Un Tango Corto

Page 1

Ministero dell’Università e della Ricerca A.F.A.M ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPLOMA ACCADEMICO DI I LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

UN TANGO CORTO DI

GAETANA ALOI 6278

RELATORE

PROF. VITTORIO UGO VICARI

A.A.2012-2013



INDICE Introduzione

Pag.5

Capitolo I: Storia del fumetto italiano

Pag.15

Capitolo II: Hugo Pratt: il viaggiatore incantato

Pag.65

Capitolo III: Corto Maltese Pag.111 Capitolo IV: Tango

Pag.147

Capitolo V: Un tango corto

Pag.175

Apparati Indice delle illustrazioni

Pag.235

Indice delle tavole

Pag.241

Bibliografia Pag.244 Sitografia

Pag.246



Introduzione Il fumetto è a tutti gli effetti una forma d’arte, un linguaggio che da oltre un secolo instrada giovani e non verso la comprensione di svariate problematiche. Tale codice espressivo, nonostante i pregiudizi e gli ostacoli incontrati durante il suo sviluppo, diventa un vero e proprio genere letterario grazie anche al contributo del fumettista e scrittore italiano Hugo Pratt. Egli infatti innalza il fumetto a una altissimo livello e gli attribuisce la definizione di «letteratura disegnata»: al suo interno salda insieme realtà storica e finzione con minuziosa alchimia. Lo stesso scrittore e semiologo Umberto Eco dichiara: «Se voglio divertirmi leggo Hegel, se voglio impegnarmi leggo Corto Maltese». Lo stile prattiano racchiude in sé tre aspetti fondamentali: la tecnica, la fantasia e una solida base documentaria. L’artista possiede una biblioteca di oltre trecentomila volumi: libri su pellerossa, logge massoniche, colonie africane, manuali di storia, raccolte di figurine, militaria. Le sue ispirazioni partono dalle letture di Melville, Conrad, Wallace, Zane Grey e dai romanzi di Stevenson, dal quale estrapola la definizione di «gentiluomini di fortuna». Nel 1967 Hugo Pratt dà vita al marinaio Corto Maltese, un pirata con l’orecchino sull’orecchio sinistro, il berretto, la giacca blu, la sigaretta sempre tra le labbra, che in ogni modo non abbandona mai il suo portamento elegante promosso da un’aria romantica. Corto apparentemente non ha patrie né ideali, ma pian piano si scopre capace di gesti nobili. Appassiona due generazioni di lettori ed è tradotto in diverse lingue (coreano, turco e serbo), ma la sua storia resta un mistero. Come si ritrova a fare il pirata per conto dei tedeschi nell’Oceano Pacifico alla vigilia della Prima Guerra Mondiale? Perché non concede mai ai suoi lettori una scena d’amore pur essendo circondato da una miriade di donne? Corto inoltre è sempre in partenza, pronto ad intraprendere nuove avventure: lo lasciamo in Oceania e riappare nei Caraibi, in Amazzonia, in Honduras; si sposta dall’Irlanda al Corno d’Africa, fino alla Siberia del dopo rivoluzione. Il marinaio attraversa la sto5


