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GIANCARLO MARIA BREGANTINI GIOVANNI PANETTIERE
UN VESCOVO FRA TERRA E CIELO Dialoghi sulla Chiesa in uscita
Prefazione
di Guido Mocellin
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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2015 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6099-267-3 Stampa Litografia de “Il Segno dei Gabrielli editori” San Pietro in Cariano (VR), Giugno 2015 Per la produzione di questo libro è stata utilizzata esclusivamente energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ed è stata compensata tutta la CO2 prodotta dall’utilizzo di gas naturale.
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INDICE
Prefazione di Guido Mocellin
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primo incontro Campobasso, 28 novembre 2013
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Quattro chiacchiere con papà
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Un vescovo dal volto umano
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Sulle tracce di Dio
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Quei gatti di Curia
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«A chi interessa un libro su di me?»
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L’incontro con il Padre
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La madre del sapere
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Il mistero della morte
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Il giudizio universale
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La dannazione eterna
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L’inferno dentro di noi
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La vocazione sacerdotale
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Una donna per amico
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«Rafforzare il ruolo delle donne nella Chiesa»
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Il potere che non esalta
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«Diaconato femminile? Parliamone»
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Tutti uguali nella Chiesa
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Un bomber di nome Bergoglio
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Il Sinodo sulla famiglia
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Capire l’Humanae vitae
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«Ti accompagno in stazione»
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SECONDO INCONTRO Campobasso, 24 febbraio 2014
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Il Molise in tavola
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Icone nel borgo
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Don Nunzio
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Cercasi svolta democratica
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Il mito dell’uniformità
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Cei, ipotesi di riforma
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Venticinque anni in Calabria
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L’ineluttabilità del male
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«Si può cambiare»
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La scomunica ai mafiosi
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La strage di Duisburg
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Da Locri a Campobasso, un trasferimento doloroso
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Elogio di Emma Bonino
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«Via libera allo ius soli»
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Le strade dell’integrazione
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«Accogliamo i conviventi»
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Battesimo e fede identitaria
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«Basta pregiudizi sui gay, ma...»
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La ditta di Gesù, Giuseppe e Maria
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Sulle orme dei preti operai
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Il ricordo di Helder Camara
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Il vescovo rosso
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«Papa Francesco non è marxista: è autenticamente evangelico»
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Precari e Provvidenza
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I giovani motore della Chiesa
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TERZO INCONTRO Campobasso, 25 ottobre 2014
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Perso fra i tornanti
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Il vescovo clown
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Meditazioni di un pastore d’anime
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I crocifissi della terra
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L’uscita dal cono d’ombra
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La Cenerentola d’Italia
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Il Papa in Molise
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Francesco nella “Casa degli angeli”
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Un regalo dal Papa
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La siesta
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La salute di Bergoglio
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Cei, a piccoli passi verso la riforma
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Tre nomi per un presidente
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Confronto e unità nell’episcopato
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Come Gesù con la Samaritana
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Il ruolo dei divorziati risposati nella Chiesa
