassero La Biennale d’Arte un luogo dove svolgere, seppur per
breve tempo tempo, una sessione del loro lavoro di studenti, ricercatori, insegnanti. Con questo pilastro vogliamo confermare il ruolo della Biennale di Venezia quale istituzione aperta alla a a co conoscenza osce a e a allo o sp spirito to d di ricerca, ce ca, deg degna ad di un pellegrinaggio. Ho detto dell’importanza del ruolo del curatore e della responsabilità lui affidata. Il curatore deve avere occhio esperto, spirito indipendente, generosità verso gli artisti, severa capacità di selezione, grande fedeltà a quella misteriosa dea che è la qualità. Sguardo libero sul mondo. Quanta strada ha compiuto l’arte nel frattempo dalla necessità di erompere nella società alla sua diffusione ampia e quasi dilagante! Quanto diversi i compiti di un curatore. Paolo Baratta
Il Palazzo E i l Enciclopedico di Il 16 novembre 1955 l’artista auto-didatta italo-americano Marino Auriti depositava presso l’ufficio l ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite. Rinchiuso in un garage perso nella campagna dello stato della Pennsylvania, Auriti lavorò per anni alla sua creazione, costruendo il modello di un edificio di 136 piani, che avrebbe dovuto raggiungere i 700 metri di altezza lt e occupare più iù di 16 iisolati l ti d della ll città ittà di Washington. L’impresa di Auriti rimase naturalmente incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell dell’arte arte e dell’umanità dell umanità e accumuna personaggi eccentrici come Auriti a molti artisti, scrittori, scienziati e profeti visionari che hanno cercato – spesso in vano – di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza. Queste cosmologie personali, questi deliri di conoscenza mettono in scena la sfida costante di conciliare il sé con l’universo, il soggettivo con il collettivo, il particolare con il generale, l’individuo con la cultura del suo tempo. Oggi, alle ll prese con il dil diluvio i d dell’informazione, ll’i f i questi ti ttentativi t ti i di strutturare la conoscenza in sistemi omnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancor più disperati.
La 55. Esposizione Internazionale d’Arte indagherà queste fughe dell’immaginazione in una mostra che – come il Palazzo Enciclopedico di Auriti – combinerà opere d’arte contemporanea e reperti storici, oggetti trovati e artefatti. Al centro dell’esposizione sarà una riflessione sui modi in cui le immagini sono utilizzate per organizzare la conoscenza e per dare d fforma alla ll nostra t esperienza i d dell mondo. Ispirandosi a quello che lo studioso Hans Belting ha definito una “antropologia delle immagini”, la mostra avvierà un’indagine sul dominio dell’immaginario e sulle funzioni dell’immaginazione dell immaginazione. Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo quando il mondo stesso si è fatto immagine? Fino a dove si estende il dominio dell’immaginario, quando ancora si lotta in nome delle immagini? Come nei teatri della memoria progettati nel Cinquecento d l veneziano dal i Gi Giulio li C Camillo ill – cattedrali tt d li iinteriori t i i iin cuii ordinare il sapere in immagini – l’esposizione “Il Palazzo Enciclopedico” cercherà di delineare la cartografia di un’immagine-mondo, componendo un bestiario dell immaginazione. dell’immaginazione Il modello stesso delle esposizioni biennali nasce dal desiderio impossibile di concentrare in un unico luogo gli infiniti mondi dell’arte contemporanea: un compito che gg appare pp assurdo e inebriante q quanto il sogno g di Auriti oggi e del suo Palazzo enciclopedico. Massimiliano Gioni.