ria: incontra Jack London in Manciuria, Stalin ad Ancona, Hermann Hesse nel Canton Ticino. Il suo migliore amico è Rasputin, lo stregone dei Romanov, o perlomeno la sua trasfigurazione ingenua, spietata, sanguinaria fino all’assurdo. Nel 1923, il Maltese approda a Buenos Aires: la città del tango, del biliardo e della malavita, alla ricerca di un’amica identica alla diva del cinema muto Louise Brooks, la stessa che ispira Guido Crepax per il caschetto della sua Valentina: Pratt le rende omaggio dopo aver fatto la sua conoscenza nel 1983 a casa sua, a Rochester, negli Usa. Malgrado il titolo di quest’avventura sia «Tango», la danza sembra essere un’esperienza del tutto marginale rispetto alla storia. Lo scopo di Hugo Pratt infatti è quello di sottolineare come essa coincida con l’espressione di una cultura d’immigrazione che in Argentina trova finalmente la possibilità di esprimersi negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del secolo scorso. Più in generale, il tango nasce nei locali notturni delle città portuali Buenos Aires e Montevideo frutto dell’ibridazione di differenti culture conseguente al flusso migratorio verso quello che per molti rappresenta “il Nuovo Mondo”: tra queste si annoverano l’africana, l’americana e l’europea. Il nostro protagonista vi si trova immerso come metafora dell’infelicità, della nostalgia, della rabbia per la marginalizzazione dei migranti nelle periferie e nei conventillos patite in una Buenos Aires per altri versi ricca e spensierata. Egli dunque “balla” il tango sulle note della tragedia di una bambina dispersa e di tutte le solitudini malavitose che le gravitano intorno. Il suo passo è il passo di un investigatore, comunque, nel solco di una vicenda gangsteristica, ma dai risvolti romantici. Poiché il ballo, come lo definisce il musicista e compositore argentino Astor Piazzolla è così: «Se sei malinconico, il Tango accarezza dolcemente la tua malinconia, se sei allegro è la colonna sonora giusta per proiettare sugli altri la tua allegria. Il Tango sei tu. Sono i tuoi sentimenti, gli stati d’animo, le tue gioie o le tue tristezze a definirne il colore e il significato. Il Tango entra nel cuore passando dal 6


canale aperto in quel momento e ne assume la natura». Nel fumetto Hugo Pratt ci restituisce intatti al sogno del tango, la musica originale delle avventure di tutti i «Gentiluomini di Fortuna». Lo spirito della danza si evince all’interno di sordidi scenari che hanno splendidi sfondi onirici di stampo prattiano. Tali elementi sono divenuti oggetto di studio a partire da un’istanza fondamentale: la compenetrazione quasi spasmodica dei linguaggi del costume applicato alla danza, alla musica e al video. Il fumetto rappresenta un genere letterario molto importante da non sottovalutare, ed è affascinante soffermarsi e irrompere all’interno delle sequenze che lo compongono così come accadrebbe davanti ad un opera d’arte. Hugo Pratt a tal proposito sembra non lasciare alcun dettaglio al caso, anche grazie alle numerose esperienze culturali tangibili che egli accumula durante la sua vita: l’aspetto costumistico è studiato e diventa parte integrante nella descrizione dei personaggi perché, come ci insegna la storia della moda, ne mette in risalto le condizioni sociali insieme alle formae mentis. Corto nella fattispecie è un marinaio e di conseguenza indossa la divisa della marina, quella mercantile, ovvero un completo blu composto da una classica giacca doppiopetto con bottoni dorati e mostrine, camicia bianca, cravattino nero, calzoni a campana, cappello e scarpe. Sui colletti la giacca presenta due spille a clip raffiguranti un ancora (i militari usano la stella). In «Tango», al look del protagonista si accosta quello tipico degli anni Venti del Novecento che vede l’eleganza maschile in tagli all’inglese: inglesi sono gli ampi pantaloni detti Oxfordbag (o pantaloni Tango) perché indossati in passato da alcuni studenti dell’università di Oxford: molto larghi alle caviglie. Comuni sono inoltre i completi spezzati, tra cui lo Stresemann che consiste in una giacca nera monopetto, un gilet grigio, cravatta chiara, pantaloni rigati/gessati. Accanto alla grande diffusione del tessuto gessato troviamo scarpe da passeggio a due colori, uno per la tomaia e l’altro per la ghetta. La donna degli anni Venti abbandona le sensuali forme della Belle Epoque in favore di un look androgino: i completi 7


