Freak Out #44

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SOULWAX, PART OF THE WEEKEND NEVER DIES EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN. LADYTRON. SUB POP. JOY DIVISION. BROKEN HEART ROMANCE. NAZIROCK: IL CONTAGIO FASCISTA TRA I GIOVANI ITALIANI. CLOACHETTA: IL CAMPEGGIO DEL FESTIVAL. INTERCITY: BERLINO. MOTORPYSCHO. NICK CAVE. OFFLAGA DISCO PAX. WE ARE SCIENTISTIS. MEG. LANEGAN&CAMPBELL. AUDREY. THE KOOKS. LONGHORNE SLIM. THE MOJOMATICS. MUDHONEY. PUTIFERIO. STOOP. THREE SECOND KISS. TUXEDOMOON. WOLF PARADE. YEAR LONG DISASTER. VALINA. GALLON DRUNK



freakout

giugnoluglioagostoe2008

F re a k O u t m a g a z i n e # 44 N° 9 della testata giornalistica registrata al tribunale di Torre Annunziata il 17/07/2003 n° 9

Freak Out Magazine C.P. 166, 80059 Torre del Greco (Na) Italia www.freakout-online.com info@freakout-online.com www.myspace.com/freakoutmagazine D i re t t o re e d i t o r i a l e e d i re d a z i o n e : Giulio Di Donna C a p o re d a t t o re : Daniele Lama S e g re t e r i a : Antonio Ciano R e d a t t o re C i n e m a : Sandro Chetta h a n n o c o l l a b o ra t o : Luca M. Assante, Roberto Calabrò, Fausto Turi, Francesco Raiola, Guido Gambacorta, Vittorio Lannutti, Roberto Urbani, Pasquale Napolitano, Francesco Postiglione, Luigi Ferrara, Lucio Carbonelli, Ciro Calcagno.. d i re t t o re re s p o n s a b i l e : Roberto Calabrò m a r ke t i n g: Giovanna Montera D i s t r i b u z i o n e N a z i o n a l e g a ra n t i t a d a : Wide, Audioglobe, Family Affair, Self, Venus, Eaten by Squirrels, Goodfellas, Abraxsas. R o m a: Brancaleone, La Palma, Rinascita, Circolo degli Artisti M i l a n o: Supporti Fonografici, La Cueva, La Casa 139, B o l o g n a: Il Covo, Disco D’oro, Undeground, Estragon R e g g i o E m i l i a: Maffia F i re n z e: Tenax, Auditorium Flog To r i n o: Spazio 211, C a t a n i a: Zo, Indigena, Mercati Generali

S e s i e t e g e n t e d a Fe s t i v a l , l a r u b r i c a d i q u e s t o n u m e ro v i f a r à r i a s s a p o ra re l a d i s p e ra t a a l l e g r i a d i q u e l l ’ a re a f a t a t a c h i a m a t a “campeggio”. >LL a s c e l t a d e l p o s t o tenda A Benicassim nel 2002 ci accodammo a uno dello staff, io e tale Raffaele detto “figlio di Gianni Morandi”. Il tipo ci promise il posto migliore: aquì fresco siempre, chicos. Ma ci buggerò. Ogni mattina, verso le 10, la tenda diventava un microonde in posizione grill, la poca acqua un brodo al farro: sullo stuoino si stampava la mia sacra sindone. Figlio di gianni morandi svegliati, qua andiamo arrosto!! E’ morto. >II b a g n i Corea ’51, Vietnam ‘68, Iraq 2002. La guerra sarà anche una brutta bestia ma sfido il più rambo dei berretti verdi a entrare in un cesso chimico dello

Sziget festival. Arturo il quarto giorno di campeggio provò ad entrare. Entra, è dentro. Lo accoglie un odore di cordon bleu fritto nel napalm, di 100 carogne di 100 commissari Rex, tutti crepati in quel cesso. Dalla tazza, in mezzo a un quintale di merda, spunta un braccio di uno che pare Maccio Capatonda. Rantola: “aiutami” in ungherese. Quando si risvegliò, Arturo era tra le braccia di un marine gay, nel deserto. Si toccò la schiena: aveva una grossa cicatrice in corrispondenza del rene. >LL a p i o g g i a Il belga Pukkelpop 2002 è musica e fango che sembra Sarno. Luigi racconta che iniziò a piovere dopo che gli avevano messo il braccialetto al polso. Fango dappertutto che si fa malta nelle scarpe, sul contorno occhi. Voci incontrollate - “E’ straripato il Danubio moriremo tutti” (ma il Danubio è due nazioni distante) -

R i m i n i: Velvet Fa e n z a: Mei, Clandestino M a c e ra t a: The Sound & Meccashop R o n c a d e ( T v ): New Age S i e n a: Sonar S e n i g a l l i a ( A N ): Keo Records B a r i Underground,, Eroi, Wanted Records, Hobbymania, Saturn, New record, Feltrinelli, Radioclash V i l l a d o s e (RR o ): Ass. Cult. Voci per la libertà. F re a k O u t l o t ro v a t e a n c h e a : Verona, Reggio Calabria, Mestre, Potenza, Palermo, Venezia, Perugia, Pisa, Bolzano, Modena, Genova, Bergamo, Piacenza, Massa Carrara, Prato, Latina, Trani, Lecce, Cosenza, Cagliari, Sassari. I n C a m p a n i a: N a p o l i – Videodrome, Perditempo, Demos, Tattoo, Velvet, Mamamù, Vineria del centro, Fonoteca Outlet, Jail, Fnac, Concerteria, Loveri, Rising South, Feltrinelli, Fonoteca, Volver To r re d e l G re c o – Ethnos, Jah Bless Po m i g l i a n o D ’ A rc o – Spazio Musica Po r t i c i Bottega di Telia – Po m p e i – Pompeilab S a l e r n o – Disclan, Mumble Rumble, Iroko Av e l l i n o - Garage records, Ananas&Bananas. C a s e r t a – Volume records Av e rs a – Zoo B e n e v e n t o – Mad House F ra t t a m a g g i o re - Audiozone VUOI COLLABORARE? METTITI IN CONTATTO CON NOI! Chiuso in redazione il 15 Giugno 2008 Tiratura 10.000 copie Impaginazione e Layout: M o n i c a N o r i s Stampa: S B R - S a n S e b a s t i a n o a l Ve s u v i o

Distribuzione gratuita Copyleft

cloachetta

, gente che chiede medicine. Ci sono quelli che hanno dietro tutto: dallo sparatrap alla crema antirughe, dal metadone alle comprese da gargarizzare. E ci sono poi gli zombi che stanno malissimo, che in assoluta mancanza d’altro preparano pozioni tritando le Mentos, e invocando mago Gennaro D’Auria. L’umidità travolge. I più fessi li riconosci subito: sono quelli che per stare caldi s’infilano 3 magliette a maniche corte.

di Sandro Chetta

c a m p e g g i

Camping Bagnoli >C Negli anni eroici del Neapolis festival, si prometteva “ampia possibilità di campeggio”. Tu arrivavi, di notte, piazzavi la tenda in questo enorme posto. Spazio in abbondanza: eri solo, con due romeni e un fittasdraio camorrista. Durante la notte, i fantasmi degli operai del reparto laminazione a freddo dell’Italsider facevano dispetti, staccavano i picchetti, leggevano

rivendicazioni sindacali di 15 pagine. Il giorno dopo ti risvegliavi nel deserto dei Tartari ma al posto dei muezzin c’era un team di tecnici per bonificare l’amianto. Tra loro, con elmetto giallo, anche Fat Mike dei Nofx e Micheal Stipe. >C a m p i n g A r e z z o Wa v e “Le assicuro che questa tenda è mia, era ancora qui ieri sera, ne sono sicuro”, sospira Tommaso, parlando con un filo di voce al Rottweiler che ha trovato accucciato in un igloo uguale uguale al suo. Il mastino dal manto nero tace. Ha addosso la felpa dei Queens of the stone age di Tommaso, che ora ha il viso rigato da una caldissima lacrima.

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Dal 1981 abbiamo sempre dato spazio a tutte le situazioni musicali che si sono alternate fino ad oggi senza mai perdere il denominatore comune, il ROCK !! Vestiamo tutti gli stili dal metal al punk al dark il country l’hip hop e tutte le varie sfaccettature contenute in questi stili. Stivaleria, abbigliamento in pelle, accessori, cinture in cuoio e tracolle per basso/chitarra di produzione propria, prevendite concerti per la booking show e mille altre cose, ma soprattutto la cultura e la passione che non sono in vendita, o ci sono o non ci sono e io C’HO’!! Siamo a Formigine di Modena in Via Giardini sud 332 localita Ubersetto 059 572162 Visita il nostro catalogo on line e chiedi informazioni sugli articoli che ti interessano risponderemo in brevissimo tempo info@oldman.it - www.oldman.it –www.myspace.com/oldman8


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li E i n s t ü r z e n d e N e u b a u t e n sono da sempre stati un ottimo esempio di punto di congiunzione tra il bagaglio underground e indipendente ed il mainstream della pop-culture degli ultimi trenta anni a questa parte. Ventisette anni fa nasceva il cult “Kollaps”, un fiume noise in piena, che ha gettato le basi per una nuova rivoluzione nel mondo della musica, e che ha proiettato la band direttamente al centro della sfida contro il tempo. Il collettivo, partito come trio creato da un reduce dei B a d S e e d s, B l i x a B a rg e l d, vocalist e personaggio emblematico del gruppo, con N .U. U n r u h e F M E i n h e i t, riuscì ad imprimere lucidamente la tensione della guerra fredda che soffocava la vita politica e sociale dei berlinesi agli inizi degli anni ottanta. Il trio creava strumenti “fai-da-te”, composti di parti metalliche, utilizzava seghe, martelli e bidoni e con questi mezzi poveri e rudimentali ha dato una scossa concreta alla neonascente scena industrial che poi in Inghilterra ha ottenuto un più vasto successo. Negli anni seguenti si sono associati ai Neubauten A l e x a n d e r H a c ke e M a rc C h u n g, aumentando per quanto ancora possibile, le opportunità nella ricerca dei suoni e nella sperimentazione. Cosi tra eruzioni creative e live “apocalittici”, sono venuti alla luce album di grande valore, “ZZ e i c h n u n g e n d e s Pa t i e n t e n O. T.” (1983), “11 / 2 M e n s c h ” (1985), “FF ü n f a u f d e r n a c h o b e n o f f e n e n R i c h t e rs k a l a” H a u s d e r L ü g e” (1987) e “H (1989), dischi a tratti durissimi fino alla brutalità a cavallo tra il già citato industrial e l’ossessività post-punk. La band però non si è mai piegata a se stessa, segue correttamente un periodo di transizione, sebbene il pubblico non riesca a inseguire l’imponente mole di produzioni ufficiali e non, compresi progetti teatrali, tra i quali si segnalano, però album di un certo spessore come “TTa b u l a R a s a ” (1993), “EE n d e N e u” (1996), fino alla svolta che passa attraverso il nome di un altro fulllenght fondamentale per la band, “SS i l e n c e i s S e x y” del 2000. L’atmosfera è più distesa nonostante forti contrasti tra noise e armonia, calma e potenza, voltandosi però verso nuovo approccio al song-writing e melodie certamente più intense. Così come per il successivo “PPe r p e t u u m M o b i l e” del 2004, disco di grande successo che ha stabilizzato con precisione questa nuova direzione della A l l e s W i e d e r O f f e n” (All Open band, meritandosi la paternità dell’ultimissimo “A Again). Gli Einstürzende Neubauten hanno anche avuto la virtù di essere sempre in linea con le nuove tendenze ed essere al passo con i tempi, molto di più di tante altre band loro “coetanee” e non solo. “Alles Wieder Offen” viene alla luce in maniera piuttosto singolare, senza l’aiuto di alcuna etichetta discografica, in un totale legame che lega il gruppo ai loro “supporters”. Attraverso il sito neubauten.org, la formazione oggi composta da Blixa Bargeld, Alexander Hacke, N.U. Unruh, Rudolf Moser e Jochen Arbeit, ha pubM u s t e r h a u s”, che ha preceduto “Alles Wieder blicizzato un bizzarro progetto, la serie “M Offen”, composto di otto parti differenti, in ognuna delle quali i Neubauten esplorano se stessi e la loro storia con rivisitazioni di arrangiamenti orchestrali, composizioni al piano di ognuno dei membri della band, collage di vecchie registrazioni, sperimentazioni vocali e produzione di musica dopo una grande bevuta di vino… Così in sostanza è nato “Alles Wieder Offen” (non dal vino!!!), attingendo dallo “stretch” della serie “Musterhaus” e dalle tasche dei fan che hanno finanziato via internet il nascituro disco della band mediante acquisto preventivo. Freak-Out è a proposito riuscito ad intervistare A l e x a n d e r H a c ke , bassista, chitarrista, tastierista ed “operaio qualificato” della band, alla vigilia del concerto di N a p o l i .

intervista

Einstürzende Neubauten

E ’ e v i d e n t e, i n “A l l e s W i e d e r O f f e n ” , c h e i l p ro c e s s o d i c o s t r u z i o n e d e l l e t ra c c e è p i u t t o s t o d i f f e re n t e d a c o m e v e n i v a s v i l u p p a t o i n p a s s a t o. U n a n u o v a c o n c e z i o n e, p e r g l i E N d i s o n g - w r i t i n g c h e i n p a r t e re s t a c o l l e g a t a a n c h e a l v e c c h i o m o d o d i c o m p o r re . Mah, quanto dici è appunto un’ulteriore conferma per noi, in sostanza però siamo cinque musicisti che quando lavorano insieme non sanno mai quale sarà il risultato finale. Abbiamo comunque seguito un po’ la scia tracciata in “Perpetuum Mobile”. S a p p i a m o p e r ò c h e “A l l e s W i e d e r O f f e n ” è n a t o i n m a n i e ra p a r t i c o l a re e senza l’ausilio di un’etichetta. Questo disco è stato concepito alla stessa maniera del progetto “Masterhaus”, un “supporter project”. Attraverso il nostro sito, quelli che per comodità chiamiamo supporter, hanno avuto un ruolo fondamentale. Abbiamo deciso di non lavorare con alcuna casa discografica, cosa che è naturale oggigiorno, perché una label deve fornirti abbastanza soldi e materiale per produrre un disco, anche perché siamo una band vecchio stile, e siamo un gruppo di cinque componenti che vogliono, inoltre, avere una certa libertà di scelta, artistica e non. Q u e l l a c h e e ra d e f i n i t a “ I n d u s t r i a l ” p ro b a b i l m e n t e e ra p ro p r i o u n e f f e t t o d e l l a f i n e d e l l a s o c i e t à i n d u s t r i a l i z z a t a . O g g i c i t ro v i a m o n e l l ’ e ra d e l l a r i v o l u z i o n e d e l l a c o m u n i c a z i o n e e d e l d i g i t a l e. La nostra musica oggi è costruita sul computer, e ci costa anche di meno. Oggi comunque produrre un disco costa tanto e la label non ci finanzia più come prima, in altri tempi l’etichetta sosteneva il tour, adesso le label si interessano solo quando vai in tour! Al momento abbiamo assoldato un promotional agent, per sbrigare determinate attività promozionali come ad esempio fare quest’intervista. Oggi le case discografiche non investono in promozioni. Hanno paura di perdere soldi e l’industria musicale non aiuta molto in generale. Penso che ci saranno sempre persone creative che faranno bella musica, in genere credo che bisogna trovare altri modi per produrre e promuovere nuova musica. L’ u s o d e l t e d e s c o i n “A l l e s W i e d e r O f f e n ” è t o t a l e, c h e v a l o re h a o g g i n e l l ’ e ra d e l l a g l o b a l i z z a z i o n e ? Il disco è interamente in tedesco e pensiamo che sia una bella lingua. Noi scriviamo meglio in tedesco che, ad esempio, in inglese. Avevamo sempre alcune canzoni in inglese, ma ci siamo resi conto che funzionavano meno. E ’ c e r t a m e n t e c a m b i a t o a n c h e i l m o d o d i a s c o l t a re l a m u s i c a , u n p ro c e s s o i n i z i a t o p ro p r i o c o n g l i S t e re o H i - F i e c h e o g g i è c u l m i n a t o c o n l ’ a s c o l t o a t t ra v e rs o i l c o m p u t e r e i l e t t o r i M P 3 c o n l e p l a y l i s t , t a l v o l t a a n c h e a d i s c a p i t o d e l l a q u a l i t à d e l s u o n o, n a t u ra l m e n t e. Ta l e c i rc o s t a n z a i n f l u e n z a i l v o s t ro p ro c e s s o d i c o m p o s i z i o n e o p p u re i l v o s t ro a p p ro c c i o re s t a p i u t t o s t o t ra d i z i o n a l e ? Come ho detto prima siamo una band vecchio stile. Noi non vogliamo interrompere il flusso della musica, per noi la musica è sempre comunicazione tra persone in una stanza, di certo abbiamo usato tecnologia digitale per comunicare con i nostri fans usando il web, chatrooms e message boards, adesso noi due comunichiamo al telefono che è una cosa abbastanza normale ma non naturale, sarebbe impossibile oggi fermare il processo tecnologico. Non c’è differenza nel modo individuale di consumare la musica, di conseguenza c’è poca differenza nel modo di ascoltare, individuale anche nella qualità della musica, io personalmente mi trovo bene con la qualità del MP3, non ho bisogno della qualità del suono, io registravo la mia musica su cassette ed ero perfettamente soddisfatto e felice con questo metodo che sicuramente era di qualità peggiore rispetto agli MP3. La vera musica poi, penso che sia prodotta durante i live, il gruppo di musicisti rimane insieme in realtà ed interagisce con il pubblico e questo crea la vera magia. S p e s s o s i u s a d i re c h e n e g l i a n n i ’ 8 0 l a g e n t e e ra f i n t ro p p o i n f l u e n z a t a o s e d a t a d a i m a s s m e d i a , o g g i a c c a d e l a s t e s s a i d e n t i c a c o s a a n c h e c o n m o d i d i f f er e n t i m a c o n m i n o re c o n s a p e v o l e z z a . N o n o s t a n t e c i ò v o i d i t e c h e e ’ t u t t o a n c o ra a p e r t o ? Il punto è che, oggi è fin troppo facile essere distratti dai media, se tu scegli di “bypassare” i tuoi problemi o ignorare i problemi generali puoi trovare facilmente qualcosa che ti può intrattenere, qualcosa che ti aiuterà a passare il tempo. E’ molto semplice oggi essere ignoranti, potrai trovare sempre qualcosa che ti permette di oltrepassare la realtà. S i e t e u n a b a n d c h e h a a t t ra v e rs a t o g l i u l t i m i t re d e c e n n i d e l l a s t o r i a d e l p o p c o n t u t t e l e s u e e v o l u z i on i . Av e t e s e g u i t o e g u i d a t o i l s e n t i e ro d e l l ’ i n d u s t r i a l p e r e c c e l l e n z a l a s c i a n d o v i a l l e s p a l l e i l K ra u t i n G e r m a n i a , c a m m i n a n d o p a ra l l e l a m e n t e a l p o p e l e t t ro n i c o e l a w a v e i n E u ro p a . O g g i a v e t e p u n t i d i r i f e r i m e n t o ? C o s a v i c o l p i s c e d i p i ù d e l l a m u s i ca odierna? Adesso non so bene in che condizioni sono gli altri, generalmente mi piace un po’ tutto, attualmente ascolto hip-hop, metal, pop-music, folk music, ascolto ogni genere di musica, non sono specializzato nelle preferenze, non sono di certo un “turista”, ma mi piace la musica blues e qualsiasi sua combinazione. www.neubauten.org L u i g i Fe r r a r a

