Franca Roncarolo - Opinione pubblica e comunicazione politica nelle democrazie mediatizzate - Modulo 1
OPINIONE PUBBLICA E COMUNICAZIONE POLITICA NELLE DEMOCRAZIE MEDIATIZZATE 1. OPINIONE PUBBLICA E DEMOCRAZIA. Opinione come soggetto chiave delle democrazie moderne. Non cʼè mai stato un periodo storico in cui lʼopinione pubblica abbia avuto una così grande importanza e pervasività come nella seconda metà del XX secolo. Non è paradossale pensare al ʻ900 non solo come al secolo breve, al secolo del lavoro o al secolo dellʼideologia, ma anche come al secolo dellʼopinione pubblica. Sono essenzialmente 3 i fattori che hanno reso possibile questo cambiamento: - lo sviluppo di tecnologie per la comunicazione, che hanno creato prima pubblici amplissimi e poi sempre più specializzati, e la ricerca demoscopica, volta a sondare lʼopinione dei cittadini rendendola visibile. - lo sviluppo del sistema dei media e le trasformazioni del rapporto tra politici e giornalisti - le trasformazioni della sfera politica e del suo rapporto con la sfera sociale. Tappe e paradossi. Lʼimportanza dellʼopinione pubblica ha cominciato a farsi visibile a seguito dellʼavvento del sistema delle comunicazioni di massa, che hanno creato grandi pubblici e rafforzato processi di carattere sociale e politico, rendendo visibile e possibile la partecipazione. La tappa successiva è relativa al periodo delle due grandi guerre mondiali e dello scontro ideologico tra Stati, anche se lʼesplosione si registra solo nel periodo successivo grazie allʼutilizzo quotidiano dei sondaggi e delle ricerche di mercato. Tra gli anni 60 e 70 i partiti stanno perdendo la loro forza e il consenso sta assumendo contorni sempre più volatili. Il sondaggio è un espediente che si presta alle caratteristiche del giornalismo e lʼopinione pubblica scende in piazza: prima a Berkley nel 63ʼ-64ʼ, poi in tutta Europa verso la fine del decennio. Il ventennio successivo vede la definitiva affermazione di questo processo e si sviluppano arene mediatiche nazionali e sovranazionali. A partire dagli anni 90ʼ si è sviluppato un ampio dibattito su quelli che sono stati definiti i paradossi della democrazia. Da un lato la democrazia si è affermata come sistema politico funzionante e si è assistito alla “terza ondata di democratizzazione”, dallʼaltro si registra una crisi del funzionamento democratico, che appare spesso non allʼaltezza delle aspettative alimentate. Secondo i risultati di un progetto di ricerca sulla democrazia globale realizzato da P.Schmitter, il numero dei paesi in cui si svolgono elezioni ragionevolmente libere è passato da 147 nel 1988 ai 164 del 1995 ai 191 del 1999. Secondo i dati di Freedomhouse, inoltre nel 1975 i paesi con regime democratico erano 41 pari al 27% dei paesi del mondo, nel 2005 il loro numero e la loro percentuale erano saliti rispettivamente a 89 (46%). I dati sono diversi tra loro, ma appare chiaro in entrambe le ricerche come la tendenza sia positiva.
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Opinione pubblica e democrazia. Tra le due dimensioni vi è un nesso forte dovuto al fatto che la democrazia è la forma di governo che si basa sul consenso e sulla legittimazione del popolo attraverso le procedure di voto. Secondo la definizione di Sartori: “La democrazia rappresentativa si caratterizza come un governo dellʼopinione, fondato su un pubblico sentire de res publica. Il che equivale a dire che alla democrazia rappresentativa basta, per esistere e funzionare, che il pubblico abbia opinioni sue; niente di più, ma anche - attenzione - niente di meno”. Non basta che ci sia un meccanismo elettorale, le opinioni devono maturare: quanto e come sono informati i cittadini? Lʼapproccio di Sartori è particolarmente critico poichè egli sostiene che non ci siano più cittadini informati ma solo telespettatori. I sondaggi contribuiscono ad aggravare lʼeffetto distorsivo che ha spinto lʼuomo a non ragionare più sui fatti: il problema è sia di carattere cognitivo che di mezzi. La tradizione teorica sul rapporto tra democrazia e opinione pubblica può essere suddivisa in due filoni: - quello tipico della tradizione liberal-democratica inglese e francese che identifica lʼopinione pubblica con le istituzioni rappresentative, considerandola come fonte di consenso e legittimazione del parlamento e del governo. (Società e stato integrati da opinione pubblica). - quello tipicamente illuminista e radicale che identifica lʼopinione pubblica come ambito privilegiato della critica pubblica espressa da un ceto ristretto sia nei confronti dello stato che del popolo. (Funzione di giudizio critico attraverso un uso pubblico della ragione nel doppio versante stato-popolo). Crisi della democrazia. Un approccio più critico al problema è stato suggerito da chi ha messo lʼaccento sulla crescente difficoltà di governare la complessità da parte degli elettori e sul progressivo declino della partecipazione elettorale. La crisi della democrazia è dovuta a diversi fattori, che possono così essere elencati: - il diffondersi di sentimenti di sfiducia e disillusione nei confronti delle democrazie e al diffondersi di atteggiamenti antipolitici. Sembrano confermare questa tendenza i dati che parlano di una discesa del numero dei votanti e più in generale di una perdita di consenso nei partiti, nelle istituzioni, nei leaders. - allo svuotamento del potere dellʼopinione pubblica ridotta a puro simulacro messo in scena attraverso i sondaggi. Il sondaggio manipola e giustifica opinioni già prese. - allʼaffermarsi di un modello di governo che mette al centro la relazione diretta fra leader e cittadini scivolando con facilità verso una deriva populista o tele-populista. Lʼopinione è centrale nella misura in cui essa è strumentalmente messa in campo dai leaders che scavalcano le mediazioni democratiche. Siamo di fronte ad una crisi della democrazia o di fronte ad un cambiamento così importante da dover parlare di post democrazia? Come ha osservato Colin Crouch, anche se le elezioni continuano a svolgersi e a condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi di rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dallʼintegrazione di governi eletti e le elites che rappresentano esclusivamente interessi economici.
