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Giuseppe Maso
MALEDETTO IPPOCRATE Appunti di un medico di famiglia italiano
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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2017 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 mail info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-354-0 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, Ottobre 2017 In copertina: Antonio Canova, Amore e Psiche, Ermitage, San Pietroburgo.
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A mia moglie
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indice
Ritratto del medico di famiglia di HĂŠctor Febles 9 Introduzione 13 Maledetto Ippocrate
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Conclusione 121
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Ritratto del medico di famiglia di Héctor Febles 1
«Chaque homme porte la forme entière de l’humaine condition.»
(Ogni uomo porta l’intera impronta della condizione umana)
Michel de Montaigne, Essais, III, 2
Possiamo immaginare il Dott. Giuseppe Maso mentre rivede gli avvenimenti del suo fare e sognare quotidiano alla fine di una giornata in ambulatorio, o di un pomeriggio di visite a domicilio, o al ritorno da qualche Congresso medico, e apre il frigorifero, o beve o mangia qualcosa prima di sedersi alla scrivania del suo studio di casa e fa diventare quegli avvenimenti appunti di un Diario. E non possiamo non renderci conto che il nostro immaginario quadro domestico previo alla loro scrittura, oltre al rituale che darà luogo a questi frammenti di vita che il lettore ha davanti, sia l’antisala non solo del Diario di un medico di famiglia italiano, ma di un genuino “Diario letterario”, quel versatile genere della conoscenza che dalla fine del Cinquecento prenderà il nome di “saggio” in virtù del titolo (Essais) che un certo Michel de Montaigne aveva dato, appunto, ai volumi dei suoi “Diari letterari”. Infatti: la “messa in scena” di questo Diario è un felice miscuglio di soggettività e metodo, di etica e di estetica, di esistenza e di pratica, dove si citano le curiosità dello specialista e l’insonnia dell’esperto preoccupato, due modi di osservare la natura umana, di rappresentare i nostri comportamenti intimi e sociali. Sfilano casi propri di pazienti e argomenti propri del lavoro ecumenico di un medico di famiglia: la sessualità come Héctor Febles vive a Venezia ed è docente di Letteratura Ispanica e Comparata alla Facoltà d’Interpretariato e Traduzione dell’Università degli Studi Internazionali di Roma. 1
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tabù; l’aborto come mezzo anticoncezionale; il dilemma della morte nel trittico medico-paziente-famiglia; l’approccio psicofisico a ogni trauma medico; la maternità come metafora; la domanda “cosa devo decidere?” del paziente come maschera delle sue insicurezze; l’esplorazione del “se stesso” della demenza. E così via. Ma allo stesso tempo, è un Diario pieno di perspicacie che non cerca di essere un’indagine psicologica, delle situazioni che nascono dai personaggi (dai pazienti, dai collegi) convocati, giacché ognuno di loro è citato e persino scrutato per evidenziare le situazioni in gioco, lì dove le vaghezze della vita apparente diventano caratteristiche, e la lucidità dell’autore si mostra sempre consapevole di quell’attualissima ammonizione di Giordano Bruno, secondo la quale gli antichi siamo noi, i lettori del presente, non i personaggi della Genesi o dell’Edipo re. Lucido membro della tribù di alcuni pensatori idealisti, il Dott. Maso sa benissimo che il montaggio di apparenze che ci circonda giorno e notte, è, tra altre cose, una farsa. In un’epoca dove quasi tutti (almeno nel cosiddetto primo mondo) cercano la “spettacolarità” di quasi