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3 Collana Storia della Chiesa in Europa centro-orientale Diretta dal prof. Jan Mikrut
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Piano della Collana
La Chiesa cattolica e il Comunismo in Europa centro-orientale e in Unione Sovietica Il governo e la Chiesa in Polonia di fronte alla diplomazia Vaticana (1945-1978) Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista La Chiesa cattolica in Unione Sovietica. Dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka La Chiesa cattolica e il Nazionalsocialismo (il volume è in preparazione per il 2019)
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LA CHIESA CATTOLICA IN UNIONE SOVIETICA
Dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka a cura di Jan Mikrut
prefazione dell’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz
6 Questo volume è stato realizzato con il contributo di:
Office to Aid the Church in Central and Eastern Europe United States Conference of Catholic Bishops
© Il Segno dei Gabrielli editori, 2017 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 mail info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Prima edizione, novembre 2017 ISBN 978-88-6099-355-7 Stampa MIG srl - Moderna Industrie Grafiche (Bologna)
Indice
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INDICE
Prefazione dell’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz Metropolita di Minsk e Mahilëu 11 Introduzione del curatore - Et portae inferi non praevalebunt adversus eam: la Chiesa cattolica in Unione Sovietica
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Dalla Rivoluzione d’Ottobre alla Seconda guerra mondiale 1917-1939 L’ideologia atea e la legislazione sovietica nei confronti della religione Stanisław Koller
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Trattative vaticano-sovietiche negli anni 1921-1926 Maciej Mróz
61
La distruzione dell’organizzazione ecclesiastica in Unione Sovietica Evgenia Tokareva
79
L’Amministrazione apostolica a Mosca (1926-1991) Roman Dzwonkowski
91
Le iniziative di Pio XI per difendere la Chiesa in URSS (1922-1930) Rita Tolomeo
109
Il martirologio della Chiesa cattolica in URSS (1917-1941) Roman Dzwonkowski
135
La testimonianza dei sacerdoti cattolici detenuti alle isole Solovki Fiorenzo Reati
147
I cattolici polacchi nell’Impero russo e nei primi anni dell’URSS Jan Mikrut
171
I cattolici tedesco-russi negli anni 1917-1939 Katrin Boeckh
201
I territori occupati dall’URSS e dalla Germania 1939-1945 La Chiesa cattolica in Bielorussia sotto l’occupazione tedesca (1941-1944) Roman Dzwonkowski
227
La Chiesa cattolica lituana negli anni dell’occupazione tedesca (1941-1944) Regina Laukaitytė
235
8 Indice L’occupazione tedesca della Bielorussia 1941-1944. Le Suore della Sacra Famiglia di Nazareth martiri di Nowogródek (Navahrudak) Barbara Gromada
253
Il territorio polacco occupato dall’URSS 1939-1941; 1944-1945 Roman Dzwonkowski
273
La Chiesa cattolica in Ucraina durante l’occupazione sovietica 1939-1941 Maria Dębowska
283
La Chiesa cattolica in Ucraina durante l’occupazione tedesca 1941-1944 Maria Dębowska
307
La Chiesa cattolica in Unione Sovietica 1945-1991 Le azioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica negli anni 1958-1978 Maciej Mróz
331
La cura pastorale e i luoghi di culto in Ucraina nell’ambiente sovietico Waldemar Żurek
351
Il pastore di molte nazioni don Władysław Bukowiński Andrzej Grajewski
377
La pastorale del beatoWładysław Bukowiński nelle carceri e nei lager Natalia Rykowska
393
Le strutture ecclesiastiche alla fine del Comunismo Stefano Caprio
405
Il ripristino delle strutture della Chiesa cattolica nell’Amministrazione apostolica di Novosibirsk per i cattolici di rito latino della parte asiatica della Russia negli anni 1991-1999 Stanisław Koller
419
La testimonianza dei cattolici nella vita quotidiana Come sono diventato sacerdote nella realtà politica dell’Unione Sovietica Piotr Botwina
455
La vita e la testimonianza nei campi di lavoro sovietici. Don Józef Świdnicki, 1984-1987 Stanisław Koller 461 I gesuiti nell’URSS (1939-1992) Marc Lindeijer La testimonianza di vita delle religiose in Unione Sovietica (1945-1991) Agata Mirek
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Indice
Un sacerdote “Fidei Donum” nel periodo della perestrojka: Don Bernardo Antonini Stefano Aloe, Edoardo Ferrarini
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523
Il Seminario maggiore interdiocesano “Maria Regina degli Apostoli” di San Pietroburgo Pietro Scalini 541 L’esperienza della persecuzione nell’epoca sovietica alla luce degli scritti cattolici Jonathan Luxmoore
551
Legami tra cattolici e dissidenti laici sotto il regime sovietico Jonathan Luxmoore
567
Le Repubbliche Sovietiche Occidentali 1945-1991 Bielorussia: Chiesa romano-cattolica La Chiesa cattolica in Bielorussia negli anni 1945-1960 sull’esempio della parrocchia di Navahrudak Barbara Gromada
587
Testimonianze dei sacerdoti e le complicate vicende del cardinale Kazimierz Świątek Larysa Michajlik
609
L’attività dei “gruppi religiosi non registrati” di cattolici in Bielorussia orientale nel dopoguerra e la loro lotta per la legale esistenza alla luce della legislazione sovietica sulle comunità religiose Katsiaryna Laurynenka
633
La vita quotidiana delle donne cattoliche a Minsk negli anni 1950-1980 Marina Shabashova
661
La situazione delle famiglie cristiane in Bielorussia negli anni 1945-1991. Testimonianze Marianna Aleszczyk
677
Ucraina: La Chiesa romano-cattolica La Chiesa cattolica di rito latino in Ucraina. Dalla sciagura alla rinascita (1939-1991) Roman Dzwonkowski
689
L’impegno della Chiesa cattolica di rito latino in Ucraina volto a sostenere i greco-cattolici Włodzimierz Osadczy
707
La famiglia cattolica come un baluardo della vita religiosa Włodzimierz Osadczy
727
10 Indice Ucraina: La Chiesa greco-cattolica Il patriarca Josyf Slipyj: testimone della Chiesa silenziosa dei martiri Mariya Horyacha
743
La soppressione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina Mariya Horyacha
769
La testimonianza della vita religiosa nella Chiesa greco-cattolica in clandestinità Irynej Bilyk
795
Lituania: La Chiesa romano-cattolica Mons. Teofilius Matulionis (1873-1962) un arcivescovo lituano, protettore della fede e difensore della giustizia nei tempi del terrore rosso Mindaugas Sabonis 807 I tentativi di utilizzare il fattore etnico nella politica delle autorità sovietiche nei confronti della Chiesa cattolica in Lituania negli anni 1944-1990 Irena Mikłaszewicz
827
Conventi religiosi clandestini nel periodo sovietico: tra la continuità e le nuove sfide Arūnas Streikus
841
Lettonia: La Chiesa romano-cattolica La Chiesa cattolica in Lettonia durante il periodo sovietico: le vittime della persecuzione Solveiga Krumina-Konkova
863
“Dall’ambone al portale della chiesa”. L’attività pastorale della Chiesa cattolica in Lettonia durante il periodo dell’occupazione sovietica Māra Kiope
879
Il movimento ecumenico nella Lettonia sovietica: un inciso della storia Nadežda Pazuhina
895
La testimonianza quotidiana della vita cristiana nelle famiglie Inese Runce
909
Estonia La Chiesa cattolica in Estonia (1918-1991). L’arcivescovo Eduard Profittlich (1890-1942) Jan Mikrut 925 Kazakhstan La famiglia cattolica in Kazakhstan come bastione della vita religiosa Dmitriy Panto
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Abbreviazioni 967 Indice dei nomi 979 Indice dei luoghi 1005
Tadeusz Kondrusiewicz - Prefazione
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Arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz Metropolita di Minsk e Mahilëu
Prefazione
Lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre del 1917 segna l’inizio dell’eliminazione del cristianesimo nel territorio dell’ex Unione Sovietica. Gli avvenimenti di San Pietroburgo aprirono un lungo martirio della Chiesa cattolica. Il volume “La Chiesa cattolica in Unione Sovietica dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka” a cura del prof. Jan Mikrut della Pontificia Università Gregoriana di Roma presenta la Via Crucis che la Chiesa cattolica, di ambedue i riti, attraversò in quel periodo, in maniera cronologica e tematica. A percorrere quella Via Crucis furono numerosi personaggi già innalzati alla gloria degli altari, altri il cui processo di beatificazione è ancora in corso e migliaia di sconosciuti eroi della fede di cui non conosceremo mai la storia. La grande moltitudine dei sacerdoti perseguitati dai regimi totalitari viene ricordata nei testi del prof. Roman Dzwonkowski SAC, del prof. don Tadeusz Krahel, e da molti altri autori, alcuni dei quali presenti in questo libro. Nei paesi dell’ex URSS, le singole chiese locali conservano nei loro archivi il materiale analitico relativo ai tempi del governo sovietico e dell’occupazione nazifascista. Bisogna rilevare quanto ogni pubblicazione relativa ai tempi così difficili come quelli dell’ateismo militante e delle persecuzioni della Chiesa da parte dei fascisti sia importante e preziosa. Il periodo che va dal 1917 al 1939 fu un’epoca di feroci persecuzioni della Chiesa in Unione Sovietica. Va precisato che in quegli anni sul territorio della Bielorussia sovietica tutte le chiese cattoliche rimasero chiuse, mentre i sacerdoti furono arrestati. Nel 1937 nell’est della Bielorussia, entro le frontiere dell’Unione sovietica, non vi fu nemmeno un sacerdote e neanche una chiesa accessibile ai fedeli. Tale situazione influì negativamente sulla Chiesa locale e ancora oggi se ne risente il peso. Il periodo dell’occupazione nazista (1939-1945) fu un tempo di guerra e di campi di sterminio, dove molti vescovi, semplici sacerdoti e persone consacrate dimostrarono grande eroismo. Gli anni 1945-1991, e soprattutto la fase iniziale di quel periodo, per la Chiesa cattolica furono ancora i tempi dei lager. Mi ritornano in mente le memorie del compianto card. Kazimierz Swiątek il quale, raccontando il