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In uno scenario di grande complessità si aprono dibattiti estremamente critici come quelli di Habermas, Sartori e Crouch, ma anche nuove possibilità da percorrere come quelli aperti da Fiskin in tema di democrazia deliberativa. Resta il fatto che in società complesse sono allo stesso tempo aumentate le possibilità di scelta e gli orizzonti di rischio, lʼinterdipendenza e la frammentazione, lʼintegrazione dei processi comunicativi e lo scontro tra interessi forti. Un ruolo chiave in questo processo è stato giocato dalla trasformazione delle democrazie classiche in democrazie mediatizzate. Definiremo così quel tipo di democrazia in cui i media sono lʼarena centrale e lʼambiente stesso del processo decisionale e rappresentativo perchè mediano le relazioni tra i politici e i cittadini strutturandole in base ai requisiti della media logic e costituiscono lo spazio pubblico in cui si compete per definire le priorità e si formano le decisioni. 2. LE TEORIE DELLʼOPINIONE E DELLʼAGENDA SETTING. Definizione e concetto. Come moltissimi autori hanno notato lʼopinione pubblica è uno dei soggetti più controversi che vi siano nelle scienze sociali. Secondo Davison addirittura non esiste nessuna definizione generalmente accettata. Una delle principali ragioni è che il concetto è fondamentalmente un prodotto dellʼilluminismo e della teoria democratica del XIX secolo, lʼavvento del moderno sistema delle comunicazioni lo ha profondamente cambiato sfidando i fondamenti stessi della teoria classica. Accogliendo la proposta di Grossi, possiamo considerare lʼopinione pubblica come un fenomeno collettivo tipicamente immateriale che si presenta come processo cognitivo e simbolico dotato di agency potenziale, cioè disponibilità allʼazione, alla mobilitazione. Eʼ un fenomeno collettivo, dunque, che coinvolge la somma delle relazioni individuali. Eʼ un processo cognitivo in quanto le nostre opinioni derivano dalle rappresentazioni delle realtà di cui possiamo rispondere. Disponibilità allʼazione nel senso che, come conseguenza delle sollecitazioni ricevute, lʼindividuo può potenzialmente esercitare pressione, mobilitarsi, affinchè venga presa una decisione in un senso o nellʼaltro. Le premesse: concetto di sfera pubblica. Nel 1962 Habermas introduce il concetto di sfera pubblica come nuovo spazio sociale che si colloca tra la società civile e lo Stato, allʼinterno della quale i cittadini rivendicano il diritto alla discussione pubblica, alla formazione di un orientamento collettivo e di una immagine generale, ad ottenere la pubblicità del processo decisionale e del controllo del potere. Essa è dunque un processo eminentemente comunicativo ed interattivo, che si fonda su linguaggio ed argomentazione ed ha un carattere universalistico: il reciproco intendersi tra gli esseri umani. Citiamo Habermas perchè la sua teoria è di nuovo di attualità nel quadro di riflessioni che tendono a ridefinire la democrazia come “del pubblico” o “deliberativa”, proprio per la sua natura dialogica e interattiva. Frantumazione della sfera pubblica e consenso fabbricato. Habermas rileva come lʼidealtipo di sfera pubblica borghese venga sorpassato e vanificato dallʼavvento della società di massa e delle comunicazioni di massa che impediscono la formazione dellʼopinione attraverso la discussione. Ciò accade perchè non sono il prodotto di un confronto pubblico ma di una presentazione pubblica delle opinioni e perchè il consenso fabbricato che ne deriva non ha molto in comune con lʼidea originaria di opinione pubblica.
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Seppur rimanga possibile lʼesistenza di una opinione pubblica critica, accanto a sfere non pubbliche dipinte dai sondaggi o quasi pubbliche come quelle delle elites culturali, non sembra esserci più spazio per unʼopinione pubblica autentica perchè ogni cosa è mediata, rielaborata. Lʼipotesi di Habermas è ripresa da Thompson che segnala il carattere strutturale delle modifiche prodotte dallo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione nella sfera pubblica e concettualizza questa trasformazione strutturale come un processo di mediatizzazione della sfera pubblica. Per effetto della mediatizzazione si passa da una sfera pubblica per pochi che si confontano dialogicamente a una sfera pubblica per molti che sperimentano una pubblicità mediata. Le conseguenze prodotte sono ambivalenti in quanto da un lato aumenta la visibilità di azioni e scelte realizzate dagli attori politici consentendo un maggiore controllo, mentre dallʼaltro non solo rende più complesse le pratiche dialogiche, ma subordina il processo di formazione dellʼopinione alle scelte degli apparati formativi che selezionano la realtà e la raccontano attraverso resoconti orientati dalle esigenze della media logic. Lippman e la formazione distorta dellʼopinione pubblica. Il primo a segnalare le conseguenze del processo di mediatizzazione sulla formazione dellʼopinione pubblica è Walter Lippmann allʼindomani della prima guerra mondiale. Le sue conclusioni, che possono accostarsi a quelle di Habermas, si concentrano su un problema non risolto dalla democrazia: non aver risolto la questione derivante dalla non conoscenza della realtà oggettiva delle cose. Ogni cittadino deve rassegnarsi al fatto che tra cose e parole cʼè uno scarto di rappresentazione, che è addirittura amplificato dallʼesistenza dei media. Il livello di astrazione è, dunque, doppio. Il processo di formazione delle opinioni è complesso. In primo luogo, la maggioranza dei cittadini non è affatto interessata alla politica ne è adeguatamente informata. In secondo luogo, gli individui agiscono in funzione della rappresentazione mentale della realtà circostante, di quello pseudoambiente che è costruito dai media. Le informazioni che i cittadini ricevono sono spesso manipolate da propaganda, censura ed interessi politicoeconomici e sono il risultato di una costruzione della realtà distorta da vincoli organizzativi e stereotipi. Conigui Lang e Noelle-Neuman. I coniugi Lang scoprono, analizzando le reazioni alla parata che accoglie il generale MacArthur in patria dopo la vittoria della guerra in Corea, che la tv non solo informa sullʼevento, ma lo costruisce in base alle proprie esigenze e alle proprie logiche produttive inserendolo in quella che definiscono la prospettiva unica di un mezzo che ha bisogno di rendere emozionante ciò che propone. La distorsione è data dalle caratteristiche stesse del mezzo, è involontaria ma consistente. Un altro esempio di distorsione involontaria dellʼopinione pubblica è quello tematizzato nel paradigma della spirale del silenzio. Il processo della formazione dellʼopinione pubblica è un processo sociale esposto alla “pressione alla conformità”. In una situazione di isolamento sociale i cittadini fanno riferimento ai media per stabilire quale sia lʼopinione della maggioranza, ma questi possono alterare più o meno volontariamente la percezione da parte del pubblico di quali siano le posizioni dominanti inducendo la spinta a riallinearsi o a tacere quella che pensano sia una posizione non socialmente approvata.
