6 minute read
Pagine 2 e
CREDIT: RAFFAELLA TALLARICO
2020 il tasso di disoccupazione era del 24,1%, circa sei punti in più rispetto a quello dei coetanei (18,6%). Per la fascia under 35 spicca il dato del tasso di disoccupazione che è superiore alla media regionale e, nel caso delle donne, alla media nazionale (23,7% contro il 24,1% di Torino). Il gap rimane anche per il lavoro dopo il percorso universitario: secondo il rapporto Alma Laurea 2021, a un anno dal conseguimento del titolo, negli atenei torinesi trova un’occupazione il 45% delle donne, 3 punti in meno rispetto agli uomini (48,25%).
Advertisement
LA SFIDA DEL PNRR
Scattata la fotografia, il finale rimane aperto. Il 14 dicembre è stata inaugurata la Cabina di regia tra Regione, Comune e gli atenei torinesi per la gestione dei 4 miliardi in arrivo tra fondi strutturali europei e risorse del Piano Nazionale di ripresa e resilienza. I settori di intervento sono sei: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, infrastrutture per mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione sociale e salute. Andrà messa a punto la fase di progettazione e predisposizione dei bandi per poter accedere ai fondi. Tra le pieghe dei settori, tocca capire quale spazio ci sia per le politiche di rilancio dell’occupazione giovanile e di riduzione del gender gap.
CREDIT: MAURO MUSARRA
rienza pluriennale alle spalle. L’obiettivo, oltre a quello di aiutare gli altri, è anche di poter disegnare da soli il nostro futuro». Un futuro che, la maggior parte di loro, sta costruendo a centinaia di chilometri da casa. «Ho scoperto che sono del nord-ovest due delle quattro startup più innovative d’Italia. Mi ha fatto riflettere, perché è vero che come gruppo abbiamo sede a Torino, ma due di noi sono siciliani, due campani e uno è pugliese. E al momento siamo e rimaniamo in Italia, ma non escludo che prima o poi potremmo andare via». Il progetto è ancora in fase di perfezionamento e sarà totalmente attivo solo dal 2022. La prossima tappa potrebbe essere quella di estendere il campo d’azione della piattaforma: «L’intenzione è prendere accordi anche con gli editori, per facilitare l’accesso ai libri di testo. Un’altra idea in cantiere è cercare di coprire tutti i tipi di disturbo, come la discalculia, realizzando applicazioni che accompagnino nella risoluzione di esercizi matematici, che aiutino a ragionare, a svolgere i compiti assegnati».
CREDIT:SONIA BERTOLINI
L’INTERVISTA
IN NUMERI
41,8
Percentuale di crescita dei cervelli in fuga
33,8
Percentuale di disoccupati tra i giovani
Sussidio per l’autonomia così aiutiamo i ragazzi
di Nicolò Guelfi
Il lavoro giovanile è una foresta piena di insidie dove è difficile districarsi. Sonia Bertolini, docente di Sociologia del Lavoro all’Università di Torino, ci indica una via: il sussidio per l’autonomia giovanile.
Si parla molto di flessibilità. Cosa s’intende con questo termine?
La flessibilità nasce in un contesto in cui alcune forme contrattuali prevedono meno diritti. In Italia, le tutele sono legate al contratto a tempo indeterminato. Quando sono state introdotte le nuove forme contrattuali atipiche, non ne è conseguita una riforma degli ammortizzatori sociali. Poi ci sono i diritti futuri, come le pensioni: se pago poco i giovani, avranno pensioni basse. In molti Paesi c’è l’indennità di disoccupazione per chi cerca il primo impiego. Da noi non esiste, ma permetterebbe ai giovani di cercare impieghi migliori, senza gravare sulle famiglie.
Esattamente in cosa consiste questo tipo di indennità?