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suo arresto, narrava un fatto particolare: ...Ero detenuto nella prigione di Brest. Insieme a me vi era una mosca. Mi portava conforto e un po’ di gioia con il suo ronzio. Dopo un certo tempo, la mosca però si sedette sul parapetto e smise di dare dei segni di vita. Rimasi solo. Successivamente fui deportato in Siberia. I sacerdoti rimasti in quei territori furono dei veri testimoni di fede. Dopo il ritorno dal confine con grande sollecitudine lavorarono nelle parrocchie. Sulla via del ritorno tutti quei presuli si fermavano a Vilnius. E alla Porta dell’Aurora, ai piedi della Vergine della Misericordia, ringraziavano per la libertà riavuta, chiedendo sostegno e aiuto di Dio per la propria missione. Una curiosa storiella mi arrivò dall’Ucraina. Dopo che Jurij Gagarin effettuò il primo volo spaziale i non credenti vollero approfittare di quel fatto per promuovere l’ateismo. E così uno di loro si presentò in una chiesa ortodossa imponendo al parroco di informare i fedeli che Jurij Gagarin era stato nello spazio e non aveva visto Dio e quindi Dio non esisteva. Minacciò che se il parroco non avesse fatto tale annuncio avrebbero chiuso la chiesa. L’umile sacerdote quindi, al termine della liturgia domenicale, disse ai suoi fedeli: Cari fedeli, Jurij Alekseevič Gagarin volò nello spazio ma non vide Dio. Il Signore però lo vide, lo benedì e pertanto Gagarin felicemente ritornò sulla terra. Una volta, da diacono del Seminario superiore di Kaunas in Lituania dovetti impartire l’eucaristia nella cattedrale cittadina. Mi si avvicinò un giovane in divisa da soldato per ricevere la santa comunione. Al ritorno al Seminario fui chiamato dal vicerettore che mi disse di aver saputo dalle pie donne che io avevo dato la comunione a un bolscevico. Risposi di conoscere molto bene quel bolscevico che veniva da Hrodna ed a Kaunas prestava il servizio militare. Quel bolscevico avrebbe poi ultimato gli studi al seminario di Kaunas. Oggi è sacerdote e lavora in Bielorussia. Lavorando come vicario nella cappella della Porta dell’Aurora a Vilnius non di rado accoglievo le testimonianze di fede delle persone semplici le quali, nonostante le persecuzioni, conservarono intatta la loro fede. Una volta nella sagrestia si presentò un’anziana signora che mi disse di aver pregato in ginocchio nella chiesa di S. Casimiro, trasformata di recente in un museo dell’ateismo. Gli si avvicinò un’impiegata del museo dicendo che non era lecito pregare in quel luogo poiché era un museo dell’ateismo. L’anziana signora rispose però risolutamente che anche se per qualcuno quello era un museo, per lei continuava ad essere una chiesa e quindi una casa di preghiera. Negli anni 1991-2007, quando fui arcivescovo di Mosca, ebbi molti contatti con i rappresentanti della Chiesa in Russia, perseguitata fino al
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punto da lasciare aperte solo due chiese cattoliche: a Mosca e a Leningrado (San Pietroburgo), dove officiavano due anziani sacerdoti. Ma anche in quelle condizioni potei vedere la fede viva che era stata tramandata nelle famiglie da padre in figlio. Gli anziani trasmisero la loro fede ai giovani mantenendola viva grazie alle recite quotidiane del Santo Rosario, della Coroncina alla Divina Misericordia e altre preghiere. Mai mi dimenticherò della cerimonia di benedizione della prima pietra della nuova chiesa a Marks sul Volga, che avvenne nei primi anni ’90 del secolo scorso. Prima della liturgia mi si avvicinarono delle persone anziane pregandomi affinché mettessi un semplice mattone al posto della pietra angolare. Quando chiesi il perché di tale desiderio, visto che di solito tutti desiderano che la pietra angolare provenga da un qualche luogo santo, allora mi raccontarono una storia davvero commovente. Durante le persecuzioni religiose in URSS la vecchia chiesa di Marks andò distrutta. Gli abitanti di quella città però portarono nelle proprie case dei mattoni provenienti dalle rovine. Li misero nei posti ben in vista e per lunghi decenni pregarono davanti a quei cotti. Così, proprio grazie a quei mattoni, la fede poté conservarsi ed essere tramandata ai giovani. Vogliamo che la nuova chiesa in costruzione conservi un legame con quella vecchia, distrutta, mi dissero. Oggi la Chiesa cattolica in Russia ha delle proprie strutture e si sviluppa in maniera dinamica. Nonostante molte difficoltà è assai attiva nell’ambito pastorale, culturale ed editoriale. Centinaia di pubblicazioni in lingua russa, così come la prima Enciclopedia cattolica, anch’essa in russo, testimoniano la grande sollecitudine del clero per lo sviluppo del cattolicesimo e della Chiesa su quei territori. Negli anni ’90 la Chiesa in Russia veniva ingiustamente accusata di proselitismo. Vi fu inoltre la questione dei cosiddetti territori canonici ortodossi intesi come “riservati” alla Chiesa ortodossa. Grazie a Dio però la situazione sta migliorando. Conosco il territorio delle ex Repubbliche sovietiche occidentali poiché vi sono nato, vi ho studiato, e poi lavorato. Ho soggiornato in quei paesi in diversi momenti della storia. Mi ricordo bene la difficilissima situazione della Chiesa in Bielorussia, dove mi hanno raccontato di un colloquio avvenuto tra due sacerdoti di Hrodna. Nella città con 250.000 abitanti vi erano solo due sacerdoti: il vicario generale, don Michał Aronowicz, e padre Arkadiusz Waltoś OFMConv. Una volta don Michał disse al padre Arkadiusz: Di noi due sono io quello più anziano. Quindi quando sarò morto mi seppellirai, e quando morirai pure tu, arriveranno dei sacerdoti dalla Lituania per seppellirti. E questa sarà la fine. Nel corso degli anni i sacerdoti furono sempre meno numerosi. Alla
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fine degli anni ’50 in tutta la Bielorussia vi erano solo 56 sacerdoti, nella maggior parte avanti negli anni. Il 19 novembre del 1961 fu un giorno particolarmente triste per la Chiesa in Bielorussia, poiché le autorità comuniste fecero esplodere a Hrodna la chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria nel XIV secolo dal Granduca di Lituania Vitoldo e per questo conosciuta coma “chiesa di Vitoldo”. Gli abitanti della città quel giorno furono molto tristi. Mi ricordo che per le strade non si scorgeva nessuna gioia ma sola tristezza. Le persone anziane avevano perfino le lacrime agli occhi. Sul territorio dell’Unione Sovietica vi erano solo due Seminari: a Kaunas in Lituania e a Riga in Lettonia. Per esservi ammessi ci voleva quasi un miracolo, poiché vigeva il numero chiuso e a decidere chi e quante persone potevano essere ammesse erano le autorità comuniste. Oggi, guardando indietro, si vede a occhio nudo la portata dei cambiamenti nella Chiesa sui territori dell’URSS ma va anche considerato il grande contributo dei pastori nella formazione dei fedeli. A Niedzwiedzica, in Bielorussia, per molti anni esistette un seminario clandestino diretto da mons. Wacław Piątkowski. Quell’illustre pastore, laureato all’Università Lateranense a Roma e dottore di diritto canonico, in clandestinità curò l’educazione di 12 sacerdoti fra i quali vi fu anche l’attuale vescovo di Pinsk, mons. Antoni Dziemianko. La visita del cardinale Józef Glemp, primate di Polonia, avvenuta nel settembre del 1988 su invito del metropolita ortodosso Filarete, fu un grande evento in Bielorussia. Il cardinale celebrò la messa a Hrodna, Lida, Navahrudak, Minsk, Pinsk e Brest, con la presenza di numerosi fedeli. Fu una grande manifestazione di fede. Mi ricordo bene quegli eventi poiché all’epoca ero parroco della chiesa di Santa Maria degli Angeli e san Francesco Saverio a Hrodna. La folla di fedeli aspettò per ore l’arrivo del cardinale Józef Glemp e con grande dedizione partecipò alla liturgia. Già allora gli avvenimenti importanti venivano ripresi con una telecamera da Kazimieras Żylis SJ, che è autore di una preziosissima raccolta di filmati d’epoca. Molti sacerdoti a tutt’oggi ricordano i tempi delle persecuzioni e delle vessazioni dei cattolici. Alcuni di loro, come mons. Błażej Marian Kruszyłowicz OFMConv., vescovo emerito della diocesi di Szczecin e Kamień, e mons. Pacyfik Antoni Dydycz OFMCap., vescovo emerito di Drohiczyn in Polonia, viaggiarono anche in altre Repubbliche dell’URSS e raccontarono della situazione della Chiesa su quei territori negli uffici dei dicasteri vaticani. La Chiesa greco-cattolica in Ucraina visse una situazione simile a quella della Chiesa latina e anch’essa fu costretta ad operare in clandestini-