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Le opinioni più rappresentate tendono ad essere le più visibili e viceversa. Non è escluso che possa esservi un clima dʼopinione duale: un caso in cui la posizione dei media è in antitesi con quella rispecchiata dalla realtà (referendum sullʼaborto, elezioni 2006). Media come fattore di tematizzazione. Ci sono altri punti di vista che pur non negando le criticità tendono a mettere al centro dellʼanalisi aspetti più positivi quali la capacità dei media di selezionare i temi allʼordine del giorno e stabilire la priorità dei problemi, il loro ordine di importanza. Luhmann contrappone al paradigma habermasiano un modello che guarda allʼopinione pubblica nellʼottica funzionalista. Al centro della sua analisi cʼè la riduzione della complessità di una società sempre più entropica. Egli suggerisce: - di dividere tra temi ed opinioni sostenendo che le seconde non possono attivarsi se non sono stati selezionati i primi. - di guardare alla selezione dei temi come a una funzione sistemica della riduzione della complessità sociale. - di riconoscere che tale selezione dipende sia dal sistema politico e dalle istituzioni, sia da media che sono il sottosistema centrale. I temi hanno la potenzialità di diminuire lʼincertezza e di fornire le strutture. In questa prospettiva lʼopinione pubblica non è più quellʼambito della società civile che si frappone tra lo stato e i privati nella loro dimensione intima e che permette la nascita dal basso di opinioni discorsivamente enunciate dai singoli cittadini riuniti in pubblico. Allo stesso modo lʼopinione pubblica non è finalizzata al raggiungimento della volontà generale, nè alla scoperta della verità in quanto i temi non servono direttamente a determinare il contenuto delle opinioni ma, in primo luogo, e soprattutto a catturare lʼattenzione. McCombs e Shaw: la funzione di agenda. Una conferma empirica del paradigma teorico proposto da Luhmann è rivenibile nella ricerca di McCombs e Shaw sulle presidenziali americane pubblicata nel 1972. La ricerca parte da quesiti come: si cosa si concentra lʼattenzione dei cittadini? Cʼè relazione tra cosa pensano i cittadini e lʼagenda dei media? I media attiverebbero un processo di trasferimento di salienza nei confronti del pubblico presentandogli una selezione di ciò intorno a cui è importante avere una opinione e discutere. Il loro potere non consentirebbe quindi nel dire al pubblico cosa pensare ma a cosa pensare, orientandone lʼattenzione e strutturandola attraverso la proposta di una serie gerarchizzata di temi e problemi. I media sono il filtro e il luogo di competizione tra attori, partiti e movimenti per fare emergere issues e temi. 3. MEDIA, FRAMING E AGENDA BUILDING I Lang e il modello processuale dellʼagenda building. Dieci anni dopo la ricerca di McCombs e Shaw lʼindagine dei coniugi Lang sul Watergate introduce il concetto di agenda building come il risultato di un processo di interazione tra istituzioni media e cittadini e propone uno schema operativo per analizzare il rapporto tra media e opinione basato sul principio di rifrazione. Secondo questo principio i media mediano la realtà rappresentandola e costruiscono lʼambiente simbolico della politica, ossia lʼarena di interazione tra istituzioni, politici e giornalisti. I media forniscono una maggiore visibilità agli attori politici e alla politica, ma creano anche un pubblico di spettatori che diventa un inevitabile punto di riferimento. Il pubblico, anche s e in genere si limita ad osservare, può diventare un terzo attore decisivo. Non tutte le issue richiedono lo stesso livello di attenzione: a seconda della loro salienza per il pubblico
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richiedono una copertura maggiore o minore. Il contesto politico, sociale e simbolico è decisivo per la trasformazione dei singoli orientamenti in opinione pubblica, capace di mobilitarsi e produrre effetti di rilievo come è accaduto nel caso Watergate. Ciò che assumiamo come problema è, dunque, lʼesito di un processo di costruzione sociale di cui i media giocano un ruolo chiave. Framing. Un frame è una cornice che serve a inquadrare una situazione interpretandola correttamente. Il framing è il processo attraverso cui i professionisti dellʼinformazione mettono in ordine gli avvenimenti, li riorganizzano dando loro un senso e ne individuano una linea direttrice. Lʼinfluenza potenziale dei media è più grande quando il pubblico non ha un diretto contatto o non dispone di esperienze di prima mano dellʼoggetto del contendere. Chi selezione le issue? Nella società americana i partiti non operano stabilmente come collettori di domande politiche ma svolgono un ruolo che è essenzialmente limitato alla funzione elettorale. La conseguenza sistemica è che mentre tende a prevalere il particolarismo dei gruppi di interesse, vari problemi sociali restano al di fuori della politica. Il carattere conflittuale del processo di agenda building si accentua a fronte della crisi dei partiti e del crescere della pluralità di voci che ha accesso allʼarena pubblica mediale. In un articolo del 1972 Downs ha proposto uno schema che tenta di dar conto di un ciclo idealtipico di attenzione indentificando 5 fasi differenti: la fase di latenza, la fase di scoperta allarmata, la fase di presa di coscienza, la fase di declino, la fase di scomparsa o ritorno alla latenza. Secondo Cobb ed Elder, inoltre, si possono distinguere 3 modelli di sviluppo del processo di agenda building: - il modello dellʼiniziativa esterna quando individui o gruppi cerano supporto a quella che sentono come una questione prioritaria fino a creare un single issue movment - il modello della mobilitazione dallʼinterno quando gli attori istituzionali lanciano campagne per cercare sostegno. - il modello dellʼaccesso interno quando un gruppo ristretto di attori istituzionali mette in agenda un tema che si preferisce non venga portato allʼattenzione del pubblico. Gli attori del processo di agenda building sono: - il pubblico bene informato e politicamente attento - i gruppi sensibili, che pur essendo costituiti da persone che non seguono regolarmente lʼofferta di comunicazione politica sono disponibili a seguire con attenzione issue specifiche cui sono per varie ragioni sensibili - gli addetti ai lavori, i responsabili istituzionali, dirigenti e consulenti delle amministrazioni che, per motivi ideali o semplicemente di carriera, si impegnano a supportare le issue - il pubblico allargato che in genere è coinvolto solo in seguito a eventi eccezionali o perchè intervistato nei sondaggi. Molotch e Lester mettono in evidenza come alla base della costruzione sociale dei problemi vi è la loro promozione da parte di istituzioni, organizzazioni ed individui. Essi hanno bisogno di eventi da pubblicizzare poichè i media tendono a non discutere di un tema in astratto, ma a collegarlo agli eventi. Gli eventi possono essere di routine, come le conferenze stampa, gli anniversari e le ricorrenze o di rottura come i “fatti notizia” di solito eclatanti.
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Riassumendo possiamo dire che lʼagenda setting rimada al trasferimento di salienza dallʼagenda dei media allʼagenda del pubblico, mentre lʼagenda building sia un passo in più che concerne il modo in cui viene selezionata lʼagenda dei media e le sue modalità di costruzione. Le issue sono limitate perchè i media sono selettivi a causa di spazio e tempo sempre inferiore dedicato alle notizie di carattere politico. Inoltre, ogni arena ha dei propri criteri di selezione che derivano dai vincoli tipici della media logic ed un tema per passare alla ribalta deve essere intercettato in qualche modo dai media. 