ogni cosa che dicono o fanno, e dove tutto, per esistere, deve diventare uno “spettacolo”, è rinfrescante costatare che il Dott. Maso, fedele al consiglio lasciato tra le righe dei presocratici, è uno spettatore: un’umile e attento contemplatore delle vicende umane. Nell’uso dell’oralità scritta che s’intravede nel coro delle più di quattrocento entrate di questo Diario – slegate tra di loro solo in superficie –, si cerca di mostrare, non di esibire; si predilige l’approccio probabilistico alla sentenza enfatica; si considera la parola scritta un erede della più antica e diffusa parola orale, non un atto sacro. Come se la sua curatissima espressività scritta non dimenticasse che l’adagio latino verba volant scripta manent (‘la parola – orale – sparisce; la scritta rimane’), soprainteso dopo Gutenberg – e oggi accentuato dal uso d’Internet – come un’esortazione dell’uso dei caratteri e dei tasti, allora si diceva come avvertenza ai rischi che si corrono con la testimonianza scritta. Non sarà strano se per qualche momento durante la nostra lettura ci venga in mente 10
il celebre paradosso di Zenone. Come in quello, questo Diario non si ferma su tutti i punti (gli appunti) intermedi che ci sono da appunti in appunti per mostrare l’impossibilità di movimento – di effettività – del Sistema Sanitario Italiano, le cui vicissitudini paradossali, come nell’Inferno della Commedia, non finiscono mai. All’autore non serve reinventare le situazioni burocratiche intollerabili del mondo contemporaneo che furono già scoperte e documentate dalla letteratura di Kafka agli inizi del novecento. Gli intricati meandri dell’incubo burocratico della Sanità (valga il paradosso) in Italia sono registrati qui con esempi che superano i deliri più deliranti. È chiaro fin da subito che il piacere di queste pagine non dipende dall’interpretazione che se ne può fare. Abbondano le frasi che valgono (anche) per la loro melodiosa precisione, commenti la cui forza non è mai presuntuosa, corollari illuminanti da un medico che è un mediatore nel senso più ampio del termine (uno che ‘medita’ in cerca di rimedio), o citazioni opportune di prestigiosi autori in prestigiosi campi (non solo) della ricerca medica. Per coniare un’immagine memorabile può bastare una linea: «L’ambulatorio si è trasformato in una copisteria con due stampanti per postazione e un programma di gestione informatico ad hoc». Oppure: «Mondiali di calcio, gioca l’Italia, ambulatorio vuoto; guarigioni miracolose di massa!». Tra i suoi poteri di lettura, questo mosaico di appunti (di entrate e uscite) scritti da un medico di famiglia italiano può diventare un libro di avventure che, al contrario di ciò che accade con il Chisciotte, con il Tristram Shandy, o con altri libri di avventure decisive della Età Moderna, non prevede la deferenza agli studiosi a caccia di ricorrenze di miti, o di eventuali rinnovazioni stilistiche, ma lo stimolo di parole vivide che sente il lettore quando indovina nella delicatezza delle frasi del suo artefice, che prima di redigerli per scritto sembra averli pronunciati. E, ciò nonostante, si capisce senza fatica che questo Diario (medico, letterario) non è stato concepito da un predicatore. Da frammento a frammento, il suo procedere, come quello che seguono i maestri della 11
finzione narrativa, è indiretto. Qualcuno di cui mi sfugge il nome ha notato che i ricordi che 80 o 90 anni di vita si accumulano nella memoria di chiunque, abbraccerebbero, messi in ordine, due o tre giorni di racconti. Tuttavia, leggendo e rileggendo i passi sciolti che determinano l’insieme del libro che il lettore ha davanti, ho avuto l’ipnotica sensazione che i ricordi in ordine del pugno di giorni nella vita del Dott. Maso, ben potrebbero abbracciare (come minimo) 80 o 90 anni di racconti.
