#4 Anno 18 4 marzo 2022 Periodico del Master in giornalismo “Giorgio Bocca” - Università di Torino
ANONYMOUS ITALIA
«Russia sempre più cyber» Alberto Cantoni| P4 IL FUTURO
Lo spazio è il nuovo Far West Lorenzo Garbarino | P5
ATTI DI FORZA, INFORMAZIONE, TECNOLOGIA
Nuove guerre nuovi fronti Lorenzo Bonuomo, Raffaella Tallarico e Federico Tafuni Pagine 2 e 3
GIORNALISMO
I media e il racconto del (presunto) suicidio Chiara Vitali | P6
LA TESTIMONIANZA
«Non sottovalutiamo l’endometriosi» Ludovica Merletti | P7
APPUNTAMENTI
Un mese per le donne al Circolo dei Lettori Matteo Suanno | P8
FOTO DI BRUNO BY UNSPLASH
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
TRA RACCONTO E REALTÀ
MEDIA E SOCIAL QUI HA VINTO KIEV
Colloquio con Martin Gurri, ex analista della Cia: «Putin si crede il re delle manipolazioni ma ora deve gestire la sconfitta nell’informazione» di Federico Tafuni
IN SINTESI
•
Zelensky capisce l’importanza di farsi un selfie
••
I media spingono i politici ad azioni mai viste prima
•••
Putin non ha fatto i conti con il potere delle BigTech
P
robabilmente, quando il 24 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato l’invasione su larga scala dell’Ucraina, riteneva che soldati, carri armati e missili balistici sarebbero stati sufficienti per schiacciare la modesta forza militare nemica. Nonostante ciò - a una settimana di distanza dall’inizio del conflitto - Mosca è già stata sconfitta su un campo ben più insidioso di quello strettamente bellico, che sembra però aver completamente sottovalutato: quello delle informazioni. «Se i russi avessero preso Kiev nel giro di pochi giorni, come probabilmente credevano, ora staremmo parlando di ben altre cose. Ma ciò non è accaduto, e questo perché il governo ucraino ha vinto fin dal principio la guerra delle informazioni» sottolinea Martin Gurri, ex analista dei media per la Central Intelligence Agency statunitense (Cia), intervistato da Futura News. «L’Ucraina sta vincendo perché riesce a prevalere su tutto il panorama delle informazioni e della comunicazione digitale -. aggiunge Gurri Vladimir Putin si fregiava di essere il re della manipolazione delle informazioni. Eppure la Russia sembra non essersi nemmeno presentata su questo campo». LA SORPRESA ZELENSKY
Se l’Ucraina sta vincendo la guerra delle informazioni, gran parte del merito è da riconoscere al suo leader politico, Volodymyr Zelensky. «Quest’uomo ha venticinque anni in meno di Putin, e riconosce l’importanza che può avere farsi un selfie» afferma Gurri. Il riferimento è sotto gli occhi di tutti. Dall’inizio dell’invasione, e in particolare dal momento in cui Kiev è stata oggetto di assedio da parte delle forze russe, il presidente ucraino ha appeso al chiodo giacca e cravatta, in favore di un più adatto assetto da battaglia e - quasi quotidianamente - in maglietta e felpa verde militare, ha preso in mano uno smartphone per filmarsi. Dando le spalle ai monumenti della capitale, o insieme mostrandosi ai suoi ministri e collaboratori, si è esposto in prima persona davanti all’Ucraina e al mondo intero, con una comunicazione diretta ed efficace. «È un attore e, un po’ come Donald Trump, sa guardare alla telecamera e sembrare sincero
CREDIT: TWITTER/MARTIN GURRI
quando lo è. - aggiunge Gurri - Da questo punto di vista, Zelensky è la vera sorpresa di questa guerra, per il modo in cui riesce a trasmettere i suoi messaggi attraverso i media».
tenuti che circolano sui media in questi giorni. C’è molta emozione, talvolta molta ironia (come i meme ,ndr) nel racconto del conflitto». In questo senso, è facile fare paragoni con una recente crisi che ha colto impreparato il mondo intero: la diffusione globale della malattia da Covid-19. «Con l’inizio della pandemia, i media sono andati verso una sola direzione: tutto era terribile e tutti dovevano obbedire ai leader politici. Con lo scoppio della guerra, il popolo ucraino si è mostrato molto eroico e quindi dobbiamo fare tutto ciò che è necessario perché i russi siano sconfitti. Questo sta decisamente influendo sulle decisioni dei politici dell’Occidente» afferma
LA POLITICA E I MEDIA
«Ho visto il video di una giovane donna davanti a un veicolo blindato che alcuni russi avevano appena abbandonato. Ne stava spiegando il funzionamento. Diceva ‘Se premi questo pulsante succede questo, mentre se spingi questa leva succede quest’altra cosa’. L’aspetto interessante è che questa giovane donna non era nemmeno una soldatessa. - racconta Gurri - Questo è solo un esempio del tipo di con-
il Gurri. Il riferimento è, in particolare, alla storica decisione del leader tedesco, Olaf Scholz, che ha annunciato l’aumento delle spese militari del Paese (100 miliardi, più del 2% del Pil nazionale) e alla decisione della Commissione europea sul finanziamento di materiale bellico per l’esercito ucraino. «L’intera idea dell’energia verde, del soft power e quindi del pacifismo è stata spazzata via nel giro di pochi giorni». PUTIN VS BIG TECH
Quando Gurri parla di Vladimir Putin lo definisce come un “capo mafioso”: «È un arrogante despota che potrebbe vincere le elezioni russe, se solo esistessero, perché in
COME USCIRNE
«Stop alle bombe e poi una zona franca» di Lorenzo Bonuomo
di imparare dalla pandeIsi nvece mia, che dimostra che nessuno salva da solo, si è esacerbato un
conflitto in Ucraina che potrebbe coinvolgere l’intera Europa, col rischio del ricorso ad armi nucleari. Al nostro governo chiediamo che non si avventuri in un’operazione militare al confine». A parlare al microfono, davanti alla folla, è Paolo Candelari, 68 anni, ex presidente del Mir (Movimento internazionale di riconciliazione) e collaboratore del Centro Studi Sereno Regis, no-profit torinese per la nonviolenza e il disarmo. L’appello al “cessate il fuoco”, gridato durante la manifestazio-
2
ne indetta dal coordinamento pacifista “Agite” il 26 febbraio in piazza Castello, a Torino, è passato (anche) per la sua voce. Poco distanti da lui, le bandiere gialloblù degli ucraini “piemontesi” presenti al sit-in. Il ritiro immediato delle truppe russe dall’Ucraina, la rinuncia di quest’ultima a entrare nella Nato, il rispetto degli accordi di Minsk del 2014, una gestione più efficace del conflitto da parte dell’Onu, il grande “assente” della crisi. L’elenco di rivendicazioni del movimento pacifista è lungo: «Abbiamo la capacità di mobilitare le persone, ma non possiamo sostituire la diplomazia - ha affermato successivamente Candelari a Futura News, nelle stanze della biblioteca del Sereno Regis, in via Garibaldi,
