Le parole del Vangelo

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PANFILO DI PAOLO

LE PAROLE DEL

VANGELO DA ABBÀ A ZIZZANIA Dizionario dei termini dei Vangeli e dintorni 615 VOCI

Presentazione di Alberto Maggi


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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2016 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6099-274-1 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), Gennaio 2016 Per la produzione di questo libro è stata utilizzata esclusivamente energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ed è stata compensata tutta la CO2 prodotta dall’utilizzo di gas naturale.


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NOTA DELL’AUTORE

Il presente dizionario è basato sulla mia personale ricerca attraverso le opere dei seguenti autori citati: Abbè Pierre, R. al-Adawiyya, Agostino d’Ippona, D. Alighieri, G. Andreoli, A. D’Aosta, F. Armellini, F. d’Assisi, C. Augias, E. Balducci, G. Barbaglio, K. Barth, A. Bello, T. Bello, J.M. Bergoglio (Francesco I), G. Bernanos, F. Bernardone, E. Bianchi, L. Bigiaretti, N. Bobbio, C. Boggi, D. Bonhoeffer, G. Bosco, R. Brown, M. Buber, G. Bush, T. di Calcutta, F. Camacho, H. Càmara, S. Cankharacyra, R. Cantalamessa, G. Caramore, C. Carretto, B. Carucci Viterbi, J. M. Castillo, G. Cellucci, I. Cinti, L. Ciotti, C. Collo, F. F. Coppola, E. Coreth, S. Costanzo, O. Di Spinetoli, G. D’Anna, F. De Andrè, P. De Benedetti, T. De Chardin, P. Cipollari, G. Colombo, B. De Balsio, G. Della Pergola, Del Vasto Lanza, V. De Paoli, R. Descartes (Cartesio), I. Diamanti, G. di Nissa. R. Di Segni, F. Dostoevskij, M. Eckhart, U. Eco, A. Einstein, F. Engels.A. Eschel, H-H. Esser, P. Farinella, S. Fausti, F. Ferrario, G. Filoramo, M. Fox, G. Franzoni, S. Frigerio, A. Gallo, M. Gandhi, R. Garaudy, D. Garota, A. Garborg, D. Garrone, A. M. Gerard, F. Giansolidati, G. Girardet, F. Guseppe, J. M. Gonzalez-Ruiz, A. Grillo, E. Hans-Helmut, H. Hesse, Ignazio IV di Antiochia, J. Ivory, V. Jankélévitch, S. Kierkegaard, Martin Luther King, P. Klee, R. La Valle, C. Lubich, R. Lullo, M. Lutero, C. Maccari, A. Maggi, L. Maggi, B. Maggioni, T.R. Malthus, R. Mancini, V. Mancuso, A.Manzoni, Maometto, F. Marcoaldi, C. M. Martini, K. Marx, J. Mateos, P. Mazzolari, T. Merton, S. Messina, L. Milani, C. Molari, J. Monod, G.B. Montini (Paolo VI), G. Morselli, D. Müller, F. Nardone, F. Nietzsche, E. Olmi, Origene, M. Ovadia, R. Panikkar, A. Paoli, R. Pérez Márquez, E. Peyretti, G. Piana, Abbè Pierre, S. Piersanti, M. Pincherle, L. Pintor, Platone, C. S. Plinio, Abba Poemon, P. Prini, A. Pronzato, S. Quinzio, K. Rahner, J. Ratzinger (Benedetto XVI), G. Ravasi, P. Ricca, P. Richer, P. A. Robinson, O. Romero, A. Roncalli (Giovanni XXIII), A. Rosso, J. M. Gonzalez-Ruiz, Z. Saltini, J. Saramago, L. Sartori, E. Scalfari, L. Sebastiani, W. Shakespeare, Shri Cankharacyra, P. Sorrentino, B. Spinoza, P. Stefani, T. G. Svetonio, C. Tacito, A. Thellung, D. Tettamanzi, L. Turci, D. Tutu, T. D’Aquino, D. M. Turoldo, G. Vannucci, T.F. Vespasiano, J. B. Vianney, K. Vogt, H.U. Von Balthasar, G. Von Rad, O. Wilde, L. Wertmuller, E. Wiesel, K. Wojtyla (Giovanni Paolo II), A. Zarri, G. Zizola, M. Zundel.