la Biennale di Venezia 55. Esposizione Internazionale d’Arte curata da Massimiliano Gioni Il Palazzo Enciclopedico Venezia (Giardini e Arsenale), 1° giugno – 24 novembre 2013 Vernice 29, 30 e 31 maggio 2013 Venezia, 25 ottobre 2012 - Il Presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta, accompagnato dal Curatore della 55. 55 Esposizione Internazionale d’Arte d’Arte, Massimiliano Gioni, ha incontrato oggi a Ca’ Giustinian i rappresentanti dei Paesi invitati, dei quali 8 partecipano per la prima volta: Bahamas, Regno del Bahrain, Repubblica del Kosovo Kuwait Kosovo, Kuwait, Maldive Maldive, Costa d’Avorio d Avorio e Nigeria (con i Paesi Africani), Paraguay (con IILa). Era inoltre presente all’incontro il vice Presidente del comitato promotore del padiglione della Santa Sede alla Biennale Arte 2013. La 55. Esposizione Internazionale d’Arte si svolgerà dal 1° giugno al 24 novembre 2013 ai Giardini e all’Arsenale (vernice 29, 30 e 31 maggio 2013), nonché in vari luoghi di Venezia. “La Biennale dʹArte si ripropone ancora una na volta olta nella forma ʺdualeʺ definita nel 1998: una grande Mostra Internazionale diretta da un curatore scelto a tal fine e le Partecipazioni nazionali.” Così Paolo Baratta ha introdotto la 55. 55 Esposizione Internazionale d’Arte d Arte, ricordando che “i padiglioni dei paesi sono una caratteristica molto importante della Biennale di Venezia. Una formula antica di presenza degli stati eppure viva e
vitale più che mai. Preziosa in tempi di globalizzazioni, perché ci dà il tessuto primario di riferimento sul quale possono essere osservate e meglio evidenziate le autonome geografie degli artisti, sempre nuove, sempre varie. Ci si può chiedere in che misura questi Padiglioni portino con sé, per quanto ampia sia l’autonomia lasciata ai curatori, anche desideri di rappresentazione del Paese che li organizza. Ognuno ha la sua storia e il suo stile. Possiamo senz’altro dire che in essi i Paesi rivelano il ruolo attribuito all’arte contemporanea quale messaggera del loro presente e della loro ricchezza culturale. Ma dai Padiglioni vengono anche rivelazioni su realtà e ricchezze più profonde di quelle delle pretese o consuete immagini ufficiali e stereotipate.” Il titolo scelto da Massimiliano Gioni per la 55. Esposizione Internazionale d’Arte d Arte è: Il Palazzo Enciclopedico Massimiliano Gioni ha introdotto la scelta del tema evocando l’artista auto-didatta italoamericano Marino Auriti che “il 16 novembre 1955 depositava presso l’ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite. L’impresa di A Auriti riti rimase naturalmente nat ralmente incompiuta, incompi ta ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità e accumuna personaggi eccentrici come Auriti a molti artisti, scrittori, scienziati e profeti visionari che hanno cercato – spesso in vano – di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza.
Queste cosmologie personali, questi deliri di conoscenza mettono in scena la sfida costante di conciliare il sé con l’universo, il soggettivo con il collettivo, il particolare con il generale, l’individuo l individuo con la cultura del suo tempo.” tempo. “Oggi, alle prese con il diluvio dell’informazione, questi tentativi di strutturare la conoscenza in sistemi omnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancor più disperati – spiega Gioni. “La 55. Esposizione Internazionale d’Arte indagherà queste fughe dell’immaginazione in una mostra che – come il Palazzo Enciclopedico di Auriti – combinerà opere d’arte contemporanea e reperti storici storici, oggetti trovati e artefatti.” Al centro dell’esposizione sarà “una riflessione sui modi in cui le immagini sono utilizzate per organizzare la conoscenza e per dare forma alla nostra esperienza del mondo.” Ispirandosi a quello che lo studioso Hans Belting ha definito una “antropologia delle immagini”, la Biennale Arte 2013 curata da Massimiliano Gioni avvierà “un’indagine sul dominio dell’immaginario e sulle funzioni dell’immaginazione. Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine n’immagine del mondo quando q ando il mondo stesso si è fatto immagine? Fino a dove si estende il dominio dell’immaginario, quando ancora si lotta in nome delle immagini?” Come nei teatri della memoria progettati nel “Come Cinquecento dal veneziano Giulio Camillo – cattedrali interiori in cui ordinare il sapere in immagini – l’esposizione “Il Palazzo Enciclopedico” cercherà di
delineare – conclude Gioni - la cartografia di un’immagine-mondo, componendo un bestiario dell’immaginazione.” La 55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia presenterà, come di consueto, le Partecipazioni nazionali con proprie mostre negli storici Padiglioni ai Giardini, oltre che nel centro storico di Venezia. Anche per questa edizione si prevedono selezionati Eventi collaterali, proposti da enti e istituzioni internazionali, che allestiranno le loro mostre e le loro iniziative a Venezia in concomitanza con la 55 55. Esposizione. Contatti Ufficio Stampa Arti Visive la Biennale di Venezia Tel. +39 041 5218 - 846/716 infoartivisive@labiennale.org www.labiennale.org FB: La Biennale di Venezia @twitter.com/la_Biennale
Note biografiche Massimiliano Gioni (Busto Arsizio, 1973) è curatore e critico di arte contemporanea. Direttore artistico della Fondazione Nicola Trussardi di Milano, Gioni è Associate Director e Director of Exhibitions del New Museum of Contemporary Art di N New Y York. k Nel 2010 ha diretto la 8. Biennale di Gwangiu essendone il più giovane direttore nonché il primo europeo. Nel 2003 ha curato la mostra “La Zona” per la 50 Esposizione Internazionale d’Arte 50. d Arte della Biennale di Venezia; nel 2004 è stato il co-curatore della biennale di arte contemporanea itinerante Manifesta 5 e nel 2006 ha curato la 4. Biennale di Berlino in collaborazione con l’artista Maurizio Cattelan e la curatrice Ali Subotnick. Con Cattelan e Subotnick ha fondato la rivista Charley e lo spazio no profit The Wrong Gallery, inizialmente allestita nel 2002 a New York e ospitata nel 2005 alla Tate Modern di Londra. Gi i ha Gioni h curato t innumerevoli i li mostre t collettive ll tti – tra t cuii si ricordano “Ghosts in the Machine”, “Ostalgia” e “After Nature” al New Museum – e mostre personali di, tra gli altri, Pawel Althamer, Tacita Dean, Urs Fischer, Fischli e Weiss Paul McCarthy Weiss, McCarthy, Pipilotti Rist, Rist Anri Sala, Sala Tino Sehgal, Paola Pivi. Caporedattore della rivista Flash Art a New York dal 2000 al 2003, Gioni ha collaborato con importanti riviste p tra cui Artforum, Art Press, d’arte contemporanea Frieze, Parkett e pubblicato saggi e cataloghi con Charta, Mondadori, Phaidon, Les Presses du Reel e Rizzoli.
