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Un progetto a cura di Marina Calloni Con la prefazione della Rettrice Giovanna Iannantuoni e Un intervento della Senatrice Liliana Segre

Comitato scientifico: Vittore Armanni, Barbara Bracco, Luciano Belli Paci, Marina Cattaneo, Antonella Cesarini, Maurizio Di Girolamo, Emanuele Edallo, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, Gadi Luzzatto Voghera, Michele Sarfatti,Francesca Tramma, Paola Zocchi.

UniversitĂ degli Studi di MIlano-Bicocca Milano, 2020



RAZZA E ISTRUZIONE. LE LEGGI ANTI-EBRAICHE DEL 1938 Un progetto a cura di Marina Calloni Con la prefazione della Rettrice Giovanna Iannantuoni e un intervento della Senatrice Liliana Segre

Comitato scientifico: Vittore Armanni, Barbara Bracco, Luciano Belli Paci, Marina Cattaneo, Antonella Cesarini, Maurizio Di Girolamo, Emanuele Edallo, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, Gadi Luzzatto Voghera, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Paola Zocchi.

UniversitĂ degli Studi di Milano-Bicocca, Milano 2020



"Ma perché ho sempre in mente l'indifferenza? Perché l'indifferenza fu terribile. Il silenzio indifferente di tutto un popolo, di vari popoli europei fu terribile. Ma quando tu hai assistito a quella che si chiamava la 'soluzione finale' e poi riesci dopo tanti anni a raccontare, è molto importante trasformare la testimonianza di morte in una testimonianza di vita.” Liliana Segre, 18-2-2019

“Conservo un bel ricordo della calorosa accoglienza dell’Università di Milano – Bicocca. Mi fa molto piacere che la mostra sulle leggi anti-ebraiche del 1938 sia resa disponibile a tutti sul nuovo sito.” Liliana Segre, 2-11-2020


INDICE I.

PREFAZIONE

Giovanna Iannantuoni, Rettrice dell’Università degli Studi di Milano–Bicocca ………………… 1 Il perché del progetto online……………………………………………………………………………………………… 2

II. LA CONFERENZA - Presentazione 1. Marina Calloni, Perché riflettere su “Razza e Istruzione” (intervento disponibile anche in formato Video)………………………………………………………………………

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- Introduzione 2. Giampaolo Nuvolati, La manutenzione quotidiana della democrazia (intervento disponibile anche in formato Video)………………………………………………………………………11

3. Siria Fatucci, La malvagità non ha bisogno di persone malvagie, ha bisogno di persone obbedienti (intervento disponibile anche in formato Video)

……………………………………………………………………. 13

- Parte 1. L’impatto delle leggi razziali sul sistema educativo in Italia 4. Gadi Luzzatto Voghera, Educazione e leggi razziali (intervento disponibile in formato video) ………………………………………………………………………………

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5. Daniel Fishman, Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943) (intervento disponibile anche in formato Video)

……………………………………………………………………. 19


6. Michele Sarfatti, I provvedimenti antiebraici nella scuola e nelle Università (intervento disponibile in formato video) ………………………………………………………………………………

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7. Simona Salustri, Le legislazioni antiebraiche nelle Università italiane (intervento disponibile in formato video)

……………………………………………………………………………… 24

8. Emanuele Edallo, L’applicazione delle leggi antiebraiche alla Regia Università di Milano (intervento disponibile anche in formato Video)

……………………………………………………………………. 25

9. Stefano Morosini, L’applicazione delle leggi antiebraiche agli studenti e ai professori del Politecnico di Milano (intervento disponibile anche in formato Video) …………………………………………………………………….

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10. Marzio Achille Romani, 1938: le leggi per la difesa della razza nella scuola e i professori ebrei dell’Università Bocconi (intervento disponibile anche in formato Video) …………………………………………………………………….

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11. Damiano Palano, L’applicazione delle leggi antiebraiche nell’Università Cattolica del Sacro Cuore (intervento disponibile in formato Video) ……………………………………………………………………………… 65

- Parte 2. Razza, immagini e rappresentazioni 12. Barbara Bracco, Introduzione e moderazione (intervento disponibile in formato video) …………………………………………………………………………………

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13. Vincenza Iossa, I materiali del Ministero dell’Educazione Nazionale nella Biblioteca “Luigi De Gregori” - MIUR (intervento disponibile anche in formato Video) …………………………………………………………………….

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14. Manuele Gianfrancesco, L’educazione fascista nei fondi della Biblioteca “Luigi De Gregori” – MIUR (intervento disponibile anche in formato Video) …………………………………………………………………….

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15. Patrizia Guarnieri, L’emigrazione degli psicologi ebrei dopo il 1938: “false notizie” e minimizzazioni. Il caso di Enzo Bonaventura (intervento disponibile anche in formato Video)

……………………………………………………………………. 78

16. Massimo Martella, La “questione ebraica” nei documentari di propaganda (intervento disponibile anche in formato Video)

……………………………………………………………………. 90

- Parte 3. Testimoniare 17. Maria Cristina Messa, Introduzione all'intervento della Senatrice Segre (intervento disponibile in formato Video)……………………………………………………………………………. 110

18. Liliana Segre, Lectio Magistralis. L'indifferenza (intervento disponibile anche in formato Video) ………………………………………………………………….

III.

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LA MOSTRA

19. Razza e Istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938 e le loro conseguenze …………. 116

IV.

GLI ARCHIVI

20. Archivio della Biblioteca “Luigi De Gregori” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Vincenza Iossa, Bollettini, norme e testi sulla pedagogia fascista e razzista …………………………………………… 244

21. Archivio di Stato di Milano - Antonella Cesarini, Le richieste di discriminazione dei docenti nei “Fascicoli personali ebrei” del Gabinetto di Prefettura …………………………………………………………………………………………………………………………… 246

22. Fondazione Anna Kuliscioff - Marina Cattaneo, La promulgazione delle leggi razziali e le sue conseguenze nelle scuole e nelle università ……………………………………………………………………………………………………………………………. 251


23. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica - Gadi Luzzatto Voghera, Documenti sulle scuole ebraiche dopo l’espulsione di docenti, studenti e impiegati dalle scuole di ogni ordine e grado ……………………………………………………………………………………………… 252

24. Fondazione Corriere della Sera, Archivi Storici - Francesca Tramma, L’inizio delle persecuzioni razziste nelle pagine del quotidiano ……………………………………….254

25. Fondazione Giangiacomo Feltrinelli – Vittore Armanni, Propaganda di regime e la risposta degli anti-fascisti all’estero ……………………………………… 255

26. Politecnico di Milano, Archivio storico - Stefano Morosini, Come furono espulsi dal Politecnico i docenti di origine ebraica ……………………………………. 257

27. Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Archivio storico – Sira Fatucci, Documenti sulle leggi razziali ……………………………………………………………………………………………. 259

28. Università Bocconi, Biblioteca e Archivi - CDE e Conservazione documenti, L’espulsione di eminenti professori di origine ebraica ……………………………………………………… 261

29. Università Cattolica del Sacro Cuore, Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Il patrimonio archivistico a partire dagli anni ’20 …………………………………………………………… 263

30. Università degli Studi di Milano, Centro APICE - Emanuele Edallo, L’applicazione della legislazione antiebraica alla Regia Università di Milano ………………… 264

31. Università̀ degli Studi di Milano-Bicocca, Biblioteca di Ateneo, Polo di Archivio Storico, Archivio Storico della Psicologia Italiana - Mauro Antonelli e Aurelio Molaro, Cesare Musatti e le leggi razziali in alcuni documenti d’archivio …………………………………… 265


V.

GALLERIA FOTOGRAFICA

32. Fotografie dalla Conferenza e della Mostra ………………………………………………………… 269

VI.

INFORMAZIONI E CONTATTI

33. Per saperne di più ………………………………………………………………………………………………….. 277



I. PREFAZIONE



Giovanna Iannantuoni Rettrice Università degli Studi di Milano-Bicocca

Contrastare ogni forma di discriminazione Contrastare ogni forma di discriminazione. Questo è uno dei principi dell’Università per concorrere allo sviluppo della società attraverso la promozione culturale e civile della persona e l’elaborazione di una cultura fondata sui valori universali dei diritti umani, della pace e della solidarietà internazionale. Il progetto in oggetto è il prodotto di un lavoro condiviso e sentito, iniziato nel 2018 nell’ambito delle celebrazioni del ventennale di fondazione dell’Università di MilanoBicocca, volto a ripercorrere la nascita e l’applicazione delle leggi razziali nel campo dell’istruzione pubblica con materiali di archivio e bibliografici, provenienti dalle istituzioni culturali nazionali. Le leggi razziali del 1938, infatti, rappresentarono un casus horribilis per la storia italiana e mondiale e costituirono le premesse delle stragi del regime fascista che attaccò nelle sue radici il sistema d’istruzione e formazione. Con la presente pubblicazione si promuovono e diffondono, dunque, i materiali raccolti durante la mostra e la conferenza “Razza e istruzione – Le leggi anti-ebraiche del 1938”, tenutesi nel febbraio 2019, che ha visto come ospite d’onore la senatrice a vita Liliana Segre, con una lectio magistralis sull’indifferenza. L’Università di Milano-Bicocca è onorata di aver accolto questa preziosa testimonianza a 80 anni dall’emanazione delle leggi razziali, riaffermando così la libertà della cultura e della ricerca e la responsabilità dell’Università nel formare una società inclusiva che non cada nella trappola dell’indifferenza sociale. In qualità di Rettrice dell’Università di Milano-Bicocca ho promosso la presente pubblicazione perché ritengo che non siano mai abbastanza le occasioni per ricordare un passato che ha segnato tragicamente la storia del nostro Paese. Il mio appello è soprattutto rivolto ai giovani perché abbiano conoscenza e consapevolezza dell’impatto che le leggi razziali ebbero per la cultura italiana per un futuro in cui non si ricommettano gli stessi errori. Milano, 11 novembre 2020

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Il perché del progetto online Le Leggi per la difesa della razza furono approvate l’11 novembre 1938 dal Consiglio dei Ministri guidato da Benito Mussolini e firmate il 17 novembre 1938 da Vittorio Emanuele III. La politica razzista del regime fascista colpì da subito il sistema educativo, impedendo il libero apprendimento. Le leggi razziali rappresentarono dunque una svolta radicale per la storia del regime fascista e costituirono una tragica premessa ideologica che condusse allo sterminio. Di fatto, tali provvedimenti rappresentavano la concretizzazione politica di ideologie razziste accumulate nei decenni precedenti. Durante la guerra, nei territori liberati dall’occupazione nazi-fascista, le leggi razziali vennero abrogate a partire dal 20 gennaio 1944; al contrario, nella Repubblica Sociale italiana (Salò 1943-1945) - alleata dei nazisti – le leggi vennero inasprite, decretando che "Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica." (Manifesto di Verona, R.S.I., 9 novembre 1943) La necessità di riflettere su questa drammatica pagina della storia italiana e mondiale ci ha indotto a proporre un progetto che potesse ricostruire le principali fasi politicoculturali che portarono progressivamente alla segregazione, alla persecuzione e alla deportazione di cittadini italiani di origine ebraica. Il divieto di accesso all’istruzione e alle professioni ebbe infatti conseguenze durature non soltanto sulle persone di origine ebraica che lo subirono, bensì anche sullo stesso sistema educativo repubblicano. A oltre 80 anni dalla promulgazione di leggi illiberali, l’università come luogo dedito alla ricerca libera, alla formazione inclusiva e alla cittadinanza attiva, non può che riaffermare i principi democratici dell’uguaglianza e della libertà, contrastando ogni forma di razzismo e di segregazione, e rinnovare il valore della libertà nelle arti e nelle scienze. Il progetto – iniziato nel 2018 – è stato reso possibile, grazie all’apporto di un Comitato Scientifico, coordinato da Marina Calloni e composto da Vittore Armanni, Barbara Bracco, Luciano Belli Paci, Marina Cattaneo, Antonella Cesarini, Maurizio Di Girolamo, Emanuele Edallo, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, Gadi Luzzatto Voghera, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Paola Zocchi. Nell’ambito di tale progetto, sono state organizzate nel 2019 presso l’Università di MilanoBicocca una conferenza e una mostra - inaugurata dalla Senatrice Liliana Segre -, di cui si pubblicano qui le relazioni e i materiali audio-visuali, unitamente a informazioni sugli archivi che hanno reso possibile la ricerca. Il progetto è stato parte delle celebrazioni per il ventennale della fondazione dell’Università di Milano-Bicocca ed è stato sostenuto sia dall’allora Rettrice Maria Cristina Messa (2013-2019), sia dall‘attuale Rettrice Giovanna Iannantuoni (2019), che ha introdotto il progetto con una Prefazione, nell’ottica di contrastare ogni forma di discriminazione. Milano, 11 novembre 2020

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II. LA CONFERENZA



- Presentazione 1.

Marina Calloni Professoressa di Filosofia Politica e Sociale, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale – Università degli Studi di Milano-Bicocca Responsabile scientifica del progetto “Razza e Istruzione”

Perché riflettere su “Razza e Istruzione” “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” Costituzione della Repubblica Italiana, 1948, Articolo 33 Le leggi razziali del 1938 rappresentarono un tornante decisivo per la storia del regime fascista e costituirono una premessa ideologica che condusse allo sterminio. La necessità di ricostruire questa drammatica pagina della storia italiana e mondiale ci ha indotto a proporre una conferenza e una mostra su “Razza e istruzione”, svoltesi nel febbraio 2019 presso l’Università di Milano-Bicocca. La politica razzista del regime fascista colpì infatti da subito il sistema educativo, quale ambito dedito al libero apprendimento. Proprio perché crediamo nel valore della libertà nelle arti e nelle scienze, abbiamo deciso di pubblicare on line le relazioni esposte durante il convegno e i documenti, spesso inediti, presentate durante la mostra su “Razza e Istruzione”. Il nostro intento consiste pertanto nel mettere a disposizione di un più vasto pubblico i materiali raccolti durante la conferenza e la mostra, al fine di poter sviluppare una maggiore conoscenza e una migliore consapevolezza in merito all’impatto, durevole nel tempo, che le leggi razziali ebbero sulla società e la cultura italiana. I materiali qui raccolti non hanno certamente la pretesa di essere esaurienti di fronte a una vicenda tanto complessa, quanto tragica. Si vuole solo offrire materiali per riflettere ulteriormente sull’idea fittizia e scientificamente infondata della presunta superiorità di una “razza” sulle altre. Eppure, nonostante genetisti abbiamo dimostrato e confermato a livello scientifico che non esistono differenti razze umane, il razzismo continua a fare breccia nelle società contemporanee. Proprio a causa del perdurare di tendenze discriminatorie anche a livello educativo, l’obiettivo della conferenza e della mostra è principalmente consistito nel mettere a fuoco

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quali siano state le conseguenze storiche e personali che il divieto di accesso all’istruzione e alle professioni abbia avuto sulla società in generale e sulle persone di origine ebraica in particolare. Gli effetti furono infatti drammatici non solo per i docenti e gli studenti espulsi dalle scuole di ogni ordine e grado, bensì per lo stesso sistema educativo e formativo nel suo complesso. Oltre che perdere il fondamentale contributo di uomini e donne di scienza e di cultura, ben noti anche a livello internazionale, la pedagogia fascista subì un'ulteriore tragica svolta razzista che avrebbe permeato l’istruzione italiana negli anni a venire. Per tal motivo, in qualità di responsabile scientifica, voglio aggiungere solo qualche parola, tale da poter adeguatamene introdurre il progetto “Razza e Istruzione”. Forse la soluzione migliore è partire da una testimonianza, ovvero dal ricordo di un recente incontro avuto con una donna straordinaria, che ben simboleggia gli intenti che stanno a fondamento del nostro lavoro. Si tratta dei principi che stanno alla base dei diritti umani, della dignità, del rispetto, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà in tutti gli ambiti della convivenza civile, contro ogni tentativo di odio, rimozione e indifferenza, che è anche il tema che sarà alla base dell’intervento della Senatrice a vita, Liliana Segre. Poche settimane fa, mentre mi trovavo a New York presso l’Italian Cultural Institute nell’ambito di un progetto che sto svolgendo col Centro Primo Levi, ho incontrato una signora che mi ha raccontato come la prima tragedia della sua vita fosse iniziata quando “la mia esistenza fu ridotta a una cosa di poco conto. Non avevo più alcun valore. Avevo perso tutto ciò che rappresentava la mia comunità e la mia storia”. Era il 1938. Così Stella Levi, a 96 anni, rievoca quell’anno ancora con dolore pungente, dopo aver trascorso altri ottant’anni della sua vita. Ricorda l’allontanamento dalle sue compagne di scuola e la perdita della possibilità di continuare quell’istruzione a cui teneva con tutta sé stessa e che ha cercato di rincorrere inutilmente per tutta la sua vita, come qualcosa che le era stato indebitamente tolto e che aveva irrimediabilmente perduto, assieme all’esistenza “normale” di una ragazza che viveva felicemente la sua giovinezza con la famiglia. La prima tragedia della vita di Stella fu dunque l’allontanamento dalla scuola: l’istruzione è infatti un punto fondamentale per la crescita personale e la socializzazione comunitaria. Ma seguirono ben altre tragedie nella vita di Stella. L’espulsione dalla scuola fu solo l’inizio di quel processo di “bestializzazione” e di disumanizzazione, di cui porta ancora indelebilmente traccia sul braccio col numero: A - 24409.

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Stella Levi faceva parte della folta comunità italiana che allora abitava a Rodi, provincia italiana dal 1912, quale colonia del Dodecaneso. Rodi era allora una fiorente isola dedita al commercio, abitata da Greci, Turchi ed Ebrei di origine sefardita. Era una terra multilingue e multi-religiosa, accogliente come il suo porto e le sue calde acque. Tutte le diverse comunità vivevano in pace le une con le altre. Stella abitava a La Juderia e parlava ladino. Frequentava una scuola di suore, dove però il rabbino impartiva settimanalmente lezioni di cultura e di religione ebraica. Studiava greco antico, latino, filosofia, letteratura; amava l’opera, la poesia e la cultura classica. Si sentiva a tutti gli effetti pienamente cittadina italiana, nonostante non avesse mai vissuto in Italia. La giovinezza di Stella fu brutalmente interrotta nel luglio 1944 assieme a tanti altri Ebrei italiani di Rodi, con cui dovette condividere un imprevisto destino. Subito dopo l’armistizio firmato l’8 settembre 1943 dal Governo Badoglio, come accadde in tanti altri luoghi, anche Rodi fu occupata dalle truppe naziste. I soldati cominciarono subito a rastrellare e a deportare l’intera comunità ebraica dell’isola, utilizzando gli elenchi dei cittadini ebrei messi a disposizione dalle autorità italiane filo-fasciste. Stella ricorda però che nessuno degli amici italiani intervenne a loro difesa. Non riesce a farsi alcuna ragione, se non pensando che nessuno dei compatrioti potesse solo immaginare cosa sarebbe loro accaduto. Non può pensare di aver vissuto in una comunità che credeva libera, ma sotto la quale strisciava un celato razzismo. Sta di fatto che tutta la famiglia Levi, assieme ad altri 2.000 Ebrei di Rodi, fu deportata ad Auschwitz. Stella, diciannovenne, ricorda ancora il modo in cui si accomiatò dal Mar Egeo: faceva molto caldo, chiese di poter fare l’ultimo bagno, le fu concesso. Era in realtà l’ultima sensazione di un’esistenza libera. Il tragitto verso il campo di concentramento fu cruento: arrivarono ad Auschwitz dopo dieci interminabili giorni di trasporto e di sofferenze, trasbordati tra navi, carri e treni. L’intera famiglia di Stella fu subito sterminata. Stella invece riuscì a farcela. Paradossale, ma nel campo in cui si trovò a sopravvivere si sentiva estranea, quasi fosse una minoranza nella minoranza. Attorno a lei c’erano sì tanti altri Ebrei, ma erano di origine askenazita e parlavano l’jiddish. Lei, sefardita, parlava ladino e li capiva a stento. Solo 151 Rodensi riuscirono a sopravvivere, fra questi c’era Stella e la sorella Renée. La liberazione tardava però a venire. Inseguiti dall’avanzata degli alleati, i nazisti decisero di spostare i prigionieri ebrei da Auschwitz a Dachau. Qui Stella e Renée furono liberate dalle truppe americane il 16 aprile 1945. 7


Dopo la liberazione del campo venne subito chiesto ai sopravvissuti dove volessero andare. Nel frattempo, tutte le case degli Ebrei di Rodi erano state occupate ed espropriate. Stella non ebbe alcun dubbio: voleva andare in Italia, dove per altro non aveva mai vissuto, ma che sentiva come patria. La scelta cadde su Firenze, per la cultura umanistica che aveva studiato e in nome di un’educazione che Stella amava, ma che era stata forzatamente interrotta. Ma non fu facile. Alla fine degli anni ’40, Stella decise allora di emigrare a New York e di ricominciare una nuova vita. Quasi centenaria, Stella continua ancor oggi a lavorare a favore della cultura e della comunità italiana, della quale continua a sentirsi parte, ma soprattutto perché non dimentichi mai ciò che è accaduto e cosa le è successo. La storia di Stella Levi ben rappresenta l’intento del nostro lavoro, che significa cercare le radici di quella violenza letale che era stata impressa dal totalitarismo nazi-fascista contro comunità e persone: aveva cominciato a prendere forma attraverso una comunicazione dell’odio rivolto all’”altro” come “inferiore” e che si era poi sostanziata mediante un’”educazione razzista” fino a giungere a veri e propri processi di disumanizzazione e annientamento. La storia del brutale affermarsi delle leggi razziste e della loro radicalizzazione comincia infatti nel 1937, quando il governo fascista emanò le cosiddette leggi per la “tutela della razza”, rivolte dapprima alle colonie africane. L’anno successivo, nel 1938, una serie di provvedimenti anti-ebraici colpirono i cittadini italiani di origine ebraica, costringendoli ad abbandonare professioni, proprietà, scuole, università. Studenti, docenti e personale amministrativo furono espulsi dal mondo dell’educazione di ogni ordine e grado. Ebbe così inizio quel processo razzista e antisemita che avrebbe portato alla “soluzione finale”. Ricordare significa non-dimenticare. Le politiche dell’odio non possono che portare alla denigrazione dell’altro e alla segregazione, rendendolo disumanizzato e bestializzato. I materiali qui pubblicati intendono riassumere questo intento, ricordando l’articolo 33 della Costituzione Italiana secondo cui “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”. Le relazioni qui presentate approfondiscono la parte documentaria della mostra, suddivisa in 9 principali sezioni, scandite in senso cronologico: 1) La Mostra “Razza e istruzione”. 2) La “difesa della razza”. 3) L’applicazione delle leggi antisemite all’istruzione. 4) L’esclusione dalle università di studenti e docenti di origine ebraica. 5) Le università milanesi di fronte alle leggi razziali. 6) La reazione del mondo antifascista 8


alle leggi razziali. 7) La pedagogia fascista. 8) Le lettere degli ebrei italiani a Mussolini dopo le leggi antisemite. 9) La faticosa via del rientro. Il lavoro che qui pubblichiamo è il prodotto di un vero e proprio lavoro corale, di un progetto condiviso, iniziato nel 2018 nell’ambito delle celebrazioni del ventennale di fondazione dell’Università di Milano-Bicocca e che ha preso forma attraverso riunioni e complesse ricerche che hanno coinvolto molti esperti, istituzioni, archivi e fondazioni. Non posso allora esimermi dal ringraziare per il loro prezioso contributo i membri del Comitato Scientifico, in particolare la collega Barbara Bracco, professoressa di storia contemporanea, che con me ha organizzato con generosità e competenza la mostra e la conferenza. Sono inoltre grata a Sira Fatucci (rappresentante dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e responsabile dei settori Memoria della Shoah), Gadi Luzzatto Voghera (direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), Michele Sarfatti, (già direttore del CDEC e fra i massimi studiosi delle leggi antiebraiche), Emanuele Edallo (professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano, che ha studiato la storia di docenti espulsi), Marina Cattaneo (vice-presidente della Fondazione Kuliscioff, nonché allestitrice della mostra), Luciano Belli Paci (membro del Circolo Rosselli e impegnato in molte iniziative contro ogni forma di razzismo, antisemitismo e discriminazione), Vincenza Iossa (bibliotecaria che ha messo a disposizione testi provenienti dalla Biblioteca “Luigi De Gregori” presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, già “Ministero dell’Educazione Nazionale”), Manuele Gianfrancesco (dottorando in Storia presso la Sapienza Università di Roma, che ha lavorato su testi dell’UCEI, oltre che presso la biblioteca del MIUR). Le ricerche sono state svolte presso l’Archivio di Stato di Milano; Biblioteca “Luigi De Gregori” – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea; Fondazione Corriere della Sera; Fondazione Giangiacomo Feltrinelli; Fondazione Anna Kuliscioff; Istituto Luce Cinecittà; Unione delle Comunità Ebraiche Italiane; Politecnico di Milano; Università degli Studi di Milano; Università degli Studi di Milano-Bicocca (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale; Archivio Storico della Psicologia Italiana, Polo di Archivio Storico della Biblioteca di Ateneo); Università Bocconi; Università Cattolica del Sacro Cuore. Fondamentali per il nostro lavoro sono stati infatti i bibliotecari, archivisti, dirigenti e ricercatori che ci hanno fornito i materiali esposti nella mostra. Ringrazio pertanto 9


Maurizio di Gerolamo e Paola Zocchi della Biblioteca dell’Università degli Studi di MilanoBicocca;

Vittore

Armanni

della

Fondazione

Giangiacomo

Feltrinelli;

Benedetto

Luigi Compagnoni e Antonella Cesarini dell'Archivio di Stato di Milano; Francesca Tramma della Fondazione Corriere della Sera; Vincenza Iossa della Biblioteca “Luigi De Gregori” del MIUR; Gadi Luzzato Voghera del CDEC; Marina Cattaneo della Fondazione Anna Kuliscioff; Sira Fatucci dell’UCEI; Massimo Martella per il documentario dell’Istituto Luce Cinecittà messo gentilmente a disposizione. Sono anche grata ai colleghi Stefano Morosini del Politecnico di Milano; Marzio Achille Romani e Tiziana Dessi dell’Università Bocconi; Damiano Palano dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Emanuele Edallo dell’Università degli Studi di Milano per le ricerche d’archivio svolte nelle università di afferenza. Grazie anche a Simona Salustri dell’Università di Bologna, Patrizia Guarnieri dell’Università di Firenze e Daniel Fishman storico, per aver accolto il nostro invito. Un nostro particolare ringraziamento va poi a Gregorio Taccola che ci ha aiutato con pazienza nella realizzazione del progetto e ad Antonio Garonzi che è riuscito in poco tempo a dare un’elegante veste grafica alla mostra. Non posso tuttavia negare che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’aiuto dello staff dell’Università di Milano-Bicocca che è stato davvero straordinario nel supportarci con puntualità e professionalità. Quindi non posso esimermi dal ringraziare le diverse aree tecnico-amministrative coinvolte: il rettorato, l'area della comunicazione, l’ufficio stampa, la sezione grafica, la redazione web, i servizi per i grandi eventi, i servizi multimediali e altri ancora. Grazie ovviamente al Rettore Prof. Cristina Messa e al Direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Prof. Giampaolo Nuvolati per aver finanziato il progetto. Un ringraziamento va anche alla nuova Rettrice Prof. Giovanna Iannantuoni che ha sostenuto la pubblicazione on line del nostro lavoro. A oltre 80 anni dall’emanazione di leggi illiberali, l’Università come luogo dedito alla ricerca libera, alla formazione inclusiva e alla cittadinanza attiva, è ora più che mai uno spazio da preservare perché fondamentale per riflettere sull’uguaglianza, la libertà, il rispetto e la dignità, praticandole nelle attività di tutti i giorni. L’Ateneo di Milano-Bicocca, che ha compiuto da poco vent’anni di vita, intende riaffermare con questa iniziativa la forza dei principi democratici e il rispetto dei diritti umani, sempre. Copyright ©2020 – Marina Calloni - Tutti i diritti riservati 10


- Introduzione 2.

Giampaolo Nuvolati Professore ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio – Direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale – Università degli Studi di Milano-Bicocca

La manutenzione quotidiana della democrazia Sono particolarmente onorato in questa sede di rappresentare il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale che si è fatto promotore insieme al Rettorato di questa iniziativa sulle leggi razziali del 1938 con l’intento di analizzare come queste abbiano profondamente e perniciosamente inciso sui processi educativi e formativi nel nostro Paese. Si tratta di una iniziativa davvero rilevante che vede coinvolte diverse associazioni e istituzioni che voglio qui ricordare e ringraziare per aver contribuito alla realizzazione di questa giornata: Archivio di Stato di Milano; Biblioteca “Luigi De Gregori” – Ministero dell’Istruzione, dell’Università̀ e della Ricerca; Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea; Fondazione Corriere della Sera; Fondazione Giangiacomo Feltrinelli; Fondazione Kuliscioff; Istituto Luce; Unione delle Comunità Ebraiche Italiane; Politecnico di Milano; Università degli Studi di Milano; Università̀ degli Studi di MilanoBicocca (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Biblioteca di Ateneo, Polo di Archivio Storico, Archivio Storico della Psicologia Italiana); Università̀ Bocconi; Università̀ Cattolica del Sacro Cuore. Nel portarvi i saluti e aprire i lavori vorrei proporvi una brevissima digressione riprendendo alcuni temi a me particolarmente cari come sociologo urbano che studia la qualità della vita nelle città. Ebbene il concetto di “qualità della vita” può essere scomposto in più aspetti: l’abitare, la l’istruzione, il tempo libero, la salute, la cultura, la partecipazione sociale, l’ambiente, la dotazione di servizi, etc. etc.. Molti di questi ambiti, che tecnicamente chiamiamo domini, presentano andamenti confortanti. Pensate ad esempio al miglioramento della nostra condizione di salute: l’aspettativa di vita della popolazione è infatti in continua crescita; o, ancora, pensate al livello di istruzione, con l’aumento dei/delle laureati/e. Dietro a questo processo di sviluppo non solo economico ma anche sociale, si nascondono tuttavia fenomeni che segnano un passo in senso contrario. Mi riferisco al tema dell’ambiente che desta sempre più preoccupazioni in molte parti del pianeta in seguito al surriscaldamento della Terra; mi riferisco anche alle 11


nuove forme di povertà e crisi del welfare State, tanto da farci temere che i nostri figli non potranno disporre delle risorse economiche ed assistenziali di cui abbiamo goduto noi. In sintesi, alcuni indicatori presentano andamenti altalenanti e richiedono l’analisi attenta delle serie storiche dei dati. Certo la cosiddetta post-modernità presenta tra le sue caratteristiche una forte concentrazione sull’hic et nunc, con la conseguente trascuratezza tanto nei confronti storia passata, quanto delle proiezioni verso il futuro. Il rischio è però quello di una autoreferenzialità spazio-temporale dei sistemi messi in crisi da variabili esogene, imprevedibili o latenti. L’aspetto che vorrei sottolineare è che le dinamiche appena descritte si intrecciano tra di loro e rendono non facilmente distinguibili le situazioni di progresso o al contrario di stallo, se non di regressione, che possono determinarsi mettendo in crisi assetti che credevamo definitivamente consolidati. Questo vale anche per i diritti umani, per la riconoscibilità e il rispetto dell’alterità, della sua cultura, della sua religione. La sensazione secondo cui il mondo stia procedendo nella direzione di una emancipazione complessiva dell’umanità attraverso il riconoscimento unanime dei diritti fondamentali per uomini e donne – nonostante le grandi tragedie che lo hanno caratterizzato nel corso del ’900 - non deve impedirci di riscontrare come alcune forme di ostilità contro tale processo non siano state ancora superate, per cui si richiede una manutenzione quotidiana della democrazia, si richiede di custodire la memoria per trasferirla alle nuove generazioni. Spesso queste forme di ostilità agiscono sottotraccia, non sono immediatamente visibili; si confondono nel solco illusorio di un progresso lineare; poggiano sull’indifferenza delle persone e sulla banalità del male, come descritto da Hannah Arendt nel suo fondamentale reportage.. Ma viene un momento in cui queste ostilità si materializzano e prendono una forma decisa e preoccupante. Siamo così richiamati ad un rinnovato impegno, all’assunzione di responsabilità al fine di portare avanti i valori universali in cui crediamo. Ecco, io credo, per concludere, che dobbiamo essere vigili da questo punto di vista: nel non dar nulla per scontato, nel leggere con attenzione le trasformazioni che in modo spesso contraddittorio segnano la nostra epoca. E il convegno di oggi ne è testimonianza. Buon lavoro. Copyright ©2020 – Giampaolo Nuvolati - Tutti i diritti riservati

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3.

Sira Fatucci Responsabile dei settori Memoria della Shoah, Antisemitismo e Giornata Europea della Cultura Ebraica Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI)

“La malvagità non ha bisogno di persone malvagie, ha bisogno di persone obbedienti.” Un’introduzione “La malvagità non ha bisogno di persone malvagie, ha bisogno di persone obbedienti.” Se si dovesse illustrare in poche parole il meccanismo malvagio, organizzato e realizzato attraverso le leggi razziali e in particolare nel mondo accademico e scolastico, questa frase si applicherebbe perfettamente. Si deduce anche che per il suo funzionamento il sistema si sia servito di molte persone obbedienti. Sul sito scuolaememoria.it - curato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), messo da poco online - nella sezione dedicata proprio al mondo della scuola, il primo documento che abbiamo voluto inserire riguarda la lettera di un preside americano, piuttosto conosciuta ma che ci piace qui ancora ricordare, che ad ogni inizio di anno scolastico usava inviare ai suoi insegnanti: “Caro professore, sono il sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiore e università. Diffido – quindi – dall’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.” Mi auguro che l’organizzazione della mostra su Razza e Istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938, possa costituire un ulteriore tassello verso la costruzione di un muro contro l’indifferenza. E pronunciando questa parola voglio rendere omaggio alla Senatrice, ma ancor prima alla donna nel senso più bello e pieno del termine, Liliana Segre. 13


Il convegno si incentra sul rapporto tra il razzismo fascista da una parte e il mondo della cultura e dell’istruzione in ogni sua declinazione – di ordine e grado – dall’altra. Si tratta di un tentativo di raccontare quanto fu profondo e capillare l’impatto che le leggi razziali ebbero sulla scuola e sulla società, oltre che ricordare e rendere un tardivo omaggio agli studenti, ai docenti e ad ogni lavoratore del mondo dell’istruzione e delle istituzioni culturali estromessi dalla vita pubblica e scolastica o comunque coinvolte in questo processo. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha voluto contribuire a questa mostra e alla riflessione che ne segue, inviando una selezione significativa della documentazione contenuta nel proprio archivio storico. I documenti hanno un obiettivo storico-narrativo ben preciso: restituire le interazioni tra gli scriventi delle varie comunità italiane e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, all’epoca denominata Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII) e il Ministero dell’Educazione Nazionale, all’indomani dell’emanazione delle leggi razziali. Sono documenti che vogliono mettere in luce le storie di individui e delle comunità, affinché emergano le loro voci, considerate preziose per ricostruire non solo il quadro storico, ma anche umano. Dallo studio dei documenti emerge un quadro ben preciso, dove - per l’appunto - sia istituzioni, sia persone sono sconvolte, confuse, oserei dire smarrite di fronte a ciò che stava accadendo. L’espulsione dalle scuole rompe la normalità, l’interazione con l’alterità, la possibilità stessa di realizzarsi nella vita e di concepire un orizzonte futuro. C’è una vera e propria rottura della quotidianità, da cui traspare una difficoltà ad accettare i provvedimenti. Le voci che emergono dall’archivio spiegano come non ci fu un’accettazione passiva dei provvedimenti razzisti, bensì il tentativo di produrre - in diversi modi - una risposta, spesso articolata e laboriosa, che non trovò comunque ascolto nell’interazione con il Ministero dell’Educazione Nazionale. Sono numerose, infatti, le richieste rispedite al mittente da parte del Ministro Giuseppe Bottai, come dimostrano i documenti presenti nel nostro archivio storico. Ricorro solo a due esempi. Il primo è relativo al caso dello studente Ruggero Pesaro della comunità ebraica di Ferrara, che scrive direttamente al Ministero dell’Educazione Nazionale per chiedere di avere la possibilità di terminare gli studi e di conseguire il diploma di geometra. Il caso è in qualche modo emblematico, perché lo scrivente cerca 14


di accreditarsi, mostrando la sua adesione allo Stato fascista e alle sue strutture, come testimonia la “Croce al Merito” conferita dal Presidente dell’Opera Nazionale Balilla con la motivazione di essere stato “un costante esempio di buona volontà e disciplina”. Accanto a questo documento troviamo la risposta del Presidente dell’UCII, che comunica l’esito negativo della richiesta da parte del Ministero dell’Educazione Nazionale. Il secondo esempio riguarda la richiesta, proveniente del Presidente della comunità israelitica di Torino e sempre indirizzata al Ministero dell’Educazione Nazionale, di poter attivare corsi di perfezionamento in studi commerciali. Cito testualmente: in questa comunità è stato da varie parti espresso il desiderio che vengano in qualche modo istituite, su scala ridotta, corsi di perfezionamento di studi commerciali che giovino a completare la preparazione tecnica (economica e linguistica) di questi giovani, facilitandone l’adito di impieghi di concetto nelle aziende commerciali in genere, agrarie, bancarie e assicuratrici. Non potendo svolgere mansioni pubbliche, d’altronde, la risposta è naturalmente diretta al settore privato, testimoniando il tentativo di trovare soluzioni pratiche in quella drammatica situazione. Anche in questo caso la richiesta viene negata, ma è interessante notare come la risposta arrivi direttamente dal Ministro Giuseppe Bottai. Dalle fonti proposte, la scuola emerge quindi come il luogo più rappresentativo di questa rottura provocata dalle leggi razziali e in generale dall’introduzione del razzismo fascista nella società. Gli altri documenti presentati raccontano, infatti, la necessità di guardare alla scuola come momento non solo educativo, bensì come luogo di aggregazione anche nel contesto dell’esclusione razzista, quasi come fosse una continuità della vita collettiva. Nell’interazione fra le singole comunità locali e l’UCII, emerge pertanto la richiesta di una normalità che passa attraverso la presenza di un’istituzione scolastica, dove permettere il momento educativo. Come noto, al primo Regio Decreto-Legge (5 settembre 1938 - “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”) segue il “REGIO DECRETO-LEGGE 23 settembre 1938-XVI, n. 1630”, con cui vengono istituite scuole elementari per fanciulli di razza ebraica. Tra i documenti raccolti per la mostra viene presentato un opuscolo intitolato Le scuole israelitiche in Italia, che si sofferma sulla situazione dell’istruzione nelle più importanti comunità italiane, censendo l’espulsione dalla scuola pubblica dei ragazzi classificati di 15


“razza ebraica”; inoltre, emerge l’impegno da parte delle piccole singole comunità di farsi carico dell’educazione dei ragazzi, come ad esempio ad Alessandria e a Parma, dove “l’insegnamento elementare è impartito, ai pochi bimbi esistenti, da una maestra incaricata dalla Comunità”. La stessa UCII si impegnò a capire come offrire un’alternativa. Il 20 settembre 1938, ad esempio, un documento della Presidenza - “interessandosi ai vari aspetti del problema scolastico”, nel tentativo di dare una soluzione - invitava a raccogliere i dati “sia numerici che qualitativi, relativi agli alunni di qualsiasi scuola e corso”. È bene valutare le conseguenze sociali ed umane che le leggi razziali provocarono. Dai documenti risulta una grande apprensione, data sia dall’incredulità nei confronti di quelle leggi, sia dal vuoto che esse crearono. Anche in questo caso, emergono le voci delle singole comunità nel tentativo di produrre e allo stesso tempo di ricevere una qualche risposta. Un esempio è la lettera inviata alla Presidenza dell’UCII da parte di Goffredo Passigli Presidente della comunità ebraica di Firenze -, datata 19 ottobre 1938. Nella missiva si prende atto dell’espulsione degli ebrei dalle scuole e si cerca di interloquire con il Regio provveditorato per costituire una scuola per gli alunni espulsi. Cito testualmente: Ci risulta da una circolare governativa che tutti gli alunni di razza ebraica sono stati esclusi dalla Scuola Statale. Vi preghiamo di darci immediatamente disposizioni onde poterci mettere in contatto con il Regio provveditorato agli studi di Firenze per poter addivenire alla costituzione di una scuola governativa elementare per gli alunni di razza ebraica istituita a cura dello Stato. D’altra parte, tutti questi tentativi non devono stupire: l’educazione è uno degli obblighi prescritti nell’ebraismo. “E lo insegnerai ai tuoi figli” è uno dei comandamenti che si ripete anche nella preghiera quotidiana. L’educazione, per l’ebraismo, è uno dei valori fondamentali e fondanti. Non a caso all’inizio dello Shemà, il brano biblico diventato testo liturgico per eccellenza, dopo l’affermazione dell’unicità di Dio e dell’amore per Lui, si passa immediatamente all’obbligo della trasmissione dei valori: “Ripeterai queste parole ai tuoi figli e ne parlerai quando sei in casa e quando cammini per strada; quando ti corichi e quando ti alzi”. Nel Talmud - la cui radice ebraica rimanda al Limud, ovvero allo studio – viene raccontata la storia di uno studente che voleva imparare tutta la Torah stando su un piede solo, ovvero in brevissimo tempo.

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Questi venne scacciato in malo modo dal Maestro Shamay. Si rivolse allora ad un altro grande Maestro dell’ebraismo dell’epoca, Hillel, che gli rispose “Ama il prossimo tuo come te stesso. Tutto il resto è commento. Ed ora va via e studia”. Copyright ©2020 – Sira Fatucci - Tutti i diritti riservati

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- Parte 1. L’impatto delle leggi razziali sul sistema educativo in Italia

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Gadi Luzzatto Voghera Direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), Milano.

Educazione e leggi razziali L’intervento di Gadi Luzzatto Voghera è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=2170

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Daniel Fishman Storico ed esperto in strategie di comunicazione

Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943)1

Lo sconvolgimento quotidiano Durante il fascismo la vita quotidiana dei bambini e dei ragazzi era regolata in tutti i minimi aspetti. Anche nei momenti del tempo libero si prevedevano precise attività, gruppi e impegni, a seconda dell’età e del sesso. Entro tale quadro educativo, estremamente rigido e totalizzante, si vengono ad inquadrare le leggi razziste relative alla scuola. Si tratta solo di uno degli aspetti, forse quello più evidente, di una serie di provvedimenti volti ad escludere gli ebrei dal consesso nazionale, tale da rendere loro difficoltosa, se non impossibile, la vita personale, civile e professionale. Per tale ragione, l’espulsione dalle scuole pubbliche non può che essere spiegata insieme agli altri provvedimenti antisemiti che furono man mano emessi. Così come articolate, le leggi razziste fecero sì che gli ebrei vedessero cambiare da un giorno all’altro la loro vita quotidiana, la visione della società, la percezione del futuro, i propri ideali e i punti di riferimento. Preso atto di questa nuova realtà, le comunità ebraiche si attivarono prontamente, in modo tale che nell’arco di soli due mesi, nell’autunno del 1938, alla ripresa dell’anno scolastico potessero essere pronte scuole, classi, insegnamenti, indirizzi di studio e materiali didattici. Come poter organizzare, ri-progettare, ricreare reti di relazioni per tutte quelle migliaia di persone (alunni, professori, bidelli, dirigenti scolastici) che erano state espulse? La risposta è duplice ed apparentemente opposta: permettendo la realizzazione di uno stato di normalità e creando parimente situazioni straordinarie.

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Il presente intervento si riferisce al testo, D. Fishman, Le classi invisibili. Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943), Saonara, Il Prato, 2019. Il libro presenta una precisa ricostruzione di quanto avvenne in tutte le città italiane dove erano presenti comunità ebraiche, nonostante che le conseguenze delle leggi razziali si fecero sentire in tutte le scuole del Regno, dove insegnavano i docenti ebrei espulsi.

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La ricerca della normalità Di fronte a persone, anche di giovane età, la cui vita era stata completamente sconvolta, la possibilità di determinare una situazione di continuità negli studi rappresentava un modo per affermare che, attraverso lo studio, le comunità ebraiche volevano continuare a credere nel futuro, seppur incerto, e nell’importanza di dotare le nuove generazioni degli strumenti necessari per affrontarlo. Si aprì da subito un significativo dibattito in merito a quali indirizzi di studio preferire, organizzando sia sondaggi tra le famiglie, sia dibattiti tra presidi e docenti di diverse città. In alcuni casi eccezionali, le autorità del Ministero permisero l’istituzione di sezioni ebraiche nelle scuole pubbliche, facendo però attenzione che in queste non vi fosse alcuna interazione tra bambini ebrei ed “ariani”, organizzando orari di lezione ed entrate diverse. Alcuni docenti e presidi ebrei erano convinti della necessità di preferire gli studi classici per le scuole ebraiche, un orientamento sintonico con la condizione di piena integrazione, anche culturale, degli ebrei, presenti da secoli in Italia. Altri docenti propugnavano invece una strada, forse più realista dopo quanto determinato dalle leggi razziste, volta a preparare i ragazzi delle superiori verso competenze e sviluppi in ambiti che avrebbero dato maggiori garanzie per il futuro, ad esempio, prospettando indirizzi di studio nel settore agricolo o commerciale. Si pensò però all’ideazione di nuovi modelli. Nel caso della scuola ebraica di Roma ci fu, per esempio, un interessante esperimento ideato dagli stessi ragazzi che crearono una simil- azienda che aveva però tutte le caratteristiche di una vera e propria società commerciale. Questo caso ci aiuta ad introdurre l’elemento opposto che intendevamo sostenere, vale a dire l’eccezionalità del sistema scolastico ebraico, a partire dall’emanazione delle leggi razziste. Libertà e la straordinarietà Alcuni tra i migliori docenti universitari erano stati espulsi dagli atenei italiani. Impossibilitati a continuare l’insegnamento pubblico, i più fortunati tra di loro poterono trovare un impiego presso le neonate scuole ebraiche. Fu davvero singolare, ma anche straordinariamente incoraggiante, vedere all’opera alcune delle migliori menti del paese

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impegnate con bambini e ragazzi molto più giovani degli studenti universitari, ai quali i professori erano soliti insegnare. Questo determinò un livello di insegnamento di altissimo livello. Un'altra conseguenza di questo organico di docenti di primissimo piano consistette nella possibilità di disporre di alcune delle menti più libere e dichiaratamente antifasciste del paese. Con ciò non si vuole affermare che le scuole ebraiche fossero ambiti di dichiarata opposizione al regime fascista, anche se si possano citare tanti esempi di lezioni, dibattiti e studio che riguardavano autori proibiti. Si venne così a creare una situazione anomala ed unica all’epoca. A seguito delle leggi razziste e dopo essere stati dichiarati “diversi ed esclusi”, gli ebrei pensarono che forse potevano essere veramente liberi e diversi rispetto al restrittivo impianto scolastico nazionale, allora vigente. Anche coloro che si erano dichiarati di provata fede fascista, capirono che bisognava cambiare registro. Tale dinamica non avvenne però apertamente e in modo subitaneo. Basti ricordare, per esempio, i curricula inviati dai professori alle scuole ebraiche o al Ministero, dove venivano citate benemerenze e medaglie al valore conseguiti per meriti fascisti nel corso degli anni, nella speranza che potessero valere come attestati di merito, al fine di essere impiegati nelle costituende scuole ebraiche. Un altro elemento di novità e straordinarietà consistette nella creazione di pluri-classi, dove i bambini di diverse età avevano un unico professore, seppur con insegnamenti diversamente modulati. Non si trattò di una scelta voluta, bensì di una soluzione dovuta, adottata da quelle comunità che avevano o pochi bambini oppure non disponevano di locali sufficienti da adibire a scuola. Una volta decisa l’espulsione degli ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado, lo Stato fascista non aveva però determinato con precisione i criteri organizzativi con i quali le scuole ebraiche dovevano essere costituite. Questo significò che tutto l’onere organizzativo ed economico fu sobbarcato dalle comunità e dalle famiglie, che dovettero tra l’altro ricavare aule e scuole da edifici comunitari, precedentemente adibiti ad altro uso. Se si pensa che questo sistema scolastico, anche complesso, fu creato in soli due mesi, si può parlare di un vero e proprio successo pedagogico ed organizzativo. Se poi si considera che fino al 1943, ovvero quando cominciarono le vere e proprie persecuzioni degli ebrei, le scuole furono in grado di assicurare lezioni ed esami, con docenti anche per strada e con i registri sotto braccio, allora si può constatare come 21


queste realtà educative si fossero ormai consolidate e come il progetto si fosse dimostrato proficuo, nonostante fosse stato sviluppato in così poco tempo e in una situazione tanto drammatica.