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INTRODUZIONE
Questo libro è una raccolta di appunti, considerazioni e osservazioni, scritti dopo una giornata di lavoro *. Sono solo spunti di riflessione. Aprono una finestra su una professione che, contrariamente a quanto comunemente si crede, è sconosciuta non solo alla gente in generale ma anche ai medici che non la praticano. Ancora più sconosciuta, a mio avviso, lo è per politici, amministratori e funzionari che dovrebbero in qualche modo programmarne il futuro. Sono considerazioni fatte da un medico che lavora assieme ad un’infermiera da molti anni in un ambiente particolare: l’ambulatorio di medicina generale. Sono, anche, brevi storie di persone vere in un mondo vero. Naturalmente riguardano ciò che mi ha maggiormente colpito o ciò che mi ha particolarmente turbato, esprimono, ovviamente, la mia sensibilità; altri colleghi si sarebbero soffermati su altro, certamente. Non viene qui descritta la routine che è prevalentemente clinica e si rivolge alla cura delle malattie, alla loro prevenzione o alla riabilitazione. Il caso clinico puro è la nostra quotidianità; anche se complicato e difficile, rientra nella sfera delle nostre conoscenze ed abilità; esso diventa problematico quando vi si affiancano incognite sociali e professionali che ne complicano la gestione. Quasi sempre l’approccio ai problemi in medicina di famiglia deve essere di tipo bio-psico-sociale appunto perché affrontiamo problemi e curiamo persone, non malattie. La Medicina di Famiglia è una disciplina. Tradizioni storico-sociali, conoscenze specifiche, metodo proprio, obbiettivi riconosciuti e condivisi, considerazione sociale, leggi e norme vincolanti che la riconoscono sono tutti elementi che la caratterizzano. Essi costituiscono un complesso di regole che ne determinano la originalità e la individualità e che la distinguono dalle altre specialità mediche. La professione del Medico di Famiglia sottostà a vincoli e rituali che 13
derivano da legislazioni, ordinamenti, tradizioni, deontologia ed etica frutto della storia sociale e delle convenzioni tra gli uomini. La nostra professione si fa carico, anche, di un processo di semplificazione, che ha l’obiettivo di evidenziare e riportare all’essenziale le conoscenze specialistiche. Questo enorme processo di sintesi fatto dai medici di famiglia di tutto il mondo è probabilmente una delle più grandi conquiste della medicina moderna. È l’arte di applicare quotidianamente, su vasta scala e contemporaneamente, i risultati scientifici e tecnologici delle discipline specialistiche, adattandole non solo ai bisogni fisici ma anche alle più intime necessità del singolo uomo inserito nel suo contesto familiare e sociale. Il sapere scientifico, le conoscenze biologiche e le applicazioni tecnologiche modificano costantemente la nostra specialità e, come satelliti, su di essa esercitano un’attrazione e ne condizionano l’orbita. Essa è in continua evoluzione sotto la spinta di pressioni sociali, ma costanti, sempre, rimangono la personalizzazione della cura e il farsi carico della responsabilità (abilità a rispondere) di tutti i bisogni di salute del paziente. Non siamo, e non abbiamo la presunzione di essere, gli unici soggetti in grado di dare tutte le risposte al paziente; possiamo risolvere direttamente i problemi, consigliare itinerari specialistici, essere consulenti per situazioni gestionalmente complesse, mediare linguaggi tecnici o essere “avvocati” nei conflitti di competenza. Quotidianamente ci inoltriamo nei territori delle dinamiche familiari, delle relazioni interpersonali, del counselling e della psicoterapia anche se la base costante del nostro lavoro rimane la clinica. Per tutti questi motivi la nostra professione è specchio della società e dell’essere umano. Non ci sono distinzioni di età, sesso, razza, cultura o ceto sociale, tutto rientra nell’attività quotidiana. Su tutto un principio fondamentale: la continuità assistenziale, basata su un rapporto di fiducia. È proprio questo rapporto continuativo, patto fra persone libere, il vero fulcro e la vera potenza di questa professione. Essa sta attraversando, in Italia, un periodo di profonda 14
crisi; emerge nel libro un grido di allarme e di dolore. Alla medicina di famiglia sono stati posti numerosi limiti organizzativi, prescrittivi, formativi tali da pregiudicarne la sopravvivenza. Le nuove forme di assistenza primaria, che vengono proposte e realizzate, vanno proprio a scalfire il rapporto personale e continuativo tra medico e paziente; rapporto di fiducia ma anche rapporto di sentimenti ed emozioni che sono i fondamenti di questa specialità. Questo libro, piccolo contributo per la conoscenza della nostra realtà, un riflesso dell’anima di Ippocrate nell’Italia contemporanea, vuole ricordare come questa professione sia insostituibile, come essa sia voluta e cercata da tutti gli uomini e le donne che pensano che una persona libera possa farsi curare solo da un professionista libero. A tutti noi dovrebbe essere garantita la possibilità di scegliere il medico di cui abbiamo fiducia perché a lui affidiamo il nostro bene più prezioso, la nostra salute.
* Questi appunti sono già stati pubblicati in parte, sotto forma di diario settimanale in un periodico dedicato ai medici di famiglia (“MD Medicinae Doctor”, Passoni Editore, Milano, dal 2005 a oggi). Una quota di questi appunti ha già costituito il contenuto di un libro che è stato distribuito a medici di Medicina Generale (Le età della vita, Passoni Editore, Milano 2007). 15
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MALEDETTO IPPOCRATE
1. Buongiorno dottore, volevo solo salutarla e dirle che proprio
oggi io sono una sua “paziente d’argento”, sono venticinque anni che lei assiste me e la mia famiglia. Scambiamoci gli auguri.