Alex MacLean progetto “Up on the Roof” Siamo ormai abituati alle visioni dall'alto,, delle grandi g metropoli p cinesi o dei vasti paesaggi americani. Quello che suggerisce Maclean non è certo originale, punta l'occhio a volo d'uccello, spesso perpendicolare al terreno, scoprendo geometrie e composizioni di colore degne di un quadro astratto. Perché ho scelto di parlare proprio del lavoro di Alex Maclean? Un pilota e fotografo specializzato in scatti dall’alto. Come ho detto, non si distingue per l'originalità l originalità delle sue immagini, immagini ma per una naturale sensibilità e attrazione nel cogliere quello che l'essere umano, consapevole o meno, ha creato nel tempo, nella stratificazione delle strutture che ha costruito, nella modifica a volte profonda del paesaggio. pe ò co con u un pu punto to d di vista sta non o inquisitorio, qu s to o, non o ssi a avverte e te u una a Il tutto però pesante analisi sociologica delle mutazioni del paesaggio, semmai un'estasi, un sentimento di ammirazione perfino di fronte a terribili esempi di edilizia alienante e irrispettosa del paesaggio. I piccoli surfisti che scivolano su una grande onda, anche il punto di scambio delle motrici dei treni diventa un qualcosa che attrae, che colpisce e appassiona. Tutta la bellezza (non di rado inquietante) del pianeta visto dall'alto. Le sue fotografie sono fresche e riescono a far riflettere. Prima di tutto per raccontarci "qualcosa" del mondo, ci fanno sentire minuscoli ma capaci di grandi opere. In alcuni momenti vedo il genere umano come un immenso formicaio, brulicante e bramoso del desiderio di fare e di imporsi sull'elemento naturale ma che a volte, senza saperlo, costruisce bellissime tessiture di parcheggi e luna park, barchette colorate incastrate nei porticcioli, spiagge affollate e campi dipinti.
Arte contemporanea maltrattata o incompresa? Tratto da un articolo apparso sul portale Daringtodo www.daringtodo.com Un sondaggio condotto dalla rivista Focus Extra, riporta che 4 italiani su 10 non capiscono l’arte contemporanea. Per il 38% del campione è «un oggetto misterioso», ma «ne è incuriosito e vorrebbe saperne di più». Per il 23%, invece, «non è vera arte». C’è un 37% che h di ffronte t a certe t opere risponde i d «avreii potuto t t farle anch’io», mentre un altro 37% dice che «dovrebbe esserci qualcuno che me ne spieghi il significato»; per il 26% è «vera arte». Nel sondaggio anche domande relative alla provocazione d’arte d arte, legata a nomi come Cattelan e Hirst, il 36% le ritiene «artisticamente valide»; per un 15% «scioccare gli spettatori non è arte» e altrettanti pensano che «far soldi in questo modo non è g artisti». Per il 34% invece «suscitare emozioni di il mestiere degli ribrezzo è fin troppo facile per considerare artista chi lo fa». In sintesi quasi la metà degli intervistati (48%) ritiene che l’arte di oggi si basa più sull’idea che sulle abilità manuali di chi realizza l’opera, mentre il 77% giudica l’arte in base all’emozione che suscita it e non sulla ll sua capacità ità di d descrivere i lla realtà. ltà Probabilmente non serviva un sondaggio “scientificamente concepito” per approdare a questo genere di conclusioni, tuttavia la diffidenza del grande pubblico verso l’arte contemporanea deve essere considerata e tenuta nel giusto conto. I primi a doverlo fare sono proprio i protagonisti di questo universo, più lontano dalla realtà di quell’arte “impossibile” che patrocinano.