4. LA DEMOCRAZIA DʼOPINIONE Sondaggi e costruzione simbolica. La costruzione della realtà è simbolica e conflittuale come dimostrano le strategie di framing, agenda setting e agenda building. Esistono, però, implicazioni tra le rappresentazioni sociali ed i reali effetti prodotti. Ciò emerge da una ricerca di Thomas e Merton che rivela, seppur attraverso una procedura spesso non intenzionale, gli attori che si comportano in base a premesse ritenute reali, producono conseguenze reali nonostante le premesse non si rivelino vere. Gli effetti possono essere di due tipi diversi: lʼuso politico dei sondaggi per cercare di innescare effetti di tipo bandwagon ed in funzione di agenda e come risorsa di framing. I sondaggi appaiono, dunque, come un formidabile dispositivo di costruzione della realtà. Sondaggi. I sondaggi assolvono, secondo Ceri, tre funzioni fondamentali: - concorrono a legittimare (e costruire) lʼimmagine pubblica degli attori politici - contribuiscono al processo di formazione dellʼagenda politica sancendo il rilievo delle diverse issue - partecipano alla costruzione del consenso intervenendo nella valutazione pubblica delle scelte politiche. I sondaggi sostituiscono il voto e fanno di ogni notte la notte delle elezioni, la campagna si trasforma in permanente ed è quasi sostituita lʼoperazione di voto. I sondaggi sono, secondo Natale “qualcosa per rilevare ciò che non appare, andando in profondità: un pensiero, una predisposizione, unʼopinione. Più difficilmente un comportamento. Al limite la motivazione di un comportamento, la percezione che ogni soggetto ha delle sue azioni ed è questo uno dei primi rischi delle rilevazioni demoscopiche: scambiare lʼautopercezione dei soggetti come la realtà vera”. Se il sondaggio scientifico perfetto è un miraggio quello corretto deve essere un modello da praticare. Non esiste, nella realtà, il campione probabilistico perfetto, ma vi sono importanti requisiti metodologici di correttezza. Nel dibattito intorno ai sondaggi è spesso richiamato Pierre Burdieu, il quale ha affermato in uno scritto dʼoccasione che “lʼopinione pubblica non esiste”. Lʼobiettivo critico della sua analisi era lʼuso del sondaggio politico e la concezione dellʼopinione pubblica che è implicita in questʼuso. Più nel dettaglio Burdieu sostiene che non ci sia alcun soggetto collettivo unitario e chiunque faccia appello a questo soggetto fa una operazione scorretta, poichè il sondaggio non esprime una delega direttamente e, quindi, non consente una
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interpretazione. Il sondaggio si configura come unʼarma per chi vuol parlare “a nome della maggioranza”, facendo diventare questa maggioranza totalità. Marletti suggerisce che lʼopinione pubblica siamo noi, gli attori sociali che fanno storia, a volte intenzionalmente ma per lo più senza saperlo, per combinazione e per caso, tramite lʼaccumulo discontinuo delle loro micro azioni individuali che intersecandosi e sovrapponendosi producono effetti macro sociali e tendenze collettive. Eʼ un elemento di conoscenza da cui non deve necessariamente scaturire una decisione. Opinione pubblica come effetto emergente. Raymond Boudon descrive lʼopinione pubblica come un effetto emergente, come una conseguenza non intenzionale che si produce a causa dellʼinterdipendenza esistente tra gli attori sociali. Ciò che misurano i sondaggi è lʼeffetto emergente dal sommarsi delle singole dinamiche di opinione. Lʼeffetto non è meccanico e le interdipendenze hanno un ruolo importante. Comunicazione politica e media vanno considerati come fattori importanti che accrescono o dissolvono gli effetti emergenti di opinione, contribuendo a renderli più o meno visibili e attribuendo loro un senso. Eʼ appunto questo che i media fanno tutti i giorni, non in modo intenzionale, ma in modo per lo più casuale e irresponsabile. In quanto effetto emergente lʼopinione pubblica non è una forza consapevole e autoriflessiva, ma nello stesso tempo non è neppure una forza meccanica che operi secondo principi fissi e sia prevedibile nei suoi effetti. La si deve considerare una tendenza spontanea, che si forma a volte in modo imprevedibile e che in certe circostanze può cambiare molto rapidamente. Lʼanalogia più prossima, secondo Marletti, è con la metereologia poichè molte volte i fenomeni climatici/mediatici sfuggono al controllo umano. Democrazia dʼopinione. Con democrazia dʼopinione o democrazia del pubblico sʼintende parlare di una democrazia dei sondaggi - sondocrazia come la chiama sartori - in cui lʼopinione pubblica viene apparentemente posta al centro, ma in realtà è fatta prigioniera dal sistema politico comunicativo che la strumentalizza. Manin, filosofo francese, sistematizza il concetto, sostenendo che la crisi di legittimazione dei partiti, delle ideologie e della partecipazione spingerebbe a sostituire queste entità con la persona, la fiducia e la comunicazione. Analisi simile a quella di Ilvo Diamanti che parla di “democrazia tiepida”. Nelle democrazie del pubblico si affermerebbero dunque due dimensioni complementari: - la possibilità di trasformare la società in opinione pubblica, definita attraverso i sondaggi e plasmabile attraverso campagne di marketing orchestrate dentro e fuori i media - la centralità della personalizzazione, per cui nellʼetà dellʼopinione pubblica, del marketing e dei media lʼunico modello possibile di politica è quello che verte sulla centralità del leader e quindi sulla sua persona. Lʼopinione pubblica sta diventando incontrollabile. Nelle società mediatizzate ne è aumentata lʼimprevedibilità, lʼumoralità, la mutevolezza. Lo dimostrano il moltiplicarsi degli effetti boomerang, il sempre più frequente fallimento dei sondaggi nel prevedere gli esiti elettorali, lʼaccresciuta circolazione di rumori, voci, leggende metropolitane e più in generale il crescere dei circuiti informali delle notizie, lʼabbassamento continuo della credibilità e dellʼautorevolezza dellʼinformazione ufficiale e del giornalismo. Il pubblico della comunicazione sta scappando tra le maglie della rete mediatica.
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Stanti queste premesse, Marletti sostiene che lʼespressione democrazia dʼopinione assume un senso soltanto se con essa si vuole indicare una fase storica in cui lʼopinione pubblica è diventata in certa misura incontrollabile e sfuggevole, per cui non si riduce più ad un mero sottosistema delle relazioni tra media e politica, o ad una costruzione simbolica di realtà fatta per legittimare il potere dei governanti, ma diventa una sorta di arena aperta, dentro la quale prima o poi tutti i leader e i partiti sono costretti a passare con loro rischio e pericolo, per quanto essi cerchino appena possibile di evitarlo. Nella democrazia dʼopinione il potere diventa più visibile ed è più facile constatare se il re è nudo. Le conseguenze di questa nuova situazione sono ancora da esplorare. I governanti e i detentori di potere escogitano sempre nuove e più sottili forme di copertura, tendendo però conto delle reazioni di un pubblico più attento che in passato. Persino la vita privata è continuamente sotto gli occhi di tutti ed aumentano le forme di spettacolarizzazione e voyeurismo sociale. Questa maggior visibilità dei governanti scatena ondate di emotività e populismo nelle quali la televisione può essere usata come una sorta di gogna o ghigliottina elettronica. Lʼopinione pubblica, a causa dello sviluppo della differenziazione e della complessità sociale, è diventata meno controllabile di quanto fosse in passato. Questa incontrollabilità, quando si manifesta, opera come una furia ceca e in certi momenti è come una sorta di uragano che può devastare un intero sistema politico, lasciando dietro di sè soltanto delle macerie istituzionali, delle quali nessuna parte politica può avvantaggiarsi come nel caso della tangentopoli italiana. Un esito in positivo dello sviluppo della democrazia del pubblico può essere individuato nello sviluppo di una cultura dellʼaccuontability e della valutazione. Si tratta di considerare i media come apparati che: - agiscono spesso in modo irresponsabile - sono dominati da routine organizzative di cui spesso non possono fare a meno - condizionano e sono condizionati dagli attori politici 5. MEDIA, POLITICI E GIORNALISTI IN PROSPETTIVA COMPARATA Media e politica in prospettiva comparata. Al centro del più generale processo di trasformazione dei rapporti tra media e politica vi sono la personalizzazione della politica e lʼavvento di una sorta di campagna permanente i cui ogni notte è la notte delle elezioni. Per quanto distinti sul piano analitico i due elementi sono collegati. La personalizzazione della politica porta alla ribalta i leader, ma li lascia soli in arene sempre più congestionate e competitive, continuamente esposte alla lice dei riflettori mediali. Non potendo più appoggiarsi i partiti, i leader sono quindi costretti a cercare nel pubblico quelle risorse di influenza che sono necessarie a governare. Di conseguenza chi vuole sopravvivere in questo ambiente turbolento deve intrecciare le differenti logiche del governare e del fare comunicazione e campaigning. Lʼobiettivo è alimentare di continuo il sostegno pubblico per mezzo di un processo promozionale ininterrotto e volgere poi la popolarità in un autentico sostegno per le proprie politiche. Tenere insieme le pratiche del campaigning e lʼarte del governo sembra diventare una necessità ineludibile in democrazie in cui i media rappresentano unʼarena ormai strategica, mentre i partiti altro non sono che fragili coalizioni di minoranze frammentate. Il modo con cui si attua la campagna permanente e i problemi che essa pone sono collegati con le caratteristiche dei sistemi politici in cui si realizza.