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news

Uscirà il 26 Settembre (V2/Cooperative Music) il settimo album di studio dei M e rc u r y R e v: ”SS n o w f l a ke Midnight” includerà nove nuove canzoni, ciascuna unica nella sua forma cristallina. Da qualsiasi angolazione lo si osservi questo settimo lavoro rivela la forza della simmetria e del caos. Innocente, intuitivo ed elusivo, “Snowflake Midnight” è un disco in grado di far perdere l’ascoltatore in un complesso gioco di specchi. Ma non è tutto: quest’ultimo lavoro della band di Buffalo avrà un compagno, “SS t ra n g e A t t ra c t o r”. “Strange Attractor” sarà il naturale

numero 1 delle classifiche radiofoniche inglesi per 2 volte in 2 anni consecutivi, con il brano “Valerie”!! “You Can Do Anything” uscirà in Italia l’11 Luglio, prodotto da G e o rg e D ra ko u l i a s (Johnny Cash, The Black Crowes), che ha catturato la band al suo meglio. “Ad essere sincero non l’avevo mai sentito nominare, ma mi avevano detto che era bravo!”, spiega Dave. “E cavoli se lo è! All’inizio era un po’ nervoso, ma se fossi un felice americano che deve affrontare 5 pazzi di Liverpool sarei nervoso anch’io, non credete?”. I 5 “moody Scousers” per dirla nelle parole di Dave, sono effettivamente tali. Ci sono da sempre sani contrasti all’interno del gruppo, con Dave che è famoso per essere decisamente incasinato, enigmatico e cinico. “Sarò anche cinico, ma sono un cinico di Liverpool, cioè con un certo umorismo, ed è la razza di cinici migliore! Ve lo assicuro!”.

completamento di questo nuovo lavoro di Donahue & soci e potrà essere scaricato gratuitamente da tutti coloro che lo vorranno andando su www.mercuryrev.com ed iscrivendosi alla mailing list. Un piccolo regalo che i Mercury Rev fanno a tutti i loro fan. Yo u C a n D o A n y t h i n g, il nuovo disco degli Z u t o n s, è uscito questa settimana in Inghilterra piazzandosi direttamente al 6° posto della classifica ufficiale. Non certo una novità per gli Zutons, una band che ha già vinto 4 dischi di platino in Inghilterra, 2 per ogni disco pubblicato finora, per un totale di oltre 1.200.000 copie vendute nella sola Gran Bretagna!

6 Gli Zutons sono anche l’unica band ad avere avuto lo stesso singolo al

Leaf è lieta di annunciare che i v o lc a n o ! hanno terminato le registrazioni del loro nuovo album che uscirà a settembre. Pa p e r w o r k, questo il titolo, mantiene le promesse e l’originalità del precedente B e a u t i f u l S e i z u r e che, pubblicato nel 2006, aveva raggiunto la seconda posizione nella classifica dei lettori di Drowned in Sound. Il disco sarà preceduto dalla pubbliAfrica cazione a fine luglio del 7” “A J u s t Wa n t s To H a v e F u n”. Uscirà in agosto per Jagjaguwar il primo capitolo dell’ambiziosa trilogia T h a n k Yo u r Pa r e n t s a firma O n e i d a. Frutto di tre anni di lavoro, questo P re t e e n We a p o n r y si compone di tre parti che vogliono essere ascoltate tutte insieme e in ordine rigoroso. Registrate in momenti differenti e con differenti stati mentali ma in un

unico giorno, le tre parti sono interamente strumentali e vi hanno contribuito tutti i membri, passati e presenti, del gruppo. Il secondo capitolo della trilogia, di cui questo disco costituisce un’introduzione, sarà un album triplo intitolato R a t e d O / i > e uscirà all’inizio del 2009 sempre per Jagjaguwar.

Gli O k ke r v i l R i v e r sono pronti a regalarci il seguito dell’acclamatissimo “The Stage Names”. Uscirà infatti il 9 settembre negli Stati Uniti e poco dopo in Europa “TT h e S t a n d I n s”, che si compone di 11 pezzi prodotti dalla band stessa e da Brian Beattie e che vede la partecipazione, tra gli altri, di Jonathan Meiburg degli Shearwater in un duetto con Will Sheff. È lo stesso Will a spiegare la genesi dell’album: “Avevamo così tante canzoni che avevamo accarezzato l’idea di pubblicare un album doppio. Alla fine però abbiamo deciso di prendere un gruppo di pezzi e di far uscire “The Stage Names”, tenendo il resto da parte per il sequel dell’album.” The Stand Ins è proprio quel sequel. In attesa della pubblicazione, il gruppo parteciperà a numerosi eventi in Europa per poi ripartire con un tour americano ed europeo tra settembre e novembre. Il disco uscirà come sempre suJagjaguwar. Intanto il sito di Pitchfork.TV ospita la performance degli Okkervil River nell’ambito della serie Don’t Look Down, per la quale numerosi gruppi si sono esibiti sul tetto di un edificio a New York. Il link per vedere o scaricarare il set è pitchfork.tv/dont-look-down/okkervil-river.

E ancora, lo scorso dicembre il gruppo, nel corso del suo tour europeo, si è esibito in una Ukulele Session in Belgio organizzata dal giornale Le Soir. Adesso la performance (comprendente “A Hand to Take Hold of the Scene” e “A King And A Queen”) è disponibile online qui www.lesoir.be/video/?action=popup &v=20071122_Okkervil.

Due anni dopo “Garden Ruin” i C a l e x i c o ritornano con il loro nuovo C a r r i e d To D u s t” che uscialbum “C rà il 12 Settembre 2008 per City Slang / Cooperative Music e distribuito in Italia da Self. Per “Carried To Dust” i co-fondatori dei Calexico J o e y B u r n s e J o h n C o n v e r t i n o hanno chiamato un folto gruppo di amici musicisti che hanno aiutato a creare quello che possiamo definire il più variegato ed intenso lavoro dei Calexico. La line up della band che si è consolidata attorno alla realizzazione di “Feast Of Wire” è tornata, inoltre si sono aggiunti musicisti come S a m B e a m, D o u g l a s M c C o m b s, e P i e t a B ro w n. Questo nuovo disco è un brillante esempio di come i Calexico riescano a “cambiare pelle” musicalmente senza perdere il loro marchio di fabbrica. Una continua esplorazione e rielaborazione delle loro fonti di ispirazione, “Carried To

Dust” è la nuova svolta; la conferma che i Calexico sono una band in costante movimento verso il futuro senza indugiare troppo sul passato. Una continua ricerca e contaminazione con altri artisti, ma anche il risul-


Il 28 luglio uscirà, “ S a m p l e A n d H o l d ”, album di remix del duo inglese S i m i a n M o b i l e D i s c o. Questo ‘nuovo’ lavoro trae ispirazione dal loro primo album, del 2007, ‘Attack Decay Sustain Release’. Tutte le tracce, più quelle incluse nell’Ep del 2008, sono remixate dal gente del calibro di Joakim, Shit Robot e Chrome Hoof. Questa la tracklist: ‘Sleep Deprivation’ (SS i m o n B a ke r R e m i x) ‘I Got This Down’ (II n v i s i b l e C o n g a Pe o p l e R e m i x) ‘It’s The Beat’ (SS h i t R o b o t R e m i x) ‘Hustler’ (JJ o a k i m R e m i x) ‘Tits & Acid’ O s c i l l a t i o n R e m i x) ‘I Believe’ (O (PP i n c h ’s ‘ I B e l i e v e i n B a s s l i n e T h e ra p y ’ R e m i x) ‘Hotdog’ (C Cosmo Vi t e l l i R e m i x) ‘Wooden’ (D Danton E e p ro m R e m i x) ‘Love’ (BB e y o n d T h e Wi z a rd ’s S l e e v e R e m i x) ‘Scott’ (SS i l v e r A p p l e s R e m i x) ‘Clock’ C h r o m e H o o f R e m i x) (C

B e c k ha terminato di registrare il suo nuovo disco, prodotto da Brian D a n g e r M o u s e” Burton, che usci“D rà entro quest’estate su X L

R e c o rd i n g s. Il disco, ancora senza titolo, conterrà 10 nuove canzoni. Conosciutisi qualche anno fa, Beck e Danger Mouse pensavano già da tempo di collaborare insieme, ed hanno finalmente cominciato a lavorare su alcuni pezzi nello scorso dicembre. Incoraggiati dai risultati, i due hanno deciso di fare un disco intero, e nei mesi successivi hanno registrato moltissimo materiale, scegliendo alla fine solo le 10 tracce migliori. Il risultato é una serie di testi che spaziano dall’introspezione ed il commento sociale, al gioco di parole e l’humour. Musicalmente, le dieci tracce del disco oscillano tra l’economia e la sperimentazione, l’ibrido ed il pop classico, dimostrando ampiamente la condivisa passione di Beck e Danger Mouse per lo psych-rock, il folk, il minimalismo elettronico e gli arrangiamenti. La scrittura delle canzoni e la schiettezza tipiche di Beck rimangono comunque centrali, nonostante la diversità dei toni del disco. Dopo il singolo digitale “TT i m e b o m b”, uscito l’anno scorso e nominato al Grammy, il nuovo disco full-length arriva a due anni dall’ultimo lavoro “TT h e I n f o r m a t i o n”. R i c h a rd R u s s e l, fondatore della XL Recordings, ha commentato: “Beck é un artista che si può realmente definire originale. Non solo fa grande musica, ma ispira gli altri a fare lo stesso. Siamo onorati dal fatto che abbia deciso di lavorare con la XL per questo nuovo disco. Non vediamo l’ora che tutti possiate ascoltare la straordinaria musica che lui e Danger Mouse hanno realizzato insieme”.

La t r i p - h o p b a n d di Bristol ha dichiarato, di recente, che ha terminato i lavori per la pubblicazione del suo quinto album in studio. È dal 2003 che il combo di R o b e r t D e l N a j a non pubblicava un album di inediti, l’ultimo fu “100th Window”. 3 D, questo le pseudonimo di Del Naja, ha dichiarato: “Il lavoro è stato svolto seguendo un processo lento, questo è il nostro stile. Non siamo mai stati sotto pressione per scrivere una hit, né siamo un progetto che brucia rapidamente”. Alla domanda su come sarà il nuovo disco dice: “Sinceramente finché non termineranno i missaggi non si potrà sapere che direzione avrà il sound, comunque lavoreremo lentamente e come sempre scarteremo la metà delle registrazioni che abbiamo fatto”. Intanto la band a luglio sarà in tour in Italia, con ben cinque date. Attesissima la tappa del 1 7 l u g l i o a Napoli all’interno del Carpisa Neapolis Festival in compagnia degli amici A l m a m e g re t t a e R a i z, mentre come open act ci saranno i Pa r a n z a V i b e s .

Uscirà a settembre il nuovo album omonimo dei N e w Ye a r, come i precedenti su Touch & Go. La band è molto conosciuta nel circuito post-indie grazie alla presenza di M a t t e B u b b a K a d a n e, membri

fondatori della band seminale Bedhead. Culmine di quattro anni di scrittura e di un anno di registrazioni, il disco tratta di tempo perduto, di desideri frustrati e del bisogno degli altri. Sebbene musicalmente queste possano essere le canzoni più varie del gruppo - per una band che ha fatto dell’utilizzo innovativo di tre chitarre, metà dei nuovi pezzi sono invece costruiti attorno al pianoforte - è la loro particolare sequenza a rendere coerente la storia raccontata. E persino la mancanza di un titolo sembra suggerire che questo disco rappresenti l’apice di tutto quello che il gruppo ha sempre provato a raggiungere.

F u j i y a & M i y a g i pubblicheranno il 16 settembre, per il mercato americano, il loro secondo album. Per la band di Brighton “LL i g h t b u l b s ” segue il successo di “Transparent Things” del 2006. L’album, pubblicato dalla Deaf Dumb con la partecipazione della Blind Recordings, avrà sonorità ispirate al film in bianco e nero di Robert Bresson e in particolar modo alla pellicola “Pickpocket”. Intanto il gruppo da trio si è trasformato in quartetto: oltre a Steve Lewis (aka Fujiya, tastiere), David Best (aka Miyagi, voce e chitarra) e Matt Hainsby (aka Ampersand, basso), d’ora in poi farà parte del gruppo anche un batterista, Lee Adams. Questa è la tracklist di Lightbulbs: 01 Knickerbocker 02 Uh 03 Pickpocket 04 Goosebumps 05 Rook to Queen’s Pawn Six 06 Sore Thumb 07 Dishwasher 08 Pterodactyls 09 Pussyfooting 10 Lightbulbs 11 Hundreds & Thousands

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tato di anni di esperienza di concerti che ne accrescono continuamente la fama e la bravura. “Carried To Dust” ci mostra tutti gli aspetti di questa poliedrica band. I Calexico suoneranno in Italia il 1 8 O t t o b re al Rolling Stone di M i l a n o. Il trio svedese Pe t e r B j o r n & Jo h n, che con il singolo “Young Folks” la scorsa estate ha spopolato nel circuito indie di tutto il mondo, ha annunciato che sta lavorando alla realizzazione di ben due album che farà uscire nel corso di quest’anno. Il frontman Peter Moren ha dichiarato che un primo lavoro strumentale verrà pubblicato in autunno, registrato tra Stoccolma e New York sarà composto da dieci tracce. Probabile titolo “ S e a s i d e R o c k ”. Mentre il ‘vero’ successore di “ W r i t e r ’s B l o c k ” (2006), ovvero il secondo lavoro, uscirà nel marzo 2009; le registrazioni avverranno quest’estate a Stoccolma .