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tà. Le testimonianze del martirio dei membri di quelle Chiese hanno un grande significato. Nonostante tutte le pressioni e persecuzioni, i cattolici non rinunciarono mai alla loro fedeltà alla Santa Sede. Anche in Kazakhstan e in altri paesi dell’Asia centrale la Chiesa dovette dare testimonianza della propria vivacità e di una fede incrollabile. In Kazakhstan i fedeli di norma si consideravano prima cristiani e solo dopo appartenenti a una o all’altra nazione. Praticamente senza sacerdoti la Chiesa cattolica sopravvisse nel Caucaso, in Moldavia e in Estonia. In confronto con altre ex Repubbliche dell’URSS, la situazione migliore fu quella che visse la Chiesa in Lettonia e in Lituania dove, seppur indebolita, la gerarchia cattolica continuò ad esistere. Inoltre, il numero di sacerdoti e delle chiese funzionanti fu, per quei tempi, piuttosto rilevante. Ma ciò non fu facile. La Chiesa, soprattutto in Lituania, si oppose con forza alle repressioni e combatté per la libertà di religione. Così divenne l’avamposto della fede sul territorio dell’ex URSS. Il volume “La Chiesa cattolica sul territorio dell’Unione sovietica. Dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka” racconta la difficile storia della Chiesa in quei territori. Dobbiamo ricordarci la nostra storia poiché essa è la nostra Madre maestra. Se non vi fossero stati gli eroi della fede ai tempi delle repressioni, non ci sarebbe stata una rinascita così rapida della Chiesa, condannata all’annientamento, e i territori cristianizzati già nel X secolo sarebbero divenuti un deserto spirituale. Poiché i tempi moderni confermano la massima di Tertulliano: il sangue dei martiri è il seme dei cristiani. E nonostante, da un punto di vista umano, sembrasse che con la morte dell’ultimo sacerdote la Chiesa sarebbe sparita dalla mappa dell’URSS, Dio volle dimostrare che sa indicarci una strada diritta attraverso i meandri della storia. Poiché e Lui, e non qualcun altro, a mettere l’ultimo puntino sulla “i”. Auspico che il presente volume diventi una testimonianza di fede ai tempi delle persecuzioni, così necessaria per il mondo moderno. A loro, e a tutti i Lettori, impartisco la mia pastorale benedizione. Arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz Metropolita di Minsk e Mahilëu
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Jan Mikrut
Et portae inferi non praevalebunt adversus eam: la Chiesa cattolica in Unione Sovietica
Nel novembre di quest’anno ricorre il centenario della presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia, dopo l’occupazione del palazzo imperiale di Pietroburgo. Questo anniversario costituisce dunque una buona occasione per approfondire alcune questioni storico-politiche che sovvertirono radicalmente la società sovietica in ogni espressione della vita quotidiana. La rivoluzione portò innanzitutto alla distruzione della situazione confessionale. Da secoli nella parte europea della Russia prevaleva la popolazione di fede ortodossa, ma esistevano anche diverse minoranze nazional-confessionali, tra le quali i cattolici di rito latino e greco-bizantino. La politica degli zar verso la popolazione non ortodossa fu caratterizzata per un lungo periodo dallo spirito di tolleranza; per loro furono emanati adeguati decreti giuridici che stabilirono obblighi e privilegi per i credenti al fuori della Chiesa ortodossa. Grazie a questa legislazione degli zar, i diversi gruppi nazionali e confessionali presenti sul grande territorio nazionale vivevano in pace, la loro cultura, tradizione e religione erano rispettate. Questa pacifica convivenza delle diverse nazionalità e religioni finì improvvisamente con l’inizio della rivoluzione dei bolscevichi. Già da tempo la politica e le scelte economiche fatte dai governi degli zar non trovavano più un’ampia condivisione da parte della società russa. L’inizio della Prima guerra mondiale (1914-1918), la crisi economica e le enormi perdite dell’Esercito russo sul fronte accelerarono il processo di distruzione dell’economia nazionale, causando una grande povertà in una larga fascia della società. Le frequenti dimostrazioni sulle strade e gli scioperi nelle fabbriche dimostrarono le debolezze del sistema economico-sociale dello Stato. Soprattutto l’anno 1917 fu dominato da particolari eventi politici, le cui conseguenze avrebbero dominato per decenni non solo la storia della stessa Russia ma anche di altri paesi europei. Le agitazioni sociali sulle strade e nelle fabbriche non sortirono, però quegli effetti economico-politici attesi dalla società: lo zar, Nicola II Romanov, era incapace di ascoltare e di vedere quello che accedeva nel suo regno e tanto meno era in grado di prendere adeguati provvedimenti, tanto che per scongiurare una guerra civile fu costretto ad abdicare. L’abdicazione dello zar, avvenuta il 2 marzo del 1917 nella stazione della cittadina di Pskov, su un vagone del treno imperiale che lo portava nella sua residenza di Tsarskoe Selo, pose fine alla plurisecolare e ricca tradizione della monarchia in Russia. Subito dopo, lo zar e la sua numerosa famiglia furono posti agli arresti domiciliari.
18 Jan Mikrut - Introduzione Il nuovo governo democratico, nonostante l’impegno profuso, a causa della guerra e della gravissima crisi economica non poté portare l’auspicata stabilità politico-economica e soddisfare le attese della società. Nei primi mesi del governo democratico furono adottate alcune decisioni inerenti la questione della libertà religiosa. Il vescovo di Vilnius, mons. Eduard Ropp, espulso dalle autorità zariste nel 1907 per le sue coraggiose attività religiose e socio-politiche, poté tornare nella sua diocesi. Nel maggio 1917 si svolse il sinodo della chiesa greco-cattolica russa, che decise di fondare un esarcato autonomo, in seguito legalizzato dal governo di transizione. Un cambiamento sostanziale però avvenne per la Chiesa ortodossa, che era stata sempre la confessione principale e privilegiata nell’Impero russo: nel mese di giugno fu sospeso il controllo statale sulla Chiesa ortodossa, che ottenne così l’autonomia e il ritorno dell’ufficio del patriarca, soppresso per motivi politici nel 1700 dallo zar Pietro I. Il 26 luglio 1917 il governo transitorio pubblicò la legge che garantiva alla Chiesa cattolica di rito latino bizantino la libertà di culto, che finora non possedeva. Nell’estate del 1917, nella cattedrale del Cremlino, iniziò il sinodo ortodosso (l’ultimo si era tenuto nel 1666) alla cui apertura partecipò anche il premier del governo transitorio, Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, e che vide la partecipazione di 558 delegati. La Chiesa ortodossa poteva liberalmente svolgere le attività pastorali, nominare i vescovi e preparare l’elezione del nuovo patriarca. Nel messaggio inviato al clero e ai fedeli del 3 settembre 1917 il vescovo cattolico Jan Cieplak, allora amministratore apostolico delle diocesi di Mogilev (Mahilëu) e di Minsk, fiducioso in un futuro migliore per la sua Chiesa, chiese a tutti i cattolici preghiere di ringraziamento per la riacquistata libertà religiosa. Quel periodo così positivo nelle reciproche relazioni tra lo Stato e la Chiesa fu però molto breve. Nemmeno un mese più tardi avvenne la rivolta dei bolscevichi e la terribile conseguente Rivoluzione d’ottobre 1917. Il 6-8 novembre l’armata dei bolscevichi conquistò il Palazzo d’Inverno di Pietroburgo e successivamente furono arrestati i membri del governo transitorio. Il 9 novembre 1917 il Secondo Congresso dei Soviet dei deputati operai e dei soldati proclamò la presa del potere. Fu nominato presidente Vladimir Ilič Lenin, un personaggio ancora poco conosciuto in Russia, poiché aveva trascorso una parte della sua vita prima in Siberia e poi all’estero, da dove coordinava le attività politiche in Russia. Le conseguenze di questi fatti furono inimmaginabili anche per gli stessi artefici. Scoppiò una guerra civile, vinta dopo tre anni dai bolscevichi. Lo scopo di Lenin era quello di instaurare la dittatura del proletariato e la conquista del potere in Russia costituiva solo una prima tappa di quel processo. Lo zar e la sua famiglia costituivano un ostacolo a questo piano politico. Furono quindi trasferiti prima a Tobolsk e infine a Ekaterinburg, dove vennero barbaramente trucidati. La decisione dell’esecuzione dell’intera famiglia fu presa dai bolscevichi, su suggerimento dello stesso Lenin, il 16 luglio 1918. Nonostante le difficoltà nella comunicazione, un ordine da Mosca arrivò alle guardie responsabili per lo zar e la sua famiglia. Poco dopo la mezzanotte del 17 luglio 1918 l’intera famiglia Romanov fu fucilata dai soldati bolscevichi nella cantina
Jan Mikrut - Introduzione