E’ vero che nel mare ci nuotano tutti, ma la capacità di discernere è sempre individuale e non possiamo i aspettarci tt i che h qualcuno l scelga l all posto t nostro. Il Pubblico, però, quello scritto con la maiuscola, laddove col termine s’intende l’istituzione o il museo, ha il dovere di scegliere e deve farlo in buona fede fede, deve aiutare il pubblico, pubblico quello con la “p” minuscola, a compiere lo “sforzo” di approfondire, se vuole. E se l’istituzione è credibile, se è riuscita a guadagnarsi la fiducia gente, p potrà p permettersi anche di della g “scioccare”…nel nome dell’arte sia chiaro. Qualche tempo fa intervistando Luca Beatrice, a proposito del muro che separa l’arte contemporanea t da d un pubblico bbli più iù vasto, t ffatto tt di gente che avrebbe anche le potenzialità per fruirne che ma neppure vi si accosta, il curatore rispose che le colpe erano diffuse “nel senso che è evidente evidente, nell’arte nell arte contemporanea, contemporanea un difetto di comunicazione per cui chi produce cultura non si preoccupa del pubblico. Pubblico che a sua volta nutre come una sorta di timore reverenziale, di questo mondo… timidezza verso q Alla domanda perché l’arte contemporanea stenti ad avvicinarsi al pubblico, Philippe Daverio ci aveva invece risposto puntando il dito sull’autorefenzialità ll’ t f i lità di un certo t mondo d ““con glili anni si è isolata intorno ad un mondo sacerdotale
che la celebra come una sorta di rito magico perciò interessa solo a chi fa parte del giro, il resto d ll’ umanità dell’ ità è molto lt llontana t d dall’arte ll’ t contemporanea Vi è una specie di sacerdozio dell’ arte contemporanea”. Un parere che rimandava ad una sorta d’impossibilità ad amarla neanche sappiamo cosa sia l’arte l arte “neanche contemporanea. – rispose il critico e conduttore televisivo – Quello che sostengo io è che quella cosa che viene raccontata come tale non è del p p perché sennò non tutto arte contemporanea sarebbe contemporanea. Quando uno va a quelle grandi manifestazioni dedicate non vede niente di ciò che avviene nel mondo. Nell mondo N d sentiamo ti parlare l d della ll Ci Cina, d deii problemi di domani, della struttura ecologica del globo terrestre, delle preoccupazioni. Nell’arte tutto questo non si trova quasi più, è diventata una sorta di grande ludoteca ludoteca, il mondo dell’arte dell arte contemporanea non è una cosa seria… Una cosa seria si sarebbe evoluta, invece serve a creare una sorta di rito come il teatro “No” in Giappone. gg Una ritualità lontana dalla nostra realtà oggettiva ma questo non vuol dire però che non ci sia da qualche parte un arte che sia vera”. Qual’è allora l’ arte vera? “E’ quella che stimola il pensiero di quelle persone, abbastanza poche tra l’altro, che sii assumono lla responsabilità bilità di portare t avanti ti il pensiero del mondo”.
Vuitton-Kusama Collection “La sua energia è inesauribile e in ognuna delle sue tele e delle sue installazioni c’è una sorta di ossessione certosina [...] un mondo che non finisce mai.” Marc Jacobs Sono la metodica ripetizione del gesto e l’enorme forza trasmessa dai suoi lavori, gli aspetti che hanno spinto Marc Jacobs – direttore artistico di Louis Vuitton – a corteggiare per anni Yayoi Kusama: icona assoluta dell’arte dell arte contemporanea e regina incontrastata dei pois. Un amore nato nel 2006, quando Jacobs – a Tokyo per un documentario sui suoi 10 anni a capo della maison – ha ll’occasione occasione di conoscerla di persona e apprezzarla sia sotto l’aspetto artistico che umano. Un sentimento ricambiato anche da Yayoi e che a distanza di 6 anni si concretizza in una collezione dai molteplici risvolti creativi e commerciali. Infatti, a seguito del grande successo ottenuto, Louis Vuitton ha dichiarato che non solo sponsorizzerà un’esposizione itinerante dell’artista ma che parteciperà “di persona” alla creazione di numerose opere d’arte che verranno esposte all’interno all interno del proprio flagship di Londra in New Bond Street. Insomma, una di quelle collaborazioni che oltre a segnare un nuovo punto d’incontro d incontro tra due culture differenti, rappresenta l’ennesimo capitolo dell’ormai simbiotico connubio arte-moda. Un legame in cui classe e genialità sfilano sempre più di pari passo.
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ARTISSIMA 19 Edizione 2012 Oval, Lingotto Fiere Torino 8 novembre 2012 Presentazione alla stampa, preview, vernissage 9-10-11 novembre 2012 Si svolgerà da venerdì 9 a domenica 11 novembre 2012 Artissima 19, Internazionale d’Arte Contemporanea a T i Torino, sotto tt la l direzione di i artistica ti ti di S Sarah h Cosulich C li h Canarutto, nominata nuova direttrice lo scorso febbraio. La prossima edizione della fiera sarà contraddistinta da molte novità, novità per quanto concepita nel segno della continuità rispetto ai punti di forza che nel corso degli anni hanno permesso alla manifestazione di conquistare una posizione di grande rilievo nel contesto internazionale.La direzione di Artissima ha attivato uno specifico lavoro, in Italia come all’estero, con l’obiettivo di coinvolgere gallerie importanti e in linea con lo spirito generale della manifestazione, senza dimenticare il proprio compito di favorire l’ingresso di nuove voci in grado d di portare t progetti tti iinediti, diti stand t d concepiti iti con un’idea curatoriale, lavori sorprendenti e stimolanti.Con l’aumento del numero delle fiere nel mondo, soprattutto nei paesi emergenti, Artissima 19 punta a consolidare ll’identità identità specifica della fiera come osservatorio privilegiato sulla migliore ricerca nel campo delle arti visive.