Copyright ©2020 – Daniel Fishman - Tutti i diritti riservati

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6.

Michele Sarfatti Storico fra i massimi studiosi delle leggi antiebraiche, già direttore del CDEC

I provvedimenti antiebraici nella scuola e nelle Università L’intervento di Michele Sarfatti è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=3951

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7.

Simona Salustri Professoressa a contratto in Storia Contemporanea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna

Le legislazioni antiebraiche nelle Università italiane L’intervento di Simona Sallustri è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=5855

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8.

Emanuele Edallo Professore a contratto in Storia Contemporanea, Università degli Studi di Milano.

L’applicazione delle leggi antiebraiche alla Regia Università di Milano I docenti espulsi “Nel personale accademico avvengono in quest’anno notevoli variazioni: non di tutte può essere dato conto in questo Rapporto, giacché per motivi contingenti non s’è potuto ancora provvedere con disposizioni definitive a diverse cattedre vacanti. Recenti disposizioni superiori d’ordine razzista hanno esonerato dal compito didattico nove professori di ruolo ed un professore incaricato stabile della nostra Università: ce ne separiamo con rispetto per l’opera da essi spiegata in servizio della scienza”2. Con queste parole, pronunciate il 13 novembre 1938 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1938-39, il Rettore Alberto Pepere annunciava l’allontanamento per motivi razzisti dei professori di ruolo ebrei dalla Regia Università di Milano. 3 Si trattò, in quella sede, dell’unico riferimento alla legislazione razzista; non venne fatto alcun nome e nulla venne detto a proposito degli assistenti, degli aiuti e dei liberi docenti

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Relazione del Rettore prof. Alberto Pepere, in R. Università degli Studi di Milano, Annuario anno accademico 1938-39-XVII, p. 9. 3 Per quanto riguarda i primi e più significativi contributi di carattere generale in merito all’applicazione della legislazione antiebraica nelle università italiane, cfr. A. Ventura (a cura di), L’università dalle leggi razziali alla resistenza. Atti della giornata dell’Università italiana nel 50° Anniversario della Liberazione, Padova, Cleup, 1996; Id., “La persecuzione fascista contro gli ebrei nell’Università italiana”, Rivista storica italiana, 1997, vol. 109, n. 1, pp. 121-197; M. Sarfatti, “La scuola, gli ebrei e l’arianizzazione attuata da Giuseppe Bottai”, in D. Bonetti [et al.] (a cura di), I licei G. Berchet e G. Carducci durante il fascismo e la Resistenza, Milano, Liceo classico statale G. Carducci, 1996, pp. 37-66; Id., “L’espulsione degli ebrei dall’università italiana”, Italia contemporanea, dicembre 1997-marzo 1998, vol. 209-210, pp. 253-257; R. Finzi, L’università italiana e le leggi antiebraiche, Roma, Editori Riuniti, 2003 (prima ed. 1997); R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, Scandicci, La Nuova Italia, 1999; G. Turi, “Uomo nuovo, di razza italiana”, in Id., Lo stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 121-146; A. Capristo, “Il Decreto legge del 5 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e nelle accademie”, La Rassegna Mensile di Israel, Maggio-Agosto 2007, vol. 73, n. 2, pp. 131-167; V. Galimi, G. Procacci (a cura di), “Per la difesa della razza”. L’applicazione delle leggi antiebraiche nelle università italiane, Milano, Unicopli, 2009. Per un’analisi della storiografia sul tema cfr. T. Dell’Era, “La storiografia sull’università italiana e la persecuzione antiebraica”, Qualestoria, 2004, vol. 32, n. 2, pp. 117129.

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che subirono la medesima sorte. Qualche considerazione in più venne espressa, in quei giorni, nei singoli Consigli di Facoltà, come in quello di Giurisprudenza, nel quale il Preside professor Giuseppe Menotti De Francesco (che avrebbe poi ricoperto la carica di Rettore durante gli anni della R.S.I. e ancora tra il 1948 e il 1960), pur ribadendo “che i provvedimenti di carattere eminentemente politico disposti di recente per la questione della razza debbano essere riguardati con disciplinato spirito fascista”, riteneva di “soddisfare ad un sentimento di amicizia e di considerazione della lunga opera prestata dai colleghi Giorgio Mortara e Mario Falco a vantaggio di questa Università, il mandare ad essi un saluto cordiale nel momento in cui si separano da noi” 4. E ancora, il professor Castiglioni, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, durante la seduta del 14 ottobre 1938, volle ricordare i colleghi (Benvenuto Terracini, Paolo D’Ancona e Mario Attilio Levi), “dalle recenti disposizioni di legge definitivamente eliminati dall’insegnamento, i quali lasciano per la esemplare attività di Maestri, per l’alto valore scientifico, per la dignità di vita, memoria non labile nella scuola e tra i colleghi”5. Come nel discorso inaugurale del Rettore Pepere, è interessante notare che anche qui nessun riferimento venne fatto in merito agli studenti, per i quali è, in effetti, molto difficile fornire dei dati verosimili, dal momento che agli studenti ebrei italiani e stranieri – ad eccezione di quelli tedeschi - iscritti già dall’anno accademico 1937-38 che non fossero fuori corso, era consentito proseguire gli studi. Ciò rende essenzialmente impossibile, in mancanza di documentazione che fornisca dei dati e delle informazioni in merito, ricostruirne la reale entità. Non disponendo la legge a loro danno, essi continuarono il loro percorso confusi all’interno della comunità studentesca universitaria, concludendo il proprio percorso di studi o allontanandosene gradualmente “per stillicidio” – per usare le parole di Elisa Signori6. Per quanto concerne la Regia Università di Milano, l’unico dato ad oggi rinvenuto in merito alla presenza di studenti ebrei italiani quantifica in 96 gli iscritti all’anno accademico 1937-38 “in prevalenza – si legge nel verbale della

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Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Organi di governo, Consigli di Facoltà, Verbali Facoltà di Giurisprudenza dal 9-7-1938 al 12-3-1946. 5 Ivi, Verbali Facoltà di Lettere e Filosofia dal 1924 al 1943. 6 E. Signori, “Contro gli studenti. La persecuzione antiebraica negli atenei italiani e le comunità studentesche”, in V. Galimi, G. Procacci (a cura di), “Per la difesa della razza”. L’applicazione delle leggi antiebraiche nelle università italiane, cit., p. 175.

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seduta del Consiglio di amministrazione del 5 ottobre 1938 - della Facoltà di Medicina e Chirurgia, che però già si sono ridotti a 61, essendosi alcuni laureati ed altri congedati.” 7 Più esauriente è, invece, la questione degli studenti ebrei stranieri; dalle carte d’archivio è emerso che, a fine gennaio 1938 ve ne erano 70. Di questi, 4 erano iscritti a Giurisprudenza, 4 a Lettere, ben 58 a Medicina, 3 a Scienze 1 a Medicina veterinaria e nessuno ad Agraria; 56 erano uomini e 14 donne.8 Per quanto riguarda il corpo docente, il 29 settembre l’Università aveva inoltrato al Ministero 835 schede per il censimento del personale di razza ebraica, a cui era stato allegato un prospetto riassuntivo indicante tutti coloro che avessero almeno un genitore ebreo9. Il 14 ottobre 1938 il Ministero dell’Educazione Nazionale comunicò al Rettore i nominativi dei docenti, figli di entrambi i genitori ebrei, che, nel rispetto delle norme stabilite nel R.D.L. del 5 settembre 1938, avrebbero dovuto essere sospesi a partire dal 16 ottobre. Il ministro si sarebbe riservato di integrare l’elenco con altri nomi eventualmente emersi da una più attenta ricerca, cosa che avvenne anche nell’ateneo milanese, in particolare per il personale di nomina rettorale.10

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Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Organi di governo, Consigli di Facoltà, Verbali del Consiglio di Amministrazione, 5 ottobre 1938. 8 Comunicazione del Rettore Pepere al Ministero dell’Educazione Nazionale, 25 gennaio 1938; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, busta Studenti e Laureati. Pratica generale. 9 Circolare n. 12336 del 9 agosto 1938 dal Ministero dell’Educazione Nazionale, Gabinetto, a tutte le autorità dipendenti, oggetto: censimento del personale di razza ebraica; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Dati statistici del personale. Censimento del personale di razza ebraica - Razza”. Veniva fornita l’indicazione di distribuire le schede a tutto il personale, di ruolo e non, che a qualsiasi titolo prestasse servizio presso l’Università, compresi i liberi docenti, invitando tutti a riempirle e a firmarle. Le schede, distinte per le varie categorie del personale, avrebbero poi dovuto essere inviate al Ministero con sollecitudine e non oltre la fine di settembre; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali”. Nonostante il “congruo numero di schede” trasmesse (850), il 29 agosto venne fatta richiesta per averne altre 200; telegramma del Prorettore Cazzaniga al Ministero dell’Educazione Nazionale, DGIS, in data 29 agosto 1938; ivi. 10 Comunicazione del Ministero dell’Educazione Nazionale, Direzione generale dell’Istruzione superiore al Rettore della Regia Università di Milano in data 14 ottobre 1938; oggetto: sospensione del personale; ivi. Il 21 ottobre Pepere comunicò la sospensione dal servizio ai nove professori ordinari; ivi.

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Nel complesso, il decreto colpì 38 persone appartenenti al corpo docente su un totale di 650, pari al 5,84%.11 I professori di ruolo ordinari e straordinari erano dieci: Giorgio Mortara (Statistica), Mario Falco (Diritto ecclesiastico), Mario Donati (Clinica chirurgica generale e Terapia chirurgica), Carlo Foà (Fisiologia umana), Paolo D’Ancona (Storia dell’Arte medioevale e moderna), Aron Benvenuto Terracini (Glottologia), Mario Attilio Levi (Storia romana), Guido Ascoli (Analisi matematica infinitesimale), Alberto Ascoli (Patologia generale e Anatomia patologica), Felice Supino (incaricato stabile di Zoologia). Dunque, furono espulsi 10 professori di ruolo su 77, pari al 12,98%, una percentuale decisamente più alta della media nazionale attestantesi sul 7% e tra le massime sinora note.12 Dei 96 professori di ruolo ordinari e straordinari espulsi dalle università italiane, poco più di un decimo proveniva dall’ateneo milanese. Su 110 professori incaricati, ne vennero colpiti 4 (pari al 3,7 %): Bruno Finzi-Contini (Disegno), Goffredo Arnoldo Reichenberger (lettore di Tedesco), Bruno Schreiber (Genetica), Luigi Szegoe (Chimica analitica quantitativa e industriale). Gli aiuti e assistenti furono 6 su 85 (il 7%): Massimo Calabresi (Clinica medica generale), Paolo Levi (Patologia speciale medica), Gina Luzzatto (Botanica), Giorgio Ara (Chimica biologica), Giuliana Fiorentino (Storia della Lingua italiana), Willy Schwarz (assistente incaricato presso la cattedra di Clinica pediatrica). I liberi docenti furono 18 su 378 (il 4,7 %): Mario Artom (Patologia speciale medica dimostrativa), Ruggero Ascoli (Clinica delle malattie delle vie urinarie), Arturo Sergio Beer

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Si tratta di una percentuale inferiore rispetto ad altri atenei (Firenze 6,5%, 39 su 621, Bologna 8,37%, 53 su 633 e Padova 9,2%, 49 su 528. Per Pisa, Firenze, e Bologna si faccia riferimento agli studi di Pelini e Pavan, Cavarocchi, Salustri, in V. Galimi, G. Procacci (a cura di), “Per la difesa della razza”. L’applicazione delle leggi antiebraiche nelle università italiane, cit. Per Padova cfr. Ventura, “La persecuzione fascista contro gli ebrei nell’Università italiana”, cit. A Torino gli esclusi per motivi razziali furono 56, cfr. L. Rinaldelli, “In nome della razza. L’effetto delle leggi del 1938 sull’ambiente matematico torinese”, Quaderni di storia dell’Università di Torino, 19971998, n. 2-3, p. 151. A Roma La Sapienza furono 82, cfr. T. Dell’Era, “L’Università di Roma e le leggi raziali: il processo di epurazione di Sabato Visco”, in M. Caffiero (a cura di), Le radici storiche dell’antisemitismo, Roma, Viella, 2009, pp. 191-192. 12 Il dato più significativo riguarda la piccola Università di Trieste, dove la percentuale dei professori di ruolo espulsi fu del 30,76% (4 su 13); cfr. A. Vinci, “L’Università di Trieste e le leggi razziali”, in V. Galimi, G. Procacci (a cura di), “Per la difesa della razza”. L’applicazione delle leggi antiebraiche nelle università italiane, cit., p. 79. A Bologna fu del 12.79% (11 su 86); S. Salustri, “Esclusioni e reintegrazioni. Docenti ebrei e ateneo bolognese”, in D. Gagliani (a cura di), Il difficile rientro. Il ritorno dei docenti ebrei nell’università del dopoguerra, Bologna, Clueb, 2004, p. 114-115; A Pavia la percentuale fu del 9,09% (5 su 55), cfr. E. Signori, Minerva a Pavia. L’ateneo e la città tra guerre e fascismo, Milano, Cisalpino, 2002, p. 40.

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(Bachicultura e tecnologia serica), Moise Besso (Oftalmoiatria e Clinica oculistica), Ada Bolaffi (Chimica biologica), Aldo Fiorentini (Clinica ortopedica), Benedetto Formiggini (Clinica chirurgica e Medicina operatoria), Italo Levi (Clinica dermosifilopatica), Marcello Lusena (Clinica medica), Fabio Luzzatto (Diritto civile), Guido Manni (Patologia speciale medica), Achille Norsa (Storia delle dottrine politiche), Gino Norsa (Patologia speciale medica), Mafalda Pavia (Clinica Pediatrica), Ezio Polacco (Clinica Chirurgica), Piero Sacerdoti (Diritto sindacale e corporativo), Giorgio Segré (Clinica Dermosifilopatica), Mario Segre (Epigrafia e antichità greche). Ad essi vanno aggiunti 2 avventizi Giuseppe Monselice (Chimica industriale) ed Elena Unger (Biologia e Zoologia generale), portando a 40 il numero totale Il 50% dei docenti sospesi (19 su 38) apparteneva alla Facoltà di Medicina e Chirurgia; il 18% (7 unità) alla Facoltà di Lettere e Filosofia; il 10,5% alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Agraria (4a testa); l’8% (3) alla Facoltà di Scienze; il 2,6% (1) alla Facoltà di Medicina veterinaria. Da questi dati si può notare una decisa preponderanza degli insegnamenti scientifici (27) rispetto a quelli umanistici (11). Se si estende l’analisi alle singole facoltà, emerge che da Giurisprudenza venne allontanato l’8% del personale (pari a 4 su 50 tra professori di ruolo, incaricati, liberi docenti, aiuti e assistenti); a Lettere e Filosofia il 12,5% (7 su 57); a Medicina e Chirurgia il 5% (19 su 372); a Scienze il 3,5 (3 su 84); ad Agraria l’8% (4 su 50); a Medicina veterinaria il 2,7% (1 su 37). Da questi dati si può notare che, se numericamente l’elemento di maggior rilievo riguardò i 19 espulsi da Medicina e Chirurgia, analizzando le percentuali emerge come l’impatto della legislazione antiebraica fu maggiore nella Facoltà di Lettere e Filosofia. Come precedentemente sottolineato, il Ministero si sarebbe riservato di effettuare ulteriori indagini; tale lavoro di approfondimento si protrasse fino ai primi mesi dell’anno successivo, anche a causa delle novità introdotte nella definizione giuridica di ebreo con il R.D.L. del 17 novembre 1938 n. 1728.13 I casi più complessi riguardarono la posizione dei figli di matrimonio misto, che spesso richiesero un iter molto lungo. Un esempio interessante fu quello riguardante Bruno Finzi

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Con la circolare ministeriale datata 11 gennaio 1939, il Ministero dell’Educazione Nazionale chiariva alcuni quesiti in merito all’appartenenza alla razza ebraica, chiedendo di rivedere attentamente le schede razziali del personale, in base ai criteri specificati, e adottando i necessari provvedimenti; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Dati statistici del personale.

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Contini, professore incaricato di Disegno e libero docente in Fisica tecnica.14 Ritenuto ebreo, in quanto figlio di madre ebrea e padre discendente da matrimonio misto, Finzi Contini venne sospeso ad ottobre e, dopo aver fatto domanda di accertamento della razza, il 26 ottobre 1939 il Ministero dell’Educazione Nazionale comunicò al Rettore la revoca del provvedimento, permettendogli, così, di ottenere nuovamente il suo posto in Università; tuttavia, in seguito ad ulteriori indagini, il 6 febbraio 1941 il Ministero dell’Interno accertò la sua definitiva appartenenza alla “razza ebraica”, sospendendolo nuovamente dall’insegnamento, dichiarandolo decaduto dalla libera docenza 15. La vicenda di Finzi Contini riassume in maniera esemplare la complessità della situazione. Chi erano questi docenti? Dalla documentazione analizzata emergono figure illustri di studiosi, alcuni di fama internazionale, consapevoli del loro ruolo all’interno della cultura italiana del tempo e dediti a mettere a disposizione della causa fascista il proprio sapere. Si trattava di alcuni tra i professori più illustri dell’Ateneo, che ricoprivano importanti cariche all’interno dell’organizzazione universitaria milanese come Alberto Ascoli (membro del Consiglio di Amministrazione) e Mario Donati (Preside della Facoltà di

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Le sollecitazioni, da parte del Ministero dell’Educazione Nazionale, riguardanti Bruno Finzi Contini giunsero in data 17 ottobre 1938 (per quanto riguardava la nazionalità della madre) e il 28 marzo 1939 (per il padre); in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Dati statistici del personale. Censimento del personale di razza ebraica”, sotto-sottofasc. “Nazionalità”; sottofasc. “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali”, sotto-sottofasc. “Personale di razza ebraica”. 15 Sin dalla compilazione della scheda razziale, Finzi Contini sottolineò che il padre era figlio di madre ariana e cattolica. Ciò venne sottolineato anche nella lettera inviata il 7 settembre 1938 al Rettore, in accompagnamento alla scheda razziale, nella quale egli specificò di non essere stato aggregato alla nascita alla religione ebraica e di essere stato iscritto d’ufficio alla Comunità israelitica dopo il Concordato; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali”. La comunicazione della definitiva decadenza dall’abilitazione alla libera docenza giunse dal Ministero dell’Educazione Nazionale il 5 marzo 1941; nel documento si sottolineava che “Il Ministero dell’Interno, con nota n°4472, del 6 febbraio scorso, ha comunicato che, su conforme parere della Commissione costituita ai sensi dell’art. 26 del R.D.L. 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, il libero docente Dott. Bruno Finzi Contini è stato riconosciuto appartenente alla razza ebraica. In base a tale comunicazione, con D.M. del 23 febbraio u. s. è stata disposta, nei riguardi dell’interessato, la decadenza dall’abilitazione alla libera docenza conferitagli in Fisica tecnica ed è stato revocato il D.M. 24 ottobre 1939-XVII, col quale il Dott. Finzi Contini fu reintegrato nell’abilitazione anzidetta, perché ritenuto di razza non ebraica”; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Ufficio personale, Fascicoli del personale cessato, fasc. Finzi Contini Bruno.

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Medicina e Chirurgia e, dunque, membro del Senato accademico). Vi era chi aveva collaborato con il Governo, come Mario Falco, responsabile scientifico della Commissione che elaborò la normativa per il riassetto delle comunità israelitiche nel 1931. Alcuni erano conosciuti e stimati a livello internazionale, come lo stesso Donati, Giorgio Mortara e Carlo Foà, che avevano ricevuto onorificenze da parte del regime per i risultati dell’attività scientifica e per l’impegno profuso nel mantenere alto il nome dell’Italia nel mondo. Lo stesso fu per Alberto Ascoli, noto per i suoi fondamentali studi sulla tubercolosi bovina. Altri rappresentavano l’élite di alcune discipline, come Paolo D’Ancona, tra i più importanti storici dell’arte in Italia in quel periodo, responsabile del recupero dei beni artistici italiani presso la Commissione d’Armistizio creata a Vienna alla fine della Prima guerra mondiale. E come non ricordare una figura come quella di Fabio Luzzatto, libero docente di Diritto civile, uno dei dodici professori che si rifiutarono di prestare giuramento al regime fascista e per questo già sospeso dall’insegnamento a partire dal 1931, ma evidentemente ancora iscritto nei ruoli dell’università. 16 Molti di essi erano membri di accademie, istituti e associazioni di scienze, lettere ed arti, da cui furono esclusi. 17 I loro nomi furono inseriti nell’elenco degli autori non graditi al regime fascista e in quello degli autori scolastici vietati18. Interessante è anche l’analisi dei diversi percorsi di adesione al regime, vi fu chi poteva vantare un’adesione precoce al fascismo, come il trentaseienne Mario Attilio Levi, che aveva partecipato alla Marcia su Roma, o come Mario Donati, iscritto al Partito fin dal 1924, che nell’autunno dello stesso anno – si legge nei documenti dalla Prefettura “quando nei ceti cosiddetti intellettuali, si tentò di negare al Fascismo qualsiasi contenuto di pensiero e si affermava la incompatibilità tra Fascismo ed intellettuali, il prof. Donati firmò a Padova il noto manifesto Gentile e nel marzo del 1925 partecipò al convegno

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Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio Storico, Archivio Proprio, Organi di governo, Rettore, Protocollo riservato, b. Epurazione del personale, fasc. prof. Luzzatto Fabio. In merito ai professori che si rifiutarono di giurare, cfr. G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, 2001; H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La Nuova Italia, 2000. 17 Il R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1390 (art. 4) stabiliva la cessazione dei membri di “razza ebraica” da queste istituzioni a partire dal 16 ottobre 1938, associando, dunque, esplicitamente le accademie e le società scientifiche e letterarie alle istituzioni scolastiche e universitarie nell’estromettere in modo definitivo tutti i propri membri ebrei, sia attraverso l’espulsione di chi già ne faceva parte, sia vietandone l’ammissione in futuro; cfr. A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Zamorani, 2000. 18 Per quanto riguarda la censura fascista nei riguardi dell’editoria e degli autori ebrei cfr. G. Fabre, L’elenco, Torino, Zamorani, 1998.

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Fascista di Cultura di Bologna, affermando la piena e stretta collaborazione fra Fascismo e Cultura”19. Oppure, vi era chi aveva ricoperto ruoli importanti nell’organizzazione fascista, come Carlo Foà, fascista della prima ora e fiduciario della sezione professori universitari dell’Associazione fascista della scuola; ma vi fu anche chi, con prudenza, scelse criticamente di non allinearsi alle posizioni fasciste, come fece Mario Falco; ci fu chi decise, pur avendo giurato, di non iscriversi mai al P.N.F., come fece Guido Ascoli, o chi di non giurare, come nel caso del già citato Luzzatto.20 Altrettanto interessante è il rapporto che tali docenti ebbero con l’ebraismo, caratterizzato da una gamma variegata di posizioni: se alcuni vissero con pienezza la propria identità religiosa, come i già citati Falco o Terracini (uno dei fondatori del gruppo sionistico di Torino), non mancarono voci molto critiche, ad esempio nei confronti delle posizioni filo sioniste dell’ebraismo italiano, come fecero Carlo Foà e Mario Attilio Levi. Vi fu anche chi rifiutò ogni religione costituita, come Giorgio Mortara, e chi invece decise di abiurare, come Mario Donati, che nel luglio del 1937, “contrario alle sette e alle conventicole giudaiche” – come si legge nelle carte prefettizie - rinunciò a far parte di qualsiasi comunità israelitica, ricevendo il battesimo nel gennaio 1938.21 Nel complesso, la legislazione razzista li colse impreparati e incapaci forse di comprenderne da subito le conseguenze, certi di far parte di una élite, in alcuni casi decisamente inserita nelle gerarchie fasciste, da cui nessuno avrebbe pensato di venire allontanato. La Dichiarazione sulla Razza del Gran Consiglio del 6 ottobre 1938, pur sancendo l’esclusione dall’insegnamento, ammise, come già accennato, per chi fosse stato discriminato la possibilità di venire impiegati nel settore amministrativo, mantenendo, così, il posto di ruolo, ma non la funzione.22 Ciò infuse in molti docenti la temporanea

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In Archivio di Stato di Milano, (ASMi), fondo Prefettura, Gabinetto, II serie, Fascicoli personali ebrei, busta 12, fasc. Donati Mario. 20 Nel complesso, l’iscrizione al Partito fu un fatto fondamentalmente burocratico, che avvenne nel biennio 1932-1933, dopo l’emanazione del Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, che stabilì l’obbligo della tessera per la nomina a cariche accademiche, per concorsi e commissioni. 21 In ASMi, fondo Prefettura, Gabinetto, II serie, Fascicoli personali ebrei, busta 12, fascicolo Donati Mario. 22 L’esclusione totale degli ebrei dall’insegnamento e la possibilità di impiego nei settori amministrativi per i discriminati venne ripresa anche in un foglio di istruzioni per l’Agenzia Stefani, datato 7 ottobre 1938; cfr. G. Fabre, L’elenco, cit., p. 127, in nota; A. Capristo, “Il Decreto legge del 5 settembre 1938 e le altre norme antiebraiche nelle scuole, nelle università e nelle accademie”, cit., p. 138, in nota.

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speranza di poter, in qualche modo, rimanere all’interno del mondo scientifico-culturale italiano. Fu lo stesso Rettore, su indicazione ministeriale, ad invitare i professori ordinari a sottoporgli delle proposte di riassegnazione. La loro lettura è molto interessante, in quanto non si trattò solamente di mere richieste di riassegnazione, bensì di veri e propri resoconti di vita.23 Le richieste furono di varia natura, ma nel complesso tutti espressero il desiderio di poter venire reimpiegati nelle proprie città e nei rispettivi ambiti di competenza: il torinese Mario Attilio Levi ritenne di potersi rendere utile presso la Regia Sovrintendenza Bibliografica di Torino24; Paolo D’Ancona si dichiarava disposto a svolgere opera di catalogazione presso la Sovrintendenza bibliografica della Lombardia, rimanendo, così, a Milano.25 Aron Benvenuto Terracini chiese di venire genericamente essere incaricato di qualche ricerca di carattere prevalentemente filologico-linguistico.26 Alberto Ascoli fece richiesta di essere comandato a prestare la funzione, retribuita, di 23

Mi sembra interessante sottolineare come questi spaccati di vita, presentati dagli stessi interessati, trovino fondamentalmente riscontro nelle informazioni raccolte da Questura, Carabinieri e Federazione dei Fasci di Milano e trasmesse alla Prefettura in merito alla domanda di discriminazione (le informazioni sono relative a Ascoli Alberto, D’ancona Paolo, Donati Mario, Foà Carlo, Falco Mario, Mortara Giorgio e Supino Felice); in ASMi, fondo Prefettura, Gabinetto, II serie, Fascicoli personali ebrei. Emerge in queste carte la certezza che, attraverso i riconoscimenti scientifici e accademici ottenuti negli anni, fosse loro dovuto un trattamento comunque di riguardo; in tutti c’era la sicurezza che l’essere stati buoni fascisti oltre che buoni italiani li avrebbe messi al riparo da spiacevoli sorprese. 24 Nella lettera inviata al Rettore il 18 ottobre 1938, Mario Attilio Levi, che presentò come eccezionali benemerenze l’anzianità di iscrizione al P.N.F. e il brevetto di partecipazione alla marcia su Roma del 1922, giustificò la richiesta alla Sovrintendenza bibliografica di Torino ricordando la sua attività di Regio Ispettore bibliografico onorario, di Commissario per il Consorzio nazionale biblioteche e di Presidente del comitato torinese dell’Ente nazionale biblioteche popolari. “In ragioni di tali incarichi, non soltanto ho compiute diverse ispezioni a biblioteche torinesi, ma ho fondate centinaia di biblioteche popolari in tutto il Piemonte e principalmente nelle province di Torino e di Aosta […]”; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. Razza, sottofasc. “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali – Personale di razza ebraica”. In una missiva spedita al Rettore il 22 ottobre 1938, Levi prendeva atto “con consapevole disciplina di gregario della vigilia” della sospensione dal servizio e si dichiarava in attesa di ordini, “lieto se mi sarà ancora dato di servire in una forma qualsiasi il mio Paese e il Regime, come ho fatto in ogni tempo”; ivi. 25 Ivi. Nella lettera inviata il 29 ottobre 1938 al Ministro dell’Educazione Nazionale, D’Ancona chiese di potersi dedicare alla catalogazione di alcune miniature molto preziose, come già aveva fatto nella sua attività di studioso; si trattava “di un materiale di enorme valore che si trova in possesso non solo delle biblioteche, ma delle fabbricerie di chiese, dei conventi, ecc., e che più di ogni altro è suscettibile di una arbitraria e clandestina dispersione. Mi prenderei l’impegno, qualora in Ministero volesse accordarmi i mezzi, di organizzare questo importante lavoro e di ricercare gli eventuali collaboratori”. Nel caso la sua richiesta non potesse essere accolta, D’Ancona si rimetteva al Ministro stesso per essere assegnato ad un lavoro tecnico-scientifico, da svolgere a Milano, in relazione alla sua attività di scrittore e critico d’arte. 26 Ivi.

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direttore dell’Istituto Vaccinogeno Antitubercolare, di cui già aveva la direzione a titolo gratuito27; Mario Falco, sottolineando le precarie condizioni economiche della famiglia, dichiarò “di poter svolgere un’opera vantaggiosa agli studi ed alla Università di Milano quale direttore dell’Istituto giuridico”, della cui commissione direttiva era già membro da anni28; Carlo Foà espresse il desiderio che gli venisse affidata la direzione dell’Istituto di Biochimica e Terapia sperimentale “G. Rizzi”, che aveva contribuito a fondare e di cui aveva già ricoperto la carica di direttore, dove poter continuare a svolgere la sua attività di ricerca.29 Il caso, forse, più singolare riguardò Mario Donati, per il quale non esiste documentazione concernente un’eventuale domanda di riassegnazione al Rettore, bensì vi è la richiesta, inviata direttamente a Mussolini, di poter continuare ad insegnare in università. 30 La vicenda di è di particolare interesse, in quanto egli fece richiesta di essere riconosciuto appartenente alla “razza ariana”; da una lettera al Prefetto di Milano, in data 24 aprile 1940, si evince che la richiesta di appartenenza alla “razza ariana”, inoltrata al Ministero, 27

Anche la richiesta di Alberto Ascoli, datata 11 novembre 1938, fu accompagnata da una sorta di memorandum, corredato da venti allegati, nel quale descrisse in modo molto dettagliato la sua opera di scienziato e l’impegno nella lotta contro la tubercolosi bovina, da cui derivarono enormi benefici al patrimonio zootecnico, tanto da venir encomiato dalla Confagricoltori con due medaglie d’oro, che egli offrì alla patria il 18 novembre 1935, insieme alle fedi e all’oro; ivi. 28 Ivi. Nel memorandum del 30 ottobre 1938, accompagnato dal curriculum vitae, Falco ricordò il suo impegno di studioso e docente, portando, a sostegno della sua richiesta anche gli incarichi svolti nella giustizia militare durante la Prima guerra mondiale. Egli si dichiarò anche certo di rientrare in una delle categorie previste per la concessione della discriminazione, grazie alla croce di guerra con cui fu insignito un fratello. Il desiderio di essere nominato direttore dell’Istituto giuridico dell’Università di Milano fu nuovamente ribadito da Falco il 4 novembre al Rettore; ivi. 29 Ivi. Così Foà concluse la sua richiesta al Rettore: “Ho piena ragione di confidare che, qualora venisse esaudita la presente mia istanza, mi sarebbe dato di cooperare validamente alla realizzazione di questo efficace contributo finanziario alla ricerca scientifica in un campo tanto importante per la ricerca scientifica e per la pratica. Nell’affidare a Voi questa mia istanza rivolta a S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale, esprimo la speranza che vogliate caldeggiarla con la vostra autorevole parola. Mi sarebbe dato così di non abbandonare la ricerca scientifica alla quale ho dato sempre la mia attività modesta, ma entusiastica e disinteressata”. 30 Si è a conoscenza della richiesta che Donati fece al Duce dalla risposta negativa che il Ministero dell’Educazione Nazionale inviò al Rettore in data 11 gennaio 1939 (comunicata a Donati il 24 gennaio); in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Ufficio personale, Fascicoli del personale cessato, fasc. Donati Mario. La scelta di Donati fu, con grande probabilità, dettata dalla convinzione di venir riconosciuto appartenente alla “razza ariana” e, dunque, di continuare a lavorare come professore universitario. A partire dal mese di novembre 1938, Donati si attivò per ottenere la discriminazione, prima facendo domanda al Ministero dell’Educazione Nazionale (che rifiutò la documentazione rispedendola al mittente), poi, attraverso il Prefetto di Milano, al Ministero dell’Interno, a cui trasmise un plico di 74 documenti riguardanti le sue benemerenze; cfr. lettera di Mario Donati al Prefetto di Milano, in data 19 dicembre 1938, in ASMi, fondo Prefettura, Gabinetto, II serie, Fascicoli personali ebrei, busta 12, fascicolo Donati Mario.

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adduceva prove di ascendenti ariani e cattolici tra il 1486 e la fine del Settecento, che, a suo parere, ne avrebbero dimostrato la provenienza genetica ariana: “[…] se anche per quattro generazioni – scrive Donati - i miei ascendenti immediati professarono la religione ebraica, il fatto che le otto generazioni precedenti, e certamente quelle ancora più antiche, furono ariane e cattoliche è quello fondamentale per la dichiarazione di arianità che invoco a mio favore. Io infatti ho prospettato un problema, non di religione, ma di razza, che come tale va considerato e risolto.”31 Nonostante l’interessante interpretazione genetica di Donati, l’istanza fu respinta dal Ministero dell’Interno nel giugno del 1940.32 Tutti i meriti elencati e le benemerenze acquisite si rilevarono inutili; le speranze di essere riassegnati in ambiti graditi ai docenti interessati furono vane. La discriminazione si rivelò spendibile solo per la precedenza nelle liste di insegnamento nelle scuole speciali per studenti ebrei e i decreti di novembre (R.D.L. 1728/1938 e R.D.L. 1779/1938) sancirono definitivamente l’esclusione degli ebrei dalla scuola, con decorrenza dal 14 dicembre 1938, ammettendoli a far valere i titoli per l’eventuale trattamento di quiescenza.33 Le ulteriori indagini svolte tra i dipendenti dell’Università non apportarono variazioni e i docenti definitivamente esclusi dall’insegnamento rimasero quelli che già erano stati sospesi a decorrere dal 16 ottobre. Archiviata questa scomoda vicenda, per l’Università iniziò il delicato iter delle sostituzioni. In generale, l’ateneo milanese privilegiò soluzioni celeri ma provvisorie, per non rischiare, con scelte affrettate, di precludersi la possibilità di arrivare in futuro a docenti di maggior fama e levatura scientifica, al momento erano già impegnati presso altri atenei.34 31

Lettera di Mario Donati al Prefetto di Milano, in data 19 dicembre 1938, ivi. Con provvedimento del Ministero dell’Interno n. 589/139 del 3 maggio 1939, Donati ottenne la discriminazione in quanto furono dichiarate non applicabili le disposizioni degli articoli 10 e 13 lettera h del R.D.L. 17/11/1938. 33 Per quanto riguarda le fasi della persecuzione antiebraica mussoliniana e le sue conseguenze cfr. M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, 2017 (prima edizione 1994). 34 Questa tendenza si riscontra nell’abbondanza di incarichi conferiti a ordinari già presenti in ateneo oppure a giovani liberi docenti o, ancora, ad allievi dei professori allontanati, come nel caso di Libero Lenti, già allievo e collaboratore di Giorgio Mortara, di cui prese il posto. Essendo l’ateneo milanese alquanto ambito, non mancarono comunque trasferimenti da altre università; cfr. Signori, “Le leggi razziali e le comunità accademiche”, cit., p. 464. Sollecitazioni giunsero anche dal Ministero con un telegramma del 12 novembre 1938, in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7. Carteggio articolato sul titolario, b. 234, fasc. 32

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La sorte dei docenti allontanati Un ulteriore interessante approfondimento meritano i percorsi di vita che questi docenti scelsero di intraprendere di fronte alla persecuzione. Alcuni decisero di recarsi al di là dell’oceano, nelle università degli Stati Uniti (come Alberto Ascoli), o in Brasile (come Mortara e Foà), o in Argentina (come Terracini).35 Altri invece, dopo l’Armistizio di settembre 1943, scelsero di oppure fuggire in Svizzera (come Mario Donati, Paolo D’Ancona, Fabio Luzzatto, Bruno Schreiber, Benedetto Formiggini, Luigi Szegoe), che poterono offrire il loro contributo in iniziative didattiche rivolte anche a studenti italiani rifugiati36. Infine, vi fu chi rimase in patria, adattandosi a condizioni sempre peggiori, soffrendo le limitazioni giuridiche e patrimoniali, come Guido Ascoli e come Mario Falco, che in qualità di vice presidente della Comunità Israelitica di Milano fornì aiuto e Razza, sf. “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali – Personale di razza ebraica”. 35 Alberto Ascoli dal 1940 insegnò prima alla Middlesex University di Waltham nel Massachussets e poi, dal 1944, alla Rutgers University di New Brunswich. Aron Benvenuto Terracini vinse un concorso a distanza presso l’Università di Tucuman in Argentina, dove venne chiamato per insegnare Linguistica generale e romanza. Giorgio Mortara, che già in una lettera al Rettore del 31 dicembre 1938, aveva annunciato la sua partenza per l’estero e l’intenzione di trattenersi per un periodo prevedibilmente non breve – tanto da aver nominato un procuratore residente a Milano, a cui indirizzare ogni comunicazione - partì per il Brasile già nel gennaio 1939 e fu assunto come consulente tecnico dalla Commissione censitaria nazionale del Brasile; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Ufficio personale, Fascicoli del personale cessato, fasc. Mortara Giorgio. Carlo Foà nell’aprile 1939 emigrò in Brasile, dove organizzò e diresse la Sezione di Patologia Sperimentale della Facoltà di Medicina di San Paolo per un quadriennio; successivamente fu invitato a svolgere un corso di Biologia presso la Facoltà di Scienze dell’Istituto “Saedes Sapientiae”, carica che coprì sino al giorno del rimpatrio nel 1946; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Ufficio personale, Fascicoli del personale cessato, fasc. Foà Carlo. Aron Benvenuto Terracini, dopo aver vinto dall’Italia il concorso di Linguistica generale e romanica alla Facoltà di Lettere dell’Università di Tucuman, nell’estate del 1941 si imbarcò per l’Argentina con la madre e la figlia Eva; fece ritorno in Italia nel 1947, riprendendo l’insegnamento universitario; cfr. cfr. A. Capristo, “L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane”, cit., pp. 348-349; E.M. Smolensky, V. Jarach, Tante voci, una storia. Italiani ebrei in Argentina, 1938-1948, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 234-236. 36 Cfr. E. Signori, La Svizzera e i fuoriusciti italiani. Aspetti e problemi dell’emigrazione politica 1943-1945, Milano, Angeli, 1983. Particolarmente interessante fu l’esperimento delle cosiddette “università in esilio”, dove furono accolti studenti italiani rifugiati e dove diversi docenti ebrei poterono svolgere didattica. Donati insegnò medicina a Ginevra, D’Ancona storia dell’arte a Friburgo, Schreiber scienze naturali nel Canton Ticino, Szegoe chimica a Losanna; cfr. E. Signori, “Le leggi razziali e le comunità accademiche. Casi, problemi, percorsi nel contesto lombardo”, in A. Casella [et. al.] (a cura di), Una difficile modernità. Tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia 1890-1940, Pavia, La Goliardica Pavese, 2000, pp. 431-486. Numerose notizie in merito a queste esperienze si possono desumere dai fascicoli personali di alcuni di questi docenti, conservati in APICE o presso l’Archivio Centrale dello Stato (ACS), in particolare Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Superiore, Divisione I, Professori ordinari e del personale amministrativo, III versamento, II serie, fascicoli personali dei professori citati.

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solidarietà agli ebrei italiani e stranieri sino alla morte, avvenuta ad ottobre 1943 a causa di una crisi cardiaca).37 Rimase in Italia anche Mario Attilio Levi, che ravvedutosi partecipò attivamente alla Resistenza, così come fece, prima a Milano e poi in montagna Ruggero Ascoli.38 La fine del conflitto e la liberazione dal nazifascismo permisero il ritorno ad una sorta di normalità accademica, nella quale anche i docenti allontanati per motivazioni razziste, non senza problemi e questioni burocratiche delicate da risolvere, a partire già dall’anno accademico 1945-46, furono reintegrati, ma con lo status di aggregati e non di titolari della materia di insegnamento.39 Tale principio suscitò notevoli problematiche, soprattutto quando ad essere coinvolti furono docenti di chiara fama, come nel caso di Mario Donati, che si trovò a confliggere aspramente con il suo successore Giovanni Maria Fasiani. La soluzione adottata dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia, di dividere equamente compiti e mansioni fra i due chirurghi, non allentò le rimostranze di Donati, andando a creare una tensione che solamente la sua morte improvvisa, il 25 gennaio del 1946, poté smorzare, risolvendo la questione.40 Ma grossi problemi burocratici investirono anche altri docenti, ritardandone, in alcuni casi, il ritorno in Italia.41

37

Cfr. E. Signori, “Le leggi razziali e le comunità accademiche. Casi, problemi, percorsi nel contesto lombardo”, cit. 38 Ibidem. 39 Vennero ammessi in servizio, ai sensi dei RR.DD.LL 6 gennaio 1944 n° 9 e 20 gennaio 1944 n. 25 e dei DD.LL.LL. 7 settembre 1944 n. 264, 19 ottobre 1944, n. 301 e 5 aprile 1945 n. 238; il provvedimento aveva decorrenza ai fini economici dal 1° gennaio 1944. Per quanto riguarda tutto l’iter legislativo in merito al reintegro nelle università e la lettura politica che fu alla base di tali scelte, cfr. R. Finzi, L’università italiana e le leggi antiebraiche, Roma, Editori Riuniti, 1997 (nuova edizione 2003). 40 Cfr. E. Signori, “Le leggi razziali e le comunità accademiche. Casi, problemi, percorsi nel contesto lombardo”, cit. 41 Ciò accadde a Giorgio Mortara, che, avendo ottenuto la cittadinanza brasiliana, fu dichiarato dimissionario e obbligato a restituire la pensione che nel periodo successivo all’assunzione della cittadinanza brasiliana gli era stata indebitamente pagata; in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Ufficio personale, Fascicoli del personale cessato, fasc. Mortara Giorgio. Nel 1945 Mortara venne invitato a riprendere l’insegnamento in Italia, ma decise di rimanere in Brasile per completare l’incarico che gli era stato affidato; tornò in Italia nel 1957 e insegnò Statistica presso l’Università di Roma; cfr. A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, cit., p. 304. Numerosi problemi dovette affrontare anche Alberto Ascoli ebbe problemi, una volta tornato in Italia nel 1947, nel riconoscimento degli atti di carriera presso il Ministero e nella riscossione dello stipendio, a causa del cambiamento di nome – avvenuto dopo l’emanazione delle leggi antiebraiche – da Alberto Abramo Ascoli in Abramo Ascoli; in ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Universitaria, Fascicoli personali professori ordinari (1940-1970), III versamento, busta 21, fasc. Ascoli Abramo Alberto.

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In generale, la tendenza dell’Università di Milano fu quella, comune a tutte le altre, di normalizzare il prima possibile la situazione, archiviando rapidamente quanto accaduto; i docenti ebrei esclusi nel 1938 ripresero il loro ruolo al fianco di chi li aveva sostituiti, traendo vantaggio dalla loro espulsione, e di chi si era compromesso, accettando la legislazione razzista senza alcuna rimostranza.42 Dei 10 professori di ruolo espulsi nel 1938, a distanza di sette anni, soltanto Mario Falco (deceduto nell’ottobre 1943) e Felice Supino (anziano e malato) non ripresero l’insegnamento. Diverso fu il discorso per gli incaricati, i liberi docenti, gli aiuti e gli assistenti allontanati nel 1938. Dai dati a disposizione sembrerebbe che solamente 10 su 28 ripresero il proprio lavoro. Ad acuire le difficoltà contribuì anche la politica di epurazione attuata alla fine della guerra, che non risparmiò nemmeno chi aveva dovuto subire la vergogna delle leggi razziste, colpendo Carlo Foà, Mario Donati e Mario Attilio Levi, sospesi e messi sotto indagine43; tuttavia, anch’essi, come la maggior parte di chi venne messo sotto inchiesta, poterono poi riprendere l’insegnamento.44 Mi sembra, infine, doveroso un accenno a chi subì, purtroppo, una sorte differente, come accadde a Giuliana Fiorentino (assistente di Storia della Lingua italiana) e Mario Segre (libero docente di Epigrafia e Antichità greche), entrambi vittime della deportazione. Giuliana Fiorentino venne arrestata a Torino l’8 marzo 1944 e il 5 aprile fu deportata dal campo di Fossoli ad Auschwitz, da dove riuscì, fortunatamente, a ritornare. Diversa fu la sorte di Mario Segre: arrestato a Roma il 5 aprile 1944 e condotto a Fossoli il 16 maggio 42

Per un quadro più approfondito in merito al difficile reintegro dei docenti cfr. R. Finzi, “Da perseguitati a 'usurpatori': per una storia della reintegrazione dei docenti ebrei nelle università italiane”, in M. Sarfatti (a cura di), Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, Firenze, La Giuntina, 1998, pp. 95-114; F. Pelini, “Appunti per una storia della reintegrazione dei professori universitari”, in I. Pavan, G. Schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione post-bellica, Firenze, La Giuntina, 2001, pp. 113-139; D. Gagliani (a cura di), Il difficile rientro. Il ritorno dei docenti ebrei nell’università del dopoguerra, Bologna, Clueb, 2004. 43 Se la questione relativa a Mario Donati venne immediatamente risolta, più lungo fu l’iter relativo a Foà e Levi, sebbene le loro esperienze personali rivelassero storie molto diverse: Foà fu un membro eminente del fascismo, milanese e nazionale, non rinnegò le proprie convinzioni ed emigrò in Brasile dopo l’emanazione della legislazione antiebraica; Mario Attilio Levi, nonostante la precoce adesione al fascismo, dopo l’occupazione tedesca dell’Italia, si schierò apertamente contro il nazifascismo, partecipando attivamente alla lotta partigiana. Tutta la documentazione relativa alle epurazioni si trova in Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio storico, Archivio proprio, Organi di governo, Rettore, Protocollo riservato, b. Epurazione del personale. Il caso di Carlo Foà suscitò molto clamore e numerose proteste all’interno dell’Ateneo, tanto che fu egli stesso a chiedere al Rettore la possibilità di sospendere la didattica e a sottoporsi volontariamente al giudizio della Commissione di Epurazione; ivi, fasc. Prof. Foà Carlo. 44 Ivi.