«UNA PROPOSTA DI BUON SENSO SAREBBE L’ISTITUZIONE DI UNA FASCIA SMILITARIZZATA TRA LA NATO E LA RUSSIA» PAOLO CANDELARI EX PRESIDENTE MIR
dove l’abbiamo incontrato – una proposta di buon senso potrebbe essere l’istituzione di una fascia smilitarizzata tra Nato e Russia, che comprenda tutti i paesi che si trovano tra i due confini». La richiesta arriva in seguito alla
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
IN NUMERI
20
I litri di benzina a persona
450
I chilometri di autonomia di un pieno
2
Il convoglio minimo di auto CREDIT: MONICA PEROSINO
PEROSINO, INVIATA DE LA STAMPA
«Qui la tanica di benzina vale come una notizia» di Raffaella Tallarico
CREDIT: LORENZO BONUOMO
Russia ha (o almeno aveva, ndr) una certa popolarità. Ma preferisce mostrare al mondo quando è cattivo e quanto è tosto, schiacciando il proprio Paese nella morsa di una dittatura asfissiante» afferma Gurri. Ma in questo caso, il presidente russo non ha calcolato in modo adeguato le tempistiche dell’invasione, presentandosi impreparato sul fronte della narrazione propagandistica. Inoltre, il Cremlino si sta mostrando vulnerabile di fronte a un nuovo panorama di attori non statali, le cui azioni sono paragonabili a quelle di una potenza continentale. «Il Cremlino voleva mettere a tacere la voce degli ucraini. Poi è bastato un tweet ed Elon Musk ha messo a
CREDIT: LORENZO BONUOMO
decisione del presidente russo Vladimir Putin di allertare il sistema nucleare di deterrenza domenica 27 febbraio. Una mossa che alimenta ancor più le tensioni feroci con la Nato e tiene viva l’ipotesi più temuta dalla comunità internazio-
disposizione Starlink (costellazione di satelliti di proprietà della società “SpaceX” per l’accesso a internet satellitare globale in banda larga a bassa latenza, ndr) per permettere al popolo ucraino di rimanere in contatto con tutto il mondo -. continua Gurri - Poi è arrivato Facebook, che ha messo a tacere i media russi, come anche Netflix e Youtube. Oltre all’Unione europea, che ha deciso di oscurare i canali di Stato controllati dal Cremlino. Finché l’Ucraina rimarrà in contatto con il mondo, vincerà la guerra delle informazioni. Mentre il potere mafioso di Vladimir Putin, che può avere solo presa mediatica nel suo Paese, non potrà fare nulla».
nale: un conflitto nucleare su vasta scala. «A gennaio era stato stipulato un patto tra le potenze di non usare l’atomica come minaccia. Ma Putin lo ha fatto, quindi ritorniamo a una situazione di guerra fredda», chiosa con palpabile amarezza sempre Candelari, a sottolineare l’ennesimo accordo internazionale non rispettato: il 3 gennaio di quest’anno, infatti, i “P5” del Consiglio di sicurezza dell’Onu avevano diramato un comunicato congiunto, in cui si riaffermava con forza l’esistenza delle armi nucleari come strumento utile solamente allo scopo di “scoraggiare l’aggressione e prevenire la guerra”. Obiettivo fallito, dunque, ed ennesima promessa andata in frantumi. Ma come ricorda lo stesso attivista: «Gli accordi di Minsk non li ha rispettati nessuno e la responsabilità va condivisa. Ma chi ha mosso i carri armati è uno solo».
A
Dnipro, in Ucraina, mancano le taniche per la benzina. La città a sud del paese, a circa 500 chilometri dalla capitale Kiev, si è in gran parte spopolata, e i contenitori sono andati a ruba. «Chi è scappato li ha portati con sé, perché non ci si può fermare lungo un percorso dove c’è guerra, e se non hai più la benzina è finita», dice Monica Perosino, reporter in Ucraina per La Stampa. Lei fa parte di un gruppo di sei giornalisti e operatori, e si trova nel Paese da circa un mese. «Siamo bloccati qui a Dnipro - dice - e da una settimana le nostre occupazioni sono due: il reporting e la ricerca di taniche». Anche la benzina è un problema perché, spiega Perosino «è razionata, puoi prenderne venti litri alla volta». L’inviata alloggia in un albergo in città, che era chiuso ma che ha riaperto per dare rifugio al gruppo di giornalisti. In un Paese in conflitto, gli inviati devono organizzarsi e pianificare ogni minimo spostamento. «Dipende dalla situazione sul campo - continua la reporter -, dobbiamo studiare mappe alla mano, ora per ora, quali sono le strade che stanno sotto i bombardamenti e quali, invece, sono sicure». Inoltre bisogna avere a disposizione diverse auto per poter partire. I convogli dei civili, sebbene improvvisati, devono resistere a un viaggio su lunghe distanze. «Noi abbiamo a disposizione un’auto con un’autonomia di 450 chilometri dice Perosino -, con questa quantità di benzina non possiamo andare da nessuna parte. E poi dovremmo riempire di carburante anche l’altro mezzo che abbiamo». Il motivo per cui servono più veicoli è che, in caso di emergenza, per esempio se si percorrono strade sotto bombardamenti, bisogna assicurarsi che almeno un mezzo sia disponibile per po-
3
ter ripartire velocemente. L’inviata mantiene il riserbo sul se e quando il gruppo riuscirà a uscire dalla città: «Sarebbe meglio non dire dei nostri piani di evacuazione, almeno fino a lunedì». Dnipro è anche in continua allerta per i bombardamenti russi ma, per fortuna, al momento non ci sono state vittime. Le chiese sono aperte per ospitare gli sfollati e la città è diventata famosa in tutta l’Ucraina perché chi è rimasto si sta preparando alla resistenza armata, specie dopo che le truppe russe hanno circondato Mariupol a sud-est del Paese e poco distante da Dnipro. La giornalista riferisce che «qui stanno comparendo barricate, uomini e donne armati, bambini che confezionano bombe molotov». Racconta che la maggior parte della popolazione ucraina si organizza a resistere senza nessuna bandiera ideologica: «Sento commenti dall’Italia che associano il nazionalismo
di queste persone ai gruppi neonazisti: ebbene, è una concezione molto occidentale e da salotto, lontana dalla realtà che si respira qui». La terra, infatti, continua ad avere per gli ucraini un alto valore simbolico ed esistenziale. «L’economia dell’area di Dnipro ruota intorno, oltre che all’industria, anche all’attività agricola. Chi vive qui percepisce l’invasione come un esproprio della principale fonte di sussistenza». La giornalista parla dell’aria che si respira per strada: «Hanno una forza d’animo incredibile. Tutti, dai bambini agli anziani, e persone di qualsiasi estrazione sociale, si stanno mettendo in gioco e non pensano al proprio tornaconto. Chiunque aiuta come può». Anche per chi viene da fuori, come gli inviati, c’è un occhio di riguardo: «Qualche giorno fa ero in cerca di una tanica - conclude Perosino - e un uomo in un mercato mi ha dato la sua. Mi hanno regalato anche un giubbotto antiproiettile».