L’alto livello delle proposte, la forte vocazione sperimentale e di ricerca rappresentano le chiavi attraverso tt cuii Artissima A ti i può ò sviluppare il ancora lla propria specificità e conseguentemente il proprio ruolo nell’affollato panorama internazionale. Artissima quindi come appuntamento di qualità, dinamico e innovativo innovativo, non solo in virtù dell’importante selezione delle gallerie presenti, ma grazie a nuove risposte progettuali in grado di allargare il raggio di azione della fiera dall’Oval p stesso, in fino alla città e al suo territorio.Al tempo ragione delle difficoltà cui il mercato dell’arte oggi deve far fronte, diviene prioritario per Artissima stimolare le acquisizioni in fiera e permettere dunque alle gallerie di continuare ad accrescere la qualità lità d dell lloro progetto. tt È per questo t che h sii sta t lavorando in nuove direzioni, in grado di attrarre un crescente pubblico di collezionisti e visitatori internazionali. Il progetto di Sarah Cosulich Canarutto prevede un programma curatoriale in rapporto di complementarietà con la fiera, ma che troverà la padiglione g sua realizzazione all’esterno del p fieristico, attraverso un’iniziativa sinergica di collaborazione tra le principali istituzioni dedicate al contemporaneo del territorio torinese. Un progetto nuovo e ambizioso che valorizzi ancora A ti i Artissima e, all ttempo stesso, t rafforzi ff i musei,i fondazioni e il loro fondamentale ruolo in città.Per
il terzo anno consecutivo Artissima si terrà nella sede dell’Oval, padiglione dall’originale taglio architettonico hit tt i nell’area ll’ di Lingotto Li tt Fiere, Fi realizzato li t in occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, e che con i suoi 20.000 mq illuminati naturalmente si è mostrato luogo di grande efficacia per ospitare la fiera fiera. SEZIONI Artissima 19 p presenterà 171 g gallerie ((53 italiane e 118 straniere) suddivise nelle tradizionali quattro sezioni:Main Section, che raccoglie le gallerie più rappresentative del panorama artistico mondiale scelte dal Comitato di Selezione. La sezione conta 96 gallerie ll i provenienti i ti d dall’Italia, ll’It li St Stati ti U Uniti, iti S Sud d America, Asia e Medio Oriente tra i nomi più consolidati della scena artistica internazionale.New Entries, riservata alle più interessanti giovani gallerie gallerie, con meno di cinque anni di attività e presenti per la prima volta ad Artissima, scelte dal Comitato di Selezione. Quest’anno sono state ammesse 31 gallerie provenienti da 17 p p paesi. Una g giuria internazionale assegnerà durante la fiera il premio Guido Carbone, istituito nel 2006, alla galleria della sezione New Entries ritenuta più meritevole per il lavoro di ricerca e promozione di giovani artisti.
Future, da dodici anni costituisce un’importante piattaforma di lancio per i nuovi talenti dell’ultima generazione i artistica. ti ti D Dedicata di t a 20 artisti ti ti emergenti invitati da un team di giovani curatori internazionali e presentati dalle loro gallerie di riferimento, la sezione è realizzata in collaborazione con illycaffè che mette a disposizione il premio illy Present Future. Una giuria composta da quattro direttori di prestigiose istituzioni internazionali assegnerà all’artista più interessante il p premio che considerato p quest’anno consisterà nella produzione di una mostra nella prestigiosa sede del Castello di Rivoli in occasione di Artissima 2013.Back to the Future, sezione dedicata ad artisti attivi negli anni ’60 e ’70 che, h nonostante t t non siano i sempre conosciuti i ti dal grande pubblico, occupano un ruolo importante nella storia dell’arte. Back to the Future ambisce a presentare dei progetti espositivi di livello museale di un gruppo di artisti proposto e selezionato da un Comitato curatoriale internazionale. Back to the Future, che dalla sua prima edizione ha riscosso grande interesse da parte delle g p gallerie,, dei collezionisti e della stampa, nel 2012 propone 19 artisti di 17 gallerie. Art Editions, novità del 2012, propone un’interessante selezione di 5 spazi riservati alle edizioni d’arte, ospitati in un'area dedicata in fiera: GDM Paris; GDM, P i ICA, ICA London; L d OTHER CRITERIA CRITERIA, London; WHITE COLUMNS, New York; WHITECHAPEL, London.