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1944, venne deportato con la moglie e il figlio, nel campo di sterminio di AuschwitzBirkenau, da cui non fece più ritorno, assassinato nelle camere a gas di Birkenau.45

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Cfr. L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-45), Milano, Mursia, 2002.

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9.

Stefano Morosini Ricercatore a contratto in Storia Politecnico di Milano – Polo territoriale di Piacenza

L’applicazione delle leggi antiebraiche agli studenti e ai professori del Politecnico di Milano

Introduzione A partire dalla sua fondazione (1863) il Politecnico di Milano (fino al 1937 formalmente denominato Regio Istituto Tecnico Superiore) si caratterizzò per una forte impronta positivista in campo tecnico-scientifico, per una cultura politica liberale e moderata, e per un approccio laico e a-confessionale sul piano religioso.46 In questo contesto emergono diversi e significativi casi di studenti e professori di origini ebraiche che attività di ricerca o insegnarono nell’Ateneo milanese

lungo i decenni studiarono, svolsero

. I percorsi didattici frequentati dagli studenti, così

come gli insegnamenti e gli ambiti di specializzazione scientifica nei quali operavano i docenti, insieme ad alcune significative vicende biografiche, saranno qui descritti e analizzati nel contesto di una scuola di alta formazione che sorse all’indomani dell’Unità d’Italia e che ben si inserì in un network internazionale di studiosi e tecnologi impegnati a sostenere lo sviluppo della seconda rivoluzione industriale. L’analisi della presenza di studenti e di professori ebrei attivi al Politecnico di Milano vorrebbe rendere conto di una stagione di primaria importanza nella storia dell’istruzione e della cultura tecnico-scientifica italiana che giunse almeno fino alla Prima guerra mondiale e caratterizzò in senso più lato l’intera età liberale. In tale periodo, la presenza di studenti e docenti di origini ebraiche - si vedrà in quale misura alcuni di questi furono

46

I principi generali, sopra enunciati come riferibili all’Ateneo, sono soprattutto dovuti all’impostazione data al Politecnico dai primi due direttori, Francesco Brioschi (1824-1897) e Giuseppe Colombo (1836-1921). Si vedano in particolare: G. B. Stracca (a cura di), Il Politecnico di Milano (1863-1914). Una scuola nella formazione della società industriale, Milano, Electa, 1981; E. Decleva (a cura di), Il Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), 2 voll. MilanoBari, Cariplo-Laterza, 1988; “Il Politecnico di Milano”, a cura di A. Silvestri, numero speciale degli Annali di storia delle università italiane, n. 12, 2008; C. Carboni (a cura di), Il Politecnico di Milano e la formazione delle classi dirigenti nazionali e locali, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2013.

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più o meno praticanti - è indice soprattutto di una impostazione culturale e scientifica fondata su meritocrazia, laicità, assenza di steccati ideologici e sinistre venature antisemite. Un’analisi più approfondita e dettagliata dell’applicazione delle famigerate leggi razziali segnò nell’Ateneo una cesura che, come si vedrà analiticamente nel caso di Mario Giacomo Levi (1878-1954), fu caratterizzata anche da ambiguità e contraddizioni. Dal punto di vista delle fonti primarie sulle quali il presente intervento è fondato - oltre che allo spoglio dei fascicoli personali degli studenti e dei docenti, dei verbali del Consiglio dei professori e del Consiglio di Amministrazione del Politecnico di Milano (questa documentazione è consultabile presso l’Archivio storico di Ateneo) - saranno indagati i documenti e i registri che compongono il Fondo Israeliti, conservato all’Archivio civico del Comune di Milano - Cittadella degli Archivi. Questa interessante documentazione, ancora non catalogata e solo di recente resa accessibile agli studiosi, è dedicata al censimento degli ebrei milanesi compiuto tra 1938 e 1942, e offre una serie di spunti e di riferimenti aggiuntivi in merito alla ricerca che verrà qui svolta 47.

L’epurazione degli studenti ebrei I prodromi della mesta e difficile stagione dell’applicazione delle leggi razziali al Politecnico di Milano risalgono al febbraio del 1938, quando pervenne una richiesta ministeriale di fornire un elenco degli studenti e del personale di origini ebraiche rispettivamente iscritto o in servizio presso l’Ateneo. Il direttore Fantoli - che nel corso del suo lungo mandato (1927-1940) aderì sempre con convinzione alle direttive imposte

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Il Fondo Israeliti si compone di un numero piuttosto consistente di faldoni e di registri, che raccolgono le schede del Censimento del 22 agosto 1938, quelle dei figli di matrimonio misto, le schede di autodenuncia degli ebrei in base all’art. 19 del R.D.L. n. 1728 del 17 novembre 1938, i registri di queste autodenunce e un elenco degli ebrei della provincia di Milano al maggio 1942. Nonostante gli ebrei risultanti dal censimento fossero più degli ebrei classificati come tali secondo le norme del 1938, a causa delle modalità e delle fonti utilizzate dal Comune di Milano e dalla Questura, le schede di censimento - sia quelle realmente compilate il 22 agosto 1938, sia quelle presumibilmente compilate in un periodo successivo e durante le fasi di revisione - forniscono un quadro interessante dell’ebraismo milanese, per lo meno dal punto di vista quantitativo (anche se emerge l’incognita degli ebrei di cittadinanza straniera presenti a Milano in quel periodo). Altrettanto interessanti sono le richieste di non appartenenza alla razza ebraica presentate dai figli di matrimonio misto, le cui schede di censimento contengono spesso una numerosa documentazione personale.

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dal regime - rispose in questo caso in maniera dilatoria, comunicando la mancanza di dati sulle origini e la confessione di fede degli allievi, del personale tecnico e amministrativo e dei professori, fossero essi di ruolo o a contratto48. Come noto, nell’autunno 1938 fu disposta l’applicazione dei Regi Decreti-legge del 5 settembre 1938, n. 1390 e del 15 novembre 1938, n. 1779, che stabilirono l’immediata cessazione dal servizio di 10 tra assistenti e docenti di origine ebraica. Con uno scarno elenco, tratto dal verbale del Consiglio di Amministrazione del 5 dicembre 1938, furono indicati i loro nomi e incarichi, come segue: Prof. Levi Mario Giacomo, ordinario di Chimica industriale; Prof. Böhm Michelangelo, incaricato di Conferenze su particolari problemi relativi all’industria del gas; Prof. Musatti Igino, incaricato di Metallurgia e Metallografia; Prof. Neppi Bice, incaricata di Tecnologie chimiche speciali II; Prof. Volterra Renzo, incaricato di Acciai speciali; Prof. Levi Tullio Guido, libero docente di Chimica organica; Prof. Hoffmann Oscar, aiuto incaricato presso il Laboratorio Prove materiali; Dott. Ing. Tedeschi Guido, assistente ordinario di Chimica fisica; Dott. Ing. Cavaglieri Giorgio, assistente incaricato di Tecnica urbanistica; Dott. Arch. Latis Vito, assistente volontario di Disegno dal vero, di Disegno architettonico e Rilievo dei monumenti I e II49.

Nel caso degli studenti, come noto, i decreti summenzionati derogavano coloro i quali, avendo sostenuto regolarmente gli esami previsti, risultavano in corso, a differenza dei fuori corso, che dovevano invece essere epurati. In un fascicolo conservato presso l’Archivio storico di Ateneo e dedicato alle procedure di ammissione degli studenti ebrei è conservata la domanda di iscrizione del diciottenne milanese Edoardo Pugliese,

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A. Galbani, “Provvedimenti razziali. Un documento inedito del febbraio 1938”, La Rassegna mensile di Israel, 1991, n. 3, pp. 533-536. 49 Archivio Storico del Politecnico di Milano (d’ora in avanti ASP), Sez. Repertori, Segreteria, Registro n. 3. Consiglio di Amministrazione. Verbale delle adunanze dal 14 marzo 1936 XIV al 26 ottobre 1939 - XVII, Verbale dell’adunanza del Consiglio di Amministrazione del 5 dicembre 1938 - XVI; Cessazione dal servizio di personale diverso, in applicazione del R.D.L. 5 settembre 1938/XVI, n. 1390 e del R. D. L. 15 novembre 1938, n. 1779, p. 388.

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consegnata e protocollata il 9 ottobre 1938. A tale documento è correlata una lettera della madre Elvira Finzi, la quale spiegava di avere scritto una lettera al «Duce del Fascismo» che merita di essere citata in un ampio stralcio:

«sono, benché ebrea, da secoli e più italiana, vedova, mio marito fu ufficiale di fanteria decorato e ferito nella grande guerra […]. Sono da ben 26 anni insegnante elementare, dei quali 21 a Milano con lodevole servizio. A me si toglie l’impiego necessario, a mio figlio la possibilità di studiare. Può essere che voi riteniate meritato un simile stroncamento della nostra vita di perfetti italiani, nella nostra Italia?»

Alla lettera fu data risposta da un funzionario della presidenza del consiglio: «Portata la vostra lettera alla sua Destinazione, ò l’incarico di comunicare che non vi è per voi motivo di preoccupazione.»50 L’archivio conserva altra documentazione interessante che riguarda gli studenti di origine ebraica. Con una circolare ministeriale del 5 novembre 1938 veniva specificato che gli studenti ebrei di nazionalità non italiana (tranne per quelli di nazionalità tedesca) erano ammessi a proseguire gli studi, mentre «debbono essere assolutamente esclusi gli studenti fuori corso»51. Un’altra circolare, datata 16 gennaio 1939 e firmata dal ministro Bottai, specificava che gli studenti fuori corso ammessi nell’anno 1938/39 «entro detto anno debbono mettersi in regola con tutti gli esami arretrati […]. A decorrere dal 1938/40, non sarà più ammessa per loro alcuna interruzione degli studi»52. Il 13 febbraio 1939 fu emessa un’altra circolare, sempre firmata da Bottai, che stabiliva «in via transitoria», la possibilità di «proseguire gli studi universitari per gli studenti di razza ebraica, già iscritti a Istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici», ma disponeva che questi non potessero «godere di benefici, quali premi, borse o posti di

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Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Fascicolo personale di Edoardo Pugliese. 51

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Circolare ministeriale del 16 gennaio 1939. 52

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Circolare ministeriale del 5 novembre 1938.

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studio»53. Il 12 giugno 1939 il Politecnico ricevette poi un telegramma urgente sempre a firma del ministro Bottai: «dispongo che nelle sessioni di esami sia osservata netta separazione studenti di razza ariana da studenti razza ebraica et sia data precedenza gruppo studenti ariani negli esami orali»54. Il 28 aprile 1940 un’altra circolare ministeriale precisava che «l’accertamento della razza degli stranieri residenti in Italia dovrà in ogni caso essere effettuato secondo le nostre disposizioni legislative razziali anche se trattasi di stranieri appartenenti a Stati che abbiano una propria legislazione razziale»55. Oltre alle comunicazioni inviate dal Ministero dell’Educazione Nazionale, altri documenti interessanti descrivono questa difficile e drammatica fase: il 23 gennaio 1939 furono convocati in Rettorato, senza ulteriori indicazioni specifiche, gli studenti ebrei Ahoron Blaustein, Angelalberto Jarach, Carlo Gyozo, Enrico Levi, Maurizio Mezan, Enrico Vita, Carlo Levin, Sane Marcu 56, mentre il 4 ottobre 1939 una convocazione simile riguardò 6 «studenti ungheresi di razza ebraica»: Csgergö Francesco, Gyözö Carlo, Herczog Andrea, Kalmar Giorgio, Kenedi Paolo, Singer Gabriele.57

Michelangelo Böhm Quello di Michelangelo Böhm rappresenta il caso più drammatico nell’ambito dell’applicazione dei provvedimenti razziali al Politecnico di Milano. Libero docente e responsabile dell’organizzazione della Scuola di Specializzazione in Ingegneria gasistica, Böhm vantava un lungo e prestigioso curriculum di rilievo internazionale, articolato in molteplici relazioni e articoli relativi all’industria del gas e con la vice presidenza della

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Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Circolare ministeriale del 13 febbraio 1939. 54

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Circolare ministeriale del 12 giugno 1939. 55

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 2.6,Tasse: Istruzioni per le iscrizioni, pagamento tasse; Studenti stranieri, Circolare ministeriale del 28 aprile 1940. 56

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Convocazione di studenti, 23 gennaio 1939. 57

Archivio storico di Ateneo, Serie studenti 13, serie recente, Seg. XIII, 65, Studenti di razza ebraica, Convocazione di studenti, 4 ottobre 1939.

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International Gas Union, fondata nel 1931. Il 13 dicembre 1943, a pochi giorni dal compimento dei 77 anni di età, Böhm fu arrestato a Tirano - a poca distanza dal confine con la Svizzera - insieme alla moglie Margherita Luzzatto. L’anziana coppia, detenuta dapprima a Sondrio e quindi a Milano, il 30 gennaio 1944 fu inviata in Polonia nel campo di sterminio di Auschwitz, dove all’arrivo venne selezionata per l’immediata soppressione.58 L’Archivio storico del Politecnico di Milano conserva un’interessante lettera del Rettore del Politecnico di Milano Gino Cassinis del 3 marzo 1948, indirizzata al figlio Arrigo Böhm, nella quale, pur tardivamente, si esprimono da parte sua e di tutto l’Ateneo le più sentite condoglianze per la morte dei suoi genitori, «caduti vittime del settarismo nazista.»59

Rachele Bice Neppi Rachele Bice Neppi nacque nel 1880 a Ferrara in una «famiglia ebraica molto osservante»60. Dopo la laurea in Chimica, conseguita nel 1904 all’Università di Bologna, si trasferì nel 1907 a Milano, dove assunse la guida del reparto di Fermentologia e Opoterapia dell’Istituto sieroterapico. Nel 1916 iniziò a insegnare al Politecnico di Milano come libero docente di Chimica tecnologica delle fermentazioni, passando poi nel 1930 alla titolarità del corso di Chimica dei prodotti di fermentazione e nel 1937 all’incarico di Tecnologie chimiche speciali II. Quando seppe dell’epurazione di cui fu vittima e che decretò il suo licenziamento sia dell’Istituto sieroterapico che dal Politecnico di Milano, «distrusse tutto il suo lavoro di ricerca, portando via con sé solo gli appunti.» 61 Il 27 ottobre del 1938 Fantoli scrisse a Bice Neppi una lettera personale nella quale esprimeva il suo dispiacere per il licenziamento che aveva dovuto disporre nei suoi confronti e nella quale la ringraziava «vivamente dell’opera da Voi svolta sempre nel modo più encomiabile,

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L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia. 1943-1945, Milano, Mursia, 2002, pp. 77-80, pp. 66-71. 59 ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, AG 116, Fascicolo personale di Michelangelo Böhm, Lettera di Gino Cassinis ad Arrigo Böhm, 3 marzo 1948. Il figlio ripose con una lettera di ringraziamento il 25 marzo 1948. Si veda inoltre il necrologio dedicato ai coniugi Böhm e pubblicato su Il Corriere della Sera del 29 febbraio 1948. Nel testo si scrive a loro riguardo che furono: «annientati nei campi d’eliminazione di Auschwitz». 60 61

A. Rinaldi, Dizionario Biografico degli Italiani, 2013, vol. 78, ad vocem. Ibidem.

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ottenendo nell’insegnamento risultati molto apprezzati.» 62 Poche settimane dopo aver subito l’epurazione (contro la quale, documentando tra le proprie benemerenze i titoli scientifici, riuscì ad ottenere l’istanza di “discriminazione”, senza essere però più riassunta63), fu nominata direttrice di laboratorio presso la Bioindustria di Novi Ligure, dove poté perfezionare e immettere sul mercato l’estratto surrenalico Emazian, che divenne il prodotto più venduto della Bioindustria per 30 anni, trasformandola in una grande azienda. Durante la persecuzione del 1943-45 riuscì a nascondersi sotto falso nome a Casale Monferrato, mentre due suoi fratelli, Olga e Gino Emanuele, furono deportati e uccisi ad Auschwitz.64 A poche settimane della Liberazione il Rettore Cassinis propose di reintegrare in servizio Bice Neppi: «sono ben lieto che il mutato clima politico e la libertà finalmente raggiunta consentano al Politecnico di poter riabilitare - se a Lei farà piacere - i rapporti di collaborazione forzatamente interrotti anni fa»65.

La missiva tuttavia

non poté esserle

consegnata, essendo ancora ignoto il suo recapito. In ogni caso Bice Neppi non accettò il reintegro e fu collocata in pensione. Continuò a lavorare presso Bioindustria e a seguire congressi internazionali di chimica in tutto il mondo, fino a pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1968.

Mario Giacomo Levi

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ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, AG 606, Fascicolo personale di Bice Neppi, Lettera di Gaudenzio Fantoli a Rachele Bice Neppi, 27 ottobre 1938. 63

Lo status di “discriminato” si evince da: Archivio Civico del Comune di Milano - Cittadella degli Archivi (d’ora in avanti ACM), Fondo Israeliti, Rubrica degli Ebrei residenti in Milano, p. 267, n. ordine 4800 - n. riferimento 5154. 64 Secondo quanto riportato nel sito a cura del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea http://www.nomidellashoah.it/, Olga Neppi era «nata in Italia a Ferrara l’11 novembre 1881. Coniugata con Ferruccio Hanau. Arrestata a Ferrara. Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah. Convoglio del 16/05/1944 partito da Fossoli»; Gino Emanuele Neppi era «nato in Italia a Ferrara il 17 luglio 1890. Coniugato con Ginevra Minerbi. Arrestato a Milano. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah. Convoglio del 06/12/1943 partito da Milano». Ultima consultazione: 20 gennaio 2019. 65

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, AG 606, Fascicolo personale di Bice Neppi, Lettera di Gino Cassinis a Rachele Bice Neppi, 14 maggio 1945.

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Ripercorrere le vicende umane e professionali di Mario Giacomo Levi, nel loro sviluppo lungo la prima metà del Novecento, a partire dalla data di laurea (1900) e fino alla morte (1954), rappresenta una straordinaria occasione per riflettere sulla non linearità e sulle contraddizioni che dal piano biografico individuale di uno scienziato di alto profilo si amplificano a una dimensione più generale, divenendo significativamente parte della storia d’Italia nella prima metà del ventesimo secolo. Mario Giacomo Levi nacque a Padova nel 1878, e dopo aver compiuto gli studi liceali, si iscrisse diciottenne al corso di laurea in Chimica presso l’ateneo patavino, dove, già dal suo secondo anno di studi, compilò le dispense del corso di Chimica generale e inorganica, professato dal suo maestro Raffaello Nasini.66 L’anno successivo fu accolto all’Istituto Chimico per svolgere, quale allievo interno, le prime elaborazioni sperimentali di Elettrochimica. Nel luglio del 1900, conseguita a pieni voti la laurea con una tesi pubblicata sulla Gazzetta Chimica Italiana67, Levi fu nominato secondo preparatore presso l’Istituto Chimico, mentre nel 1902 vinse una borsa ministeriale per svolgere all’estero studi di chimica applicata, grazie alla quale si recò all’Istituto di Chimica fisica ed elettrochimica della Technische Hoschschule di Karlsruhe, dove studiò con Max Le Blanc. Rientrato l’anno successivo in Italia, Levi conseguì la libera docenza e ottenne l’incarico per l’insegnamento di Elettrochimica all’Università di Padova, fino a quando nel 1906 si trasferì all’Università di Pisa insieme al suo maestro Nasini. Assunto l’incarico di Chimica applicata, accanto alla prosecuzione degli studi in campo elettrochimico, Levi svolse ricerche sulla radioattività dei soffioni boraciferi, presenti in particolare a Larderello, nelle Colline Metallifere pisane, e sul loro sfruttamento per la produzione industriale del borace. Nel novembre del 1909 vinse a trentuno anni il concorso per la cattedra di professore ordinario di Chimica tecnologica presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Palermo e nel marzo del 1910 si sposò con Adriana Bellina Pirani, da cui ebbe due figli. In Sicilia, proseguendo sulle orme della gloriosa scuola chimica palermitana di Stanislao

66

Per un profilo biografico di Raffaello Nasini si rimanda ad un ampio necrologio redatto proprio dall’allievo Mario Giacomo Levi: M. G. Levi, “Raffaello Nasini”, Gazzetta Chimica Italiana, 1932, vol. 62, pp. 728-745. 67 M. G. Levi, “Sopra l’elettrostrizione degli ioni solventi inorganici”, Gazzetta chimica italiana, 1900, n. 30, parte II, pp. 197-217.

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Cannizzaro68 ed Emanuele Paternò69, Levi si dedicò allo studio e alla classificazione degli zolfi grezzi e all’utilizzo industriale dell’idrogeno, dei sali di potassio e del bromo. 70 A Palermo Levi pubblicò inoltre i tre volumi del suo Corso di chimica tecnologica.71 Nella biografia di Mario Giacomo Levi la carriera scientifica e didattica si interseca per la prima volta con la storia generale quando, dopo il 24 maggio 1915 e l’intervento italiano nella Prima guerra mondiale, fu chiamato a sostenere la produzione industriale a supporto del conflitto, contribuendo in modo determinante alla realizzazione, all’implementazione e al perfezionamento di esplosivi e aggressivi chimici, ma anche, più in generale, a sostegno della produzione agricola e industriale, necessaria a sostenere lo sforzo bellico che l’Italia aveva intrapreso. Dichiarato insostituibile dall’ateneo palermitano e quindi esentato dal servizio militare, assunse delicati incarichi di consulenza per il Comitato di mobilitazione industriale, il Comitato di mobilitazione civile, il Comitato ministeriale per le industrie chimiche e nei Comitati dei gas asfissianti, dell’azoto e dei sali di potassio. La partecipazione di Mario Giacomo Levi alla mobilitazione tecnica e produttiva a supporto della guerra fu ampia, costante e fattiva, eppure egli ebbe modo di esprimere pubblicamente una forte critica contro l’intervento italiano. Da un punto di vista culturale, per i trascorsi nella Technische Hochschule di Karlsruhe, Levi era vicino all’ambiente accademico tedesco; da un altro lato egli era contrario al conflitto in nome di un liberalismo politico e di un liberismo economico fondato sulla coesistenza pacifica fra le nazioni; da ultimo, egli rivolgeva un giudizio severo nei riguardi della classe politica dell’Italia liberale, colpevole di non aver saputo promuovere, anche attraverso un adeguato sostegno economico alla ricerca scientifica, una politica industriale pari a quella 68

Per un autorevole necrologio che ricostruisce il profilo biografico, scientifico e politico di Cannizzaro si veda: G. Ciamician, “Commemorazione del socio nazionale prof. Stanislao Cannizzaro letta nella seduta del 6 novembre 1910”, Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, 1910, serie V, vol. 19, fasc. 9, pp. 461-469. 69

Sulla figura di Emanuele Paternò si veda: A. M. Corradini, T. Romano (a cura di), Emanuele Paternò di Sessa. Il Presidente Scienziato (1847-1935). IX presidente della Provincia di Palermo dal 1898 al 1914, Palermo, Provincia Regionale, 2005. 70

Un saggio che risulta da questo periodo di studi è: M. G. Levi, in collaborazione con A. G. Piva, “Sopra la decomposizione dei formiati in relazione alla preparazione tecnica dell’idrogeno”, Annali di Chimica applicata», 1914, n. 1, p. 124. 71

M. G. Levi, Corso di Chimica tecnologica, 3 vol., Palermo, Regia Scuola d’applicazione per gl’ingegneri in Palermo Sezione industriale, 1910-1913.

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di altri paesi europei. Durante il mese di marzo del 1916, nel pieno dello sforzo bellico, Mario Giacomo Levi prese parte a Roma al Congresso della Società italiana per il progresso della scienza con una relazione dal titolo Le industrie italiane minerarie e chimiche di prodotti inorganici. Il titolo, apparentemente anodino, non lascia intuire la presenza al suo interno di osservazioni alquanto critiche sulla guerra e le sue drammatiche implicazioni umane: «Questa vecchia Europa si dilania e si insozza di sangue, di stragi, di viltà alle quali vanamente si contrappongono gli eroismi sublimi, i sacrifici di tante nobili vite, di fortune, di popoli!»72 In altri passaggi dello scritto Levi condanna vibratamente ed esprime una forte contrarietà all’intervento italiano, spiegando che il notevole impegno che egli stava profondendo a sostegno della mobilitazione industriale non era in contraddizione con le sue posizioni personali, ma rappresentava un tentativo di dare impulso ad una riforma della politica economica e industriale sino ad allora condotta in Italia:

Se la mia esitazione fu vinta, fu in considerazione che il vincerla era forse un dovere, dovere di obbedienza a Maestri illustri che con alta mente e con nobile cuore cercano di dare orientamento alle forze del pensiero Nazionale disorientato e turbato, dovere che ciascuno di noi ha di portare il contributo delle sue forze, per quanto modeste, alla ricostituzione di una nuova civiltà. 73

Permettendosi «la più completa libertà di parola senza preoccupazioni e senza artificiose limitazioni di pensiero»74, data la cronica carenza di materie prime a fondamento della produzione industriale, Levi afferma che: «L’Italia deve tendere tutti i suoi sforzi e tutta la sua volontà […] per emanciparsi dallo straniero qualunque esso sia e per fare da sé»75. Queste parole prefigurano l’impegno che Levi profuse negli anni successivi nel trovare, attraverso la ricerca scientifica e le sue applicazioni sperimentali, le opportunità per affrancare l’Italia dalla forte dipendenza dall’estero:

72

M. G. Levi, “Le industrie italiane minerarie e chimiche di prodotti inorganici”, Annali di Chimica applicata», 1916, n. 5, p. 143. 73 74 75

Ivi, pp. 143, 144 M. G. Levi, “Le industrie italiane”, p. 144. Ibidem.

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non possiamo che guardare con fiducia all’avvenire; quello che si è fatto finora è tutto intensificabile, quello che non si è fatto ancora, si può fare in questo campo senza timore di incontrare insormontabili difficoltà. Una sola cosa è necessaria: approfittare di questo momento così tragico e così vitale per la esistenza politica e per l’esistenza industriale ed approfittarne con la tanto desiderata e mai raggiunta concordia di tutti i chimici italiani76.

Negli anni dell’immediato dopoguerra, Levi assunse a Palermo la direzione dell’Istituto superiore commerciale e coloniale e iniziò ad interessarsi al problema dei combustibili. Alla fine del 1920 venne chiamato a Bologna a ricoprire la cattedra di Chimica docimastica, poi trasformata in Chimica tecnologica. Presso la Scuola per gli ingegneri di Bologna Levi poté proseguire ed accrescere la sua opera scientifica e sperimentale fondando nel 1922 la Scuola Superiore di Chimica Industriale. Le ricerche della Scuola Superiore si indirizzarono sempre più nel campo dei combustibili, e in particolare nell’analisi dei processi di idrogenazione e nelle ricerche di giacimenti di idrocarburi nel sottosuolo italiano. È noto che il decreto Gentile sull’università del settembre 1923 soppresse o limitò fortemente i fondi a favore delle istituzioni scientifiche di ricerca e insegnamento, fra le quali quelle attive in ambito chimico (si pensi all’Università di Padova, dove Levi si era formato, che dovette chiudere la Sezione di Ingegneria chimica e l’Istituto di Chimica industriale).77 In questo contesto, anche grazie agli stretti rapporti di consulenza ministeriale e alla sua appartenenza a diversi comitati tecnici, Levi non solo riuscì a mantenere operativa a Bologna la Scuola Superiore di Chimica Industriale, ma nel 1926 fece istituire dal Ministero dell’Economia Nazionale (allora retto dal già citato professore del Politecnico di Milano, Giuseppe Belluzzo) una speciale Sezione di studi sui combustibili, di cui assunse la direzione.

76

Ivi, p. 157.

77

Per un inquadramento generale dei rapporti fra chimici italiani e fascismo si veda: L. Cerruti, Bella e potente. La chimica del Novecento fra scienza e società, Roma, Editori Riuniti, 2003, pp. 229-252. Si veda, inoltre, per un approccio più generale alla dialettica tra fascismo e uomini di scienza: R. Maiocchi, Gli scienziati del Duce. Il ruolo dei ricercatori nella politica autarchica del fascismo, Roma, Carocci, 2003, pp. 150-166; E. Signori, “Università e fascismo”, in G. P. Brizzi, P. Del Negro, A. Romano (a cura di), Storia delle Università in Italia, Messina, Sicania, 2007, vol. I.

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Il trasferimento di Mario Giacomo Levi al Politecnico di Milano avvenne nel giugno del 1927, quando, dopo la morte di Ettore Molinari78, fu chiamato ad assumere la cattedra di Chimica tecnologica. Contestualmente al suo trasferimento al Politecnico di Milano, che proprio in quei mesi andava effettuando il trasferimento dal Palazzo della Canonica di Piazza Cavour alla nuova e ampia (per l’epoca) sede di Piazza Leonardo da Vinci, Levi divenne Direttore dell’Istituto di Chimica industriale. Levi inoltre ottenne il trasferimento della Sezione combustibili dall’ateneo bolognese, insieme a una maggiore dotazione di attrezzature e personale. A Milano si impegnò a fondo nell’attività didattica, da molti colleghi e allievi riconosciuta come eccellente sia per la disponibilità e la dedizione che mostrava verso gli studenti, sia per la puntualità e la chiarezza espositiva durante lo svolgimento delle lezioni.79 Sul piano della ricerca Levi svolse un lavoro sistematico di indagine sui combustibili nazionali e sulle loro possibili applicazioni in campo industriale. Analizzò in particolare le possibilità di utilizzo dei giacimenti di lignite, delle rocce asfaltiche e dei loro derivati da distillazione primaria, la loro gassificazione, sintesi e idrogenazione. Levi si dedicò inoltre allo studio della produzione e dell’utilizzo di gas illuminante, del gas ricavato da carbon coke, dei gas di piroscissione e ancora dei gas naturali nel sottosuolo italiano. Le sperimentazioni condotte nei laboratori del Politecnico portarono in breve a diverse applicazioni, come la costruzione di impianti industriali per idrogenazioni catalitiche della naftalina a tetralina e decalina, per la produzione e rigenerazione di oli lubrificanti e per la produzione di emulsioni bituminose ad uso stradale. Inoltre, Levi svolse studi e ricerche sul petrolio albanese lungo il corso del fiume Devoli. Fra gli incarichi istituzionali, Levi fece infine parte del Consiglio superiore delle miniere, del Consiglio nazionale per il controllo della combustione, della Commissione ministeriale 78

A proposito della figura del chimico e professore di fede anarchica Ettore Molinari e del suo operato a supporto della grande guerra si veda: A. Silvestri, Il Politecnico di Milano e la Grande Guerra: due generazioni, due ingegneri, due esperienze a confronto, in P. Del Negro (a cura di), Le Università e le guerre dal Medioevo alla Seconda guerra mondiale, Bologna, Clueb, 2011, pp. 269-280. 79

Al Politecnico di Milano Levi fu anche incaricato per la direzione del corso semestrale della Scuola di specializzazione in Ingegneria gasistica e del relativo insegnamento, per il corso di Chimica della fabbricazione del gas e rapporti fra l’industria del gas e le industrie chimiche, per il corso di Ingegneria termotecnica istituito dalla Fondazione Politecnica Italiana. Si veda: ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, AG 1012, Fascicolo personale di Mario Giacomo Levi.

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per le sostanze radioattive e fu membro di diverse commissioni tecniche all’interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche: tali incarichi ad altissimo livello che Levi ricoprì dicono in modo evidente della caratura e della capacità lavorativa e organizzativa dello scienziato, ma anche dell’adesione non certo formale che egli compì nei confronti del fascismo. Levi espresse consenso e collaborazione al regime, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti (1925), iscrivendosi al Partito Nazionale Fascista (1926), e giurando fedeltà al regime (1931), ma soprattutto egli sostenne in prima persona la politica autarchica dell’Italia fascista, tanto da divenirne, come si è visto, il massimo esperto nel campo dei problemi dei combustibili. Dal regime Levi fu sostenuto, tramite le ampie dotazioni di cui poté disporre per la sua attività, e il suo impegno di tecnico e scientifico gli fu pubblicamente riconosciuto in più occasioni, tanto da essere insignito, nel 1935, del titolo di Grande Ufficiale della Corona d’Italia.80 Nel marzo 1931 Levi era stato ricevuto in udienza particolare da Mussolini, al quale fece omaggio dei primi due volumi dei suoi Studi e ricerche sui combustibili. 81 Pochi giorni dopo informò dell’accaduto il direttore Fantoli:

In ricordo della visita fattagli, il Capo del Governo si è degnato di rimettermi oggi una sua fotografia con dedica e firma autografa che conserverò come documento prezioso in questo Istituto. Tanto ho voluto comunicarle perché conosco con quanto cuore Ella partecipi alle gioie e alle soddisfazioni dei suoi collaboratori Politecnici.82

80

Per quanto concerne i risultati ottenuti alla metà degli anni Trenta, grazie alla operosità eccezionalmente intensa dimostrata, si veda l’articolo di Levi su “Un venticinquennio di attività scientifica e didattica di uno studioso dei combustibili”, a cui segue la sottoscrizione di un premio dedicato a Levi e destinato a incoraggiare ricerche e studi di giovani nel campo della chimica dei combustibili. Si veda, infine, l’articolo firmato da Levi e da Carlo Padovani, vicedirettore della sezione sui combustibili, dal titolo “Gli sviluppi dell’idrogenazione ad alta pressione e le prime realizzazioni italiane”, La rivista italiana del petrolio, 1935, n. 7, p. 18. 81 M. G. Levi, Studi e ricerche sui combustibili, 6 vol., Roma, Associazione italiana di chimica generale ed applicata, 1930-1938. 82

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera su carta intestata (Istituto di Chimica industriale) di Mario Giacomo Levi a Gaudenzio Fantoli, 13 aprile 1931. Per una ricostruzione della figura di Gaudenzio Fantoli si veda: C. G. Lacaita, “I tecnici milanesi dal moderatismo al fascismo: il caso Fantoli”, in Il Politecnico di Milano nella storia italiana, I, cit., pp. 171-204.

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La serie degli Studi e ricerche sui combustibili proseguì con altri quattro volumi fino al 1938. Tuttavia, il 15 e il 17 novembre di quell’anno furono emanati i due famigerati Regi Decreti-legge n. 1728 e n. 1779, contenenti i Provvedimenti per la difesa della razza italiana, che colpirono Levi per via delle sue origini ebraiche. Il 18 novembre si riunì il Consiglio della Facoltà di Ingegneria del Politecnico, che in ottemperanza alle disposizioni emanate due giorni prima del Ministero delle Corporazioni, provvide a sospendere Mario Giacomo Levi dalle funzioni di Direttore della sezione combustibili: «Da tale data la Sezione viene consegnata al Vice Direttore prof. Carlo Padovani, che sostituisce il Direttore in tutte le funzioni tecniche e amministrative».83 Lo stesso giorno il Rettore Gino Cassinis scrisse una lettera personale a Levi, porgendogli in seconda persona e con amichevole

confidenza

un

saluto da

parte

dei colleghi, esprimendogli tutto

l’apprezzamento per l’opera svolta al Politecnico:

Ricordo con gratitudine lo sviluppo da Te portato all’Istituto di Chimica industriale, che hai diretto con così grande amore e competenza, con risultati importantissimi per l’economia italiana, nonché l’aiuto prezioso dato in ogni 83

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Verbale dell’adunanza del Consiglio della Facoltà di Ingegneria in data 18 novembre 1938. Negli ultimi anni si è avuto un deciso progresso degli studi e delle ricerche nell’ambito dell’applicazione delle leggi razziali all’interno delle istituzioni scientifiche e culturali italiane: A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Zamorani, 2002; G. Fabre, L’elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Torino, Zamorani, 1998; D. Mirri, S. Arieti (a cura di), La cattedra negata. Dal giuramento di fedeltà al fascismo alle leggi razziali nell’Università di Bologna, Bologna, Clueb, 2002; S. Morosini, “A settant’anni dell’espulsione dei soci ebrei dell’Associazione elettrotecnica italiana”, Aeit, 2008, n. 12, pp. 52-55; S. Morosini, A. Silvestri, “Le leggi razziali (1938) e l’Istituto Lombardo”, Rendiconti dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Classe di Scienze Matematiche e Naturali, 2009, vol. 143, pp. 9-35; M. Sarfatti, La scuola, gli ebrei, e l’arianizzazione attuata da Giuseppe Bottai, in D. Bonetti, R. Bottoni, G. De Maio, M. G. Zanaboni (a cura di), I licei G. Berchet e G. Carducci durante il fascismo e la Resistenza, Milano, Liceo classico statale Carducci, 1996; E. Signori, “Le leggi razziali e le comunità accademiche. Casi, problemi, percorsi nel contesto lombardo”, in A. Casella, A. Ferraresi, G. Giuliani (a cura di), Una difficile modernità. Tradizioni di ricerca e comunità scientifiche in Italia. 1890-1940, Pavia, La Goliardica pavese, 2000, pp. 431-486; E. Signori, Minerva a Pavia. L’ateneo e la città tra guerre e fascismo, Milano, Cisalpino, 2002; A. Silvestri (a cura di), Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della Liberazione. Atti del Convegno e catalogo della Mostra. Milano aprile 1995, Milano, Scheiwiller, 1996; A. Ventura (a cura di), L’Università dalle leggi razziali alla Resistenza. Giornata dell’Università italiana nel 50° Anniversario della Liberazione (Padova, 29 maggio 1995), Padova, Università degli Studi di Padova, 1996; A. Vittoria, “L’organizzazione degli intellettuali nel primo Novecento”, in G. Turi, Cultura e società negli anni del fascismo, Milano, Cordani, 1987, pp. 473498.

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circostanza alla Direzione e alla Facoltà per lo studio e la soluzione dei problemi interessanti il Politecnico e l’avvenire degli studenti 84.

Levi rispose il giorno successivo inviando a Cassinis un biglietto da visita fittamente compilato e chiosato da un “ex” prima dell’intestazione recante le sue qualifiche accademiche, nel quale ringrazia e aggiunge: «Lascio il Politecnico e la Scuola Italiana con dolore indicibile, ma fiero di aver servito la scuola stessa ed aver educati ed amati i giovani con passione non superabile.»85 Con tono differente rispetto a questo scambio dai toni personali, il 30 novembre il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai firmò il decreto che con il consueto linguaggio burocratico dispensava definitivamente dal servizio Levi a partire dal successivo 14 dicembre. Levi fu pertanto posto in pensionamento. A nulla era valso l’ottenimento della discriminazione, presentata da Levi per sé e per la sua famiglia al Prefetto di Milano il 5 gennaio 1939 (e controfirmata dal direttore del Politecnico Fantoli), che con stile fortemente accorato scrive a Bottai:

Il voto più ardente del mio cuore è che l’appartenenza della mia famiglia alla categoria 3a [Famiglie di combattenti delle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola, insigniti della croce al merito di guerra, NdA] e quelli che possono essere i miei meriti di studioso, di maestro e di fervido collaboratore dello Stato nei problemi autarchici, siano elementi sufficienti per conservare a me e ai miei figli la piena cittadinanza nella nostra amatissima Patria e la possibilità di servirla comunque ancora, come l’abbiamo sempre servita, con tutte le nostre forze86.

84

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera di Gino Cassinis a Mario Giacomo Levi, 18 novembre 1938. Sulla figura di Gino Cassinis si veda: A. Galbani, A. Silvestri, “Il contributo del Politecnico al movimento di Liberazione”, in A. Ventura (a cura di), Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della Liberazione, cit., pp. 40-54. 85

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Biglietto da visita di Mario Giacomo Levi a Gino Cassinis, 19 novembre 1938. 86

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera intestata di Mario Giacomo Levi all’On.le Ministero Educazione Nazionale - Direzione Istruzione Superiore, 27 ottobre 1938. L’ottenimento dello status

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L’allontanamento di Levi dal Politecnico fu accolto con amarezza anche dal Direttore Gaudenzio Fantoli, che pubblicamente espresse solidarietà al collega espulso, rendendo omaggio al «docente esimio di raro merito» e ai suoi «undici anni di esemplare attività scientifica e tecnica» svolta presso il Politecnico87. È semplice desumere che la cessazione dei numerosi incarichi di Levi significò per il regime una gravissima perdita in un settore strategico come quello dei combustibili (alla cattedra di Chimica industriale gli succedette, come noto, Giulio Natta). Emerge tuttavia dalla

documentazione

un

aspetto

tanto

significativo

e

interessante,

quanto

contraddittorio: nonostante fosse stato dispensato formalmente dalla direzione della Sezione combustibili del Politecnico, il Ministero delle Corporazioni dispose infatti che Levi continuasse a dirigere ufficiosamente la struttura, mantenendolo in servizio in qualità di consulente esterno (con relativi emolumenti) fino a tutto il 1941:

In relazione […] al mutamento della Vostra posizione presso il R. Politecnico di Milano come funzionario dipendente dall’Educazione Nazionale, Vi comunico che è intenzione di questo Ministero di continuare ad avvalersi delle Vostra collaborazione come consulente in materia di combustibili e soprattutto di carburanti. Ciò premesso, per quanto concerne la Sezione combustibili […], Vi invitiamo […] a considerarvi sospeso dal 16 nov. p.v. dalle funzioni di Direttore della Sezione Combustibili conservando fino a nuovo ordine il relativo assegno di direzione88.

Dopo l’entrata dell’Italia in guerra nel giugno del 1940, date le necessità belliche, si giunse addirittura ad aumentare i contributi economici e l’autonomia amministrativa dell’ente. Il medesimo escamotage fu utilizzato dal Ministero dei Lavori pubblici, che rinnovò a Levi diversi incarichi di consulenza, e che nell’ottobre del 1941 recapitò al

di “discriminato” si evince da: ACM, Fondo Israeliti, Rubrica degli Ebrei residenti in Milano, p. 209, n. ordine 3760 - n. riferimento 3720. 87

C.G. Lacaita, “I tecnici milanesi dal moderatismo al fascismo: il caso Fantoli”, cit., p. 204. ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera su carta intestata del Ministero delle Corporazioni Direzione Generale dell’Industria, 16 novembre 1938. 88

55


Politecnico un assegno con gli importi a lui dovuti per aver partecipato ai lavori di una commissione di collaudo:

Non risultando a questa Commissione l’indirizzo preciso del Prof. Ing. Giacomo Mario Levi [sic], che fu Insegnante presso codesta facoltà d’Ingegneria, si prega di voler disporre che al predetto Ingegnere sia recapitata l’unita lettera e l’allegato assegno della B.C.I. n. 07229 di £ 7265,20, relativo a compensi a lui spettanti quale membro di questa Commissione 89.

La

singolare

condizione

che

Levi visse

e

accettò, nonostante

l’umiliazione

dell’allontanamento dall’Università per motivi razziali, rappresenta un significativo caso di Realpolitik da parte del regime fascista, che anche in questa vicenda dimostra le imperfezioni del proprio totalitarismo, preferendo operare una rilevante eccezione alla sua chiara, netta e costante politica razziale, in nome delle necessità pratiche che la politica militarista rendeva immediatamente necessarie. Nel novembre del 1943, in un contesto di estremo pericolo, Levi si trasferì clandestinamente con la famiglia in Svizzera, pagando 5.000 £ al contrabbandiere che lo condusse oltre la frontiera di Chiasso.90 Giunto a Losanna, Levi riprese l’insegnamento di Chimica industriale presso i campi universitari per fuoriusciti italiani. I corsi permettevano agli studenti di proseguire la loro formazione accademica, ma anche di approcciarsi criticamente alla disciplina di studio e alla libera discussione: questo fu un fatto significativamente nuovo per giovani formatisi nelle scuole dell’Italia fascista. 91 Per molti

89

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera su carta intestata del Ministero dei Lavori pubblici. Commissione collaudatrice degli impianti termoelettrici di Gualdo Cattaneo, 11 ottobre 1941. Secondo i coefficienti monetari ISTAT aggiornati al 2017, 7265,20 £ equivalgono in termini correnti a circa 4730 €. 90

Si vedano gli specifici riferimenti archivistici sulla fuga di Mario Giacomo Levi tratti dal rapporto generale della Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati. Risvolti patrimoniali della fuga verso la Svizzera, in Presidenza del Consiglio dei ministri, aprile 2001, p. 241. Secondo i coefficienti monetari ISTAT aggiornati al 2017, 5.000 lire equivalgono in termini correnti a circa €. 1.680. 91

A proposito del percorso di formazione alla libertà e alla democrazia compiuto dai giovani studenti italiani fuoriusciti in Svizzera, futura classe dirigente dell’Italia repubblicana, si veda il

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versi il supporto tecnico e scientifico che Levi aveva espresso nel corso di tutta la sua carriera si indirizzava ora a quei giovani italiani che avrebbero contribuito alla ricostruzione e alla crescita del paese in un nuovo assetto democratico. Il tenore dei corsi (e delle dispense che si realizzarono92) ben riflette questo anelito: Nella piccola, grande e libera Svizzera, dove ebbi il conforto di riparlare a discepoli italiani e stranieri di quella scienza e di quelle industrie che mi sono care e di cui non potevo parlare in Italia, vivendo anche nella tristezza dell’attesa ora di pace spirituale ed esaltando di fronte agli stranieri l’opera e il lavoro degli Italiani93.

Nel luglio del 1945, dopo che il Ministero degli Esteri aveva dato disposizione che i docenti universitari fuoriusciti per motivi politici o razziali dall’Italia fossero da considerare in missione all’estero, Mario Giacomo Levi venne reintegrato al Politecnico di Milano, fatto che rappresentò per lui una piena «resurrezione morale» dopo l’«immeritata sventura» che gli era occorsa.94 Come ricorda Natta, che aveva sostituito Levi al Politecnico, L’amarezza del distacco dal Politecnico e le difficoltà degli anni trascorsi all’estero non riuscirono ad inasprire il suo carattere profondamente buono e generoso, e tornato nel 1945 in Italia, non serbò alcun rancore e fu anzi prodigo di paterno aiuto e preziosi consigli ai più giovani di Lui, che lo avevano sostituito nel periodo della sua assenza.95

lavoro di R. Broggini, Terra d’asilo. I rifugiati italiani in Svizzera. 1943-1945, Bologna, il Mulino, 1993. 92

M. G. Levi, Aspetti tecnici ed umani di due grandi problemi chimici, Lausanne, Université de Lausanne, 1944. Nel corso della mostra documentaria Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della Liberazione, allestita nell’aprile del 1995 presso il Dipartimento di Elettrotecnica del Politecnico di Milano, curata da Andrea Silvestri e Anna Maria Galbani sono stati esposti gli appunti delle lezioni che Mario Giacomo Levi tenne a Losanna, ora conservati presso la Biblioteca Centrale di Ateneo. Si veda il rispettivo catalogo, pubblicato nel volume Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della Liberazione, cit., p. 172 93 M. G. Levi, “L’industria chimica italiana e le possibilità del suo avvenire”, La Chimica e l’Industria, 11-12, 1945, p. 1. 94

Ibidem.