divengono più mascolini, le giacche in tweed e i completi pantalone si abbinano alle scarpe basse con i lacci, mentre per la sera la nuova voga del Charleston e del Jazz promuove abiti corti, con perline applicate (oscillanti nel ritmo della danza) che scoprono le gambe. Gli abiti da sera hanno spesso ampie scollature sia davanti che dietro e lunghezze asimmetriche negli orli; la leggerezza dei loro tessuti accentua alla vista la sensazione di fragilità. Durante il giorno le vesti sono dritte, in jersey, dalla vita segnata molto bassa con cinture, mentre lunghi pullover s’indossano insieme a gonne a pieghe, anch’esse dalla vita bassa e dal taglio sportivo. La nuova silhouette androgina non prevede l’uso del busto ma di corsetti che schiacciano il seno per ottenere una figura snella: le stecche di balena rigide ormai sono un lontano ricordo perché i nuovi bustini sono realizzati in gomma. In quel periodo al centro dell’attenzione erotica sono le gambe (non più seno e fianchi) e le calze, di conseguenza, sono sempre più sottili. L’accorciarsi delle gonne determina una maggiore accuratezza anche nella fabbricazione delle scarpe, che si realizzano con stampe innovative rievocanti merletti o motivi floreali. Un’altra importante svolta per le donne riguarda il taglio dei capelli a caschetto: a la garçonne, su cui s’impone l’uso della cloche, il cappello a calotta arrotondata a tesa bassa. Il progetto qui proposto verte sulla realizzazione di costumi rievocanti il mondo di Corto Maltese trasfigurato all’interno degli anni Ruggenti, periodo in cui si sviluppa la sua avventura argentina. L’atmosfera del fumetto si compone contemporaneamente di elementi surreali e metropolitani che è stato deciso di portare alla luce mediante la realizzazione di un cortometraggio di danza. Accanto ad una reinterpretazione del costume del marinaio s’è deciso quindi di costruire un abito femminile in stile charleston, che con i suoi elementi riporti in vita le suggestioni delle antiche sale in cui si era soliti danzare il tango: frange e perline attingono all’elegante storia del costume di quegli anni. Il momento metropolitano scelto per la rievocazione è pro8


prio quello in cui Corto si trova a ballare il tango nelle vie di Buenos Aires; ma a tale momento di vita reale fanno da sfondo due lune gemelle che illuminano il cielo. Da qui il terzo costume che dà voce ad un personaggio surreale: la luna. Anch’essa danza, sinuosa nei cieli di “Palermo” (è questo un processo osmotico ricercato e voluto, tra Palermo di Sicilia e “Palermo” quartiere di Buenos Aires), presso la Tonnara Bordonaro, accompagnata dalla sua gemella: entrambe appaiono legate indissolubilmente nello spazio e nei sentimenti al tango di Corto. Desidero ringraziare tutti coloro i quali hanno lavorato in simbiosi in modo altamente professionale alla realizzazione del mio progetto: l’Associazione “Palermo In Danza” di Palermo e la sua fondatrice Santina Franco; l’Associazione culturale Omonia-Contemporary Arts di Silvia Giuffrè, coreografa, danzatrice e direttore artistico della compagnia, e Alessandro Montemaggiore. A seguire l’insegnante della Scuola Internazionale di Musica Palermo Jazz Alejandra Bertolino Garcia per la produzione del brano cantato Vuelvo Al Sur. Per le riprese e il montaggio del video si ringraziano: il docente della cattedra di Digital Video dell’Accademia di Belle Arti di Palermo Marco Battaglia e gli allievi/videomakers del corso di I livello in Audio/Video e Multimedia: Umberto Denaro e Simone Brancatello. Per il trucco Anni venti ringrazio l’ hairstylist & make up artist Alessio Scarlata by Ivan Hairlab. Per aver immortalato gli emozionanti momenti vissuti sul set ringrazio il fotografo Lorenzo Gatto. Ringrazio inoltre il mio relatore Vittorio Ugo Vicari per essere stato un’importante guida durante l’intero percorso di stesura della tesi; il Prof. Sergio Pausig per i complementi di web design, impaginazione e grafica che consentono una migliore presentazione degli elaborati di tesi on line; la Prof.ssa Francesca Pipi per alcune indicazioni di metodo nella tecnica e nello stile sartoriale adottati. 9



A mia madre



Disegnare è situare il centro della propria esistenza nel mondo immaginario in cui i morti non scompaiono mai. Joann Sfar.