COMITATI Segnano il cambiamento S bi t nell’edizione ll’ di i 2012 alcune novità nella composizione dei comitati di Artissima: in primo luogo, l’ingresso di un nuovo membro del Comitato di Selezione delle gallerie, Peter Kilchmann di Zurigo Zurigo. Inoltre Inoltre, il Comitato curatoriale di Back to the Future, più eterogeneo dal punto di vista generazionale e sul fronte della provenienza geografica, ha contribuito a proporre gli artisti. oltre che a selezionare g Vi hanno preso parte, quest’anno, nomi storici dell’arte contemporanea come Jan Hoet, curatori importanti e visionari come Vicente Todolì, figure di rilievo del panorama internazionale come J Joanna M tk Mytkowska, k Direttore Di tt d dell Warsaw W Museum of Modern Art, e Vasif Kortun, Direttore del SALT e Founding Director del Platform Garanti Contemporary Art Center di Istanbul.Sulla medesima linea linea, anche per la sezione Present Future, in collaborazione con Luigi Fassi, è stato scelto un Comitato di giovani curatori provenienti da paesi diversi, come USA, Svizzera, Colombia g Erica Cooke,, Fredi Fischli,, Inti Guerrero ed Egitto: e Sarah Rifky. L’obiettivo è di proporre nuovi e sempre diversi punti di vista sull’arte contemporanea più attuale in grado di arricchire Artissima e connotarla come luogo in cui ll i i ti e pubblico bbli possono scoprire i i ffuturi t i collezionisti protagonisti della scena artistica internazionale.
PIATTAFORMA
istituzionale, museale e generazionale.
Pensata P t per arricchire i hi l’l’esperienza i d deii visitatori, i it t i quest’anno Artissima presenterà una nuova piattaforma, un’area interna alla fiera che sostituisce la teoria di stand dedicata al settore editoriale per proporre invece un vero e proprio invito alla sosta sosta, alla consultazione e all’incontro. Lo spazio, che raccoglierà gli editori, le pubblicazioni, le edizioni d’arte, il bookshop e l’area incontri, offrirà al pubblico un modo nuovo di g riviste in abitare la fiera, di rilassarsi, sfogliare consultazione, condividere e interagire. Tra le Art Editions, alcune illustri presenze, come White Columns di New York, per la prima volta presente in una fiera italiana.
I PROGETTI CURATORIALI
ART WALKS/ART QUESTIONS Dopo il successo riscontrato nella passata edizione, prosegue anche quest’anno quest anno il programma Art Walks, Walks iniziativa esclusiva di visite a cura di collezionisti e curatori internazionali che, come “guide” d’eccezione, accompagneranno il pubblico alla scoperta della fiera in percorso di p propria p scelta,, seguendo g tematiche,, un p tipologie di opere o artisti, diverse tendenze o linguaggi e mezzi espressivi.Inoltre quest’anno Artissima verrà visitata da un importante numero di direttori di musei, curatori e critici coinvolti in un ricco programma di talks e presentazioni. t i i T Tra queste t Artissima A ti i presenta t Art At Questions, un ciclo di incontri che vogliono rispondere ad alcune questioni fondamentali della contemporaneità
Nel 2012 i progetti curatoriali si svilupperanno interamente al di fuori dell'Oval.It’s Not the End of the World attiva una collaborazione tra Artissima e le più importanti istituzioni torinesi di arte contemporanea per costruire insieme una mostra diffusa.LIDO crea un percorso di progetti sperimentali in musei e spazi inusuali del Quadrilatero Romano. IT’S NOT THE END OF THE WORLD Artissima 19 propone quest’anno un programma t t l totalmente t inedito i dit e innovativo, i ti grazie i all coinvolgimento i l i t delle principali istituzioni per il contemporaneo del territorio torinese: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Fondazione Merz e Fondazione Contemporanea, Sandretto Re Rebaudengo. Obiettivo del progetto è rafforzare il network dell’arte contemporanea a Torino e allargare l’offerta culturale in città con una linea g ad Artissima. Con il titolo di coerente e in collegamento It’s Not the End of the World l’iniziativa riunisce cinque progetti espositivi diversi curati e ospitati dai rispettivi musei e istituzioni: un percorso unico che ironicamente vuole fare riferimento alla profezia Maya sulla fine del d nell di dicembre b 2012 2012, ma anche h alla ll diffi difficile il mondo situazione del finanziamento alla cultura in Italia.
Artissima per It’s Not the End of the World verrà realizzato a Palazzo Madama e, come per le altre istituzioni, si protrarrà anche dopo la manifestazione fieristica accrescendo così il ruolo della fiera in città. Il progetto coordinato, di cui Artissima si fa collante e promotore, si propone di riflettere sulla realtà del mondo che ci circonda attraverso mostre, installazioni video e performance f di cinque i notiti artisti ti ti iinternazionali: t i li “R “Ruin i – Politics” di Dan Perjovschi a Palazzo Madama per Artissima; “Tulkus 1880 to 2018” di Paola Pivi al Castello di Rivoli; “Homeless Paradise” di Valery Koshlyakov alla GAM; “Beirut Beirut, I Love You – A Work in Progress Progress” di Zena el Khalil alla Fondazione Merz; “The End – Venice 2009” di Ragnar Kjartansson alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
performance, rappresenterà un complemento alla fiera offrendo alla città e ai visitatori di Artissima progetti espositivi strutturati, ma dinamici e sperimentali. L’iniziativa vuole essere anche un’occasione di scambio e di visibilità per gli artisti italiani, perché a ciascuno degli spazi alternativi invitati verrà chiesto di portare nelle loro rispettive città il progetto di un artista del nostro paese. C Come già ià nell 2011 2011, anche h quest'anno t' sarà à realizzato li t l'Artissima Social Club, un bar temporaneo ospitato in un affascinante concept store del Quadrilatero Romano, che sarà il punto di ritrovo degli ospiti e dei visitatori della fiera dalle ore 22 fino a tarda notte.Mostre notte Mostre aperte dal 9 all’11 novembre dalle 10 alle 22. Opening venerdì 9 novembre dalle 18 alle 22.Artissima Social Club aperto dal 9 all'11 novembre dalle 22.