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della casa, dove erano stati trasferiti e i sopravvissuti finiti a colpi di baionetta. Il destino della famiglia imperiale rimase a lungo sconosciuto; i loro corpi furono gettati in un pozzo, cosparsi di acido solfidrico, poi bruciati e i resti sepolti in un luogo isolato. Il 16 luglio 1998 la famiglia imperiale fu inumata con esequie di Stato nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo, accanto alle tombe degli altri Romanov. Nel 2000 Nicola II ed i suoi familiari furono dichiarati martiri e canonizzati dalla Chiesa ortodossa. Il nuovo potere politico cercava con determinazione i sistemi più efficaci per ridurre l’influenza della religione nella società ed introdurre una visione atea del mondo. La Rivoluzione d’ottobre e le leggi promulgate dai bolscevichi diedero l’avvio ad un periodo di grandi persecuzioni e di repressioni contro la Chiesa ed i suoi rappresentanti, annientando di fatto la Chiesa cattolica in o Russia. Con i primi atti normativi, emanati agli inizi del 1918 e riguardanti tutte le confessioni religiose, si diede l’avvio alle limitazioni nella sfera della vita religiosa. Al fine di far entrare in vigore quanto prima le norme, furono istituiti nuovi organi e tra questi un dipartimento specifico, responsabile per la divisione tra Stato e Chiesa. A quell’epoca in Russia vivevano circa 2 milioni di cattolici con circa 1.000 sacerdoti, 6.400 chiese, 2 seminari ed una facoltà teologica. La maggior parte dei cattolici-romani erano cittadini di origine polacca, da secoli presenti nella parte occidentale del paese vicina ai confini con la Polonia. Nel periodo 1917-1939 i cattolici subirono quindi molte vessazioni, sia per motivi politici sia religiosi. Le persecuzioni da parte dei sovietici avvennero in vari modi e, in particolare, oltre alla prigione, la popolazione cattolica fu costretta a sopportare la deportazione in Siberia e in Kazakhstan, dove visse in diaspora, tra molti altri popoli. Il Decreto sulla proprietà della terra del 26 ottobre 1917 prevedeva la nazionalizzazione delle terre di proprietà della famiglia imperiale e dei monasteri; tutte le competenze in materia passarono ai Comitati agrari e ai Soviet distrettuali dei Deputati dei contadini, sino all’Assemblea Costituente. Il diritto di proprietà privata sulla terra veniva così soppresso per sempre: la terra diventa proprietà statale e viene assegnata a tutti coloro che su di essa lavorano. A dicembre fu adottato dallo Stato l’obbligo di registrazione delle nascite, dei matrimoni e dei decessi. Da quel momento il potere legale consentì solo i matrimoni civili. Si moltiplicarono in quel periodo le aggressioni contro i sacerdoti contrari a queste statuizioni. Il 7 febbraio 1918, il metropolita di Kiev Vladimiro (1848-1918), venne arrestato nel suo monastero per la sua nota ostilità al comunismo da soldati ubriachi e fucilato dopo poche ore. In molti casi le chiese furono saccheggiate dai soldati e dalla popolazione. La preoccupazione della gerarchia ortodossa era enorme: per secoli la Chiesa ortodossa era stata strettamente legata con il potere politico e costituiva la più importante confessione in Russia. Tichon di Mosca (al secolo Vasilij Ivanovič Bellavin), che fu patriarca di Mosca e di tutta la Russia dal 1917 fino al 1925, pensava di poter fermare la violenza contro la Chiesa attraverso proteste formali e il 19 gennaio 1918 firmò una lettera pastorale nella quale condannò la violenza dei bolscevichi. Dopo la pubblicazione della lettera, il 20 gennaio 1918 entrò in vigore il decreto sulla di-
20 Jan Mikrut - Introduzione visione tra Stato e Chiesa, predisposto già da tempo. La nuova normativa privò tutte le associazioni religiose della personalità giuridica e questo in pratica significava privare i sacerdoti delle remunerazioni erogate dallo Stato e il divieto di possesso da parte delle istituzioni religiose di una qualsiasi proprietà. Tutte le proprietà delle Chiese furono nazionalizzate e i fedeli si trovarono costretti ad affittare dallo Stato quelle strutture che fino a poco tempo prima erano nella loro piena disponibilità per potersi riunire e celebrare i loro riti religiosi. Non solo: per fondare una comunità religiosa e avere la possibilità di affittare una chiesa la legge chiedeva la fondazione di un comitato con almeno venti membri, ai quali le autorità conferivano il diritto di affittare gli edifici ed assumere i sacerdoti per il servizio strettamente religioso. L’insegnamento della religione ai minori presso le scuole divenne reato, punito con una pena minima di un anno di lavori forzati. Poiché era vietata la catechesi nelle scuole, l’arcivescovo della diocesi di Mogilev, Eduard Ropp, iniziò la catechesi dei bambini nelle chiese. Nel 1918 Lenin ordinò la chiusura di tutti i periodici e le riviste non bolsceviche. Lo stesso anno fu chiusa l’Accademia Ecclesiastica Cattolica a Pietroburgo, che aveva formato dal 1842 i futuri sacerdoti cattolici per l’intero impero russo. Furono vietate le pratiche religiose ai minori di 18 anni, nonché le pratiche religiose comunitarie presso le abitazioni private. Il 29 aprile del 1919 l’arcivescovo Eduard Ropp fu arrestato: era il primo vescovo cattolico nella Russia sovietica. Le richieste per la sua liberazione rimasero inascoltate e per la risoluzione del suo caso intervenne anche il nunzio apostolico a Varsavia, mons. Achille Ratti, il futuro papa Pio XI. Il 18 marzo 1921 venne firmato a Riga il Trattato di Pace che pose fine alla guerra sovietico-polacca. Il Trattato di Riga fu controverso sin dal principio: questo avrebbe dovuto anche garantire la libertà religiosa alla popolazione polacca residente sul territorio della Russia, ma questa clausola rimase lettera morta. Nello Stato sovietico i sacerdoti e i fedeli furono perseguitati, alcuni vennero condannati a morte proprio per l’odio verso la religione che, nonostante tutto, veniva coraggiosamente professata. Il sistema comunista, per realizzare il suo ideale, poneva come finalità l’annientamento di tutte le credenze e pratiche religiose sul territorio nazionale. La religione era trattata come uno dei maggiori ostacoli sulla via della realizzazione del sistema ateo nella società sovietica. Per tale ragione, negli anni del potere sovietico (1918-1989) in URSS, erano combattute con determinazione tutte le religioni e le comunità religiose. In nessun altro paese la lotta contro la religione fu condotta con tale determinazione, con tale coerenza e con un programma così preciso come in URSS. Il cristianesimo, nella sua lunga storia, non aveva finora incontrato un nemico così violento e sistematico come nel caso dell’ideologia sovietica. Il 15 maggio 1932 il Partito comunista approvò un piano quinquennale che tra altro prevedeva che dal 1 maggio 1937 sul territorio dell’Unione Sovietica non doveva esserci più alcuna chiesa o casa di preghiera, mentre la stessa nozione di Dio doveva essere cancellata dai vocabolari e dai cervelli degli uomini, come un relitto dei tempi remoti e strumento della manipolazione delle masse
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popolari. In riguardo alla Chiesa cattolica dobbiamo affermare che quel piano fu realizzato con successo. Sul territorio dell’URSS furono chiuse tutte le chiese; nel 1940 erano rimaste aperte solo due edifici di culto a Leningrado (attuale San Pietroburgo) e a Mosca solo perché si trovavano all’interno di rappresentanza diplomatiche estere. Tutte le attività religiose in questi posti erano minuziosamente controllate da agenti di sicurezza. La Chiesa cattolica come istituzione di vita pubblica smise di esistere, le attività religiose dei fedeli avvenivano di nascosto, erano illegali e spesso non sfuggivano alla repressione, benché la garanzia della tolleranza religiosa fosse scritta nella Costituzione sovietica. Però, malgrado moltissimi fossero vittime delle persecuzioni, le autorità non potevano arrestare tutti i fedeli per trasferirli nei campi dei lavori forzati. Tutti i piani della Santa Sede per creare una gerarchia ecclesiastica in Unione Sovietica non sortirono alcun effetto. La Segreteria di Stato e il papa tuttavia, speravano – ingannandosi – di poter stabilire una cooperazione con il nuovo potere politico. Il gesuita francese Michel d’Herbigny nel 1926 partì da Roma, come semplice religioso, per compiere una missione speciale in Russia. Durante il suo viaggio si fermò nella nunziatura apostolica a Berlino, ufficialmente solo per pernottare, ma nella notte del 29 marzo venne ordinato segretamente vescovo nella cappella privata dall’allora nunzio apostolico in Germania, mons. Eugenio Pacelli. Michel d’Herbigny fu poi presidente della pontificia Commissione pro Russia e come diplomatico pontificio fece due viaggi in Russia durante i quali cercò di conoscere le intenzioni del governo russo nei confronti della Chiesa cattolica. Durante il suo soggiorno in Russia, il 21 aprile 1926 impartì segretamente la consacrazione vescovile a quattro sacerdoti, ai quali affidò l’organizzazione della vita religiosa in URSS. I nuovi vescovi, nonostante l’ordinazione clandestina e privata, furono presto scoperti e arrestati dalle autorità sovietiche e condannati ufficialmente, secondo la prassi giudiziaria contro gli attivisti religiosi, per “attività antistatali” e mandati per la “necessaria rieducazione” nei gulag della Siberia e del lontano oriente. In libertà rimase solo uno dei neo consacrati da Michel d’Herbigny, padre Pie Eugène Neveu (1877-1946), che il 21 aprile 1926 nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Mosca fu consacrato primo amministratore apostolico di Mosca. Monsignor Pie Eugène Neveu fu ospite personale dell’ambasciatore francese a Mosca ma non poté svolgere alcuna attività pastorale fuori dell’ambasciata. Nel giugno 1936, per ragioni di salute, dovette lasciare Mosca e con lui terminò la presenza della gerarchia cattolica sul territorio dell’URSS. Il padre assunzionista Leopold Braun, statunitense, diventò parroco della Chiesa di San Luigi dei Francesi sino alla fine del 1945, quando fu espulso dall’URSS. In una relazione scritta nel 1940 sulla situazione religiosa in URSS, padre Braun scriveva: “Dall’inizio della rivoluzione russa sono stati arrestati circa un migliaio di preti cattolici. /…/. La maggior parte di essi è morta in prigione, nei campi di concentramento o ai lavori forzati. Di quelli che sono ancora vivi /…/ nessuno è stato poi rilasciato, in modo che potesse riprendere il suo ministero”. La lotta contro la religione era condotta in tutte le istituzioni in cui lo Stato sovietico esercitava la propria influenza e in tutti gli ambiti della vita sociale. Un