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top 3

Isobel Campbell & Mark Lanegan

Sunday at Devil Dirt

CSS

Donkey (Subpop)

Meg Psychodelice (Multiformis)

(V2) La coppia che non ti aspetti, rotto il ghiaccio con “Ballad of the Broken Seas”, ha deciso di riprovarci. Da una prospettiva che vede sfatare il luogo comune in cui, la lei in questione è la miccia che fa esplodere l’estro di lui, quanto constatare, in questo caso, come sia lui il “muso” (vista la perenne espressione imbronciata dipinta sul viso di L a n e g a n, la definizione pare quanto mai azzeccata…) ispiratore della vena compositiva della C a m p b e l l. Il tratto musicale che lega i due è il non disdegnare la fascinazione nei confronti del passato. Cominciando dal folkorchestrale delle iniziali “Seafaring Song” ,”The Raven”, “Salvation”, “Who Build The Road” si capisce subito che il nuovo capitolo riprende temi musicali già presenti nell’album d’esordio. Non di meno le canzoni paiono meglio messe a fuoco e, a dispetto della volta precedente, la voce del cantautore statunitense svolge un ruolo di primo piano. Ad ogni buon conto la coppia si diverte anche a mischiare le carte, come dimostrano la jazzata “Come On Over (Turn Me On)” , la mantrica “Back Burner” o il blues d’antan di “Shot Gun Blues”. Il non eccedere in voli pindarci, non toglie che fra i pezzi seguenti vi siano brani riusciti (“Keep Me In Mind Sweetheart”, “Something To Believe”, “Sally Don’t You Cry”). A posteriori, quindi, non si può negare che la difficile prova del secondo disco sia superata. In tempi di europei calcistici magari Campbell & Lanegan rappresentano il classico paio d’attaccanti poco spettacolari ma che sanno il fatto loro. Per adesso va bene così. www.myspace.com/isobelcampbell L u c a M a u ro A s s a n t e

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Tornano le brasiliane CSS, ovvero C a n s e i d e S e r S e x y. Anche se, in realtà, dopo la pubblicazione dell’esordio omonimo del 2006 erano passate più volte per l’Italia, in una tournèe sfiancante, che le aveva viste suonare senza sosta e dappertutto nell’arco di 2 anni, una tournèe con cui, alla prova del nove, hanno dimostrato di essere un gruppo vero, e non certo una girl band costruita per Mtv: si sono mosse infatti molto più velocemente del videoclip di “Let’s Make Love and Listen to Death From Above”, che spopolava mentre loro giravano il Mondo facendosi conoscere soprattutto dal- vivo, e non solo via tv. Sono giovanissime, 18-20 anni, e quando le intervistammo su Freakout, due anni fa, ci spiegarono che in Brasile, malgrado il successo tra i giovanissimi, erano artisticamente troppo fuori contesto, con la loro electrodance veloce, pop ma in bassa fedeltà e cantata in inglese, e stavano pensando di lasciare il paese per trasferirsi negli Usa o in Europa, ma che per il momento vivevano tra aerei, alberghi e palchi di ogni tipo, dai grandi festival (Benicassim, Coachella, Pitchfork, Reading, Roskilde) ai centri sociali ed i piccoli club. Il nuovo D o n ke y” è un progetto più ambizioso, senz’altro “D ancor più ballabile, sicuramente più arrangiato e studiato nei suoni, malgrado in buona parte rimanga quell’approccio spontaneo da fun music “pazzerella”, che probabilmente è la chiave del loro successo; disco ancora una volta prodotto dal batterista della band A d r i a n o C i n t ra , ma mixato, con equilibrio ma anche furbizia, addirittura da M i ke S t e n t, che ha lavorato in passato con Madonna, Bjork, Massive Attack, U2, ed Arcade Fire. “Donkey” evidentemente è frutto della maggiore esperienza, perché no, delle maggiori aspettative della Subpop, e della maggiore consapevolezza di cosa la band vuol fare – spariti gli inutili tentativi hip-pop e gli incisi stile videogame del passato… – con un livello di scrittura delle canzoni di poco inferiore a quello dell’esordio, anche se con più varietà, tra cui spiccano ad ogni modo “Believe Achieve”, “Jager Yoga” e “I Fly”, tre potenziali singoli fulminanti, nei quali “Lovefoxxx”, alla voce, con le sue tutine impossibili e le scarpine argentate, canta sempre più nello stile di Blondie e Kim Deal. Official: www.csshurts.com/ Fa u s t o Tu r i

“‘Delizia della psiche’ come antidoto, come approccio alle cose, del sound iperelettronico del disco e, per certi versi, di un certo tipo di approccio che reclama ‘stream of conciousness’ nella scrittura e quindi nella struttura dei pezzi”. Questa è la descrizione che M e g dà del suo ultimo album, P s y c h o d e l i c e, uscito meno di un mese fa per Multiformis, l’etichetta discografica della stessa Meg. Come il precedente lavoro anche quest’ultimo unisce il pop all’elettronica. Mentre precedentemente, però, era pop con innesti elettronici, questa volta l’elettronica la fa da padrona, come dice la stessa Meg, “iperelettronico”. A dire il vero lo si poteva capire anche senza ascoltare le canzoni, ma solo leggendo le collaborazioni all’album. A co-produrlo, infatti, è S t e f a n o Fo n t a n a , ovvero il signor Stylophonic, ma assieme a Meg in questo disco hanno collaborato anche il dj D a n i l o V i g o r i t o e l’immancabile M a r i o C o n t e che segue l’ex 99Posse anche live. Insomma un carnet di collaborazioni importanti, che assieme alla musica e alla voce di Meg (troppo facili i paragoni con Bjork) confezionano un album veramente interessante. Si comincia con “Distante”, primo singolo estratto dall’album. Un ritmo incredibile con effetti che rimandano ai videogiochi, caratteristica anche del precedente album, e cassa quattro come spiega la stessa Meg nella presentazione delle canzoni. L’amore è uno degli argomenti che tornano e oltre al singolo è ripreso anche in “E’ troppo facile”, l’artista napoletana è accompagnata da un’arpa elettronica che dà una dimensione onirica al pezzo. Una dimensione, quella onirica, che caratterizza anche “Succhio luce”, uno dei pezzi che lega quest’album al precedente. C’è una canzone, poi, di cui si è già molto parlato, nonostante la fresca uscita dell’album, ed è “Napoli città aperta”, che sembra legata a doppio filo a “Puzzle”, uno dei pezzi più apprezzati dell’album precedente, dove Meg cantava: “Dall’alto il golfo a forma di cuore, ammiro rapita la mia città natale, qui il paradosso è cosa normale, le vene e le arterie stanno per scoppiare (…) è assurda la bellezza di questo folle posto meridionale”. Le liriche si intrecciano e si evolvono, e nascono le contraddizioni di Napoli e di chi, come lei, ne è figlia e la ama; una dichiarazione d’amore, da un lato, e il terrore di perderla, dall’altra: “Guarda come è bella la mia città, come stella brilla (…) guarda come è sola la mia città rara come perla nera (…) quando lei dorme dolce creatura appare ed io mi incanto lì ad ammirare sapendo che al sorgere del sole il mostro si sveglierà per la fame, perciò non ti fidare, comincia a scappare”. E pensare che è stata scritta due anni fa, lontana (ma non troppo) dalle emergenze degli ultimi mesi. “Pandora”, ipnotica, è un omaggio a Edie Sedwick, mentre “Impossibile trasmissione” è un pezzo scritto qualche anno fa dalle sorelle di Meg (le Saloon Kitty); “Laptop computer”, prodotto con Vigorito, è una evidente dedica ai Kraftwerk. Pezzo disco, tra techno e house è “Running Fast”, nato da una visione delle riprese, minuto per minuto, della giornata in cui fu ucciso Carlo Giuliani. Il tocco di Mario Conte (produttore a sua volta, e volto conosciutissimo tra chi adora l’elettronica) è fin troppo evidente in “Promises”; anche qui è difficile non ballare. Insomma elettronica per tutti i gusti, per chi ama perdersi nelle sue pieghe più sognanti e per coloro che, invece, vogliono solo e assolutamente ballarla.Meg sforna un ottimo album e noi le dedichiamo un neologismo, Eardelice, delizia per le orecchie. www.m-e-g.it F ra n c e s c o R a i o l a


Questo trio austriaco, di Linz, ha fatto il grande salto intercontinentale andando a registrare quest’ ultimo lavoro all’Electrical Audio di Steve Albini, in quel di Chicago. Miscelando post punk e post rock, il trio ci regala undici brani impeccabili, destrutturati e spezzettati seguendo la scia dei The Ex e dei Mission Of Burma. Aiutati in studio dai loro amici chicagoani Cougars, che aggiungono in alcuni brani parti di sax e tromba, i Va l i n a non sbagliano un colpo. Rari i momenti in cui il loro rock è compatto e melodico (“Per sonare”), il più delle volte si dilettano a decostruire il loro suono con ripartenze e cambi di registro stilistico assortiti (“Idiom’s palace”, “Calendario”) e raggiungono il loro apice creativo in “Phantom of my longest day” che è una cavalcata noise densa di distorsioni con fraseggi di chitarra e basso infastiditi da una batteria costantemente in controtempo. In una fase musicale con poche innovazioni veramente interessanti, i Valina hanno saggiamente deciso di entrare definitivamente in un filone musicale consolidato che può ancora dare tanto agli amanti del genere. www.myspace.com/valinamusic Vittorio Lannutti T h e Ko o k s The Konk (EMI)

Dopo il fortunatissimo esordio “Inside in/Inside out” la band di Brighton è tornata con un album che, nelle intenzioni, doveva dare la svolta definitiva al sound del gruppo. Luke Pritchard, infatti, aveva più volte spiegato come il secondo album sarebbe stata una sorpresa, lontano da quello che ormai siamo abituati a catalogare come indie rock d’oltremanica, come sarebbe stato, insomma, un album più… pop. Onestamente a qualche mese dall’uscita del disco, e dopo qualche ascolto in più, qualche dubbio sull’originalità tanto millantata ci è venuta. “The Konk”, questo il nome (preso dallo studio in cui hanno registrato) del secondo album dei Kooks uscito per la Emi, suona sempre molto brit pop, e non si discosta tanto dal sound delle new big things mensili. L’album suona bene, senz’altro, percorrendo, però, un solco già tracciato. Ad ogni modo il singolo è accattivante, l’aria svaccata ce l’hanno, e un esordio col boom alle spalle pure. Tutti ingredienti che non guastano e che fanno da preludio a un secondo disco alto in classifica. Dicevamo, percorrendo quel brit pop lon-

tano dall’elettronica e più vicino agli Oasis, hanno sfornato un album comunque orecchiabile, ricco di ammiccamenti al mainstream, vedi il singolo A l w a y s W h e re I N e e d To B e, pochi accordi ma quelli giusti, insomma non proprio sperimentale, ma potete scommettere che il ritmo sbattendo il piedino a terra lo terrete in continuazione, e a volte questo già basta. C’è tutto nel disco, non mancano neanche le ballads da secondo singolo, immancabili! L’amore, immancabile anche questo in un qualsiasi album (auto)definito pop. Voleva essere l’album della svolta, del cambiamento, l’album pop, dove questo termine rimandi a nomi come quello dei Beatles. È un album britpop, sì, ma che rimane stretto in quella grande camicia di forza che è l’aspettativa disattesa del secondo album; e se anche la band, poi, ci si mette con i proclami di rivoluzione… www.thekooks.co.uk Francesco Raiola The Mojomatics Don’t Pretend That You Know Me (Ghost)

Non c’è due senza tre. Puntuali come un orologio svizzero, i Mojomatics ci consegnano il loro terzo album. L’album della maturità, tanto per restare fedeli a un clichè. Ma in questo caso non si tratta di un luogo comune. In pochi anni di attività la band veneta ha bruciato le tappe, avanzando come un caterpillar con una determinazione feroce e una costanza a dir poco sorprendente nel mettere in fila dischi e tour senza fermarsi mai. In virtù di questo approccio stakanovista i risultati non hanno tardato ad arrivare: oggi i Mojomatics sono una delle formazioni indipendenti italiane più richieste e apprezzate. E gli apprezzamenti provengono ormai anche dall’estero, dove il duo è spesso in tour. Ma veniamo al nuovo album che vede l’ennesimo cambio di etichetta – questa volta è la varesina Ghost a supportarli – e di approccio sonoro. Se il sorprendente debutto di “A Sweet Mama Gonna Hoodoo Me” (2004) mischiava brillantemente garage e blues, e il successivo “Songs For Faraway Lovers” (2006) virava verso un approccio più roots con dosi abbondanti Don’t di inflessioni folk e country, “D P re t e n d T h a t Yo u K n o w M e” rappresenta l’ennesimo balzo in avanti per MojoMatt e DavMatic. Registrato rigorosamente in analogico senza l’ausilio di produttori esterni, “Don’t Pretend That You Know Me” mostra i Mojomatics in forma smagliante, alle prese con un suono che non rinnega le radici, ma le rivisita con una freschezza compositiva con pochi pari oggi in Italia. Perché se c’è una cosa fuor di

dubbio è che il duo veneto possiede un innato talento nel saper scrivere canzoni. Brani da tre minuti in cui ogni cosa è al posto giusto: la rima, il ritornello, l’arrangiamento. Senza sbavature. Come ci dimostra l’iniziale “Wait A While” o l’ancor più convincente “Miss Me When I’m Gone”, un brano che ti mette al tappeto e ti entra in testa sin dal primo ascolto con quel riff ‘rollingstoniano’ e l’armonica a menare le danze. Lo stesso tiro sonoro, compatto, raffinato e ricco di citazioni lo troviamo lungo tutto l’arco dell’album: nel veloce rock’n’roll di “You Are Not Me (Fortunately)”, nelle trame al contempo melodiche e nervose di “Complicate My Life”, negli aromi folkeggianti di “Stars above”, nel powerpop di “She loves” e soprattutto nei ritmi travolgenti di “Down My Spine”, un brano uscito come singolo e già diventato un piccolo culto sotterraneo. Con questi numeri i Mojomatics possono realmente aspirare a un successo su più ampia scala. Chissà che non sia davvero questa la volta buona… www.mojomatics.com Roberto Calabrò Wo l f Pa ra d e At Mount Zoomer (Sub Pop)

Il successo del precedente lavoro del 2005 intitolato “Apologies to the Queen Mary”, a suo tempo efficacemente trainato dalla canzone “Modern World” e dal relativo, splendido videoclip – andate di corsa a recuperarlo su youtube, se non lo ricordate… – teneva molti appassionati di indie rock in attesa, per questo nuovo lavoro del quartetto canadese di Montreal, che in realtà ha dichiarato, nelle interviste rilasciate immediatamente prima di questa pubblicazione, di aver voluto rischiare, tenendosi alla larga dalla tentazione di riproporre la copia conforme di suoni ed atmosfere già presentati 3 anni fa. Per questa ragione, i Wo l f Pa ra d e hanno deciso di ripartire, dopo la tournèe mondiale del 2007 e i loro non certo indispensabili progetti paralleli in bassa fedeltà – Handsome Furs e Sunset Rubdown – da lunghe jam strumentali, nell’attesa che da queste bozze di lavoro qualcosa di buono e di originale venisse fuori. E infatti è accaduto, malgrado nel loro folk rock elettrico non ci siano stravolgimenti clamorosi, piuttosto un leggero cambio di traiettoria. Senz’altro, alcune tracce nuove, tra le quali “California Dreamer” e “The Grey Estates” contengono ritmi sostenuti stile vecchi Rem anni 80, ai quali non credevamo il gruppo fosse più di tanto interessato, dal momento che il precedente lavoro presentava atmosfere sostanzialmente più cupe, romantiche, con un lavoro ancora maggiore di tastiere; ricordo che una rivista americana, all’epoca, per

spiegare ai lettori la musica di Dan Boeckner e soci parlò, con un’ermetica metafora, di “oscurità bisbigliante”. Qui, A t M o u n t Z o o m e r”, ci nel nuovo “A sono prima di tutto le chitarre elettriche, non proprio “diritte” e punk come nei lavori dei Television – dei quali i Wolf Parade pare siano fan – ma ad ogni modo piuttosto robuste, soprattutto, poi, con composizioni dalle trame complesse stile Grateful Dead, e qui si vede che le lughe jam strumentali in studio, di cui dicevamo, hanno avuto conseguenze a livello creativo – c’è chi parla addirittura di risvolti prog rock… – e la conclusiva traccia “Kissing the Beehive”, lunga 10’50”, è emblematica, con una inattesa coda funk di 3 minuti guidata dal basso elettrico. “At Mount Zoomer”, dunque, ammorbidisce le notturne e grumose tensioni indie-folk del passato, di band quali Minus Story o Early Day Miners, per aderire ora ad un’idea di musica che molti gruppi Sub Pop, dai Rogue Wave ai Band of Horses, stanno compattamente perseguendo e che, nel suo piccolo, sta riformando la musica nordamericana. http://wolfparade.nonstuff.com Fausto Turi