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Democrazia maggioritaria
Democrazia consensuale
Contesto sociale Società senza cleavages politici profondi e con alto capitale di fiducia.
Contesto sociale Società in cui permangono profondi cleavages politici.
Logica Si privilegia il principio decisionale sulla rappresentanza.
Logica Si privilegia il principio della rappresentanza su quello decisionale.
Stile politico dominante Esclusione, contrapposizione, comeptizione.
Stile politico dominante Inclusione, negoziato, compromesso.
Caratteristiche istituzionali sistema elettorale maggioritario, sistema politico bipartitico, esecutivo monopartitico dominante sul legislativo
Caratteristiche istituzionali governi di ampia coalizione, rappresentanza proporzionale, autonomia dei gruppi, veto per le minoranze
Sistema maggioritario. Il sistema dei media è eletto a funzione di controllo secondo la teoria del quarto potere che incarna il giornalismo dʼopinione. Prevale il modello di mercato nel sistema mediale e quanto la televisione è pubblica non cʼè intervento parlamentare di nomina. Il rischio è che lʼopinione pubblica diventi un tribunale dove valutare lʼattività politica e che la politica tenti di massimizzare il consenso attraverso procedure di going public. Sistema consociativo. I media sono subordinati alla politica ed i partiti fanno da intermediari. Tendono a spegnersi le luci tra una elezione e lʼaltra ed i media sono attenti a conservare i fragili equilibri interni alle coalizioni. Gli attori politici, dal canto loro, mantengono canali di informazione di partito. Il giornalismo dʼopinione è fragile ed è frequente lʼatteggiamento di parallelismo nei confronti della politica. Il rischio è che il sistema tenda a chiedersi, a diventare sordo ed impermeabile alle necessità dei cittadini. Gli indicatori del grado di autonomia nel rapporto tra media e politica sono diversi e vanno dal grado di controllo statale sui mezzi di comunicazione di massa alla propensione dei media ad essere o meno di parte, dallʼintegrazione tra le elites politiche e quelle giornalistiche al tipo di legittimazione di cui godono i media. Sistema della comunicazione politica in Italia.
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Periodo storico/ sistema politico
Sistema dei media
Forma e struttura del Strategie di compol rapporto
54 - 74 consociativo
Monopolio televisivo pubblico, readership delʼelite per i giornali.
75 - 92 consociativo con forti elementi di partitocrazia.
Sistema televisivo Lottizzazione Rai. misto e dereg. Rapporti personali tra Giornalismo politici e tv private. politicamente influente e interventista.
Spettacolarizzazione senza personalizzazione.
93 - ... parzialmente orientato al maggioritario
Sistema televisivo misto e regolamentato, duopolio mediaset rai.
Marketing politico e propaganda, temi in chiave spettacolare.
Controllo e occupazione dei vertici Rai da parte dei partiti di maggioranza
Nasce il medium partito, conflitto di interessi irrisolto.
Strategie di omissione e rimozione della politica.
Di seguito le prime tappe nello sviluppo della televisione pubblica: - ʻ54, iniziano le trasmissioni in Tv - ʻ61, nasce il secondo canale, ancora complementare al primo - ʻ79, nasce il terzo canale - ʼ60 - ʼ75, Ettore Barnabei, afferma una impostazione pedagogica della tv ancora più forte di quella che caratterizza le altre televisioni pubbliche in Europa. Lʼobiettivo di controllare la televisione è stato perseguito attraverso due strategie complementari. La prima tesa ad occupare i posti chiave di un apparato televisivo circoscritto dalla politica del monopolio pubblico. La seconda orientata a limitare il ruolo della televisione alla sfera dellʼeducazione e del divertimento, tenendo questo mezzo lontano dalla politica. Il sistema comunicativo italiano appare così, sin dalla sua prima fase, un sistema fragile in cui la tv è subalterna al potere politico, che condiziona del resto anche la tv commerciale, ed in cui la carta stampata è particolarmente debole. La carta stampata non è riuscita a bilanciare il sistema per due ordini di ragioni. I giornali hanno sempre avuto una readership molto limitata perchè lo sviluppo dei consumi culturali si è concentrato in particolar modo sul mezzo televisivo confinando la lettura alle elites del paese. Inoltre, sono mancati editori puri poichè storicamente le grandi testate sono state possedute dai “poteri forti”: in assenza di un autentico mercato, esponenti della grande industria e della finanza hanno spesso finito con lʼusare i giornali come canali per influenzare il processo di policy making. Fino al 1975 è rimasta in vigore la norma fascista in base alla quale il controllo delle reti pubbliche spettava al governo. Mentre si trasferiva questo potere alla Commissione parlamentare di vigilanza si è tuttavia provveduto a trasformare la pratica informale delle nomine guidate dai partiti di governo nel principio sancito pubblicamente della
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lottizzazione che ha ripartito le reti televisive tra le tre principali aree politiche facendo di ognuna il canale per lʼespressione di uno specifico punto di vista. Tappe del commercial deluge. Una sentenza della corte costituzionale del 1974 dichiara illegittimo il monopolio televisivo pubblico limitandolo alle trasmissioni via etere. Nel 1976 la corte costituzionale dichiara legittime anche le tv private via etere purchè trasmettano solo in ambito locale. Fino agli anni 90 nessuna legge interviene a regolamentare il settore. Per quanto in forma diversa le televisioni commerciali non sono mai state completamente libere dal controllo politico e poichè esse operano senza licenza per circa quindici anni ogni imprenditore del settore ha cercato amici politici influenti in grado di intervenire in caso di necessità. Quando nel ʼ90 la legge Mammi sancisce il duopolio Berlusconi sta per scendere in campo. Il passaggio del sistema della comunicazione politica in Italia dalla seconda alla terza fase è segnato da due classi di eventi che aprono altrettante finestre di opportunità al giornalismo italiano mettendolo nelle condizioni di interpretare e cavalcare il nuovo clima dʼopinione emergente nel paese. Da un lato cʼè la vicenda tangentopoli che offre ai giornalisti la possibilità di cercare una nuova legittimazione sociale, dallʼaltro il progressivo ingresso sulla scena del movimento referendario, che offre lʼoccasione per condividere stabilmente unʼagenda comune. Smantellando il vecchio sistema dei partiti le inchieste sullo scandalo di tangentopoli offrono ai media la possibilità di esercitare una più profonda influenza sperimentando il ruolo inusuale di controllori. Gli effetti di tale ruolo vengono dilatati dallʼaccresciuto numero di notiziari televisivi. A seguito della legge Mammì, infatti, anche le reti private possono trasmettere notiziari naizonali, rompendo così lʼultimo monopolio e aumentando lʼofferta complessiva di informazione. La campagna per lʼaffermazione dei principi maggioritari collegò diversi mezzi, sia dal punto di vista dei contenuti, sia per il rilievo conferito allʼissue referendaria. Nel ʻ91 viene organizzato e vinto il referendum per lʼintroduzione della preferenza unica, portando le preferenze esprimibili da tre ad una. Nel ʼ93 viene organizzato e vinto il referendum per lʼabrogazione della legge elettorale ed introdurre il maggioritario. Il portato simbolico della vittoria del referendum del ʼ91 è enorme: i cittadini scelgono il loro rappresentante senza lʼintermediazione dei partiti spingendo il sistema verso una maggiore personalizzazione. Questʼelemento di trasparenza avrebbe dovuto sfavorire la cooptazione e sanciva la preminenza del candidato sul partito. Altro fattore da notare è che in entrambe le consultazioni la partecipazione è particolarmente positiva: 62% e 77%. Il ruolo della Tv nelle elezioni del ʼ94. Le caratteristiche ed il successo della campagna elettorale di Berlusconi hanno indotto numerosi osservatori a interpretare la sua vittoria come un vero e proprio caso di videocrazia, finendo con il sottovalutare fattori importanti per comprendere gli elementi di continuità e discontinuità rinvenibili nel mutamento dei rapporti tra media e politica. Non bisogna sottovalutare due ordini di fatti: da un lato non cʼè più un mercato politico di riferimento perchè sono scomparsi i vecchi partiti, dallʼaltro la forza organizzativa dalla corporation multimediale di Fininvest. Berlusconi ha utilizzato la televisione come canale per la politica più che come mezzo seduttivo, cioè lʼha trasformata in una tribuna dalla