RIMANERE AGGIORNATI Guerra in Ucraina: guida alle fonti d’informazione L’invasione russa in Ucraina ha riportato la guerra in Europa dopo settantasette anni. Un evento che ha monopolizzato l’attenzione mediatica di tutto il mondo e su tutte le piattaforme. In questo contesto, sentirsi sopraffatti dallo tsunami di informazioni è quasi inevitabile. Per navigare nel flusso continuo di notizie, senza cadere in notizie false o parziali, bisogna affidarsi a fonti autorevoli. Come già accaduto in passato, i social media sono diventati un luogo dove reperire aggiornamenti “minuto per minuto” da maneggiare però con cautela. Su Twitter, l’account dell’analista geopolitico Michael A. Horowitz (@michaelh992) è un buon modo per rimanere aggiornati sul conflitto, con notizie e video verificati. Allo stesso modo, la corrispondente da Mosca per il Financial Times, Polina Ivanova (@polinaivanovva) rappresenta una
fonte affidabile. In questo periodo, anche Instagram diventa fonte di informazione privilegiata dai più giovani. In questo caso, gli account da seguire sono quello di Will_ita e Torcha, che mettono insieme aggiornamenti e spiegazione delle notizie. Passando ai media più “tradizionali”, la testate estere da seguire con attenzione sono il Guardian e il New York Times, che offrono un’ampia copertura del conflitto. Le fonti sul campo sono essenziali, per questo il KievIndependent, quotidiano ucraino in lingua inglese, è utile per avere un punto di vista locale. In Italia, Il Post segue in tempo reale gli sviluppi dell’invasione, con approfondimenti e fotogallery. Mentre Cecilia Sala, inviata in Ucraina, ogni giorno racconta la guerra con il podcast “Stories”.
F.T.
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
PARLA IL FONDATORE DI ANONYMOUS ITALIA
«Russia, sempre più cyber»
Loreti: «Dal 2014 Mosca ha deciso di potenziare l’arsenale informatico» CREDIT: PEXELS
di Alberto Cantoni
Sicurezza informatica al primo posto
L
LE NUOVE ARMI
udovico Loreti è uno dei fondatori di Anonymous Italia, la costola nostrana del più noto collettivo di hacker indipendenti al mondo, nato negli Stati Uniti nel 2003 e tornato alla ribalta in questi giorni a causa dei vari attacchi a siti governativi e media russi dopo l’inizio del conflitto ucraino. Aveva appena 21 anni quando, nel 2013, finì agli arresti domiciliari per la sua militanza nel gruppo di cyber-attivisti in incognito. Oggi Loreti non ha più legami con Anonymous e si occupa di cybersecurity per un’azienda impegnata nella progettazione e sviluppo di servizi digitali. Con lui abbiamo parlato dello scenario globale legato alla sicurezza cibernetica, soprattutto sul fronte russo-ucraino. La Russia ha potenziato il suo arsenale cibernetico in chiave anti-ucraina a partire dal 2014, con l’inizio delle tensioni sul fronte del Donbass. Oggi è uno degli attori più forti? In Russia sono molto avanzati, specialmente sul fronte dei gruppi di hackeraggio Apt (Advanced Persistent Thread), vale a dire coloro che si occupano di attacchi su larga scala, in maniera invisibile e per periodi di tempo molto estesi. Ne è un esempio Conti Group (il collettivo di hacker filorussi che con l’invasione russa in Ucraina ha adottato una posizione apertamente a favore di Vladimir Putin, ndr). Molti gruppi paragovernativi di questo tipo sono proprio russi. Sono meno quelli americani: forse sono bravi e si fanno individuare meno facilmente, forse hanno scopi diversi e sono culture diverse. Se si guarda la parte Apt, sono più gruppi dell’Est: russi, cinesi, coreani, forse anche ucraini. Riuscire ad attribuire a un gruppo di hacker uno specifico Stato, a ogni modo, è piuttosto difficile. Può darsi che uno viva in Italia, uno a Londra e un altro per esempio in America. Gli Stati Uniti rimangono leader assoluti in questo senso?
Si sa: l’America a livello cyber è di gran lunga superiore. Nel 2013 Edward Snowden rivelò tante informazioni sui reparti segreti della Nsa, cose avanzatissime: gli americani potevano raggiungere qualsiasi persona, accedendo anche alla webcam dei portatili, tramite uno o due collegamenti. Erano già a quel punto quasi dieci anni fa. L’Unione Europea come si inserisce in questo contesto? Sicuramente oggi anche gli italiani, i tedeschi, i francesi e via dicendo si sono militarizzati a livello cyber. Ma l’Europa, almeno sulla carta, è sempre stata più “pacifista”, quindi
Guerra digitale dal Donbass agli Stati Uniti di A. C.
el febbraio 2014, con l’inizio N dell’occupazione russa in Crimea, un malware sviluppato da un
CREDIT: FLOURISH ALBERTO CANTONI
anche su questo fronte si è potuta permettere meno investimenti, e alcuni Paesi sono rimasti indietro.
ANONYMOUS ITALIA Nasce online a cavallo tra il 2010 e il 2011, sul modello Usa
CREDIT: PEXELS
ANONYMOUS ITALIA La storia degli attivisti italiani, nati online nel 2010 Prima la dichiarazione di guerra alla Russia, poi gli attacchi hacker e infine l’infiltrazione nelle tv e nei siti governativi di Stato. La spina nel fianco di Vladimir Putin sul fronte informatico si chiama Anonymous. Nato nel 2003 come collettivo di hacker coordinati online (o hacktivisti, come loro stessi si definiscono), accettano chiunque abbracci valori di libertà e giustizia e disponga delle competenze tecniche per dare un contribuito alle offensive informatiche. In Italia, la divisione nazionale del movimento è nata a cavallo del 2010 e 2011. Ma come? Di fatto, attraverso delle chat nazionali e internazionali. Ludovico Loreti è stato il creatore di quella italiana,
che ha visto la luce su un server Irc. Oltre alla chat generale però, ce n’era una seconda gremita da hacker e informatici più bravi: era il cuore pulsante dell’organizzazione, da lì si coordinavano. Però, come spiega Loreti: «Anonymous non esiste. Si tratta di un gruppetto hacker che si illude che si possa ricorrere all’illegalità per fare del bene. Noi creammo il canale Italy di Anonymous per colmare un vuoto. C’erano già state delle operazioni di Anonymous riguardanti l’Italia. Dal momento in cui abbiamo preso in mano la situazione abbiamo solo concentrato maggiormente l’immagine».