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Va l i n a a tempo! a tempo! (Trost)

Ye a r L o n g Disaster omonim (Volcom) E’ in effetti un buon momento, per un certo tipo di hard rock pesante: proprio quando ci eravamo stufati un po’ tutti, diciamolo, di certe produzioni stoner troppo spesso registrate con lo stampino, in economia, ecco una schiarita: una boccata d’ossigeno all’insegna degli stessi suoni rocciosi, ma carichi d’euforia, con la riscoperta della tradizione hard boogie anni 70 sparata e ad alto voltaggio. Che poi, a dirla tutta, è la via indicata – all’inizio tra qualche perplessità – dagli ex componenti dei Kyuss, che dopo aver creato lo stoner moderno, nei 90, l’hanno affossato coi loro nuovi progetti: Hermano, Queens of the Stone Age, Mondo Generator. Due notizie biografiche su Ye a r L o n g D i s a s t e r sono doverose: Daniel Davies, leader di questo trio californiano all’esordio, è figlio di Dave Davies, chitarrista dei britannici Kinks; Rich Mullins, il bassista, è stato uno dei fondatori della stoner band strumentale Karma to Burn; il batterista Brad Hargreaves, invece, era un perfetto sconosciuto, finchè i due compagni non lo hanno visto pestare lo strumento, una sera, in un baretto di Los Angeles. Il gruppo non sa neanche cosa sia, la psichedelia dilatata, e piuttosto usa le chitarre come fossero clave, ripercorrendo le galoppate blues di AC/DC e Motorhead, tra ritmiche sfrenate ed assoli fulminanti, nel segno di un’orgogliosa tradizione southern che non deluderà mai, e nella

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quale ci si può sempre rifugiare, sicuri di trovare approdo e riparo dalla piattezza che talvolta la musica moderna ci riserva. Musica conservatrice, dunque, l’hard rock? Beh, paradossalmente, questa musica rocciosa e quadrata che a suo tempo, nei 70, fu di rottura totale con ogni conformismo – la musica che faceva inorridire benpensanti e “matusa” – oggi, nel 2008, non può certo riservare strabilianti sorprese, se non a livello emozionale – e ti pare poco, direte voi! – ma parlerei piuttosto di musica fuori dal tempo. Gli YLD sono perfetti, gasanti al massimo, sinceri, e questo disco immagino sarà tra i migliori del 2008 come l’anno scorso lo fu quello dei texani Down e due anni fa quello degli australiani Wolfmother, che ricorda davvero molto. Conservatrici le 11 canzoni spaccatimpani del trio? Macchè, certa musica non morirà mai! E da quando i Quotsa cominciano a mostrare un calo creativo rispetto agli esordi, benvenuto a questo nuovo gruppo. La voce di Daniel Davies ricorda quella di Chris Cornell (Soundgarden, Audioslave) in un modo impressionante: stessa forza e profondità, stessa estensione, “Leda Atomica” è un singolo che farà parla a lungo di sé, infine, la copertina dell’album: cazzutissima. www.yearlongdisaster.com/ Fausto Turi Mudhoney The Lucky Ones (Sub Pop)

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E’ una definizione solare, ma un po’ riduttiva, quella che i componenti della storica band di Seattle danno di sé stessi, nel titolo di questo “TT h e L u c k y O n e s”, come dire: i fortunati. Del resto, da sempre i Mudhoney mantengono un basso profilo pubblico evitando di prendersi troppo sul serio – hanno dei lavori propri, a Seattle, oltre quello di musicisti, e non hanno un vero e proprio sito internet ufficiale… – ma dopo 20 anni d’attività, penso sia giusto render loro atto di ciò che sono stati e che, sorprendentemente, ancora oggi sono: una grandissima r’n’r band, tra le più autentiche, longeve e coese, soprattutto. Questo nuovo album del 2008 esce nei negozi proprio negli stessi giorni in cui la Sub Pop pubblica anche la ristampa deluxe del ventennale – stracarica di bonustrack – di “Superfuzz Bigmuff”, il loro memorabile, fulminante Ep d’esordio del 1988; ci troviamo così ad ascoltare negli stessi giorni due dischi dei Mudhoney pubblicati a distanza di 20 anni, e notiamo che, per quanto il nuovo “The Lucky Ones” segni un palese ritorno all’approccio garage punk tradizionale – se preferite, chiamiamolo grunge… – rispetto alle ultime più articolate pubblicazioni, ad ogni modo molte delle 11 nuove canzoni hanno un suono più dilatato ed articolato, legger-

mente meno frontale rispetto agli esordi, con il basso di Guy Maddison – che nel 1999 sostituì Matt Lukin – molto spesso autorevolmente in primo piano, non più sommerso dal feedback chitarristico di Steve Turner; al contrario, Mark Arm canta e urla come sempre, in preda a quel misto di euforia e rabbia che è stato tra le cose più belle dei ‘90. Sembra di sentire gli Stooges di Iggy Pop, a momenti, in un continuo ruotare di emozioni, in cui pure l’indolenza debosciata – tipo post sbronza, per intenderci… – ha il suo ruolo, e tanti sono gli episodi al limite del garage punk, come la conclusiva “New Meaning”, schiaffone veloce e secco, come sintetico è tutto il lavoro, del resto, nel complesso della durata di 36’20”; una novità è invece la strana invenzione freakbeat “The Shimmering Lights”, e l’uso sporadico del pianoforte, del resto però già utilizzato nei precedenti tre lavori degli anni 2000. I Mudhoney si mantengono dunque su livelli molto alti anche con quest’album, rivolgendosi nuovamente alle loro radici punk e grunge, mettendo da parte talune recenti ambizioni country e psichedeliche che pure avevano riscosso successo, in “Since we’ve Become Translucent” del 2002, per una band che senz’altro non riproduce semplicemente se stessa all’infinito, ma che al contempo è cosciente di cosa sa fare meglio, e giustamente punta su quello. Sono tra i pochi gruppi grunge dei 90, assieme ai Meat Puppets, giunti ai giorni nostri in forma, molto avanti rispetto ai recenti, sbiaditi Pearl Jam, o ai recentemente riformati Smashing Pumpkins e Dinosaur jr. www.myspace.com/mudhoney Fausto Turi A u d re y The fierce and the longing (fiveroses) A TenderVersion Generalmente non mi appassiono all’indie-pop, ma devo ammettere che questo disco ha esercitato un certo fascino su di me. Questo quartetto femminile svedese non solo è riuscito a creare delle strutture sonore accattivanti ed ammalianti, ma ha anche curato in maniera maniacale, e con ottimi risultati, gli arrangiamenti, sempre pertinenti e mai fuori posto. Rispetto ai precedenti lavori il gruppo è cresciuto moltissimo, “TT h e f i e rc e a n d t h e l o n g i n g”, rispetto al precedete “Visibile forms” è, infatti, più sicuro ed ha la capacità di arrivare diretto, penetrando il cuore. Il pop delle Audrey è sopraffino ed è accostabile a quello dei Low (“Black heatrs”), soprattutto quando le quattro scandinave si lasciano andare a dilatazioni, anche se rispetto al terzetto Usa, non vanno mai troppo in là, contenendosi maggiormente, in favore di alcuni cambi stilistici graduali e quindi mai traumatici. Il miglioramento del gruppo si

percepisce anche da una maggiore distribuzione delle parti vocali tra le quattro componenti, anche se la maggior parte dei pezzi sono cantati da Victoria Skoglund, che già nell’introduttiva “Big ships” ci introduce in un indie-pop sulfureo. Rebecka Kristiansson sfiora la superba algidità di Nico in “Next left”, dove si rimane affascinati dalla bellissima cavalcata elettrica. In diverse occasioni le Audrey utilizzano violini e viole, che spiccano in “Horses are honest” e nella greve “Dalaven”. www.audrey.se Vittorio Lannutti Gallon Drunk The Rotten Mile (Fred) “Come sarà il nuovo G a l l o n D r u n k?”, mi chiedo, memore della straordinaria abilità della formazione inglese di alternare dischi brillanti ad altri più opachi. Ma basta un solo ascolto di “TT h e R o t t e n M i l e” per capire che siamo al cospetto di un grande album, di una delle prove migliori del quartetto guidato da James Johnston. Allacciate le cinture, allora, e preparatevi ad amare un disco che è un viaggio sonoro, un trip notturno, un romanzo noir. Denso come un buon bourbon e oscuro come una tazza di caffè. Un lavoro che mescola diversi ingredienti sonori senza risultare frammentario o velleitario. Con “The Rotten Mile” siamo nei territori degli Stooges, ma anche di Nick Cave o dei Morphine. Così la title-track che apre il disco è un episodio nervoso, tagliente, con il sax in primissimo piano. Un brano mozzafiato come anche il successivo “Give Me Back What’s Mine”, un bluesaccio notturno e ubriaco con tanto di hammond. In “Down At The Harbour” sembra di ascoltare il Nick Cave di “Let Love In”: un episodio oscuro, pulsante di una strana energia psichedelica su cui si staglia la voce roca di mr. Johnston, il cui canto diventa lirico e straziante in “Put In The Bolt In The Door”. Ma i Gallon Drunk dimostrano di sapere anche essere una rock-band potente e incisiva: la prova del nove è rappresentata da un pezzo d’impatto come “Grand Union Canal” o dai riff nervosi di “Running Out The Time”. Con “Night Panic Bossa” il quartetto britannico ci introduce a una sorta di bossa nova lisergica, con la voce gutturale di Johnston che si inarca sopra un intrigante tappeto musicale. Mentre il sax che accompagna in tutto il suo incedere incalzante “All Hands Lost At Sea” sembra quello di Steve McKaye su “Fun House” degli Stooges. E dopo questa tempesta sonora arriva quindi il finale che non ti aspetti: “The Shadow Of Your Smile”. Una delicata canzone d’amore solo per piano, batteria e voce, un brano da fumoso jazz club che chiude il sipario su un album bellissimo, una delle prove migliori firmate dai Gallon Drunk. www.gallondrunk.com Roberto Calabrò

Putiferio Ate ate ate (Robotradio)

Usare il temine catarsi in ambito rock sembra retorico, ma in casi come i P u t i f e r i o è particolarmente appropriato. Questo quartetto che esordisce grazie all’acuta Robot Radio, è una sorta di super gruppo, dato che i quattro elementi vengono tutti da altre esperienze. Tra questi il più blasonato è il batterista Giulio Favero, già chitarra nei One Dimensional Man e attualmente con Il Teatro degli Orrori. Sette sono i brani in scaletta, discontinui ed accomunati dal vomito per lo schifo che è diventata la nostra società. Il loro non è un messaggio politico, bensì introspettivo, l’attitudine è dunque molto hardcore, ma il modo di esprimere i temi musicali è irruente e l’HC viene contaminato e imbastardito con il blues ed il noise in generale, con chiari punti di riferimento: Melvins, Neurosis, Fantomas ed i U.S Maple, oltre che The Ex e Zu, in particolare nelle incrostazioni indie-punk di “Holes holes holes”, dove risalta il sax lo stesso Luca Mai del terzetto romano. I quattro si rivelano sferraglianti e cambiano spesso registro stilistico e ritmo, esponendo la loro instabilità mentale (“Aristocastrophism”, “Give peace a cancer”). Non contenti degli estremismi noise, tendono a raggiungere i lidi dove si sono avventurati gli Arab On Radar in “Carnival corse for servers” e sono ancora più imprevedibili a metà lavoro, dove piazzano “Putiferio goes to war”, un brano di tredici minuti nel quale i quattro si lasciano andare a sperimentazioni varie: free jazz, elettro-pop, dilatazioni psichedeliche e chi più ne ha, più ne metta. “Ate ate ate” dimostra che, per fortuna, nel sottobosco italiano brulica ancora molta insofferenza all’appiattimento e al rincoglionimento di massa. www.myspace.com/putiferio Vittorio Lannutti

Tu x e d o m o o n Vapour Trails (Crammed Discs)

Il primo premio per la band meno cool del momento in assoluto, è da assegnare Va p o u r Tr a i l s ”, ai Tu x e d o m o o n . “V quattordicesimo album in studio del gruppo, presenta pochissimi elementi accattivanti, estetici come di contenuto. E l’apparenza, oggi più di ieri, purtroppo è un elemento essenziale. I polistrumentisti B l a i n e L . R e i n i n g e r, S t e v e n B r o w n e Pe t e r P r i n c i p l e festeggiano i primi trent’anni di attività artistica e lo fanno, in ogni caso, alla loro maniera. Si defini-


Stoop Stoopid monkeys in the house (Prismopaco) Questa band di Reggio Emilia è una vecchia conoscenza di Freakout. Abbiamo avuto la fortuna di conoscerli attraverso le selezioni di “Destinazione Neapolis” per il Neapolis Festival di qualche anno fa, e da allora non abbiamo mai smesso di considerarli come una splendida realtà del sottobosco musicale italico, di quelle che meriterebbero di essere conosciute da un pubblico ben più vasto di quello dei semplici “addetti ai lavori”. Ora arrivano finalmente al disco d’esordio (per la piccola indipendente P r i s m o p a c o), che non fa che confermare quanto di buono questi ragazzi avevano lasciato intravedere con le performance live e le prime demo auto-prodotte. Un disco in cui convogliano molteplici influenze, rielaborate con consapevolezza e padronanza. Tredici canzoni arrangiate con cura, solidamente ancorate su strutture melodiche accattivanti, a presa rapida. “Fire on my cheap sunburn” ricorda i R.E.M. più elettrici ed ispirati; nella malinconica “Sleeping awake” spuntano una chitarra in levare, una slide ed una tromba ad evocare paesaggi torridi, da spaghetti-western; ascoltando la scoppiettante “Honeymoon” si saltella tra il migliore indie-rock evoluto (quello di gente come dEUS e Shins, ad esempio) e spunti beatlesiani; il riff di “Chupacabas & Fries” sembra preso in prestito dai Jon Spencer Blues Explosion, ma poi nel brano spunta fuori un vibrafono ad ammorbidire i toni; “Fixing your head”, fantastica, è un piccolo capolavoro pop, come se gli Stooges fossero invi-

tati ad un surf-party a casa di qualche college-band americana. “Garbage in space” è semplicemente una delle più belle ballad ascoltate negli ultimi tempi, tra la mestizia di “By this river” di Brian Eno e certe atmosfere alt-folk a stelle e strisce; “Atlantico” mescola bossa-nova sintetica, chitarre sognanti ed una voce da crooner tenebroso; in “Drum up” e “Move on up” i ragazzi cacciano i muscoli, tra riff hard-rock e umori seventies, mentre in “Hovercraft” suonano sbilenchi e bluesy come i migliori Gomez. I rimandi, i riferimenti ad altre band, come si evince anche da questa recensione (in cui credo di aver battuto il mio personale record di “accostamenti” ad altri gruppi), ci sono. Ma si tratta di un citazionismo colto e mai “invadente”. Alla base di questo disco ci sono comunque idee chiare, ottime capacità compositive e notevole padronanza tecnica. Ma soprattutto, buone canzoni. I riferimenti colti, senza questi altri elementi, servirebbero a poco o niente. Quindi complimenti agli Stoop, capaci di confezionare un lavoro davvero notevole. www.myspace.com/stoopmusic Daniele Lama Langhorne Slim st (Kemado Records)

Se avete avuto la fortuna di imbattervi in uno dei suoi concerti, sapete bene quale energia è capace di sprigionare L a n g h o r n e S l i m, con quale intensità interpreta le sue canzoni d’amore agrodolci. L’incredibile vitalità dei suoi concerti la ritroviamo tutta - per fortuna nelle tracce del suo ultimo disco. C’è solo un po’ di sudore in meno e qualche strumento in più. Il ragazzo - nato a Philadelphia ma trasferitosi presto a New York in cerca di avventura - mescola folk ruspante e umori blues, sapori tradizionali (spunta fuori anche qualche richiamo al folk irlandese...come in “Spinning Compass”) e piglio quasi punk, sfodera ballate memorabili (“Colette”, stupenda!) e canzoni che sembrano tessere un filo invisibile tra il Bob Dylan più acido e i Velvet Underground (“Hello Sunshine”). Sa essere straziante e malinconico (“Diamonds and Gold”), subito dopo lanciarsi in graffianti rock’n’roll (“The Honeymoon”), per poi tornare sulle tracce di Dylan (questa volta quello acustico) in brani come “Oh Honey”, o accarezzare le nostre orecchie con la swingante “Worries” (piano da cafè d’altri tempi e batteria suonata con le spazzole...). Bellissimo lavoro, a conferma di un talento prezioso. Speriamo solo che il disco sia più facile da reperire nei negozi, rispetto al precedente… www.myspace.com/langhorneslim Daniele Lama