I. Storia del fumetto italiano Ci sono libri, storie, personaggi che lasciano un segno indelebile nella vita di ciascun individuo e arrivano a mischiare, come accade nel momento onirico, la fantasia con la realtà. Il fumetto oltrepassa ogni confine e apre un varco ai suoi lettori tanto da indurli a sciogliere le catene della ragione. La comunicazione a fumetti quindi esprime non soltanto informazioni ma anche emozioni tangibili che abbracciano i personaggi (emozioni dei soggetti narrati), la storia (emozioni dell’autore) e il lettore senza mai disperdersi1. Tale medium, alla stessa stregua del cinema e della letteratura, acquista una funzione segnica2 centrale all’interno della società ed è contemporaneamente l’estensione e il potenziamento delle facoltà umane. Per tale ragione è necessario valutare l’impatto sociologico e psicologico di questo mezzo di comunicazione3 di cui il lettore fa esperienza, spesso in solitudine, e con il quale instaura un rapporto di simbiosi che ne garantisce la diffusione all’interno di una dimensione atemporale: l’immagine a stampa offre allo sguardo del lettore un tempo teoricamente illimitato4. Malgrado ciò il fumetto gode per molti anni di una cattiva reputazione all’ombra di altri media, simbolo di una povertà intellettuale decantata da una lingua definita “sgrammaticata”. Considerato, infatti, per molto tempo una lettura d’infanzia, si suole paragonarlo ad un acne giovanile. I suoi autori, a tal proposito, dichiarano: Siamo stati accusati di soffrire della sindrome di Peter Pan, di essere ragazzini non cresciuti, affetti dalla sindrome del piccolo personaggio che non vuole diventare adulto. L’importante è che il cuore resti giovane in quanto la forza di Peter e dei lettori dei fumetti non sta nell’essere ancora bambini né nella paura di crescere ma nella capacità di migliorarsi, nel far viaggiare la fantasia, nell’affezionarsi ai personaggi validi sui quali puoi sempre contare5.

Le origini del fumetto devono essere ricondotte alla nascita della stampa, del vignettismo e della caricatura. Il mez zo tipografico ha un forte impatto nella storia occidentale, 15


veicolando la Riforma protestante, il Razionalismo e l’Illuminismo e originando il Nazionalismo, l’industrialismo, la produzione di massa, l’alfabetismo e l’istruzione universale6 . Già alla fine del Quattrocento, in Germania, si diffondono xilografie su temi religiosi, morali e politici le quali, grazie alla stampa a caratteri mobili, si evolvono in illustrazioni. In Inghilterra, intorno al 1682, Francis Barlow (1626-1704) nei suoi fogli propagandistici si serve di nuvolette o balloons7 a forma di bandiera riguardanti il cosiddetto “complotto Papale”8. La tecnica delle illustrazioni attraverso i balloon viene perfezionata, sempre in Inghilterra, prima da James Gillray (1757-1815) e poi da Thomas Rowlandson (1756-1827) , che nel 1809 inventa il personaggio del Dottor Syntax. Ma il primo a gettare le basi narrative e grafiche del fumetto è l’americano Richard Felton Outcault (1863-1928)9 il quale incoraggia, accanto agli speech balloon, la suddivisione della storia in vignette. I balloon, o nuvolette, sono gli spazi in cui s’inseriscono le parole pronunciate dai personaggi. Le lettere, in genere, presentano la stessa forma ma all’interno della vignetta si possono trovare parole, dai più svariati font, estranee al dialogo. Tali sintagmi10 (mezz’ora più tardi, alcuni giorni dopo, ecc.) provvedono a creare un legame tra più vignette sul piano della narrazione: si trovano solitamente sopra la figura o possiedono un colore diverso dal bianco dei balloon. Il termine fumetto interessa unicamente l’Italia11. Oltrepassando i confini del nostro paese, infatti, ad identificarlo troviamo svariate terminologie. Nei paesi francofoni si chiama bandes dessinées, ovvero strisce disegnate, termine che sostituisce quello ottocentesco histoires en images coniato dall’autore svizzero Rodolphe Töpffer (1799-1846). Bandes dessinées fa riferimento alla principale caratteristica di ogni fumetto formato, per l’appunto, da strisce disegnate costituite, a loro volta, da vignette in sequenza narrante un’infinità di storie. Nei paesi anglofoni e germanici si parla di comics o storie comiche, in quanto trattano argomenti leggeri: ad oggi è un termine comune a tutti. Negli anni Ottanta Will Eisner (19172005) avanza il termine di sequential art o arte sequenziale12. 16