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quale rendere visibile e lanciare un nuovo prodotto in un mercato politico improvvisamente destrutturato. Strutture come Publitalia e Mediolanum, poi, hanno svolto il compito di collegare allʼorganizzazione di partito interessi radicati sul territorio per nulla investiti dalla questione della videopolitica e del potere del mezzo televisivo. Altre innovazioni introdotte dalla nascita di Forza Italia sono: lʼanalisi del mercato politico attraverso strategie di marketing atte ad individuare i bisogni della popolazione, lʼutilizzo di un nome spregiudicato capace i coniugare alleanze diversificate sul territorio nazionale e il passaggio ad un linguaggio lontano dal vecchio e autoreferenziale politichese. Rapporto politici - giornalisti dopo il ʼ93. Anche in Italia la logica del maggioritario accentua lʼesigenza del capo del governo di comunicare più direttamente con i cittadini e di considerare la popolarità certificata dai sondaggi come importante risorsa politica aggiuntiva. Tuttavia, con il succedersi delle leggi elettorali il sistema politico italiano non sembra aver ancora risolto lʼincertezza tra lʼattrazione per il modello maggioritario e il rimpianto per quello proporzionale. Il giornalismo subisce questa situazione mantenendo vivo il legame con la politica. In Italia, in altre parole, non si è mai del tutto compiuto quel processo di differenziazione che fa si che al crescere della complessità si accompagni la progressiva specializzazione funzionale dei diversi sottosistemi e che proprio tale specializzazione li renda sempre più autonomi. La logica della comunicazione politica propria delle democrazie stile Westminster si trova spesso a convivere con le abitudini autoreferenziali tipiche dei sistemi consociativi. Le relazioni tra giornalisti e politici sono sottoposte a duplice tensione. Poichè i leaders devono sviluppare alternativamente strategie spettacolari rivolte a conquistare il favore del pubblico e forme di comunicazione cifrata destinate a contrattare il consenso in coalizioni instabili, i giornalisti finiscono col rappresentare due opposi ostacoli: - nel primo caso perchè costituiscono unʼintermediazione da scavalcare - nel secondo perchè si configurano come un apparato da utilizzare controllandone quanto il più possibile le logiche e facendo di volta in volta valere modalità inclusive. 6. LA PRESIDENZIALIZZAZIONE DELLA POLITICA ITALIANA Personalizzazione, leaderizzazione, presidenzializzazione. La tendenza alla personalizzaizone della leadership è un fenomeno tipico di tutte le democrazie mediatizzate. In generale essa rappresenta lʼesito dei cambiamento in corso nella forma partito in risposta a fattori endogeni ed esogeni. La personalizzazione risponde alla necessità di introdurre elementi di semplificazione per fare fronte alle difficoltà derivanti: - dallʼipertrofia degli apparati politici - dalla loro crescente incapacità di produrre politiche adeguate rispetto alla complessità sociale e di risolvere il dilemma funzionale fra la pura rappresentanza degli interessi che li colonizzano e la capacità di civilizzare lobbies e corporazioni dando unʼidentità politica alla contrapposizione degli interessi. - dalla mediatizzazione della politica In Italia, fino agli anni 70, la cultura politica dei due principali partiti (Dc e Pci) limita fortemente le spinte alla personalizzazione. Le prime forme sono individuabili nellʼesperienza del Partito Radicale e dello stile di leadership incarnato da Marco
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Pannella, dalla presidenza della repubblica di Sandro Pertini, e dallo stile di premiership di Craxi e Spadolini, primi presidenti del consiglio non democristiani e segretari dei loro rispettivi partiti. Eʼ soprattutto negli anni in cui Craxi è il presidente del consiglio che il processo di personalizzazione della politica italiana subisce una più intensa accelerazione. In quegli anni iniziano a manifestarsi con più evidenza gli effetti delle televisioni commerciali che potenziano la dimensione della media logic. Pur restando allʼinterno della logica autoreferenziale tipica della comunicazione politica italiana, Craxi, è il primo ad utilizzare la tv per scavalcare le intermediazioni del giornalismo dʼopinione nel quadro dello scontro con il “giornale partito” la Repubblica. A lui si deve, inoltre, lʼavvio della riforma della Presidenza del Consiglio e il dibattito sul progetto di una riforma costituzionale in senso presidenzialista destinata destinata a dare maggiore efficenza in senso decisionista ai poteri pubblici anche se, fino ai primi anni ʼ90, mancavano le condizioni istituzionali per unʼeffettiva svolta. Il fenomeno generale della personalizzazione acquista tratti peculiari nel quadro delle trasformazioni che investono la politica italiana tra ʼ91 e ʼ94. Un passaggio essenziale è individuabile nelle riforme elettorali che introducono nuove regole ispirate al principio maggioritario. A favorire tale evoluzione è la crescente domanda di un principio di responsabilità individuale, lʼaccountability, con cui reintegrare lʼormai sempre più fragile fiducia nei partiti. Alle origini della personalizzazione a livello locale vi sono due aspetti che determinano una situazione di presidenzialismo diffuso: - lʼintensa territorializzazione della politica, ossia la crescente autonomia dei sistemi locali e la difficoltà di governare lo sviluppo dal centro che si realizza a partire dagli anni ʼ80 con il rompersi degli equilibri interni alla Democrazia Cristiana - la riforma elettorale del ʼ93 che modifica lʼordinamento comunale e provinciale seguita da quella regionale del ʼ95. Berlusconi ha in special modo rafforzato il tratto di leaderizzazione dei partiti essendo stato il primo e più convinto promotore di un modello che, forzando la natura del sistema politico italiano, vede la competizione elettorale come confronto tra due candidati alla carica di premier. Benchè con stile assai diverso, e per differenti ragioni, anche Prodi ha assecondato questa tendenza. Entrambi i leader hanno, infatti, svolto un ruolo chiave nel processo di personalizzazione della politica italiana, dando coesione con la propria leadership a due coalizioni fortemente frammentate che hanno finito per essere sostanzialmente tenute insieme dal ruolo strategico giocato dal leader. Questa tendenza è stata così esasperata dal portare Diamanti a sostenere che la democrazia italiana fosse bipersonale invece che bipolare. Per presidenzializzazione si deve intendere la tendenza ad incrementare anche nei regimi parlamentari le risorse tipiche di quelle presidenziali, con il conseguente aumento: - delle risorse di potere della leadership, per cui il leader non risponde al parlamento, ma è in genere legittimato direttamente dagli elettori e ha il potere di formare lʼesecutivo senza significative interferenze da parte di altre istituzioni.