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È tornata la gioia… Grazie, Francesco!


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PRESENTAZIONE -

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PRESENTAZIONE

Le parole del vanGelo di Alberto Maggi

Delle ben seicentoquindici voci che compongono questo Dizionario dei termini dei Vangeli e dintorni, l’unica voce assente, quella più meritevole, è senz’altro “UNICO”. Infatti questo è un lavoro unico nel suo genere. Esistono molti dizionari esegetici, teologici, linguistici, grammaticali del Nuovo Testamento, ma questo lavoro di Panfilo Di Paolo risalta per la sua unicità e la sua originalità. Il Dizionario infatti non è frutto del lavoro di uno studioso che messosi a tavolino ha compilato un dotto elenco dei termini presenti nei Vangeli. Quest’opera nasce dalla vita di credente impegnato che ha portato Panfilo Di Paolo (chirurgo otorinolaringoiatra, primario di Audiovestibologia presso gli Ospedali Riuniti di Ancona) a cercare le origini della sua fede, una fede intensamente vissuta nell’attenzione agli ultimi della società, ai diseredati, agli invisibili. È stato il desiderio di scoprire le radici della sua fede che ha portato Panfilo, insieme alla sua famiglia e poi a tanti amici, a frequentare gli incontri biblici che si tengono presso il Centro Studi Biblici “G. Vannucci” di Montefano (Mc). Ascoltatore attento e critico, Panfilo ha seguito gli incontri mensili iniziando ad annotare a margine della sua Bibbia quelle spiegazioni che gli sembravano interessanti per la comprensione del testo. In breve tempo i margini dell’edizione della Bibbia si rivelarono insufficienti e subentrò dapprima un quaderno, che poi divenne più di uno, e infine il pc portatile. Desideroso non solo di ascoltare ma anche di comprendere, Panfilo ha sempre partecipato agli incontri rivolgendo acute domande di spiegazione e di giustificazione della traduzione che di volta in volta veniva proposta. Dopo ben vent’anni di frequenza assidua e appassionata agli incontri, ora Panfilo regala il frutto del suo lavoro: un elenco di più di seicento voci, dove ogni vocabolo del Vangelo, da Abbà a Zizzania, viene esaminato analizzando il termine greco e, dove esisteva, l’equivalente


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ebraico. Ma, e in questo risalta l’unicità e l’originalità del lavoro di Di Paolo, l’Autore non si è limitato a stilare un Dizionario, ma ha arricchito ogni vocabolo con testi dei Padri, degli Autori classici e dei più importanti biblisti, teologi e letterati dell’epoca contemporanea, per cui il lettore non si meraviglierà di trovare in buona compagnia, associati tutti nell’intento di rendere intellegibile il testo, espressioni di Dante Alighieri e di Corrado Augias, di Francesco d’Assisi e di Enzo Bianchi, di José M. Castillo e Ortensio da Spinetoli, di Vito Mancuso e Roberto Mancini, di Ricardo Perez Marquez, di Davide M. Turoldo e Giovanni Vannucci, fornendo così un ampio ventaglio di interpretazioni e commenti acuti e interessanti che arricchiscono ogni vocabolo esaminato. Il risultato è una sorta di “Guida” alla comprensione dei Vangeli. Quando lo spettatore si trova di fronte a un’opera d’arte, questa potrà certo piacergli e regalargli emozioni, ma se il critico o l’esperto d’arte lo aiuta a decifrare il dipinto ne scoprirà tutta la ricchezza che l’artista ha voluto esprimere attraverso le linee e i colori, le forme e il disegno. Così è del Vangelo. Il lettore può comprendere il significato ma l’aiuto dell’esperto gliene farà scoprire tutta la ricchezza. Il Dizionario è arricchito da un’Appendice con schemi riguardanti le differenze che si incontrano nei Vangeli, dai nomi degli Apostoli alle parole e alle azioni dell’Ultima Cena, dalla formula del Padre Nostro al significato del termine Impuro. A chi è diretto questo lavoro, unico nel suo genere? Certamente agli appassionati della Sacra Scrittura che troveranno in questo Dizionario un valido aiuto alle loro ricerche, allo studioso che trova concentrato in un solo volume quel che normalmente è plasmato in diverse opere, al credente che voglia scoprire la ricchezza dei testi sui quali basa la propria fede, al lettore che voglia gustare la bellezza di testi fondamentali per la storia dell’umanità. Credo che tutti dobbiamo essere grati a Panfilo Di Paolo per questo suo appassionato profondo lavoro. Alberto Maggi