In Giappone, nel 1814 si diffonde, grazie all’intervento del pittore Katsushika Hokusai (1760-1849), la dicitura manga, “immagini a caso” o “capricciose”. In Spagna, invece, si parla di tebeos dal nome della rivista «TBO»13; in Argentina i fumetti sono historietas, “storielle”, una definizione affettuosa ma al contempo riduttiva; in portoghese sono quadriños, ovvero “storie a quadretti”. Unꞌulteriore definizione, diffusa negli Stati Uniti, è graphic novel o “romanzo a fumetti”, termine che conferisce al genere la dignità culturale alla quale in fondo ha sempre aspirato14. Studiando il linguaggio del fumetto, infatti, se ne apprende la complessità tanto da associarlo al cinema: è costituito da tavole, apparentemente piatte e bidimensionali, ma in realtà attraversate da tortuose tensioni comunicative in grado di mettere in azione, quasi come un film d’animazione, le vignette in sequenza nelle quali albergano disegno e testo. Uno dei massimi pionieri del disegno animato, a cui si deve la realizzazione delle prime vignette in sequenza, comparabili ad un film d’animazione, è il fumettista statunitense Winsor McCay (1869?1934)15. L’emozione primaria che scaturisce dalla lettura dei fumetti è, in prima istanza, legata al processo percettivo-conoscitivo grazie al quale l’immagine da statica diventa vissuta. Il disegnatore, infatti, si serve delle figure per narrare i passaggi fondamentali, scelte per la loro bellezza tra infinite possibilità, e il fumetto, sia pure nella virtualità concepita dalla mente dei lettori, diviene un racconto audiovisivo in movimento16. All’interno della struttura del fumetto un altro elemento finalizzato a garantirne la corretta comprensione è la parola scritta. Senza di essa, afferma il semiologo francese Roland Barthes (1915-1980), l’immagine rimane polisemica. Il testo, quindi, estingue il carattere sibillino del disegno e facilita il lettore nel percepire lo scorrere del tempo tra una vignetta e l’altra. L’esperienza che egli compie a contatto con questo medium merita la giusta considerazione in quanto coinvolge tutti i sensi: le azioni dei personaggi, ad esempio, vengono frequentemente enfatizzate da suoni onomatopeici trascritti all’interno delle vignette. La vignetta, pertanto, al pari del17


lo schermo cinematografico, raccoglie in sé due linguaggi diversi: uno iconico e l’altro verbale17. Malgrado ciò il suo montaggio può solo evocare il movimento, dimensione attinente alla realtà, in quanto i quadri fissano istanti unici. Lo schermo di un cinema, invece, proietta immagini che lo spettatore riconosce in quanto fanno riferimento a tutto quello che egli è avvezzo a scorgere nella vita quotidiana. Per tale ragione la vignetta è paragonabile ad una tela e i fumettisti, come pittori, sembrano ricorrere al trompe-l’oeil al fine di contrastare il senso di irrealtà che sprigionano i loro disegni: gli oggetti raffigurati sono soltanto “immagini” di quelli reali. I disegni, dunque, si presentano alla lettura come un artefatto, un’evocazione sintetizzata dagli autori, i quali dichiarano la propria natura materiale mediante i segni stampati sulla carta. Nonostante ciò il fumetto è una vera e propria bomba genetica concepita sotto molteplici influenze (illustrazione, cinema, letteratura, pittura, teatro, scenografia) e tocca dimensioni della fantasia che la tecnologia del cinema non sempre può rendere visibile con la stessa forza. Francis Lacassin (1931-2008) afferma: «Il fumetto è la sola arte che permetta di rendere l’inferno di Dante o una guerra sul pianeta Marte con una rappresentazione illustrata, scenari grandiosi che i costi o l’impotenza della tecnica impediranno per sempre al cinema». L’immagine disegnata, infatti, emana un’essenza poetica tale da autorizzarla a prendersi qualsiasi libertà nei confronti del reale: così è possibile vedere i supereroi volare sopra i tetti di New York. I disegni e i loro rapporti rappresentano certamente motivo di attrattiva verso il mondo dei fumetti, ma altrettanto affascinante è tutta quella zona d’ombra rappresentata dallo spazio bianco compreso tra due vignette, che sfugge all’occhio del lettore perché censurata dai suoi creatori18. Il vero calco del fumetto è quello dell’illustrazione popolare. L’illustrazione è una tradizione assai nobile, per le sue ascendenze artistiche, ma anche democratica per la capacità di declinarle all’interno della cultura di massa. Tuttavia è doveroso alzare un muro tra fumetto e illustrazione. Daniele Barbieri (1957) scrive: «la differenza tra l’illustrazione e la vignetta sta nel fat18