A. C.
4
C’è anche l’Italia? Faccio un esempio che restituisce il quadro: in America il 24 febbraio (il giorno dell’invasione ucraina, ndr) è stato proclamato un nuovo livello di allerta informatica chiamata “Shield Up” (“scudi alzati”): tutte le aziende americane hanno innalzato le difese informatiche. In Italia è avvenuta una cosa simile ma, non essendoci una grande cultura di sicurezza informatica, questo avviso è stato reso noto nei siti governativi ed è stato percepito solo da poche realtà, principalmente dalle banche. Perché, come stiamo vedendo con la Russia, sono le prime a essere a rischio e quindi tra le poche a essere sempre in contatto con gli aggiornamenti di cybersecurity. Insomma, anche in Italia l’avviso è arrivato a tutti, ma è stato recepito quasi solo da chi aveva gli asset più a rischio. In America questo genere di avvisi viene considerato vangelo da tutte le aziende, in Italia non succede. La maturità cibernetica di una nazione si misura anche da questi episodi. A ogni modo, anche da noi ci sono realtà interessanti: Yoroi per esempio, che a livello di thread intelligence – la materia che studia le minacce informatiche – sono molto avanti. Hanno analizzato Wiper, il malware usato dalla Russia contro l’Ucraina, in due giorni. Una cosa che di solito si fa in dei mesi.
gruppo di hacker del Cremlino permise di tracciare le unità di artiglieria ucraine. Un mese dopo, un attacco informatico riconducibile alla Russia provocò il blackout dell’infrastruttura di telecomunicazioni del Donbass nei giorni in cui i manifestanti filorussi occuparono alcuni palazzi governativi e si autoproclamavano indipendenti dall’Ucraina. È stato però il 2016 l’anno in cui l’escalation ha toccato il suo apice e Mosca ha dimostrato al mondo di essere in grado di condurre una guerra ibrida, in cui la linea di demarcazione tra cyberspazio e spazio reale fosse sempre più labile. Nel dicembre di quell’anno Ukrenergo – l’operatore della rete elettrica nazionale ucraina – venne colpito da un virus che provocò un blackout di diverse ore in una vasta area di Kiev. Un sabotaggio digitale che ebbe conseguenze pari a quelle che avrebbe potuto avere un atto ostile fisico. Ma la rincorsa agli “armamenti digitali” va ben oltre la vicenda ucraina. Il cyberspazio sta progressivamente diventando il principale campo di battaglia geopolitico degli Stati e detta sempre più l’agenda dell’innovazione tecnologica dei vari governi: le capacità informatiche si stanno configurando come strumenti del potere statale in grado di essere utilizzati contro gli avversari su scala internazionale. A essere prese strategicamente di mira sono state, negli ultimi anni, le risorse chiave e le infrastrutture critiche, come i grandi data center dei servizi sanitari o – in periodo pandemico – quelli relativi allo sviluppo di vaccini anti-Covid. Si tratta di una sorta di “chiamata alle armi” digitale: l’abilità che uno Stato ha nel sottarsi alle minacce informatiche si traduce nella sua capacità di garantire la sicurezza nazionale. In questo senso, pur in una prospettiva di pace e sicurezza collettiva, le rappresentazioni che dominano il dibattito geopolitico sono permeate da un alone di minaccia costante. In particolare, l’approccio statunitense si è distinto per un’escalation sia della retorica sia dello sviluppo sul piano tecnico. Il tutto, con una forza trainante ben chiara: la rivalità con la Cina.
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
Corsa allo spazio: il nuovo Far West
Gli Stati blindano le orbite con i satelliti, crocevia strategico per la conquista di pianeti vicini di Lorenzo Garbarino
IN SINTESI
•
Le orbite più basse sono già affollate di satelliti
••
Le informazioni raccolte dallo spazio sono il primo strumento per vincere le guerre
•••
La corsa allo spazio rischia di coagulare le spinte nazionaliste cinesi
so la loro forza è possibile approfittare di una specie di passaggio, necessario per risparmiare la potenza per punti più ostili.
P
er capire la guerra di domani basta alzare gli occhi al cielo: lo spazio è destinato a diventare il luogo fondamentale per colpire l’avversario sulla Terra, come ben sanno Stati Uniti e Cina, che da tempo hanno già posizionato i propri satelliti. Intorno alle orbite più basse, a circa duemila chilometri dalla superficie, troviamo uno strato densamente affollato da strumenti tecnologici con funzione di intelligence. Ci sono anche quelli puramente civili, come le telecomunicazioni o la meteorologia, ma non è sempre facile distinguere l’uno dall’altro, viste le caratteristiche di segretezza dei primi. È un campo dove anche Russia, India e Giappone cercano un posto al sole per non soccombere al progresso bellico degli avversari. PRIMA LINEA BELLICA
Le applicazioni militari in questo campo hanno già permesso di sviluppare i cosiddetti missili ipersonici, un’arma in grado di sorvolare l’aerospazio e colpire il nemico, superando i sistemi di difesa. Se dotata di testate nucleari, sarebbe in grado di spazzare via qualsiasi potenza ostile. Questo è comunque uno scenario futuro. Oggi lo spazio è il luogo dove si raccolgono informazioni, primo strumento per vincere una guerra, e i satelliti sono un alleato ormai indispensabile per gli eserciti, come Russia, Cina e Stati Uniti sanno bene da anni: i sistemi antisatellitari sono nati per contrastare gli avversari dall’alto, sabotare il trasferimento di informazioni diventa l’obiettivo delle potenze straniere.
L’AVVENTO DEI PRIVATI
CREDIT: LORENZO GARBARINO
UN CIELO AFFOLLATO Gli attori in corsa nella sfida spaziale del XXI secolo
POSTI DI BLOCCO
In questa corsa gli Stati Uniti interpretano lo spazio come il mare. Il controllo degli stretti e dei crocevia strategici limita le mire espansionistiche di Paesi come la Cina e territori come la Luna divengono di fondamentale importanza. L’errore che si commette è però immaginare lo spazio con infinita libertà di movimenti: anche qui esistono snodi tattici. Ci sono diversi luoghi raggiungibili dall’uomo, altri invece non sono ancora stati toccati perché il progresso tecnologico non è sufficiente per raggiungere destinazioni oggi raggiungibili soltanto con la fiction cinematografica. I razzi non sono abbastanza potenti per portare gli uomini in alcuni luoghi. La soluzione è nell’utilizzo delle orbite gravitazionali dei pianeti: attraver-
«IL VERO ERRORE È IMMAGINARE LO SPAZIO CON LIBERTÀ DI MOVIMENTO: MA ANCHE QUI ESISTONO SNODI TATTICI»
Usa, Cina, Big Tech e cavi sottomarini: le rotte sommerse della sfida digitale di Matteo Suanno
R
otte sommerse dal potenziale economico enorme e quasi inattaccabile. I cavi sottomarini, attraverso cui passa la maggior parte del traffico internet globale, potrebbero rappresentare un terreno competitivo per la geopolitica internazionale simile a quello che in passato furono le grandi vie del commercio marittimo e terrestre. Oggi circa il 97% dei dati digitali in circolazione – che si tratti di contenuti informali, transazioni finanziare e cessione di dati sensibili – viene trasferito per mezzo di grossi cavi posizionati sui fondali oceanici. Secondo alcune stime, sarebbero 426 quelli attualmente in funzione. Un’estensione complessiva pari a 1,2 milioni di chilometri, tre volte la distanza tra la Terra e la Luna. Chi
controlla i cavi, controlla l’accesso di un’area al traffico dati che passa su internet, determinando la “distanza” digitale di un luogo dal resto del mondo. Un meccanismo emerso chiaramente poche settimane fa, quando la rottura del Southern Cross Cable Network a Tonga ha messo in serio pericolo la comunicazione del Paese con l’esterno. Per gli Stati insulari del Pacifico, i cavi rappresentano un vero e proprio “cordone” con l’Australia e gli Stati Uniti, principali partner commerciali intenzionati a mantenere salda la propria influenza nell’area.