T h re e S e c o n d Kiss Long distance (Africantape)

E così il trio di stanza a Bologna è riuscito per l’ennesima volta a quadrare il cerchio con un cd impeccabile e perfettamente dentro il filone post rock; con lo stesso diritto dei grandi nomi del genere nato in quel di Chicago. In effetti i T h re e S e c o n d K i s s sono una delle realtà italiane maggiormente affermate all’estero, tanto che mi arrogo il diritto di definirli, insieme agli Uzeda, la PFM degli anni 2000. “LL o n g d i s t a n c e” è stato registrato lo scorso luglio presso il Red House di Senigallia (An), con, ancora, S t e v e A l b i n i in cabina di regia, data la loro amicizia cementatasi da tempo, tanto che quando gli Shellac vengono in Italia, i TSK fanno sempre ‘da spalla’ al trio guidato da Mr. Albini. Come sempre i tre bolognesi hanno il dono dell’essenzialità, mantenendo quindi l’approccio punk, dato che i nove brani si allungano in poco più di trentatre minuti. Niente fronzoli, ma tante idee, senza barocchismi, essenzialità ed immediatezza. Tuttavia, il sound non manca di complessità, cresciuta sicuramente nell’ultimo anno e mezzo, vale a dire da quando il batterista storico, per motivi di famiglia ha deciso di abbandonare i suoi due amici, ed è stato sostituito dal ben più giovane S a s h a T i l o t t a (figlio di Agostino e Giovanna Cacciola degli Uzeda). Tilotta ha portato una ventata di novità, grazie ad una maggiore irruenza ed i suoni si sono fatti meno geometrici, ma più spezzettati. Le spigolature, infatti, sono aumentate di parecchio, grazie al suono in decomposizione (“V season”) o ai ritmi sincopati con i rallentamenti e le ripartenze spezzettate (“I’m a wind”). Il brano che si distingue da tutti è sicuramente “This building is loud”, che parte classicamente post rock, per poi cambiare registro stilistico e la chitarra di Carlini prende la direzione di un bolgie blues stravolto, perverso e pervaso dalle mille possibilità musicali che Chicago può offrire. Già, perché questo cd sembra prodotto da un gruppo dell’Illinois, data la purezza del sound prodotto; ascoltate con attenzione “Taures”, nel quale vengono rispettati perfettamente tutti i crismi del genere, senza sbavature, la chitarra fa i suoi giri circolari, basso e batteria danno il ritmo che rallenta e riparte senza accelerare, improvvisamente, oppure “Inexorable sky” dove ritroviamo la loro più grande ed intrigante caratteristica, almeno per il sottoscritto, vale a dire quella di riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra l’esplosione e la tensione, mantenendo il sound contrito e sempre vivo, come fuoco sotto la cenere che sai che c’è e che quindi devi stare attento che non provochi un incendio.

Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo lavoro da recensire, ma a differenza di quasi tutte le altre volte, quando è giunto il pacco, mi sono sentito come un ragazzino, che ha appena comprato il suo primo disco di rock; sì, l’emozione era tanta e l’aspettativa è stata pienamente rispettata. www.threesecondkiss.org Vittorio Lannutti We A r e S c i e n t i s t s Brain Thrust Mastery (Virgin) Ora che il recente fenomeno di rivisitazione degli anni 80 pare vada a scemare, con la fine dell’effetto moda già sappiamo che resteranno in circolazione soltanto le band che davvero hanno qualcosa da dire, e questo gruppo dal nome così strano, con buone probabilità, potrà mettere in mostra ancora a lungo la maturità e la sicurezza appena raggiunte, dopo una gavetta iniziale, per quanto da un punto di vista musicale e compositivo, di novità, qui non ce ne siano. W e a r e S c i e n t i s t s, formati da Keith Murray e Chris Cain, sono stati finora tra le seconde linee, che negli ultimi anni hanno inseguito, più o meno da lontano, Editors, Interpol, Muse e Franz Ferdinand, con una combinazione di wave anni 80 e brit pop anni 90, malgrado essi siano newyorkesi; toni romantici e drammatici dunque, ma su ritmiche sostenute, spesso ballabili, cori a due voci e soprattutto strati su strati di chitarre elettriche, secondo una logica d’arrangiamento che – tipico anni 80 – riempie tutto lo spazio sonoro creando una certa ansia, uno struggimento, e dove c’è la possibilità, si insinua il synth, come fosse una sezione d’archi, a rifinire il lavoro gonfiando ancor più il suono. Come dire: l’elettricità ci salverà, o ci seppellirà! Ondate di suono teso e nichilista in stile Depeche Mode, esistenzialismo a piene mani di marca Smiths, e poi energia compressa, atteggiamento saccente, convinto, come nello storico primo CD degli Stone Roses; ma We are Scientists provano, osano, qua e là, ad andare oltre, e la quasi ballata conclusiva “That’s what Count”, con sax e tastiere, lascia intendere che il duo – rimasto tale dopo l’abbandono del batterista, l’anno scorso – ha voglia di misurarsi col soul, interessandosi a tutto, ma proprio tutto, degli anni 80, anche ai Duran Duran, ormai completamente rivalutati a tutti i livelli, prossimi al culto, come forse è giusto che sia. “Brain Thrust Mastery” è dunque convincente, con un paio di discreti singoli, per giunta, tra i quali ‘Chick Lit’, con un improbabile videoclip ambientato nel Far West, che forse avrete visto in questi mesi su Mtv. http://www.wearescientists.com/ Fausto Turi

recensioni

scono viaggiatori, e stavolta approdano ad Atene, in Grecia, in uno studio con bella vista sull’acropoli, cantano in inglese, italiano, spagnolo e greco una loro personalissima forma di rock da camera, che però segue direzioni diverse, come un collage di tanti pezzi non sempre omogenei, che una volta uniti formano un’immagine coerente stilisticamente. Il trio originario di San Francisco, è inutile dirlo, accantona, di fatto, e forse definitivamente, la wave decadente degli esordi di “Scream with a View”, e “Half Mute”, oggi il format proposto è certamente più vicino agli ultimi “Cabin in the Sky” e “Bardo Hotel”, anche se è obbligatorio dire che la band ha sempre una concezione della musica molto aperta, che fa dell’accademica una risorsa al servizio delle idee. Così arrivano brani intrisi di una geniale imprevedibilità, possono essere Jazz-Rock, forme più o meno pop, cavalcate sperimentali, quel che davvero resta è il “tocco” un po’ magico di una band che non si è data mai confini né geografici né stilistici. www.tuxedomoon.org Luigi Ferrara

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live report 12

N I C K C AV E & T H E BA D S E E D S Roma, Teatro Tendastrisce 1 giugno 2008 di Fa b i o A s t o re

Non posso rendervi conto di E d Ku e p p e r & Je f f re y We g n e r che concludevano il loro opening-act mentre mi affrettavo a raggiungere il teatro tenda, se non che da lontano mi sembrava di scorgere qualcosa tipo gli E c h o & t h e B u n n y m e n. N i c k C a v e e i Semi Cattivi fanno il loro ingresso con passo deciso alle 22 e attaccano in sordina con le atmosfere stranianti di N i g h t o f t h e l o t u s e a t e rs , poi il tormentone barcollante D i g, L a z a r u s D i g ! chiarisce che il sound targato B a d S e e d s, di questi tempi non indulge e non perdona. Aggressività a tutti i costi, baldanza se non teppismo - punk-blues à la B i r t h d a y Pa r t y di chitarre in distorsione, cui lo stesso Cave (un anziano analfabeta) e E l l i s (un rocker improbaile) si relegano, o meglio si declassano, al ruolo di scavezzacolli, a discapito rispettivamente del piano e del violino. S a v a g e e le sue tastiere soccombono nella tregenda delle chitarre, mentre la ritmica è un motore che non tradisce: il basso monumentale di C a s e y – a volte cuore, stomaco e cervello insieme - incastrato tra le percussioni e i tamburi degli intercambiabili W y d l e r e S c l a v u n o s. Ad H a r v e y, professionista senza eguali, misurato come sempre, qualsiasi cosa suoni, tocca il ruolo dell’acqua santa, l’opera pia di bilanciare gli eccessi, e ce ne vuole di pazienza. Ciò nondimeno, il concerto scivola via apprezzabile e il canzoniere è come sempre generoso nel dispensare pagine di storia e “mitologia”: Tu p e l o a E l v i s, in versione Re-Bestia, la morriconiana R e d r i g h t h a n d al M i l t o n de I l p a ra d i s o p e rd u t o, la superba N o b o d y ’s b a b y n o w alla divinità bifronte Amore-Morte, T h e m e rc y s e a t alla barbarie della condanna a morte dal punto di vista del condannato, reo o innocente che fosse. Ma veniamo al doppio orgasmo: il rock ‘n roll sgraziato di D e a n n a fa resuscitare e invasare i morti, e l’incendiaria Pa p a w o n ’ t l e a v e y o u H e n r y - sicuramente il punto più alto – vorremmo non finisse mai, a seguito della quale Cave si fotte il vocione, ma tiene botta con mestiere e da grande bluesman qual è. Dell’ultimo lavoro non sfigurano le arrembanti L i e d o w n h e re & b e m y g i r l e M i d n i g h t m a n, si distinguono la verbosa We c a l l u p o n t h e a u t h o r e la sinuosa M o o n l a n d. È il solito Cave disponibile ed esuberante, che punta il suo indice accusatore (e la sua ombra giganteggia alla sinistra del palco), ammicca, sorride, scherza e fa le pose davanti a centinaia di obiettivi, mentre la “sicurezza” decide che

è venuto il momento di impedire gli scatti minacciando il sequestro coatto degli apparecchi (in particolare quelli più vistosi), cercando, in altre parole, di svuotare un oceano con il secchio e coprendosi, come sempre ovunque, di ridicolo. Intanto sul palco arriva di tutto e R e I n c h i o s t ro tutto indossa allegramente: una maglia, un polsino (fingendo di infilarlo nel posto sbagliato), un orologio (!), una scarpa col tacco che finisce vistosamente nei pantaloni; duetta e ingaggia turpiloqui con la gente a colpi di motherfucker, tra le risate generali. Si riprende col blues del macello fin giù ai piedi: G e t re a d y f o r l o v e e T h e l y re o f O r p h e u s, col gospel “O mamma” che spetta al pubblico per usucapione. Da Yo u r f u n e ra l , m y t r i a l viene ripescata a sorpresa H a rd o n f o r l o v e, da H e n r y ’s d re a m una S t ra i g h t t o y o u buona come le fragole. Il finale è un sexyblues per il Fottuto Bastardo S t a g g e r L e e, eroe del folclore nero, che scopa e ammazza con altrettanto piacere. Venti pezzi per oltre due ore e tutti vissero felici e contenti. Sotto i baffoni e i barboni luciferini, Cave e il suo degno compare Ellis se la ridono - giacchè la svolta grind è riconducibile a questa comunella - ma resta il fatto che suonando così, i B a d S e e d s ridimensionano notevolmente l’Arte e la Bellezza di cui sono capaci. E questo è un bluff che non può durare a lungo. M OTO R P S Y C H O Rimini, Velvet 24 maggio 2008 di V i t t o r i o L a n n u t t i Per la dodicesima volta al Velvet di Rimini la portentosa macchina rock norvegese ha strabiliato il folto pubblico con un concerto di due ore e tre quarti. Il trio norvegese non si è risparmiato, regalando, con assoluta generosità, uno show, come è nel loro stile, variegato e di grande impatto, nel quale hanno dimostrato di essere dei grandissimi professionisti, dato che senza spocchia hanno mostrato la loro efficientissima tecnica, con tanto calore e coinvolgendosi con il pubblico, cui hanno regalato tutte le loro perle migliori. Alle 22.55 il trio ha cominciato con una veloce implosione, che ha dato il là ad un’esplosiva N o e v i l” e questa fa già capire in che “N direzione vogliono andare i tre scandinavi. Da “BB l a c k h o l e / b l a c k c a v a s ” i M o t o r p s y c h o propinano anche l’acida “KK i l l d e v i l h i l l s” e “SS a i l o n”, quindi, H e y j a n e”, è arrivata l’ora del loro dopo “H ultimo lavoro “LL i t t l e l u c i d m o m e n t s”, che viene riprodotto interamente con tutte le particolarità psichedeliche, nelle quali sono spiccate le doti di Ryan. Terminato il viaggio nei vari stati di coscienza, i tre scandinavi hanno cominciato a dare ritmo e la temperatura del Velvet è salita grazie a “SS i n f u l w i n d - b o r n e”, “Drug thing”, ammaliandoci con le struggenti “Feel” e W a t e r s o u n d ” suonate da Ryan e “W Saether, il primo con l’elettroacustica ed il secondo con l’elettrica. Il bassista ha abbandonato solo per questi brani il suo fidato e rombante strumento. Dopo poco più di due ore i tre hanno salutato, per ripresentarsi pochi minuti dopo per il primo dei due bis, attaccando con una N o t h i n g t o s a y” piuttosto rabbiosa, “N

seguita da un’aggressiva “TT h e o n e w h o w e n t a w a y”. Il finale, invece, è affidato Vo r t e x s u r f e r”, nella ad una roboante “V quale il pubblico è stato particolarmente partecipe, anche se non si è risparmiato, soprattutto nella seconda parte del concerto, grazie al feeling imprescindibile che si è instaurato con il trio e gestito prevalentemente da Saether. Dopo un concerto come questo è più facile riappacificarsi con il mondo, nonostante le brutture sociali che stiamo vivendo. E I N S T Ü R Z E N D E N E U BA U T E N Napoli, Teatro Mediterraneo 11 aprile 2008 di Fa b i o A s t o re foto di C o r ra d o C o s t e t t i Alle 22 e 30 il Teatro Mediterraneo è già ormai gremito in ogni ordine di posti, le aspettative sono alte e un boato liberatorio saluta la band all’ingresso verso il palco, un vero e proprio cantiere edile. I sei E i n s t ü r z e n d e N e u b a u t e n attaccano con D i e We l l e n, carica di potenziale collerico, tesa e implosa, dal loro ultimo lavoro, A l l e s W i e d e r O f f e n, che viene eseguito quasi integralmente. Diciamolo subito: chi aspetta Feurio, Armenia o Halber Mensh ha sbagliato concerto, ma vale la pena chiarire per il prosieguo, che l’approdo – da Tabula Rasa, in poi – alla forma canzone, si è rivelato una svolta necessaria e coraggiosa, che oggi trova una sintesi magistrale per tecnica e pathos, fermo restando una raffinatezza estranea al livore espressionistico degli ‘80. Detto questo, i tedeschi non mostrano segni di cedimento, né punti deboli, né tantomeno autocompiacimento, come spesso si legge sulle riviste specializzate (e francamente non si capisce il motivo).

le presentazioni. I tubi idraulici percossi da Moser, come uno xilofono, caratterizzano, dopo due ore di concerto, la conclusiva, elegiaca Yo u m e & M e y o u. Pubblico in piedi e giù il cappello per salutare l’Arte Percussiva degli EN e le loro storie per niente ortodosse tra il musicista (artigiano), gli strumenti (arnesi) e la loro materia (plastica e metalli), che oltre ad avere un evidente impatto sonoro, hanno un evidente impatto visivo, e per questo le “canzoni” c’entrano fino a un certo punto. Un conto è ascoltare, ma ben altra cosa è vedere e ascoltare gli EN, e a questo proposito vale la pena ricordare a tutti che non è ancora nata la macchina elettronica che riesca a riprodurre quel che gli EN creano sul palco, sebbene in Germania si smanetti con perizia. Anche il basso possente e radicale di Hacke, e spesso la chitarra di A r b e i t – se si eccettuano le decorazioni dell’e-bow – hanno una funzione prevalentemente percussiva, che presenta due caratteristiche fondamentali: precisione e cadenza. Dunque, non dei suoni casuali, ma quei suoni, scelti tra mille altri possibili. B l i x a B a rg e l d è il folle orchestratore - coi suoi ampi gesti, la maschera grottesca e il sibilo “vetricida” - e insieme il dittatore (di Chaplin), quando mima la marcia oppure scuote il capo e discute risentito coi colleghi, se le cose non filano - è per questo che riparte Nagorny Karabach - con la precisione dovuta. E cioè, la produzione di suoni (rumori), distinti e cadenzati, che giri a incastro, secondo le meccaniche di un ingranaggio perfetto: quello industriale, metafora e equivalenza della Macchina. Sarà pur vero che siamo in un’era post-industriale (intanto provate a spiegarlo ai cinesi, agli indiani o a George W. Bush), ma la musica degli EN è ancora danza dell’Apocalisse, solo più sinuosa, atto del demolire come esorcismo collettivo, corrispondenza assoluta tra forma e contenuto, fiamma ossidrica che sigilla le angosce. E trapano che avvita e inchioda l’uomo (post)moderno alle sue responsabilità. RADIOHEAD Milano, Arena Civica 17 giugno 2008 di F ra n c e s c o Po s t i g l i o n e