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- dellʼautonomia di cui gode il leader. Una volta in carica, il capo del governo è ben protetto dalle pressioni del suo partito anche se il potere di guida gli deriva soprattutto dal successo elettorale. - della personalizzazione del processo elettorale che è sempre più modulato sulle personalità dei candidati di punta. Le tre arene della presidenzializzazione sono quella governativa, quella partitica e quella elettorale. Nella prima tendono a crescere i poteri formali, di nomina e decisione e le risorse informali di potere come effetto del crescente ricorso a logiche di appello plebiscitario consentite dalla centralità del mandato personale. Nella seconda alla dimensione formale, che porta ad esempio allʼintroduzione di procedure di elezione diretta attraverso le primarie, si affiancano dimensioni informali connesse allʼaffermarsi di forme plebiscitarie di comunicazione e mobilitazione. Nella terza si registra la crescente enfasi sugli appelli personali del leader, lʼaffermarsi di un coverage-candidate-centered e la crescente significatività dellʼeffetto leader sui comportamenti di voto. Presidenzializzaizone Italian Style. Secondo Calise lʼItalia rappresenta, da molti punti di vista, un tipo ideale di presidenzializzazione del sistema politico che investe tutte e tre le arene. Nel quadro della crisi della politica italiana e dei partiti della Prima Repubblica i media svolgono un ruolo chiave sostenendo e amplificando lʼagenda del cambiamento, innanzitutto perchè tale agenda: - risponde allʼesigenza di un discorso pubblico che sottolinei la discontinuità tra vecchio e nuovo - una piattaforma maggioritaria risponde allʼesigenza di semplificazione Se negli anni ʼ90 il collasso dei tradizionali partiti di governo e la campagna mediatica per le riforme istituzionali fanno precipitare il processo di presidenzializzazione nellʼarena partitica ed elettorale, è importante ricordare che un processo parallelo si era già avviato nel decennio precedente nellʼarena governativa. Già negli anni ʼ80, infatti, si avvia un processo progressivo di rafforzamento dellʼesecutivo che ha comportato cambiamenti normativi, è cresciuto il ricorso ai disegni legge ed alle leggi delega con la maggiore capacità di controllare lʼagenda legislativa attraverso la radicale riforma dei regolamenti, e cambiamenti organizzativi, la presidenza del consiglio è dotata di una sede e di sempre maggiori risorse finanziarie ed amministrative. Ispirandosi al modello della premiership inglese gli autori delle varie riforme hanno dotato il Presidente del consiglio di un apposito Segretariato generale con uno staff personale dotato di piena autonomia finanziaria e organizzativa. Lʼorganizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri è disciplinata dal DPCM del 23 luglio 2002 e prevede i seguenti 4 uffici di diretta collaborazione del Presidente: - ufficio del Presidente, che fornisce assistenza diretta e personale ed assicura il raccordo con gli organi politici - ufficio stampa e del portavoce, che cura lʼinformazione inerente lʼattività del Presidente e mantiene i rapporti con gli organi di informazione nazionali e internazionali. - ufficio del consigliere diplomatico - ufficio del consigliere militare.
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Lʼimportanza della comunicazione in questo quadro appare strategica ed è confermata dalla nomina di Mauro Masi, grande esperto di comunicazione, a segretario generale della Presidenza del Consiglio. Il partito personale. Se Craxi aveva iniziato a sperimentare lʼidentificazione del partito con il suo leader, le forme più radicali di controllo del partito verranno introdotte da Berlusconi con la creazione di Forza Italia. Partito personale per eccellenza, Forza Italia ha infatti rappresentato lʼorganizzazione che più di ogni altra ha posto al centro il ruolo del leader garantendogli pieno controllo politico. Al di là dei tratti personali connessi allʼesperienza di Berlusconi, tre fattori sistemici hanno consentito lʼemergere di un partito personale come Forza Italia. A livello istituzionale, il rafforzamento dellʼesecutivo aveva creato lʼambiente più adatto alla per la rapida ascesa di un partito il cui principale obiettivo era la vittoria presidenziale del suo leader, un partito monocratico non poteva avere migliori incentivi istituzionali di una premiership monocratica. A livello politico, il vuoto generato dallʼimprovviso collasso dei partiti tradizionali ha consentito lʼascesa di una nuova organizzazione in grado di reinterpretare la piattaforma ideologica su cui aveva fatto riferimento lʼelettorato di centrodestra. A livello elettorale, le modalità più personalizzate di competizione introdotte dallʼelezione diretta dei sindaci hanno prodotto il contesto più favorevole per lʼaffermarsi di uno stile presidenziale di campaigning come quello preferito da Berlusconi. Il collegamento con lʼelezione diretta dei sindaci conferisce un impatto particolarmente intenso al modo in cui scende in campo e compete Berlusconi. Lo stile presidenziale della competizione appare ancora più evidente nella campagna del 2001 con lʼinvio di “una storia italiana”, il ricorso a manifesti 6 x 3 con la personalizzazione delle issue della campagna, lʼidentificazione della posta in gioco nella scelta pro e contro Berlusconi. Malgrado le forti spinte alla presidenzializzazione del sistema, altri fattori hanno tuttavia operato in senso opposto. In particolare, dal punto di vista istituzionale i protagonisti della politica nazionale non hanno mai goduto di quelle risorse che sono proprie delle democrazie maggioritarie e che, dal 1993, sono state invece garantite ai sindaci e ai presidenti degli enti locali. Inoltre, sebbene negli ultimi decenni le immagini dei leader abbiano sempre dominato le campagne elettorali, dopo la vittoria nessuno di loro si è trovato nelle condizioni di poter davvero governare. In parte per le resistenze opposte dal ceto di partito riemerso dalle ceneri di Tangentopoli e in parte per lʼassenza di un assetto istituzionale che consenta di mettere al centro lʼagenda. Lʼalto grado di frammentazione della sfera politica, che ha caratterizzato le stagioni seguite al collasso della democrazia consociativa, e le regole elettorali rispettivamente adottate nel ʼ93 e nel ʼ05 hanno contribuito a indebolire lʼefficacia dei Governi italiani. Ciò in quanto, paradossalmente, le condizioni che aiutavano a vincere le elezioni rendevano in seguito più difficile governare. E le medesime strategie di campaigning che prima del voto avevano avuto successo nel mobilitare i cittadini provocavano, dopo il voto, un diffuso sentimento di delusione fra tutti coloro che lentamente, giorno dopo giorno, vanno scoprendo che le aspettative nutrite non si realizzano e che le possibilità di vederle soddisfatte sono assai esigue.