lavorando alacremente per insediare questo primato al più presto. Nel piano China Manufacturing 2025, il governo cinese ha messo nero su bianco la propria volontà di controllare il 60% dei cavi sottomarini da qui a quattro anni. Un progetto che può contare su 95 miliardi di dollari di investimenti. La fase operativa dei progetti è affidata a due delle più grandi aziende cinesi, la Hentong e la Huawei Marine, che hanno già realizzato il cavo sottomarino Peace, 12mila chilometri tra Francia e Pakistan, passando per il Golfo e il Corno d’Africa.
UN PRIMATO CONTESO
AZIENDE RAMPANTI
La competizione sui cavi cresce man mano che la transizione digitale si impone nell’agenda dei governi. Attualmente sono gli Stati Uniti a gestire più della metà dei cavi sottomarini del globo, ma Pechino sta
Non solo Stati, dunque, ma anche aziende assimilabili ai primi in quanto soggetti economici, guarderanno alle gare d’appalto per la progettazione e la posa di nuove reti sottomarine nel futuro. Al mo-
5
CREDITS: MATTEO SUANNO
VECCHI E NUOVI PROTAGONISTI Nella corsa geopolitica del futuro
Si comprende così l’importanza delle rotte spaziali, un valore riconosciuto oggi anche da settori privati. Jeff Bezos e Elon Musk sono solo un esempio degli imprenditori statunitensi che si sono lanciati nello sviluppo del settore spaziale, cui il governo americano ha contribuito, coinvolgendo il Pentagono. Un connubio pubblico-privato inimmaginabile invece per la controparte cinese. La Repubblica Popolare rimane uno Stato totalitario, dove ogni decisione passa dalle scelte intraprese dal Partito comunista, incarnato negli ultimi anni dalla figura di Xi Jinping. Si tratta di una forma di governo che ha limitato la crescita di multinazionali, evitando qualsiasi velleità di emancipazione statale: il caso di Jack Ma, inventore di Alibaba, è il caso più eclatante dell’intromissioni del partito. E ci sono altri problemi per Pechino, come uno spazio terrestre limitato, dove sviluppare la ricerca aerospaziale. Le postazioni per lanciare i razzi, se si escludono i supporti strategici offerti dall’eredità sovietica messi a disposizione dalla confinante Russia, sono esigui, soprattutto sul fronte marino, pattugliato costantemente da corazzate statunitensi che impediscono un effettivo accesso all’oceano. Questo, però, non frena le ambizioni cinesi: lo spazio può diventare l’obiettivo intorno a cui coagulare le spinte nazionalistiche nell’eterna corsa contro il rivale statunitense.
mento Google possiede l’8,5% dei cavi sottomarini, mentre Facebook e Amazon hanno lavorato a Jupiter, un cavo-ponte tra Stati Uniti e Asia. Una sfida a viso aperto tra pubblico e privato per questioni dalle dirette implicazioni geopolitiche, che aggiungerà nuovi livelli alla lettura dinamiche globali. Il protagonismo delle aziende le renderà portatrici di interessi particolari, talvolta divergenti rispetto a quelle degli Stati. Un esempio su tutti risale al 2016, quando l’amministrazione Trump dovette forzare il progetto iniziale del Pacific Light Cable Network, cavo per il passaggio della fibra ottica ideato da Facebook e Google che avrebbe dovuto unire gli Stati Uniti a Hong Kong. I timori allora erano di carattere strategico, dal momento che Washington temeva i rischi di spionaggio che l’eventuale approdo dell’infrastruttura in territorio cinese avrebbe potuto comportare. In quell’occasione, la linea saldamente anti-cinese di Trump prevalse, imponendo il dirottamento del progetto verso Taiwan e le Filippine.
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
MEDICI E GIORNALISTI ALLEATI
Suicidio, come raccontarlo
Perchè i media possono avere un ruolo fondamentale sui soggetti a rischio CREDIT: FINN BY UNSPLASH
di Chiara Vitali
L’effetto Papageno può aiutare
L
I DATI
a letteratura scientifica dimostra che il modo con cui i media raccontano le notizie di suicidio può avere un effetto protettivo o negativo sui soggetti a rischio». Chi parla è Chiara Davico, neuropsichiatra infantile all’ospedale Regina Margherita e ricercatrice all’Università di Torino. Da una sua intuizione è nato ad opera del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” il sito Papageno.news, uno dei primi portali in Italia che si occupa di informazione responsabile proprio sui casi di (presunto) suicidio.
Le narrazioni responsabili riducono i casi di C.V.
gni anno in Italia 4.000 persone O si suicidano. È un numero che supera le morti per incidenti stra-
Che cosa si intende quando si parla di “suicidio”, soprattutto tra gli adolescenti?
È un fenomeno molto complesso ed è difficile capire quali siano davvero gli elementi che entrano in gioco. Sicuramente incidono fattori genetici, psicologici, relazionali, di trauma e sociali, ma questo atto è sempre il risultato di tante cause che si intersecano. Nel nostro Paese il suicidio è la seconda causa di morte tra i ragazzi dai 15 ai 24 anni, dopo gli incidenti stradali. Purtroppo è molto difficile prevedere chi farà questo gesto, anche se ci sono alcuni campanelli d’allarme, come l’aver già compiuto un tentativo. Ci sono anche adolescenti che si sentono particolarmente fragili, soli, credono di essere un peso per gli altri e in qualche modo acquisiscono una competenza rispetto all’atto di farsi del male e di uccidersi.
CREDIT: TIM MOSSHOLDER
PROGETTO PAPAGENO Presentazione del nuovo sito a Torino, il 1° marzo 2022
Che effetto ha avuto la pandemia sul fenomeno?