22 Jan Mikrut - Introduzione particolare impegno nella propagazione dell’ateismo fu dedicato alle scuole di ogni ordine e grado e alle università, dove erano attive numerose organizzazioni di ateisti. Nonostante gli sforzi intensi dell’apparato di propaganda, gli attivisti dell’ateismo molte volte dovettero constatare che, nonostante l’impegno profuso, una gran parte degli operai “non era libera dalle vecchie superstizioni religiose”. L’apparato statale fu messo a disposizione della propaganda dell’ateismo che era promosso, non solo ideologicamente, con tutti i mezzi possibili. Dagli anni venti spuntarono molte associazioni ateiste che pubblicavano periodici, brochure e libri con contenuto antireligioso. Con il sostengo dello Stato furono preparati dei film per promuovere l’ateismo come fondamento della società sovietica: il materiale cinematografico derideva puntualmente quelle labili tracce di religiosità che ancora permanevano nella società e presentava in maniera ridicola i credenti. I comunisti prendevano spunto dai metodi usati in altre epoche e in altri paesi per perseguitare la religione, per questo una grande attenzione venne posta alle persecuzioni religiose durante la Rivoluzione francese, che non aveva mai nascosto il suo carattere antireligioso. I fedeli nella Francia di quel periodo erano condannati a morte o ad altre pene per “fanatismo religioso”, visto come una forma di protesta contro i cambiamenti introdotti dagli ideologi della rivoluzione. La motivazione delle sentenze diventava perciò politica e non religiosa. A questo principio si rifecero anche gli artefici della Rivoluzione del 1917: centinaia di migliaia di persone furono condannate dai tribunali sovietici non per le loro fede ma per “attività di carattere controrivoluzionario e per spionaggio a favore dei paesi occidentali e nel caso di cattolici a favore del Vaticano”. Le accuse avevano come scopo di convincere l’opinione pubblica che gli accusati non venivano giudicati per le loro convinzioni religiose ma a causa delle attività antirivoluzionarie. In quel modo alle persone attive in campo religioso e condannate fu tolto anche il loro buon nome di cittadini sovietici. Numerosi sacerdoti e fedeli furono sottoposti a torture e ricatti, costretti dai persecutori ad autoaccusarsi di aver commesso un reato politico. Uno dei giornali di Mosca, nel mese dicembre del 1929 scriveva: “Ogni sacerdote è un pericoloso controrivoluzionario e ogni atto religioso è antisovietico, chiunque vada in chiesa è colpevole dell’oltraggio alla rivoluzione e ai suoi principi ideologici”. Le normative sovietiche consideravano i sacerdoti privi dei diritti civili, poiché, non essendo motivati dall’ideologia sovietica, non lavoravano per la crescita dello Stato ideologico. Questo fatto incise soprattutto sul deterioramento della loro situazione giuridica e materiale perché venivano considerati “un’armata di parassiti la cui specializzazione era di promuovere il veleno religioso”. Per sacerdoti e fedeli fu un vero banco di prova conservare la fede in quelle terribili condizioni La maggioranza di loro non conservò odio nei confronti dei suoi persecutori e, grazie alle loro testimonianze di fede, la vita religiosa poté rinascere dopo la caduta dell’URSS. Per decenni il ricordo di quegli esempi luminosi era stato conservato e tramandato nelle famiglie e in piccole comunità religiose. Non poche volte, accanto alle figure di sacerdoti e religiosi vi erano quelle di persone semplici, umili, spesso donne di una certa età, ma con una
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fede profonda. Per la partecipazione alla recita clandestina del Rosario Vivente, per l’insegnamento del catechismo, per il rifiuto di rinnegare la fede erano stati arrestati e spesso condannati a molti anni di rieducazione nei campi di lavoro. Sui territori dell’Ucraina e della Bielorussia, vicino alla frontiera polacca, vivevano numerosi cattolici, soprattutto di origine polacca, bielorussa e ucraina. Per distruggere la forza della società, unita sul comune fondamento nazionalereligioso, le autorità sovietiche cominciarono delle deportazioni di massa delle minoranze etniche. Le prime deportazioni iniziarono negli anni 1930-1933; le più numerose, però, ebbero luogo negli anni 1935-1936 e riguardavano principalmente le popolazioni residenti vicino alla frontiera con la Polonia. Dal 1936 le popolazioni cattoliche di origine polacca furono deportate in Kazakhstan dove, privati di un qualunque forma di aiuto o sostegno da parte dello Stato sovietico, vivevano e morivano in drammatiche condizioni. Le deportazioni nel profondo oriente dell’URSS continuarono fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Una gran parte dei deportati furono soggetti a repressioni in considerazione del loro attaccamento alle culture e tradizioni nazionali e religiose. Le popolazioni cattoliche, nonostante le terribili persecuzioni, rimasero fedeli alla loro fede e nei nuovi luoghi di permanenza, spesso con grandi sacrifici, organizzarono una comune vita religiosa. Nonostante la mancanza di sacerdoti e delle strutture ecclesiali vivevano secondo i precetti della fede cattolica. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, avvenuto nel settembre del 1939, le autorità sovietiche avevano già acquisito una notevole esperienza nella lotta contro la religione sul territorio. Dopo l’entrata dell’armata sovietica a seguito dell’aggressione della Polonia, avvenuta il 17 settembre 1939, e la conseguente occupazione del territorio polacco, la gran parte delle strutture ecclesiali e dell’amministrazione della Chiesa si trovarono sotto il dominio sovietico. La ricca vita religiosa dei cattolici polacchi fu rapidamente distrutta dagli invasori, la gerarchia ecclesiastica fu arrestata o deportata. L’inizio della Seconda guerra mondiale spostò, per un breve periodo, i confini dello Stato sovietico sui territori dei nuovi Stati: in URSS furono inglobate le Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) nonché i territori orientali della Polonia. Negli anni 1939-1941, durante la prima occupazione sovietica, le autorità iniziarono a introdurre, anche nei nuovi territori occupati, la collaudata politica di legislazione contro la religione: fu proibita ogni azione pastorale fuori delle chiese e per assistere alle funzioni liturgiche occorreva aver compiuto 18 anni. L’insegnamento della religione nelle scuole fu vietato, furono chiusi seminari, scuole cattoliche, case editrici. Furono chiusi edifici ecclesiali e monasteri mentre i beni della Chiesa furono nazionalizzati; i cattolici, per continuare ad usare le loro chiese, furono costretti a raccogliere fondi per pagare l’affitto delle strutture, preservando così gli edifici dal degrado. Molte strutture ecclesiastiche furono destinate dallo Stato ad essere usate come magazzini, auditori, cinema, per scopi militari o sanitari e addirittura come musei dell’ateismo. Fin dai primi giorni dell’occupazione sovietica cominciarono repressioni e deportazioni di sacerdoti. Numerosi presuli furono improvvisamente fucilati, condannati da tri-
24 Jan Mikrut - Introduzione bunali locali per la cosiddetta attività sovversiva e molti furono avviati nei campi di lavoro. Dopo l’inizio della guerra tra la Germania e Unione Sovietica (21 giugno 1941) la situazione cambiò per alcuni anni. La popolazione, soprattutto ucraina, bielorussa, lituana e lettone, stanca del terrore sovietico, accoglieva i soldati tedeschi come i liberatori dal giogo dell’occupazione comunista, con l’eccezione dei polacchi, sterminati negli anni precedenti dai tedeschi in Polonia. Le autorità tedesche non erano interessate alle persecuzioni della vita religiosa e sin dall’inizio furono riaperte molte chiese finora rimaste chiuse e alcune devastate dai comunisti furono almeno parzialmente restaurate. Le autorità tedesche, con la loro politica di vane promesse, convinsero a collaborare alcune organizzazioni nazionaliste. I conflitti a carattere nazionalista, con astuzia rinvigorite da tedeschi, portarono in conseguenza alla costituzione di una resistenza armata contro gli occupanti. Questo a sua volta portò a delle sanguinose repressioni dei tedeschi contro i partigiani, rappresentanti delle minoranze nazionali. Centinaia di sacerdoti cattolici e i rappresentanti del mondo della cultura, dell’intellighenzia furono fucilati o portati nei campi di concentramento sul territorio tedesco. La lotta contro la religione si affievolì negli anni 1941-1945, durante la guerra tra l’URSS e la Germania, poiché Iosif Stalin cercava un aiuto da parte della Chiesa ortodossa per motivare la società russa a lottare contro l’aggressore tedesco. Uno dei segni di quell’avvicinamento alla religione fu una sua foto scattata a Mosca e pubblicata sulla stampa in cui si vedeva sullo sfondo la cattedrale ortodossa. Furono aperte alcune chiese ortodosse e cattoliche, alcuni vescovi e sacerdoti uscirono dalle prigioni e dai campi di lavoro. Il compito della gerarchia ortodossa e del clero fu di motivare i soldati nella lotta contro l’aggressore tedesco e le organizzazioni di resistenza armata per distruggere le retrovie del fronte orientale. Dopo il 1945 il territorio dell’Europa centrale entrò nell’orbita della dominazione sovietica. Le decisioni, prese durante le Conferenze di Yalta e Potsdam, crearono una nuova divisione di questa parte dell’Europa. La politica sovietica di annessione spezzò l’antica struttura dell’Europa centrale: la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, nonché i territori orientali della Polonia inglobati all’URSS, persero la loro indipendenza. Lo Stato polacco perse il 20% del proprio territorio e circa 5 milioni di suoi cittadini. La gran parte dei polacchi, conoscendo le persecuzioni delle minoranze etniche e religiose sui territori frontalieri e nelle Repubbliche baltiche inglobate nell’URSS, partì per la Polonia lasciando tutti suoi averi, le sue chiese dove erano soliti pregare e le tombe dei suoi avi. Dal punto di vista geopolitico, dopo il 1945, l’Europa centrale diventò la parte esterna dell’impero sovietico, contenendo i paesi satelliti dell’URSS: la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e la Germania orientale (DDR). Alla “parte interna” dell’URSS furono invece incorporate la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, l’Ucraina, la Bielorussia e la Moldavia. I sovietici misero queste nazioni sotto la consueta pressione, iniziando di nuovo le persecuzioni nei confronti della Chiesa. In questi nuovi Stati introdotti in Unione Sovietica, la Chiesa cattolica era da