ABBÀ -

ABBÀ È un termine onomatopeico infantile per rivolgersi al padre, famigliare ed affettuoso, privo di quell’alone di autoritarismo che il concetto di padre aveva in quella cultura, con un calore quasi materno. Il termine aramaico deriva da ab, padre, significa il padre da cui si è nati; la stessa confidenza con la madre è indicata dalla parola aramaica immà, da em, madre, che però è usata anche per gli animali. È impensabile per un ebreo rivolgersi a Dio con famigliarità, anche se talora, nelle scritture, Dio è chiamato“Padre”. Infatti, anche in Giovanni 8,41, nello scontro tra Gesù e i Giudei sulla discendenza abramitica, le autorità religiose “Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!»”. Abbà si trova una sola volta nei vangeli in bocca a Gesù, in Marco 14,36: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”, per indicare il suo rapporto unico con “il Padre” come fonte della vita. Ma prima di Marco, l’apostolo Paolo aveva ripreso le parole del Cristo, riferendole a chi, accolto il dono dello Spirito, è divenuto figlio di Dio a pieno titolo: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Romani 8,14-17). Vedi anche PADRE.

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ABOMINIO della DESOLAZIONE Il termine “abominio della desolazione” o “sacrilego devastatore” o “sacrilegio devastante”, esprime l’orrore e il disprezzo per ogni azione che profani la santità di un luogo. In particolare indica il sacrilegio perpetrato nella casa di Dio, il Tempio di Gerusalemme, e l’impurità che ne derivava, raccontate in Daniele 12,11. Tra le visioni di Daniele c’è anche la profezia su Antioco IV Epifàne (175-164), re di Siria e dunque della Giudea, discendente di Seleuco I, generale di Alessandro Magno, che si faceva chiamare epiphànes ossia manifestazione dello splendore di Zeus in terra, ma che era soprannominato epinàmes, pazzo. Egli nel 167 a. C., profanò il Tempio e il Santo dei Santi, impose ai giudei il culto di Zeus Olimpio, erigendo, sull’altare degli olocausti, una statua di Giove, proibendo la religione ed i riti giudaici ed ordinando di distruggere i libri della Legge, sotto pena di morte. Ciò provocò la violenta rivolta dei Maccabei guidati dal sacerdote Mattatia e poi dal figlio Giuda Maccabeo che, dopo la riconquista Gerusalemme, nello stesso giorno del 164 a. C. purificò il tempio e ricostruì l’altare offrendo sacrifici (1Maccabei 1,54 e 4,45-53). Ma forse, Matteo e Marco si riferiscono a quando (nel 40 d. C.) Caligola, figlio di Germanico e nipote di Tiberio, ordinò a Petronio, governatore della Siria, di far innalzare nel Tempio una sua statua, provocando una furibonda reazione popolare. ABRAMO Gli ebrei rimpatriati dalla cattività babilonese tentarono di darsi un’identità su cui fondare la nuova nazione. e il libro del Genesi, uno scritto tardivo (V-IV secolo a.C.) che vuole, attraverso immagini e simboli, raccon-