ARTISSIMA LIDO
IMMAGINE COORDINATA
La seconda iniziativa curatoriale ripropone in una veste completamente nuova il progetto Artissima LIDO d di t ad dedicato d artisti ti ti giovani i i e pensato t per lla caratteristica tt i ti cornice del Quadrilatero Romano. Quest’anno 5 spazi alternativi internazionali sono stati invitati da Artissima a realizzare un progetto espositivo specificatamente pensato per alcuni inconsueti musei e istituzioni del quartiere: l’Archivio di Stato, il MAO Museo d’Arte Orientale, il Museo della Resistenza, il Museo della Sindone, il Museo di Antichità. Le organizzazioni nonprofit coinvolte sono: 98 Weeks ((Beirut), p ) Auto Italia South East (London), Irmavep Club (Paris), Public Fiction (Los Angeles), SOMA (Mexico City).Il programma, articolato in una serie di mostre site-specific, installazioni, video e
Infine, tra le novità che caratterizzeranno l’edizione 2012 vi è il nuovo progetto di immagine coordinata, totalmente rinnovata, i t realizzato li t d dallo ll studio t di T Tassinari/Vetta i i/V tt (Leonardo Sonnoli con Irene Bacchi). Il progetto grafico scelto per rappresentare l’identità della fiera punta sullo sviluppo di un logo riconoscibile che ben sintetizzi ll’identità identità di ricerca, ricerca la vocazione sperimentale e la dinamicità di Artissima nel saper cogliere rapidamente i mutamenti del nostro tempo per trasformarli in opportunità di cambiamento.Anche il sito web g nella www.artissima.it è stato interamente ridisegnato grafica e nella composizione, per una maggiore fruibilità da parte del pubblico.
8 NOVEMBRE: apre la prima edizione di Photissima Art Fair TORINO Ex Manifattura Tabacchi 8-11 novembre 2012 Apre l’8 novembre la prima edizione di Photissima Art Fair, la fiera d’arte italiana che si occupa esclusivamente di fotografia. Negli spazi dell’Ex Manifattura Tabacchi di Torino, fino all’11 novembre, la fotografia diventa protagonista nelle sue molteplici forme: dal fotoreportage alla fotografia storica, dalla street photography alla fotografia artistica contemporanea. Come suggerisce il superlativo del titolo titolo, primo tratto distintivo della manifestazione è occuparsi di fotografia all’ennesima potenza escludendo tutto ciò che non è prettamente tecnica fotografica.
Ideata e organizzata dalla Fondazione Artèvision, scuola di fotografia e istituzione che promuove e mette a confronto artisti italiani e internazionali, Photissima Art Fair ha l’obiettivo di diventare punto di riferimento nel panorama dell’arte fotografica raccogliendo li d iin un solo l momento t e iin solo l lluogo ttutti tti i protagonisti – artisti, galleristi, critici, curatori, collezionisti – del mondo della fotografia. Scrive Telemaco Rendine Rendine, ideatore dell dell’evento evento e presidente della Fondazione Artèvision, nel suo testo in catalogo: “La fotografia è contenuto, scopo e criterio della fiera. Nel senso che anche i soggetti che sono stati chiamati a parteciparvi, sono stati selezionati sulla base di una sola regola fondamentale: che si occupassero unicamente o prevalentemente di f t fotografia fi e/o / che h presentassero t dei d i progetti tti di elevato livello qualitativo. Abbiamo voluto coinvolgere realtà di nature diverse, non solo le gallerie in senso classico: così vedrete la galleria Biasutti di Torino accanto al veneziano Archivio Cameraphoto, il più importante archivio fotografico di Venezia che raccoglie 60 anni della storia della fotografia; la Galleria Sottana del Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi accanto alla Fondazione Zappettini.
Alle gallerie storiche, come la Ikona Gallery di Živa Kraus, la prima galleria italiana per la fotografia, fotografia si affiancheranno i più giovani, siano essi artisti o galleristi, per attirare sia un collezionismo consapevole e consolidato, sia un collezionismo più giovane, magari con disponibilità economiche più limitate, ma tutto da coltivare, e che in fiera troverà senz’altro il modo d di avviare i o arricchire i hi una collezione con lavori accessibili e di qualità”. La fiera si caratterizza inoltre per non essere legata a un luogo specifico, oltrepassando i confini del territorio in cui nasce: nel 2013 p a infatti l’evento si sposterà Venezia in occasione della Biennale. La fotografia si è ormai innalzata a vera e propria i fforma d’ d’arte, t ma mantiene il suo essere mezzo espressivo intrinsecamente democratico – fatto dalla gente per la gente – ancora di più oggi che si sono moltiplicati gli strumenti per produrre immagini e per goderne.