C’è stato un aumento evidente dei tentativi di suicidio messi in atto dai ragazzi, è un problema anche per noi professionisti perché non sappiamo come aiutarli: sono troppi rispetto alla nostra capacità di assorbire e gestire le loro situazioni. Ma già prima della pandemia diversi studi americani e anglosassoni, e anche la nostra esperienza clinica, avevano evidenziato un peggioramento della salute mentale degli adolescenti. La pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, i ragazzi oggi in generale non stanno bene. È un fenomeno che deve interrogarci profondamente e di cui dobbiamo occuparci soprattutto a livello di prevenzione, che deve coinvolgere il singolo, le famiglie, la scuola, le comunità, ma anche le scelte politiche. Che effetto ha il racconto dei suicidi sui soggetti a rischio?
Il modo con cui i media raccontano le notizie di suicidio può avere un effetto negativo o protettivo su di loro, lo dicono ormai diversi studi scientifici. Nel primo caso si rinfor-
CREDIT: FUTURANEWS
PAPAGENO.NEWS Il nuovo portale per l’informazione costruttiva Medici e giornalisti si sono alleati per dare vita al sito internet Papageno.news, una delle prime piattaforme in Italia che si occupa di informazione responsabile e costruttiva sul tema del suicidio, con una particolare attenzione agli adolescenti. Il progetto è il frutto di una collaborazione interna all’Università di Torino, tra il Dipartimento di Scienze della Sanità pubblica e Pediatriche, in particolare la Neuropsichiatria infantile, e il Master di giornalismo “Giorgio Bocca”. Ha ricevuto il sostegno della Fondazione Specchio dei Tempi e il patrocinio del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Regole, errori da evitare, buone pratiche di narrazione: Papageno.news vuole
essere una bussola a servizio dei professionisti dell’informazione e di tutti coloro che decidono di commentare o raccontare una situazione che tocca il tema del suicidio. Il sito raccoglie anche interviste di esperti e testimonianze di associazioni e persone che si sono trovate a contatto con il fenomeno. Il suo nome, Papageno, è usato dalla letteratura scientifica proprio per indicare le potenzialità dei media di ridurre la tendenza al suicidio nei soggetti più fragili, grazie a narrazioni corrette, capaci di restituire la complessità del fenomeno e di fornire storie di guarigione e cura.
C.V.
6
za la convinzione che il suicidio sia l’unica via per uscire dalle difficoltà, e potenzialmente un modo per diventare famosi, per avere vendetta o redenzione rispetto a un percorso di vita faticoso. Nel secondo caso, all’opposto, i media possono raccontare esperienze di guarigione e offrire concretamente modalità di accesso ai servizi di aiuto, ad esempio lasciando al fondo degli articoli le indicazioni complete su come trovare assistenza. Certo, oggi la stampa è solo uno dei modi con cui gli adolescenti si informano, ma forse iniziare a fare cultura su questo mezzo può innescare un cambiamento a cascata anche sugli altri media, lentamente e nel tempo. Cosa possono imparare i giornalisti dalla vostra esperienza in ospedale?
Spero possano capire che dietro a ogni suicidio c’è sempre una complessità di elementi, e che quindi bisogna essere molto attenti nel fornire un’unica motivazione per un comportamento così grave. Ci può essere la goccia che fa traboccare il vaso, come un brutto voto a scuola, una rottura con il fidanzato, un litigio con i genitori, ma sono elementi che abitualmente capitano a tanti senza creare conseguenze. La complessità del fenomeno può stimolare i giornalisti a fornire narrazioni approfondite, che rendano i cittadini più consapevoli e capaci di considerare la salute mentale come priorità, al pari della salute fisica.
dali (3.000), quelle per incidenti sul lavoro (1.500) e per omicidio (300). Lo raccontano i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, che spiegano anche la distribuzione del fenomeno nella popolazione: le morti autoinflitte riguardano soprattutto le persone di sesso maschile (nel 2016 la percentuale era stata del 79%). Nella popolazione femminile, invece, c’è un’incidenza maggiore di tentativi di suicidio, ovvero di atti compiuti con la finalità di morire che però non terminano con la morte. I suicidi colpiscono poi in misura superiore chi vive nelle regioni del nord. Ma esiste un modo di prevenirli? Per l’Organizzazione mondiale della Sanità la risposta è «sì»: la prevenzione del fenomeno rientra tra le «priorità in termini di salute pubblica», tanto che nel suo Mental Health Action Plan 2013-2030 l’Oms si è posta l’obiettivo di ridurre di un terzo il numero globale dei suicidi entro il 2030. In questo, un ruolo importante lo giocano anche i media: tra le pratiche di dimostrata efficacia per la riduzione del fenomeno, l’Oms indica la diffusione di modalità responsabili di racconto delle notizie di morti autoinflitte. Numerosi studi scientifici hanno ormai dimostrato che proprio il modo di raccontare di una notizia di (presunto) suicidio può scatenare nei lettori a rischio un effetto “Werther”, emulativo, o un effetto “Papageno”, protettivo. Nel 2014, ad esempio, il suicidio di Robin Williams venne raccontato dai giornali nel dettaglio, spesso in modo romanzato o sensazionalistico e con riferimenti espliciti ai metodi utilizzati per morire. Nei mesi successivi il numero di suicidi negli Usa crebbe del 9%. Viceversa, le storie di recupero e guarigione possono avere l’effetto di accompagnare i soggetti a rischio verso una richiesta di aiuto. Un effetto “Papageno” si vide a Vienna negli anni Ottanta: la città stava affrontando un grave picco di suicidi nella sua metropolitana. Un tavolo di lavoro tra la stampa e gli enti sanitari ideò precise linee guida proprio per la narrazione di quei suicidi, sino alla decisione di non raccontarli più. In pochi mesi, il loro numero calò del 75%.