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«Solo chi porta la pace nel mondo è degno di chiamarsi uomo»
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La Terza guerra mondiale
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Fermare l’aggressore ingiusto
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San Francesco e il lupo di Gubbio
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«Sconfiggere il fondamentalismo dai banchi di scuola»
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Non un addio
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«PRECARIATO E USURA, ECCO LA VIA CRUCIS DEI NOSTRI GIORNI» Le meditazioni dell’arcivescovo Bregantini
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PREFAZIONE di Guido Mocellin
Nel film Benvenuto Presidente!, una lieve commedia con Claudio Bisio uscita proprio nei giorni dell’elezione di papa Francesco, un uomo comune, divenuto per caso presidente della Repubblica, si guadagna un’immensa popolarità a motivo dei suoi modi diretti e informali, che rifuggono dai privilegi e dalle ostentazioni di chi occupa i posti di comando. Qualcosa di simile è accaduto quando il card. Jorge Mario Bergoglio è salito al soglio di Pietro: tanto che, mentre ha ammirato lo stile schiettamente evangelico con il quale esercita il pontificato, la sua profonda semplicità, la sua mite determinazione, l’opinione pubblica meno attrezzata si è subito chiesta se davvero quest’uomo non sia venuto «dalla fine del mondo», nel senso di rappresentare una specie di “alieno” entrato non si sa come nei ranghi dell’episcopato cattolico e del Collegio cardinalizio, e di lì chiamato addirittura a fare il «vescovo di Roma». «Non è così», dicevo agli amici che, sapendomi appassionato di cose ecclesiali, mi chiedevano dell’arcivescovo di Buenos Aires. Sono consapevole infatti che, tra i pastori che guidano le Chie9
se dei cinque continenti, ce ne sono degli altri, di “Bergoglio”; anche in Italia. E sono uomini delle istituzioni, non solo dei carismatici: uomini di governo, anche se capaci di resistere alle seduzioni del potere. Ecco, io credo che mons. Bregantini, che è il protagonista di questo libro, sia uno di questi vescovi italiani “modello Bergoglio”; un pastore cioè che, per la propria personalità e la propria storia, si è trovato naturalmente in sintonia con il pontificato di Francesco, con le sue priorità e le sue sollecitudini. Ho conosciuto personalmente padre Giancarlo Maria Bregantini solo alla fine del 2011, quando ci incontrammo a Bologna per la presentazione del volume di Pier Maria Mazzola Sulle strade dell’utopia. Vita e scritti di Tullio Contiero (un grande presbitero nel cui itinerario interiore il vescovo disse di essersi rispecchiato). Ma il lavoro alla rivista Il Regno me l’aveva indicato da tempo come una delle nomine episcopali più interessanti e creative operate da Giovanni Paolo II in Italia. Originario di Trento, religioso stimmatino formatosi alternando allo studio il lavoro operaio, ha esercitato il ministero presbiterale prima in Calabria e poi in Puglia, sempre vicino ai poveri, ai malati, ai carcerati (ma anche impegnato nelle scuole come insegnante di religione e in seminario come docente di Storia della Chiesa), per poi essere nominato, nel 1994, vescovo a Locri, dove ha caratterizzato il suo episcopato mobilitando le coscienze dei cristiani e di tutti i cittadini a reagire e a oppor10
si alla ‘ndrangheta. Una sensibilità che successivamente ha declinato nella responsabilità che oggi riveste, a livello nazionale, come presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace, oltre che sulla cattedra di arcivescovo di Campobasso, la sede alla quale Benedetto XVI lo ha trasferito nel 2007. Tutti aspetti che Panettiere, intervistando padre Giancarlo nell’arco di un anno e in tre riprese, riesce a esplorare con grande intensità oltre che con rigore giornalistico. Il risultato non è dunque un frettoloso instant book, ma un ritratto meditato, disegnato con ricchezza di dettagli e di sfumature. Non toglierò al lettore il piacere di scoprirli a uno a uno, ma voglio sottolinearne almeno tre, uno per ciascuno dei “tempi” in cui è ripartita l’intervista. Se non avesse indossato l’abito talare, che lavoro avrebbe fatto Bregantini? Quando Panettiere gli rivolge questa domanda, lo ha già sentito raccontare della «madre del sapere», la maestra Anna che ha insegnato a leggere e scrivere a intere generazioni di Denno – il paese trentino di cui il vescovo è originario –, e che egli descrive con affetto e ammirazione. Dunque, è facile immaginare la risposta: avrebbe fatto il maestro, «il mestiere più bello del mondo, dopo il prete. Che emozione spiegare, raccontare…». Deve avere radici in questa brava maestra, che Bregantini ha continuato a frequentare anche dopo la nomina a vescovo, pure ciò che, di seguito, egli suggerisce come regola perché un sacerdote costruisca con le donne 11
rapporti sani: «Sfuggendo due tentazioni, quella sessuale e quella di sentirsi superiori». Si può essere cristiani e comunisti? Panettiere arriva a questa domanda dopo aver fatto rievocare a mons. Bregantini l’esperienza giovanile sulle orme dei preti operai e sulle pagine di Karl Marx. La risposta del vescovo riscatta il senso pieno di una questione che il tempo e ancor più l’ideologia hanno fortemente logorato. «Il fascino del cambiamento a favore del mondo operaio ha creato in Italia la figura del comunista-credente». Non il catto-comunista (un’“invenzione” dei giornalisti), ma il «padre di famiglia, salariato, oppresso e sfruttato sul posto di lavoro, che è comunista per una sete di giustizia sociale», ma «non è ideologicamente contro Cristo, anzi, quando può, va in chiesa». Tanto che «un sacco di sacerdoti» della generazione del vescovo Giancarlo erano «figli di comunisti-credenti» che «con il loro ministero hanno incarnato la voglia di eguaglianza e dignità dei loro padri». Un ricordo della recente visita di papa Francesco in Molise (5 luglio 2014)? Si capisce che la decisione del papa di andare a Campobasso ha consentito a Bregantini di consolidare la “lettura teologico-spirituale” con cui aveva a suo tempo rivestito la difficile “obbedienza” al trasferimento da Locri. Così definisce la visita come «l’ennesima dimostrazione che le periferie sono al centro dell’azione pastorale di Francesco». E poi racconta alcuni episodi avvenuti dietro le quinte, ma che confermano quanto il papa insegni, anche ai con12