2. Al telefono spesso giungono le richieste più strane, per le quali non sempre le risposte sono ovvie. Oggi, Anna, 34enne madre di due figli, ci chiama per un consiglio. È stata sottoposta a biopsia endometriale; in vagina ha ancora una garza medicata che il ginecologo le ha detto di togliersi da sola. Anna imbarazzata non ha il coraggio di farlo. Ha chiesto aiuto al marito che non si è sentito in grado di farlo. Anche il suo medico di famiglia, una volta ascoltata la sua richiesta d’aiuto, è arrivato alla conclusione che forse la sorella sarebbe stata in grado di riuscirci con l’ausilio di una pinzetta. Disorientata, impaurita, sconcertata, Anna ci chiede aiuto. Cercando di sciogliere l’imbarazzo, invitiamo la paziente in studio. È in grande disagio, anche perché si trova nella necessità di affidare la propria sfera intima, non al ginecologo di fiducia che l’aveva presa in carico, ma ad un team di cure primarie. L’infermiera con l’ausilio di uno speculum ed una pinza asporta la garza. Questo episodio, apparentemente banale, dimostra quali valenze ed implicazioni possa avere una semplice operazione che riguardi la sfera sessuale. Spesso le donne trovano difficoltà nel toccare e nel penetrare i propri genitali già in buona salute, figuriamoci quando sono percepiti “malati”. La sfera sessuale può essere tabù per il marito o per la sorella ma non abbiamo capito perché lo sia stato anche per il medico di famiglia della signora. 17
3. Oggi preparando una signora di origine rumena, sulla cin-
quantina, al Pap test, l’infermiera pone le consuete domante di rito “...ha avuto aborti? – “Sì credo una decina”. Riportiamo nell’apposito stampato. L’aborto probabilmente è ancora un mezzo anticoncezionale in buona parte d’Europa.
4. La morte è sempre un evento sconvolgente ma lo è ancor di più quando è una morte improvvisa. È un evento che può essere previsto (per i molteplici fattori di rischio) ma non accettato. In questo caso il medico non condivide con la famiglia la preparazione all’evento, non propone scelte gestionali e terapeutiche e non è complice del paziente o dei parenti. Di solito una morte improvvisa incrina in qualche modo il rapporto medicofamiglia. Ma è stato fatto tutto? Perché non è stato previsto? Sarebbe successo lo stesso con un altro medico? Oggi invece la vedova del signor Bruno è entrata piangendo in studio; ha voluto venirci a dire come è successo e come si sentiva. Abbiamo continuato a parlare dei problemi di Bruno, abbiamo fatto assieme un’epicrisi della sua storia e di tutti gli accertamenti eseguiti; abbiamo individuato assieme tutte le cause e trovata la ragione di quanto successo. Abbiamo, congiuntamente, chiuso la cartella di Bruno, abbiamo chiuso il cerchio del nostro rapporto aperto anni fa. Il rapporto medico-paziente continua anche dopo la morte finché questo cerchio non si chiude e solo allora può continuare anche con i familiari. Poi, c’è da curare un altro dolore, quello dell’anima, è per questo che oggi la signora è tornata da noi. 5. Carla aveva la testa intorpidita e la faccia arrossata, non si sentiva bene e visto che era in macchina si è fermata al pronto soccorso. È una donna di un certo carattere, viene spesso in ambulatorio per il marito ma non ha mai voluto delegare a chiunque la cura della sua persona; lei, dice, sa come mantenersi in salute e comunque non ha mai dato peso alla sua obesità. In pronto soccorso le misurano la pressione e fanno alcuni esa18
mi emato-chimici. La signora risulta essere ipertesa e diabetica. Viene inviata in consulenza cardiologica ed in consulenza internistica. Il cardiologo appoggia la signora al centro per l’ipertensione e l’internista la invia al centro antidiabetico che la invia anche all’ambulatorio per l’obesità. Il centro per l’ipertensione, il centro antidiabetico e il centro per l’obesità già fissano una serie di appuntamenti per i controlli. Quando ritorna nel mio studio la signora ha con sè un pacco di carte e una serie di prescrizioni farmacologiche. La paziente è stata suddivisa fra subspecialità. Ma il problema vero non riguarda la cura del diabete e dell’ipertensione ma la cura globale della signora Carla che ha il diabete e l’ipertensione ma ha anche un rapporto particolare con il cibo e con il marito. L’approccio ai problemi delle persone dovrebbe essere sempre bio-psico-sociale, proprio per questo si sente la necessità di continuità assistenziale caratterizzata da un rapporto esclusivo medico-paziente. Ma si sente anche la necessità di una medicina di famiglia di buon livello e di un miglior rapporto fra medicina generale e specialistica.