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secoli molto legata alla storia nazionale. In modo particolare la Lituania, che per secoli aveva vissuto una storia simile a quella polacca, con una forte presenza della religione nella società. Nonostante le persecuzioni, la comunità cattolica poteva, seppur in forma molto ridotta, svolgere le sue attività. Ma, anche qui, la diffusione dell’ideologia atea diventò un progetto essenziale del potere comunista nella costruzione della nuova società. In Lettonia, come in Estonia, il numero dei cattolici era esiguo e per questo motivo i comunisti poterono più liberalmente agire nelle scuole, nelle università, negli uffici e realizzare la nuova società atea. Anche i cattolici lettoni dimostrarono grande coraggio e, nonostante le persecuzioni, insieme con i protestanti diedero una convincente testimonianza della presenza cristiana. L’Estonia, che aveva ottenuto la sua indipendenza nel 1918, apparteneva alla Russia zarista. Nel 1924 papa Pio XI vi creò un’Amministrazione apostolica di circa 2.500 fedeli, molti di origine polacca. Il numero dei cattolici crebbe negli anni ’30, a seguito dell’emigrazione dalla Polonia. Nelle parrocchie lavoravano sacerdoti tedeschi (gesuiti e cappuccini) e polacchi e circa 20 suore di 3 congregazioni. Nel 1939 nel paese si trovavano 157.000 fedeli ortodossi, 153 luterani, 104.000 battisti e 10.000 cattolici. Nel periodo considerato, i cattolici costituivano circa lo 0,4% della popolazione del paese, mentre la maggior parte della società era indifferente alla religione. La Chiesa greco-cattolica più numerosa vive in Ucraina, con circa 7 milioni di credenti; essa fu combattuta sia dai comunisti sia dalla Chiesa ortodossa ; dopo la dichiarazione di illegalità della Chiesa greco-cattolica, avvenuta nel 1945, la Chiesa ortodossa ricevette in affidamento dallo Stato tutte le proprietà materiali, le chiese, le canoniche e le altre strutture ecclesiastiche dei cattolici di rito greco. Poiché la Chiesa ortodossa doveva riunire i nuovi popoli conquistati nella struttura dello Stato sovietico, nel 1946 venne organizzato a Leopoli uno pseudo sinodo per la liquidazione formale della Chiesa greco-cattolica: l’illegalità dell’evento, organizzato dalla polizia segreta insieme con un gruppo del clero pronto a collaborare con lo Stato, era più che evidente. All’apertura del sinodo non partecipò alcuno dei dirigenti della Chiesa: infatti tutto l’episcopato grecocattolico era stato arrestato. L’arcivescovo Josyf Ivanovyč Slipyj, che era divenuto capo della Chiesa il 1° novembre 1944, fu arrestato nel 1945 e deportato nella lontanissima Siberia. Il 9 febbraio 1963 l’arcivescovo fu liberato, dopo ben 18 anni di prigione e, come persona non grata, fu espulso dall’URSS. Giovanni XXIII chiamò mons. Slipyj a Roma per partecipare al Concilio Vaticano II. Paolo VI lo nominò cardinale in pectore fin dal 1960. A Roma non mancava di ricordare le terribili persecuzioni dei cattolici in Unione Sovietica diventando così ben presto un personaggio scomodo anche la Curia Romana. Le persecuzioni che la Chiesa subì negli anni quaranta/cinquanta, nell’Europa dominata dal potere sovietico, distrussero tante delle sue strutture fondamentali, ma non riuscirono a sradicare la religione dalla coscienza popolare. Fallì il tentativo di creare un’alleanza atea nel cuore dell’Europa cristiana. Le azioni contro la Chiesa avevano il carattere di una campagna politica, legata a contingenti
26 Jan Mikrut - Introduzione problemi interni e l’efficienza di quelle azioni dipendeva dalla determinazione dell’élite comunista nella lotta contro la religione, dalla resistenza sociale e infine dalla posizione che la Chiesa occupava dentro ciascuna nazione. Questa divisione è importante riguardo alla politica confessionale, poiché il modo di agire del potere di fronte alle comunità dei credenti era diverso nella parte interna o in quella esterna dell’impero. L’appartenenza alla parte interna dell’impero rendeva impossibile qualsiasi forma di resistenza e le repressioni erano così violente che lasciavano spazio soltanto a due atteggiamenti: eroica perseveranza e martirio, oppure totale sottomissione o addirittura apostasia. La fede poteva essere confessata in modo privato o in clandestinità. La politica staliniana perseguiva la superiorità del potere laico su quello ecclesiastico, l’imposizione della visione atea del mondo all’intera popolazione e l’uso strumentale della legge contro la Chiesa. Con forte determinazione quindi si portò avanti il programma di distruzione della religione in Unione Sovietica: qui, dopo il 1945, le repressioni, specialmente contro la Chiesa cattolica, furono sovente molto crudeli. I nuovi paesi annessi al blocco sovietico, finora legati alla cultura occidentale, dovettero fare un’inversione di marcia e creare un apparato politico-militare orientato a combattere l’influenza religiosa. Questa forma di governo, già ben sperimentata in Unione Sovietica e dopo il 1945 proposta in quasi tutti i paesi del blocco sovietico, ha espresso una forma di particolare brutalità. La vita religiosa di tutte le comunità religiose, non solo cristiane, fu sottoposta a una dura persecuzione. Il concetto politico di Iosif Stalin chiedeva una sottomissione della Chiesa al potere dello Stato e utilizzava il potere per obbligare tutti i cittadini all’accettazione del sistema ateo. Questo principio fu perseguito con una particolare crudeltà sui territori dei nuovi Stati inseriti nel territorio dell’URSS: Lituania, Lettonia, Estonia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia: la religione fu ancora per un certo periodo tollerata, come un relitto dei tempi vecchi, ma doveva essere eliminata dallo Stato moderno e cancellata dalla vita della società. La presenza dell’esercito russo non autorizzava di per sé i comunisti locali ad assumere il potere politico, poiché questi non possedevano ancora la maggioranza dei consensi, cosa che avrebbe permesso loro di vincere legalmente le elezioni. La polizia e il potere sovietico lavoravano intensamente a favore dei comunisti locali e del nuovo sistema dello Stato da loro proposto, creando il terrore e perseguitando tutti i loro avversari, non solo politici; ma non potevano, d’altro canto, mostrare le loro vere aspirazioni. Il confronto aperto con la Chiesa cattolica, per il momento, era rimandato a tempi futuri. L’ateismo doveva svolgere due funzioni: essere collante ideologico di tutti i partiti comunisti del blocco ed elemento di soggiogamento, di neutra, estranea dominazione, contraria alle tradizioni e specificità nazionali. Così l’ateismo diventò la nuova religione comunista e, allo stesso tempo, uno strumento di unificazione delle proprie file e di soggiogamento di coloro che non vi si riconoscevano. L’unico ostacolo rimaneva la Chiesa cattolica, perciò i comunisti erano pronti ad applicare tutti i mezzi, compresa la persecuzione violenta, per annientarla. Dopo la fine della guerra vi fu un ritorno
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alle pratiche precedenti alla lotta ideologica contro la religione, anche se non più così intenso come prima. A questo scopo furono chiamati nel servizio militare i giovani provenienti da minoranze etniche, mandati in missione nell’oriente dell’URSS. Un’altra modalità per distruggere le minoranze etniche e religiose era la deportazione di migliaia di giovani per lavorare nelle miniere e nel disboscamento nelle regioni più lontane e difficilmente accessibili di quell’enorme paese. Le persecuzioni riguardavano gruppi di persone appartenenti alle minoranze etniche, e fra loro numerosi cattolici polacchi, ucraini, bielorussi e tedeschi. Alla fine dei rimpatri nel 1947 le autorità comuniste intrapresero la sistematica distruzione delle strutture della Chiesa cattolica chiudendo i luoghi di culto e deportando in Siberia o in Kazakhstan la maggioranza dei cattolici che apertamente professavano la propria fede. Nonostante le repressioni, quella parte di sacerdoti e religiosi che non partirono per la Polonia e non furono subito mandati nei campi di lavoro, rimasero sul territorio sovietico e ancora per un certo periodo poterono svolgere le funzioni religiose nelle comunità dei fedeli registrate secondo il diritto sovietico, ma la maggior parte di loro fu successivamente arrestata e deportata nella parte orientale dell’Unione Sovietica. Sui territori occupati iniziò la pressione per istituire dei kolchoz nonostante le forti proteste della gente. La perdita della