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022
ENDOMETRIOSI: LA PATOLOGIA IGNORATA
«Nessuno mi credeva, ero presa per pazza Invece ero malata» Colpita una donna su dieci: la storia di Alessia Astolfi di Ludovica Merletti
IN NUMERI
3
Milioni le donne italiane affette da endometriosi
8
Anni in media per ricevere una diagnosi corretta
27
L’età media delle donne che ricevono la diagnosi
P
er la mia ginecologa i sintomi non erano veri, diceva che li ingigantivo per attirare l’attenzione. Ti porta a pensare “ma allora non sono dolori reali, me li sto creando io”». Alessia Astolfi ha trent’anni, da quando ne ha dodici convive con l’endometriosi. L’endometriosi è una patologia cronica, caratterizzata dalla presenza anomala all’esterno dell’utero di tessuto endometriale, una mucosa di rivestimento, normalmente presente nella cavità interna dell’utero. Colpisce circa una donna su dieci in età riproduttiva: in Italia si stima che siano circa tre milioni le donne malate, quasi duecento milioni nel mondo. «È una malattia dolorosissima, che porta a molte conseguenze, tra cui l’infertilità, ma non solo». Uno dei sintomi registrati è un dolore cronico e persistente, nel periodo delle mestruazioni – che aggravano i sintomi – ma anche durante orinazione e defecazione, che spesso sono accompagnate da perdite di sangue. Un altro sintomo comune è il dolore durante i rapporti sessuali: «L’endometriosi viene anche definita la malattia allontana-mariti». Non esiste una cura, solo trattamenti per alleviare i sintomi, come la terapia ormonale tramite l’assunzione della pillola anticoncezionale. Non è il caso di Alessia. È costretta ad assumere antidolorifici molto pesanti, prima soltanto durante le mestruazioni, ora invece deve prenderli sempre, o «non starei in piedi». Soprattutto, Alessia deve convivere con un sacchetto attaccato a un rene: «Sentirsi dire a trent’anni che l’unica soluzione è vivere così… per questo l’unica alternativa che mi si prospetta è l’intervento». Quello in programma il 31 marzo sarà l’ottavo intervento chirurgico a cui dovrà sottoporsi: «Verrà un medico dall’estero, perché anche nei centri specializzati non si azzardano, vista la gravità del caso». UNA DIAGNOSI DIFFICILE
Alessia gira medici da quando aveva dodici anni, in cerca di risposte: «Avevo vomito, svenimenti durante le mestruazioni. I miei esami però erano perfetti, quindi automaticamente ero pazza». Uno dei problemi dell’endometriosi è proprio la difficoltà nel riconoscerla: «A sedici anni la mia ginecologa – tra l’altro anche lei affetta da endometriosi – mi ha prescritto degli psicofarmaci. I medici mi dicevano che non volevo andare a scuola, che non ave-
CREDIT: ALESSIA ASTOLFI
LE CONSEGUENZE DI UNA MALATTIA POCO CONOSCIUTA A soli 30 anni Alessia Astolfi deve vivere con una sacca attaccata al rene TELEFONO GIALLO 800 189 411 Attivo dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 19
vo amici. Invece di amici ne avevo tantissimi. Mi dicevano che volevo attirare l’attenzione». Secondo la Fondazione italiana endometriosi, in media ci vogliono tra i sette e gli otto anni per ricevere una diagnosi. Per Alessia ce ne sono voluti cinque: «Il mio attuale ginecologo mi ha dato la diagnosi a diciassette anni. È stato un miscuglio di emozioni, ero molto sollevata perché finalmente sapevo cosa combattevo, il nemico aveva un nome». Per riconoscere e trattare la patologia bisogna rivolgersi a centri specializzati e non esistono esami specifici in grado di riconoscerla. Alessia ogni volta che ha bisogno di
una risonanza magnetica deve partire da Torino e andare fino a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova: 520 chilometri tra andata e ritorno. Per gli esami del sangue, invece, vengono usati dei marcatori tumorali, che normalmente servono per la diagnosi del cancro all’ovaio. Quelli di Alessia sono perfetti, come le ecografie transvaginali: «Nel mio caso l’endometriosi è molto profonda, va a coinvolgere anche i nervi, quindi non si vede nulla». UNA VOCE PER LE DONNE
Per questo l’anno scorso è nata l’esigenza per Alessia e la sua amica Vania Mento di fondare un’associa-
zione: La voce dell’endometriosi. «Il nostro obiettivo è quello di supportare le donne, aiutarle a non arrendersi». Una delle loro iniziative più importanti è il Telefono giallo: «Ovviamente non diamo consigli medici. Diamo appoggio e consigliamo il centro più vicino a cui rivolgersi». La maggior parte delle chiamate viene da ragazze, qualcuna anche da donne di quaranta, cinquanta anni. Spesso hanno passato gran parte della loro vita nel dolore senza saperne il motivo: «C’era tanta ignoranza, non se ne parlava. Quando dall’altra parte c’è qualcuno che ti capisce è tutto un po’ più semplice».
JUST THE WOMAN I AM
Sei milioni di passi per la ricerca oncologica di L.M.
IN SINTESI
•
È la nona edizione di Just the woman I am
••
In piazza San Carlo stand, esami, conferenze
•••
La corsa di 5 km al via il 6 marzo
arà una bella esperienza: troS varsi insieme, dopo due anni di pandemia, in una città che abbiamo
vissuto così poco. Soprattutto ora che le notizie dal mondo non sono confortanti». Just the woman I am, l’iniziativa per la ricerca e la prevenzione delle malattie oncologiche femminili, è giunta alla nona edizione. Per Chiara Ghislieri, docente di Psicologia del lavoro all’Università di Torino, sarà la quarta partecipazione, la prima dall’inizio della pandemia. Correrà, o meglio, camminerà – «per correre ci vuole allenamento», scherza – con un gruppo di colleghe e colleghi di Unito, che come lei studiano questioni di genere. «È un’occasione per portare alla luce temi legati alle specificità e alle disparità di genere», anche per un pubblico di «non addetti ai lavori».
7
Dalla prima edizione, nel 2014, sono stati compiuti 6 milioni di passi, dagli oltre 100mila partecipanti alla corsa di 5 chilometri. Quest’anno si aggiungeranno, oltre a quelli di Chiara, i passi di altre 16mila persone, che correranno a Torino e in tutta Italia. Sarà possibile come nel 2021, infatti, participare alla manifestazione anche in modalità “virtual”, scegliendo in autonomia il percorso e l’orario della propria 5 chilometri personalizzata. La partenza, per chi parteciperà in presenza, invece, sarà domenica 6 marzo alle 16 da piazza San Carlo. La corsa sarà solo il culmine di una tre giorni di eventi, dal 4 al 6 marzo sempre in piazza San Carlo: incontri di sensibilizzazione, seminari informativi, stand delle associazioni. Non solo, sarà possibile anche effettuare visite di prevenzione: saranno disponibili una decina di test diversi, grazie al patrocinio dell’Asl
Città di Torino. «Dopo la pandemia si è sviluppato un senso di diffidenza delle persone per gli ospedali – ha sottolineato Carlo Picco, direttore generale dell’Asl, alla conferenza stampa di inaugurazione dell’evento – Per questo sono importanti queste iniziative che riavvicinano la gente alle strutture. Just the woman I am è una delle più belle». I fondi raccolti saranno investiti in assegni di ricerca, che riguarderanno non solo l’aspetto medico delle malattie oncologiche. Sia l’Università sia il Politecnico di Torino hanno individuato altri due macrotemi di ricerca: la vita e il benessere al di fuori dal quadro clinico delle pazienti con tumore alla mammella, da un lato; la riduzione del gender gap nelle discipline Stem, con l’obiettivo di rendere le ragazze protagoniste dell’evoluzione ingegneristica per la cura delle patologie femminili, dall’altro.
FUTURA MAGAZINE #4 – 4 MARZO 2022 8 MARZO E OLTRE
DAL 4 AL 17 MARZO
Al Circolo il verbo è donna
GLI APPUNTAMENTI a cura di Matteo Suanno
di M.S.