95

G. Natta, “Commemorazione di Mario Giacomo Levi”, cit., pp. 13-28.

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Le parole di Giulio Natta esprimono lo spirito con cui Levi riprese la propria attività in seno all’Istituto di Chimica industriale, che con il secondo dopoguerra, anche grazie al sostegno finanziario offerto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dalla Montecatini, venne suddiviso in tre sezioni dotate di larga autonomia, ciascuna diretta da figure di altissimo profilo: Giulio Natta nel campo della Chimica degli alti polimeri, il già citato Adolfo Quilico per la Chimica organica e Carlo Padovani per la Chimica dei combustibili. Nei resoconti dei colleghi che più gli furono vicino, emerge nuovamente la passione e l’impegno che Levi continuò ad esercitare, come era stato per tutta la sua ultra cinquantennale opera di docente e di studioso. Nell’ottobre del 1953, raggiunti i limiti di età, Levi fu collocato in pensione. Già colpito dal male incurabile che lo avrebbe ucciso il 9 dicembre 1954, Levi ebbe modo di ritornare sul suo primo allontanamento dal Politecnico di Milano, avvenuto per motivi razziali, con l’ironia lieve che lo aveva accompagnato per tutta la vita, scrivendo all’amico e Rettore Gino Cassinis di essere «già abituato dal 1938 ad essere collocato a riposo».96

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96

ASP, Sezione Segreteria, serie Personale - Titolo VIII, Personale cessato, RSI 25, Fascicolo personale del Prof. Mario Giacomo Levi, Lettera manoscritta di Mario Giacomo Levi a Gino Cassinis, Siusi (Bolzano), 4 agosto 1953.

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10.

Marzio Achille Romani Professore emerito in Storia economica Università Bocconi

1938: le leggi per la difesa della razza nella scuola e i professori ebrei dell’Università Bocconi97

Il 1938 iniziò sotto i migliori auspici per la Bocconi: le conseguenze della crisi economica del ’29 erano state superate e le iscrizioni avevano ripreso vigore; l’Istituto di alti studi economici, voluto da Javotte Bocconi in memoria del marito, morto nel ’32, stava dando ottimi risultati. Inoltre, l’autorevole intervento del vice presidente Giovanni Gentile e la sua vicinanza al Duce del fascismo, aveva consentito di sbloccare il complesso contenzioso con il comune di Milano, che aveva accettato di costruire per l’Ateneo una nuova ed ampia sede a Porta Ludovica. All’inizio di settembre, furono però emanate le leggi “per la difesa della razza nella scuola”, che inibivano a docenti e studenti ebrei la frequenza delle scuole italiane di ogni ordine e grado. Tuttavia, pochi, in quel momento, potevano immaginare che, di lì a poco, quei provvedimenti avrebbero costretto anche studiosi di reputazione 97

Questo breve intervento compendia mie precedente ricerche alle quali rinvio il lettore per le fonti e i riferimenti delle citazioni. M.A. Romani, “Bocconi über alles!: l’organizzazione della didattica e la ricerca (1914-1945)”, in M. Cattini et alii, Storia di una libera università. L’Università commerciale Luigi Bocconi dal 1915 al 1945, Milano, Egea, 1997, pp. 105-247; Id., “Un sogno milanese: la formazione del capitale umano e il ruolo dell’Università Bocconi (19021950)”, Nuova Antologia, vol. 580, n. 2207, 1998, pp. 186-216; Id., “1938: un anno difficile per Giovanni Demaria e per il Giornale degli Economisti”, in Istituto di Economia politica “E. Bocconi”, Giovanni Demaria e l’economia del Novecento. Atti del Convegno (Milano, 12 aprile 1999), Milano, Bocconi Comunicazione, 1999, pp. 49-72; Id., «Faremo grande università». Girolamo Palazzina, Giovanni Gentile. Un epistolario (1930-1938), Milano, Università Commerciale Luigi Bocconi, 1999; Id., «Da ieri ho l’inferno nel cuore»: Girolamo Palazzina, Giovanni Gentile. Un epistolario (19391945), Milano, Università Commerciale Luigi Bocconi, 2000; Id., Costruire la classe dirigente. Lettere a un maestro, Milano, Egea, 2007; Id., “«…Giudicando secondo giustizia»: Angelo Sraffa alla Bocconi”, in P. Marchetti, M. A. Romani (a cura di), Angelo Sraffa, Milano, Università Bocconi Editore, 2009, pp. 3-18; Id., “Sabbatini, Sraffa, Einaudi: perché e come una piccola università è diventata grande”, in G. Manca, M. A. Romani (a cura di), Luigi Einaudi, Milano, Università Bocconi, 2011, pp. 3-24; M. A. Romani, “Gustavo Del Vecchio e la Bocconi negli anni Trenta”, in R. Artoni, M.A. Romani (a cura di), Gustavo Del Vecchio, Milano, Egea, 2016, pp. 13-33; Id., “La Bocconi nel ventennio fascista”, in P. Barucci, P. Bini, L. Conigliello (a cura di), Economia e diritto in Italia durante il fascismo: approfondimenti, biografie, nuovi percorsi di ricerca, Firenze, Firenze University Press, 2017, pp. 99-112.

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internazionale, quali Gustavo Del Vecchio (economista e Rettore della Bocconi) e Giorgio Mortara (eminente statistico) a lasciare l’insegnamento e il Paese. I pericoli sottesi alle direttive emanate dal governo erano invece chiari ad entrambi. Mortara in “Ricordi della mia vita”, scrive: “Discutendo con Laura lo stato in cui eravamo ridotti e il peggio che si preparava, e cercando possibili vie di adattamento o di evasione, io accennai un giorno (eravamo ancora a Ponte di Legno) alla possibilità di trovare una occupazione all’estero. E dopo che le ebbi esposto le tristi prospettive che si aprivano ai nostri figli in patria, lei, pur tanto attaccata alla terra natale esclamò: ‘E allora, andiamo via!’98 Si tratta di considerazioni che egli avrebbe esposto anche a Girolamo Palazzina, il Direttore della segreteria, che ne diede prontamente conto a Giovanni Gentile.

Il

documento (esposto nel Pannello 5.7 della mostra) è di difficile lettura, ma il contenuto è chiarissimo. Ciò che risulta dallo stesso è lo sconcerto provato da Mortara nel vedere messo in discussione il suo diritto di essere “cittadino di famiglia italiana” sia pure “di religione ebraica”, convinto che il provvedimento avrebbe aperto tempi molto difficili per gli ebrei italiani

Giorgio [Mortara] non si fa nessuna illusione e mi prega di dispensarla dal tenere esami, affidandoli al Lenti (che egli si augura gli succeda). Lo stesso Giorgio mi rinvia al censimento con un N.B.: “Il sottoscritto non può rispondere alla domanda perché non crede scientificamente all’esistenza della razza ebrea: fornisce tuttavia i dati atti a una classificazione in base a criterio opposto” e muta la domanda della scheda così. “Se appartenga a famiglia italiana di religione israelita e risponde affermativamente a questa e analoghe domande relative al padre, madre e coniuge; mentre quelle riguardanti la religione professata risponde: “Nessuna religione costituita. Credo in un Dio di giustizia e di bontà”.99 L’illusione di molti, fra i quali lo stesso Gentile, era che, alla fine, il decreto avrebbe contemplato alcune eccezioni, fra le quali potessero rientrare anche i professori della

98

Mortara G., “Ricordi della mia vita”, in Università di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Scienze statistiche demografiche e attuariali, Dipartimento di Scienze demografiche, Omaggio a Giorgio Mortara. Vita e opere. 1885-1967, Roma, Università di Roma La Sapienza, 1985, p. 39. 99

Lettera di Girolamo Palazzina, Direttore della segreteria, a Giovanni Gentile, Miazzina, 8-9- 38 -XVI. La copia originale del documento è pubblicata nel Pannello 5.7 della mostra

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Bocconi. Prova ne sia che, rispondendo alla lettera riportata più sopra egli scriveva: “Non credo neanch’io alla razza; e l’ho detto ben forte a chi di ragione. Ma ora non si tratta di credere o non credere. Purtroppo!” Gentile comunicava così al Direttore della segreteria la sua intenzione di presentarsi davanti al Gran Consiglio del Fascismo, per illustrare le ragioni umane e civili che avrebbero dovuto spingere il regime a tornare sui suoi passi. E in tal senso Gentile scriveva anche a Del Vecchio e a Mortara mostrando loro tutto il suo rammarico per l’accaduto e l’intenzione di perorare la loro causa davanti al Gran Consiglio. Caro professore, Ella conosce i sentimenti di stima e amicizia creati in me dai nostri rapporti personali in tanti anni di collaborazione all’Università Bocconi; di quanto assegnamento io facessi su questa sua collaborazione nel mio programma di rinnovamento di questa Università e può immaginare con quanto rammarico mi vedo costretto a non potervi più fare assegnamento. Ma a questo rammarico piuttosto egoistico si aggiunge il dolore di non poterle mandare neanche una parola di conforto in un’ora che so di angoscia per Lei. Un qualche raggio di speranza mi rimane tuttavia per l’alta assicurazione datami la settimana scorsa a Roma del conto che il Gran Consiglio farà delle benemerenze militari e politiche, nonché di quelle scientifiche, come titolo per confermare gli israeliti che le posseggono. Con questo augurio le mando una stretta cordiale di mano e l’assicurazione della mia amicizia inalterabile. Suo Giovanni Gentile100 Ma su questa ipotesi né l’uno né l’altro coltivavano false illusioni, ed in ogni caso mai avrebbero accettato alcun ignobile compromesso. La lettera di Mortara a Gentile non lascia dubbi al proposito: Illustre senatore, grazie per le sue parole buone, espressione di quella fraternità d’intelletto e di spirito creata da Dio, che nessuna forza umana può troncare. Le confesso che credo poco alle ‘eccezioni’; inoltre, se dovessero esistere, quasi mi vergognerei di farne parte tanto mi pare infondata la regola. Apprezzo molto il suo sentimento. L’Università Bocconi è stata il maggiore campo della mia attività, mi duole abbandonarla. Ma non è il mio siluramento che mi duole, è soprattutto il boicottaggio dei figli. Nonostante tutto, confido che essi possano onorare il nome che portano e la loro patria, l’Italia.101 Il tentativo condotto dal filosofo per salvarli mettendo in giuoco tutta la sua autorità in una appassionata esposizione davanti al Gran Consiglio non diede i risultati sperati. Benito Mussolini, inebriato dalla trionfale accoglienza ricevuta nei giorni precedenti a Monaco di 100 101

Archivi storici, Università Bocconi. Archivi storici, Università Bocconi.

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Baviera (29-30 settembre 1938), non volle sentire ragioni: la sorte dei “colleghi ebrei’ era ormai segnata. Col cuore gonfio d’amarezza, Mortara – scrivendo a Luigi Einaudi - esprimeva tutta la sua disillusione di italiano, quale si sentiva – ancor prima che ebreo - nei confronti di uno Stato e di un regime nei quali un tempo aveva creduto: Caro Senatore, […] Spero che i miei, diciamo così, meriti civili e militari mi valgano dal governo fascista l’unico compenso che chiedo: il passaporto. Naturalmente prima di muovermi bisogna che io abbia la sicurezza di trovare immediata possibilità di lavoro negli Stati Uniti [...]. Non voglio allontanarmi senza portare la mia famiglia: anzi, se ne avessi il modo, mandare via loro e resterei io, dato che non intendo affatto rinunziare alla mia italianità ed ai miei diritti temporaneamente calpestati. Ma, oggi come oggi, per chi non ha un centesimo all’estero, come me, il solo modo di mantenere i figli - ancora ragazzi - all’estero è quello di procurarsi colà un mezzo di sussistenza [...]. Intendo evitare ogni speculazione sull’esilio e dedicarmi esclusivamente ai miei figli. Ho sempre combattuto, inoltre, il razzismo come il nazionalismo ebraico, ed oggi più che mai mi sento profondamente ed esclusivamente italiano […]. Non escludo che prima di allora mi facciano la pelle qui, in omaggio al nemo propheta in patria. Ma non è certo questa previsione che mi spinge a espatriare: come Le dicevo, è solo l’amore dei miei figli che mi dà il coraggio di affrontare le incognite dell’esilio. Personalmente, ho in Italia tanti amici che mi si sono dimostrati fedeli anche in queste ore penose, e in nessun altro luogo sarò mai circondato da tanta simpatia. Ma inorridisco solo al pensare che i miei figli possano essere ridotti a vivere peggio degli “intoccabili” indiani in quella che pure è la loro unica patria. E lei, padre e uomo di liberi sensi, può intendere quest’orrore!102 Ormai non gli restava che lasciare la Bocconi e Milano e prendere la via dell’esilio, cercando rifugio in terre più ospitali. Risultato vano ogni tentativo di riparare negli Stati Uniti, Mortara dovette rassegnarsi ad imboccare la strada del Brasile: Le mie speranze erano rivolte specialmente all’Inghilterra ed agli Stati Uniti; ma l’esodo degli studiosi profughi dall’Unione Sovietica, dalla Germania e dall’Austria aveva già saturato quei paesi di scienziati stranieri. Tuttavia, qualche possibilità sembrava offrirsi negli Stati Uniti, e stavo per cercare di sfruttarla, quando ricevetti […] la proposta di trasferirmi in Brasile. Non pensammo due volte prima di accettare; ci parve una splendida occasione, da non lasciar sfuggire, e cominciammo subito le pratiche necessarie per l’emigrazione. Col riscatto della mia assicurazione sulla vita e con la vendita dei titoli che possedevamo, provvidi alle spese di viaggio e di primo impianto. Mercé l’amichevole iniziativa di Azzolini, la Banca d’Italia, insieme con il 102

Archivi storici, Università Bocconi.

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Credito Italiano e con la Banca Commerciale Italiana, mi fece accreditare in conto corrente a New York un importo in valuta [...]. Partimmo da Trieste il 5 gennaio 1939. La motonave Neptunia, sulla quale ci imbarcammo, fece scalo a Napoli, dove scendemmo per dare l’addio a quella città tanto cara ai nostri ricordi[...]. Il 19 gennaio giungemmo a Rio de Janeiro.103 Il professore non lasciò l’Università da solo; lo imitarono Paolo Baffi e Alberto Campolongo, che – con grande senso etico e un certo coraggio- dichiararono che con l’espulsione del loro Maestro non intendevano cooperare ulteriormente con l’Università e rassegnarono le dimissioni da assistenti dell’Istituto di Statistica. In questo senso, mi par possibile dire che, almeno nei confronti di Mortara e Del Vecchio, l’indifferenza generale ebbe poche, ma belle eccezioni. Lasciando l’Italia, Giorgio Mortara avrebbe dovuto abbandonare anche il Giornale degli Economisti, da lui diretto, che allora costituiva la più reputata rivista italiana di economia. L’idea che, partito lui, la rivista cadesse nelle mani dei suoi persecutori gli riusciva insopportabile. Il suo primo impulso fu quello di sopprimerla, offrendola all’Università Bocconi, con l'accordo che sarebbe stata assorbita dagli Annali di Economia, la rivista di proprietà dell’Ateneo, impedendo così a chiunque di utilizzare la testata. Ma nel '38 il regime non poteva ammettere che la sola rivista economica nota in campo internazionale cessasse di punto in bianco le pubblicazioni a seguito dei provvedimenti razziali. Tutto ciò era ben chiaro al vice presidente Gentile, che suggerì di fondere i due periodici, non tanto per sopprimere il Giornale, quanto gli Annali, che non godevano dello stesso prestigio della rivista, che era stata di Vilfredo Pareto e di Maffeo Pantaleoni. Grazie alla accorta mediazione di Mortara e alla sua autorevolezza nel respingere gli attacchi degli economisti di regime, il Giornale degli Economisti sarebbe passato all’Istituto di alti studi economici “Ettore Bocconi”; negli anni che seguirono, furono più le volte nelle quali la rivista fu sequestrata, piuttosto che quelle in cui ebbe il permesso di circolare. Ma questa è un’altra storia. Mortara avrebbe vissuto in Brasile per tutto il periodo bellico –pur continuando a mantenere rapporti epistolari con gli amici della Bocconi – e lì sarebbe rimasto anche nel dopoguerra, fino al suo ritorno in Italia nel 1956, quando cominciò a insegnare all’Università di Roma “La Sapienza”. Del Vecchio invece rimase in Italia, pubblicando anche per l’Enciclopedia di Gentile sotto falso nome. Solo nell’estate del ’43 sarebbe

103

G. Mortara, “Ricordi della mia vita”, cit., p. 40.

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riparato in Svizzera dopo un’avventurosa traversata delle Alpi, assieme alla sorella, guidato da un “passatore”, al quale aveva pagato la bella somma di 10.000 lire. Alla fine del conflitto, ritornato in Italia, Del Vecchio rifiutò la cattedra offertagli dalla Bocconi, in quanto chiamato a far parte del Primo governo De Gasperi quale ministro del Tesoro e del Bilancio e a ricoprire in seguito la carica di governatore del Fondo Monetario Internazionale. Solo più tardi, alla fine della sua esperienza politica, avrebbe accettato la cattedra di Scienza delle finanze all’Università di Roma “La Sapienza”. Chiudo il mio intervento con una amara osservazione: la gente dimentica presto e l’indifferenza di ieri non è molto dissimile da quella di oggi. In questo senso si ha l’impressione che la storia non insegni nulla a nessuno e che gli uomini siano condannati a rivivere esperienze che pareva impossibile potessero ripetersi. Mi vien da chiedere: saprà esorcizzare quel pericolo lo sforzo fatto per tenere vivo il ricordo fra le giovani generazioni? Il sentimento spingerebbe a dare una risposta positiva. La ragione è un po’ meno ottimista.

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11.

Damiano Palano Professore ordinario in Filosofia Politica, Università Cattolica del Sacro Cuore

L’applicazione delle leggi antiebraiche nell’Università Cattolica del Sacro Cuore L’intervento di Damino Palano è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=10960

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- Parte 2. Razza, immagini e rappresentazioni

12.

Barbara Bracco professoressa ordinaria in Storia Contemporanea, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Introduzione e moderazione L’intervento di Barbara Bracco è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=17563

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13.

Vincenza Iossa Bibliotecaria, Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca

I materiali del Ministero dell’Educazione Nazionale nella Biblioteca “Luigi De Gregori”

La Biblioteca “Luigi De Gregori” - situata presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - è una biblioteca poco conosciuta, nonostante sia stata fondata 150 anni fa, precisamente nel 1870. Negli ultimi decenni è rimasta più che chiusa di fatto socchiusa: se ne era quasi persa notizia. La Biblioteca nasce a Torino con lo Stato unitario e arriva a Roma con il Ministero dell’Istruzione nel 1863, dove subito inizia a corredarsi di importanti testi relativi alla storia legislativa del Ministero che sta allora prendendo forma, unitamente a studi di pedagogia in tutte le lingue e a testi di scolastici. Nel suo posseduto accoglierà poi libri provenienti dal Museo Pedagogico, che viene chiuso nel 1893. Purtroppo, queste importanti collezioni, di cui abbiamo dettagliata notizia, sono andate disperse e vengono a mancare agli studiosi. Sappiamo che in parte sono state donate alla Biblioteca Nazionale di Torino che venne distrutta nel 1908 da un memorabile incendio. Della grande struttura lignea che conteneva i testi non restò nulla. La Biblioteca del Ministero, come accadde anche per altre biblioteche statali, venne sguarnita di gran parte del suo posseduto librario e financo delle suppellettili che furono donate alla Biblioteca Nazionale di Torino per consentirle di riorganizzarsi e di riaprire. Così impoverita, la nostra Biblioteca riprese vigore con il Ministro Credaro che nel 1912 stabilì di ricostituirla con acquisti mirati sulla base delle necessità indicate dalle scuole e dal Ministero. Nel 1920, però, Benedetto Croce – allora Ministro dell’Istruzione nel V Governo Giolitti - decise in maniera imprevista di sopprimerla, mantenendone solo il fondo legislativo che allocò presso la Biblioteca Alessandrina di Roma. Tale spoliazione viene così ricordata nel 1937 da Luigi de Gregori in Accademie e Biblioteche: Dal di fuori si corse da ogni parte per spogliarla dei suoi libri e perfino dei suoi scaffali; se ne prese la Biblioteca Alessandrina, se ne prese quella di Gorizia, se ne prese la Casa di Dante, se ne presero perfino le Carceri di Regina Coeli 67


alle quali furono spedite a carretti le ricche collezioni di libri scolastici che la Biblioteca aveva pazientemente raccolto in tanti anni.104. Siamo ancora sulle tracce di quel favoloso posseduto. La Biblioteca venne riaperta il 27 ottobre del 1937. Il Ministro Bottai la fece collocare nelle sale a pian terreno del palazzo di viale Trastevere, secondo l’assetto che possiamo vedere ancora oggi. I fondi vennero ricostituiti e venne ripensata “soprattutto per servire ai fini di studio e di consultazione per i funzionari dell’Amministrazione.”105 Siamo in pieno Fascismo. Il regime era notoriamente molto attento alla comunicazione relativa al proprio operato e stampava molte pubblicazioni che diffondeva capillarmente attraverso la rete dei provveditorati, delle scuole, delle associazioni giovanili di vario tipo ma anche attraverso le biblioteche. In quegli anni il Ministero era editore e anche la Biblioteca nella sua sezione legislativa dava alle stampe molta letteratura, soprattutto grigia che una aveva circolazione ristretta. Tra i nostri scaffali sono conservate anche molte di queste pubblicazioni assieme a quelle che le scuole inviavano al Ministero, a commento dei documenti o degli eventi fascisti. Abbiamo dunque un posseduto raro e molto importante per documentare la vita della scuola nell’era fascista. Ad esempio, possediamo le edizioni più importanti - e anche le più rare - della Carta della Scuola emessa dal Ministro Bottai, con commentari e saggi a corredo. Nel catalogo della Biblioteca si possono trovare anche libri, opuscoli e raccolte che professori e studenti scrivevano per aderire, talora in modo entusiasta, ai momenti celebrativi del fascismo. Meritano di essere ricordati i bollettini che i Regi Provveditorati agli Studi davano alle stampe in occasione della Giornata della tecnica, organizzata dal Ministro Bottai dal 1940 al 1943, di cui abbiamo svariati esemplari. Conserviamo anche gli omaggi inviati dalle scuole italiane al Duce, dei più svariati tipi: da album di foto a medaglioni, a disegni. Tra questi vi è un voluminoso testo, in pergamena, con un frontespizio arricchito da moderna miniatura, magnificamente rilegato in cuoio. Le sue pagine non solo altro che semplici elenchi di firme degli studenti che

104

Luigi De Gregori, “La nuova biblioteca del Ministero della Educazione Nazionale.” Accademie e Biblioteche d’Italia XI, 6 (1937), 583–84. 105 Ibidem.

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avevano goduto dell’assistenza scolastica nel 1940. Era un segno di gratitudine dei ragazzi e dei loro insegnanti al “loro Duce". Tutto ciò rende di estremo interesse il posseduto della Biblioteca “De Gregori”, soprattutto nel contesto della nostra mostra e conferenza. Si tratta, infatti, di un importante patrimonio che documenta aspetti ancora poco conosciuti della vita della scuola italiana, il cui studio può contribuire a ricostruire un volto ancora non ben delineato della realtà culturale e sociale del nostro Paese di quegli anni. È un posseduto rilevante soprattutto per l’importante sezione normativa che contiene, non ancora del tutto catalogata e quindi non ancora presente nel catalogo collettivo delle biblioteche italiane (SBN). L’operazione che intendiamo rafforzare consiste dunque nel far riemergere ciò che è stato per tanti anni dimenticato, coperto dalla polvere dell’oblio. In particolare, abbiamo cominciato a lavorare sulle fonti normative pubbliche, ovvero sui testi che ancor oggi vengono maggiormente consultati: i Bollettini ufficiali, gli Annuari, i Ruoli di anzianità, le norme. Fino all’avvento di internet, questa Biblioteca era molto frequentata dagli impiegati, interessati a consultare soprattutto le pubblicazioni normative: l'Amministrazione ha infatti bisogno della Gazzetta Ufficiale, delle raccolte legislative, di tutta una serie di documenti che adesso è molto facile reperire direttamente tramite le fonti informatizzate e il web ma che allora generavano un via vai non indifferente, che alcuni vecchi impiegati ancora ricordano. Ora queste pubblicazioni sono meno utilizzate e sono state progressivamente dimenticate e trascurate anche dai ricercatori. Proprio per porre fine a questa trascuratezza, sostenuti dal consiglio e dalla competenza di Michele Sarfatti, con Manuele Gianfrancesco abbiamo dato vita ad una ricerca riguardante le norme secondarie emanate tra il 1938 e il 1943, atte ad applicare le leggi antiebraiche. Si tratta di norme secondarie che le scuole ben conoscono e con cui studenti e professori hanno familiarità: ordinanze, decreti e circolari che l’amministrazione del Ministero dell’Educazione Nazionale aveva utilizzato per governare la scuola. Un esempio per tutti è la cosiddetta circolare "incarichi e supplenze", che chiunque abbia insegnato in una scuola statale certamente conosce poiché è il documento che assegna gli incarichi annuali e le supplenze temporanee ai docenti non di ruolo. Ebbene, il 9 agosto 69


1938 fu emanata la circolare n. 12336 riguardante il Conferimento delle supplenze e degli incarichi a docenti di razza ebraica: si trattava con ogni probabilità del primo provvedimento antiebraico106, redatto e diffuso ancor prima che venisse promulgata la prima delle norme quadro restrittive, il 5 settembre dello stesso anno. Bisognava disegnare gli organici delle singole istituzioni scolastiche, secondo gli imperativi ideologici del fascismo. Come scrive il Ministro Bottai, nella circolare di Gabinetto n. 3, gli obiettivi all’inizio dell’anno scolastico sono gli stessi che la Rivoluzione persegue nei confronti di tutto il popolo italiano, riportandolo libero da intrusioni e da scorie, alla espressione genuina delle sue essenziali tendenze e rendendolo sempre più unito e compatto, per razza e per tradizione, per volontà e per ideali, attorno al suo Duce.107 Proprio per i contenuti che esprimono, abbiamo intrapreso una lettura sistematica dei Bollettini ufficiali emanati dal Ministero dell’Educazione Nazionale, un periodico che raccoglie sia gli atti generali che quelli applicativi delle norme. Come arco temporale per la nostra ricerca abbiamo scelto gli anni che vanno dal 1938 al 1943, ovvero dall’inizio delle leggi antisemite alla costituzione della Repubblica Sociale, cercando in particolare tutto ciò che fosse relativo all’allontanamento di studenti, docenti e personale di origine ebraica dal mondo della scuola e della cultura e realizzando lo spoglio del periodico secondo temi specifici. Il risultato è stato sorprendente: sono emersi oltre 700 minuziosi provvedimenti rivolti a studenti, docenti, impiegati, bibliotecari, direttori di gallerie, insegnanti di conservatori, cuochi, macchinisti, inservienti, alunni di ordine in prova. Tali provvedimenti, ultraufficiali, non erano mai stati finora né censiti, né comparati, né tantomeno contati. Questo è il lavoro di spoglio che può essere svolto in una biblioteca in merito ai materiali che contiene: sono una bibliotecaria e non sono una storica, d’altronde. Compito del bibliotecario è rendere accessibili le proprie fonti a chi vuole studiarle, consentire il più largo accesso possibile alla conoscenza. Questo è da sempre il compito principale delle biblioteche, perfettamente in linea con i principi sostenuti dal nostro primo direttore, Luigi De Gregori, a cui è per altro dedicata 106

Ministero dell’Educazione Nazionale - Direzione Generale dell’Ordine Superiore Classico, Dalla riforma Gentile alla Carta della Scuola, Firenze, Vallecchi, 1941. 107 Ministero dell’Educazione Nazionale, “Circolare n. 32, Inizio del nuovo anno scolastico”, Bollettino ufficiale / Ministero dell'educazione nazionale. 2, Atti di amministrazione, vol. 63, n. 41, 1938, pp. 2393-2395.

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la nostra Biblioteca. Negli anni ‘30, già ispettore bibliografico e protagonista indiscusso del mondo delle biblioteche non solo italiano, De Gregori scriveva che le biblioteche devono essere considerate come delle fontane e non come dei serbatoi. 108 Le biblioteche debbono rendere possibile l’accesso alla conoscenza, altrimenti restano contenitori chiusi, inservibili e alla fine inutili. In un articolo del 24 gennaio del 1927 pubblicato sul Corriere della Sera, De Gregori sosteneva l’importanza della lettura per la formazione di un popolo: Per gli Americani la lettura dev’essere un beneficio e un diritto di tutti, perché allo sviluppo della civiltà collettiva giova più la lettura di tutti che lo studio di pochi”.109 Nel 1935, Luigi De Gregori aveva inviato al direttore del periodico Quadrivio un intervento dall’esplicito titolo “Difesa dei bibliotecari”, quale risposta ad un articolo di Vito Perroni che conteneva “una tirata così mancina contro i bibliotecari”. Perroni aveva scritto infatti che i bibliotecari “formano una specie di massoneria bibliotecaria”, al punto da affermare che “Tanto che per conto mio li manderei al confino”.110 De Gregori difende i bibliotecari con varie argomentazioni e li definisce invece “gente pacifica per eccellenza, che non risponde mai”.111 Non era facile scrivere queste parole nel 1935, anni in cui il fascismo già mostrava il suo volto pienamente illiberale. Del resto, le leggi antiebraiche riguardarono anche i bibliotecari. Per questo nella nostra ricerca, abbiamo riportato uno per uno i nomi di coloro che vennero “dispensati dal servizio”, come vuole la dicitura dell’epoca, poiché ebrei. Il Ministero, come abbiamo ricordato, aveva giurisdizione su tutti gli ambiti del mondo culturale. Cerchiamo ora di riprendere la nobile tradizione liberale di questa Biblioteca, che così a lungo è stata dimenticata. Al MIUR lavorano ancora impiegati che ci raccontano di non aver mai visto la Biblioteca aperta negli ultimi 30 anni. È faticoso riaprire una biblioteca a lungo trascurata, ma è una fatica che in questo momento della nostra vita culturale molti bibliotecari compiono con grande e condivisa passione, perché la biblioteca è un luogo dove si può coltivare la libertà intellettuale, la libertà critica, la libertà personale.

108 109 110 111

Luigi De Gregori, La mia campagna per le biblioteche: (1925-1957), Roma, AIB, 1980, p. 61. Ibidem, p. 57. Ibidem, p. 121. Ibidem, p. 117.

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Voglio concludere questo intervento invitando tutti a frequentare le biblioteche, ad andare nella nostra Biblioteca se volessero visitarla o anche collaborare, o in una qualunque altra biblioteca. Lasciatemi allora citare una frase molto nota che mi sembra opportuna in questo contesto e che ha segnato anche la mia adolescenza, le mie scelte di studio e di lavoro. Ăˆ la frase che Primo Levi rivolge a Jean, il Pikolo del Kommando, commentando il XXVI canto (vv.112-120) dell'Inferno di Dante. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

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Manuele Gianfrancesco Dottorando in Storia Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo Sapienza Università di Roma

L’educazione fascista nei fondi della Biblioteca “Luigi De Gregori” – MIUR Il presente intervento nasce dalla volontà di raccontare alcuni percorsi di studio e di ricerca svolti presso la Biblioteca “Luigi De Gregori” del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), dove ho avuto la fortuna di poter studiare e di lavorare in un periodo in cui la Biblioteca stava restituendo al pubblico il proprio patrimonio librario. Ed è proprio partendo da tale patrimonio che è stato possibile approfondire il rapporto fra la teoria pedagogica fascista e il mondo dell'educazione, soffermandosi su come il razzismo fosse diventato parte della dottrina fascista dello Stato attraverso azioni legislative e pratiche pedagogiche, giungendo direttamente nelle aule scolastiche. La fonte principale che ho scelto per raccontare questo percorso è la pubblicistica riguardante il mondo della scuola in epoca fascista; in particolare, nell’articolare l’allestimento della mostra qui proposta, sono stati scelti i manuali con cui gli insegnanti preparavano i concorsi per avere acceso alla carriera magistrale. Questo tipo di opere ben restituiscono la volontà del fascismo di formare una classe di docenti secondo i dettami del razzismo e dell'antisemitismo; il fine era quello di far penetrare l’ideologia fin dall'infanzia attraverso la scuola e, attraverso l’educazione dei bambini, entrare nelle famiglie e quindi in tutto il popolo italiano. Il ruolo della scuola, d’altronde, è centrale all’interno del progetto totalitario fascista. Il regime mussoliniano, infatti, invade da subito la vita educativa utilizzando gli strumenti della cultura materiale della scuola: dai libri di testo alle immagini fino alle copertine dei quaderni, dalle pagelle alle fotografie fino ai fumetti. Per comprendere a fondo il ruolo della scuola nell'istaurazione del nuovo razzismo di Stato è bene soffermarsi su un passaggio emblematico che ben esprime il pensiero di Giuseppe Bottai, l’allora Ministro dell'Educazione Nazionale, riportato il 15 settembre 1938 sul periodico la Critica Fascista:

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Nella scuola si forma la personalità dell’uomo, perciò nella scuola si doveva cominciare con l’epurazione. La difesa della razza […] se vuole davvero inserirsi nella realtà comincia ad operare nella scuola. All’interno della collezione di periodici, preservata nell'emeroteca della Biblioteca “Luigi De Gregori” e legata al mondo dell'istruzione, è presente la rivista Il Gruppo d’Azione, quale Bollettino mensile del Gruppo d’azione per le scuole del popolo, un’organizzazione culturale ed assistenziale che faceva capo all’Associazione fascista della scuola. In un articolo della rivista, che annovera la scuola tra i principali istituti educativi del fascismo – congiuntamente insieme alla Corporazione e all’esercito –, si legge: La scuola, infine, palestra nobile dei corpi e degli ingegni, preparatrice degli intelletti, in armonia fra il saggio contemperamento della ragione con la freschezza perpetuamente rinnovatrice dell’istinto, educatrice dello spirito verso un ideale di vita morale, secondo modelli ed esempi di una civiltà, determinata dai concetti di razza e di nazione112. Il tema della razza, ampiamente strutturato nella società, entrò nelle scuole attraverso un’intensa opera pubblicistica diretta ad orientare la formazione degli insegnanti e degli studenti. Si rimanda di seguito ad alcuni titoli particolarmente emblematici che ben rappresentano gli intenti della pedagogia che da fascista si trasformò in razzista, come si può verificare dalle copertine dei testi rivolti a studenti e insegnanti, pubblicati in alcuni pannelli della presente mostra: Argomenti di pedagogia fascista: guida per la preparazione ai concorsi magistrali; La scuola del fascismo: appunti di pedagogia militante per gli educatori; Scuola fascista: preparazione completa per i candidati ai concorsi magistrali; La nuova scuola del fascismo; Fascistizzazione della scuola; Unità dell’Educazione ed Educazione fisica nella Pedagogia fascista; Nozioni di cultura fascista ad uso della gioventù. Come emerge dai titoli citati, il razzismo si inserisce all’interno di una pedagogia fascista già presente, declinando una serie di tematiche secondo l’ideologia del regime. In questo senso è importante sottolineare come viene trattato il ruolo della donna o i lavori donneschi o l’importanza attribuita al tema dell’igiene, già ampiamente presente durante l'Italia liberale sia nella letteratura, sia attraverso i manuali ad uso degli insegnanti, di cui troviamo una consistente traccia nella biblioteca. Durante il fascismo, l'igiene trova infatti

112 “La funzione dell'educatore nel Regime Fascista”, Il Gruppo d'Azione, Luglio-Settembre, n. 10-12, p. 6.

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una nuova declinazione, venendo a legarsi strettamente con il razzismo113: non rimane confinato all'ambito strettamente medico, bensì si orienta all'interno delle teorie e delle pratiche educative. Un esempio è il lavoro del pedagogista Enzo Grimaldo Grimaldi, che nel testo su Unità dell’Educazione ed Educazione fisica nella Pedagogia fascista affronta il ruolo sociale dell'Igiene all'interno dello Stato Fascista, inserendolo tanto nel discorso strettamente sanitario, quanto in quello razzista: è con questi intendimenti che lo Stato Fascista, oltre che le istituzioni e la propaganda igienico-sanitaria, ha raccolto e inserito nella sua dottrina l’idea razzista, e ha prodotto una legislazione specifica intesa alla più energica opera di bonifica e di tutela della razza italiana. L’idea della tutela della razza italiana mostra in maniera evidente come alla base della purezza biologica vi sia in realtà una paura della contaminazione, che altro non è che paura del diverso e dell’Altro in tutte le sue declinazioni. Scrive sempre Enzo Grimaldo Grimaldi: Il razzismo fascista mira alla bonifica e alla tutela della razza italiana nella sua integrità e purezza, ed è perciò totalitario; non soltanto antisemitico o antiafricano, ma contro ogni ibridazione e naturalizzazione più o meno sistematica, contro ogni disarmonia biologica114. Il volume di pedagogia Argomenti di pedagogia fascista: guida per la preparazione ai concorsi magistrali, redatto da Felice Cassano nel 1938, viene successivamente ampliato in un’edizione riveduta, dove dedica alcune pagine al tema del razzismo, come testimonia il capitolo “Il problema della razza”, suddiviso in due paragrafi, intitolati a loro volta “Necessità del razzismo” e “Il razzismo a scuola”. È chiaramente il maestro a dover diffondere la retorica razzista, come scrive Cassano: Il maestro, che è e dev’essere sempre più una voce della Nazione educatrice, non può ignorare il problema che oggi appassiona ogni italiano e che s’innesta alla formazione, che nella scuola si deve compiere, di una coscienza nazionale, coloniale e imperiale, ben salda e profonda: voglio dire il problema della razza.

113 Un titolo emblematico in questo senso è il testo su L’igiene infantile in rapporto alla politica razziale del regime, dove il professor Annibale Puca - incaricato di psicologia sperimentale nella Regia Università di Catania e Direttore dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Reggio Calabria – pubblica la relazione presentata al IV Congresso medico-chirurgico calabrese del 1939. 114 Enzo Grimaldo Grimaldi, Unità dell'educazione ed educazione fisica nella pedagogia del fascismo: con appendice sull'iniziazione ai problemi del sesso, nel quadro dell'unità, Bologna, Novecentesca, 1940, p. 120.

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Fissato il ruolo del maestro e della scuola nell’educazione del razzismo e dell'imperialismo fascista, Cassano entra nella questione antisemita: La presenza in Italia di ebrei, che appartengono ad una razza di gran lunga diversa dalla nostra, la conquista dell’impero e perciò i contatti frequenti, anzi continui, con razze di colore, del fior fiore della nostra razza italica, dei soldati e dei coloni, scelti tra i giovani più forti e robusti del nostro popolo, rappresentano tali pericoli immanenti ed immediati che il trascurare la difesa della razza non può essere se non mania suicida.115 Ritorna quindi all'interno dei manuali la paura della contaminazione biologico-razziale della migliore gioventù italiana a contatto con altre razze, uno dei fondamenti della pedagogia razzista del fascismo. Bisogna aggiungere che non soltanto i contenuti di questi manuali vengono toccati dal razzismo, ma anche i programmi universitari, come testimonia la rivista Vita universitaria, che è stata presa a manifesto della mostra. Si tratta di un quindicinale, che si occupava di Università durante il Fascismo. In un articolo del 1938, la rivista offre ai suoi lettori un quadro completo delle discipline a carattere marcatamente razziale, inserite nelle facoltà italiane per l’anno accademico 1938-1939: Alla Facoltà di giurisprudenza si è aggiunta la “antropologia” e la “demografia comparata delle razze”, che verrà impartita anche nella Facoltà di scienze politiche. Nella Facoltà di statistica si avrà la Biometria; e, per la laurea in Scienze statistiche e demografiche, l’Etnologia. Per la laurea in Scienze demografiche, statistiche ed attuariali, l’insegnamento di demografia è modificato in Sviluppo della popolazione e politica della razza. La Biologia delle razze umane viene compresa fra gli insegnamenti di ben sei lauree; e cioè: di Scienze naturali, di Scienze biologiche, di Medicina e chirurgia, di Filosofia, di Pedagogia e di materie letterarie. È questa, oggi, la materia che è insegnata nel maggior numero di Facoltà. Per laurea in Medicina e Chirurgia, si è aggiunta anche la Scienza dell’ortogenesi e la Puericoltura, oltre all’Antropologia criminale.116 Quest'elenco restituisce immediatamente la penetrazione del razzismo all’interno dell'istruzione e dei programmi di studio. In conclusione, con questa breve esposizione ho cercato di mettere in luce alcune possibilità di studio della Biblioteca “Luigi De Gregori”. Quelli presentati rimangono comunque esempi limitati, per cui è necessario approfondire ulteriormente il discorso sul 115 Vito Felice Cassano, Argomenti di pedagogia fascista: guida per la preparazione ai concorsi magistrali, II ed. ampliata e riveduta, Bari, Macri editore, 1938, pp. 217-218-219. 116 Vita Universitaria, anno III, n. 2 (20 ottobre 1938), p. 1

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razzismo e le sue conseguenze, continuate nel corso dei decenni: chi si formò su libri di testo razzisti e si occupò di pedagogia durante il fascismo continuò a svolere il proprio lavoro educativo anche nell'Italia repubblicana. In fondo, riflettere sulle conseguenze di lungo corso delle scelte operate in determinati periodi storici deve esserci d’aiuto per comprendere come la veicolazione di certe tematiche ideologiche a scuola influisca profondamente sulla società nel suo complesso, passando attraverso le generazioni.

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Patrizia Guarnieri Professoressa di Storia contemporanea Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo Università degli Studi di Firenze

L’emigrazione degli psicologi ebrei dopo il 1938: “false notizie” e minimizzazioni. Il caso di Enzo Bonaventura* Da anni mi occupo di mobilità intellettuale dall’Italia, soprattutto (ma non solo) a seguito delle leggi razziali. Attualmente sto lavorando ad un portale open access su Intellettuali in fuga dall’Italia fascista. Migranti esuli e rifugiati per motivi politici e razziali che ne raccoglie

biografie,

foto,

mappe

e

approfondimenti:

http://intellettualinfuga.fupress.com/ Ero partita dal voler focalizzare la mia indagine su un ambito disciplinare tradizionale e ho invece optato per una disciplina giovane e problematica, come è la psicologia. Le sue peculiari vicende legate all’imperante neoidealismo italiano molto differiscono da quelle della coeva psicologia tedesca, la quale riscosse il riconoscimento giuridico della professione nel 1941 durante il periodo nazista, mentre la psicologia italiana dovette attendere fino al 1989, assai tardivamente rispetto ad altri Ordini professionali che proprio il fascismo istituì. Cosa avvenne alla comunità italiana degli psicologi durante la fascistizzazione? Chi partì a seguito delle leggi antiebraiche, e tornò o rimase all’estero? Tra gli studiosi di qualunque *

Il testo è una rielaborazione dell’intervento pronunciato all’Università di Milano-Bicocca il 18 febbraio 2019 durante la conferenza su “Razza e Istruzione”. Per una trattazione più ampia e approfondita, e per le fonti soprattutto archivistiche a cui faccio riferimento, rinvio ad altre mie pubblicazioni elencate nella nota bibliografica finale, perché contengono le referenze precise alle fonti primarie. Del caso di Enzo Bonaventura, su cui mi soffermo, ho avuto l’opportunità di discutere con studenti e colleghi che ringrazio, in varie occasioni, tra cui il seminario organizzato da David Maghnagi alla Tel Aviv University, 3 giugno 2016; la conferenza al Magnes Collection of Jewish Art and Life alla University of California at Berkeley, 8 marzo 2017; il convegno 70 anni dalla morte di Enzo Bonaventura 1891-1948 presso il Dipartimento SAGAS dell’Università di Firenze, 13 aprile 2018; False notizie e persecuzione degli studiosi ebrei nell’università. I casi di Enzo Bonaventura e di Cesare Musatti, seminario al Dottorato in Scienze Storiche, Archeologiche e Storico-artistiche presso Università Federico II di Napoli, 17 aprile 2018; il seminario su Psicologi e psicoanalisti in Italia durante le leggi razziali presso la Scuola di Psicologia, Università di Firenze, 30 gennaio 2019.