propria terra e l’obbligo amministrativo di lavorare in una struttura statale guidata secondo l’ideologia sovietica erano un incubo per la maggioranza della popolazione delle campagne. La nuova agricoltura collettivizzata fu spesso introdotta con l’aiuto dell’esercito e della polizia. Di conseguenza migliaia di famiglie contrarie alla collettivizzazione forzata e alla creazione dei kolchoz furono deportate in Siberia e in Kazakhstan. Tra di loro vi era un gruppo di cattolici di ambedue i riti, che furono deportati in territori che avevano tradizioni e strutture socio-culturali profondamente diverse. L’emigrazione forzata divenne una nuova forma di persecuzione religiosa, che si aggiungeva ai metodi già collaudati da anni. Dopo la Seconda guerra mondiale in URSS furono stabilite tre fasce di libertà religiosa che costituivano il risultato degli sviluppi storici, della situazione geopolitica, del numero dei fedeli della Chiesa cattolica di rito latino e delle finalità strategiche delle autorità sovietiche nei confronti di ciascuna delle Repubbliche appartenenti alla federazione. In pratica le Repubbliche appartenevano a una delle tre fasce di libertà religiosa, dove la situazione confessionale era molto diversa. Alla prima fascia appartenevano le Repubbliche baltiche: Lituania Lettonia ed Estonia, dove la Chiesa poté avere una maggiore libertà rispetto al resto dell’Unione Sovietica. Su quei territori, soprattutto in Lituania e Lettonia, almeno in parte si mantenette la gerarchia e le chiese rimasero aperte. A Kaunas continuava ad essere aperto il seminario dove studiavano i futuri sacerdoti pronti a lavorare in Lituania, mentre il Seminario di Riga preparava i futuri sacerdoti per tutto il territorio dell’URSS. Questi tuttavia erano dei seminari piccoli rispetto alle necessità di un vastissimo paese. A Riga vi erano una ventina di seminaristi mentre a Kaunas una trentina. Il quel periodo il numero di cattolici su tutto il
28 Jan Mikrut - Introduzione territorio dell’URSS ammontava a circa dieci milioni di varie nazionalità. Così quel numero esiguo di seminaristi poteva avere solo un significato simbolico per le comunità e per la vita quotidiana della Chiesa. Il numero limitatissimo di posti in entrambi i seminari fu introdotto con premeditazione dalle autorità sovietiche. In merito all’accettazione al seminario decideva l’Ufficio per il culto insieme alla locale KGB. Senza l’approvazione di questi enti le autorità ecclesiali non potevano accettare nessun candidato al seminario. Ovviamente il numero dei candidati al seminario era molto più alto dei pochi posti disponibili. Nonostante la pesante intromissione dello Stato nella selezione dei candidati, da quei seminari uscirono molti sacerdoti che si contraddistinsero per il loro coraggio e diversi vescovi. Alla seconda fascia della libertà religiosa e del culto appartenevano: Bielorussia, Ucraina e la parte europea della Russia. Nel 1945 l’ultimo vescovo cattolico fu deportato da quei territori. Il piccolo gruppo rimasto di zelanti sacerdoti, dopo aver ottenuto uno speciale permesso per la celebrazione di funzioni religiose e il consenso delle autorità locali, poteva, seppur in maniera limitata, svolgere funzioni pastorali. Come detto, però, le funzioni dovevano svolgersi solo nelle chiese indicate appositamente dalle autorità, dove erano registrati i comitati dei cattolici riconosciuti dalle autorità. Nelle località dove le autorità non permisero di usufruire delle chiese o i fedeli non avevano abbastanza soldi per pagare l’affitto della chiesa, i fedeli si radunavano nei cimiteri, specialmente di domenica, nel giorno libero dal lavoro, e pregavano insieme sulle tombe dei sacerdoti defunti o dei propri cari. Proprio per questo, spesso le autorità distruggevano i monumenti funerari e lanciavano varie iniziative volte a disturbare gli incontri illegali a carattere religioso. Nel caso di rifiuto da parte delle autorità all’uso della chiesa, erano le case private a diventare luoghi di preghiera; però queste pratiche erano proibite, poiché le autorità sospettavano che questi incontri segreti potevano essere legati con attività antirivoluzionarie. Nelle case poi non c’era abbastanza spazio per accogliere molte persone, così solo piccoli gruppi potevano pregare insieme, usando vecchi libri di preghiera. Siccome non veniva permesso la stampa di libri a carattere religioso, i vecchi libri di preghiera venivano trascritti a mano su fogli di carta, preservando così dall’oblio una bellissima tradizione religiosa trasmessa dalle generazioni precedenti. A volte in quelle case venivano celebrate delle messe da uno dei sacerdoti clandestini che viaggiavano nel paese segretamente. Soprattutto nei mesi di maggio e di ottobre i fedeli recitavano insieme il rosario e le altre preghiere mariane. Gli incontri di preghiera nelle case private di campagna ravvivavano notevolmente la fede degli adulti e furono una forma di catechesi per i bambini. Questi incontri clandestini erano organizzati e condotti da laici, spesso dalle donne anziane che, a causa della loro età o stato di salute, erano tollerate dalle autorità. Un’altra singolare forma di culto religioso, nata in questo periodo, fu la cosiddetta “messa senza sacerdote” nelle chiese ancora aperte al culto ma prive del sacerdote, quando questo, per diversi motivi, non aveva l’autorizzazione delle
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autorità a svolgere funzioni religiose. Nell’orario prestabilito i fedeli s’incontravano in chiesa, sull’altare accendevano le candele, portavano il messale aperto, l’alba e il calice vuoto. Al suono della campanella iniziava il canto d’ingresso e dalla sacrestia uscivano quattro uomini. I fedeli in chiesa cantavano il canto del ingresso, poi, come in una messa con il sacerdote, recitavano il Kyrie e infine cantavano il Gloria. Di seguito uno degli uomini leggeva le letture previste per questa domenica, dopodiché i fedeli insieme recitavano il Credo e altre preghiere. Al momento della Consacrazione cadeva un profondo silenzio, a volte interrotto dal un pianto dei fedeli che anelavano ad una vita religiosa normale: Al momento della comunione uno degli uomini suonava il campanello, cosi come si fa al momento dell’Ostensione, e i presenti recitavano insieme l’atto di adorazione del Santissimo e poi cantavano il canto di ringraziamento. In Bielorussia e in Ucraina queste insolite celebrazioni religiose senza sacerdote furono celebrate per anni, perché tollerate dalle autorità statali. Per la manutenzione della chiesa i fedeli pagavano, non senza difficoltà, delle tasse molto alte ed eseguivano, spesso con grandi sacrifici, i lavori di restauro. Queste caratteristiche celebrazioni liturgiche dei laici testimoniano la profonda fede della popolazione e la gioia nel condividere quei momenti comunque festosi. I pochi sacerdoti che potevano svolgere il loro ministero nelle comunità autorizzate, in segreto cercavano di incoraggiare i fedeli laici ad aiutarli nella catechesi. Anzitutto erano le donne che di nascosto preparavano i bambini e i giovani alla vita sacramentale. Il loro compito era insegnare i principi della fede e la preparazione dei bambini e dei giovani al sacramento della prima comunione e della riconciliazione. I bambini e i giovani prendevano la prima comunione di nascosto, senza festeggiamenti, lontano dalla propria abitazione, perché le attività della vita religiosa dei bambini erano controllate dagli insegnanti delle scuole. I ragazzi che si recavano in chiesa o quelli che portavano un simbolo religioso, per esempio una catenina con la croce, venivano pubblicamente criticati. A volte le funzioni di catechiste erano svolte dalle suore clandestine che lavoravano nelle fabbriche, negli ospedali o nei kolchoz, correndo il rischio di pene severe. La polizia aveva in ogni ambiente i suoi affidabili collaboratori. Prima di accostarsi ai sacramenti i bambini erano portati in luoghi più sicuri, dove potevano confessarsi da un sacerdote e poi accostarsi all’eucaristia. Nella formazione religiosa non può essere dimenticato il ruolo delle nonne e dei nonni che, avendo più tempo a disposizione, potevano dedicarlo all’insegnamento del catechismo ai nipoti, introducendoli alla vita religiosa. Il resto del territorio sovietico apparteneva alla terza fascia della politica confessionale, dove non c’erano chiese aperte e i sacerdoti non avevano l’autorizzazione per la missione pastorale. Anche in quella fascia erano presenti gruppi di cattolici di diverse nazionalità, tra di loro i polacchi deportati dopo l’aggressione della Polonia da parte dell’URSS negli anni 1939-1945. I sacerdoti presenti sui territori della terza fascia lavoravano con grande dedizione sempre in segreto e in clandestinità rischiando il carcere e la deportazione. Spesso il lavoro pastorale era svolto da missionari viaggianti che, liberati dopo aver scontato la pena in