N a g o r n y K a ra b a c h, speziata dall’e-bow di J o c h e n A r b e i t e dalle spazzole (su cote rotante) di R u d i M o s e r, è uno stupendo esempio di quella sintesi di cui sopra. L e t ’s d o i t a d a d a deflagra tra proclami surrealisti e apoteosi percussiva, ammiccando alla disco-wave continentale, sorretta dal synth di A s h We d n e d a y. We i l We i l We i l è la nuova catena di montaggio targata EN. Una pioggia metallica di tubi di alluminio intrappolati e liberati da N. U. Unruh cadono a intervalli sul crescendo di U n v o l l s t a e n d i g ke i t. Poi è la volta della plumbea Ta g e l a n g We i s s, tratta da Grundstuck (disco “fantasma” del 2005), con Moser alle tablas, e delle aperture di Vo n We g e n. Quindi tocca al passato prossimo di S i l e n c e i s s e x y: Sabrina smorza i toni e D i e B e f i n d l i c h ke i t li riaccende. Si ritorna ad AWO con gli archi simulati di S u s e j e I c h Wa r t e, in cui A l e x a n d e r H a c ke manda in loop un ukulele e il padrone di casa fa

Ben due date ci sono volute per esaurire le richieste elevatissime per il tour dei R a d i o h e a d che ha toccato l’Italia a Milano (come al solito) il 17 e 18 giugno. Sì avete letto bene: una delle due date, quella aggiunta per esaudire le richieste, è andata proprio in contemporanea con la partita dell’Italia. Ma non sembra che la serata ne abbia risentito: il pubblico c’era, nonostante la pioggia insistente, e il pubblico dei Radiohead non è tipo da campionati europei. Sorprende ancora infatti che un gruppo come i Radiohead, dalla musica così “difficile” possa essere di nicchia e contemporaneamente così seguito da essere una delle band più amate e famose del pianeta: questo probabilmente è ciò che li rende unici, come è unica la loro musica, che alterna pezzi davvero per palati fini ed esigenti a ballate melodiose (soprattutto la produzione vecchia) ancora e per sempre nel cuore di tutti i fan. I Radiohead non li hanno delusi nemmeno


“Radiohead”.Il segreto del successo di questo gruppo che non ama Mtv, televisione, pubblicità, case discografiche e lo star system? Forse è tutto nel tipo di musica che questo concerto ha offerto: un’alternanza unica più che rara di elettronica pura alla Brian Eno con ballate acustiche e melodie semplicissime di chitarra e pianoforte. Se qualcuno ne dubitava ancora, i Radiohead hanno dimostrato a Milano di essere unici nel loro genere. Diffidare dalle imitazioni. O F F L AG A D I S C O PA X Napoli, Cortile del Maschio Angioino 16 maggio 2008 di Fa b i o A s t o re Presentarsi sul palco alle 23 senza motivi apparentemente giustificabili (non c’era nessuno di spalla), vuol dire andare incontro a una solenne cazziata che puntualmente arriva da un tipo adiratissimo, pur essendo gli O f f l a g a D i s c o Pa x e pur contando sul pubblico amico, nel senso di

fazioso, nel senso di sinistra, di quelli (molti) che hanno disertato le urne. Sarebbe interessante confrontare il risultato elettorale della sinistra con i testi di M a x C o l l i n i, ma non è questa la sede opportuna. Tuttavia non si può parlare degli Offlaga e di un loro concerto “senza politicizzare il referente” - come diceva Baraka – né tantomeno il loro seguito. Sfilano così, su un impianto p o s t - p u n k , i ritratti a uomini e cose di S o c i a l i s m o t a s c a b i l e: K a p p l e r, il professore conservatore, il commesso stronzo di To n o m e t a l l i c o s t a n d a rd , la piazza di un piccolo paese romagnolo intitolata a Lenin in P i c c o l a P i e t ro b u rg o, contrapposta alla Praga ripulita dal comunismo di Ta t r a n k y , il Bignami fine ’70 di R o b e s p i e r re . E quelli del nuovo, più meditabondo, B a c h e l i t e: l’eroismo dello sport sovietico in Ve n t ra l e, la giovane ragazza tossica di periferia in C i o c c o l a t o I . A . C. P., S u p e rc h i o m e su una tipa che “parla spesso di niente ma con piglio personale”, L u n g i m i ra n z a “quando il partito faceva il partito”, il piccolo eroico atto di rubare la propria macchina sotto H o r u b a t o u n a G o l f), la sequestro (H sorda e ottusa solitudine di Ve n t i m i n u t i. Molti passaggi della prosa di Collini, cui non difettano ironia e sarcasmo, sono sottolineati da applausi scroscianti e spontanei come quando in S e n s i b i l e le parole di sdegno verso lo stragismo di stato ad opera della destra neofascista diventano macigni sulla coscienza di tutti, oltre che dei diretti interessati (la Mambro

e Fioravanti), se mai avessero costoro uno straccio di coscienza. Questo mood contribuisce a trasformare il concerto in happening e la partecipazione ben più diretta che di un loro disco, in cui il rapporto con l’ascoltatore si allenta per via di suoni chirurgici sintetizzati (EE n r i c o F o n t a n e l l i, anche al basso) che coprono un po’ troppo le ottime chitarre di D a n i e l e G a r re t t i, e del distacco talvolta siderale della voce. Dal vivo il personale amarcord - nel significato romagnolo dell’espressione mutuata dal topos felliniano - di Collini diventa pertanto collettivo, e si fa dramma laddove le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza registrano la dolorosa assenza di un universo che va scomparendo inesorabilmente assieme alla sua toponomastica, lasciando a chi ascolta un antidoto in tempi di revisionismo becero, ma anche magone e sgomento verso un futuro incerto, proprio in virtù dello sconsolante scenario politico odierno. Si fa strada la consapevolezza che anche la memoria, da sola, non basta. Ed è questa mancanza di prospettive forse il peccato più grande degli O f f l a g a e al tempo stesso, per tutti gli orfani dei CCCP, il prezzo da pagare per salire sulla giostra dei ricordi, accompagnati da un’elettronica umanizzata, sommessa e nostalgica, colonna sonora ideale per evocare uno spazio – un socialismo, tascabile e non - che anche quando è condiviso e collettivo è comunque e sempre interiore. Una questione privata.

live report

stavolta: complice il miglior album degli ultimi tempi da loro rilasciato (i precedenti Amnesiac e Hail to the Thief erano davvero troppo “difficili” per un pubblico di massa), il concerto scorre che è una meraviglia, partendo una prima triade tutta di nuove track, 1 5 s t e p s, B o d y s n a t c h e rs e A l l I n e e d, per poi alternare pezzi vecchi come la classica L u c k y o P y ra m i d s o n g a ballate nuove e meravigliose come N u d e e We i rd F i s h e s (splendida esecuzione). A questo punto To m Yo r ke è solo per eseguire un pezzo dal suo album solista, ma poi la band torna per Myxomatosis, l’acusticissima (ed è una rarità negli ultimi Radiohead) Faust Arp, e poi Videotape, eseguita al piano. Il concerto, fin qui bello ma forse un po’ lento, esplode con O p t i m i s t i c, da Kid A, e M y I ro n L u n g, ripescata dal secondo album, per continuare poi con Reckoner, la bellissima e elettronica E v e r y t h i n g i n i t s R i g h t P l a c e, seguita da una di quelle ballate indimenticabili di cui si diceva: Exit music for a film, estratta dall’album tuttora più bello, quell’Ok Computer che decretò il successo del gruppo anni fa.. Si chiude la prima parte con la canzone più rock dell’ultimo album, J i g s a w Fa l l i n g i n t o P l a c e, poi arriviamo ai bis. Il primo è nutritissimo: K a r m a Po l i c e , There There, Climbing up the Walls e Street Spirit (Fade Out) rendono giustizia ai pezzi vecchi, mentre il secondo bis si chiude con You and Whose Army? e una indimenticabile tiratissima I d i o t e q u e, uno dei loro pezzi più belli e più

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intervista

LADYTRON di D a n i e l a L a m a

I

l nuovo album della band di L i v e r p o o l s i c h i a m a “ Ve l o c i f e ro ” , e d è s t a t o p ro d o t t o c o n l ’ a i u t o d i p e rs o n a g g i d i r i l i e v o c o m e A l e s s a n d ro C o r t i n i ( N i n e I n c h N a i l s ) e Vi c a r i o u s B l i s s (EE d B a n g e r R e c o rd s ) . E ’ u n d i s c o t e n d e n z i a l m e n t e c u p o, a t ra t t i a g g re s s i v o, s e p p u r s t ra r i p a n t e d i q u e l l e m e l o d i e a g ro d o l c i i n s a l s a e l e c t ro d i v e n t a t e i l m a rc h i o d i f a b b r i c a d e l l a band, ormai amata da svariate migliaia di fan in ogni parte del g l o b o. A b b i a m o c o n t a t t a t o D a n i e l H u n t d u ra n t e u n o d e g l i i n t e r m i n a b i l i v i a g g i n e l t o u rb u s c h e l o t ra s p o r t a – a s s i e m e agli altri componenti dei L a d y t r o n , M i r a A r o y o, H e l e n M a r n i e e R e u b e n Wu - d a u n a t a p p a a l l ’ a l t ra d e l l o ro i n t e r m i n a b i l e t o u r a m e r i c a n o.

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I l n u o v o a l b u m s i a p re c o n u n b r a n o, “ B l a c k C a t ” , c a n t a t o n e l l a l i n g u a m a d re d i M i ra , i l B u l g a ro , c h e c re a u n a s o r t a d i a t m o s f e ra m i s t e r i o s a , i n q u a l che modo “esotica”: è qualcosa c h e a v e t e r i c e rc a t o, v o l u t o ? Si, potrebbe avere quel tipo di effetto sull’ascoltatore, ma non è qualcosa di pre-meditato. Quando creiamo la nostra musica non pensiamo mai all’effetto che potrà avere sull’ascoltatore. Ciò che realmente cerchiamo di ottenere è qualcosa che abbia un effetto su di noi, dal punto di vista emozionale. Se ciò accade, allora significa che il pezzo funziona. L a collaborazione con Alessandro Cortini ha contribuito a re nd e re i l s u o n o d i “ Ve l o c i f e ro ” p i ù a g g re s sivo? In verità non è proprio così. E’ inevitabile che quando lavori con qualcuno che ha una certa reputazione, molte persone tendono ad interpretare in maniera esagerata il suo contributo. Alessandro ha semplicemente aggiunto dei bellissimi tappeti di synth, ma il suono aggressivo in effetti c’era già. E il contributo di Vi c a r i o u s B l i s s, invece? Lui è stato più presente nel lavoro in studio che abbiamo svolto a Parigi, quando le tracce erano ancora indefinite, mentre Ales-

sandro ha lavorato più per conto suo… “ P re d i c t t h e d a y ” h a u n g ro o v e m o l t o a c c a t t i v a n t e, c h e m i r i c o rd a l e p ro d u z i o n i d i Timbaland: l’r’n’b o la black m u s i c i n g e n e ra l e f a n n o p a r t e d e l v o s t ro b a c k g ro u n d m u s i c a le? Certo, ed è interessante che tu sia la prima persona che abbia detto questa cosa riguardo il pezzo in questione. Per noi era assolutamente ovvio, ed è la stessa cosa che ho pensato quando ho sentito le sequenze ritmiche che aveva preparato Reuben per questo pezzo. Spesso le nostre vere influenze restano incomprese. Pe z z i c o m e “ T h e L o v e rs ” s e m b ra n o f a r i n t ra v e d e re u n l a t o p i ù “ ro c k ” d e i L a d y t ro n , o s b a glio? In verità non riesco a considerare niente di quello che facciamo, “rock”. In generale trovo difficoltà a scindere la musica in diversi generi. Per fortuna le “barriere” tra i generi musicali negli ultimi anni stanno crollando come non era mai successo prima, e questa è una cosa positiva, secondo me. Non ci siamo mai soffermati su questo tipo di problemi: se una cosa suona bene, significa che è la cosa giusta. C i d i c i q u a l c o s a r i g u a rd o i l video di “Ghosts”? Ha un a t m o s f e ra u n p o ’ i n q u i e t a n t e, n o n c h é u n a c e r t a c a r i c a s i m b olica, suppongo (penso al lupo e ai conigli che vi compaiono)…. Beh, noi abbiamo chiesto al regista (Joseph Kahn, ndi) qualcosa che assomigliasse a “Christine” (il film

di Carpenter del 1983, ndi), con dei rimandi a “Watership down” (il film di animazione realizzato nel 1978 da Martin Rosen, tratto dall’omonimo libro di Richard Adams, tradotto in italiano “La collina dei conigli”, ndi), visto che una parte del testo della canzone è ispirata a quella storia. In più gli abbiamo detto che ci sarebbe piaciuto girarlo in un’ambientazione desertica. Il video non racconta una storia, semplicemente riprende alcune “immagini” evocate dal testo della canzone. Preferisco i video non-narrativi. E’ la canzone che secondo me dovrebbe costituire la parte narrativa di un video. Il risultato finale del video m’è piaciuto molto. So che siete tutti appassionati di sintetizzatori analogici…c’è qualche synth vintage che ti p i a c e re b b e a g g i u n g e re a l l a t u a c o l l e z i o n e, m a c h e n o n s e i r i u s c i t o a n c o ra a t ro v a re ? Mi piacerebbe avere a casa un moog modulare, o un arp 2600. O forse semplicemente vorrei un synth costruito apposta per me che riempia un’intera stanza. Potrei avere un cucciolo di scimpanzè che ci vive sopra e che lo fa funzionare al posto mio…


Pa r t i a m o d a l p r i n c i p i o. C o m e n a s c e i l t u o a m o re n e i c o n f ro n t i d e i Jo y D i v i s i o n ? M a , s o p r a t t u t t o, è a m o re o o s s e s s i o n e ? La scena punk (e Oi!) e postpunk inglese della fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, ha sempre fatto parte dei miei ascolti. Dai C l a s h ai Fa l l, dagli S t ra n g l e rs ai primi C u re , dai B u z z c o c k s ai C o c k