12 - ACCOGLIERE tare gli inizi dell’umanità, non è una cronaca di avvenimenti reali. Il racconto mitico del Genesi, dalla fine del capitolo 11, vuole ricostruire la nascita del popolo ebraico descrivendo la vita di Abramo, discendente diretto di Noè, di Sem e di Eber, partendo da antichi racconti mitici tramandati oralmente tra le tribù beduine del medio oriente. Alla morte del padre Terach, un costruttore di idoli, Abramo lascia Ur, nella bassa Mesopotamia, con Sara, la moglie sterile, e il nipote Lot e migra verso occidente fino alla terra di Canaan, dove, secondo il racconto, Dio lo aveva condotto perché ne prendesse possesso: “Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nella terra si trovavano allora i Cananei. Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso” (Genesi 12, 1-7). Il libro poi, per accentuare il legame con la terra promessa, narra l’incontro con Melchisedek, il re sacerdote di Salem, la futura Gerusalemme. La Bibbia narra come egli avesse piena fiducia in Dio, ma è certo che si faceva aiutare da Agar, la schiava di Sara, per avere un figlio. Ma Dio mantiene le sue promesse e da Sara, ormai vecchia, nasce Isacco, dal quale può iniziare la discendenza promessa, con Giacobbe-Israele e i suoi figli: “Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò molto, molto numeroso». Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Quanto a me, ecco,

la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni” (Genesi 17,1-4). Un altro punto focale del racconto è la richiesta divina di sacrificare il suo unico figlio: “Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato” (Genesi 22,1-3). (…) “Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere»” (Genesi 22,9-14). Questo racconto, apparentemente insensato, inaccettabile per la nostra mentalità neo testamentaria, acquista un senso se si fa riferimento al testo ebraico, nel quale si parla di Elohim (il nome plurale degli dei cananei, cui si sacrificano i figli primogeniti) che chiede ad Abramo di sacrificargli il figlio, e il Dio unico (Jahvè) che invece lo rifiuta. ACCOGLIERE l verbo “accogliere” indica, per il cristiano, il comportamento che deve avere il credente verso Dio, che non va cercato o ricevuto, ma accolto. Lo stesso vale per Gesù, la Parola che il Padre ci invia: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1,11-12). Ma lo stesso termine greco usato per dire “accogliere”, viene anche tradotto con “prendere” o “catturare” in Giovanni 18,12 (Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono). Mar-


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co, da parte sua, spiega che ascoltare e accogliere la Parola non è sufficiente, perché occorre portare frutto: «Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltano la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno» (4,14-20). Ossia occorre accogliere, nel senso di ricevere la Buona Notizia portata da Gesù ma anche farla fiorire in gesti d’amore gratuito e illimitato, nonostante i limiti posti dalla nostra finitezza, dagli errori, dai condizionamenti della famiglia e della società, ma anche della religione. Lo stesso Marco espone con chiarezza come dobbiamo accogliere il Vangelo: “Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»” (9,3337), e “In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non vi entrerà” (10,15). Il verbo “accogliere” ha anche il senso di “ospitare”: è usato nell’episodio di Zaccheo (Luca 19,6) e in quello delle sorelle di Lazzaro (Luca 10,38), ma è soprattutto il verbo di Maria nella sua perfezione di madre diventata la discepola perfetta: “Maria è icona dell’accoglienza perché non nasce con una santità già pronta per l’uso, non ha capito tutto sin dal principio, ma cammina nella fede accettando una lenta rivelazione attraverso il tempo e i