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settore disciplinare che decisero di lasciare l’Italia durante il regime per cercare lavoro altrove, oltre un centinaio si rivolse alla più grande organizzazione internazionale di aiuto per gli studiosi europei in fuga dal nazismo e dal fascismo; tramite l’Emergency Committee in Aid of Displaced Foreign Scholars che aveva sede a New York, furono appena una decina coloro che dopo il 1938 ottennero un sostegno finanziario e un’occupazione a tempo determinato. Quei pochi studiosi provenienti dall’Italia che furono selezionati per il finanziamento (335 il totale dei grantees su circa 6000 assistiti dell’ECADFS), appartenevano ad ambiti disciplinari fra loro diversi, eccetto due. Due erano giovani professori di fisica - Giulio Racah e Bruno Rossi -, il che non sorprende data l’enorme reputazione della fisica italiana dovuta a Enrico Fermi che era stato insignito del Nobel proprio nel 1938; altri due erano psicologi – Enzo Bonaventura e Renata Calabresi -, il che invece stupisce abbastanza, data la situazione di grave debolezza della psicologia accademica in Italia rispetto a quella tedesca o americana dello stesso periodo. Racah e Bonaventura emigrarono nella Palestina mandataria e trovarono un posto alla Hebrew University di Gerusalemme; Rossi e la Calabresi approdarono entrambi negli USA. Tutti e quattro avevano avuto la propria formazione a Firenze; in particolare i due psicologi in questione si erano formati alla medesima scuola, quella di Francesco De Sarlo, il primo cattedratico italiano a fondare, nell’anno accademico 1903-04 presso l’allora Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento, un istituto di psicologia dotato di laboratorio e biblioteca, che ebbe risonanza internazionale almeno fino agli anni Venti quando andarono a segno i ripetuti tentativi di affossarlo. Proprio le complicate vicende migratorie degli psicologi, sopra nominati, verso destinazioni distanti e con reti di aiuto assai differenti (quella sionista e quella antifascista, per esempio), così come di loro colleghi uomini e donne che non tornarono più in Italia, mi hanno spinta a indagare il caso della psicologia italiana che si è rivelato particolarmente rilevante. Esso fornisce infatti indicazioni valide anche per indagare altri settori disciplinari e professionali. Anzitutto, nell’emigrazione forzata degli psicologi ebrei appare quanto mai evidente la generale minimizzazione fatta: tipicamente il fenomeno delle leggi razziali e delle loro conseguenze è stato rappresentato diminuendone l’importanza e la gravità, specialmente in ambito accademico. Si dice che la psicologia quasi non venne colpita dalle leggi antisemite. I cattedratici della psicologia non erano ebrei; le uniche vittime delle leggi 79


sarebbero state, secondo questa rappresentazione minimizzante, Cesare Musatti (che non espatriò) ed Enzo Bonaventura (che emigrò con tutta la famiglia): nessun accademico strutturato, ma appena due liberi docenti con incarico temporaneo rispettivamente nell’ateneo di Padova e in quello di Firenze. Effettivamente si tratta di numeri assai bassi. I professori di psicologia ancora in cattedra all’inizio del 1938 erano appena due: padre Agostino Gemelli all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano da lui fondata e retta, e Mario Ponzo all’Università di Roma La Sapienza; furono lasciate vacanti le altre cattedre: di Torino e di Napoli dopo il pensionamento dei rispettivi titolari che le avevano tenute dal 1906, e di Padova dopo la morte precoce di Vittorio Benussi, e persino di Firenze. Benché molto indebolita, la disciplina però non coincideva neppure accademicamente con l’attività dei due professori ordinari rimasti, come si può notare dagli insegnamenti sparsi su varie sedi, dai collaboratori della Rivista di Psicologia e di altri periodici della specialità, dall’elenco degli iscritti alla Società Italiana di Psicologia. I liberi docenti e i cultori della materia sono molti di più degli accademici al massimo della carriera in un qualsiasi settore scientifico disciplinare, e lo erano persino nelle università italiane nel settore della psicologia, dove deliberatamente la si era lasciata estinguere senza sostituire i cattedratici o addirittura allontanandoli anzitempo, come avvenne proprio a Firenze. Questa è un’ulteriore indicazione su cui lavorare: per valutare le perdite conseguenti alle leggi razziali dobbiamo guardare non solo ai professori ordinari e strutturati, ma alle perdite poco visibili di docenti non strutturati, giovani studiosi, neolaureati, studenti che finirono per essere allontanati dalla disciplina e dalla professione che avevano scelto. Come gli psicologi Enzo Bonaventura e Renata Calabresi, che non erano professori di ruolo, vennero direttamente colpiti in tutte le discipline dai provvedimenti del 1938 anche coloro che non appaiono ufficialmente espulsi. I vuoti che si crearono con gli allontanamenti benché minimizzati o quasi invisibili pesarono tanto, al punto da impoverire le discipline ben oltre il numero degli accademici ebrei. Sostituire i docenti ebrei con quelli ariani non compensava quei vuoti; non tutti vennero rimpiazzati, e comunque non è esclusivamente una questione di numeri: le sostituzioni effettuate, non sempre di pari qualità scientifica, costituirono fratture nelle relazioni personali, e fratture nella trasmissione del sapere, nei programmi di ricerca e nei contenuti stessi della disciplina. Anche questo è ben evidente nel caso della psicologia. La giovane disciplina che con la prima generazione di suoi professori aspirava ad affermarsi come scienza, durante il ventennio divenne sempre 80


più una tecnica; e di psicotecnica e di applicazioni della psicologia utili al fascismo, del programma di Gemelli svolto per il C.N.R., dovevano occuparsi appunto coloro che aspiravano ad ottenere un posto universitario, magari rimpiazzando quanti erano stati sospesi dal servizio. Meno visibili furono gli allontanamenti, senza clamore, talvolta senza neppure una comunicazione ad personam, più fu facile cancellare e dimenticare, proprio come il fascismo voleva. Nel cercare di capire cosa sia avvenuto, non si tratta di riempire semplicemente dei vuoti di memoria. Il minimizzare e poi il dimenticare comporta sempre la costruzione di un’altra storia, tale che le perdite e le dimenticanze non siano neppure più percepite. Il passato della psicologia, che credevo di conoscere abbastanza bene, nel corso della ricerca, mi si è rivelato piuttosto come autorappresentato su alcune “false notizie”: erano state costruite e si erano affermate proprio per far dimenticare cosa fosse veramente accaduto per far credere altro. La storia della psicologia a Firenze, così come l’avevo studiata, procedeva secondo una successione generazionale che andava da maestro ad allievo, in continuità: da Francesco De Sarlo, fondatore della psicologia accademica fiorentina, al suo allievo e assistente Enzo Bonaventura e da questi al suo allievo ed assistente Alberto Marzi, lungo un arco di tempo che andava dai primi anni del Novecento fino agli anni Settanta. Quello che è stato rimosso in questo percorso storico, apparentemente lineare, sono stati i passaggi tutti concentrati nel ventennio fascista: le ragioni drammatiche di ogni successione sono riscontrabili in anni precisi, nel 1923 e nel 1938. Esse sono state invece coperte fin dall’inizio da una diversa narrazione, più accomodante, per certi aspetti poco convincente, ma tuttavia duratura. E così è accaduto anche per altre discipline, in altri atenei, colpendo personaggi diversi. Gli studiosi di psicologia, e in particolare dell’Università di Firenze, vennero colpiti durante il fascismo sia in quanto antifascisti, dalla cosiddetta legge fascistissima del 1925 che prevedeva la sospensione dal servizio di chi, per usare l’ambiguo lessico fascista, si era messo in condizioni di incompatibilità con le direttive del regime, sia in quanto dichiarati di “razza ebraica” dalle leggi antisemite del 1938, indipendentemente dalle idee religiose e politiche. Furono colpiti dunque l’antifascista Francesco De Sarlo, professore ordinario che all’epoca era anche presidente della Società Italiana di Psicologia (SIP);

Enzo

Bonaventura, sionista e militante della comunità ebraica e politicamente non certo 81


antifascista; Ludovico Limentani, professore ordinario e socio della SIP, ebreo e antifascista sorvegliato dalla polizia; Renata Calabresi l’ultima allieva di De Sarlo, antifascista ed ebrea non praticante, come altri che si erano dedicati in modo diverso a studi psicologici, da Camillo Berneri ai medici Ettore Rieti e Emanuele Pekelis, oppure che si frequentavano pur essendo orientati ad altro, come Jacob Teicher, iscritto al perfezionamento in psicologia dell’Università di Firenze e la russa Rosa Heller, l’unica, fra quanti ho appena menzionato, che sarebbe rientrata a lavorare in Italia, in un liceo fiorentino. Nel quadro più ampio che ho cercato di delineare su Italian Psychology and Jewish emigration (Palgrave 2016), speciale attenzione ho dato alla vicenda della psicologa Renata Calabresi che appoggiandosi alla rete antifascista, si stabilì a New York riqualificandosi come psicologa clinica: esplorare un percorso al femminile consente di affinare lo sguardo verso le molte donne che, da sole o accompagnando i mariti ed i figli, esercitarono un ruolo attivo nell’emigrazione, anch’esso sottovalutato e da studiare. Attraverso il caso di Enzo Bonaventura vorrei far risaltare, piuttosto, lo scarto fra la storia dimenticata e l’altra storia falsamente costruita, soprattutto dopo la caduta del fascismo ed a lungo creduta. Si tratta di guardare a prima del 1938, a cosa comportò il processo di fascistizzazione nelle università, che dovette assecondare anche le funeste disposizioni per la cosiddetta difesa della razza. La prima falsa notizia riguarda l'inizio della carriera accademica di Enzo Bonaventura alla fine del 1923. De Sarlo improvvisamente lasciò l'Istituto di Psicologia, a cui aveva dedicato 20 anni della sua vita, e benché avesse ancora da insegnare per i successivi 15 anni, passò la direzione al suo assistente di laboratorio. Per quale ragione? Nello stesso anno della riforma di Gentile, che fra l’altro attaccava la psicologia abolendone l’insegnamento nei licei, il farsi da parte di De Sarlo non era stata una mossa saggia per il bene della disciplina. De Sarlo aveva sempre combattuto per l’affermazione degli studi psicologici; era un professore ordinario autorevole e assai noto, nonché il presidente della Società Italiana di Psicologia; Bonaventura invece, poco più che trentenne, era solo un libero docente non confermato (la conferma sarebbe arrivata nel 1929), a cui venne attribuito un incarico temporaneo, e in quanto tale non era nemmeno autorizzato a partecipare ai Consigli di Facoltà. Dopo una lunga ricerca, dai verbali non ordinati della Facoltà di Lettere e dalle carte private degli eredi, la storia illuminante che è emersa è la seguente. In breve: De Sarlo non voleva affatto lasciare il suo posto di docente e direttore dell’istituto di 82


Psicologia; fu obbligato a farlo dal ministro fascista Giovanni Gentile che gli impose di insegnare esclusivamente filosofia. La Facoltà allora, dopo una prima vana resistenza, per non far chiudere quell’Istituto su cui aveva tanto investito, escogitò l'espediente di affidarlo a Bonaventura con un contratto. Nel 1925 l’antifascista De Sarlo non andò in congedo per "depressione nervosa", come messo agli atti, fu bensì sospeso dall'Università per aver tenuto un discorso sulla libertà accademica durante il convegno nazionale a Milano, contestato da un allievo di Gentile e chiuso dalla polizia. Mi ci sono voluti mesi per ricostruire che cosa, dietro il risaputo passaggio dal maestro all’allievo, fosse realmente successo. Come è stato possibile ignorare per così tanto tempo questi fatti? Perché dopo il fascismo la comunità accademica non ha testimoniato sul coraggio di De Sarlo, sull’ennesima prepotenza dei vertici fascisti nel silenzio degli ‘spettatori’, e sulla difficile situazione di Bonaventura che sarebbe stato confermato un anno dopo l'altro, per 15 anni, senza mai avere la cattedra? In realtà nel 1948 si parlò pubblicamente della carriera mancata di Bonaventura in Italia. Ma proprio riguardo a questo c’è una seconda falsa notizia, o un groviglio di notizie false circolate in buona e cattiva fede. Chi le ha messe in circolazione? Quando? Dopo che è morto? Colui che si definiva "suo allievo e successore", lo era davvero? Bonaventura lo considerava tale? I documenti d'archivio ci raccontano ancora una storia diversa da quella risaputa. Il rettore dell'Università di Firenze fu straordinariamente efficiente nell'applicare le leggi razziali. Il 14 ottobre 1938 il ministero Bottai indicò i docenti universitari ebrei e ordinò di sostituirli. Già il 6 ottobre il preside di Lettere a Firenze, dove era collocata psicologia, aveva letto un saluto ai professori ordinari espulsi (Attilio Momigliano e Ludovico Limentani). Il 7 ottobre li aveva sostituiti. Il 13 ottobre scrisse al docente incaricato Bonaventura che doveva restituire il materiale e le chiavi dell'Istituto di Psicologia entro il 15 ottobre, ovvero nel giro di due giorni, dopo ventitré anni di lavoro. Fu dispensato formalmente dal servizio dal 1° dicembre e il 27 ottobre era già stato rimpiazzato. Erano pervenute tre domande per la posizione di psicologia, resa vacante. Il preside uno storico dell'arte - informò la Facoltà che doveva essere affidata al fiorentino Alberto Marzi, trentunenne, membro del P.N.F. dall'età di diciannove anni. Fu così che un assistente volontario (cioè non pagato) divenne il direttore dell'istituto, senza né concorso, né valutazione dei suoi pochi titoli scientifici. Bonaventura non lo indicò mai come suo successore; anzi interruppe ogni rapporto, per sei anni, con chi gli aveva preso 83


il posto. Laureatosi con Bonaventura, e suo assistente dal 1930, continuò Marzi il lavoro del suo predecessore? Non direi, neppure all’inizio della sua carriera che durò quasi 40 anni, fino al 1977. Di Bonaventura non condivideva né gli interessi principali, né l’approccio alla Psicoanalisi pubblicata nel 1938, benché Marzi abbia voluto comparire come curatore dell'edizione postuma. Riandiamo allora al 1938, ovvero alla fine della carriera di Bonaventura in Italia. Ciò che dopo accadde a lui e agli altri docenti ebrei non è però qualcosa che possiamo apprendere dagli archivi delle università pubbliche italiane, che li avevano espulsi e cancellati, senza palesare alcun interesse per gli studiosi ebrei che avevano perso: dove erano andati? Cosa facevano? Per saperlo bisogna guardare ad altre fonti: anzitutto agli archivi dei paesi e delle istituzioni di accoglienza. Ciò che sappiamo di Bonaventura dopo le leggi razziali proviene innanzitutto dai documenti della Hebrew University, dove ottenne fin dal 1939 una posizione prima precaria e mal pagata, e poi dalle corrispondenze e da archivi privati. Cercò subito aiuto: il 7 ottobre 1938 scrisse una lettera in francese al matematico tedesco Abraham Fraenkel, il rettore dell'Università Ebraica di Gerusalemme; l'8 novembre inviò una lettera in inglese a Weizmann, il presidente dell'Organizzazione mondiale sionista a Londra; il 15 novembre e in dicembre la spedì alla Society for the Protection of Science and Learning (SPSL) a Londra. Attraverso la SPSL, il suo caso fu registrato dall'American Psychological Association Committee on Displaced Scholars, istituito nel settembre 1938. Attraverso l'APA, l’Emergency Committee in Aid of Displaced Scholars (ECADFS) di New York aprì un fascicolo a suo nome, che fu visionato dagli American Friends of the Hebrew University. Interessante è che Bonaventura si presentasse con un profilo diverso da quello che gli viene solitamente attribuito: non da psicologo di laboratorio, tanto meno da psicotecnico, bensì come psicologo dell’infanzia, quale in effetti era e sempre più sarebbe stato. Si dichiarava disponibile ad andare ovunque potesse avere un'occupazione adatta: "Egitto, Inghilterra, British Dominions, USA, Sud-America, Francia, Belgio, Olanda ecc.”. Ma la Palestina era la sua prima scelta. C’era già stato nel 1924 con sua moglie, nel primo viaggio organizzato dalla Federazione Sionista Italiana, e al ritorno aveva tenuto su questo una conferenza al Circolo di Cultura di Firenze, gestito da giovani intellettuali vicino a Gaetano Salvemini. Qualche notte dopo le camicie nere avevano devastato il Circolo che fu chiuso:

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fu la prima ma non l'unica esperienza di violenza fascista vissuta da Bonaventura che nel 1925 venne anche contestato a lezione in quanto ebreo. Nel marzo 1939, a 48 anni, Bonaventura si imbarcò per la Palestina dove lo raggiunsero la moglie e i tre figli. La Hebrew University aveva da alcuni anni una posizione vacante in psicologia e molti candidati. Qualcuno aveva già fallito, come Max Eitingon raccomandato da Freud. Kurt Lewin invece aveva rifiutato perché chiedeva uno stipendio più alto. Bonaventura fu esaminato in base al suo curriculum, pubblicazioni e varie interviste da parte di un’apposita commissione internazionale di psicologi che espresse eccellenti giudizi su di lui. Non vinse un posto come cattedratico, ma ebbe un contratto di docenza, temporaneo, con basso salario, nessun fondo di ricerca, né laboratorio. Sarebbe scaduto il settembre 1941.

Quell’anno fu tra gli appena cinque docenti dell’ateneo di

Gerusalemme (su 52) selezionati dall’Emergency Committe per ricevere un contributo dall’American Friends of the HU; da allora migliorò la sua posizione e riuscì a istituire un dipartimento di psicologia a Monte Scopus. Caduto il fascismo, aveva intenzione Bonaventura di tornare in Italia? Se lo chiedevano anzitutto i suoi colleghi italiani, da quando si profilava un concorso nazionale per una terna di professori ordinari della disciplina, e lui sicuramente aveva molti titoli per vincere. Come lo avrebbero accolto? Quali possibilità aveva di reinserirsi nell’università? Erano più o meno queste le domande che si facevano gli italiani ebrei e antifascisti nelle sue condizioni, che erano emigrati o erano stati esuli altrove. Le normative di reintegro nell’università pubblica erano state pubblicate all’inizio del ’44. Nel novembre 1945, Bonaventura scrisse a Marzi - dopo 6 anni di silenzio - per chiedergli informazioni; questi escluse l’eventualità del concorso di cui invece nella ristretta cerchia tutti parlavano. Che fare? Quello che fecero in diversi, così come fece proprio in quel periodo la psicologa Renata Calabresi: tornare in Italia in perlustrazione, per rendersi conto delle possibilità di riavere il lavoro che avevano perduto anni prima. Nel 1947 Bonaventura prese un periodo di sabbatico dalla sua università, e da Gerusalemme venne da solo in Italia, a Firenze, anche per incontrare Gemelli a Milano che l’aveva cercato e voleva parlargli del concorso di psicologia. Evidentemente non fu incoraggiante; Bonaventura non si candidò e rientrò a Gerusalemme. Pochi mesi dopo, il 13 aprile 1948, con altri docenti, medici e infermieri rimase ucciso nell’attentato terroristico contro il convoglio per Hadassah dove si recava a lavorare. 85


Un mese dopo venne commemorato nell'Aula Magna della Facoltà di Lettere di Firenze. Ed è proprio nelle commemorazioni accademiche che si può ben vedere come un’altra storia possa essere costruita. Il primo a parlare fu Giovanni Calò, cattolico antifascista che aveva partecipato alla Resistenza, professore di pedagogia, allievo di De Sarlo, davvero addolorato della tragica fine di un “allievo, poi collega e amico”. Tenne a dire che Bonaventura “era pronto a […] tornare in qualche modo maestro nella facoltà in cui aveva insegnato e dove aveva diretto l'Istituto di Psicologia". Il secondo oratore fu il preside Paolo Lamanna, filosofo, uscito impunito dal procedimento di epurazione per il suo passato fascista. Dichiarò che nel 1938 Bonaventura e le altre vittime delle leggi razziali avevano riscosso la solidarietà dei colleghi: un’affermazione falsa, concordano gli storici. Emigrando, continuò Lamanna, ebbero in più la possibilità di godere all’estero di grandi soddisfazioni professionali. E Bonaventura nella sua seconda patria era stato quanto mai ripagato "con grande successo". Un ulteriore passaggio in questa ricostruzione compensativa fu fatto dal "successore del defunto". Marzi concentrò il suo discorso sulle ingiustizie inferte alla vittima dall’ambiente accademico italiano e fiorentino in specie. Nel 1939, finalmente, la commissione internazionale che diede a Bonaventura a Gerusalemme una cattedra di psicologia (era solo un incarico), lo aveva compensato per il mancato riconoscimento subito in Italia; al concorso a cattedra del 1931 era arrivato secondo e tuttavia la Facoltà non l’aveva mai chiamato. E chi erano i professori che l’avevano risarcito nel 1939 benché fuori dall’Italia? Marzi fece i nomi: Peron, Katz, Myers, Claparede e l’immancabile Gemelli, a cui andava il merito maggiore, giacché conoscendo i precedenti sfortunati del candidato si era adoperato particolarmente a suo favore. Nessuno di loro faceva però parte della commissione valutatrice nominata dalla Hebrew University, men che meno l'antisemita padre Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. I documenti d'archivio della Hebrew University attestano senza ombra di dubbio chi furono i valutatori: il pedagogista Alexander Dushkin, Cecil Roth, lettore di studi ebraici a Oxford, il pedagogista Chaim Aron Kaplan (che fece poi ritorno a Varsavia), e il professore di filosofia sociale Martin Buber, emigrato a Gerusalemme qualche mese prima. Nei verbali sono registrate anche le referenze a favore di Bonaventura. Dall'Italia solo due studiosi di fama internazionale avevano mandato una buona parola per lui: Federigo Enriques e Tullio Levi Civita, matematici e sionisti, per cui conoscevano il rettore matematico

dell’Università

di

Gerusalemme. 86

Nessun

psicologo

italiano

aveva


raccomandato Bonaventura; e Gemelli gli aveva solo consigliato di lasciar perdere la carriera accademica. Nemmeno fuori dall’Italia aveva possibilità di farcela, così gli aveva scritto nel 1935: molti psicologi tedeschi "colpevoli di essere ebrei" avevano ormai accaparrato tutte le posizioni che c’erano. Eppure, la falsa storia che Marzi raccontò e pubblicò nel 1948 è stata ripetuta per decenni: è successo durante un seminario su Bonaventura organizzato nel 1986 da alcuni psicologi a Firenze; nella biografia principale su Gemelli del 2003 veniva dedotto che nonostante le sue dichiarazioni pubbliche egli "non può essere stato davvero un terribile antisemita", poiché aveva raccomandato Bonaventura per la cattedra al professor Stephen Krauss della Hebrew University . E chi era costui? Un giovane psicologo di Budapest in fuga dalla Vienna nazista e in cerca di lavoro che chiedeva informazioni su Bonaventura, in quanto suo concorrente al posto. Il groviglio di equivoci e false notizie si chiarisce, confrontando le fonti. Ma non si tratta solo di sottolineare l’errore e di correggerlo. L’errore, insegnava Bloch, va anche spiegato: quelle false notizie a cui nessuno replicò, al posto del defunto Bonaventura, servivano a mettere in buona luce Gemelli che dopo la guerra ne aveva bisogno. Era sotto accusa e cercava di apparire, al contrario, come difensore delle vittime. Il suo procedimento di epurazione si concluse per "mancanza di prove", con 3 voti favorevoli e 2 contrari. In conclusione, dopo la tragica morte di Bonaventura, i suoi colleghi italiani sottolinearono l'ingiustizia subita nel concorso del 1931 e il risarcimento, che secondo loro avrebbe addirittura ricevuto nel 1939. Sulla cosiddetta "persecuzione razziale" si preferiva sorvolare. E dunque anche le vicende dell’emigrazione assumevano contorni e ragioni quanto meno confuse, con l’effetto di attenuare le responsabilità: Bonaventura "non era fuggito in Palestina" dopo l’espulsione. C’era andato e c’era morto, a causa della sua religione, lasciando l'Università di Firenze, la direzione dell'Istituto di Psicologia e l’insegnamento “che tenne fino al 1940". Ecco la versione dei fatti che nell' “Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria” venne attestata dal Presidente della Società Italiana di Psicologia e professore a Roma, nel 1948, appena dieci anni dopo le leggi razziali. Chiunque legga questa autorevole fonte, senza conoscere abbastanza bene fatti e date, potrebbe pensare che le leggi del 1938 siano state ben poco incisive e vincolanti, se un professore ebreo era rimasto all'università fin quando gli aveva fatto comodo, prima di trasferirsi per “motivi spirituali” in Palestina, cioè personali. Ma si tratta appunto di una storia non vera. Questa non scaturiva da una dimenticanza, dall’indebolimento dei ricordi, 87


dalla perdita dei testimoni; nasceva piuttosto dal voler silenziare e sostituire una ben altra e diversa rappresentazione delle vicende e delle persone da come erano andate ed erano state davvero le cose. Mi sono soffermata qui su questo caso, non tanto per la vicenda individuale certo importante, ma per richiamare l’attenzione sul molto lavoro che c’è ancora da fare per cercare di capire quanto gravi siano state le perdite e le conseguenze derivatene. Minimizzare, voler chiudere una presunta parentesi della storia comune ci espone soltanto al rischio di ulteriori ingiustizie e danni.

Nota Bibliografica Barberis Walter, Storia senza perdono, Torino, Einaudi, 2019. Cavarocchi Francesca, Minerbi Alessandra, “Politica razziale e persecuzione antiebraica nell’ateneo fiorentino”, in Enzo Collotti (a cura di), Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana 1938-1943, Roma, Carocci, 1999, pp. 467-510. Cocks Geoffrey, Psychotherapy and the Third Reich. The Göring Institute, New York, New York University Press, 1985. Geuter Ulfried, The professionalization of Psychology in Nazi Germany, Cambridge, Cambridge University Press, 1992 (ed. or. 1984) Gori Savellini Simonetta (a cura di), Enzo Bonaventura (1891-1948). Una singolare vicenda culturale dalla psicologia sperimentale alla psicoanalisi e alla psicologia applicata. Atti del convegno di Firenze, Giunti, Firenze, 1989. Gori Savellini Simonetta, “Enzo Bonaventura dalla psicologia sperimentale alla psicologia pedagogica”, Bollettino di psicologia applicata, 1987, vol. 182-183, n. 15, pp. 37-50. Guarnieri Patrizia, Senza cattedra. L’Istituto di Psicologia dell’Università di Firenze tra idealismo e fascismo, Firenze, Firenze University Press, 2012. Guarnieri Patrizia, Italian Psychology and Jewish Emigration under Fascism, New York, Palgrave Macmillan, 2016. Guarnieri Patrizia, “Quando il «cervello in fuga» è una donna. Renata Calabresi, displaced psychologist a New York dopo le leggi anti-ebraiche”, Contemporanea, 2018, vol. 21, pp. 501-532.

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Guarnieri Patrizia, Intellettuali in fuga dall’Italia fascista Migranti, esuli e rifugiati per motivi politici e razziali, Firenze, Firenze University Press, 2019, http://intellettualinfuga.fupress.com/, English trans. http://intellettualinfuga.fupress.com/en Guarnieri Patrizia, “Enzo (Joseph) Bonaventura”, in Id., Intellettuali in fuga dall’Italia fascista, Firenze, Firenze University Press, 2019, http://intellettualinfuga.fupress.com/scheda/bonaventura-enzo/337 Guarnieri Patrizia (a cura di), L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista. Studenti e studiosi ebrei dall’Università di Firenze in fuga all’estero, Firenze, Firenze University Press, 2019 (e online, open access). Mecacci Luciano, “La psicologia: una scienza controversa”, Scienze e Cultura nell’Italia unita, a cura di Francesco Cassata e Claudio Pogliano, Storia d’Italia. Annali, 2011, vol. 26, Torino, Einaudi, pp. 681–704. Telkes-Klein Eva, L’université hébraïque de Jérusalem à travers ses acteurs. La première génération de professeurs (1925-1948), Paris, Honoré Champion, 2004, specie pp. 151154. Turchetti Simone, “Tracce e transiti: vite ed esperienze di studio dei fisici di Firenze durante e dopo il fascismo”, in P. Guarnieri (a cura di), L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista. Studenti e studiosi ebrei dall’Università di Firenze in fuga all’estero, Firenze, Firenze University Press, 2019, pp. 57-72. Turi Gabriele, “L’università di Firenze e la persecuzione razziale”, Italia contemporanea, vol. 219, 2000, pp. 227-247. Copyright ©2020 – Patrizia Guarnieri - Tutti i diritti riservati

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16.

Massimo Martella Sceneggiatore e regista

La “questione ebraica” nei documentari di propaganda Sono un regista e sceneggiatore, lavoro con le parole e le immagini. Parlerò della mia esperienza e, per la precisione, della ricerca che ho fatto nel momento in cui ho pensato di realizzare un documentario sulle lettere scritte dagli italiani a Mussolini. Documentario dal titolo Mio Duce ti scrivo, coprodotto da RaiTre e da Istituto Luce Cinecittà nel 2015, per il quale naturalmente ho dovuto svolgere un lungo lavoro di documentazione. Specialmente nei momenti di massimo consenso, Mussolini riceveva circa 1000 lettere al giorno; qualcuno ne ha contate anche di più. Non si tratta di una circostanza estranea all’ideologia fascista, dovuta solo al carisma del dittatore. Come ricorda Enrica Asquer, il fatto di “incoraggiare la pratica di rivolgersi direttamente al regime per regolare i propri conti personali, rifletteva la promozione di una relazione immediata con il potere, tipica dei totalitarismi…”. Del resto, in un articolo apparso sul Corriere della Sera a firma dello scrittore Orio Vergani, nel 1936, intitolato “Lettere a Mussolini”, si legge: “Quando ci si guarda attorno e non si sa più a chi rivolgersi, ci si ricorda che c'è Lui. Chi, se non Lui, può provvedere? Egli è il confidente di tutti ed è ovunque.”

La Segreteria Particolare del Duce al lavoro, nel suo periodo di massima attività.

Tutta questa corrispondenza – lettere, cartoline, telegrammi, cartoline postali – veniva raccolta dalla Segreteria Particolare del Duce che, spesso e volentieri anche rispondeva, 90


specialmente quando nelle lettere si facevano richieste di soldi, di sussidi, di pensioni, o di ogni altro tipo di aiuto. All’interno di tanto materiale, ho cercato di individuare alcuni capitoli. Uno di particolare interesse riguardava le lettere scritte dagli ebrei italiani a Mussolini all’indomani delle leggi razziali. Ho dunque cominciato ad approfondire tale sezione, dopo aver letto un eloquente articolo di Iael Nidam Orvieto, pubblicato sulla Rassegna mensile di Israel. Inizialmente ho cercato materiali filmati, che potessero accompagnare la lettura delle lettere. Disponendo della collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà, ho dunque avuto la possibilità di sviluppare la mia ricerca all’interno di questo immenso archivio. All’epoca, il Luce era la grande struttura governativa che raccoglieva immagini sia fotografiche che filmate e che negli anni Trenta diventò sempre più strumento del regime per raccontare e glorificare sé stesso, facendo opera di propaganda. Ebbene, nei documenti del Luce dell’epoca l’antisemitismo è praticamente assente. Il che è davvero sorprendente! A parte un documento di cui vi dirò, in tutto l’archivio ho ritrovato solo tre riferimenti filmati: una festa di carnevale in Germania nel ’37, durante la quale si vedono alcuni ebrei presi in giro; un cinegiornale sulla situazione in Palestina, dove si parla, tra parentesi, di “soprusi ebrei ai danni di coltivatori arabi”; un cinegiornale realizzato in pieno conflitto, nel febbraio 1941, dove appare il seguente fotogramma, con la spiegazione che in Polonia esistono “Speciali carrozze tramviarie riservate solo agli ebrei”.

Dopo aver verificato la scarsità di documentari al riguardo, sono andato alla ricerca nell’Archivio Luce del famoso discorso di Trieste, pronunciato da Mussolini il 18 settembre 1938, che rappresenta l’annuncio ufficiale dell’antisemitismo in Italia, in contemporanea con la pubblicazione delle leggi razziali. Il filmato fa parte di un lungometraggio relativo 91


a un viaggio del Duce in Veneto, girato dal 18 al 26 settembre 1938. Tuttavia, al suo interno le immagini del discorso di Trieste non c'erano. Di quei 18 minuti nei quali il Duce in piazza dell’Unità proclama che “l’ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo” e che “adotteremo le soluzioni necessarie”, ho trovato soltanto il sonoro e alcune immagini della folla. Fatto anomalo, perché il Luce custodisce le riprese filmate di tutti i discorsi importanti di Mussolini. Proprio in quei giorni, mentre ci chiedevamo il perché dell’assenza, su Youtube una parte del filmato veniva inserita per mano dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino. Si trattava di una copia positiva degli anni Settanta recuperata dall’Archivio torinese presso un privato. A quel punto l’Istituto Luce ha contattato l’Archivio, proponendo il restauro del filmato, che ora può essere liberamente visionato sul sito dell’Archivio Luce. La storia di questo ritrovamento mette in evidenza la stranezza della perdita nei rulli di pellicola originali; il negativo è stato presumibilmente distrutto, e ciò amplifica le domande sul perché dell’assenza negli archivi del “discorso sulla razza”. Si tratta di un enigma che rimanda all’idea che il regime intendeva dare di sé stesso. È improbabile infatti che si tratti di un caso: esisteva un controllo molto preciso sui materiali prodotti dal Luce, specialmente da quando il Ministero della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini, si era impadronito del controllo censorio. E non essendo io uno storico, mi limito allora a porre qualche domanda sul perché di questo silenzio della propaganda sul tema razziale. La mia impressione è che si dovesse evitare che le leggi antisemite producessero impatti emotivi sulla popolazione. Le leggi vengono fatte apparire quasi come fosse un evento inevitabile di natura burocratica, qualcosa su cui non è necessario soffermarsi quando si è nel buio di una sala cinematografica. Non si devono fare “casi personali” e se ne deve parlare poco, un po’ per non diffondere la sensazione che si sia operata una violenza nei confronti di una parte della popolazione, e un po’ probabilmente anche per non alimentare ulteriore allarme nella comunità ebraica italiana, già travolta e devastata a più livelli da queste disposizioni. Il discorso del Duce a Trieste resta quindi l’unica vera testimonianza filmata della politica razziale fascista. L’unica altra testimonianza delle persecuzioni risulta essere invece una serie di 17 fotografie del giugno 1942, che mostrano ebrei romani costretti ai lavori forzati lungo l’argine del Tevere. La ragione della misura è dovuta al fatto che, non potendo gli ebrei italiani essere arruolati nell’esercito per via delle leggi razziali, una parte della 92


popolazione era portata a chiedersi “ma perché mio figlio è in guerra in Albania, in Grecia, rischiando la vita, mentre ‘quelli’ se ne stanno a casa loro?”

Queste foto sono state conservate perché servivano a documentare qualcosa, ovvero a rassicurare gli “altri italiani” che gli ebrei erano stati comunque messi al lavoro e a fare qualcosa di utile. Non è un caso che alcune di queste foto siano state pubblicate a scopo di propaganda sul periodico Difesa della razza. A questo punto del mio lavoro, non potendo disporre di immagini o fotografie a sufficienza, mi sono messo alla ricerca degli originali delle lettere inviate a Mussolini. Li ho trovati depositati all’Archivio Nazionale di Stato. Le lettere non possono essere chiaramente considerate come uno specchio attendibile ed esaustivo di come gli ebrei italiani reagirono alle leggi razziali. Innanzi tutto, perché chi scriveva in quelle circostanze a Mussolini, o alla moglie Rachele, o al Re, o ad altri personaggi del regime, lo faceva convinto che quella lettera potesse ancora avere un senso, sortire un qualche effetto positivo, per cui partiva da posizioni di netta adesione al fascismo. Altri ostentano invece un’analoga adesione per opportunismo, perché non si poteva fare diversamente, e certamente il tono e i contenuti delle lettere risentivano della condizione di totale soggezione e di assoluta disperazione degli scriventi, che all’improvviso si erano visti privati a vario titolo della propria identità. Se non possono dirci molto sul giudizio dato al fascismo all’indomani delle leggi razziali, le lettere mettono però bene in luce lo stato d’animo dei mittenti.

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Si vedano, ad esempio, alcuni passi della lettera sopra riportata: "In questi giorni mi è stato notificato il mio licenziamento immediato, a causa della mia religione ebraica. Ciò significa la cessazione improvvisa per me e la mia famiglia di ogni mezzo di sostentamento, tenuto presente che, per la breve anzianità di servizio, avrei diritto ad una liquidazione irrisoria. Penso che il provvedimento sia stato preso con precipitazione, per eccesso di zelo, dando una interpretazione eccessivamente estensiva a disposizioni del Partito che mirano ad allontanare gli Israeliti dai veri e propri posti direttivi o di comando. Duce! Ho sessantatre anni e ho sempre più grave il mio difetto di udito. Mi mancano solo 20 mesi ad essere collocato a riposo. In considerazione del mio passato e della fede fascista purissima di tutta la mia famiglia, chiedo che non mi si scacci come un ladro, chiedo che mi si lasci al mio lavoro almeno per questi venti mesi. Ecco la soddisfazione anche morale, ecco l’atto di giustizia che Vi domando.” Ho scelto questa lettera perché la ritengo emblematica tra le tantissime che ho letto, perché in questa missiva possono essere scorti: il problema di conservare il proprio posto di lavoro dopo tanti anni; il dramma della sussistenza; la perdita della dignità; la

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percezione di aver subito un’ingiustizia; il richiamo alla fedeltà al fascismo, che doveva servire come arma per cercare di riottenere i diritti dei quali si era stati privati. La maggior parte delle lettere che arrivano al Duce sono petizioni e le più frequenti riguardano richieste di discriminazione. Dal momento che per meriti speciali si poteva essere discriminati, ecco che in queste lettere vengono acclusi documenti comprovanti i meriti propri o della propria famiglia: benemerenze militari e patriottiche, stati di servizio, onorificenze guadagnate nella propria professione, prove di adesione assoluta al fascismo o dalle quali risulti di essere stati squadristi della prima ora, non aver mai fatto politica contraria al regime, aver avuto parenti morti nella guerra d’Africa, aver fatto molti figli… Tutti questi fattori vengono considerate note di merito da sottoporre alla benevolenza di Mussolini. Alcune lettere sono di raccomandazione, scritte da persone interne al regime, a favore di colleghi o amici colpiti dalle leggi razziali, nelle quali si legge “io non sono aduso raccomandare israeliti, ma in questo caso…”. Tuttavia, non erano lettere destinate ad avere grande successo. Di seguito, riporto una breve citazione da una richiesta di discriminazione, a nome Renata Coen, che mi ha molto colpito: “Ripeto ancora che non trarrò nessun vantaggio materiale, dal provvedimento che invoco, ma in un momento per me tanto doloroso, anche una sfumatura che mi riavvicini alla normalità rappresenta una diminuzione di spessore al diaframma che oggi mi divide da tante cose care.” Si tratta di un profondo senso di scollamento, di frattura dalla società nella quale ci si è sempre sentiti inseriti, che improvvisamente ti si rivolta contro: si crea un profondo diaframma che, tramite la dichiarazione di discriminazione, si cerca di colmare per tornare ad avere una legittimità civile e una “vita normale”.

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Le repliche del Duce sono laconiche, come emerge dalla risposta che noi troviamo inserita in quasi tutti i fascicoli, a firma del capo della Segreteria del Duce: “il Duce, presa visione della vostra istanza, m’incarica di dirvi di stare tranquillo.” Tale risposta appare invariabilmente inviata sia a coloro che poi saranno realmente discriminati, sia a coloro che non lo saranno. In testa a molte di queste lettere ci sono sigle fatte a penna, talvolta apposte da Mussolini in persona. Nelle sigle c’è spesso scritto: tranquillizzare. E qui torniamo al perché della mancanza di documenti sull’antisemitismo tra le produzioni dell’Istituto Luce: non si può “tranquillizzare”, normalizzare, se si mostra nel contempo a tutti ciò che sta realmente avvenendo. Va poi detto che la logica discrezionale delle decisioni in materia di discriminazione è alla base della tendenza di molti a volersi distinguere dagli “altri” ebrei, sui quali si scarica la responsabilità di tutto ciò per cui si è accusati. C’è chi distingue due categorie: ci sono i “buoni ebrei” e i “cattivi ebrei”, e scrive “io non sono come quegli ebrei che stanno tramando contro di voi…”, io sono un ebreo buono, anzi sono un ebreo italiano, anzi non sono nemmeno ‘tanto’ ebreo, anzi non lo sono affatto. E vengono per questo allegati documenti che mostrano di aver cessato di contribuire economicamente alla comunità ebraica. Insomma, molti dicono di accettare che le leggi siano intervenute a sancire giustamente un pregiudizio razziale, prendendo le distanze dall’ebraismo, nella speranza o nell’ingenua convinzione che le leggi avrebbero colpito solo gli ebrei antifascisti: "Sono pronto a sacrificare se occorre il mio incarico scolastico. Lavorerò in altro modo e potrò vivere ugualmente. Ciò non mi preoccupa. Ma non posso convincermi di dover subire l’onta di sentirmi immischiato in una sola combutta con il giudaismo capitalista e internazionale di cui non ho mai fatto parte. Anche nella mia arte mi sono sentito purificato più dalla guerra, di qualunque esotismo di cattiva lega."

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E molte lettere, come quella sopra riportata, riportano le parole d’ordine con le quali la propaganda fascista aveva messo all’indice gli ebrei. Inoltre, per le persone più legate al fascismo la percezione di un tradimento è ancora più forte: per loro le leggi razziali sono veramente incomprensibili. In alcune lettere si assiste addirittura a una sorta di “inversione della colpa”: “Che importa se tre o quattrocento anni fa i miei antenati, ebrei, emigrarono in Italia? Mi si dice d’altro sangue, d’altra razza. Che colpa ho io della mia nascita, se ho fatto il possibile per farla dimenticare?” Come vedete è come un percorso kafkiano: si finisce per diventare schiavi di un pregiudizio che ci è stato appiccicato addosso. Il timore della perdita della cittadinanza, del resto, è uno dei più sentiti. Una richiesta si conclude così: "La sottoscritta nutre fiducia che le disposizioni di legge invocate vengano nei suoi confronti applicate con la magnanimità propria del Governo Fascista, così da essere ritenuta pubblicamente ancora come italiana fra italiani." Ci sono poi altri tipi di richieste: molte provengono dal mondo della scuola. Ci sono docenti che, in mancanza di scuole ebraiche nella propria città, chiedono di essere ricollocati in altre attività; genitori che per lo stesso motivo chiedono che i propri figli vengano riammessi a studiare in una scuola pubblica; e poi ci sono quelli che si rifiutano di mandare i figli alla scuola ebraica perché discriminati: “dal momento che io sono stato discriminato, mio figlio deve continuare ad andare alla scuola italiana”: "Il sottoscritto… (aggiunge benemerenze) padre di tre bambini… (tutti iscritti alla G.I.L., la Gioventù del Littorio), nell’impossibilità di potere far frequentare ai suoi bambini una scuola israelita, implora dalla clemenza dell’E.V. il permesso di vedere compite dai suoi due figli minori le 5 classi elementari in banchi appartati, nelle scuole pubbliche di Subiaco." Viene invocata in sostanza una sorta di apartheid; si è disposti a tutto pur di far portare a termine ai propri figli il corso di studi. Alcune di queste richieste diventano delle vere e proprie odissee: ci sono continui solleciti perché le risposte non arrivano, le attese sono infinite; nel frattempo si è perso il posto di lavoro, ogni possibilità di guadagnare, tant’è che a un certo punto il ritardo appare intenzionale, allo scopo di far morire le richieste nel mare della burocrazia.

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Poi c’è un caso particolare: le domande di arruolamento, che naturalmente s’infittiscono nel momento in cui l’Italia entra in guerra. Gli ebrei che chiedono di arruolarsi lo fanno a volte per motivazioni di tipo fascista: sono persone già discriminate, non avrebbero bisogno di chiedere di arruolarsi, ma sono magari stati già militari in passato e vogliono dare un contributo alla patria, per cui si vergognano di non partecipare; altri cercano un’occupazione che li riabiliti nell’immagine agli occhi dei loro compatrioti, come in questa lettera:

"Duce, non scelgo il posto: per l’Italia ai vostri ordini ogni posto è bello, ogni morte è desiderabile; quello che io voglio è combattere intensamente per l’Italia più grande, per l’Idea Nostra. Le leggi razziali hanno fatto di me un borghese, un povero borghese costretto ad invecchiare in sé stesso rimpiangendo quello che non è e vorrebbe essere." Un’altra lettera che mi ha molto emozionato quando l’ho letta:

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"Avendomi proibito di lavorare nella mia professione di musicista, e in qualunque altro lavoro trovandomi già da cinque mesi fermo da ogni mia attività e non avendo più nessuna risorsa per poter vivere, Vi chiedo se possibile, o essere arruolato volontario nell’Esercito, o essere internato in campo di concentramento. Faccio la seguente domanda perché trovandomi nella situazione suddetta, non sono capace, se non di lavorare, di fare altro." Ci sono poi le petizioni per poter emigrare, e le petizioni per l’arianizzazione, che è un argomento molto complesso: un’ulteriore piccola scappatoia che il regime offrì a chi poteva evidentemente pagare. 99


Del tutto diverse sono le missive dichiarative: le lettere in cui si annuncia qualcosa, si prende una posizione. Alcune sono posizioni di consenso: provengono da ragazzi e ragazze che erano cresciuti imbevuti di propaganda e non riescono a liberarsene nemmeno di fronte all’atto violento delle leggi razziali.

"Duce! Permetti a una giovane Italiana israelita di rivolgersi a te. Sì, anche noi giovanette ebree siamo ardenti patriote e indossiamo la divisa fascista con ardente entusiasmo; abbiamo sempre creduto in te con cieca fiducia, pronte ai tuoi ordini. Siamo affezionate a questa terra italiana dove siamo cresciute, dove crebbero i nostri antenati e dove riposano i nostri morti. Da un giorno all’altro ci siamo viste chiuse le porte delle nostre scuole, e guardando verso l’avvenire – che alla gioventù appare sempre roseo e sereno – l’abbiamo scorto d’un tratto oscuro e minaccioso. Ma la speranza non è ancora morta nel cuore. Tu che hai saputo ridare la pace all’Europa travagliata, salva anche noi, o Duce!"

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Altre riguardano il compiacimento per la politica internazionale del Duce, come questa lettera che viene scritta subito dopo la conferenza di Monaco, quando Mussolini asserì di essersi proposto come paciere del conflitto europeo che stava allora maturando. Tuttavia, in essa si percepisce un forte smarrimento e l’emergere della paura di essere stati abbandonati. È firmata: Giovane Italiana Luisella Vita. Per un caso bizzarro del destino, sopravvissuta alla guerra, la scrivente andò sposa nel ’46 all’anatomopatologo Pier Gildo Bianchi, che aveva fatto parte del gruppo di medici che operarono l’autopsia sul cadavere di Mussolini. Ci sono poi le lettere delle madri e in effetti le donne costituiscono la maggioranza tra coloro che scrivono a Mussolini, puntando soprattutto sull’elemento emotivo. Sono loro a chiedere di tornare indietro, di fare qualcosa per annullare queste leggi.

"È una donna ebrea di religione ma italiana nel sangue e nel cuore che Vi supplica per queste due creature e per tanti altri poveri bambini che ora voi ripudiate e che vi hanno tanto teneramente amato. Voi certo non vorrete abbandonare dei bambini che potranno essere domani onore ed orgoglio di questa amata terra italica. Perché mio Signore la vostra mano gentile non vuole accogliere con tenerezza anche questi israeliti figli d’Italia."

Un’altra lettera è invece indirizzata alla Regina Elena:

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"Fin ora eravamo tutti eguali, amati riamavamo. Fate che il mio bambino decenne non pianga più perché i compagni gli dicono che non è italiano, e fate che non possa mai maledire il giorno che è nato."

Una posizione molto forte viene presa da Luciano Morpurgo, qui sopra ritratto, grandissimo fotografo degli anni ’20 e ’30, di origini ebraiche, autore di alcuni tra i migliori reportage sulla cultura popolare contadina italiana, come dimostrano le immagini sotto riportate.

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Morpurgo scrive una lettera a Mussolini - mandandola tra l’altro in copia anche a persone che lavoravano in Vaticano, con cui aveva avuto rapporti di lavoro -, parlando a nome di tutti gli ebrei.

“Io non voglio e non posso discutere quello che voi, nella vostra saggezza, avete deciso. Desidero soltanto, come italiano, come uomo e come ebreo, esporvi alcune considerazioni che voi, nella vostra bontà, umanità e saggezza, vorrete esaminare. Io desidero difendere – se è possibile – quel piccolo nucleo di ebrei italiani, che tanto amano l’Italia, che tanto per essa hanno fatto sempre nel passato e nel presente, e che io non credo colpevoli. Se vi è fra tanti un colpevole o più, che siano fatti conoscere da tutti, siano colpiti, siano puniti. Non per questo potete punire tutti gli ebrei. Se vostra madre un giorno vi avesse bastonato a torto, avreste alzato la mano contro di lei? Così noi. L’Italia ci batte, l’Italia non ci considera più suoi figli, e pur sentendo fieramente, entro di noi, di non aver torto, di non aver colpa, chiniamo la testa: e attendiamo!”

La fotografia fa parte di un reportage straordinario che Morpurgo fece in Palestina nel 1927. Qui si vedono tre ragazzini, due arabi e uno ebreo, intenti a giocare insieme.