J OBroken Y DHeart I VRomance ISION di F ra n c e s c o R a i o l a

S p a r re r. E in generale penso di dovere molto alla musica inglese e al suo rumore bianco. I J o y D i v i s i o n, però, mi avevano subito fatto andare oltre, oltre l’ascolto medio. Sono stati uno di quei gruppi da consumarne i vinili o da repeat sul lettore cd. In fondo è così quando ti innamori delle cose, o delle persone. Le consumi. Il lato ossessivo della cosa stava nel fatto che l’atmosfera sonora e le parole, non solo mi piacevano, ma mi turbavano: questa oscurità sorda, questo flirtare con tematiche border line: la perdita del controllo, la morte, il fallimento, la follia umana. C’era una morbosità avvenente, c’è ancora ogni volta che li ascolto. Quello che hai scritto non è un l i b ro f a c i l e, n e l s e n s o c h e è u n

commento ai testi ma non solo; è, infatti, anche lo spunto per s c a v a re n e l l a p s i c h e, o l t re c h e n e l l a v i t a d i C u r t i s. N é m e ra i n t e r p re t a z i o n e d e i t e s t i , q u i n d i , n é b i o g ra f i a s t a n d a rd ( i l s o t t o t i t o l o è “ Te s t i c o m m e n t a t i ” ) . Come nasce e si sviluppa B ro ke n H e a r t R o m a n c e ? Un libro che commenta i testi di un musicista, di un gruppo, non può prescindere, com’è ovvio, da un’analisi del circostante storico, sociale, musicale e personale. Per cui oltre allo spazio specifico dato a ogni singola canzone mi sono servito di capitoli di raccordo sull’ambiente in cui i Joy Division sono cresciuti, sullo svolgersi breve della loro storia, sui circuiti musicali dell’epoca, sui personaggi determinanti nella storia del gruppo (leggi Martin Hannett e Tony Wilson), e di capitoli dedicati agli album nella loro interezza, uno sguardo secondo una prospettiva d’insieme. Il mio intento è stato perlopiù scrivere un libro che si potesse leggere sia in modalità “consultazione”, sia come una storia, nel suo dipanarsi rapido fino alla conclusione di tutta la vicenda. Spero di esserci in qualche modo riuscito. “ Wa rs a w, q u e s t o i n a s c o l t a b i l e, i n v e n d i b i l e, m a i m p re s c i n d i b i l e c i m e l i o ” , s o n o p a ro l e t u e. Fa q u a s i s o r r i d e re , g u a rd a n d o a l r o c k p a t i n a t o d i o g g i , u n a f ra s e d e l g e n e re . Po t re b b e ro e s i s t e re i J D, q u e l l i p i ù e s t re m i , o g g i ? Q u a l è i l g r u p p o, o g g i , c h e s e c o n d o t e n e ra c c o g l i e l ’ e re d i tà (a livello di icona, non solo musicale). Mah, non è semplice rispondere: credo che il “radicalismo” della fine degli anni Settanta, nei contenuti e nelle estetiche, sia irriproducibile, soprattutto perché oggi lo showbiz fagocita con molta più velocità qualsiasi fenomeno verace per rielaborarlo e restituircelo in maniera edulcorata, pronta per soddisfare il mercato, o per crearlo. Sicuramente alcune cose nei testi e nella musica degli Interpol o degli Editors, certa quieta

disperazione in alcuni brani degli Arcade Fire, suonano familiari alle atmosfere e alle parole dei Joy Division, e sono riflessi inevitabili e gradevoli. L a t u a ( n o s t ra ) g e n e ra z i o n e, c h e e ra a p p e n a n a t a q u a n d o i l f e n o m e n o Jo y D i v i s i o n s c o p p i ò , vive quegli anni, post punk, c o m e u n m i t o. C o m e l i d e f i n i re sti? Probabilmente in quegli anni, dalla metà dei Settanta alla metà degli Ottanta, c’era la sensazione che attraverso “la rottura” con il passato anche recente, in ambito musicale, ma anche politico-sociale, le cose potessero cambiare, e di quegli anni il punk è stato l’urlo di rabbia, mentre il postpunk ne ha cantato il dolore delle ferite e gli inni funebri. Sono stati anni culturalmente o, come amiamo dire, controcultural-

mente intensissimi. E la nostra generazione, che ne ha appreso l’importanza, la densità, e la scossa emotiva solo in differita, non può che guardare quel periodo con quel rispetto e quell’amara consapevolezza di essere fuori tempo utile. M a è v e ra l a s t o r i a d e l l a d i p e n d e n z a d a Jo y D i v i s i o n d e l l a t u a m a c c h i n a ? C i ra c c o n t i ? È una di quelle coincidenze che fanno sorridere: in macchina ho un’autoradio con lettore cd, ma da un po’ di tempo a questa parte si rifiuta di leggere qualsiasi cd – originale o masterizzato. L’unico che continua imperterrito a girarci dentro e suonare è Still, il raccoltone del 1981 che contiene inediti e la registrazione dell’ultimo concerto del 2 maggio 1980 alla Birminghan University.

intervista

L’

immaginario di coloro non li hanno vissuti è pieno di miti degli anni che vanno dai 60 agli 80 (con Kurt Cobain facciamo anche inizio 90). Sono miti che tagliano trasversalmente i campi della vita, dall’arte alla politica (sempre che non coincidano). Sono luoghi fisici, della memoria e correnti di pensiero, sono persone in carne ed ossa e note su un pentagramma; discorsi storici e tagli su tela, chitarre sfasciate e rapimenti inspiegabili, sono la dolce vita e gli anni di piombo. M a rc o d i M a rc o, giovane scrittore classe ’76, già conosciuto per alcuni dei suoi racconti inseriti in riviste specializzate e antologie (“Voi siete qui” tanto per citarne una), ha raccontato un “mito”, attraverso la lettura dei suoi testi, oltre che del contesto da cui nascevano, quei testi, cercando però di percorrere una strada quasi opposta, non la mitizzazione ma “un tentativo di disinnescare la mitologia”. Ne è uscito “JJ o y Division. B ro ke n Heart R o m a n c e” (Arcana Edizioni, pp. 317, 18,50euro), un libro border line, che sta a metà tra la semplice interpretazione dei testi e la biografia, analizzando il contesto storicoculturale-sociale. Un libro che racconta una passione consumata fin dall’adolescenza. Perché “in fondo è così quando ti innamori delle cose, o delle persone. Le consumi”.

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cinema

B A C K I N B L AC K

NAZIROCK: il contagio fascista tra i giovani italiani di D a n i e l e L a m a

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Si torna al nero. E non nel senso simil-infernale inteso dai luciferini ma in fondo innocui AC/DC in quel loro splendido settimo disco che citavo nel titolo, purtroppo. In Nazirock (libro+film, pubblicato da Feltrinelli/collana Real Cinema) C l a u d i o L a z z a r o , giornalista di lunga esperienza (ne L’Europeo e nel Corriere della Sera) che da qualche anno ha deciso di cimentarsi nella regia di documentari (“Camice Verdi”, il suo primo lavoro, era sugli attivisti della Lega Nord), esplora il mondo dell’estrema destra, partendo da un “Campo d’Azione” organizzato da Forza Nuova a Viterbo e dalle parole delle band invitate a suonare (gli H o b b i t e i L e g i t t i m a O f f e s a). A Forza Nuova il documentario non è piaciuto, e ha fatto di tutto per evitare che venisse proiettato. Il tentativo di boicottaggio – come prevedibile – ha sortito l’effetto opposto: il film è diventato un caso nazionale… (intervistiamo il regista Claudio Lazzaro – sul nostro sito web trovate la versione “integrale” dell’articolo). Pe rc h é h a i i n d i v i d u a t o n e l ro c k i l p u n t o d i p a r t e n z a p e r l ’ e s p l o ra z i o n e d e l m o n d o d e l l ’ e s t re m a d e s t ra ? Mi sono detto, se c’è espressione artistica, per quanto rudimentale, vuol dire che c’è identità. Allora bisogna capire da dove viene questa identità, da cosa è formata, perché sta crescendo. Naturalmente a me questa cosa fa paura, non ci trovo niente di affascinante. Però devo essere capace di farla vedere, di capire. Prima capire, poi condannare. Altrimenti ottieni l’effetto contrario. Q u a l i s o n o i m e s s a g g i p i ù r i c o r re n t i n e i t e s t i d e i g r u p p i v i c i n i a l l a d e s t ra ra d i c a l e ? A d u n ’ a n a l i s i s u p e r f i c i a l e s e m b ra s i p re d i l i g a l a f o r m a d e l l o “ s l o g a n ” u r l a t o, c o m e m o d a l i t à e s p re s s i v a . E ’ c o s ì ? Si, sono slogan, spesso agitati senza una vera comprensione del loro contenuto, anche in modo irresponsabile.

C ’ è u n a c r i t i c a c h e m i s e n t o d i a v a n z a re a “ N a z i ro c k ” : n o n c re d i c h e i l d o c u m e n t a r i o ( c o n u n t i t o l o c o s ì c h i a ra m e n t e r i f e r i t o a l l a m u s i c a ) f o r n i s c a u n a v i s i o n e m o l t o ( t ro p p o ? ) p a r z i a l e d e l l ’ u n i v e rs o m u s i c a l e i n q u e s t i o n e ? N o n s a re b b e s t a t o i n t e re s s a n t e e s p l o ra re p i ù a f o n d o l e s t r u t t u re , l e re a l t à ( q u a l i s o n o l e e t i c h e t t e c h e p ro d u c o n o q u e s t i g r u p p i ? d o v e s i v e n d o n o i l o ro c d ? d o v e s i e s i b i s c o n o d a l v i v o, c h i o rg a n i z z a i l o ro c o n c e r t i ? ) d i u n a “ s c e n a ” d e l t u t t o s c o n osciuta ai più? Il titolo è solo una bandiera, è una metafora. Chi vuole capire a fondo questo universo musicale si può leggere un saggio di Valerio Marchi, edito da Castelvecchi (“Nazirock. Pop music e destra radicale”). Nel risvolto di copertina che io avevo previsto per il DVD (ma poi Feltrinelli ne ha scelto un altro) si legge: “C’è una musica nuova, che sale dal cuore nero della destra radicale. La suonano i giovani che tifano per Hitler e Mussolini. Anche nella politica italiana c’è una musica nuova: adesso basta un pugno di voti a sdoganare la destra del terrorismo e delle stragi”. Questo è il tema che mi interessa. Molto più della filologia rock. Il film è stato sottoposto a un boicottaggio f e r o c e d a p a r t e d i Fo r z a N u o v a , c h e n e h a o s t a c o l a t o i n o g n i m o d o l a d i f f u s i o n e. C i racconti com’è andata, e se ci sono sviluppi i n c o rs o ? Forza Nuova ha mandato ai cinema che dovevano programmare Nazirock una diffida. “Se tu lo proietti, ti faccio causa, perché il film è diffamatorio”. Non è vero. Il film è molto equilibrato. Lo dice anche Massimo Fini, un intellettuale ascoltato e apprezzato dalle destre. Inoltre, se ci fosse diffamazione, Forza Nuova avrebbe già fatto causa all’Editore Feltrinelli, che distribuisce il film in libreria. In ogni caso gli esercenti cinematografici si sono spaventati, perché sapevano da chi veniva la

diffida. Non si sono spaventati invece quelli che mi invitano ogni giorno in tutta Italia, e ora anche in Europa, a presentare il film, a volte nei cinema che vengono affittati, oppure nelle sedi di associazioni private. Ogni volta trovo dalle cento alle trecento persone, con gente in piedi che vuole fare domande e discutere. I l s o t t o t i t o l o d e l t u o l a v o ro - “ i l c o n t a g i o f a s c i s t a t ra i g i o v a n i i t a l i a n i ” – s e m b ra d ra m m a t i c a m e n t e “ a t t u a l e ” , n e g l i u l t i m i g i o r n i . C re d i c h e i l c l i m a p o l i t i c o a t t u a l e p o s s a f a v o r i re l a d i f f u s i o n e d e l c o n t a g i o ? Credo proprio di sì. La destra estrema viene sdoganata politicamente, viene allo scoperto. Gli stupidi, le teste calde, si sentono legittimati. Ci avevano promesso il poliziotto di quartiere. Rischiamo di trovarci i giustizieri di quartiere, che danno la caccia ai clandestini, ai gay e a quelli col codino.



intervista

S O U LWA X

I l w e e ke n d i n f i n i t o

di Francesco Raiola e Daniele Lama

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rendi i S o u l w a x, uno dei gruppi più cool del pianeta, e portali a suonare sulla spiaggia, in un lido di Licola, sul litorale a nord di Napoli. Succede che te li ritrovi, bocca spalancata come fanciullini al luna park, a dispensare “fucking cool” a destra e manca. E un secondo dopo a correre sulla sabbia, in costume, dopo essersi tuffati – impavidi – a mare. Aspettiamo che si ricompongano per iniziare l’intervista. Seduto sui gradini del bar del lido, più che mai intenzionato a godersi gli ultimi, caldi raggi di sole della giornata, S t e p h e n D a l a w a e re (leader della band, assieme al fratello David, con cui condivide anche il progetto 2 m a n y d j s) ci racconta di com’è nato “PPa r t o f t h e We e ke n d n e v e r D i e s ”, il film-documentario che racconta i loro ultimi due anni di tour, e del recente disco in cui i Soulwax hanno raccolto una serie di remix realizzati per altri. Il disco ha un titolo chilometrico (che Most of the per comodità sintetizzeremo in “M r e m i x e s”), che ne descrive il contenuto. Un disco in cui dichiarano di aver selezionato “alcuni dei remix che abbiamo realizzato nel corso degli anni, eccetto quello per gli Einstürzende Neubauten perché l’abbiamo perso, ed alcuni altri che non pensavamo suonassero abbastanza bene (...).

Alcuni li abbiamo fatti gratis. Alcuni solo per noi stessi, senza permessi, e alcuni come scambio di favori per dei nostri amici...”. Qualche ora dopo la spiaggia si trasforma in un infuocato dancefloor. Il weekend è appena iniziato e vorresti non finisse mai. Q u a n d o a v e t e s e n t i t o i l b i s o g n o d i g i ra re u n f i l m e, s o p ra t t u t t o, q u a l è l a ra g i o n e p r i n c i p a l e c h e c ’ è d i e t ro q u e s t a s c e l t a ? La casa discografica ci ha chiesto se volevamo portarci in tour qualcuno che avesse potuto filmare qualunque cosa facessimo, per documentare i nostri ultimi due anni passati in tour. Questa era l’idea principale, e abbiamo suggerito che fosse Saam Farahmand a dirigere il film, perché è un amico, ed amiamo come lavora. E, due anni dopo, eccoci qui a presentarlo in giro per il mondo. C ’ e ra u n ’ i d e a p re c i s a p r i m a d i c o m i n c i a re a g i ra re ? Non avevamo un’idea precisa, volevamo solo che chi filmasse avesse gusti simili ai nostri, ed ecco perché abbiamo scelto Saam. D a c o s a n a s c e l ’ i d e a d i u t i l i z z a re u n a s o l a t e l e c a m e ra ? È u n a i d e a v o s t ra ? All’inizio Saam aveva provato a venire in tour con alcuni ragazzi e cameramen, una vera e propria troupe, ma non funzionava, preferivamo avere una sola camera che ci seguisse. Pa r l i a m o d i “ M o s t o f t h e r e m i x e s … ” . C ’ è una domanda che devo assolutamente f a r v i . C o s a è s u c c e s s o c o n i l re m i x d e g l i E i n s t ü r z e n d e N e u b a u t e n ? C o m e s i è p e rs o ?

Non so come sia successo, semplicemente non sapevamo dove fosse finito. Quando il cd era terminato, qualcuno in casa discografica l’ha ritrovato, e l’abbiamo messo nell’album come traccia nascosta, all’inizio del disco. E’ la “traccia zero” del CD, quando lo metti nel lettore, devi tornare indietro. Q u a l i p e n s a t e s i a n o i re m i x c h e n o n s u o n a v a n o b e n e ? Non c’erano pezzi che non suonavano bene, solo alcuni che non venivano bene remixati. Ne abbiamo fatto uno molto bello per una band messicana che si chiama Moderatto, ma non è nel cd dei remix, o una per un’altra band belga, i dEUS, solo che…ehm…non andava bene (si distrae per osservare una bella fanciulla in shorts neri, ndi). Q u a l i s o n o, i n v e c e, q u e l l i f a t t i g ra t i s o s e n z a p e r m e s s o ? Senza permesso…ehm…ne abbiamo fatto uno di Human Resource vs 808 State, “Dominator”…lo abbiamo fatto semplicemente per noi perché ci piaceva…Gratis abbiamo fatto quello per Playgroup, altri… beh, ne abbiamo fatti molti gratis: Ladytron, DJ Shadow, e tanti altri. Spesso lo facciamo perché sono amici, come nel caso di DJ Shadow. E quante volte accade che rifiutiate un r e m i x ? Praticamente sempre. Almeno il 98 percento delle volte. Abbiamo moltissime offerte e materialmente non abbiamo abbastanza tempo a disposizione. Sai, quando suoni live con la band… E’ un peccato, perché spesso ci chiedono di remixare anche pezzi che ci piacciono! Pensa che ora abbiamo un paio di tracce fantastiche, ma non sappiamo quando lavorarci! Av e t e m a i a v u t o u n a r i c h i e s t a d i re m i x , c o m e d i re , s t ra n a ? Anche questo capita sempre. Pensa che ci chiedono di essere remixate anche band di ragazzi delle scuole, e non è carino dire no!. C’erano anche un


intervista

sacco di ragazze interessanti ma…(ride, ndi). C o s a d e v e a s p e t t a rs i l a g e n t e d a l v o s t ro l i v e ? Penso che ciò che facciamo sia semplicemente far ballare la gente, sia nelle nostre performance come dj, sia con la band live “tradizionale”, che con la “Nite Versions”, e penso che quando suoniamo live, suonando dal vivo alcuni dei nostri remixes, facciamo qualcosa che non tutte le altre band fanno: suonarli dal vivo, con una vera batteria, è un lavoro duro! Voglio che la gente che venga passi una bella serata, che si guardi intorno e dica “Cazzo, sono on stage, non solo dj’s, vorrei che capissero che il rapporto tra il fare il dj e il suonare dal vivo è cambiato un bel po’. Q u a l è l a m u s i c a c o n c u i s i e t e c re s c i u t i ? Mio padre era un dj, quindi siamo cresciuti con tantissimi dischi in casa. Andavamo a vedere un sacco di concerti, abbiamo vissuto circondati da band…tutte cose che sono state grande fonte d’ispirazione per noi. Qualche nome? Beh, i miei ascoltavano Steely Dan, Led Zeppelin, Tom Waits, questi erano quelli che giravano più spesso a casa mia. C o m e è l a s c e n a b e l g a ? Penso che fino a quattro, cinque anni fa c’erano un bel po’ di cose interessanti che stavano venendo fuori, ma al momento mi sembra che il fermento sia un po’ scemato. Si è virato più verso il pop: credo che oggi molti musicisti mirino solo a diventare popstar, famosi, cercando di fare qualcosa di commerciale a tutti i costi. Ci sono un paio di cose molto hard, molto estreme. Penso che il problema sia anche un’esterofilia troppo diffusa, che fa passare in secondo piano le belle realtà artistiche all’interno del Paese. Q u a l i s o n o l e p a r t i d e l w e e ke n d c h e n o n m u o i o n o m a i (P a r t o f t h e w e e k e n d n e v e r d i e s)? In questi ultimi tre anni, per noi è come se fosse sempre weekend. Due giorni fa, era mercoledì, abbiamo suonato a Zurigo, e c’erano migliaia di ragazzi impazziti, e noi pensavamo “è mercoledì, domani devono andare a scuola, o a lavoro”, ma la gente sembrava avesse molta voglia di far festa, e divertirsi. E’ stato fantastico!