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segni, come ogni altra creatura umana; conservando nel cuore – come dice a due riprese Luca nel capitolo due – anche quello che non riesce a comprendere” (Lilia Sebastiani). ACQUA Hýdòr in greco, mentre il recipiente che la contiene è hudria, giara o anfora che sia. Ma nel rito battesimale del Battista, in Marco e Giovanni, viene usato il termine potamós, fiume. In quella terra riarsa l’acqua è più che mai simbolo di vita; ma gli ebrei, che non erano un popolo di navigatori, temevano l’immensa distesa d’acqua del mare ed era terrorizzato di poter morire senza la sepoltura in terra d’Israele e quindi di essere escluso dalla resurrezione. Per questo l’acqua, nella Bibbia ebraica, ha un triplice valore: - 1) è l’elemento essenziale nei riti purificatori della religione ebraica; - 2) è il segno della vita che Dio offre ai suoi figli. È così simboleggiato nelle parole di Geremia 2,13: “Essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate, che non tengono l’acqua “; oppure in quelle del Salmi 64,19: “Tu visiti la terra e la disseti”; - 3) è segno di morte e distruzione, segno del nulla, del caos o delle forze avverse all’uomo che solo Dio può governare, delle grandi acque del diluvio. È scritto in Giobbe 38,8-11: “Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: «Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde»?”. Nel vangelo di Giovanni, invece, l’acqua ha un triplice diverso significato: 1) simbolo dello Spirito Santo sia nell’episodio della samaritana, sia nell’acqua e sangue usciti dal costato di Cristo sulla croce; 2) simbolo di rinascita dall’alto dell’uomo nuovo nell’episodio di Nicodemo che Gesù ha invitato a rinascere da “acqua e da Spirito”; 3) simbolo, nell’episodio nozze di Cana, dell’antico Israele (l’infedele sposa di Dio) che non ha vino: Gesù trasforma l’acqua in buon vino, perché non l’obbedienza alla Legge, ma l’amore è il giusto rapporto tra Dio e il suo popolo.


14 - ACQUA VIVA ACQUA VIVA Più volte nella Bibbia, la fresca acqua corrente è chiamata “acqua viva”. In Giovanni 4,10-14, nell’episodio della samaritana, l’acqua sorgiva viene contrapposta all’acqua del pozzo: “Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo (phrear) è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Le rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; invece chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente (peghè) di acqua che zampilla per la vita eterna»”. ADULTERIO In quella cultura tribale primordiale una donna sposata che si unisce con un altro uomo compie sempre adulterio, mentre un uomo lo fa solo se si unisce ad un’ebrea sposata perché la donna è proprietà del marito e non può essergli tolta. Lo dice il decalogo di Mosé: “Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.” (Deuteronomio 5,21). La donna è una “cosa” del marito. Per quanto riguarda i dieci comandamenti di Mosè, avrebbero potuto essere tranquillamente nove perché il nono (non desiderare la donna d’altri), è una ripetizione del decimo (non desiderare la roba d’altri) perché la moglie è una proprietà privata, una cosa del marito e, come tale, nessun altro può togliergliela. Nella dottrina morale cattolica poi, lo ricorderete, il sesto comandamento (non commettere adulterio) era stato arbitrariamente riscritto (non commettere atti impuri), il che non è esattamente la stessa cosa. Infatti in Levitico 20,10 si legge: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte”. Nella Bibbia ebraica non è invece considerato adulterio l’unione di un uomo con una schiava o con una donna adulta libera.