6. Ultima paziente della giornata è Angela, ventinovenne. Oggi è qui per parlare di alcuni suoi dubbi che l’angosciano molto. Ha un grande desiderio di maternità e sogna di costruire presto una sua famiglia. Il compagno però non ne vuole sapere: perché limitare la propria libertà, rinunciando agli agi, ai divertimenti, al godersi la vita fino in fondo? Ma per Angela tutto questo conta molto meno di avere un figlio. Secondo lei il completamento e la maturità della coppia sono intrinsecamente legate alla genesi di una nuova vita. Ci chiede cosa fare. Altre donne ci hanno chiesto un aiuto per affrontare questo tipo di conflitti. Ricordiamo Giorgia, incinta, che invece il figlio proprio non lo voleva. Lavora a tempo pieno, aveva già un figlio di cinque anni, la madre malata di tumore alla mammella. D’accordo col marito non voleva cambiare nulla della loro vita, del loro menage quotidiano. Giorgia soffriva molto per i sensi di colpa, ma non se la sentiva di affrontare questa nuova maternità. È venuta spesso nel 19
nostro ambulatorio, ha eseguito gli esami previsti per il primo trimestre, è sempre stata combattuta tra ciò che avrebbe voluto e ciò che l’educazione e la sua coscienza invece le suggerivano. Il marito ad un certo punto le ha lasciato tutta la responsabilità della scelta. È stato davvero un gran tormento e quando, alla fine, in cuor suo, ha accettato di portare a termine la gravidanza, l’ecografia non evidenziava più il battito fetale. Giorgia ora sente un pesante senso di colpa, si sente responsabile d’aver causato lei stessa, col suo stato d’animo, la morte del feto. Maria è un altro caso ancora: trentanove anni, sposata con una figlia di otto anni. È venuta nel nostro ambulatorio perché sospettava di essere incinta. Il test di gravidanza è risultato positivo e subito ci ha manifestato la sua immensa felicità ma, diversamente, il marito ne è rimasto contrariato tanto da invitarla in tutti i modi ad abortire. È tornata molto scossa e disorientata. Il marito ha una grande influenza su di lei, a tal punto che avevamo la netta sensazione che Maria avesse paura delle sue reazioni. Le abbiamo consigliato di prender tempo, di sottoporsi ad un’ecografia e di sentire contestualmente il parere della ginecologa. Il tempo e le indagini diagnostiche hanno aiutato Maria a prendere una decisione in autonomia e piena consapevolezza: ha deciso di portare a termine la gravidanza. La possibilità di intervenire sulle leggi della natura pone a tutti grandi problemi etici, probabilmente superiori alle nostre possibilità; a noi viene spesso richiesto un aiuto per prendere decisioni che riguardano la morale e le credenze di ciascuno. Molto spesso la richiesta di aiuto è mascherata e sembra che il paziente si aspetti da noi una scelta che invece riguarda sempre e solo lui. È molto difficile non interferire, lasciar fuori i nostri valori personali ed i nostri punti di vista; non è per niente semplice agire affinché ognuno possa scegliere in libertà, con consapevolezza e secondo i valori in cui crede.