L’identità di Photissima si definisce così dall’alto, con proposte di massimo livello, e dal basso con la partecipazione t i i ‘d ‘della ll strada’: t d ’ lla manifestazione if t i è stata t t infatti concepita anche per essere una festa, accessibile, per contenuti e costi, ad un pubblico ampio e diversificato. Photissima Art Fair, con la sua proposta sulla fotografia artistica, artistica colma da un lato un vuoto lasciato dalle realtà torinesi nei giorni di maggior affluenza del pubblico dell’arte nel capoluogo piemontese, e dall’altro contribuisce a livello nazionale pochi anni comincia ad arricchire un’offerta che solo da p a muovere i primi passi. Realizzata con il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Torino e dell’Ordine degli Architetti di Torino, Photissima Art Fair si avvale della partnership del Politecnico di Torino, d ll’U i dell’Università ità degli d li Studi St di di Torino, T i del d l MIAAO M Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi, della Biennale di Alessandria Videofotografiacontemporanea e di Lomography. È inoltre sostenuta da sponsor quali Epson e Artnetworth e dalla media partnership di Arte Arte, Artesera, Artgates, Artribune, Espoarte, L’Europeo, Landscape Stories e theFairgoer.com. g distribuito Per l’occasione è edito un catalogo gratuitamente al pubblico. Il progetto di comunicazione è stato affidato ai due studi torinesi Undesign, che ha creato il logo e l’immagine coordinata, di t e Whit White, che h ha h realizzato li t i visual i l e i video id promozionali.
Photissima Festival Photissima Ph ti i A t Fair Art F i è anche h momento t di approfondimento culturale e di apertura al mondo della fotografia. Sempre presso l’Ex Manifattura Tabacchi e per tutto il mese di novembre, si tiene infatti il Photissima Festival diretto da Carlotta Petracci. Petracci Presentata come una gigantesca rivista stampata in fine art che raccoglie in ogni apertura una mostrareportage su un argomento specifico, la rassegna privilegia p g alcuni g generi, p protagonisti, g occasioni formative, tecniche, storie della fotografia. Non solo: traccia anche una linea di resistenza rispetto al “sistema dell’arte contemporanea” che negli stessi giorni a Torino impazza. Progetto speciale Dedicato a Mario Gamba, il progetto presenta una serie dal titolo Homo Plasticus. Plasticus Attori del suo racconto fotografico a colori sono dei Playmobil inseriti in scorci architettonici di grandi città d’arte italiane: un apporto pop al suo lavoro già metafisico che nei nuovi scatti provocare e divertire il fruitore. Con Homo intende p Plasticus l’occhio di Mario Gamba offre un rinnovato sguardo sul mondo circostante con un approccio allegro, fresco e provocatorio, volto a osservare il palcoscenico di un’umanità fatta di rigida plastica colorata: l t il senso ttragicomico i i d dell’apparenza ll’ rientra i t indubbiamente tra i livelli di lettura delle sue opere dall’impatto accattivante.
Evento speciale e Photissima Off Photissima Art Fair è affiancata da un piccolo e vivace circuito di eventi speciali e di eventi off che anima la città di Torino per tutta la durata della manifestazione fieristica: La C L Collezione ll i d dell F Festival ti l F Fotografia t fi E Europea ReggioEmilia arriva al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino e partecipa a Photissima Art Fair come evento speciale con la collettiva dal titolo Di fronte e di schiena curata da Elio Grazioli e organizzata da Pho_To Progetti per la fotografia. Il MIAAO Museo delle Arti Applicate Oggi presenta per la prima volta in Europa i lavori di Christophe Dessaigne nella collettiva La linea gotica. Photography, Fashion, Paraphernalia. Presso la AV Art Gallerie il 9 novembre si inaugura l ttappa ititaliana la li d dell D Dr Karanka’s K k ’ Print P i t Stravaganza St – nomadic photography exhibition, un photo show internazionale itinerante nato dall’idea del fotografo e gallerista finlandese Joni Karanka. Dopo aver toccato le città di Roma, Bologna, Riccione e Padova, il LomoRoadShow approda a Torino tra gli eventi off di Photissima sabato 10 pomeriggio gg all’insegna g della fotografia g novembre: un p analogica all’ombra della Mole.
PHOTISSIMA ART FAIR Prima Edizione direzione artistica Telemaco Rendine 8-11 novembre 2012 Inaugurazione mercoledì 7 novembre, ore 18.00 per stampa e operatori su invito Ex Manifattura Tabacchi Corso Regio Parco 142, Torino Orari: 8-9-10 8 9 10 novembre novembre, 15 15.00 00-24 24.00 00 | 11 novembre novembre, 10.00-21.00 Info: +39 011 8115112 – photissima@photissima.it www.photissima.it
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