L’adulterio di un uomo con una ragazza promessa sposa è punito con la lapidazione di entrambi solo se avviene in città. Verrà ucciso solo l’uomo se la ragazza è stuprata in aperta campagna, dove non può chiedere soccorso: “Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te. Ma se l’uomo trova per i campi la fanciulla fidanzata e facendole violenza giace con lei, allora dovrà morire soltanto l’uomo che è giaciuto con lei, ma non farai nulla alla fanciulla. Nella fanciulla non c’è colpa degna di morte: come quando un uomo assale il suo prossimo e l’uccide, così è in questo caso, perché egli l’ha incontrata per i campi. La giovane fidanzata ha potuto gridare, ma non c’era nessuno per venirle in aiuto” (Deuteronomio 20,22-27). Come la prostituzione, nel linguaggio biblico, l’adulterio, in senso figurato, equivale al peccato di idolatria, ossia è come adorare gli idoli invece di Dio. Israele è allora considerata la sposa di Dio che si prostituisce con i falsi dei, gli idoli: - “Perché ti dovrei perdonare? I tuoi figli mi hanno abbandonato, hanno giurato per coloro che non sono dèi. Io li ho saziati, ed essi hanno commesso adulterio, si affollano nelle case di prostituzione. Sono come stalloni ben pasciuti e focosi; ciascuno nitrisce dietro la moglie del suo prossimo. Non dovrei forse punirli? Oracolo del Signore. Di una nazione come questa non dovrei vendicarmi?” (Geremia 5,7-9). - “Perciò così dice il Signore Dio: «Tu mi hai dimenticato e mi hai voltato le spalle: sconterai la tua disonestà e le tue prostituzioni!». Il Signore mi disse: «Figlio dell’uomo, non giudicherai tu Oolà e Oolibà? Non mostrerai loro i loro abomini? Sono state adultere e le loro mani sono lorde di sangue, hanno commesso adulterio con i loro idoli; persino i figli che mi avevano partorito, li hanno fatti passare per il fuoco in loro pasto. Ancora questo mi hanno fatto: in quello stesso giorno hanno contaminato il mio santuario e profanato i miei sabati; dopo avere immolato i loro figli ai loro


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idoli, sono venute in quel medesimo giorno al mio santuario per profanarlo: ecco quello che hanno fatto dentro la mia casa!” (Ezechiele 23,35-39), che fa riferimento al popolo d’Israele. - “Accusate vostra madre, accusatela,perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque, e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. La loro madre, infatti, si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna, perché ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande. Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso». Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento e d’oro, che hanno usato per Baal. Perciò anch’io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; porterò via la mia lana e il mio lino, che dovevano coprire le sue nudità. Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani. Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue assemblee solenni. Devasterò le sue viti e i suoi fichi, di cui ella diceva: «Ecco il dono che mi hanno dato i miei amanti». Li ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. La punirò per i giorni dedicati ai Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me! Oracolo del Signore. Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai:«Marito mio», e non mi chiamerai più:«Baal, mio padrone»” (Osea 2,4-18). Ma Dio, un Dio d’amore, la riconquisterà. La stessa cosa è scritta nel capitolo 4 di Giovanni, quando Gesù decide di attraversare la Samaria affinché la donna samari-

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tana abbandoni i suoi sei mariti (gli idoli cui si prostituiva) e torni al Dio vero che Gesù rappresenta. Ma negli altri vangeli Gesù accusa di adulterio la sua generazione, come in Matteo 12,39: «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona il profeta», e Marco 8,38: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». In Giovanni 8,1-11 la fidanzata bambina, chiamata donna, sorpresa in fragrante adulterio deve, per gli scribi ed i farisei, essere lapidata. Ma, in Levitico 20,10 si legge: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte”. Allora dov’è l’uomo? E neanche si può supporre che siano stati colti in flagrante in aperta campagna perché, secondo la Legge (Deuteronomio 22), doveva allora esserci solo l’uomo e non solo la donna. AFFATICATO Gesù è affaticato (il verbo greco è kopiao) in Giovanni 4,6 presso il pozzo di Giacobbe: “Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno”. Anche le folle, in Matteo 11,28, sono affaticate per il peso del “giogo”, come è chiamata la Legge: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darà ristoro». Sono “Le folle affrante dalla fatica di vivere” diceva Tonino Bello, lo scomodo vescovo di Molfetta. Un termine diverso è usato in Marco 6,48 (Vedendoli però affaticati nel remare poiché avevano il vento contrario, sul finire della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli) dove è scritto che i discepoli erano “provati dallo sforzo” di remare. AFFLITTI Non sono coloro che sono tristi, ma coloro che sono sottoposti ad afflizioni. Il “Beati gli afflitti” di Matteo 5,4 sarebbe meglio tradotto con “Beati gli oppressi, gli oppressi di sempre, schiacciati dai potenti di turno, politici e religiosi, in una condizione di ingiustizia e che “sono nel pianto”, ossia coloro che soffrono di un dolore così forte da