Al termine “indennità” preferirei quello di “sussidio per l’autonomia giovanile”. Le indennità in Italia sono costruite secondo un principio assicurativo: solo chi ha versato contributi ne ha diritto. Non esiste una misura qui che dia copertura a un giovane tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro. In Svezia e in Germania invece sì. L’idea alla base è che più un giovane può attendere per cercare lavoro, maggiori sono le possibilità di trovare un posto che rispecchi le sue qualità. La misura ha molti pregi: costi contenuti, un obiettivo mirato e una durata circoscritta, circa un anno di transizione post-laurea o diploma. Assicura un reddito di base, ma condizionato alla ricerca di un lavoro. Potrebbe inoltre servire a pagare l’affitto, lasciando così la famiglia di origine per andare a vivere in una nuova città.
Ma a chi andrebbe pagato? E a quanto dovrebbe ammontare?
Il sussidio potrebbe essere destinato ai giovani sotto una certa età, diciamo 29 anni. La cifra erogata varia a seconda dei Paesi, ma equivale al salario minimo sindacale. In Italia si potrebbe pensare a 800/900 euro mensili.
Negli altri Paesi quali effetti ha portato?
Germania e Svezia hanno tempi e modi di ingresso nel lavoro molto brevi e favorevoli. C’è meno mismatch. Da noi i giovani sono spesso troppo qualificati per i lavori che vanno a svolgere, provocando frustrazione. Il sussidio permetterebbe a un giovane che entra in un’azienda di essere formato e ricevere una retribuzione adeguata. In Germania, ad esempio, insieme ad altri incentivi, ha portato tempi d’ingresso più brevi, minori tassi di disoccupazione giovanile e, soprattutto, un’occupazione migliore e più soddisfacente.
Come si giustifica l’idea di dare
LETTURE CONSIGLIATE ai giovani dei soldi senza lavorare?
Gli studi mostrano che poter attendere riduce il disagio. Costa a monte, ma si guadagna a valle: ci sarebbero meno disoccupati (che chiedono sussidi) e i giovani sarebbero più soddisfatti e produttivi. È come una piccola leva che produce grandi effetti nel medio periodo, tra cui aumentare l’autonomia e diminuire la precarietà giovanile.
Rapportarsi con i modelli del passato è difficile. Questo stato di precarietà è destinato a collassare o nasceranno nuove forme di lavoro sostenibili?
È una sfida. I giovani fanno fatica a immaginare un futuro diverso da quello dei loro genitori. La famiglia in Italia ha il ruolo di ammortizzatore sociale, ma fa sviluppare poca autonomia. Il periodo pandemico però potrebbe essere un momento di svolta. I giovani non danno più tutto per scontato e vogliono disegnare un avvenire diverso. Quello che serve è il supporto da parte delle istituzioni affinché questo accada.
«Lavoretti» di Andrea Staglianò
La grande ruota panoramica del capitalismo non si ferma mai, ma solo pochi eletti possono salirci sopra e farci un giro: questo Andrea Staglianò lo racconta benissimo in “Lavoretti. Così la sharing economy ci rende tutti più poveri”, il libro edito Einaudi che ripercorre l’inesorabile processo di svuotamento del lavoro. Quel che resta del Welfare State rischia di essere cancellato dalla sharing economy: la società si sta impoverendo progressivamente a causa di quei meccanismi legali, ma immorali, che mettono in crisi lo stato sociale. Per esempio Uber che minimizza le proprie tasse andandole a pagare in Irlanda. Parte dagli anni 80 e vuole spiegare come il valore del lavoro ha cominciato a degradare rispetto al capitale. Staglianò ripercorre gli snodi cruciali: il pugno d’acciaio di Reagan contro i controllori di volo, la guerra della Thatcher ai sindacati, la delocalizzazione. Il risultato è un collage di disuguaglianze, elusioni fiscali, insostenibilità del welfare e, ovviamente, lavoretti. L’autore tasta in profondità le ferite dello sfruttamento, quelle, come sottolinea, che sono coperte dalla retorica ingannevole delle narrazioni tecnico-ottimistiche. Il libro mette a nudo un capitalismo selvaggio e racconta le nuove frontiere della precarietà, «ma non siamo condannati, quello che serve è una politica capace di governare questi fenomeni», sottolinea Staglianò. Il punto è che, se non si vuole cadere nel paradosso del capitalismo, prima o poi, su quella ruota panoramica ci devono salire tutti.