30 Jan Mikrut - Introduzione prigione o nei campi di lavoro, ritrovavano la libertà. Nel Kazakhstan c’erano numerosi campi di lavori ma non c’erano forme organizzate di vita ecclesiale. I sacerdoti arrivavano occasionalmente, svolgevano le funzioni religiose nelle case private e dopo si mettevano in viaggio verso un’altra parte dell’immenso paese. Negli anni 1954-1957, approfittando del cambiamento politico dopo la morte di Iosif Stalin, alcuni cattolici lasciarono il Kazakhstan. Tra i cattolici rimasti in Kazakhstan continuavano a lavorare sacerdoti di varie nazionalità nelle abitazioni private, con particolare discrezione. Nonostante le precauzioni però i sacerdoti furono spesso arrestati e condannati. Solo tra gli anni settanta e ottanta, a seguito della liberalizzazione delle politiche dello Stato sovietico, furono fondati sul territorio dell’URSS i primi luoghi di culto. I sacerdoti diedero prova di zelo pastorale e di coraggio e la loro personale testimonianza di vita era la migliore forma di evangelizzazione delle persone tra le quali vivevano e morivano con dignità. Non si trattava solo della pastorale: la testimonianza di una vita dedicata interamente a Dio, anche nelle prigioni e nei campi di lavoro, dove alcuni avevano trascorso la metà della loro esistenza, destava ammirazione. I sacerdoti cattolici vissero molto meglio la permanenza nelle prigioni disumane o nei campi di lavoro rispetto ai loro colleghi di altre confessioni: non essendo sposati, non avevano dovuto lasciare mogli e figli, così come dovettero fare i sacerdoti sposati e pertanto non dovettero essere preoccupati per le sorti dei loro cari lasciati soli. Non erano poi dimenticati dagli altri sacerdoti e dai parrocchiani che, nella misura del possibile, inviavano loro dei viveri, con i quali aiutavano anche altri detenuti. I sacerdoti cattolici detenuti nelle prigioni e nei campi di lavoro attribuivano alla loro permanenza in quei luoghi il valore di una testimonianza di fede, di coerenza evangelica. Nikita Krusciov, succeduto a Stalin nella guida del partito, introdusse di nuovo la propaganda atea “vecchio stile”, con particolare attenzione volta all’ateizzazione dei bambini e dei giovani e alla repressione dei dissidenti. In quel periodo furono chiuse o distrutte chiese e luoghi sacri, anche di importanza storica. Dopo il 1956, si formò definitivamente un modello di rapporti Chiesa-Stato, con uno Stato totalitario tendente verso il pieno controllo della vita ecclesiale. Nonostante gli sforzi delle autorità sovietiche però la vita religiosa continuava, anzi si poteva osservare un crescente interesse per la fede nella società. Evidentemente il piano di distruzione della religione nella società sovietica, predisposto da Krusciov, non fu un successo. Nelle località dove non c’erano sacerdoti gli abitanti facevano di tutto affinché la loro chiesa non venisse chiusa. A Vilnius, prima dell’occupazione sovietica, erano aperte 40 chiese mentre nel periodo sovietico solo 7. Mentre a Leopoli, delle 36 chiese aperte prima della guerra, ne rimasero solo due. Le autorità sovietiche chiudendo la chiesa distruggevano la tradizione religiosa e con la loro propaganda atea ponevano le fondamenta di una nuova società priva delle superstizioni religiose. Si possono individuare due modi di agire dei comunisti nei confronti della Chiesa. Il primo, che si formò negli anni cinquanta e rimase in vigore fino agli anni ottanta, consisteva nella liquidazione delle gerarchie, limi-
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tazione dei contatti con la Santa Sede, stretta sorveglianza di ogni forma di attività pastorale, divieto di associarsi per i laici. In questa situazione aumentavano le strutture illegali riunite intorno a vescovi e sacerdoti ordinati clandestinamente. L’altro modello si caratterizzava per una più ampia tolleranza verso la Chiesa. Le autorità di questi paesi ammettevano l’esistenza della gerarchia, delle strutture ecclesiastiche e non impedivano contatti con il Vaticano. Creavano, invece, numerosi ostacoli di carattere amministrativo, specialmente per l’educazione religiosa e l’attività sociale della Chiesa. Nella storia bimillenaria della Chiesa non vi fu un periodo altrettanto tragico delle terribili persecuzioni organizzate dalle autorità dello Stato come durante l’ideologia comunista in URSS. Mai conosceremo il numero esatto di fedeli che per il loro eroismo nella professione della fede divennero vittime della lotta comunista contro la religione. Le persecuzioni religiose durarono 70 anni; solo il 16 gennaio 1989, con l’Ordinanza emessa dal Presidio del Consiglio supremo dell’URSS, finì la persecuzione religiosa. In conformità a quel documento, centinaia di migliaia di fedeli innocenti condannati ufficialmente per attività controrivoluzionarie furono finalmente riabilitati, al termine di procedure piuttosto complesse. Il 7 maggio del 2000 a Roma durante la celebrazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo, in occasione dell’Anno Santo, un papa slavo, Giovanni Paolo II, additava, con fierezza e dignità, alla folla di cattolici radunati al Colosseo, l’eroismo di tanti martiri sconosciuti di quel secolo sanguinoso che volgeva al termine: I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l’ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. I cristiani serbano, però, il ricordo di una grande parte di loro. /.../. Questi nostri fratelli e sorelle nella fede, a cui oggi facciamo riferimento con gratitudine e venerazione, costituiscono come un grande affresco dell’umanità cristiana del ventesimo secolo. Un affresco del vangelo delle Beatitudini, vissuto sino allo spargimento del sangue. *** Vorrei rivolgere un grazie del tutto particolare a Sua Eccellenza, l’Arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz, Metropolita di Minsk e Mahilëu, per la sua bellissima testimonianza in forma di prefazione scritta per il nostro libro. Mons. Kondrusiewicz è nato il 3 gennaio 1946 a Odelsk in Bielorussia ed è di origini polacchebielorusse. Negli anni 1964-1970 ha studiato materie tecniche all’università delle scienze tecniche a Leningrado (oggi San Pietroburgo). Dopo la conclusione degli studi ha lavorato in una fabbrica. Nell’anno 1976 iniziò la sua formazione nel Seminario Maggiore a Kaunas. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 31 maggio 1981 (quindi ancora durante il periodo delle persecuzioni della Chiesa cattolica in Unione Sovietica) ha svolto il suo ministero in Lituania e poi in Bielorussia. Nel 1988 divenne dottore in teologia presso la Facoltà Teologica a Kaunas. Il 25 luglio 1989 è stato nominato da Giovanni Paolo II Amministratore apostolico di Minsk e consacrato vescovo il 20 ottobre 1989 dallo stesso pontefi-
32 Jan Mikrut - Introduzione ce nella basilica di San Pietro in Vaticano. Come vescovo a Minsk ha svolto una proficua attività pastorale, fondando, tra l’altro, il Seminario Maggiore a Hrodna e, grazie alla sua instancabile attività, furono di nuovo riaperte al culto più di cento chiese. Il 13 aprile 1991 Giovanni Paolo II lo nominò Amministratore Apostolico per tutta la Russia Europea; dopo la riorganizzazione della Chiesa in Russia, l’11 febbraio 2002 mons. Kondrusiewicz è stato nominato primo arcivescovo dell’Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, giuridicamente riconosciuta dal Ministero della giustizia della Federazione Russa. Una grande opera curata dall’arcivescovo Kondrusiewicz è stata la fondazione del Seminario Maggiore a Mosca, poi traslocato a San Pietroburgo, per preparare i nuovi sacerdoti per i cattolici della Federazione Russa. Dal 1999 al 2005 mons. Kondrusiewicz è stato presidente della Conferenza Episcopale Russa. Il 21 settembre 2007 papa Benedetto XVI lo ha nominato Arcivescovo di Minsk-Mahilëu, dove svolge la sua missione pastorale. Gli sono molto grato per tutti i suoi preziosi suggerimenti – specialmente nell’ultima fase della stesura del testo – ricevuti in un amichevole incontro a Roma, e per le sue valide indicazioni nella scelta dei collaboratori. L’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz è un testimone oculare della lunga battaglia ideologica svolta dal regime comunista contro la religione in genere e specialmente contro la Chiesa cattolica ed ha vissuto in prima persona gli eventi che sono narrati in questo libro. Di tutto cuore esprimo la mia gratitudine agli autori dei testi di questo libro. Le loro ricerche sono per noi un importante contributo per la conoscenza della storia europea dopo il crollo del sistema comunista. Al progetto hanno collaborato molti studiosi, provenienti da diversi paesi, sicché ciascuno può essere considerato non solo autore dell’articolo, ma anche e soprattutto credibile testimone degli eventi che ha raccontato. Il lavoro è basato su una seria ricerca archivistica e documentale, con un validissimo ed insostituibile contributo dei testimoni oculari. Gli autori sono in gran parte o professori universitari o docenti presso i seminari delle loro diocesi, alcuni sono giornalisti o ricercatori. I contributi pubblicati sono stati scritti nelle lingue degli autori e tradotti in italiano, per dare all’opera maggiore diffusione. Nei diversi articoli sono presentati molti personaggi che, a ragione della loro fede, vennero perseguitati, imprigionati e uccisi. Alcuni, grazie alla sensibilità e all’attenzione dei pontefici romani, in modo speciale di Giovanni Paolo II, sono stati riconosciuti come martiri dalla Chiesa e per molti altri il cammino verso la beatificazione è ancora in corso. Vorrei infine ringraziare tutti i collaboratori, gli autori, i traduttori e i revisori dei testi, in particolar modo il prof. Paweł Wójcik SVD, Michał Brywczyński, Giovanna Brizi, Giulio Cargnello, Caterina Tessicini, Luca Zanotto, Wojciech Kućko, Panteleimon Denis Trofimov e Anna Teresa Kowalewska, per gli impegnativi controlli linguistici e i preziosi suggerimenti: a loro un grande riconoscimento per il complesso lavoro svolto. Un grazie speciale a Michał Brywczyński per la preparazione dell’indice onomastico e toponomastico.