16 - AGNELLO diventare manifesto in gesti, parole, lamenti e pianto. Il popolo ebreo era oppresso non solo dai romani, ma anche dalle stesse autorità civili e religiose giudaiche. Lo stesso è scritto in Marco 16,10 e in Luca 6,25: “coloro che sono nel pianto “… perché saranno consolati” e non solamente confortati: perché Dio pone fine alla causa della loro afflizione, ossia sono liberati. Solo la fine radicale dell’afflizione e non il solo conforto morale, sarà la causa della loro beatitudine. Nel celebre passo di Isaia 61, che Gesù legge (e censura) nella sinagoga di Nazaret, è scritto al versetto 2 “per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion”, ossia coloro che sono sottomessi dalle necessità della politica, dell’economia e della religione, che saranno “consolati” quando arriverà il Messia, ossia adesso, dice Gesù. La prima rappresentazione di Dio che il popolo ebreo ha raggiunto è stata quella di un Dio liberatore (solo più tardi si è fatta strada quella di un Dio creatore), perché la manifestazione è stata, sussiste e sarà in rapporto al gemito degli oppressi da ogni tipo di potere; quello che allora era l’asservimento in Egitto: - “Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio” (Esodo 2,23). - “Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (Esodo 3,7). Con il brano delle beatitudini di Matteo (5,312) la liberazione che Gesù porta in nome di Dio, si estende ad ogni schiavitù, con la condanna di ogni potere, che per gli ebrei dei suoi tempi, era soprattutto la religione. AGNELLO Il termine è usato da Giovanni all’inizio del suo vangelo, quando chiama Gesù “agnello di Dio” e, alla fine, quando Gesù invita Simone Pietro a prendersi cura dei suoi agnelli. Compare anche in Luca 10,3: “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi” ma nel brano corrispondente di Matteo 10,16 che invece dice pecore: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. In greco agnello si dice in più modi (amnós, arèn o anche arníon, che è il diminutivo di

arèn). Pecora è invece próbon, come ricorda il nome della porta di Gerusalemme detta “delle pecore” o “probàtica”, citata nel vangelo di Giovanni all’inizio del capitolo V, nell’episodio della drammatica guarigione, nel giorno di sabato, del paralitico nella piscina di Betzatà. La parola “agnello” porta alla memoria, nella Bibbia, tre figure: 1) La prima figura è quella del servo sofferente di JHWH descritto – in Isaia 53,7 – come una vittima sacrificale che si dà liberamente ai suoi carnefici. Il servo anonimo di Isaia, raffigurato come un agnello (Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, ma non aprì la sua bocca), è l’immagine dell’uomo senza colpa, che accetta umiliazioni, sofferenze e morte ed offre se stesso in espiazione dei peccati “di molti”, consegnandosi muto ai suoi carnefici. Ma l’idea che qualcuno debba pagare per le colpe di altri sembra un pensiero legato ad una visione ancora troppo umana della divinità: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (53,8). L’immagine di Gesù che muore perché il Padre vuole dal Figlio una riparazione per perdonare i peccati degli uomini mi sembra blasfema, eppure ha ancora tanti fervidi e convinti seguaci. Gesù è morto solo per ragioni umane, vittima del potere oppressore e del fanatismo religioso, perché il giusto, in un mondo ingiusto, desta avversione ed odio. 2) La seconda immagine è quella del vangelo di Giovanni che vede in Gesù l’agnello pasquale che Mosè ordina di uccidere e mangiare (Esodo 12), senza spezzarne le ossa, nella notte dell’esodo; la sua carne arrostita darà ai figli di Israele la forza per partire dall’Egitto verso la libertà, e il suo sangue, spruzzato con un ramoscello di issopo sull’architrave e sugli stipiti delle porte delle case, salverà dalla morte i primogeniti ebrei: è l’agnello redentore, con il cui sangue Dio riscatta il suo popolo. La celebrazione di tutte le pasque successive è il memoriale, ricordo ed attualizzazione, di quell’evento di salvezza. Per Giovanni, infatti, Gesù muore nell’ora in cui nel Tempio vengono uccisi gli agnelli per la Pasqua. Egli dona agli uomini il suo corpo e il suo sangue, da mangiare e bere. La Pasqua è il memoriale della sua morte, per la liberazione dalla morte eterna,