Poi c’è anche qualcuno che ha il coraggio di rivoltarsi contro la legislazione antisemita. "Valfredo Segre – 5 settembre 1938 103


Il sottoscritto tenente pilota, presa visione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri nella odierna seduta, considerate le dichiarazioni ufficiali ed ufficiose pubblicate recentemente, essendo cittadino italiano, ebreo di religione, di origine e di nascita, non ritenendo conciliabile con i propri sentimenti religiosi e famigliari e con la propria dignitĂ una ulteriore permanenza nella carriera militare, si onora rassegnare le sue dimissioni, dichiara di rinunciare al grado rivestito, chiede in conseguenza di essere radiato dai ruoli degli ufficiali della R. Aereonautica. Per gli stessi motivi intendo restituire a sua maestĂ il Re Imperatore la medaglia di bronzo concessami."

Infine, ci sono anche le invettive, benchÊ rare, come nella lettera sotto proposta proveniente dalla Francia e manoscritta da un editore su carta intestata, come si può scorgere in alto a sinistra.

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“Voi, Creatore dell’Italia Nuova, dopo aver acquistato gloria grande, bella, legittima; trascinato da Hitler e Streicher, come un cane, a colpi di calci in culo siete caduto, disonorato, sino l’ultimo gradino di scelleratezza della scala umana. Io ricevo centinaia di lettere da professori intellettuali e scienziati che urlano un odio furioso per voi, per gl’imbecilli genero Ciano e Farinacci, ed altra peste che vi circonda.”

E c’è la tragica lettera di accusa anche dell’editore modenese Angelo Fortunato Formiggini: una sorta di disperato testamento spirituale, dal momento che egli, dopo aver tentato inutilmente di salvare la propria casa editrice, scelse di togliersi la vita il 29 novembre del ’38, gettandosi dall’alto della Ghirlandina, la torre del Duomo.

"Il sommo Duce è diventato matto: il ’38 è un novello ’24. Nel ’24 facesti trucidare uno solo e pugnace. Nel ’38 hai proditoriamente assalito cinquantamila cittadini assolutamente innocenti. In fondo mi fai pena, perché sei caduto in una rete che il destino ti ha teso."

È esplicito il riferimento al delitto Matteotti, avvenuto quattordici anni prima; un crimine che tanti italiani, seppur a parole fascisti, non avevano mai dimenticato. E vengo dunque all’ultima lettera che vorrei citare e che è legata anche a una vicenda personale… mi perdonerete. Mentre mi accingevo a preparare il documentario, mi sono imbattuto in moltissime lettere, tanto da essere costretto a fare una cernita. Tra le lettere che avevo scartato c’era la seguente, inviata a Romano, figlio del Duce:

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"Caro Romano, Scrivo a te perché sei un bambino e siccome sono una bambina anch’io spero di essere da te capita e se ti è possibile aiutata. Da qualche tempo vedevo la mia mamma tanto triste e dopo tanta insistenza mi ha detto cosa ha. Io non sapevo niente di quello che mi ha detto e non ho capito gran che però ho capito che il mio babbo non è come noi […]”

È la lettera di una bambina di Firenze che scrive a Romano Mussolini, il figlio più piccolo del duce, dicendogli “puoi parlare al tuo babbo, e dirgli di fare qualcosa per il mio babbo, che improvvisamente non viene considerato più italiano? Io vedo sempre la mia mamma che piange, non capivo il perché, e adesso ho capito che questo è il motivo”.

Alla fine del lavoro, mentre stavo preparando il DVD del documentario, avevo deciso di inserire nella confezione la trascrizione di una serie di lettere. Avevo ripreso quindi in mano anche la missiva sopra citata, soprattutto perché era firmata da una bambina. Si chiamava Febe Miranda, un nome non così usuale. Ho dunque provato a inserire il nome e

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cognome in Google... e con mia sorpresa ho trovato proprio una Phoebe Miranda, psicanalista fiorentina ultraottantenne. Con un numero di telefono. L’ho chiamata. E l’ho trovata. Le dissi: “credo di aver trovato una sua lettera presso l’Archivio di Stato, una lettera indirizzata a Romano Mussolini”. Con garbo mi rispose: “non serbo ricordo alcuno di una lettera di questo genere”. Allora cominciai a ricordarle: “ma suo padre si chiamava Alfred Miranda?”, e lei “sì…”, “e suo nonno anche si chiamava Alfred Miranda?”. Era una famiglia di ebrei sefarditi transitati dall’Inghilterra e arrivati a Firenze nei primi anni del ‘900. A quel punto Phoebe mi ascoltò in silenzio, per poi dirmi, “menomale che ero già seduta sul letto quando ho ricevuto la sua telefonata, perché… sa, una notizia di questo genere… è vero che ho fatto 10 anni di analisi, però…”. Le spedii la copia della lettera e le chiesi di poterla intervistare, per raccogliere la sua testimonianza. Dopo un paio di giorni mi chiamò e mi disse “Sono a sua completa disposizione. Però vorrei che non fosse presente mia figlia perché di quel periodo con lei non ho quasi mai parlato”. La raggiunsi con una telecamera a Firenze, grazie alla pronta adesione dell’Istituto Luce a questa mia richiesta. Raccolsi la sua testimonianza, che è poi stata acclusa al mio documentario.

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Alla fine della sua testimonianza, Phoebe mi mostrò qualcosa che portava al collo, dicendomi: “Per molti anni ho vissuto l’essere anche ebrea con un enorme senso di colpa. Come qualcosa di oscuro… sentivo che c’era qualcosa di losco.” E poi aggiunse, “Ero stupida e condizionata”. Poi qualcosa cambiò: a un certo punto della sua vita - grazie a una terapia psicanalitica, dalla quale poi è partito il suo percorso per diventare a sua volta psicanalista -, Phoebe decise di recuperare la sua identità ebraica. Andò a Gerusalemme e da quel momento, pur non essendo praticante, decise di indossare la stella di David al collo. E nel mostrarmela, mi rivelò che: “Vede, ancora adesso, è un problema. L’altro giorno, mentre stavo andando al mercato, una signora mi ferma per strada e mi dice: beata lei che ce la fa a indossarla…” Per questo, il mio intervento è dedicato a Phoebe, che non c’è più.

Nota bibliografica Asquer Enrica, “Scrivere alla Demorazza. Le domande di ‘discriminazione’ delle donne di ‘razza ebraica’ e il conflitto sulla cittadinanza nell'Italia del 1938”, Italia contemporanea, 2018, n. 287.

Frandini Paola, Ebreo, tu non esisti! Le vittime delle leggi razziali scrivono a Mussolini, S. Cesario di Lecce, Manni, 2008. Morpurgo Luciano, Caccia all'uomo, Roma, Casa Editrice Dalmatia, 1946.

Orvieto Iael Nidam, “Lettere a Mussolini: gli ebrei italiani e le leggi antiebraiche”, La Rassegna mensile di Israel, 2003, p.321-346. https://www.jstor.org/stable/41286513?seq=1#page_scan_tab_contents Osti Guerrazzi Amedeo, Caino a Roma: i complici romani della Shoah, Roma, Cooper, 2005. Links a video e foto

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Trailer del documentario di Massimo Martella, Mio duce ti scrivo, Roma, RaiTre e Istituto Luce Cinecittà, 2016: https://www.youtube.com/watch?v=Z45kDSHvggM edito su DVD, integrato da documenti extra, tra i quali una raccolta di venti lettere integrali e la testimonianza filmata di Phoebe Miranda Il discorso di Trieste di Mussolini, 18 settembre 1938: https://www.archivioluce.com/2019/09/18/il-discorso-di-trieste/ Documentario su Israele a Roma, regia Romolo Marcellini, soggetto Luigi Barzini jr., prod. Opus, 1948: https://www.youtube.com/watch?v=M73FoEODb2Y Serie fotografica Ebrei al lavoro lungo l’argine del Tevere, Archivio Luce Cinecittà, Roma, 1942: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0010036354/12/ebrei-al-lavorolungo-l-argine-del-tevere Le fotografie di Luciano Morpurgo sono custodite presso il Fondo Morpurgo alla Fototeca Nazionale - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Collocazioni principali delle lettere presso l’Archivio di Stato di Roma: ACS, SPD, CR 1922-1943, 480/R, da b.141 a b.145 ACS, Min. Int. Dir. Gen. Demorazza, 1938-1943, da b.1 a b.10

Copyright ©2020 – Massimo Martella - Tutti i diritti riservati

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- Parte 3. Testimoniare

17.

Maria Cristina Messa Rettrice (2013 – 2019) Università degli Studi di Milano-Bicocca

Introduzione all'intervento della Senatrice Segre L’intervento di Maria Cristina Messa è disponibile, in formato video, al link: https://www.youtube.com/watch?v=F52vtIPt5qQ&feature=youtu.be&t=23360

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18.

Liliana Segre Senatrice a Vita della Repubblica Italiana

Lectio Magistralis L’indifferenza Vi ringrazio per questa accoglienza così affettuosa. A parte tanti visi di amici e di persone che conosco e che ringrazio per essere qui per ascoltare ancora una volta una storia personale, ringrazio soprattutto i tanti studenti presenti e che vorrei veramente conoscere uno per uno da nonna, come io sono principalmente nella mia vita: aldilà della veste di sopravvissuta o di senatrice, nella mia vita io sono anzitutto la nonna di tre nipoti che amo moltissimo. Per questo incontro dedicato all’indifferenza, vi parlo quindi come una nonna ideale di nipoti ideali. L’ho conosciuta nella mia vita e ne ho avuto sentore e dolore fin da quando ero piccola. Quando il presidente Mattarella mi ha incontrato lo scorso anno e mi ha chiesto che cosa avessi pensato quando telefonandomi mi aveva riferito della nomina a senatrice a vita, io gli ho risposto: “Io ho ottantotto anni, ma dentro di me sono sempre quella bambina di otto anni, che si è vista chiudere davanti la porta della scuola nell'indifferenza generale. E ci son voluti ben 80 anni di vita per vedere quella stessa ragazzina, ebrea, italiana, diventata vecchia, aprire la porta del Senato”. Sono però la stessa persona, proprio come sarete voi da vecchi, quando vi ricorderete della vostra infanzia e della vostra adolescenza. Vi accorgerete che, anche da vecchi, si è sempre quei bambini che si è stati dentro di sé. Quei bambini di cui non si conosce fino in fondo, da adulti, la grande fragilità e nello stesso tempo la grande forza, ma anche la grande sensibilità quando vedi la tua famiglia improvvisamente umiliata, messa da parte, non più cercata, non più invitata, che perde il lavoro, che perde la casa, che perde quelli che credeva amici (gli amici con la “a” minuscola, perché gli Amici con la “A” maiuscola restano sempre pochissimi e si contano sulle dita di una mano). Il bambino percepisce l’isolamento dovuto alla “colpa” di esser nati, non perché uno avesse fatto qualche cosa di male. Ha paura di domandare perché in ogni risposta dell'adulto che lo ama, c'è una sofferenza indicibile, c'è l'inizio di quella sensazione di non sapere cosa fare.

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Quando arriva improvvisamente una disgrazia, uno tsunami, una pena improvvisa a cui non sei preparato, e vengono a trovarti all'inizio di questa disperazione dei parenti più intelligenti, più ricchi, che conoscevano le lingue e che ti dicono: “Noi andiamo in America, venite anche voi. Noi andiamo avanti, vi troviamo la casa, vicino a dove abiteremo noi.” E poi se ne vanno via. E questi adulti che non sono preparati, che hanno avuto i figli combattenti nella Prima guerra mondiale, che sono magari anche fascisti, che sono italiani profondamente, si chiedono: “Ma questi qui sono pazzi! Perché lasciano una bellissima casa, delle professioni avviate? Anche se ora c’è questo subbuglio, prima o poi il tutto tornerà come prima. C’è un tale senso di pessimismo… Ma che esagerazione!” E invece no. Questi ebrei italiani, semplici, abituati a una vita tranquilla, scoprono che non è rimasto più nulla di quella famiglia. Allora tanti ricordi si affollano nella mente e ti chiedi: “Ma perché ho sempre in mente l'indifferenza?” Perché l'indifferenza fu terribile. Il silenzio indifferente di tutto un popolo, di vari popoli europei fu terribile. Non si trattò di violenza espressa, che puoi cercare di combattere in qualche modo se hai armi, o se cerchi di fuggire, o di nasconderti. Si tratta piuttosto di quell’indifferenza tipica di chi volta la faccia dall'altra parte, di chi– una volta finita la guerra – ti chiederà: “Ma tu, Segre, dove sei finita? Perché non ti ho più visto a scuola?” Quella Segre nel frattempo è diventata un'altra: chi è passato da Auschwitz non è più la stessa ragazzina che ha lasciato il banco vuoto; è un'altra persona, è una selvaggia, è una che ha visto il male, il fuoco, che ha sentito l'odore, che è diventata uno scheletro, che ha visto la morte da vicino e che non sa come e cosa rispondere a quella sua coetanea che ha sopportato i disagi della guerra, la scarsità di cibo, lo scollamento, ma che lo ha fatto pur sempre protetta dal calore familiare. Cosa può rispondere quest’altra persona, rimasta sola? Silenzio. Un silenzio che per me è durato 45 anni, prima di poter essere qui come sono oggi, davanti a tante persone a parlare dell’indifferenza. Ma dov'eri tu quando accanto al tuo banco di scuola c’era un posto vuoto? Dove sono i genitori di quelle mie compagne di scuola che, messe davanti al banco vuoto, avevano detto: “Lascia stare, è una cosa che non ci riguarda. Non invitare la Segre alle festicciole, non telefonarle, non andare con lei in giro; ci sono tante altre compagne... Perché, sai, questi ebrei...”. Fu indifferenza prima e dopo: ci fu chi ricominciò a telefonarti, chi ti ritrovò nel banco di scuola, ma indifferenza a tutti i livelli. Come si combatte questa indifferenza? Io ho trovato un solo modo, non ne ho trovato altri, dopo tanti anni di silenzio, il silenzio 112


profondo di chi non ha la forza di raccontare Auschwitz, di chi non ha la forza di ammettere che: “queste persone, che non avevano capito, che erano stati buoni cittadini, che erano persone rette e giuste, che non avevano mai fatto niente di male, non ci sono più: sono stati uccisi anche neonati per la colpa di essere nati; sono stati uccisi vecchi in barella che non stavano più in piedi, a 90 anni, arrestati e portati tanto lontano per ucciderli lontano dagli occhi. E nessun macchinista ha mai avuto un guasto alla locomotiva, nessun passaggio a livello si è mai inceppato? Sono passati treni in tutta Europa nell'indifferenza generale”. Come si fa a dimenticare? Come si fa a ritrovare la forza per raccontare tutto questo? Ci vogliono anni, anni, anni di amore, di figli, di case ricostruite, dell'oggetto che qualcuno ha per caso salvato. Oltre a ciò, ci sono tutti coloro che, invece, non si sono salvati e che nessuno ti può ridare. Ci vogliono parole d'amore scambiate con chi ami; ci vuole il tuo neonato che esce da te dopo tanta morte, quando non potevi neanche immaginare di essere mamma o addirittura di diventare nonna. Quando tu dovevi morire, quando tu non avevi il diritto di vivere per la colpa di esser nato e invece per caso sei sopravvissuta, e hai ora la fortuna di amare di nuovo e di essere amata, di ricostruire qualche cosa che credevi perduto per sempre, allora capisci che non puoi più tacere. Capisci che quel dolore, quella storia di cui tu sei stata protagonista e che nessun negazionista tu possa incontrare potrà mai guardarti in faccia perché tu sei quella storia, capisci allora che non puoi più tacere, capisci che non hai fatto il tuo dovere contro l'indifferenza del mondo: cominci faticosamente a parlare. È difficile trovare le parole per dirlo. È difficilissimo. Non sai se ti usciranno quelle parole, non sai come farai a raccontare quello che Primo Levi definì l'indicibile: parola etimologicamente perfetta, perché uno tenta di dire quello che è stato, ma è talmente difficile da raccontare poiché è quasi impossibile pensare come Auschwitz fosse stato preparato a tavolino anni prima nei minimi particolari, come se regnasse un ordine perfetto, fondato sull’obbedienza cieca e assoluta degli schiavi. Io sono stata schiava e so che cosa vuol dire quando sei di qualcun altro, il quale non ti riconosce neppure il nome, ti dà un numero perché tu sei uno schiavo, non hai diritto al tuo nome. Come fai a trovare di colpo le parole per poter rendere una storia così incredibile? Ed ecco che trovi qualcuno che scrive che non è vero, perché è più facile negare una cosa di questo genere piuttosto che crederci: la gente è più contenta di sapere che l’uomo non si è seduto a tavolino alla Conferenza di Wannsee con politici, industriali, artigiani, 113


militari per organizzare una fabbrica di morte a quel livello; è più bello pensare che non sia vero. Il tempo passa e, man mano che si allontana, i sopravvissuti e i carnefici muoiono. Allora qualcuno come la sottoscritta, che è troppo pessimista, comincia a inquietarsi, perché nel giro di pochi anni, quando saremo tutti morti, la storia potrà essere cambiata, oppure nel giro di pochi anni la Shoah sarà solo una riga in un libro di storia, così come è avvenuto per esempio per il genocidio degli Armeni. Poi non ci sarà più neppure quella. Allora i ragazzi mi scrivono: “No signora, non è vero. Lei sbaglia, perché io me lo ricorderò.” Vorrei assolutamente abbracciare questo ragazzo o ragazzina, forse di 12 o 13 anni, che mi ha scritto questo, così come vorrei abbracciare quegli insegnanti meravigliosi che mettono nel programma liberi pensieri, non classificati. Ma la gente mi dice: “Basta, ma perché continui a raccontare questa storia che ti rattrista?”. Il dovere è dovere e lo compirò finché vivrò, finché avrò la forza di farlo, naturalmente non soltanto per chi è morto nella mia famiglia, non solo per quelli che io ho visto cadere fucilati o mandati alle camere a gas, ma per quei 6 milioni che non sono tornati a raccontare, di cui non si conosce neppure il nome. Sono quei morti senza tomba, che in tutte le epoche della storia e anche del presente non sono ricordati da nessuno. Finché avrò voce, proverò a ricordarli uno per uno, anche quelli che ho solo visto o sfiorato, di cui non ho saputo il nome, ma che erano persone: erano tutti come noi e per la colpa di essere nati dovevano essere uccisi, allontanati dalla loro casa, deportati in un paese sconosciuto, internati nei campi di concentramento o di sterminio, dove sapevi che non c'era speranza per te e che il progetto consisteva nell’annientamento assoluto e totale. Si veniva annientati anzitutto come persone, perché quando ti tolgono il nome, quando sei un essere come un’ameba che non sente neppure più il freddo e la fame perché sei ridotto in quello stato e ti costringono ad un punto tale che per mangiare faresti qualsiasi cosa: una cattiveria come questa contro le vittime fa sì che uno possa rubare il mangiare all'altro, quel pochissimo che c’è. E quando sei ridotto in questo stato, finché puoi lavorare, puoi vivere; nel momento in cui non puoi più lavorare, c’è solo lo sterminio. Quando tu hai assistito a quella che si chiamava la “soluzione finale” e poi riesci dopo tanti anni a raccontare, è molto importante trasformare la testimonianza di morte in una testimonianza di vita: ai ragazzi che mi ascoltano insegno sempre a scegliere la vita, perché è una cosa talmente straordinaria e meravigliosa, che non bisogna mai dire che non ce la si fa più. Bisogna essere convinti che l'uomo e la donna hanno delle possibilità 114


straordinarie: scegliere la vita significa mettere una gamba davanti all'altra e vincere questa sfida contro la morte. “Una gamba davanti all’altra” non è un modo di dire: è stato veramente decisivo per noi che abbiamo fatto la Marcia della morte. Quando dopo la fine della guerra ho letto quanti chilometri erano stati fatti dalla Polonia da questo gruppo di povere donne ancora vive, allora ho capito cosa significasse combattere per la vita. Mi ricordo che quando ho avuto il mio primo figlio e ho visto la vita che era uscita da me dopo tanta morte, ho avuto la fortuna enorme e straordinaria di piangere di felicità, di gioia perché avevo avuto un figlio, al quale ho dato il nome di mio padre morto ad Auschwitz, per la sola colpa di esser nato. Era nato un bambino perfetto e potevo piangere. Prima no, perché mi ero indurita: ero diventata una di quelle donne che mette una gamba davanti all’altra per vivere. Bisogna sempre andare avanti, mettere una gamba davanti all'altra, perché altrimenti non si è veramente uomini e donne. Lo racconto da anni ai ragazzi. Vado nelle scuole e racconto sempre quanto sia importantissima la scelta di vita: una scelta di vita retta, giusta, possibilmente rivolta agli altri e non con quell’indifferenza che ho visto intorno a me e a noi che siamo stati arrestati per la colpa di essere nati. Dopo aver visto portar via la casa e la famiglia, per tanto tempo ci è stata portata via anche la voglia di vivere, finché abbiamo messo una gamba davanti all'altra, senza cadere. Se fossimo caduti, ci avrebbero ucciso. Dovevamo tornare a raccontare la verità della storia, senza fronzoli, senza parole ridondanti. Da tanti anni racconto nelle scuole ai ragazzi che la scelta di vita è importantissima. Sono la nonna dei miei nipoti ideali che anche oggi sono qui ad ascoltarmi: bisogna essere molto forti, mettere una gamba davanti all'altra. La marcia della vita è molto dura e molto pesante, ma bisogna farcela: è un inno alla vita e non alla morte. Chi uccide, chi è violento è destinato a perdere nella storia, perché lascia un messaggio negativo. Invece la scelta di vita, la scelta del bambino che nasce, la scelta di fare il proprio dovere e di essere importanti per sé e per gli altri è una grande storia per ognuno di noi. Vi ringrazio di essere qui ad ascoltare la storia di una che ce l'ha fatta, per miracolo. Ce l'ha fatta. Copyright ©2020 – Liliana Segre - Tutti i diritti riservati

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III. LA MOSTRA



Razza e istRuzione

Le Leggi anti-ebRaiche deL 1938 e Le LoRo conseguenze “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” Costituzione della Repubblica Italiana, 1948, Articolo 33

L

a mostra vuole offrire spunti di riflessione su una pagina drammatica della storia italiana. L’emanazione delle leggi anti-ebraiche rappresentò un tornante decisivo per la storia del regime fascista, offrendo la base ideologica alla guerra e allo sterminio. Una volta espulsi, uomini e donne non poterono più accedere all’educazione e alle professioni. E la formazione di insegnanti e di studenti andò di pari passo con l’applicazione delle leggi razziali, secondo lo sviluppo di una pedagogia fascista che ebbe conseguenze durature negli anni. Anche la vita accademica milanese fu profondamente toccata da tali vicende. Illustri docenti e ricercatori furono espulsi dalle accademie e dalle maggiori università pubbliche e private di allora, ovvero dalla Regia Università di Milano, dal Regio Politecnico e dall’Università Commerciale Luigi Bocconi.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO - BICOCCA

La mostra non ha certamente la pretesa di essere esauriente di fronte a una vicenda tanto complessa quanto tragica. Vuole solo offrire materiali per riflettere sull’idea fittizia e scientificamente infondata della superiorità di una razza sulle altre.


IL PROGETTO

RAZZA E ISTRUZIONE LE LEGGI ANTI - EBRAICHE DEL 1938


Razza e istRuzione

Le Leggi anti-ebRaiche deL 1938 e Le LoRo conseguenze “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” Costituzione della Repubblica Italiana, 1948, Articolo 33

L

a mostra vuole offrire spunti di riflessione su una pagina drammatica della storia italiana. L’emanazione delle leggi anti-ebraiche rappresentò un tornante decisivo per la storia del regime fascista, offrendo la base ideologica alla guerra e allo sterminio. Una volta espulsi, uomini e donne non poterono più accedere all’educazione e alle professioni. E la formazione di insegnanti e di studenti andò di pari passo con l’applicazione delle leggi razziali, secondo lo sviluppo di una pedagogia fascista che ebbe conseguenze durature negli anni. Anche la vita accademica milanese fu profondamente toccata da tali vicende. Illustri docenti e ricercatori furono espulsi dalle accademie e dalle maggiori università pubbliche e private di allora, ovvero dalla Regia Università di Milano, dal Regio Politecnico e dall’Università Commerciale Luigi Bocconi. La mostra non ha certamente la pretesa di essere esauriente di fronte a una vicenda tanto complessa quanto tragica. Vuole solo offrire materiali per riflettere sull’idea fittizia e scientificamente infondata della superiorità di una razza sulle altre.


LA CONFERENZA LA MOSTRA


Razza e istruzione Le leggi anti-ebraiche del 1938

La conferenza e la mostra propongono agli studenti e alla cittadinanza una riflessione sulle leggi razziali del 1938, tornante decisivo della storia del regime fascista e premessa ideologica verso lo sterminio. Le iniziative mirano a mettere a fuoco le conseguenze prodotte dal divieto di accesso all’istruzione e alle professioni delle persone di origine ebraica. Gli effetti furono infatti drammatici non solo per i docenti e gli studenti espulsi dall’Università, ma anche per lo stesso sistema educativo e formativo. Oltre alla perdita del contributo di uomini di scienza e di cultura, la pedagogia fascista subì una torsione razzistica che avrebbe permeato l’istruzione italiana.

LA CONFERENZA

- 18 Febbraio 2019

9.30 Saluti inaugurali 10.00-12.30 I. L’IMPATTO DELLE LEGGI RAZZIALI SUL SISTEMA EDUCATIVO 14.00-16.00 II. RAZZA, IMMAGINI E RAPPRESENTAZIONI 16.00-16.40 III. TESTIMONIARE Sen. Liliana Segre, Lectio Magistralis, L’INDIFFERENZA 16.45 IV. MOSTRARE PER NON DIMENTICARE Il Rettore Prof. Cristina Messa e la Sen. Liliana Segre inaugurano la mostra

LA MOSTRA

18 Febbraio 2019 - 18 Febbraio/15 MARZO 2019

Articolata in sette sezioni tematiche, la mostra ripercorre la genesi e l’applicazione delle leggi razziali nel campo dell’istruzione pubblica attraverso materiali di archivio e bibliografici provenienti dalle istituzioni culturali milanesi e nazionali coinvolte nel progetto. Dalla emanazione delle leggi, alla esclusione dei docenti universitari, fino al reintegro di coloro che furono discriminati nel 1938, l’esposizione vuole offrire spunti di riflessione su una pagina drammatica della storia italiana. Responsabile scientifica: Marina Calloni

Collaboratori: Gregorio Taccola

Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano

Istituzioni e fondazioni coinvolte

Comitato scientifico: Vittore Armanni, Luciano Belli Paci, Barbara Bracco, Marina Cattaneo, Maurizio di Girolamo, Emanuele Edallo, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Cinzia Iossa, Gadi Luzzatto Voghera, Annalisa Rossi, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Paola Zocchi Allestimento della mostra: Marina Cattaneo e Cristiano Mutti

Aula MAGNA - EDIFICIO U6

Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea

F O N D A Z I O N E

Anna Kuliscioff

In collaborazione con

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca


SEZIONI DELLA MOSTRA


1 La Mostra “Razza e istruzione” 2 La “difesa della razza” 3 L’applicazione delle leggi antisemite all’istruzione 4 L’esclusione dalle università di studenti e docenti di origine ebraica 5 Le università milanesi di fronte alle leggi razziali 6 La reazione del mondo antifascista alle leggi razziali 7 La pedagogia fascista 8 Le lettere degli ebrei italiani a Mussolini dopo le leggi antisemite 9 La faticosa via del rientro


SEZIONE 1

LA MOSTRA “RAZZA E ISTRUZIONE”


RAZZA E ISTRUZIONE RAZZA E -ISTRUZIONE LE LEGGI ANTI EBRAICHE DEL 1938 LE - EBRAICHE DEL 1938 E LELEGGI LOROANTI CONSEGUENZE E LE LORO CONSEGUENZE

L L

a mostra documentaria è inedita e basata su materiali d’archivio e bibliografici in buona documentaria parte esposti per la prima volta, gentilmente a disposizione da: a mostra è inedita e basata su materiali messi d’archivio e bibliografici

in buonadiparte esposti per la prima volta, gentilmente a disposizione da: Archivio Stato di Milano; Biblioteca “Luigi Demessi Gregori” - Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; di Archivio di Stato di Milano; Biblioteca “Luigi DeFondazione Gregori” - Centro Ministero Documentazione Ebraica Contemporanea; Fondazione Corriere della Sera; dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; Fondazione Centro di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli; Fondazione Kuliscioff; Luce; Documentazione Ebraica Contemporanea; Fondazione CorriereIstituto della Sera; Unione delle Giangiacomo Comunità Ebraiche Italiane; Politecnico di Milano; Università Fondazione Feltrinelli; Fondazione Kuliscioff; Istituto Luce; degli Studi di Comunità Milano; Università StudiPolitecnico di Milano-Bicocca (Dipartimento Unione delle Ebraichedegli Italiane; di Milano; Università di Sociologia e Ricerca Sociale, Biblioteca di Ateneo, Polo di Archivio Storico, degli Studi di Milano; Università degli Studi di Milano-Bicocca (Dipartimento Archivio Storico della Psicologia Italiana); Università Bocconi; Università di Sociologia e Ricerca Sociale, Biblioteca di Ateneo, Luigi Polo di Archivio Storico, Cattolica del Sacro Cuore. Archivio Storico della Psicologia Italiana); Università Luigi Bocconi; Università

Cattolica del Sacro Cuore. Marina Calloni Responsabile scientifica: Comitato scientifico: Barbara Bracco, Vittore Armanni, Luciano Belli Responsabile scientifica: Marina Calloni Paci, Marina Cattaneo, Maurizio di Girolamo, Comitato scientifico: Barbara Bracco, VittoreEmanuele Armanni,Edallo, Luciano Belli Sira Gianfrancesco, Vincenza Iossa, GadiEdallo, Luzzatto Voghera, Paci,Fatucci, MarinaManuele Cattaneo, Maurizio di Girolamo, Emanuele Annalisa Rossi, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Zocchi Voghera, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, Paola Gadi Luzzatto Collaboratore: Gregorio Taccola Annalisa Rossi, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Paola Zocchi Allestimento della mostra: Marina Cattaneo e Cristiano Mutti Collaboratore: Gregorio Taccola Grafico: Antonio Garonzi Allestimento della mostra: Marina Cattaneo e Cristiano Mutti

A 80 anniAntonio dall’emanazione Grafico: Garonzi di leggi illiberali, l’Università come luogo dedito alla ricerca libera, alla formazione inclusiva e alla cittadinanza attiva, è A 80 anni dall’emanazione di leggi illiberali, l’Università come luogo dedito ora più che mai uno spazio fondamentale di riflessione sull’uguaglianza e alla ricerca libera, alla formazione inclusiva e alla cittadinanza attiva, è la libertà. L’Ateneo di Milano - Bicocca, che ha compiuto da poco vent’anni ora più che mai uno spazio fondamentale di riflessione sull’uguaglianza e di vita, intende riaffermare con questa iniziativa la forza dei principi la libertà. L’Ateneo di Milano - Bicocca, che ha compiuto da poco vent’anni democratici. di vita, intende riaffermare con questa iniziativa la forza dei principi La mostra sarà aperta dal 18 febbraio al 15 marzo 2019 democratici. e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle 21.30 La mostra sarà aperta dal 18 febbraio al 15 marzo 2019 e il sabato dalle ore 8.00 alle 13.30 e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle 21.30


SEZIONE 2

LA DIFESA DELLA RAZZA


La “difesa della razza”

L

a disumanizzazione del “diverso” e la “bestializzazione” del nemico trovano una nuova connotazione ideologica nell’età dell’imperialismo. Con la Grande Guerra la “battaglia per la civiltà” si consuma all’interno dei confini europei. A partire dal 1937, l’idea della superiorità e della difesa della razza viene pertanto ad affermarsi attraverso leggi che radicalizzano precedenti culture discriminatorie e segregative. La prima legge razzista - firmata nel 1937 da Re Vittorio Emanuele III riguarda le colonie africane e il divieto di convivenze stabili miste. L’anno seguente il re, avallando la nuova politica antisemita di Mussolini, smentì i suoi avi e lo stesso Statuto Albertino del 1848 (ancora vigente al tempo) che aveva abolito le discriminazioni giuridiche contro gli Ebrei, i cui diritti vennero esplicitamente riconosciuti con il Regio Decreto Legge del 29 marzo 1848, n. 688 Il 18 settembre 1938 a Trieste, davanti a 150.000 persone, Mussolini annunciò le “soluzioni necessarie” che dovevano essere adottate per affrontare il “problema ebraico”, inteso come questione “razziale”. Al fine di affermare il “prestigio dell’impero”, Mussolini riteneva necessaria “una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime”. “L’ebraismo mondiale” veniva così definito “un nemico irreconciliabile del fascismo”. Sulla base dei capisaldi della politica fascista – riassumibili in razza, autarchia, impero –, a partire dal 1938 vennero progressivamente emanate leggi antisemite che porteranno all’espulsione di donne e uomini di origine ebraica da scuole, università, uffici pubblici e professioni. Con l’inasprirsi delle ostilità nella Seconda guerra mondiale, i processi di disumanizzazione e le progressive discriminazioni su basi politiche ed etnico-religiose si sarebbero tradotte nella deportazione e nello sterminio.


PANNELLO 2.1

Regio Decreto Legge del 19 aprile 1937 - XV, n. 880


LA “TUTELA DELLA RAZZA” FU LEGALMENTE AFFERMATA NEL 1937

La prima legge di tutela della razza emanata dal governo fascista è il Regio Decreto Legge del 19 aprile 1937-XV, n. 880, che vieta il cosiddetto madamismo, ovvero il “concubinaggio” con donne africane. Sarebbe un delitto biologico che farebbe perdere la “superiorità razziale” all’uomo italiano.

GAZZETTA UFFICIALE DEL REGNO D’ITALIA - N. 115 Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale fra cittadini e sudditi. VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA IMPERATORE D’ETIOPIA Visto l’Art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100: Riconosciuta l’urgente ed assoluta necessità di provvedere; Sentito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Ministro Segretario di Stato per l’Africa Italiana, di concerto con il Ministro Segretario di Stato per la grazia e giustizia; Abbiamo decretato e decretiamo:

Articolo unico, Il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie tiene relazione d’indole coniugale con persona suddita dell’Africa Orientale Italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell’Africa Orientale Italiana, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Ministro proponente è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 19 aprile 1937. Anno XV. VITTORIO EMANUELE. MUSSOLINI – LESSONA – SOLMI.


PANNELLO 2.2 Guido Baldas “Gib” Il demone della frode, cartolina, 1915 Milano, collezione privata Enrico De Seta, serie di cartoline editate dalle Edizioni d’Arte Boeri, 1935 - 1936 Milano, collezione privata La difesa della razza, 5 dicembre 1938 La difesa della razza, 5 gennaio 1939


L’IDEA DI UNA PRESUNTA RAZZA SUPERIORE SI AFFERMÒ ATTRAVERSO LA RAPPRESENTAZIONE DELL’“ALTRO” COME ESSERE INFERIORE PER MEZZO DI UN PROCESSO DI PROGRESSIVA DISUMANIZZAZIONE. NEL CORSO DELL’OTTOCENTO L’ANTISEMITISMO SI DIFFUSE PIÙ CHE MAI IN TUTTA EUROPA, COME DIMOSTRANO IL CASO DREYFUS IN FRANCIA E LA MASSICCIA DIFFUSIONE DEI PROTOCOLLI DEI SAVI ANZIANI DI SION. A TUTTO QUESTO LA PRIMA GUERRA MONDIALE AGGIUNSE LA STIGMATIZZAZIONE DEL CORPO DEL NEMICO. SI TRATTÒ DI UN ESPEDIENTE FIGURATIVO E PROPAGANDISTICO CHE SI TRADUSSE IN UNA ESPERIENZA DI ANNULLAMENTO FISICO DELL’ALTRO.

RIMASTO SOTTOTRACCIA PER DIVERSI ANNI DOPO LA GRANDE GUERRA, IL RAZZISMO SI RIATTIVA CON L’IMPRESA D’ETIOPIA, COME DIMOSTRA IL SUCCESSO DELLE CARTOLINE RAZZISTE E SESSISTE DISEGNATE DA ENRICO DE SETA FRA IL 1935 E IL 1936, A LUNGO CIRCOLATE TRA LE TRUPPE ITALIANE IMPEGNATE IN AFRICA.


PANNELLO 2.3 “Razzismo italiano� primo numero de La difesa della razza, 5 agosto 1938 La difesa della razza, 5 agosto 1938 La difesa della razza, 20 settembre 1938 La difesa della razza, 5 aprile 1939


OLTRE CHE CONTRO LE POPOLAZIONI AFRICANE DELLE COLONIE, IL RAZZISMO FASCISTA SI RIVOLSE BEN PRESTO CONTRO ALTRE COMUNITÀ. LA “DIFESA DELLA RAZZA” IN SENSO ANTISEMITA SI SOSTANZIÒ INNANZITUTTO CON LA DIFFUSIONE DI UN MANIFESTO IDEOLOGICO. PUBBLICATO SU IL GIORNALE D’ITALIA IL 14 LUGLIO 1938 CON IL TITOLO IL FASCISMO E I PROBLEMI DELLA RAZZA, FU SOTTOSCRITTO DA DIECI SCIENZIATI DEL TEMPO, NOTI E MENO NOTI, QUALI: LINO BUSINCO, LIDIO CIPRIANI, ARTURO DONAGGIO, LEONE FRANZÌ, GUIDO LANDRA, NICOLA PENDE, MARCELLO RICCI, FRANCO SAVORGNAN, SABATO VISCO, EDOARDO ZAVATTARI. ACCANTO ALLA POLITICA IDEOLOGICA, IL FASCISMO CERCAVA ORA UNA LEGITTIMAZIONE PSEUDO - SCIENTIFICA E CULTURALE ALLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE. LA PUBBLICISTICA DEL TEMPO ACCENTUÒ IL PROCESSO DI SEGREGAZIONE. POCHE SETTIMANE DOPO SEGUIRONO LE LEGGI RAZZIALI.

LA DIFESA DELLA RAZZA - QUINDICINALE DIRETTO DA TELESIO INTERLANDI – FU ATTIVO DAL 1938 AL 1943. INTERLANDI DIVENTERÀ RESPONSABILE DELLA PROPAGANDA RADIOFONICA NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.


PANNELLO 2.4

Il Popolo d’Italia, 7 ottobre 1938 Il Popolo d’Italia, 5 settembre 1938 Il Popolo d’Italia, 19 settembre 1938

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


LA POLITICA RAZZIALE DEL REGIME FASCISTA FU ANNUNCIATA SUI MAGGIORI QUOTIDIANI DEL TEMPO, COME UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DA CONSEGUIRE PER L’AFFERMAZIONE DELLA “POTENZA ITALIANA”, SECONDO IL TRINOMIO: RAZZA, IMPERO, AUTARCHIA.


PANNELLO 2.5

Corriere della Sera, 2 settembre 1938, ed. mattino Fondazione Corriere della Sera, Milano Per gentile concessione


I PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI ANTIEBRAICI ATTUARONO LA POLITICA RAZZISTA DEL REGIME. LA CRONOLOGIA CHE SEGUE È TRATTA DAI DOCUMENTI DI STORIA CONTEMPORANEA SULL’ANTISEMITISMO, A CURA DELLA FONDAZIONE CDEC R.D.L. 7 settembre 1938, n. 1381, Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri (G.U. n. 208, 12 settembre 1938).

R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1390, Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista (G.U. n. 209, 13 settembre 1938). R.D. 5 settembre 1938, n. 1531, Trasformazione dell’Ufficio centrale demografico in Direzione generale per la demografia e la razza (G.U. n. 230, 7 ottobre 1938). R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1539, Istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del Consiglio superiore per la demografia e la razza (G.U. n. 231, 8 ottobre 1938). R.D.L. 23 settembre 1938, n. 1630, Istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica (G.U. n. 245, 25 ottobre 1938).


PANNELLO 2.6 R.D.L. 17 novembre 1938, n. 1728, “Provvedimenti per la difesa della razza italiana” pubblicato in Bollettino Ufficiale del Ministero della Educazione Nazionale del 29 novembre 1938 (a. 65, n. 48) Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma che raccoglie i documenti dell’allora Ministero dell’Educazione Nazionale Per gentile concessione


R.D.L. 17 novembre 1938, n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana (G.U. n. 264, 19 novembre 1938).


PANNELLO 2.7 Regi Decreti Legge 1938, 1939, 1940, 1941, 1942 “a difesa della razza”

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


R.D.L. 15 novembre 1938, n. 1779, Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana (G.U. n. 272, 29 novembre 1938). R.D. 21 novembre 1938, n. 2154, Modificazioni allo statuto del Partito Nazionale Fascista (G.U. n. 36, 13 febbraio 1939). R.D.L. 22 dicembre 1938, n. 2111, Disposizioni relative al collocamento in congedo assoluto ed al trattamento di quiescenza del personale militare delle Forze armate dello Stato di razza ebraica (G.U. n. 30, 6 febbraio 1939). L. 5 gennaio 1939, n. 26, Conversione in legge del Regio decreto-legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1539, concernente l’istituzione, presso il Ministero dell’interno, del Consiglio superiore per la demografia e la razza (G.U. n. 24, 30 gennaio 1939). L. 5 gennaio 1939, n. 94, Conversione in legge del Regio decreto-legge 23 settembre 1938-XVI, n. 1630, concernente l’istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica (G.U. n. 31, 7 febbraio 1939). L. 5 gennaio 1939, n. 98, Conversione in legge del Regio decreto-legge 15 novembre 1938-XVll, n. 1779, relativo all’integrazione e al coordinamento in unico testo delle norme emanate per la difesa della razza nella scuola italiana (G.U. n. 31, 7 febbraio 1939). L. 5 gennaio 1939, n. 99, Conversione in legge del Regio decreto-legge 5 settembre 1938-XVl, n. 1390, contenente provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista (G.U. n. 31, 7 febbraio 1939). L. 5 gennaio 1939, n. 274, Conversione in legge del Regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, recante provvedimenti per la difesa della razza italiana (G.U. n. 48, 27 febbraio 1939). R.D.L. 9 febbraio 1939, n. 126, Norme di attuazione ed integrazione delle disposizioni di cui all’art. 10 del R. decreto-legge 17 novembre 1938 XVII, n. 1728, relative ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commerciale per i cittadini italiani di razza ebraica (G.U. n. 35, 11 febbraio 1939). R.D. 27 marzo 1939, n. 665, Approvazione dello statuto dell’Ente di gestione e liquidazione immobiliare (G.U. n. 110, 10 maggio 1939). L. 2 giugno 1939, n. 739, Conversione in legge, con approvazione complessiva, dei Regi decreti-legge emanati fino al 10 marzo 1939-XVII e convalida dei Regi decreti, emanati f no alla data anzidetta, per prelevazioni di somme dal fondo di riserva per le spese impreviste (GU n. 131, 5 giugno 1939). L. 13 luglio 1939, n. 1024, Norme integrative del R. decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, sulla difesa della razza italiana (G.U. n. 174, 27 luglio 1939). L. 29 giugno 1939, n. 1054, Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica (G.U. n. 179, 2 agosto 1939). L. 13 luglio 1939, n. 1055, Disposizioni in materia testamentaria nonché sulla disciplina dei cognomi, nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica (G.U. n. 179, 2 agosto 1939). L. 13 luglio 1939, n. 1056, Variazioni al ruolo organico del personale di gruppo A dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’interno (G.U. n.179, 2 agosto 1939). L. 23 maggio 1940, n. 587, Concessione di una indennità in aggiunta alla pensione ai dipendenti statali per i quali è prevista la inamovibilità, dispensati dal servizio in esecuzione del R. decreto-legge 17 novembre 1938 XVII, n. 1728, sino al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo (G.U. n. 143,19 giugno 1940). L. 28 settembre 1940, n. 1403, Abrogazione del contributo statale a favore degli asili infantili israelitici contemplati dalla legge 30 luglio 1896, n. 343 (G.U. n. 245, 18 ottobre 1940). L. 23 settembre 1940, n. 1459, Integrazioni alla legge 13 luglio 1939-XVII, n. 1055, contenente disposizioni in materia testamentaria, nonché sulla disciplina dei cognomi, nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica (G.U. n. 256, 31 ottobre 1940). D.M. 30 luglio 1940, Determinazione dei contributi a carico dei professionisti di razza ebraica (G.U. n. 12, 16 gennaio 1941). L. 24 febbraio 1941, n. 158, Autorizzazione all’Ente di gestione e liquidazione immobiliare a delegare agli Istituti di credito fondiario la gestione e la vendita degli immobili ad esso attribuiti (G.U. n. 79, 2 aprile 1941). L. 19 aprile 1942, n. 517, Esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo (G.U. n. 126, 28 maggio 1942). L. 9 ottobre 1942, n. 1420, Limitazioni di capacità degli appartenenti alla razza ebraica residenti in Libia (G.U. n. 298, 17 dicembre 1942).


PANNELLO 2.8

Corriere della Sera, 17 novembre 1943, ed. mattino Fondazione Corriere della Sera, Milano Per gentile concessione


CON IL MANIFESTO DI VERONA DEL 14 NOVEMBRE 1943, QUALE PROGRAMMA DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA E DEL PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO, VIENE DICHIARATO AL PUNTO 7 CHE “GLI APPARTENENTI ALLA RAZZA EBRAICA SONO STRANIERI. DURANTE QUESTA GUERRA APPARTENGONO A NAZIONALITÀ NEMICA.”

D.L.D. 4 gennaio 1944, n. 2, Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica (GU-RSI n. 6,10 gennaio 1944). D.L.D. 31 marzo 1944, n. 109, Nuovo statuto e regolamento dell’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare (GU-RSI n. 81, 6 aprile 1944). D.M. 16 aprile 1944, n. 136, Trasformazione della direzione generale per la demografia e la razza in direzione generale per la demografia (GU-RSI n. 93, 20 aprile 1944). D.L.D. 18 aprile 1944, n. 171, Istituzione dell’Ispettorato Generale per la razza (GU-RSI n. 111, 11 maggio 1944). D.M. 15 settembre 1944, n. 685, Adeguamento del trattamento tributario a favore di tutti i beni gestiti dall’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare (E.G.E.L.I.) (GU-RSI n. 251, 26 ottobre 1944). D.M. 30 dicembre 1944, n. 1036, Modifica dello Statuto dell’E.G.E.L.I. ed istituzione del posto di Direttore Generale (GU-RSI n. 58, 10 marzo 1 945). D.L.D. 28 febbraio 1945, n. 47, Regolamento amministrativo dell’Ispettorato Generale per la Razza (GU-RSI n. 52, 3 marzo 1945).


PANNELLO 2.9

“Un discorso inedito del Duce. Al rapporto dei Segretari Federali - Ottobre 1938 - XVI� Il Mondo (pubblicato a New York), 15 ottobre 1939 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


IL 18 SETTEMBRE 1938 MUSSOLINI AVEVA ANNUNCIATO A TRIESTE LA PROMULGAZIONE DELLE LEGGI RAZZIALI. MA GIÀ DA TEMPO SI STAVA PREPARANDO LA SVOLTA RAZZISTA


SEZIONE 3

L’APPLICAZIONE DELLE LEGGI ANTISEMITE ALL’ISTRUZIONE


L’applicazione delle leggi antisemite all’istruzione

L

e politiche atte a sostenere la superiorità e la difesa della razza si concretizzarono con l’espulsione degli ebrei da scuole, accademie e università.

I Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista vennero definiti con chiarezza nel Regio Decreto Legge n. 1390 del 5 settembre 1938, pubblicato il 13 settembre 1938 sul n. 209 della Gazzetta Ufficiale. L’articolo 3 stabiliva che: “a datare dal 16 ottobre 1938 - XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall’esercizio della libera docenza.” Il processo di epurazione s’imperniò su un accurato censimento della “razza” di appartenenza di ciascun docente, studente e amministrativo. Tutti quelli classificati di “razza ebraica” vennero espulsi. Il Popolo d’Italia, quotidiano fondato nel 1914 da Mussolini ed organo del Partito Nazionale Fascista dal 1922, diventò il mezzo propulsivo della propaganda anti-ebraica. Di conseguenza, tutti i libri di testo, scritti da autori ebrei, furono vietati. Con ciò si voleva distruggere una decisiva parte della cultura nazionale e della produzione scientifica, come dimostrano i molti bollettini emessi dal “Ministero dell’Educazione Nazionale”, tale da mutilare il panorama dell’istruzione italiana. La comunità ebraica reagì subito contro tali espulsioni. Furono così istituite scuole israelitiche, al fine di poter fornire un’adeguata istruzione a studenti espulsi, altrimenti costretti a rimanere a casa.


PANNELLO 3.1

Il Popolo d’Italia, 3 settembre 1938 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


UNA VOLTA PROMULGATE, LE LEGGI RAZZIALI FURONO APPLICATE AD OGNI AMBITO DELLA SOCIETÀ, A PARTIRE DAL MONDO DELL’EDUCAZIONE


PANNELLO 3.2 R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1390, “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” Bollettino Ufficiale del Ministero della Educazione Nazionale, 27 settembre 1938 (a. 65, n. 39)

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


I PROVVEDIMENTI RAZZIALI FURONO PUBBLICATI SUI BOLLETTINI MINISTERIALI


PANNELLO 3.3

Corriere della Sera, 3 settembre 1938, ed. mattino

Fondazione Corriere della Sera, Milano Per gentile concessione


I MAGGIORI QUOTIDIANI DEL TEMPO DETTERO NOTIZIA DELL’ESPULSIONE DI DOCENTI E STUDENTI DA SCUOLE, ACCADEMIE E UNIVERSITÀ


PANNELLO 3.4 R.D.L. 23 settembre 1938, n. 1630. “Istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica” Bollettino Ufficiale del Ministero della Educazione Nazionale, 8 novembre 1938 (a. 65, n. 45)

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


LA SEGREGAZIONE EDUCATIVA EBBE COME CONSEGUENZA LA COSTITUZIONE DI SCUOLE RISERVATE AI SOLI ALUNNI CLASSIFICATI COME DI “RAZZA EBRAICA”


PANNELLO 3.5

Vita Universitaria, 5 ottobre 1938

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione



PANNELLO 3.6 Circolare ministeriale n. 33 del 30 settembre 1938 (n. prot. 13405), “Divieto di adozione nelle scuole di libri di testo di autori di razza ebraica” Bollettino Ufficiale del Ministero della Educazione Nazionale, 11 ottobre 1938 (a. 65, n. 41)

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


FU VIETATA L’ADOZIONE DI LIBRI DI TESTO SCRITTI DA AUTORI DI “RAZZA” EBRAICA


PANNELLO 3.7 R.D.L. 15 novembre 1938, n. 1779, “Integrazione e coordinamento in un unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana” Bollettino Ufficiale del Ministero della Educazione Nazionale, 13 dicembre 1938 (a. 65, n. 50)

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


NEL CORSO DEL 1938 SEGUIRONO ULTERIORI INDICAZIONI PER UN’APPLICAZIONE COORDINATA DELLE LEGGI RAZZIALI A SCUOLA


PANNELLO 3.8

Circolare della presidenza dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Roma, 20 settembre 1938

Elenco degli alunni israeliti nelle scuole di diverso grado suddivisi per città, Roma, settembre 1938 Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), Roma Per gentile concessione I professori della scuola ebraica di via Eupili a Milano (1940 ca.) I professori della scuola ebraicabdi via Eupili a Milano (1942). Da sinistra: Bruno Schreiber, Rav Gustavo Castelbolognesi, Giuliana Fiorentino in Tedeschi, Marta Bernstein in Navarra, Alda Crema in Perugia. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), Milano Per gentile concessione Il segretario dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane al sig. Mino Segre di Chivasso, Roma, 22 agosto 1939 Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), Roma Per gentile concessione


LE COMUNITÀ EBRAICHE ORGANIZZARONO BEN PRESTO SCUOLE PER GLI ALUNNI ESPULSI


PANNELLO 3.9 Le scuole israelitiche in Italia Opuscolo [1943] (Parte 1) Unione delle ComunitĂ Ebraiche Italiane (UCEI), Roma Per gentile concessione


FURONO ORGANIZZATE SCUOLE ISRAELITICHE E SEZIONI SEPARATE NELLE CITTÀ DOVE ESISTEVA UNA COMUNITÀ EBRAICA DI SUFFICIENTE CONSISTENZA DEMOGRAFICA


PANNELLO 3.10

Le scuole israelitiche in Italia Opuscolo [1943] (Parte 2) Unione delle ComunitĂ Ebraiche Italiane (UCEI), Roma Per gentile concessione



SEZIONE 4

L’ESCLUSIONE DALLE UNIVERSITÀ DI STUDENTI E DOCENTI DI ORIGINE EBRAICA


L’esclusione dalle università di studenti e docenti di origine ebraica

L

a politica antisemita fu applicata anche all’intero ambito dell’istruzione superiore colpì studenti, professori, assistenti, incaricati, liberi docenti e impiegati.

Già in gennaio e febbraio 1938 il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai aveva chiesto ai rettori di censire in qualche modo gli studenti e i professori ebrei. Il 9 agosto ordinò un accurato censimento razziale e religioso di tutti i dipendenti (docenti e amministrativi). Anche le accademie, gli istituti e le associazioni di scienze, lettere ed arti censirono la “razza” dei propri soci. Tutti decaddero dall’insegnamento, dall’impiego o dal ruolo prima ricoperto. La svolta razzista interessò anche il mondo delle professioni col divieto ai cittadini di origine ebraica di continuare a svolgere il proprio lavoro.


PANNELLO 4.1 Circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale indirizzata ai rettori delle Università e ai direttori degli Istituti superiori circa il personale “di razza ebraica”, Roma, 8 settembre 1938 Il Preside della Facoltà di Scienze della Regia Università di Milano chiede al Rettore circa l’opportunità di escludere i professori ebrei dalle commissioni d’esame, Milano, 10 settembre 1938 Circolare del Ministro dell’Educazione Nazionale indirizzata ai rettori delle Università e ai Direttori degli Istituti superiori circa l’esclusione dei professori di “razza ebraica” dalle commissioni d’esame, Roma, 8 settembre 1938 Circolare del Ministro dell’Educazione Nazionale indirizzata ai rettori delle Università e ai Direttori degli Istituti superiori circa il divieto di assegni e sussidi agli studenti di “razza ebraica”, Roma, 16 gennaio 1939

Centro APICE - Università degli Studi di Milano, Milano Per gentile concessione


FRA IL 1938 E IL 1939 I PROVVEDIMENTI ANTISEMITI FURONO APPLICATI ANCHE ALLE UNIVERSITÀ


PANNELLO 4.2 Decreto del Ministro dell’Educazione Nazionale del 14 marzo 1939, inerente la decadenza dell’abilitazione dei liberi docenti di “razza ebraica” (Parte 1) Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


LE ESPULSIONI FURONO ATTUATE TRAMITE DECRETI INDIVIDUALI O, COME NEL CASO DEI LIBERI DOCENTI, COLLETTIVI


PANNELLO 4.3 Decreto del Ministro dell’Educazione Nazionale del 14 marzo 1939, inerente la decadenza dell’abilitazione dei liberi docenti di “razza ebraica” (Parte 2) Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione



SEZIONE 5

LE UNIVERSITÀ MILANESI DI FRONTE ALLE LEGGI RAZZIALI


Le università milanesi di fronte alle leggi razziali

A

seguito dei Decreti Legge sulla difesa della razza nell’ambito dell’istruzione e delle successive circolari attuative, tutte le università procedettero ad espellere docenti e studenti.

Non esiste ancore il dato definitivo delle persone estromesse, tuttavia, recenti ricerche riportano che dalle università furono allontanati più di 400 docenti ebrei, suddivisi in: 96 professori ordinari e straordinari; non meno di 141 tra aiuti, assistenti e incaricati; non meno di 207 liberi docenti. Molto più difficile è stabilire il numero preciso degli studenti che furono allontanati per motivi razziali. Si ipotizza che gli studenti universitari ebrei nell’anno accademico 1937-1938 potessero essere 2.000 in tutta Italia. Nell’ autunno del 1938 furono quindi molti i docenti delle Università milanesi che dovettero allontanarsi dall’insegnamento per motivi razziali, nonostante avessero prestato “giuramento di fedeltà al fascismo”, come imposto dal Regio Decreto Legge del 28 agosto 1931, n. 1227. Come nelle altre città italiane, anche gli atenei milanesi furono duramente colpiti. I professori, gli assistenti e i liberi docenti estromessi furono: 38 alla Regia Università di Milano, 10 al Regio Politecnico e 4 (compreso il rettore) all’Università commerciale Luigi Bocconi. In particolare, alla Regia Università fu espulso il 12 % dei professori ordinari e straordinari. Non si registrarono invece espulsioni all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Vero patrimonio del sapere scientifico ed esponenti prestigiosi della classe dirigente del tempo, questi docenti furono colti di sorpresa da una politica discriminatoria che mai avrebbero potuto immaginare e che li collocava ora ai margini della società civile. L’epurazione trasformò l’intera struttura del mondo accademico, a causa del radicale cambiamento delle modalità di assunzione, degli ordinamenti didattici, dei programmi d’insegnamento e delle modalità di ricerca, così come previsto dai restrittivi e costrittivi dettami pedagogici del razzismo fascista. Il nuovo assetto accademico influenzò inevitabilmente la formazione degli studenti, con conseguenze sugli anni a venire. Tuttavia, anche tra i docenti non-epurati e rimasti quindi a insegnare nelle università, ci fu chi, nonostante la sorveglianza del regime, seppe esercitare il proprio lavoro pedagogico, istillando principi di democrazia e di libertà.


PANNELLO 5.1

Archivio storico dell’Università degli Studi di Milano, già Regia Università di Milano


ANCHE LE UNIVERSITÀ MILANESI FURONO COLPITE DAI PROVVEDIMENTI SULLA RAZZA

I DOCENTI ESPULSI DAGLI ATENEI MILANESI

REGIA UNIVERSITÀ DI MILANO

Elenco dei professori, degli aiuti, degli assistenti e dei liberi docenti ebrei allontanati nel 1938: 38 su un totale di 650

PROFESSORI DI RUOLO ORDINARI E STRAORDINARI: 10 SU 77 Giorgio Mortara, Statistica Mario Falco, Diritto ecclesiastico Mario Donati, Clinica chirurgica generale e terapia chirurgica Carlo Foà, Fisiologia umana Paolo D’Ancona, Storia dell’arte medioevale e moderna Aron Benvenuto Terracini, Glottologia Mario Attilio Levi, Storia romana Guido Ascoli, Analisi matematica infinitesimale Alberto Ascoli, Patologia generale e anatomia patologica Felice Supino, Zoologia PROFESSORI INCARICATI: 4 SU 110 Bruno Finzi-Contini, Disegno Goffredo Arnoldo Reichenberger, lettore di Tedesco Bruno Schreiber, Genetica Luigi Szegoe, Chimica analitica quantitativa e industriale AIUTI E ASSISTENTI: 6 SU 85 Massimo Calabresi, Clinica medica generale Paolo Levi, Patologia speciale medica Gina Luzzatto, Botanica Giorgio Ara, Chimica biologica Giuliana Fiorentino, Storia della lingua italiana Willy Schwarz, Clinica pediatrica

LIBERI DOCENTI: 18 SU 378 Mario Artom, Patologia speciale medica dimostrativa Ruggero Ascoli, Clinica delle malattie delle vie urinarie Arturo Sergio Beer, Bachicultura e tecnologia serica Moise Besso, Oftalmoiatria e Clinica oculistica Ada Bolaffi, Chimica biologica Aldo Fiorentini, Clinica ortopedica Benedetto Formiggini, Clinica chirurgica e Medicina operatoria Italo Levi, Clinica dermosifilopatica Marcello Lusena, Clinica medica Fabio Luzzatto, Diritto civile Guido Manni, Patologia speciale medica Achille Norsa, Storia delle dottrine politiche Gino Norsa, Patologia speciale medica Mafalda Pavia, Clinica Pediatrica Ezio Polacco, Clinica Chirurgica Piero Sacerdoti, Diritto sindacale e corporativo Giorgio Segré, Clinica Dermosifilopatica Mario Segre, Epigrafia e antichità greche Ad essi vanno aggiunti anche 2 avventizi che non facevano parte del corpo docente, portando a 40 il numero degli ebrei allontanati nel 1938: Giuseppe Monselice, Chimica industriale Elena Unger, Biologia e zoologia generale


PANNELLO 5.2

Archivio storico del Politecnico di Milano, giĂ Regio Politecnico di Milano


REGIO POLITECNICO DI MILANO

Uno scarno elenco tratto dal verbale del Consiglio di Amministrazione del 5 dicembre 1938 indica come espulsi i seguenti docenti: PROFESSORI DI RUOLO Mario Giacomo Levi, ordinario di Chimica industriale PROFESSORI INCARICATI Michelangelo Böhm, incaricato di Conferenze su particolari problemi relativi all’industria del gas Igino Musatti, incaricato di Metallurgia e metallografia Bice Neppi, incaricata di Tecnologie chimiche speciali II Renzo Volterra, incaricato di Acciai speciali LIBERI DOCENTI Tullio Guido Levi, libero docente di Chimica organica Oscar Hoffmann, aiuto incaricato presso il Laboratorio Prove materiali ASSISTENTI ORDINARI, INCARICATI E VOLONTARI Guido Tedeschi, assistente ordinario di Chimica fisica Giorgio Cavaglieri, assistente incaricato di Tecnica urbanistica Vito Latis, assistente volontario di Disegno dal vero, e di Disegno architettonico e rilievo dei monumenti I e II

Come riporta un telegramma cifrato conservato presso l’Archivio storico del Politecnico, il 14 febbraio 1938 il Ministero dell’Educazione Nazionale inviò una richiesta urgente di fornire un elenco degli studenti e del personale di origini ebraiche iscritti o in servizio presso l’Ateneo. Due giorni dopo l’allora direttore Gaudenzio Fantoli (altrimenti organico e allineato alle direttive del regime) rispose in maniera dilatoria, comunicando la mancanza di dati sulle origini e sulla confessione di fede degli allievi, del personale tecnico e amministrativo, oltre che dei professori, fossero essi di ruolo o a contratto.


PANNELLO 5.3

Archivio storico dell’Università Bocconi, già Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano


UNIVERSITÀ COMMERCIALE LUIGI BOCCONI

Angelo Sraffa, giurista, rettore dal 1919 al 1926, era stato aggredito il 15 febbraio1922 da tre giovani fascisti nei pressi dell’università. Per via del suo antifascismo e a causa della pressione esercitata con sempre maggiore forza dal governo, Sraffa stesso decise di essere sostituto da Ferruccio Bolchini, più vicino alle autorità dell’epoca. Nel 1938 insegnavano all’Università Commerciale Luigi Bocconi: 35 professori e assistenti effettivi e 12 volontari. I professori espulsi su base razziale furono:

PROFESSORI Gustavo Del Vecchio, incaricato di economia politica corporativa, rettore; professore ordinario, Regia Università di Bologna Giorgio Mortara, incaricato di statistica; professore ordinario presso la Regia Università di Milano DOCENTI INCARICATI Luigi Ansbacher, incaricato di conferenze di istituzioni commerciali germaniche ASSISTENTI VOLONTARI Monselice Giuseppe, merceologia

Capitò dunque che professori ebrei, di ruolo in una università e incaricati in un’altra, ricevettero una doppia notifica di espulsione, come nel caso di Del Vecchio e Mortara. Una volta sostituito il rettore Del Vecchio (che troverà riparo in Svizzera solo nel 1943), il nuovo rettore Greco fu accusato di essere ebreo sulla base del suo cognome. Ma l’accusa si dimostrò infondata.


PANNELLO 5.4

L’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore negli anni Trenta Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano


UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fondata nel 1921, non risultano casi di docenti allontanati. Il clima delle “leggi razziali” ebbe comunque forti conseguenze anche su questo Ateneo, formalmente “libero”, i cui docenti non erano tenuti al giuramento di fedeltà al regime e che (nel caso fossero stati sacerdoti) erano dispensati dall’iscrizione al Partito Nazionale Fascista. Il rettore Agostino Gemelli adottò una condotta ambivalente. Nei suoi discorsi pubblici si allineò anche con toni accesi alle posizioni antisemite del regime. Privatamente si interessò della situazione in cui vennero a trovarsi diversi studiosi ebrei, continuando con loro, in alcuni casi, anche una collaborazione scientifica. Il regime sospettava inoltre che l’Università Cattolica avesse continuato ad accettare, anche dopo il 1938, l’iscrizione di studenti ebrei convertiti al cattolicesimo.


PANNELLO 5.5 Fotografie di docenti espulsi Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), Milano Il Rettore comunica a Bruno Schreiber che con provvedimento del Ministero dell’Educazione Nazionale è stato dispensato dal servizio, Milano, 16 dicembre 1938 Centro APICE Università degli Studi di Milano, Milano Per gentile concessione


FOTOGRAFIE DI DOCENTI ESPULSI DALLA REGIA UNIVERSITÀ DI MILANO

Benvenuto Terracini, a sinistra Mario Falco, a destra Felice Supino Mario Falco

Mario Segre

Mario Donati

Giuliana Fiorentino

Willy Schwarz

Bruno Schreiber

Paolo D’Ancona

Fabio Luzzatto

Marcello Lusena


PANNELLO 5.6 Fascicolo di Michelangelo Böhm Copia della scheda personale di Michelangelo Böhm, dove si attesta la sua appartenenza alla “razza ebraica”, Milano, 17 settembre 1938 Necrologio stampato su un quotidiano che annuncia l’accertamento della morte dei coniugi Böhm, uccisi ad Auschwitz nel 1944, Torino, 28 febbraio 1948 Fascicolo di Bice Rachele Neppi Copia della scheda personale di Bice Neppi dove si attesta la sua appartenenza alla “razza ebraica”, Milano, 17 settembre 1938 Il Ministero dell’Educazione Nazionale comunica al direttore del Regio Politecnico di Milano che Bice Neppi è decaduta dall’abilitazione alla libera docenza perché di “razza ebraica”, Roma, 11 maggio 1940

Fascicolo di Mario Giacomo Levi Il Preside della Facoltà di Ingegneria del Regio Politecnico di Milano comunica la sospensione di Mario Giacomo Levi dalla direzione della Sezione Combustibili a decorrere dal 16 novembre 1938 Lettera del Preside della Facoltà di Ingegneria del Regio Politecnico di Milano a Mario Giacomo Levi, 18 novembre 1938 Biglietto di Mario Giacomo Levi al Preside della Facoltà di Ingegneria del Regio Politecnico di Milano, Milano, 19 novembre 1938

Archivio storico del Politecnico di Milano, Milano Per gentile concessione


DOCUMENTI DAI FASCICOLI DI ALCUNI DEI DOCENTI ESPULSI DAL REGIO POLITECNICO DI MILANO


PANNELLO 5.7 Lettera di Girolamo Palazzina, Direttore della segreteria, a Giovanni Gentile, vice presidente dell’Università Commerciale Luigi Bocconi dal 1930 al 1944 e membro del Gran consiglio del Fascismo. Miazzina, 8-9- 38 -XVI

Lettera di Giorgio Mortara a Girolamo Palazzina, Direttore della segreteria dell’Università Commerciale Luigi Bocconi, Ponte di Legno, 7 settembre [1938] Lettera di Giorgio Mortara a Girolamo Palazzina, Rio de Janeiro, 30 giugno 1941 Lettera di Girolamo Palazzina a Gustavo Del Vecchio, Miazzina, 11 settembre [1938] Archivio storico dell’Università Bocconi, Milano Per gentile concessione


CORRISPONDENZA DI ALCUNI DEI DOCENTI ESPULSI DALL’UNIVERSITÀ LUIGI BOCCONI DI MILANO


PANNELLO 5.8 Rapporto della Regia Questura di Milano in relazione a una domanda di discriminazione, Milano, 23 febbraio 1939 Rapporto della Legione territoriale dei Carabinieri reali di Milano, in relazione a una domanda di discriminazione, Milano, 25 gennaio 1939 Archivio di Stato di Milano, Milano Per gentile concessione


I DOCUMENTI QUI PRESENTATI SONO PERLOPIÙ RAPPORTI REDATTI DALLE AUTORITÀ IN MERITO ALLE RICHIESTE DI “DISCRIMINAZIONE” AVANZATE DA PROFESSORI GIÀ ESPULSI DALLE UNIVERSITÀ MILANESI. IN VIRTÙ DI ECCEZIONALI MERITI SCIENTIFICI, DI PARTICOLARI BENEMERENZE POLITICHE O COMPROVATI RICONOSCIMENTI PATRIOTTICI E MILITARI, ERA INFATTI POSSIBILE RICHIEDERE UNA DEROGA A UNA PARTE MINORE DELLE DISPOSIZIONI PERSECUTORIE. IL DISPORRE LIBERAMENTE DELLE PROPRIETÀ O IL TENERE A SERVIZIO PERSONALE DI “RAZZA ARIANA” IMPONEVA AI RICHIEDENTI DI PRESENTARE UNA DOMANDA CON LA QUALE SI DOVEVA DOCUMENTARE IL POSSESSO DEI REQUISITI PER LA “DISCRIMINAZIONE”. I CASI CHE SEGUONO TESTIMONIANO NON SOLO L’UMILIANTE PROCEDURA A CUI INSIGNI UOMINI DI SCIENZA DOVETTERO SOTTOPORSI, MA ANCHE STORIE DI PERSONE E FAMIGLIE GIÀ PARTE INTEGRANTE DELLA VITA NAZIONALE. LE VICENDE DI QUESTE PERSONE RACCONTANO IL LUNGO E TORMENTATO CAMMINO DELLA STORIA ITALIANA


PANNELLO 5.9 Rapporto della Regia Questura di Milano in relazione a una domanda di discriminazione, Milano, 2 giugno 1939 Rapporto della Legione territoriale dei carabinieri reali di Milano in relazione a una domanda di discriminazione, Milano, 23 settembre 1939 Accertamento di razza della Regia Questura di Milano, Milano, 15 giugno 1940 Il Ministro dell’Interno comunica il mancato accoglimento di una domanda di discriminazione, Roma, 26 settembre 1942 Archivio di Stato di Milano, Milano Per gentile concessione



PANNELLO 5.10

DICHIARAZIONE DI MUSATTI IN MERITO AL PROPRIO INSEGNAMENTO [POST 1938]

Bozza di una relazione in cui Musatti dichiara di aver osservato, nell’insegnamento della storia e della filosofia nei licei, i principi dell’ideologia fascista, tra i quali l’esaltazione della stirpe italica. Centro Aspi - Università degli Studi di Milano - Bicocca, Milano Nell’insegnamento della storia ho cura di mettere in particolare rilievo: - la formazione durante l’alto medio evo sulla base della popolazione italica dominatrice degli elementi barbarici della stirpe italiana con caratteri somatici e spirituali caratteristici; - la coscienza della continuità e della unità nazionale quale essa si manifesta nell’età comunale; - il glorioso affermarsi del genio della stirpe nella rinascenza e nell’età moderna; - le capacità espansive del popolo italiano nella raggiunta indipendenza e potenza politica della età contemporanea. Nell’insegnamento della filosofia mi adopero a sottolineare come nel quadro della filosofia e della cultura europea il pensiero italiano mantenga costantemente una sua specifica fisionomia che direttamente deriva dai peculiari caratteri del popolo e della razza italica.

LETTERA DI MUSATTI A “CARO JOSÈ” [S.L., POST 1938]

Scrive in merito al proprio certificato di battesimo, registrato in una parrocchia di Roma, da presentare alle autorità per regolare la propria posizione religiosa e razziale. Centro Aspi - Università degli Studi di Milano - Bicocca, Milano Caro Josè, ti scrivo per chiarirti quanto ti dissi nell’ultima mia, relativamente alla posizione razziale - religiosa con la quale io mi posso presentare a Messina [?]. Vi è in una parrocchia di Roma registrato un battesimo impartito ad iniziativa della nonna materna, q[uando] avevo pochi mesi. È su un tale fatto che si impernia la indecisione della mia situazione di fronte alle leggi razziali italiane. Come misto appartenente alla relig[ione] cattolica dovrei essere considerato ariano; se non che al documento del battesimo contradicono mie dichiarazioni pubblicamente e ufficialmente rese per il passato ed anche ora, per cui l’autorità statale è incerta se mi deve o no considerare appartenente alla religione cattolica. […] Caro Josè, ancora molte grazie e molti saluti affettuosi dal tuo Musatti

LETTERA DI MUSATTI A “EGREGIO DOTTORE”, [S.L., POST 1938]

Lamenta il fatto che su una rivista tre recensioni da lui scritte siano comparse con uno pseudonimo, per celare l’origine ebraica del suo cognome. Riferisce delle rimostranze presentate a questo riguardo a Codignola, il curatore della rivista. Centro Aspi - Università degli Studi di Milano - Bicocca, Milano Egregio Dottore, ricevo la Vostra del 25 corrente e mi preme anzitutto mettere in chiaro le condizioni nelle quali è avvenuta la pubblicazione della recensione a cui voi accennate. In primavera Codignola mi spedì tre libri da recensire, fa cui il vostro. Feci le brevi recensioni e le spedii firmate col mio nome. Ebbi più tardi le bozze in cui il mio nume figurava, e le rispedii corrette. Ai primi di settembre Codignola mi fece dire da un comune amico che, per particolari motivi di opportunità la redazione aveva sostituito il mio nome con uno pseudonimo. Scrissi immediatamente per espresso a Codignola dichiarandogli che non entravo nel merito delle ragioni da lui indicate, ma che ritiravo le recensioni, perché non ho l’abitudine di fare recensioni anonime e perché nel caso specifico avendo io pronunciato un giudizio del tutto negativo su due dei libri esaminati (e non si tratta del vostro) non intendevo in alcun modo che le recensioni apparissero senza il mio nome. Codignola mi rispose scusandosi, ma avvertendomi che il fascicolo era già steso e che non poteva quindi più tenere conto di quanto io gli avevo scritto. Ciò premesso non ho alcuna difficoltà ad aderire al vostro desiderio. E lo faccio anzi con piacere. Come ho detto nelle brevi righe di recensione il vostro punto di vista è interessante e notevole, e a prescindere dalle riserve che ho creduto di voler fare, il vostro saggio non mi è apparso cattivo. […]

Archivio Storico della Psicologia Italiana (ASPI), Polo Archivio Storico (PAST) della Biblioteca di Ateneo. Università degli Studi di Milano - Bicocca


ANCHE LO PSICOANALISTA CESARE MUSATTI (1897-1989) FU ALLONTANATO DALL’INSEGNAMENTO ALLA REGIA UNIVERSITÀ DI PADOVA. RIUSCÌ TUTTAVIA A TRASFERIRSI A MILANO DOVE INSEGNÒ AL LICEO CLASSICO G. PARINI, PRODUCENDO CERTIFICATI FORSE FALSI SULLA PROPRIA APPARTENENZA RELIGIOSA


SEZIONE 6

LA REAZIONE DEL MONDO ANTIFASCISTA ALLE LEGGI RAZZIALI


La reazione del mondo antifascista alle leggi razziali

L

e pubblicazioni di antifascisti rifugiatisi all’estero riportarono da subito con grande clamore le notizie provenienti dall’Italia, che annunciavano la promulgazione delle leggi razziali.

Per i fuoriusciti fu immediatamente evidente che il tentativo di fondare scientificamente la superiorità della razza, applicandola politicamente anche al mondo dell’istruzione, non solo riprendeva precedenti tradizioni anti-semite, bensì proponeva nuove visioni aggressive che porteranno alla guerra e allo sterminio.

Fra i tanti periodici antifascisti a disposizione, ricoprono una particolare importanza La Voce degli Italiani, Il Mondo e Il Nuovo Avanti, grazie ai molteplici interventi pubblicati contro la deriva razzista. Il Mondo era una rivista bilingue, fondata negli Stati Uniti e diretta da Giuseppe Lupis, giornalista e futuro membro della Costituente per la corrente social-democratica. Pubblicato dal 1938 al 1946 a New York come mensile, Il Mondo fu un importante organo di stampa, dove potevano scrivere illustri fuoriusciti socialisti, cattolici e liberali in esilio negli Stati Uniti, Francia e Svizzera, come nel caso dell’antifascista Gina Lombroso che dal 1930 si era rifugiata a Ginevra col marito Guglielmo Ferrero. Il Nuovo Avanti - pubblicato col sottotitolo di Le Nouvelle Avanti - era il settimanale del Partito Socialista Italiano che fu pubblicato a Parigi dal 1934 (all’indomani della spaccatura della Concentrazione Antifascista) fino al 1940, sotto la direzione di Pietro Nenni. Il settimanale accoglieva articoli di antifascisti, allarmati dal crescente razzismo applicato ad ogni sfera sociale in un processo totalitario di fascistizzazione. Molti degli esponenti socialisti erano infatti di origine ebraica, da Caudio Treves a Carlo Rosselli che, fondatore a Parigi del movimento (nel 1929) e del settimanale (nel 1934) Giustizia e Libertà, fu assassinato in Francia nel 1937 col fratello Nello, in quanto oppositore del regime.


PANNELLO 6.1 Giuseppe Di Vittorio, “In aiuto degli ebrei italiani!” La Voce degli Italiani, 7 settembre 1938 Giuseppe Di Vittorio “In aiuto degli ebrei italiani!” La Voce degli Italiani, 13 settembre 1938 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


IL GIORNALE LA VOCE DEGLI ITALIANI, PUBBLICATO A PARIGI, FU DIRETTO FRA IL 1937 E IL 1939 DAL SINDACALISTA GIUSEPPE DI VITTORIO IN ESILIO. IL GIORNALE PRESE SUBITO POSIZIONE CONTRO “LA DISONOREVOLE CAMPAGNA DI ODIO ANTIEBRAICA”


PANNELLO 6.2 “La purificazione della razza italiana” “Vent’anni dopo” “Nuove misure contro gli ebrei” “Furia antisemitica” Il Mondo, 15 ottobre 1938 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


IL MENSILE II MONDO, PUBBLICATO A NEW YORK, DETTE CONTO DELLA SVOLTA ANTISEMITA


PANNELLO 6.3 Nicola Cilla, “Antisemitismo in Italia” Paolo Davila, “Gobineau e il Razzismo Italiano” Il Mondo, 15 gennaio 1939 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


INTELLETTUALI ANTIFASCISTI IN ESILIO COMPRESERO CON LUCIDITÀ IL TRAGICO SALTO REPRESSIVO CHE L’ANTISEMITISMO FASCISTA AVEVA IMPRESSO ALL’INTERA SOCIETÀ ITALIANA


PANNELLO 6.4

Franco Antonelli, “Le misure razziste nelle università italiane” Il Mondo, 15 luglio 1939 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


LE MISURE RAZZISTE NELLE UNIVERSITÀ REPRESSERO OGNI TIPO DI LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO E DI FORMAZIONE


PANNELLO 6.5 Gina Lombroso Ferrero, “Gli ebrei e l’antisemitismo” Il Mondo, 15 aprile 1939 Gina Lombroso Ferrero, “Quel che insegna l’antisemitismo” Il Mondo, 15 settembre 1939 Italo Crimisio, “Gli ebrei italiani e i loro cognomi” Il Mondo, 15 settembre 1939 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


GINA LOMBROSO - FIGLIA DI CESARE, SCIENZIATA E SAGGISTA - SVILUPPÒ IMPORTANTI RIFLESSIONI SULLA TRADIZIONE ANTISEMITA IN ITALIA, IN QUANTO EBREA. FIN DALL’INSORGERE DEL REGIME AVEVA SOSTENUTO POSIZIONI ANTIFASCISTE, TANTO DA DECIDERE COL MARITO GUGLIELMO FERRERO DI ANDARE IN ESILIO A GINEVRA, DOVE MORÌ NEL 1944


PANNELLO 6.6

“Italians and Jews in America” Il Mondo, 15 novembre 1939 Mario Bellini, “Fascismo ed ebrei” Il Mondo, 15 dicembre 1939 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


IL FASCISMO E LA “QUESTIONE EBRAICA” DIVENTARONO TEMI PORTANTI DELLA DIASPORA ITALIANA


PANNELLO 6.7 “L’assurdità razzista fattore di guerra” Il Nuovo Avanti, 30 luglio 1938 “Il fascismo si cerca una razza” Il Nuovo Avanti, 10 settembre 1938 “La cacciata degli ebrei dall’Italia” “Cronaca del razzismo vassallo” Il Nuovo Avanti, 17 settembre 1938 G., “Antisemitismo in Italia” Il Nuovo Avanti, 30 luglio 1938 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione


IL NUOVO AVANTI, SETTIMANALE SOCIALISTA PUBBLICATO A PARIGI, COMINCIÒ A INTERROGARSI SULLA REPRESSIONE ANTISEMITA, QUALE PRODROMO DELLA GUERRA MONDIALE CHE SAREBBE SCOPPIATA L’ANNO SUCCESSIVO, NEL 1939


PANNELLO 6.8 G.E.Modigliani, “Alle radici dell’antisemitismo italiano” Il Nuovo Avanti, 24 settembre 1938 Odis [G.L. Luzzatto], “L’avvento dell’antisemitismo” Il Nuovo Avanti, 17 dicembre 1938 “Il razzismo nelle leggi dello Stato” Il Nuovo Avanti, 19 novembre 1938 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Per gentile concessione



SEZIONE 7

LA PEDAGOGIA FASCISTA


La pedagogia fascista

L’

emanazione delle leggi razziali ebbe enormi conseguenze, non solo sulla società e la vita delle persone, bensì sull’organizzazione stessa dell’intero sistema educativo, coinvolgendo le scuole, le accademie e le università. La fascistizzazione della scuola si sostanziò in modo omnicomprensivo attraverso la produzione di un’enorme quantità di testi, che avevano finalità formative differenti, ma cogenti nei loro obiettivi politici. Il primo obiettivo era fondativo. I manuali prodotti a partire dal 1938 avevano infatti lo scopo di diffondere i fondamenti dottrinali della pedagogia fascista che dovevano essere applicate ad ogni scuola di ordine e grado, una volta “epurata” da docenti e alunni di origine ebraica. Il secondo scopo era formativo. I testi miravano infatti a inserire nella preparazione degli insegnanti i nuovi dettami ideologici del regime, con lo scopo di favorire un processo di arianizzazione dell’istruzione. Il terzo intento era didattico. I libri scolastici dovevano infatti svolgere la funzione istruttiva di “educare” alunni e studenti all’ordine, all’igiene e alla disciplina razziale del fascismo. La formazione di insegnanti e l’educazione di alunni nella scuola fascista avrà ripercussioni importanti anche nell’Italia repubblicana.


PANNELLO 7.1 Alfredo Panzini, Il nuovo volto d’Italia, 141 fotografie di Axel Von Graefe, Mondadori, Milano 1933 P.N.F. Federazione dei Fasci di Combattimento dell’Urbe Associazione Provinciale Fascista della Scuola Sezione Scuola Media, Contributi alla formazione di una didattica fascista, Angelo Signorelli, Roma, 1934 Arrigo Solmi, Virgilio Feroci, Cultura fascista, Mondadori, Milano, 1935 Annibale Puca, L’igiene infantile in rapporto alla politica raziale del regime. Osservazioni medico- psicologiche. Relazione al IV congresso MedicoChirurgico Calabrese, Cosenza, 21 aprile 1939 XVII, S.C.A.T., Cosenza, 1939

Regio Provveditorato agli Studi di Padova, L’azione della scuola nel clima della guerra, Soc. Coop. Tipografica, Padova, 1941

Vito Felice Cassano, Argomenti di pedagogia fascista. Guida per la preparazione ai concorsi magistrali, seconda edizione, Macri, Bari, 1938 Giuseppe Bottai, La carta della scuola, Mondadori, Milano, 1939 Atti del IV convegno della scuola media, Soc. Coop. Tipografica, Padova, 1940 Ugo Buffa, Primavera italica, Edizioni Milesi, Milano, 1934

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


LA PEDAGOGIA FASCISTA SI SOSTANZIÃ’ ATTRAVERSO UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI TESTI INDIRIZZATI A DOCENTI E STUDENTI, DOVE IDEOLOGIA E DISCIPLINA DEL CORPO SI INTERSECAVANO


PANNELLO 7.2 Luigi Scialdoni, Fondamento Dottrinale della Educazione secondo la concezione fascista. Corso di lezioni per la preparazione di candidati magistrali, seconda edizione riveduta e aggiornata, La Prora, Milano, 1938

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


L’EDUCAZIONE FU UNO DEGLI ELEMENTI FONDAMENTALI ATTRAVERSO CUI IL REGIME FASCISTA PERSEGUÌ IL SUO PROGETTO TOTALITARIO


PANNELLO 7.3 Enrico Muzj, Fascistizzazione della Scuola. Saggi di conversazioni con i maestri, Francesco Pecoraro Editore, Toritto (Bari), 1934

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


LA SCUOLA DIVENTÒ MEZZO PRINCIPALE PER LA PROPAGANDA DEGLI “IDEALI FASCISTI” AI QUALI CONFORMARSI, SECONDO UNA PRESUNTA “ELEVAZIONE DELLO SPIRITO”


PANNELLO 7.4 Angelo Cammarata, La scuola del fascismo. Appunti di pedagogia militante per gli educatori, Trimarchi, Palermo, 1938

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


IL FASCISMO TROVÒ LA SUA APPLICAZIONE QUOTIDIANA NELL’INSEGNAMENTO, SECONDO PROGRAMMI SCOLASTICI A CUI DOCENTI E ALUNNI DOVEVANO RIGIDAMENTE ATTENERSI


PANNELLO 7.5 Vito Felice Cassano, Argomenti di pedagogia fascista. Guida per la preparazione ai concorsi magistrali, seconda edizione, Macrì, Bari, 1938

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


GLI INSEGNANTI CHE INTENDEVANO PARTECIPARE A CONCORSI NON POTEVANO CHE PREPARARSI SU MANUALI DI “PEDAGOGIA FASCISTA”, DOVE VENNERO INSERITI GLI ELEMENTI DELLA NUOVA POLITICA RAZZISTA


PANNELLO 7.6 Enzo Grimaldo Grimaldi, Unità dell’Educazione ed Educazione Fisica nella Pedagogia del Fascismo con “appendice” sull’iniziazione ai problemi del sesso, nel quadro dell’unità, Novecentesca Editrice, Bologna, 1940

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


L’ESERCIZIO FISICO ASSUNSE UN’IMPORTANZA DECISIVA PER LA CURA DEL CORPO DEGLI ALUNNI, DOVE PERÒ LA “SANITÀ FISICA” ERA A GIUSTIFICAZIONE DEL RAZZISMO FASCISTA


PANNELLO 7.7 Alfredo Panzini, Il nuovo volto d’Italia, 141 fotografie di Axel Von Graefe, Mondadori, Milano, 1933 Ugo Buffa, Primavera italica, Milesi, Milano, 1934

Biblioteca “Luigi De Gregori” Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR), Roma Per gentile concessione


DISCIPLINA, ORDINE, UBBIDIENZA, “PUREZZA DELLA RAZZA” DIVENTARONO LE PAROLE CHIAVE A GUIDA DELLA PEDAGOGIA E DEMOGRAFIA NELL’ETÀ FASCISTA


PANNELLO 7.8

Dante Guerreri, Scuola fascista. Carta della scuola, Soc. Tip. Ed. Porta, Piacenza, 1939 Fondazione Anna Kuliscioff, Milano Per gentile concessione


L’ordine, Le regoLe e gLi organigrammi deLLa SCUoLa FaSCiSTa FUrono razionaLizzaTe SeCondo Un rigido SChema gerarChiCo


SEZIONE 8

LE LETTERE DEGLI EBREI ITALIANI A MUSSOLINI DOPO LE LEGGI ANTISEMITE


Le lettere degli ebrei italiani a Mussolini dopo le leggi antisemite

L

e lettere diventano lo strumento principale, capace di attestare il tragico destino di molti concittadini italiani.

Facendo uso di missive depositate presso gli Archivi di Stato, i documentari qui proposti intendono ricostruire a posteriore l’impatto che le leggi razziali ebbero sulla vita di tante persone, trasformando radicalmente la società italiana. Il video raccoglie i seguenti filmati: “L’Italia non ci considera più suoi figli” (5’), capitolo tratto dal documentario di Massimo Martella, Mio Duce Ti scrivo, prodotto da Istituto Luce e Rai Tre. La riproduzione di lettere scritte da ebrei italiani a Mussolini e raccolte nel filmato, intende ricostruire il senso, il tono e lo sgomento delle reazioni che seguirono alla pubblicazione delle leggi razziali. In coda viene aggiunto un esempio di missiva di carattere antisemita. “Testimonianza di Phoebe Miranda” (20’), documento inedito aggiunto al documentario Mio Duce Ti scrivo. Si tratta di un’intervista a Phoebe Miranda a proposito di una lettera scritta quando aveva 8 anni (conservata presso l’Archivio di Stato di Roma). Viene qui chiesto a Romano, figlio di Mussolini, di intercedere presso suo padre, affinché salvi le sorti del suo papà Alfred, colpito dalle leggi antisemite. A distanza di quasi 80 anni, dopo una vita trascorsa da psicanalista, Phoebe rivede quella lettera, andando a raccontare la sua adolescenza negli anni della persecuzione antiebraica. Si ringraziano per il prezioso contributo: Massimo Martella, documentarista, per il montaggio. Istituto Luce Cinecittà, per aver messo a disposizione i documentari qui riprodotti.


SEZIONE 9

LA FATICOSA VIA DEL RIENTRO


La faticosa via del rientro

I

l rientro dei docenti espulsi per motivi razziali fu piuttosto complesso. La maggior parte dei docenti milanesi - rifugiatisi all’estero o nascosti in Italia - riuscirono a sopravvivere allo sterminio.

Alcuni non fecero invece più ritorno. È il caso di Michelangelo Böhm, professore di termo-tecnica del Politecnico di Milano, morto ad Auschwitz assieme alla moglie Margherita Luzzatto. Intanto le cattedre universitarie erano state occupate da altri colleghi, spesso ex-assistenti. I docenti espulsi che rientrarono nelle università non poterono così riassumere i ruoli che rivestivano un tempo. Furono infatti nominati “professori aggregati” in quelle che erano state una volta le loro cattedre. L’inizio di un’istruzione libera nell’Italia repubblicana dovette pertanto fare i conti con drammatiche storie di vita, assieme a molti compromessi con “un passato che non passa”. Ricordare per non dimenticare


PANNELLO 9.1

La difficile reintegrazione


LA FINE DELLA GUERRA E LA DIFFICILE REINTEGRAZIONE DEI DOCENTI EBREI ESPULSI DALLE UNIVERSITÀ

Dopo la liberazione dal nazifascismo, con la Costituzione del1948, la Repubblica Italiana affermava che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3). Furono affermate le libertà fondamentali e il principio democratico secondo cui “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33). La questione della reintegrazione dei cittadini ebrei nei loro diritti fu tuttavia alquanto controversa. In particolare, nell’ambito universitario, numerosi docenti ebrei allontanati nel 1938 che avevano deciso di riprendere l’insegnamento, incontrarono importanti ostacoli di ordine sia burocratico che politico. I docenti già di ruolo non furono infatti reintegrati con lo status di titolari, bensì definiti “aggregati” e posti al fianco di chi aveva tratto vantaggio dalla loro espulsione e di chi non aveva espresso alcuna rimostranza di fronte alla legislazione razzista. Molti docenti decisero di non ritornare, sia per senso di riconoscenza nei confronti di chi all’estero aveva loro offerto un incarico universitario, sia perché demotivati nel veder molti colleghi compromessi con il passato regime fascista rimanere al proprio posto. Il complesso processo di epurazione attuato dopo la guerra, non risparmiò neppure alcuni dei docenti ebrei, vittime della persecuzione. La tendenza della già Regia Università di Milano fu quella, comune a tutti gli atenei italiani, di “normalizzare” la situazione nel più breve tempo possibile, cercando di rompere con il passato e dimenticare. Dei 10 professori ebrei di ruolo espulsi nel 1938, 8 furono reintegrati; dei 28 professori incaricati, liberi docenti, aiuti e assistenti solo 10 ripresero il proprio ruolo. Come in altri ambiti, anche nel campo dell’istruzione la transizione dal regime fascista e dagli orrori della guerra verso un’Italia democratica, apparve fin da subito alquanto problematica.


IV. GLI ARCHIVI



20. Archivio della Biblioteca “Luigi De Gregori” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Vincenza Iossa Bibliotecaria

Bollettini, norme e testi sulla pedagogia fascista e razzista La Biblioteca del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è stata Intitolata il 2 ottobre 2017 a Luigi De Gregori (1874 - 1947), bibliotecario romano e suo primo direttore, in occasione dei 70 anni dalla sua scomparsa. Si presenta come una biblioteca specializzata, pubblica e governativa, dotata di un importante patrimonio storico (circa 80.000 volumi). Le collezioni sono principalmente costituite da monografie e periodici sulla storia della scuola, del pensiero pedagogico e della legislazione scolastica; i suoi fondi sono relativi sia al periodo pre-unitario, sia al periodo dell’Italia unita. Nel collaborare alla costruzione della mostra “Razza e istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938”, la Biblioteca “Luigi De Gregori” ha messo a disposizione documenti utili a ricostruire la storia del razzismo a scuola attraverso due approcci: da una parte sono state fornite fonti di carattere meramente legislativo, dall’altra parte sono stati offerti testi volti a descrivere l’elaborazione pedagogica del razzismo antisemita in Italia. Per quanto riguarda l’aspetto legislativo, sono state esposte fonti normative riguardanti le leggi razziali a scuola e presenti nel Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Educazione Nazionale. Un esempio è il Regio-Decreto Legge del 23 settembre 1938, n. 1630 su Istituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica (pubblicato sul Bollettino Ufficiale, 8 novembre 1938, anno 65, numero 4), l’altro concerne la Circolare ministeriale n. 33 del 30 settembre 1938 (Bollettino Ufficiale, 11 ottobre 1938, anno 65, numero 41), denominata Divieto di adozione nelle scuole di libri di testo di autori di razza ebraica, che riportava tutti i nomi degli autori classificati di “razza ebraica” che vennero banditi dal mondo dell’istruzione (Pannelli 2.6, 2.7, 3.4, 3.5, 3.6, 3.7, 4.2, 4.3 della mostra). Per raccontare invece i rapporti tra educazione e leggi razziali sono stati utilizzati testi di pedagogia fascista - spesso prodotti per indirizzare la formazione degli insegnanti all’interno dei quali sono sviscerate alcune tematiche fondamentali dell’ideologia del regime mussoliniano: la disciplina del corpo, il ruolo della donna nella società fascista, 244


l’importanza dell’igiene mentale e fisica per la purezza biologica. Nello specifico, per quanto riguarda la mostra in oggetto, sono state fornite le copertine di alcuni manuali che mettono in luce il ruolo dell’educazione all’interno del progetto totalitario fascista, di cui il razzismo è parte. I titoli dei testi, consultabili presso la Biblioteca, sono particolarmente emblematici: Argomenti di pedagogia fascista: guida per la preparazione ai concorsi magistrali; La scuola del fascismo: appunti di pedagogia militante per gli educatori; Scuola fascista: preparazione completa per i candidati ai concorsi magistrali; La nuova scuola del fascismo; Fascistizzazione della scuola; Unità dell’Educazione ed Educazione fisica nella Pedagogia fascista; Nozioni di cultura fascista ad uso della gioventù. (Pannelli 7.1, 7.2, 7.3, 7.4, 7.5, 7.6, 7.7) Tutti i testi citati sono a disposizione di chiunque voglia approfondire il tema.