S
MUSICA
EVENTI
Jimmy Sax esordisce in Italia
Pagine nuove a San Salvario
Abbiamo tutti in testa i suoi trapananti assoli di sax. “No man no cry” ha fatto conoscere Jimmy Sax nel modo, candidandolo per direttissima al titolo di artista sforna-hit del del futuro. Ora arriva al Teatro Colosseo, da cui saggerà il pubblico nostrano. Dallo stile
Aprirà sabato la nuova liberira Belleville di Piazza De Amicis. Una spinta all’ offerta culturale di San Salvario, con un catalogo vasto e eterogeneo: narrativa, gialli, noir, letteratura per ragazzi e non solo:«Spero si crei un luogo di aggregazione culturale, uno spazio per
eccentrico e ricercato, l’oltremodo carismatico sassofonista dalla camicia sbottonata è pronto a immergerci nel suo sound contagioso. Un frullatore di sonorità frizzante e cosmopolita, una volta deep-house, una volta funky ed electro. Biglietti a partire da 29 euro.
5 marzo, ore 21 - Teatro Colosseo
fare incontri con gli autori, rappresentazioni, letture e seminari», ha raccontato la titolare, Paola Tombolini. Ma Belleville non tralascerà, a detta della titolare anche quegli aspetti underground e pop generalmente meno battuti, anche dalle librerie indipendenti.
Apertura sabato 5 marzo - piazza De Amicis, 80/E
CINEMA
FOTOGRAFIA
“La notte della Repubblica” a Comala
Frida negli scatti di Nickolas Muray
Rispolverare, attraverso il cinema, la memoria dei difficili anni Settanta. La rassegna “La notte della Repubblica” porterà negli spazi dell’area ex Westinghouse sei incontri che saranno occasione per ripercorrere alcune delle tappe che hanno segnato un momento delicato
Frida Kahlo è un’icona, prima che un’artista. A creare sulla pittrice messicana questo alone magnetico di resistenza fragile e potente alla vita, sono state, negli anni, le fotografie dal suo amico e amante Nickolas Muray. Sessanta di questi scatti saranno
per la storia del nostro Paese. Dopo la proiezione di “Avvocato! Il processo di Torino al nucleo storico delle Brigate Rosse”, tenutosi in quello che oggi è il salone polifunzionale di Comala, lunedì sarà la volta di “Mio fratello è figlio unico” di Daniele Lucchetti. Ingresso libero.
Fino al 27 marzo - Associazione Comala
esposti, da sabato, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. Il fotografo ungherese porta a Torino parte di una collezione incentrata sulla carriera della Khalo, senza tralasciare quegli episodi personali che hanno caratterizzato la sua arte nel tempo. Biglietti interi a 16 euro,
Dal 12 marzo al 5 giugno - Palazzina di Caccia di Stupinigi
L’OMAGGIO A PASOLINI
Cent’anni di Pasolini, genio immortale Il Cinema Massimo dedica un mese intero a Pier Paolo Pasolini nelle settimane che ci porteranno al 5 marzo 2022, giorno in cui ricorreranno i cento anni dalla sua nascita. Per ricordare il grande intellettuale, giornalista, scrittore e cineasta, il Museo Nazionale del Cinema propone, dall’1 al 30 marzo, il ciclo “PPP100”. Iniziato con la visione di “Accattone”, prima prova in regia di Pasolini, il mese-evento proseguirà con “Il Vangelo secondo Matteo”, in cui il regista fa emergere l’idea della morte, e “Edipo Re”,
uno dei suoi film più autobiografici. A collaborare all’evento sarà la Cineteca di Bologna, che ha restaurato la maggior parte dei suoi film e che si arricchirà poi nel mese di aprile con il Lovers Film Festival. L’intenzione della rassegna, composta in totale da nove film, è di mostrare un cinema imprevedibile, frutto della volontà di creare un dialogo diretto e senza filtri con con gli spettatori, portandoli all’interno di scelte filmiche ed estetiche non facili, sempre capaci di disorientare e irritare.
FOTO: FLICKR
Fino al 31 marzo - Cinema Massimo
IL COLOPHON Futura è il periodico del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino Registrazione Tribunale di Torino numero 5825 del 9/12/2004 Testata di proprietà del Corep Direttore Responsabile: Marco Ferrando Segreteria di redazione: Sabrina Roglio Progetto Grafico: Nicolas Lozito Impaginazione: Federica Frola
arà un marzo dedicato alle donne quello che animerà le sale del Circolo dei Lettori. Mercoledì 2 marzo è iniziata la rassegna “Tutte insieme. Pensieri, corpi, voci”, con un programma che promette di condurre i curiosi verso il nocciolo intimo del sentire femminile, quello che, levata la scorza degli stereotipi, ci mostra l’essere donne in ogni forma e sfaccettatura: «Il femminile non è solo privazione - spiegano gli organizzatori - esiste un’alchimia di sapienza e sentimenti tutti da scoprire». Tutto al femminile è anche il programma scelto dal Circolo, che ha già portato a Torino Guadalupe Nettel, scrittrice messicana autrice del commovente “Il corpo in cui sono nata”, un viaggio di accettazione e di rivelazione del lato più inquitante dell’infanzia, affrontato comunque con una vena umoristica vincente. Martedì 8 marzo sarà la volta del secret show, “Il tempo delle donne a Torino”. In questa cornice, le firme del Corriere della Sera intervisteranno voci del panorma culturale del nostro Paese, ma per ora di più non si sa. Se siete curiosi, questo fa al caso vostro: lasciatevi stupire dalle tre serate a sorpresa. Si continua il 9 marzo con Giualia Muscatelli che, ripescando per i grandi occhiali spessi la “Ugly Betty” dell’omonima serie Tv americana, ci porta a spasso con una riflessione sulla “bruttezza” femminile, e su come il modo di raccontare l’adesione o meno ai canoni di bellezza cambi nel tempo attarverso serie Tv come “Pose” o “Euphoria”. Per tutto marzo, poi, non si fermeranno le presentazioni editoriali, con ospiti come Emanuele Trevi, Dacia Maraini e tanti altri. Il 21 marzo, due eventi celebreranno la “Giornata Mondiale della Poesia”. Spazio infine a una doversoa discussione sulla situazione del fronte orientale con gli analisti di Limes e i loro ospit, che ci parleranno di Russia, Usa e Europa, mentre a far suonare Palazzo Graneri ci penseranno, a fine mese, Roberto Angelini e il violinista Rodrigo d’Erasmo.
Redazione: Alessandro Balbo, Lorenzo Bonuomo, Alberto Cantoni, Giulia D’Aleo, Chiara Dalmasso, Davide Depascale, Edoardo Di Salvo, Silvia Donnini, Lorenzo Garbarino, Alberto Gervasi, Nicolò Guelfi, Ludovica Merletti, Cosimo Giuseppe Pastore, Luca Pons, Elisabetta Rosso, Giuseppe Luca Scaffidi, Matteo Suanno, Federico Tafuni, Raffaella Elisabetta Tallarico, Chiara Vitali. Ufficio centrale: Giulia Avataneo, Sandro Bocchio, Alessandro Cappai, Luca Indemini, Paolo Piacenza, Matteo Spicuglia, Maurizio Tropeano. Segreteria di redazione: giornalismo@corep.it
8