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Uno degli effetti più significativi di questa situazione è stato lo slittamento verso un modello di “presidenza retorica” che, a differenza di quanto avviene nel caso americano e inglese non può mettere al centro lʼagenda politica. Popolarità e consenso nella campagna permanente. Sulla scorta degli elementi messi in luce dalla letteratura, si può dire che, negli Stati Uniti, la campagna permanente abbia rappresentato una risposta adattiva della presidenza alla necessità di operare in un ambiente reso difficile e turbolento dalle trasformazioni verificatesi nella sfera della politica e dei media. La campagna permanente è stata utilizzata per contrastare la crescente instabilità del potere, adeguando lʼesercizio della leadership alle esigenze di una democrazia intensamente competitiva e mediatizzata. Cioè, di una democrazia in cui per vincere è necessario essere popolari, ma per restare popolari bisogna realizzare quanto più possibile la propria agenda. Questo costringe il presidente a cercare di ottenere lʼapprovazione del congresso, spesso più incline a competere nellʼarena pubblica che a svolgere la sua propria funzione di contrappeso istituzionale, condizionando le scelte attraverso il sistematico ricorso a strategie di marketing e going public. La popolarità è misurata dai sondaggi ed è una forma alquanto indistinta di gradimento delle qualità del presidente e del suo stile di leadership. Lʼapprovazione che il pubblico esprime per il lavoro del leader è, invece, una risorsa più nettamente definita, sia perchè può essere misurata in modo abbastanza preciso, sia perchè può essere circoscritta a una singola politica pubblica e trasformata in una risorsa di influenza che può essere mobilitata a favore del leader e delle sue decisioni. Nel modello della campagna permanente popolarità e consenso sono collegati: il primo alimenta il secondo e ne rappresenta la premessa. Ma, mentre è difficile godere del consenso senza popolarità, questʼultima non assicura il sostegno alle politiche. Più precisamente si può dire che, oltre a essere relegata al mondo dellʼimmagine, la popolarità è una forma di sostegno al contempo atomizzato e diffuso, superficiale e volatile. Al contrario il consenso riguarda la sostanza del processo decisionale e investe la definizione dellʼinteresse pubblico da parte dei diversi gruppi sociali. A partire da queste distinzioni si delineano due diversi modelli di leadership: - un modello orientato prevalentemente alla ricerca della popolarità, con lʼobiettivo di tenere alto il livello in ogni modo e con ogni mezzo. Questo modello condurrebbe a una presidenza retorica destinata a successi effimeri ed incapace di raggiungere autentici risultati politici. - uno stile di leadership che cerca di sfruttare il sostegno della cittadinanza come risorsa politica funzionale alla risoluzione dei problemi e allʼattività di governo. La leadership di governo è volto a raccogliere attorno alla proposta politica pubblici di cittadini sempre diversi tra loro, in uno scenario in cui le agenzie di intermediazione sono sempre più deboli. Campagna permanente Italian Style. La centralità acquisita dai leader e il processo di mediatizzazione subito dalla politica dopo il ʼ93 hanno reso quasi sistematico il ricorso a pratiche di promozione. Ma quella che, secondo la teoria della campagna permanente, è sostanzialmente una deviazione patologica, è diventata in Italia il tratto distintivo. In
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assenza delle condizioni necessarie a consentire la piena assunzione delle responsabilità di governo da parte di leader che, nelle scorse stagioni, hanno dovuto negoziare ogni scelta con le molte anime della loro compagine, mettere le politiche al centro della campagna permanente ha finito con lʼessere molto difficile, se non impossibile. Nel contesto italiano la campagna permanente del governo si è così trasformata in pura comunicazione di immagine, dilatata dal tentativo di cavalcare tutte le verifiche elettorali con la conseguente elettoralizzazione del ciclo politico. Questa tendenza ha fatto si che le verifiche intermedie abbiano finito col diventare occasioni di un continuo processo di riposizionamento dei partiti che ha sinora eroso le politiche dellʼincumbency (chi si candida ad essere riconfermato). Ciò che nelle democrazie anglosassoni si configura come una risposta in linea di principio efficace allʼesigenza di contare su leadership politicamente stabili, in Italia ha favorito lʼalternarsi di maggioranze strutturalmente frammentate e poco coese, incapaci di ottenere la conferma degli elettori dopo il primo mandato. Campagna permanente ed elezioni di secondʼordine. La proliferazione delle scadenze elettorali deriva dalla logica del decentramento territoriale e dai molti livelli della rappresentanza politica. Dai consigli di circoscrizione sino al parlamento nazionale ed e europeo, passando attraverso comuni, province e regioni, in Italia le arene elettive sono estremamente numerose. Le tornate elettorali si dispiegano lungo un continuum di scadenze che configurano un vero e proprio ciclo. Lʼeffetto aggregato di microscelte che gli elettori effettuano a partire da specifiche realtà locali viene reinterpretato da dibattito politico giornalistico che trasforma queste scadenze in autentici test nazionali. In questo modo, ogni chiamata alle urne diviene una sorta di prova di forza che permette al sistema politico giornalistico di raggiungere due diversi obiettivi: - consente di tastare il polso allʼopinione pubblica per certificare il clima dʼopinione prevalente nel paese e tessere la trama di una narrativa che potremmo definire del “vincitore atteso” - rende possibile acquisire elementi per valutare in modo comparativo il peso dei diversi partiti e delle opposte coalizioni, misurandone i rapporti di forza. Sono elezioni di secondʼordine quelle consultazioni in cui, essendo la posta in gioco meno rilevante, si possono più facilmente originare comportamenti volti a proseguire finalità secondarie rispetto a quelle identitarie. Esse possono configurarsi in voti di protesta, astensione o, addirittura, la scelta di una organizzazione politica diversa. In Italia, le elezioni definite intermedie, divengono momenti attraverso cui si articola una campagna mirante a delegittimare il governo in carica e a capovolgere i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione. Si trasformano, cioè, in tappe integrate in un unico processo comunicativo volto a orientare il clima dʼopinione e a offrire precisi frames interpretativi delle elezioni politiche, prefigurandone lʼesito. Ciò comporta una maggiore difficoltà per chi governa a orientare il clima dʼopinione nazionale cavalcando lʼonda delle campagne che si sviluppano intorno a scadenze ancorate al territorio. Le elezioni locali sono, infatti, caratterizzate: - dalle strategie dei leader locali che operano con crescente autonomia
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- da dinamiche che sono meno soggette ai vincoli della fedeltà leggera e che contemplano comportamenti di voto più dettati dalle caratteristiche dellʼofferta proposta da ciascuna parte politica che dalle logiche di appartenenza ai diversi schieramenti. Effetto winner e clima duale dʼopinione. Per il fatto di alimentare aspettative di vittoria e sconfitta che tendono ad innescare veri e propri processi di costruzione sociale della realtà, lʼinclinazione a trasformare la campagna permanente in un continuum di verifiche elettorali rischia di produrre un clima dʼopinione duale. In questo caso, cioè, i media amplificano il punto di vista di minoranze attive che promuovono ricambio, mentre lʼopinione di chi è incerto resta in ombra. Ciò sembra fare emergere un “effetto winner” che rafforza le opinioni del vincitore atteso, ma quando la scadenza elettorale entra davvero nellʼagenda dei cittadini, tendono a prevalere le loro preferenze politiche. Questa situazione sembra spiegare lʼefficacia di strategie di contro-mobilitazione adottate dai leader di governo a fronte di consensi declinanti. Con queste strategie, giunti in vista del voto, si cerca di allertare lʼattenzione intermittente dei molti cittadini che si sottraggono alla visibilità delle indagini demoscopiche, nascondendosi nelle risposte mancate o menzognere, o che vengono occultati dalle pratiche con cui i sondaggisti trattano i dati. Pur senza riuscire a ribaltare gli esiti previsti della consultazione elettorale, dal 2001 in poi, in tutte le occasioni i leader della coalizione che chiedeva di essere confermata al governo sono riusciti a risollevare le sorti della propria parte, rimotivando i numerosi elettori che, nelle elezioni di secondo grado su cui si costruiscono le aspettative di vittoria, non votano. Questi elettori sono disposti, dunque, a scendere in campo qualora li si convinca che la posta in gioco è davvero importante.