AGNELLO -

seguono le ben 600 voci per finire . . . . . . . a ZIZZANIA

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ZIZZANIA Meglio nota con il nome “loglio”, è una graminacea infestante che, spuntando somiglia al grano, mentre crescendo si riconosce bene. Le sue radici, che si intrecciano con quelle del grano, rendono molto pericoloso il tentativo di estirparla. I suoi grani nerastri, ricoperti talora da una muffa, se ingeriti, sono tossici. Crescendo, compete con il grano e sfrutta il terreno; ma Dio non vuole che gli uomini la estirpino dal suo Regno. In ogni caso noi non possiamo distinguerla correttamente dal grano e le manovre per sradicarla finiscono con il danneggiare anche il buon grano. Solo il padrone del campo può decidere il tempo in cui dividerla dal grano e ciò avverrà solo alla fine, dopo la mietitura. Il mondo religioso pullula di sradicatori di zizzania. Ma questi servi zelanti sono più pericolosi della stessa zizzania: più volte, nella storia del cristianesimo di stampo costantiniano, il grano (i figli del Regno) è stato estirpato con la zizzania (i figli del Maligno ossia quelli che accettano le tentazioni del Satana nel deserto); perciò “no” ad una comunità di “eletti” che vuole estirpare i “dannati”. Dice Roberto Mancini: “Dio considera zizzania del mondo tutti i nostri idoli, ma nessuno dei suoi figli” e aggiunge “Nessun padre degno di questo nome, distingue tra il grano e la zizzania”. Ernesto Balducci ricorda questa parabola come un monito a “coloro che hanno continuato a predicare questa parola del Vangelo in tutti i luoghi e lungo i secoli e sono stati spesso dei fanatici che hanno fatto della identificazione della zizzania e della sua estirpazione l’essenza stessa del compito cristiano. Come sia possibile questo contrasto fra una presunzione di fedeltà alla parola del Vangelo e un comportamento diametralmente opposto, è un problema che ci riguarda perché ci siamo anche direttamente coinvolti” (…) “Gesù Cristo, non lo dimentichiamo, è stato sradicato come zizzania dal potere religioso e politico. I cristiani hanno poi praticamente ripetuto nei confronti degli altri quello che è stato compiuto contro Gesù Cristo”. Quando Pilato minaccia Gesù asserendo di avere il potere di liberarlo o di crocifiggerlo, Gesù risponde: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato


18 - AGNELLO a te ha un peccato più grande» (19,11). L’imperatore gli aveva dato l’autorità di amministrare la giustizia, ma Pilato usa la sua libertà – dono di Dio a tutti gli uomini – per compiere un’ingiustizia. Ma, dice Gesù ai capi dei sacerdoti, che parlano in nome di Dio, alla colpa per l’ingiustizia, si aggiunge il peccato, la colpa di fronte a Dio. In Giovanni 2,7 allorché si descrive l’azione che permette di rapportarsi con Dio, è scritto che le giare furono riempite fino “in alto”: “E Gesù disse loro: “«Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo»”. Il giusto rapporto con Dio non dipende dall’osservanza della legge di Mosè, ma dall’adesione a Gesù e al suo Vangelo. Differente è il significato in due altri brani, Giovanni 8,23 (E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; (il greco dice “in alto”) voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo) e Luca 24,49 (Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto) in cui “alto” o “lassù” rispecchiano la mentalità di quell’epoca, secondo la quale Dio è in alto e può solo scendere. Lo diciamo anche noi, quando diciamo “scendi Santo Spirito!”.


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