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the Story

C

hi si aspettava che una piccola etichetta come la S u b Po p arrivasse a compiere 20 anni? La label di band straordinarie come Nirvana, Soundgarden e Mudhoney. Band i cui membri, all’occorrenza, indossavano camicie di flanella. Ve lo ricordate il grunge? Mentre buona parte dell’industria musicale ha tentato disperatamente di rallentare il declino delle vendite, Sub Pop ha continuato a diffondere musica lavorando con modelli di business non convenzionali. Furono i Soundgarden a far avvicinare i fondatori della Sub Pop, B r u c e Pa v i t t e J o n a t h a n Po n e m a n, a Seattle nel 1987. Poneman era promoter e DJ della stazione radio pubblica KCMU, Pavitt portava scritta in faccia la sua passione per il rock ed il punk del nord est del paese. Dice di lui M a r k A r m, cantante e chitarrista di Mudhoney, Green River e Monkeywrench: “Aveva sempre qualcosa sulla punta della lingua che lo rendeva entusiasta”. A quel punto, Pavitt aveva già utilizzato il nome Sub Pop per alcuni progetti: una fanzine con cassette allegate, il suo programma su KCMU e una rubrica sulla rivista musicale locale The Rocket. Aveva anche fatto uscire un album chiamato Sub Pop 100 che includeva indie band come S o n i c Yo u t h ma anche punk band come Wipers e U-Men. Quando Poneman si offrì di finanziare Screaming Life dei Soundgarden, lui e Pavitt divennero soci. Lasciarono le loro precedenti occupazioni ed ad aprile del ‘88 si trasferirono in un minuscolo ufficio nel Terminal Sales Building di Seattle. Verso la fine degli anni 80 Microsoft doveva ancora conquistare il mondo dei computer e Starbucks non aveva ancora aperto ad ogni angolo della strada. Seattle era una pozza d’acqua stagnante per l’industria musicale. Pavitt e Poneman erano seriamente intenzionati a creare un marchio che rivaleggiasse con etichette classiche come Motown o Blue Note. Molte delle prime uscite avevano un look simile: una banda nera attraverso la parte alta del singolo, col nome del gruppo seguito dal nome del disco. Spesso le copertine ospitavano le fotografie, movimentate ed iconiche, di C h a r l e s Pe t e r s o n. I credits degli album e dei singoli citavano spesso solo Peterson ed il produttore J a c k E n d i n o. Lesinare sul testo, diceva Pavitt, facilitava la connessione viscerale al disco, aggiungeva un che di misterioso e affermava i due come fotografo e produttore ufficiali dell’etichetta. Poi c’era il logo. Il marchio era un ingrediente chiave nel creare l’immagine dell’etichetta. Crudo e semplice, con un “SUB” bianco su fondo nero ed un “POP” nero su fondo bianco. Infatti, l’approccio di Sub Pop era teso all’affermazione del logo in maniera inflessibile. SP attirò l’attenzione della stampa musicale inglese, riviste come Melody Maker e New Music Express erano totalmente devote a Sub Pop e questo spinse l’eti-

special

S u b Po p,

chetta a strategie di marketing esagerate. La label realizzò Bleach, il primo album dei N i r v a n a. T h u rs t o n M o o re dei Sonic Youth supportava sia Nirvana che Mudhoney nelle sue interviste. Le Band incominciavano a fare il tutto esaurito al Moore Theater di Seattle. Nel frattempo uscivano i dischi degli heavy rockers Ta d, degli offensivi D w a r v e s, delle femministe L 7. Sfortunatamente il successo artistico della Sub Pop era accompagnato da problemi finanziari. In breve: fare in modo che le band fossero sulla bocca di tutti costava un sacco di soldi. I licenziamenti iniziarono nella primavera del 1991: la compagnia passò da uno staff di 25 persone a 5. I Nirvana salvarono l’etichetta, con il loro secondo album Nevermind lasciarono l’etichetta madre per passare alla Geffen. Nel settembre del 1991, N e v e r m i n d aveva venduto 4 milioni di copie. Sub Pop ottenne una buonuscita per il contratto dei Nirvana oltre a delle royalties sui futuri album e questo aiutò l’etichetta a uscire dal rosso per tornare ad avere bilanci positivi. Nel gennaio 1995, Sub Pop formulò un accordo con la Warner Bros. In cambio di un’immissione di denaro sonante, la Warner otteneva il 49% della Sub Pop. Così come il denaro aiutò l’etichetta a competere nel panorama post-Nirvana, portò anche dei cambiamenti che erano estranei alla cultura dell’etichetta. Verso la fine dello stesso anno Pavitt lasciò l’attività presso l’etichetta da lui fondata per metter su famiglia nelle isole Puget Sound. L’etichetta pubblicò i primi album dei The Go (mentre il loro J a c k W h i t e stava cominciando a lavorare ad una band chiamata the White Stripes...) e Zumpano (capitanati da C a r l N e w m a n, futuro fondatore dei New Pornographers), ma anche una compilation degli influenti punk australiani Radio Birdman ed evidenziando il debito nei confronti della musica definita Americana con Badlands: A Tribute to Bruce Springsteen’s Nebraska. La terza grande onda nella storia della Sub Pop arrivò nel giugno 2001 con Oh, Inverted World di T h e S h i n s, la band finì sotto major quando due loro brani divennero parte della colonna sonora del film Garden State. Seguirono gli album indie-pop da classifica di T h e Po s t a l S e r v i c e, H o t H o t H e a t e C S S, insieme a una sfilza di dischi modern folk di I ro n & W i n e e del rootsy rock dei B a n d o f H o rs e s. Oggi le cose sono cambiate: quell’etichetta che dichiarava come obiettivo la conquista del mondo ha trovato un nuovo cammino sulla strada della responsabilità. Gli anticipi eccessivi per le band ed i video vengono evitati. Sub Pop lavora per rendere le sue band più autosufficienti, i tour sono formulati in modo da guadagnare, più che per essere arginati dall’etichetta, ed i budget di registrazione sono realistici in modo da fornire alle band delle percentuali anche su vendite modeste. Nel 2007 Sub Pop ha lanciato una piccola etichetta indipendente chiamata H a rd l y A r t, improntata all’esplorazione di territori musicali esterni al modello di mercato musicale tradizionale. Invece che incassare le royalty, le band dividono alla pari i guadagni con l’etichetta stessa. Le registrazioni rimangono di proprietà dei gruppi che le danno in licenza ad Hardly Art per la pubblicazione ed ogni contratto è per una uscita, non esistono contratti per più di un album.

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intercity

berlino quartieri sono stati mercificati: D a i m l e r- C h r y s l e r e S o n y C e n t e r, in omaggio alle multinazionali che ne hanno finanziato l’imponente costruzione. Chiudete gli occhi e provate a immaginarvi la Postdamer Platz rasa al suolo dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Si trovava al confine invisibile tra il distretto russo e quello occidentale e fu poi letteralmente spaccata in due dalla costruzione del Muro. Cercate ora di ricordarvi la piazza vuota e desolata in cui, dopo il crollo del Muro, i Pink Floyd suonarono di fronte a 200.000 persone. Riaprite gli occhi: è forse venuto il momento di farvi la vostra prima Pilsner! Vale però la pena pazientare ancora un po’. Da Postdamer Platz risalite verso la Po r t a d i B ra n d e b u rg o sino al R e i c h s t a g, la sede del parlamento, colosso neoe non siete stati a Berlino nei primi anni Novanta, è classico per il quale l’intervento moderno è stato provvichiaro: vi siete persi qualcosa. E se vi è rimasto denziale: la famosa cupola in vetro progettata da l’amaro in bocca per non aver seguito a quei tempi Norman Foster gli ha donato un’insospettabile grazia. i vostri amici artisti, musicisti e saltimbanchi che vi si sono Unter Lasciandovi la Porta alle spalle, percorrete poi l’U trasferiti in massa a fare squatting a P re n z l a u e r B e rg , d e n L i n d e n, il viale più grande della città, costellato di ex distretto di Berlino est … abbandonate ogni nostalgia edifici barocchi e neoclassici, che vi darà un’idea della e non cercate di recuperare ora il pezzo mancante della maestosità della Berlino che fu capitale di un regno e poi vostra adolescenza. di un impero nei secoli XVIII e XIX. La Berlino del 2008 è una metropoli ordinata e silenziosa Unter der Linden è il salotto buono della città, che come nel più sano e rigoroso significato teutonico del termine. magnifico tappeto rosso si snoda sino a dove non immaUna città che fa grandi progetti, com’è da sempre nel suo ginereste di arrivare: la colata di cemento di A l e x a n d e r DNA storico: demolisce, ricostruisce, dimentica e guarda P l a t z. Piazza simbolo della DDR, è dominata dalla al futuro, anche se non sempre le riesce alla perfezione. F e r n s e h t u r m, la torre della televisione costruita negli Vi ritroverete in una Londra senza traffico ma anche senza anni Sessanta che come un enorme faro che avrebbe oddities; nella Parigi degli Champs Elysées in versione dovuto far splendere di luce proprio la Berlino isolazioniproletaria; in una Istanbul senza sole e con meno colori; sta. Dalla piazza imboccain una Manhattan futuristica te l’imponente K a r l che cambia skyline con la stessa M a r x A l l e e, che conQ u a n t o c o s t a u n c d : il prezzo medio di un cd è 15 euro, frequenza con cui a Soho camduce a si parte da un minimo di 13.99 per arrivare a un massimo biano i nomi dei ristoranti e in F r i e d r i c h s h a i n , uno di 17.90. Le migliori offerte si trovano nelle catene di una Soho gigante che vi lascerà negozi Saturn: uno dei più forniti è quello di Alexander dei più grandi quartieri Platz. paralizzati di fronte al suo residenziali di Berlino calendario di eventi della settiest che ora ospita Q u a n t o c o s t a u n a c o rs o i n a u t o b u s / m e t ro : i traspormana. Infine, sarete catapultati soprattutto studenti. ti, in proporzione al costo della vita, che è decisamente a Mosca e capirete che se l’arAttraversando in una più basso rispetto all’Italia, non sono economici. Il prezzo chitettura sovietica di Alexander di una corsa all’interno delle zone A (centro città) e B giornata di nebbia que(prima periferia) è di 2,10, un biglietto giornaliero costa Platz e di Karl Marx Allee vi fa lo sto silenzioso viale, con invece 6,10. Il sistema di trasporti pubblici, che permette stesso effetto della Postdamer i suoi massicci caserdi muoversi sia in autobus, sia in metropolitana (U-Bahn) Platz di Renzo Piano… un motimoni comunisti degli sia con i treni di superficie (S-Bahn), è però efficiente, vo ci deve pur essere. anni ’50 e ’60, vi sentiveloce e… sempre puntuale. Berlino è così poliedrica che rete un po’ come una L e t re c o s e d a f a re / v e d e re a s s o l u t a m e n t e : non perspesso vi chiederete quale sia comparsa del film “La dere mai di vista la Fersehturm, bussola infallibile che realmente la sua personalità. Ad vita degli altri” di segna “Il Mitte è vicino”, passeggiare lungo il viale Unter avercene una ben definita sono Florian Henkel, sullo den Linden con la porta di Brandeburgo alle spalle, bere però senza dubbio i tedeschi, spionaggio ai tempi una Pilsner in una vecchia birreria di Kreuzberg. che non si smentiscono: introdella Stasi (il Servizio di Q u a l c o s a d a e v i t a re a s s o l u t a m e n t e : un locale notversi e autarchici a casa loro Sicurezza dello Stato turno chiamato White Trash Fast food. Diffidare delle tanto quanto espansivi e dell’ex Repubblica Lonely… qualsivoglia Planet. cosmopoliti all’estero, funzionaDemocratica Tedesca). li, civili, anche se poco dotati di Il quartier generale genuino estro, c’è creatività dappertutto tranne che… della Stasi si trova non lontano da qui, nel distretto di sulle loro facce. L i c h t e n b e rg , ed è diventato ora un museo: potete arriTuttavia la città ha qualcosa che manca a tutte le altre varci con la linea metropolitana U5, fermata metropoli europee: Berlino osa. E coraggiosamente se ne Magdalenenstrasse. infischia che i suoi progetti finiscano con l’essere spesso Se la storia della Berlino comunista vi appassiona, andaincoerenti, preferendo in ogni caso la sperimentazione te a dare un’occhiata anche al M u s e o d e l l a D D R, che si all’immobilismo. trova nel Mitte, al numero 1 di Karl-Liebknecht-Strasse: Per respirare a pieni polmoni le sue contraddizioni, iniziasoddisferà ogni vostra morbosa curiosità (e nello shop del te a esplorarla a partire dal M i t t e, il centro storico, e punMuseo potrete acquistare persino un pezzettino di Muro, tate verso Po s t d a m e r P l a t z. Qui persino i nomi dei fino a esaurimento scorte ovviamente).

S

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Se invece volete cambiare un po’ aria, dirigetevi a sud verso la parte orientale di K re u z b e rg , il quartiere meticcio di Berlino ovest, abitato da ormai più di quattro generazioni di turchi. Vale la pena concedersi un kebab –e la meritata Pilsner – nella vivacissima O ra n i e n s t ra s s e. Se siete caduti in preda alla nostalgia della Berlino raver anni Novanta, a Kreuzberg aspettatevi il peggio con le reminiscenze anni Ottanta: a quei tempi, qui pulsava il cuore dell’Europa alternativa. Inutile andare alla caccia di Palazzi nuovi che crollano (Einsturzende neubauten), cercare di respirare le cupe atmosfere della “triologia berlinese” di Bowie o scovare le radici del punk nostrano (proprio a Kreuzberg si sono formati i nostri CCCP). Se proprio la nostalgia vi attanaglia… concedetevi uno dei D e p e c h e m o d e p a r t y” berlinesi, una black famosi “D celebration che viene officiata ogni mese nelle location più diverse (per essere sempre aggiornati su date e indirizzi, munitevi del D a s S c h w a r z e B u c h, libretto “nero” della dark wave berlinese). A Kreuzberg vale la pena fare un salto al K a t o, locale che si trova sotto la stazione di Schlesisches Tor e che ospita concerti, performance teatrali, poetry slam e serate danzerecce per tutti i gusti, nostalgici e non. Il tempio della dark music e del gothic è però il K 1 7 in Pettenkoferstrassee 17, a Friererichsain: quattro piani per un tuffo nel passato assicurato. Chi invece vuole assaporare il meglio della Berlino electro, che qui rimane ancora insuperabile, sempre a Friederichsain non può perdersi lo storico B e rg h a i n Pa n o r a m a b a r . Infine, niente di meglio, per chiudere il cerchio della nostalgia che Berlino saprà ispirarvi, di un paio di vinili d’annata da mettere in valigia: cercateli da C o v e r, al numero 11 di Kurfürstendamm di – vicino allo zoo – oppure da T h e R e c o rd S t o re in Brunnestrasse 186, al Mitte.




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