7. Le neuroscienze stanno aprendo una finestra su un universo sconosciuto, ci fanno ripensare la vita psichica, le emozioni, i sentimenti e perfino il pensiero religioso. Rappresentano una delle frontiere della scienza e della filosofia, pongono sfide 20
importanti e interrogativi inquietanti. Problemi che hanno angustiato le menti umane per secoli vengono visti sotto un’altra luce: il libero arbitrio e la coscienza di sè appaiono soltanto l’esito di scambi ionici tra qualche cellula gelatinosa. Vilayanur S. Ramachandran, professore di neuroscienze e psicologia all’università della California di San Diego, ha provato a definire esattamente cosa si intende per “sè” individuando cinque caratteristiche fondamentali: la continuità, l’idea di unità e coerenza, la corporeità, la facoltà di azione volontaria e la capacità di riflessione. Non so se Mafalda, mia paziente demente, abbia cognizione del suo passato, del presente o del futuro, non so nemmeno se abbia coscienza del possesso del suo corpo o se si senta padrona delle sue azioni e del suo destino. Eppure, Mafalda ha coscienza di sè, lo capisco dallo sguardo, dalle smorfie e da come risponde agli stimoli più diversi. Ci deve essere qualcosa in più che definisce il “sè”. In ogni caso si ha la sensazione che la classificazione attuale delle demenze sia insufficiente e che sia necessario un approccio diverso a questa patologia.
8. Oggi è morto Giorgio, un paziente che abbiamo seguito per parecchie settimane, sapevamo che doveva succedere ma non pensavamo che succedesse proprio oggi ed improvvisamente. Giorgio aveva una leucemia mieloide e una cardiomiopatia dilatativa in fase avanzata. Tre settimane fa ha avuto una polmonite ab ingestis che ha aggravato la situazione e ha provocato uno scompenso cardiaco importante. Oggi stava un po’ meglio, aveva mangiato qualcosa, era apiretico e la saturazione di ossigeno si manteneva soddisfacente anche se la terapia in atto era ancora importante (digitale, diuretici, ace-inibitori, teofillina, ossigeno ecc). Quando siamo entrati nella sua stanza (era uno dei nostri pazienti ospiti in R.S.A.) stava con un cugino che non vedeva da anni e stava piangendo. Quando siamo usciti è entrato in stanza il figlio; Giorgio gli ha preso la mano, se l’è portata alla guancia ed è spirato. Aveva deciso di morire. In questi casi, rimane un grande senso di frustrazione: non siamo riusciti a risolvere il problema. Sappiamo benissimo che abbiamo fatto il possibile ma se ci pensiamo questo nostro sentimento deriva 21
dal fatto che non siamo riusciti ad entrare in intimità con il paziente, non siamo stati capaci, in alcun modo, di influire sulle sue decisioni, perché lui ha deciso veramente.
9. Abbiamo programmato per oggi un piccolo intervento di chirurgia ambulatoriale. Un nostro giovane paziente è caduto dalla moto durante una competizione e a distanza di un paio di mesi sono evidenti dei piccoli corpi estranei sottocutanei al gomito destro. In realtà, i piccoli corpi estranei che si palpano altro non sono che le parti acuminate di un sasso del diametro massimo di circa un centimetro. L’intervento di estrazione è stato banale, ha richiesto una modesta anestesia locale, una piccola incisione e tre punti di sutura. Eppure il paziente ci ha guardati in maniera nuova. Il mio medico è in grado di curarmi! Noi parliamo molto di counselling (attività relazionale finalizzata a orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del paziente), di gestione di patologie croniche e di bioetica ma ci dimentichiamo spesso il valore di toccare le persone che curiamo. Talvolta ci dimentichiamo che per il paziente l’intervento sull’acuzie, le abilità chirurgiche e le manualità diagnostiche sono la prova del nove del nostro essere medici. 10. Oggi, come sta avvenendo già da una settimana, abbiamo
visto molte sindromi febbrili caratterizzate da una parte da sintomi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea) e dall’altra da manifestazioni respiratorie (rinorrea, tosse stizzosa, bruciore in gola). Quest’anno ci sembra che queste infezioni virali siano più dell’anno scorso. Comunque, nel nostro ambulatorio, c’è stata una strana coincidenza: abbiamo visto, nello stesso periodo, numerose crisi ipertensive. Alcune siamo riusciti a controllarle in ambulatorio usando nuovi farmaci antipertensivi o aumentando la terapia già in atto, per altre vi è stato bisogno di ospedalizzazione visto che sembravano non rispondere ad alcun presidio. Non solo, abbiamo riscontrato diversi casi di ipertensione di nuova insorgenza. Abbiamo telefonato al pronto soccorso dell’ospedale più vicino per sapere se anche loro avessero osservato lo stesso fenomeno, ma il turn-over del personale e la divi22