fratelli vescovi, per ciò che è e che fa oltre che con ciò che dice. Nella stanza riservatagli perché riposasse nel primo pomeriggio si è rifatto la barba, per rispetto verso i bambini «che è solito abbracciare e baciare», e si è tolto le scarpe: dettagli domestici, sottolinea Bregantini, «che non ti aspetteresti mai di ascoltare dalla bocca di un Pontefice». E che – per concludere sul punto da cui eravamo partiti – ti aspetteresti dalla bocca di un vescovo come padre Giancarlo. È ciò che Panettiere ci lascia intendere grazie alla sapiente tessitura con la quale ha tenuto insieme, lungo il libro, le parole di Bregantini. Fatta di sensazioni di viaggio, di quadri di ambiente, di sguardi, di silenzi eloquenti. Di emozioni che l’autore suggerisce al lettore proprio perché per primo le ha provate lui stesso, in un faccia a faccia che non l’ha, evidentemente, lasciato indifferente, ma anzi lo ha toccato in una dimensione personale, talvolta persino intima, che tuttavia si è sentito libero di raccontare, pur con il dovuto pudore. Grazie anche all’inattesa orizzontalità che si stabilisce tra il giovane giornalista e il vescovo già maturo, e che non ha nulla, per fortuna, della presunzione con la quale certi colleghi – specie nell’ambiguo mondo dell’infotainment – si rapportano a certi interlocutori, ma dice piuttosto che stiamo assistendo a un colloquio franco tra due uomini che, lontani per l’anagrafe e comunque diversi, si scoprono accomunati dalla passione per la Chiesa italiana. 13
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primo incontro Campobasso, 28 novembre 2013
Quattro chiacchiere con papà Vai a dirglielo che al volante si deve solo guidare. Lui, con una mano tiene la strada, con l’altra armeggia con il cellulare. Chiama, risponde, programma e intanto siamo già belli che ad Ancona. Mio padre in auto è come molti italiani che hanno trasformato la macchina in un secondo ufficio, studio medico nel suo caso, e la terza corsia dell’autostrada in una proprietà privata. Ho scelto di farmi dare un passaggio da lui per scendere da Bologna a Campobasso e iniziare la mia lunga chiacchierata con l’arcivescovo Giancarlo Bregantini, padre Giancarlo come preferisce farsi chiamare. Papà era di strada e, visto che ci si vede con il contagocce, ho accolto volentieri la sua compagnia. Anche noi abbiamo avuto i nostri dissidi, tuttora non ci facciamo mancare qualche litigata, ma, con il passare degli anni e la mia “messa in proprio”, i musi lunghi si sono diradati ed entrambi stiamo imparando a smussare gli spigoli, ad aggirare gli ostacoli per dare ai problemi soluzioni concrete. Ed evitare di lasciare sul terreno “morti e feriti” innocenti. Tradotto, mamma, mia sorella Lucia e 15
Federica, dodici anni di fidanzamento e un matrimonio che mi ha reso più tranquillo. Almeno dicono… Quando termino di lavorare alle undici di sera, Pietro è troppo stanco per darmi spago nelle nostre telefonate di buonanotte. Di mio la mattina accendo le batterie a orari invidiati da chi vive lontano dalle redazioni. E così non ci resta che il pranzo domenicale e l’autostrada: strana famiglia quella in cui un padre e un figlio dialogano senza fretta solo sull’A14.
Un vescovo dal volto umano Campobasso non mi è nuova. Vi ho fatto capolino qualche mese fa, a primavera inoltrata, per presentare il mio Non solo vescovi (2012). È stata in quell’occasione che ho conosciuto di persona Bregantini, i suoi modi cortesi, la voce bassa e le parole misurate, mai in libera uscita. Fino a quel momento il presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia, la pace, l’avevo seguito da lontano, prima come vescovo anti ’ndrangheta a Locri, poi quale pastore di Campobasso dopo la promozione nel 2007. Negli anni ho potuto apprezzare il taglio pastorale di chi non ama le crociate sulle questioni eticamente sensibili. «Ora è proprio il caso di abbassare i toni e riflettere con maggior pacatezza ed equilibrio», disse l’11 febbraio 2009 in un’intervista a La Stampa, commentando i giu16
dizi particolarmente severi sul padre di Eluana Englaro, Peppino. Alla luce anche di questa sua caratteristica, mi è venuto spontaneo pensare di pubblicare assieme a lui un libro che, attraverso le inquietudini e i vissuti del giornalista, racconti il cammino umano e di fede di un arcivescovo molto conosciuto e apprezzato in Italia, senza per questo soffermarsi su un singolo aspetto della sua biografia, ma cercando di offrire al lettore un ritratto a trecentosessanta gradi, ancorato comunque all’attualità ecclesiale. Come a dire che, oggi come oggi, non si può parlare di padre Giancarlo senza inserirne la storia e il pensiero nel contesto di una Chiesa che, con papa Francesco al timone, sta recuperando un dialogo sereno e fraterno con il mondo contemporaneo, partendo da una concreta volontà di rinnovamento al proprio interno. Non accadeva dai tempi di Giovanni XXIII.
Sulle tracce di Dio La sera prima di un’intervista sono sempre nervoso. Ogni volta mi sento inadeguato, quasi soffocato dal terrore ossessivo di scadere in domande banali, di non centrare il nocciolo degli argomenti. Nel mio caso la sola valeriana contro la tensione è una sana passeggiata in solitaria. Mia moglie mi ripete che sono un orso. E non ha tutti i torti. Tante volte amo conversare con la mia ombra e i fantasmi di chi non è più tra noi in carne e 17