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21. Archivio di Stato di Milano

Antonella Cesarini Funzionaria Archivista, Archivio di Stato di Milano

Le richieste di discriminazione dei docenti nei “Fascicoli personali ebrei” del Gabinetto di Prefettura Per ricostruire le vicende personali di alcuni dei docenti milanesi all’epoca delle leggi razziali del 1938 è utile consultare i documenti presenti nella serie archivistica Gabinetto di Prefettura, le cui carte furono versate nell’Archivio di Stato in due momenti successivi: nel 1957 (documenti degli anni 1911-1937) e nel 1989 (documenti degli anni 1938-1955)1. La documentazione è suddivisa in categorie2: le carte relative agli ebrei sono conservate nella categoria 025 Ebrei fino al 1937, nella categoria 029 Varie per il periodo successivo.3 I documenti esposti in mostra sono tratti dal cosiddetto “secondo versamento” e in particolare dalla sottoserie Fascicoli personali ebrei (1938-1943), costituita da 52 buste di fascicoli nominativi in ordine alfabetico. La ricerca si è concentrata su nominativi presenti nella lista dei docenti espulsi dalle Università milanesi in seguito alle leggi del 1938. Per comprenderne il senso, i sei documenti scelti4 devono essere letti alla luce del Regio Decreto-Legge 17 novembre 1938 (XVII), n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana.

1

Il lavoro di inventariazione, a cura di A. Osimo e A. Manduzio, è stato presentato dalla stessa Alba Osimo nell’articolo “La descrizione analitica delle Pratiche ebrei (1938-1947) della serie Gabinetto di Prefettura”, pubblicato in Annuario dell’Archivio di Stato di Milano, Milano 2016, pp. 285-292 (disponibile al link http://www.archiviodistatomilano.beniculturali.it/getFile.php?id=1948). L’inventario analitico è consultabile in Archivio di Stato di Milano. 2 L’inventario Prefettura di Milano. Gabinetto. Prima serie (Inventario di sala PU 2), è consultabile anche on line: http://www.archiviodistatomilano.beniculturali.it/getFile.php?id=908 (vol. I, buste 1-754); http://www.archiviodistatomilano.beniculturali.it/getFile.php?id=909 (vol. II, buste 755-1126). 3 Per maggiori dettagli sull’articolazione del fondo Prefettura dell’Archivio di Stato di Milano, si rinvia alla scheda di LombardiaBeniCulturali (http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/complessi-archivistici/MIBA00BE9D/), compilata da Lucia Ronchetti, rielaborata e integrata da Carmela Santoro. 4 Si è preferito non citare per nome le persone coinvolte, ma utilizzare soltanto le iniziali. La scelta è stata determinata dalla presenza di dati sensibili (non più tutelati a norma di legge, visto che sono ormai trascorsi 70 anni) e compensata con citazioni puntuali tratte dai Fascicoli personali. Il nome -enfatizzato, da ultimo, anche nel titolo della mostra sul censimento degli ebrei a Milano nel 1938 «Ma poi, che cos’è un nome?» (Palazzo La Triennale, 23 ottobre-18 novembre

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Il punto di partenza è l’art. 14 del citato R.D.L., dove si afferma che «il Ministero dell’Interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni previste negli articoli precedenti». La Prefettura di Milano raccoglieva dunque le istanze degli interessati, si informava in maniera riservata sulla singola persona (attraverso la Questura, la Legione Territoriale dei Carabinieri e, per le informazioni anagrafiche, gli uffici del Comune) e infine trasmetteva agli uffici centrali di Roma una comunicazione, corredata di un parere (favorevole o contrario alla discriminazione). Molti professori, sospesi dal loro incarico «per l’applicazione delle recenti disposizioni razziali», presentarono domanda di discriminazione, ovvero di non-applicazione di alcune norme, vantando la loro buona condotta (morale, civile, politica), quasi sempre loro riconosciuta, ma non sufficiente per ottenere quanto richiesto. Occorreva prima di tutto dimostrare che colui che aspirava alla discriminazione potesse essere definito con certezza “di razza ebraica”, sulla base della previsione dell’art. 8, che recita: «Agli effetti di legge: a) è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica; b) è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l'altro di nazionalità straniera; c) è considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre; d) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1º ottobre 1938-XVI, apparteneva a religione diversa da quella ebraica». Tale norma garantiva la possibilità di mantenere il posto di lavoro per i docenti per i quali fosse venuto meno il requisito dell’appartenenza «alla razza ebraica». Ne è testimonianza la vicenda di un docente che abiurò davanti al notaio, chiedendo di non far più parte della Comunità ebraica, fece battezzare sé e i suoi figli, avuti da moglie

2018)-, non è rilevante per la nostra trattazione. Poco, infatti, avrebbe aggiunto il nome alle situazioni quasi paradigmatiche che emergono nelle istanze dei docenti, costretti a enumerare i propri meriti e a suscitare la commozione altrui attraverso le proprie vicissitudini personali.

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«appartenente a razza ariana e professante la religione cattolica» (Pannello 5.8 della mostra, documento redatto dal comandante della Legione Territoriale dei Carabinieri). La separazione dalla Comunità di appartenenza viene così ricordata dal Prefetto: «[egli] non aderì mai a concezioni internazionalistiche giudaiche, sostenendo, anzi, polemiche con pubblicisti giudei; […] diede prova di tali suoi sentimenti giungendo al distacco completo di sé e della famiglia dalla locale Comunità Israelitica, alla quale notificò formalmente la sua decisione». In questa prospettiva, veniva dunque meno il requisito dell’appartenenza «alla razza ebraica», dal momento che nella stessa persona si sommavano una serie di caratteristiche che si ritrovano (spesso prese singolarmente) anche in altri casi: essere battezzato; avere figli battezzati secondo il rito cattolico; essere sposato con una donna «ariana cattolica». Laddove la richiesta di non appartenenza alla “razza ebraica” non fosse sufficiente, potevano subentrare i meriti militari: aver partecipato alle guerre «libica, mondiale, etiopica e spagnola», essere mutilati, invalidi, feriti, volontari o decorati con la Croce al Merito di Guerra, vantare un antenato garibaldino. Anche tra i professori c’era chi rivendicava di essere stato volontario, ferito di guerra, di aver avuto un padre garibaldino e patriota. Non sempre la carriera militare, senza una decorazione, convinceva la Prefettura, come dimostra il caso di un ebreo ferito durante il conflitto mondiale, che però «non aveva a suo favore altre benemerenze né aveva mai dato dimostrazione di attaccamento al regime». Un discorso a parte riguarda i meriti fascisti, che spettano ai «legionari di Fiume» o a coloro che possono vantare di aver aderito all’irredentismo: ebbe maggiori chances, ad esempio, un ebreo che «da giovane appartenne alla Lega Nazionale di Trieste e ad associazioni segrete irredentistiche, riportando, ancora alunno al ginnasio, una condanna politica dai magistrati austriaci», potendo inoltre vantare un suocero tra i finanziatori dell’impresa di Fiume, «riconosciuto da autografo di d’Annunzio». Elemento sempre presente e discrimine sul quale si gioca la decisione del Prefetto era, invece, la data di adesione al Partito Nazionale Fascista, valida per legge soltanto se ricadeva negli anni compresi tra il 1919 e il 1922 e nel secondo semestre del 1924. Quasi nessuno dei docenti poteva vantare di essere un fascista della prima ora: la maggior parte di loro si era iscritta al Partito tra la seconda metà degli anni Venti e il 1933; qualcuno lo aveva fatto dopo aver «professato idee democratiche e radicali»; qualcuno aveva meritato la tessera ad honorem per aver espresso le sue simpatie al fascismo; qualcun altro, infine, 248


non si era mai iscritto. Fa eccezione il caso del già menzionato docente universitario convertitosi al cattolicesimo, il quale – come si legge nella relazione del Prefetto – «nell’autunno del 1924 […] firmò a Padova il noto manifesto Gentile e nel marzo 1925 partecipò al Convegno Fascista di Cultura di Bologna, affermando la piena e stretta collaborazione tra Fascismo e Cultura». Spicca, negli altri fascicoli, un altro docente che, in qualità di subcommissario della Società Umanitaria di Milano, aveva contribuito «ad epurarla da elementi intellettuali dell’antifascismo». Talvolta, le istituzioni deducevano informazioni sull’ideologia dei richiedenti anche dalle loro opere o dalla loro condotta: «l’indirizzo politico da lui seguito nei suoi lavori è stato sempre quello della supremazia ed autorità dello Stato in ogni campo della vita sociale» (Pannello 5.8 della mostra, Rapporto della Questura). L’ancora di salvezza per chi non rientrava in nessuna delle categorie enunciate sopra restava il vantare delle benemerenze eccezionali, da valutarsi in sede di apposita Commissione5. Tali benemerenze sono presentate come extrema ratio anche nella lettera della Questura relativa a uno dei docenti della Statale: «il caso in esame, per quel che concerne la razza, è chiaro, ed il richiedente non può neanche invocare altri benefici previsti dalla legge, in quanto egli è iscritto al P.N.F. soltanto dal 1926, né ha altre benemerenze militari perché, durante la guerra del 1915-1918, fu riformato e poscia dispensato dal servizio militare […] Ciò premesso, appare che egli non è in condizioni di poter beneficiare della chiesta discriminazione, se non soccorresse il criterio delle eccezionali benemerenze, previsto dalla Legge». Sulla prima delle cinque pagine nelle quali il questore enumerò i meriti del suddetto docente, il Prefetto vergò un secco «non mi sembra siano eccezionali», frase che altre volte fu utilizzata dallo stesso questore, in riferimento alle benemerenze «vantate in campo scientifico» o alle azioni compiute dal richiedente (aver versato oro alla patria, essere stato un educatore modello etc.). Erano valutate attentamente altre benemerenze: la carriera brillante di un medico, laureatosi a 22 anni; la durata quasi trentennale della carriera accademica di alcuni professori – rimasti in cattedra, presumibilmente, fino alle leggi razziali del 1938 – (Pannello 5.9 della mostra); le pubblicazioni, a volte quantificate (“oltre novanta”), in un caso allegate alla domanda, insieme alla copia della nomina a

5

Tale Commissione, per previsione di legge, era «composta dal Sottosegretario di Stato all'interno, che la presiede, di un Vice Segretario del Partito Nazionale Fascista e del Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale».

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membro del Comitato Nazionaer le materie prime da parte del CNR, a firma di Guglielmo Marconi. Il peso delle benemerenze è evidente in una relazione della Questura (Pannello 5.8 della mostra): il docente in questione era una «personalità eminente della cultura italiana» per il contributo offerto al recupero di opere d’arte a Vienna dopo la guerra, con il quale si era meritato l’elogio di Badoglio, e per aver donato a musei e biblioteche pubbliche la collezione libraria del padre e alcune opere d’arte di famiglia. A queste benemerenze si sommarono altri meriti: la Croce al Merito di Guerra; l’aver avuto un padre e uno zio docenti universitari; il fatto che il padre era stato volontario garibaldino nella guerra del 1859. Se in casi come questi il parere non poteva che essere favorevole, era grande, per molti, il timore di vedersi recapitare – come accadde alla docente citata nel documento pubblicato nel Pannello 5.9 della mostra – una lettera dal Ministero dell’Interno, dove si affermava che la domanda presentata sulla base delle previsioni dell’art. 14 era stata respinta dall’apposita Commissione. Per chi poteva, non restava a quel punto che un’unica via d’uscita: la fuga all’estero, spesso oltreoceano. La Questura diede conto alla Prefettura delle motivazioni addotte dagli emigranti lasciando trasparire, in qualche caso, le proprie perplessità sulle motivazioni lavorative addotte dai docenti emigrati: «trovasi a Montevideo (America), dove sarebbe insegnante di diritto presso quella università» (Pannello 5.9 della mostra); «da Milano si trasferì con tutta la famiglia a Rio De Janeiro (Brasile), dove vuolsi sia impiegato in qualità di consulente tecnico presso l’ufficio statistica del censimento brasiliano in Rio de Janeiro». Più neutrali, invece, appaiono – come sempre – i pareri rilasciati dai Carabinieri («emigrato in America, per ragioni di occupazione in seguito a provvedimenti razziali»). Per molti docenti e per le loro famiglie, all’indomani delle leggi razziali del 1938, l’esilio volontario fu una tra le (poche) scelte possibili.

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22. Fondazione Anna Kuliscioff

Marina Cattaneo Vicepresidente

La promulgazione delle leggi razziali e le sue conseguenze nelle scuole e nelle università La Fondazione Anna Kuliscioff è una fondazione senza scopo di lucro con sede a Milano, riconosciuta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali in data 1° Aprile 1997. La Fondazione, che si avvale di un Comitato Scientifico che annovera storici e studiosi provenienti da varie università, ha lo scopo di creare un modello di fondazione che sia in grado di erogare servizi informativi di valore culturale e scientifico in merito alla storia contemporanea italiana e internazionale, di favorire gli studi sul pensiero socialista, sul movimento operaio e sindacale, femminile, giovanile e libertario e in generale di potenziare le ricerche sulla storia del lavoro, dell’emancipazione e dello Stato sociale. Inoltre, la Fondazione Anna Kuliscioff - che detiene una biblioteca di circa 40.000 volumi, a cui si aggiunge l’emeroteca con circa 1000 testate e una sezione con 30.000 opuscoli promuove manifestazioni, convegni, mostre, fornisce assistenza ad enti, associazioni, studiosi e giovani laureandi e mette a disposizione gratuitamente la documentazione necessaria per le ricerche e le pubblicazioni. La Fondazione Anna Kuliscioff non poteva dunque non partecipare alla realizzazione dell’importante mostra su “Razza e Istruzione – Le leggi anti ebraiche del 1938”, organizzata dall’Università di Milano-Bicocca, contribuendo alla costruzione della mostra con la ricerca e l’individuazione, presso il proprio Archivio, di testi, pagine d’epoca, libri e immagini, inerenti la promulgazione delle leggi razziali e le sue conseguenze nelle scuole e nelle Università.

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23. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC)

Gadi Luzzatto Voghera Direttore del CDEC

Documenti sulle scuole ebraiche dopo l’espulsione di docenti, studenti e impiegati dalle scuole di ogni ordine e grado

La Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) ha partecipato al comitato scientifico che ha pensato e realizzato la mostra “Razza e Istruzione. Le leggi antiebraiche del 1938”, organizzata dall’Università di Milano-Bicocca nel febbraio 2019. La Fondazione ha messo a disposizione alcuni importanti documenti conservati nel suo Archivio cartaceo e digitale, fra cui le fotografie di alcuni docenti universitari ebrei espulsi nel 1938, corredate di precisi dati biografici che sono il frutto di decenni di ricerca storica (Pannelli 2.5, 3.8, 5.5 della mostra). Istituito nel 1955 a Milano come sezione italiana del Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi, il CDEC è da sempre impegnato in attività di ricerca scientifica e divulgazione sulla storia degli ebrei in Italia in età contemporanea, sulla Shoah, sulla memoria e la didattica della Shoah in Italia, sull'antisemitismo e il pregiudizio dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Lo studio e la conoscenza di questi temi vengono promossi attraverso un'ampia gamma di attività e iniziative, fra cui l’acquisizione e conservazione di documenti d'archivio, fotografie, pubblicazioni, materiali audiovisivi; la realizzazione di convegni, mostre, rassegne documentarie e cinematografiche; l’organizzazione di seminari e corsi di aggiornamento, conferenze, iniziative di studio; il servizio di orientamento e consulenza a studiosi e istituzioni, nazionali e straniere; la realizzazione di pubblicazioni, mostre e documentari. Le attività della Fondazione CDEC si svolgono in continua collaborazione con istituzioni pubbliche e private, italiane e internazionali, interessate a costruire un percorso di conoscenza sui temi di comune interesse. Nella sua sede sono conservati circa 1.000 mq. lineari di documentazione archivistica, oltre 30.000 volumi, 2.500 riviste, 70.000 fotografie e oltre 1.000 testimonianze orali filmate. Un patrimonio di conoscenza unico in Italia e in continua crescita grazie all’acquisizione di archivi familiari e istituzionali e alla regolare attività dei ricercatori del centro. Parte del patrimonio conservato è disponibile 252


dell’utenza

sulla

Digital

Library

http://digital-library.cdec.it/cdec-web/,

una

piattaforma multimediale connessa ai principali archivi internazionali tramite la tecnologia Linked Open Data.

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24. Fondazione Corriere della Sera Archivi Storici

Francesca Tramma Responsabile Archivi Storici

L’inizio delle persecuzioni razziste nelle pagine del quotidiano La Fondazione Corriere della Sera nasce a Milano nel 2001 con lo scopo di custodire e valorizzare il patrimonio storico e culturale del quotidiano di Via Solferino. Nel maggio 2008 ha ampliato il proprio mandato, ricevendo in gestione anche gli archivi di tutte le testate e delle case editrici del gruppo RCS. La Fondazione si ispira al libero scambio di idee e al confronto di punti di vista differenti, con l’intento di costruire una cultura della democrazia e del dialogo nel rispetto della responsabilità connessa all’uso consapevole degli strumenti d’informazione, organizzando mostre, incontri e pubblicazioni. Gli archivi storici del gruppo RCS costituiscono un importante giacimento culturale, che non mira soltanto a preservare la memoria storica dell’azienda, bensì intende essere - per via della qualità, varietà e importanza dei fondi conservati - un bene culturale collettivo, da difendere e custodire: quotidiani, riviste, carteggi con i più importanti autori e personaggi della vita politica e culturale italiana e straniera, documenti aziendali, libri, fotografie e un ricco archivio di illustrazioni, con oltre 100.000 pezzi originali, tra disegni, bozzetti, vignette, collage. Si tratta di un patrimonio documentario e iconografico unico nel suo genere, che testimonia frammenti della cultura e del costume italiani degli ultimi 140 anni. Le pagine del Corriere della Sera pubblicate per la mostra “Razza e Istruzione” (Pannelli 2.5, 2.8, 3.3) raccontano una tragica pagina della storia italiana attraverso le cronache dell’epoca.

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25. Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Vittore Armanni Responsabile del patrimonio archivistico e bibliografico

Propaganda di regime e la risposta degli anti-fascisti all’estero Dal 1949, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli – nata come Biblioteca e divenuta in seguito Istituto – raccoglie le fonti necessarie allo studio della storia delle idee e dei movimenti sociali, mettendole a disposizione di ricercatori, istituzioni e università in un network che conta 350 istituti di tutto il mondo. Costruita attorno a un patrimonio che conta 1,5 milioni di carte d’archivio, 250.000 volumi, 17.500 testate di periodici e 15.000 tra manifesti, locandine e affiches, la Fondazione si è da subito affermata nel panorama internazionale come centro di conservazione e ricerca sulla storia politica, sociale, economica e culturale, con un’attenzione particolare allo studio e alla decodifica della contemporaneità. Il 13 dicembre 2016 è stata inaugurata in Viale Pasubio la nuova sede di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, come parte dell’edificio progettato dallo studio svizzero Herzog & de Meuron. Con l’apertura della nuova sede, Fondazione è diventata uno spazio di cittadinanza, luogo di partecipazione alla vita collettiva e di formazione, dove la centralità delle fonti si integra con un’offerta culturale performativa: i dieci chilometri lineari di documenti d'archivio rivivono nel teatro, nella musica, nella letteratura, nelle arti visive. La Fondazione è un centro culturale integrato che promuove la ricerca e il dibattito sulle sfide più urgenti dell’attualità: memoria, globalizzazione e sostenibilità, città e cittadinanza, trasformazioni del lavoro e della politica, per comprendere e raccontare i temi della contemporaneità, le mutazioni in atto e il loro impatto sugli scenari futuri della convivenza e della qualità di vita dei cittadini. Obiettivo primario delle aree di ricerca è mettere in dialogo accademia e mondo delle imprese e delle associazioni. La Fondazione, inoltre, promuove una didattica innovativa destinata a studenti, insegnanti, bambini e adulti, in presenza e da remoto, che sperimenta tecniche di unconventional learning, spesso basate sul learning by doing, al fine di offrire un’esperienza funzionale allo sviluppo della cittadinanza consapevole. 255


Proprio in relazione alla sua missione scientifica, didattica e pubblica, la Fondazione è stata parte del Comitato scientifico del progetto “Razza e Istruzione”, a cui ha contribuito con la pubblicazione di alcuni documenti d’archivio che ben mettono in luce la progressiva fascistizzazione della cultura e della scuola italiana a partire dal 1938, come indicato dal quotidiano “Il Popolo d’Italia”, fondato da Benito Mussolini (Pannelli 2.4 e 3.1 della mostra). Accanto alle pubblicazioni di propaganda del regime, sono stati proposti alcuni periodici editi da antifascisti in esilio a Parigi, Ginevra e New York (Pannelli 2.9, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6, 6.7, 6.8 della mostra).

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26. Politecnico di Milano Archivio storico

Stefano Morosini Ricercatore a contratto in Storia Politecnico di Milano – Polo territoriale di Piacenza

Come furono espulsi dal Politecnico i docenti di origine ebraica L'Archivio storico del Politecnico di Milano nasce ufficialmente il 1° gennaio 2013 come servizio archivistico all’interno dell’Area Sistema Archivistico e Bibliotecario, nonostante fosse già attivo e operante a partire dal 2011 presso la nuova sede al Campus Bovisa Durando. Vi confluiscono i fondi storici relativi all’attività del Politecnico conservati fin dalla sua istituzione nel 1863 (il vecchio Archivio Storico di Ateneo, suddiviso in quattro grandi sezioni: Segreteria, Economato, Ragioneria, Repertori), assieme a fondi speciali donati dai dipartimenti, dalle biblioteche centrali e da privati. Si tratta di materiali

che

documentano

l’attività di importanti figure dell’ingegneria,

dell’architettura e del design, spesso legate alla storia dell’Ateneo. Tra i fondi speciali di particolare rilievo è l’Archivio Albe e Lica Steiner, confluito negli Archivi Storici nel 2013, assieme a fondi archivistici conservati presso il Dipartimento di Progettazione

dell’Architettura.

Tale

struttura

opera

per

la

conservazione,

l’inventariazione, l’arricchimento e la valorizzazione dei suoi fondi; sviluppa progetti volti a una loro migliore fruizione, ne incentiva la consultazione; organizza mostre documentarie anche in collaborazione con altre strutture archivistiche pubbliche e private; concede in prestito il suo materiale, in accordo con la Soprintendenza archivistica della Lombardia, per mostre e pubblicazioni di carattere scientifico. I fondi archivistici attualmente conservati presso gli Archivi Storici sono: Archivio Storico di Ateneo (1846 1971) Fondo Belgiojoso (1847 1860) Fondo Bidone (1811 - 1839) Fondo Bordoni (1807 - 1847) Fondo Bottani (1925 - 1973) 257


Fondo Brioschi (1884 - 1897) Fondo Campora (1954 - 2000) Fondo Cardani (1962 - 1990) Fondo Casati (1943 - 2004) Fondo Chinigher (1947 - 1992) Fondo Chiodi (1871 - 1994) Fondo Concorso Cavallini (1891 - 1922) Fondo CREI Centro Europeo per l'Informatica (1970 1992) Fondo Crespi Grisotti (1970 - 2005) Fondo De Carli (1938 - 1991) Fondo Favini (1942 - 2002) Fondo Forlanini (1874 - 1911) Fondo Frisia (1933 - 1970) Fondo Grassi (1930 - 1985) Fondo Haertter (1951 - 1986) Fondo Introini (1962 - 2012) Fondo Mangiagalli (1913 - 1978) Fondo Marzano (1968 - 1973) Fondo Masotti e Fondo Masotti-Tartaglia (sec. XX, anni '20 '80) Fondo Miscellanea disegni, dediche, fotografie (sec. XIX - XX) Fondo Mucchi (1925 - 1991) Fondo Petralia (sec. XIX XX) Fondo Piola (1811 1913) Fondo Quadri di laurea (1869 1939) Fondo Ranza (sec. XIX XX) Fondo Reattore Nucleare (1957 - 1959) Fondo Secchi (1924 - 1991) Fondo Silvestri (1946 - 1994) Fondo Steiner (1927 - 1998) Fondo Storico Dipartimento di Elettrotecnica (1902 2000) Fondo Tremelloni (sec. XX) Fondo Zorzi (1947 - 1994) Per quanto concerne la mostra “Razza e Istruzione”, l’Archivio storico del Politecnico ha messo a disposizione la lista dei docenti espulsi (Pannello 5.2), così come i certificati amministrativi, attestanti l’estromissione dei docenti stessi dagli incarichi universitari per via della loro “appartenenza alla razza ebraica” (Pannello 5.6).

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27. Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Archivio storico

Sira Fatucci Responsabile della Memoria della Shoah, dell’Antisemitismo e della Giornata Europea della Cultura Ebraica

Documenti sulle leggi razziali L’archivio storico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), basato a Roma, conserva la documentazione prodotta e acquisita dall’Ente durante lo svolgimento delle attività amministrative e istituzionali. Nell’archivio storico, la cui documentazione parte dal 1909, confluiscono man mano le carte anteriori all’ultimo trentennio (quindi, ad oggi, fino a tutto il 1986). Per l’organizzazione della mostra “Razza e istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938” è stato consultato il fondo numero 3, denominato “Attività dell’UCII dal 1934”, il quale consta di 162 buste e raccoglie documenti dal 1934 al 1948. Il fondo è articolato nelle seguenti serie: struttura UCII; patrimonio e contabilità UCII; Comunità israelitiche, istituzioni comunitarie e aggregate; istituzioni ebraiche, stampa ebraica; cultura, insegnamento, feste, tradizioni ebraiche; leggi e decreti; popolazione ebraica: consistenza, storia, memoria; rapporti con istituzioni, media, Israele, altre religioni; rapporti internazionali con l’ebraismo della Diaspora; varie. Per quanto riguarda la tematica in oggetto, il lavoro è stato incentrato sullo studio di documenti che mettessero in luce le problematiche affrontate in relazione alla legislazione razzista dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane e dalle singole comunità diffuse su tutto il territorio nazionale. La ricerca è stata svolta tenendo in considerazione alcune questioni di carattere educativo e sociale: le reazioni dei singoli studenti classificati di “razza ebraica” che interagiscono con le varie comunità; le conseguenti azioni messe in atto dalle stesse comunità per garantire l’istruzione agli studenti espulsi dalle scuole pubbliche; le richieste da parte del corpo docente di poter continuare il proprio mestiere. Inoltre, sono state ricercate tracce dei dibattiti precedenti e coevi all’emanazione delle leggi, al fine di restituire al pubblico della mostra e del convegno il senso di spaesamento vissuto dalle comunità ebraiche italiane. 259


All’interno di una più ampia ricerca condotta presso l’Archivio storico dell’UCEI sono stati selezionati ed esposti tre documenti (Pannelli 3.8, 3.9, 3.10 della mostra) che hanno contribuito, oltre che alla ricostruzione dell’elaborazione del razzismo antisemita e delle sue conseguenze, alla riflessione sul tema; in particolare, essi evidenziano il lavoro e l’attivismo delle singole comunità nel fornire agli alunni “classificati di razza ebraica” ed espulsi dalle scuole pubbliche un’istruzione, organizzando autonomamente scuole per far sì che la vita educativa degli studenti non si interrompesse con la legislazione razzista.

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28.

Università Bocconi Biblioteca e Archivi

L'Archivio Storico dell'Università Bocconi

L’Archivio Bocconi conservato presso la Biblioteca dell’Università comprende diverse serie di documenti. Un primo nucleo è costituito dalle buste che furono trasferite dalla sede precedente di Piazza Sraffa 11 e che sono contrassegnate dalla sigla AB con una numerazione progressiva da 1 a 297: le buste AB sono 197 in quanto mancano diversi numeri. Le carte raccolte nelle buste AB sono datate dal 1898 al 1971 e sono relative per la maggior parte all’istituzione e alla storia dell’Ateneo (Statuto e modifiche, regolamento universitario, celebrazione del Cinquantesimo dell’Università, inaugurazione sedi, cerimonie, onoranze, manifestazioni celebrative), ai docenti e alla didattica (libera docenza, aspiranti a cattedre d'insegnamento, assistenti), agli studenti (borse di studio e di perfezionamento,

provvedimenti

disciplinari,

campionati

sportivi),

ai

servizi

(Biblioteca). Oltre alla serie delle buste AB è conservato altro materiale documentario (11 faldoni, 5 registri, 32 volumi di copialettere, 4 pacchi di carte sciolte) che non riporta alcuna numerazione e che è stato riaggregato dopo il trasferimento nella nuova sede. In questo secondo nucleo di documenti sono state identificate le seguenti serie: minute dei verbali del consiglio Direttivo, poi Consiglio di Amministrazione, dal 1905 al 1930; corrispondenza dei Rettori da Angelo Sraffa (1922-1927) ad Armando Sapori (1952-1967); Biblioteca di Economia e Lingue (1947-1960); copialettere della corrispondenza divisa per "Segreteria, Dottori, Ministero, Avvisi". Nel marzo 2016 sono stati trasferiti presso l'Archivio centrale parte dei documenti relativi all'attività dell’Ateneo dalla sua fondazione nel 1901 fino alla metà degli anni ’80 (documenti costitutivi e corrispondenza con la famiglia Bocconi, verbali degli organi di governo, documenti relativi all’amministrazione del personale). Una parte consistente 261


della documentazione relativa all'attività dell'Ateneo è tuttora conservata presso gli organi centrali di governo e negli archivi dei singoli Servizi. Informazioni sugli Archivi storici dell’Università Bocconi sono reperibili al seguente link: https://lib.unibocconi.it/screens/HistoricalArchives_ita.html

L’Archivio Bocconi ha partecipato alla mostra “Razza e Istruzione” con la pubblicazione della lista dei docenti espulsi (Pannello 5.3) e con la corrispondenza tra eminenti professori (fra cui il Rettore), costretti a emigrare per via delle leggi razziste (Pannello 5.7), il Direttore della Segreteria Palazzina e Giovanni Gentile, allora vice presidente dell’Università.

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29. Università Cattolica del Sacro Cuore Archivio generale per la storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Il patrimonio archivistico a partire dagli anni '20 Fin dai primi anni di vita dell’Università Cattolica, fondata a Milano nel 1921, le autorità accademiche si sono preoccupate della conservazione e dell’archiviazione dei documenti prodotti o ricevuti dal Rettorato, dagli organi direttivi e dalle Facoltà. L’attenzione riservata alla salvaguardia delle carte utili per ricostruire la storia dell’Università Cattolica ha prodotto, nel corso del tempo, un ingente patrimonio archivistico, che tuttavia è stato parzialmente danneggiato dalle vicende belliche. Molti documenti raccolti e archiviati tra gli anni Venti e i primi anni Quaranta sono stati infatti distrutti dai bombardamenti che hanno colpito l’Università Cattolica nell’agosto 1943 e che hanno causato l’incendio e il crollo parziale del palazzo in cui avevano sede gli uffici. Fortunatamente molti atti d’archivio erano stati preventivamente messi in salvo nei sotterranei dell’Ateneo o in località lontane da Milano. Il nucleo originario dell’Archivio storico dell’Università Cattolica, costituito dai fondi denominati Corrispondenza e Miscellanea, è stato reso accessibile al pubblico nel 1984. Nel 1995 è stato istituto il Servizio Archivio storico, che si è occupato della conservazione e della gestione delle carte storiche dell’Ateneo e della Sezione fotografica. Tra il 2005 e il 2007 è stato effettuato un censimento più ampio che ha evidenziato la consistenza e l’importanza della documentazione relativa alla storia dell’Ateneo. Nel 2011 è stato dunque istituito l’Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica, unico per tutto l’Ateneo, supportato dall’Ufficio Archivio storico. L’Archivio cura la conservazione, l’ordinamento e l’inventariazione del patrimonio documentario, cartaceo e multimediale relativo alla storia dell’Università Cattolica, costituito dal complesso di documenti prodotti e acquisiti dall’Ateneo nello svolgimento della propria attività e nell’esercizio delle proprie funzioni. Per la mostra “Razza e Istruzione”, è stato allestito il Pannello 5.4 che riassume l’ambivalente posizione di Padre Gemelli di fronte alle leggi antisemite.

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30. Università degli Studi di Milano Centro APICE

Emanuele Edallo Professore a contratto in Storia contemporanea, Università degli Studi di Milano

L’applicazione della legislazione antiebraica alla Regia Università di Milano Presso il Centro APICE (Archivi della Parola, dell’Immagine e della Comunicazione Editoriale) dell’Università degli Studi di Milano è conservata la documentazione riguardante l’applicazione della legislazione antiebraica alla Regia Università di Milano. In particolare, si fa riferimento alla documentazione conservata nell’Archivio proprio, che, insieme alla sezione degli Archivi aggregati, forma l’’Archivio storico. Tra le serie dell’Archivio proprio sono conservati i registri dei verbali del Senato Accademico, del Consiglio di Amministrazione e dei Consigli di Facoltà; i fascicoli personali dei docenti e degli studenti; il carteggio articolato sul titolario e gli annuari degli anni scolastici. Particolarmente significativo per ricostruire gli avvenimenti legati all’applicazione della legislazione razzista fascista è uno specifico fascicolo riguardante la questione antiebraica (fascicolo “Razza”), al cui interno la documentazione è suddivisa in quattro sottofascicoli: “Dati statistici del personale. Censimento personale di razza ebraica”, “Personale di razza ebraica. Disposizioni generali”, “Studenti di razza ebraica”, “Personale di razza ebraica”. All’interno di questo fascicolo sono conservati gli elenchi dei docenti ebrei, la corrispondenza tra il Ministero dell’Educazione Nazionale e la Regia Università di Milano, le comunicazioni del rettore, la corrispondenza tra il rettore e il personale (docenti, aiuti e assistenti, liberi docenti) riconosciuto appartenente alla “razza ebraica”, la documentazione riguardante gli studenti ebrei. I materiali offerti per la mostra riguardano circolari del Ministero dell’Educazione Nazionale e comunicazioni del rettore ad alcuni docenti espulsi dall’Università per motivi raziali (Pannelli 4.1 e 5.5 della mostra). Copyright ©2020 – Emanuele Edallo –Tutti i diritti riservati

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31. Università̀ degli Studi di Milano-Bicocca - Biblioteca di Ateneo Polo di Archivio Storico - Archivio Storico della Psicologia Italiana

Mauro Antonelli Professore di Storia della scienza e delle tecniche

Aurelio Molaro Assegnista di ricerca in Storia della scienza e delle tecniche Dipartimento di Psicologia

Cesare Musatti e le leggi razziali in alcuni documenti d’archivio Lo psicologo e psicoanalista Cesare Musatti (1897-1989), docente e direttore dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Padova, subì le conseguenze delle leggi razziali venendo allontanato dall’insegnamento. Era figlio di un deputato socialista di origine ebraica e amico di molti antifascisti. Ciò - unitamente alle maldicenze sulla sua moralità e sulla serietà delle sue lezioni sulla psicoanalisi, considerate irriverenti e irrispettose della pubblica moralità – fu sufficiente per farlo “declassare” a professore di liceo al Vittorio Veneto. Riuscì poi a trasferirsi al Parini di Milano nel 1940, dopo aver probabilmente prodotto certificati falsi in merito alla propria appartenenza religiosa. Avendo infatti intuito il pericolo che la sua iniziale dichiarazione di non professare alcuna religione potesse essere valutata come elemento sfavorevole, il 17 ottobre 1938 Musatti decise di aderire alla chiesa valdese. Il battesimo, impartito anche ai due figli, venne organizzato a Trieste dall’allieva e amica Fulvia Famos. Probabilmente Musatti aveva contatti riservati all’interno degli ambienti fascisti, che lo tenevano aggiornato non solo sulle misure recenti, ma anche sulle tendenze e sviluppo della politica del regime. Quando il 17 novembre il governo decise di valutare per l’appartenenza religiosa solo la situazione precedente al 1° ottobre 1938, Musatti vide vanificata la sua recente “conversione”. Quando poi venne a sapere che i figli di matrimonio misto dichiaratisi atei sarebbero stati considerati ebrei, decise – secondo il suo biografo Riccardo Reichmann – di produrre un falso certificato di battesimo, datato 23 dicembre 1897, sostenendo di avere ricevuto il sacramento nella parrocchia di Santa Maria Trasteverina a Roma, per iniziativa della nonna materna. Per giustificare il ritardo nella presentazione del documento, egli addusse un complicato insieme di ragioni, sostenendo di essere stato troppo ingenuo e di avere perso tempo, in buona fede, prima di organizzarsi per dimostrare la propria posizione di cattolico non praticante. 265


La mossa parve rivelarsi azzeccata, dato che nel frattempo il Ministero dell’Interno aveva dato disposizioni riservate (di cui Musatti era stato forse informato in anticipo) proprio per la dichiarazione di arianità nei confronti dei battezzati che si erano dichiarati non praticanti (cfr. R. Reichmann, Vita e opere di Cesare Musatti, vol. II, Arpa, Milano 1997, pp. 311-312). Nell’archivio Musatti, conservato presso il Centro ASPI – Archivio Storico della Psicologia Italiana dell’Università di Milano-Bicocca (che lo ha ereditato una volta che l’Istituto di Psicologia, fondato da Musatti, all’Università Statale si trasferì nel nuovo Ateneo), sono presenti solo pochi documenti (tutti senza data ma indubbiamente successivi al 1938) che riguardano il suo rapporto dello psicanalista con il fascismo e con le leggi razziali. Il primo documento è una bozza di relazione in cui Musatti dichiara di aver osservato, nell’insegnamento della storia e della filosofia nei licei, i principi dell’ideologia fascista, tra i quali l’esaltazione della “stirpe italica”. Il secondo documento è una minuta di lettera inviata a un amico (“Caro Josè”), al quale racconta la vicenda del proprio certificato di battesimo, registrato in una parrocchia di Roma, da presentare alle autorità per regolare la propria posizione religiosa e razziale. In questa lettera si legge tra l’altro che: «Vi è in una parrocchia di Roma registrato un battesimo impartito ad iniziativa della nonna materna, q[uando] avevo pochi mesi. È su un tale fatto che si impernia la indecisione della mia situazione di fronte alle leggi razziali italiane. Come misto appartenente alla relig[ione] cattolica dovrei essere considerato ariano; se non che al documento del battesimo contradicono mie dichiarazioni pubblicamente e ufficialmente rese per il passato ed anche ora, per cui l’autorità statale è incerta se mi deve o no considerare appartenente alla religione cattolica». In un’altra lettera inviata a un collega, Musatti lamenta il fatto che tre recensioni, da lui scritte su una rivista, siano comparse con uno pseudonimo, evidentemente per celare l’origine ebraica del suo cognome. (Pannello 5.1 della mostra) L’archivio Musatti è interamente consultabile on-line sul portale: www.aspi.unimib.it Copyright ©2020 – Mauro Antonelli e Aurelio Molaro - Tutti i diritti riservati

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V. GALLERIA FOTOGRAFICA



Intervista alla Sen. Segre, disponibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=4R8ozpRxgZU

La Sen. Liliana Segre durante il suo intervento alla Conferenza Razza e istruzione� del 18 gennaio 2019. Aula Magna Università degli Studi di Milano-Bicocca

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Platea alla Conferenza “Razza e Università degli Studi di Milano-Bicocca

istruzione”

270

del

18

gennaio

2019.

Aula

Magna


Platea alla Conferenza “Razza e Università degli Studi di Milano-Bicocca

istruzione”

271

del

18

gennaio

2019.

Aula

Magna


La Sen. Liliana Segre alla Mostra Università degli Studi di Milano-Bicocca

“Razza

e

Istruzione”.

Galleria

dell’Aula

Magna,

La Sen. Liliana Segre e la rettrice Maria Cristina Messa alla Mostra “Razza e Istruzione”. Galleria dell’Aula Magna, Università degli Studi di Milano-Bicocca

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Visitatori alla mostra “Razza e Istruzione” Galleria dell’Aula Magna, Università degli Studi di Milano-Bicocca

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Michela Tondin, Alessandra Scarazzato, Giorgia D'Ambrosi, Liliana Segre, Maria Antonietta Izzinosa, Maria Cristina Messa alla mostra "Razza e Istruzione". Galleria dell’Aula Magna, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Barbara Bracco, Manuele Gianfrancesco, Liliana Segre, Maria Cristina Messa, Siria Fatucci, Marina Calloni, Marina Cattaneo, Gregorio Taccola, Vincenza Iossa, Emanuele Edallo alla mostra "Razza e Istruzione". Galleria dell’Aula Magna, Università degli Studi di Milano-Bicocca

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VI. INFORMAZIONI E CONTATTI



Per saperne di più Il progetto Razza e Istruzione. Le leggi antiebraiche del 1938 è tato ideato e realizzato, grazie al lavoro svolto dal Comitato scientifico così composto: RESPONSABILE SCIENTIFICA DEL PROGETTO Marina CALLONI, professoressa ordinaria di filosofia politica e sociale, Università degli Studi di Milano-Bicocca PARTECIPANTI Vittore ARMANNI, responsabile del patrimonio archivistico e bibliografico, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano Luciano BELLI PACI, avvocato, membro del Circolo Rosselli, Milano Barbara BRACCO, professoressa ordinaria di storia contemporanea, Università degli Studi di Milano – Bicocca Marina CATTANEO, vice-presidente della Fondazione Kuliscioff, Milano Antonella CESARINI, funzionaria Archivista, Archivio di Stato, Milano Maurizio DI GIROLAMO, capo area della Biblioteca dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca Emanuele EDALLO, professore a contratto in Storia contemporanea, l’Università degli Studi di Milano Sira FATUCCI, responsabile dei settori Memoria della Shoah, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Manuele GIANFRANCESCO, dottorando in Storia presso la Sapienza Università di Roma Vincenza IOSSA, bibliotecaria, Biblioteca “Luigi De Gregori”, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Gadi LUZZATTO VOGHERA, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), Milano. Michele SARFATTI, storico fra i massimi studiosi delle leggi antiebraiche, già direttore del CDEC. Francesca TRAMMA, responsabile Archivi Storici, Fondazione Corriere della Sera, Milano Paola ZOCCHI, archivista, Archivio Storico della Psicologia Italiana, Biblioteca dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca Finanziamento Il progetto è stato reso possibile grazie al finanziamento del Rettorato nell’ambito delle celebrazioni per il ventennale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. 277


Concessione della mostra a titolo gratuito La mostra su Razza e Istruzione. Le leggi antiebraiche del 1938 viene concessa a titolo gratuito a tutte quelle organizzazioni e associazioni che ne facessero richiesta e che professassero i principi del rispetto e dell’antidiscriminazione. Le spese di trasporto saranno a carico dei destinatari che dovranno prendersi cura anche del mantenimento e del buon stato dei materiali ricevuti. Chi fosse interessato, può inviare la sua richiesta alla Prof.ssa Marina Calloni (email: marina.calloni@unimib.it) che deciderà insieme al Comitato Scientifico la concessione o meno della mostra, anche in relazione alla valutazione dello statuto e delle attività delle associazioni richiedenti. Ringraziamenti Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione del progetto su Razza e Istruzione. In particolare si ringraziano le rettrici Maria Cristina Messa e Giovanna Iannantuoni per il sostegno dato, Giampaolo Nuvolati (direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale) per l’apporto finanziario, Barbara Bracco per l’aiuto all’ideazione e alla realizzazione del programma; Gregorio Taccola (assegnista di ricerca di Storia Contemporanea) per il suo prezioso contributo nella composizione e nell’allestimento della mostra; Antonio Garonzi per la grafica della mostra; Francesca Santoro per l’allestimento del sito e della presente pubblicazione digitale; il personale tecnico e amministrativo del Rettorato, dei Sistemi Informativi e il Settore Affari Istituzionali e Comunicazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca per aver contribuito alla realizzazione della presente pubblicazione on line. Indirizzo Prof. Marina Calloni Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Università degli Studi di Milano-Bicocca Piazza dell’Ateneo Nuovo 20126 Milano

278


279


Perché riflettere su “Razza e Istruzione”? Significa tenere viva la memoria di una pagina orribile della storia italiana per poter costruire una realtà diversa. 11 novembre 1938, il governo fascista approva le “leggi per la difesa della razza”. A oltre 80 anni dalla promulgazione di leggi illiberali, l’università come luogo dedito alla ricerca libera, alla formazione inclusiva e alla cittadinanza attiva, non può che riaffermare i principi democratici dell’uguaglianza e della libertà, contrastando ogni forma di razzismo, odio e segregazione, rinnovando il valore della libertà nelle arti e nelle scienze. Il progetto di ricerca Razza e Istruzione. Le leggi anti-ebraiche del 1938 - sostenuto dall’Università di Milano-Bicocca e dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale - è stato reso possibile grazie a un Comitato scientifico nazionale, coordinato da Marina Calloni, in collaborazione con numerosi archivi. I materiali della ricerca sono stati ora pubblicati sul sito web https://razzaeistruzione.unimib.it con la Prefazione di Giovanna Iannantuoni, Rettrice dell’Università di Milano – Bicocca. Il sito offre la possibilità di consultare i documenti raccolti, spesso inediti, di visionare gli interventi dei relatori alla conferenza del febbraio del 2018 con la lectio magistralis della senatrice a vita Liliana Segre e di sfogliare il materiale della mostra allestita in Ateneo. Il progetto Razza e Istruzione – finanziato nell’ambito delle celebrazioni per il ventennale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca - è stato ideato e realizzato, grazie al lavoro svolto dal Comitato scientifico (2018-2019), composto da: Marina Calloni (responsabile scientifica), Vittore Armanni, Barbara Bracco, Luciano Belli Paci, Marina Cattaneo, Antonella Cesarini, Maurizio Di Girolamo, Emanuele Edallo, Sira Fatucci, Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, Gadi Luzzatto Voghera, Michele Sarfatti, Francesca Tramma, Paola Zocchi, Tutti i materiali pubblicati sono coperti da Copyright©, riservati al rispettivo Autore/Autrice e agli Archivi competenti. ISBN:979-12-200-7543-5 DOI://doi.org/10.20366/unimib/razzaeistruzione/932m-gw02 Sito: https://razzaeistruzione.unimib.it/


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