to che la prima commenta mentre la seconda racconta»19. L’illustrazione, sostiene il semiologo, “illustra”, appunto, un testo che già esiste autonomamente. In essa l’azione e il movimento sono fine a se stessi e le immagini appaiono slegate tra loro (è il caso delle illustrazioni di un libro). Il fumetto, di contro, “racconta” le sue storie mediante immagini che le convalidano20. In Italia la nascita del fumetto coincide con la pubblicazione del primo numero del «Corriere dei Piccoli», il 27 dicembre 1908, supplemento illustrato settimanale del «Corriere della Sera», fondato da Silvio Spaventa Filippi (1871-1931)21. Il «Corriere dei Piccoli» diventerà autonomo solo nel 1955, quando a dirigerlo sarà Guglielmo Zucconi (1919-1998). Il suo formato vede la storia concludersi in una tavola dai colori vivaci ma non vi è ancora alcuna presenza delle “nuvolette parlanti”, i balloon, probabilmente bandite dall’illustratore Antonio Rubino (1880-1964) a causa del vuoto eccessivo da esse prodotto. Ciò avviene perché il fumetto è concepito sin da subito come strumento erudito e non come svago, incaricato di prendere le distanze dal linguaggio parlato al fine di educare i giovani alla metrica della poesia ed alla prosa dei romanzi. I primi personaggi apparsi sul «Corriere» sono il negretto Bilbolbul (fig.1) del 1908 e Quadratino (fig.2) del 1910, rispettivamente degli illustratori Attilio Mussino (1878-1954) e Antonio Rubino (1880-1964). Le storie di Bilbolbul sono surreali e ambientate in un’Africa immaginaria, così come quelle di Quadratino, in cui si fondono la geometria della scuola primaria e lo stile Liberty. Il tratto di Rubino, infatti, si caratterizza per la sua essenzialità, pur mantenendo elementi grotteschi risultato dell’influenza dell’Art Nouveau. All’interno del rotocalco, inoltre, si traducono fumetti americani come Bibì e Bibò. Attraverso la collaborazione delle agenzie di distribuzione, i cosiddetti syndicate, e tra gli artisti si diffonde il vezzo di modificare i nomi dei protagonisti. Sergio Tofano (1886-1973), soprannominato Sto, ad esempio, crea il Signor Bonaventura (Betty Boop, fig.3), personaggio clownesco e sfacciatamente fortunato, comparso, dal 1917 fino al 1966, sul «Corrierino»: l’artista si serve del tratto come linea 19


di contorno conferendo una resa finale alquanto stilizzata. Tra gli altri personaggi promossi sulle pagine del «Corriere dei Piccoli» tra il 1928 e il 1930 si ricordano Marmittone (fig.4) di Bruno Angoletta (1889-1954), San Pampurio di Carlo Bisi (1890-1982) e Pier Cloruro de’ Lambicchi di Giovanni Manca (1889-1984). Il primo è un soldato semplice, tenero e goffo, che subisce continue punizioni, mentre il secondo un nevrotico borghese sempre insoddisfatto. Gli eroi promossi dal «Corriere» rappresentano modelli identitari per molti bambini e con la nascita del Fascismo, il 23 marzo 1919 (data della fondazione dei Fasci Italiani di combattimento), il giornale diventa un vero e proprio strumento di propaganda. Il rapporto tra fumetto e Fascismo è infatti sinergico e a tratti simbiotico. Non bisogna tralasciare il fatto che il controllo sull’informazione da parte del regime è garantito dall’acquisto, tra il 1911 e il 1925, delle maggiori testate giornalistiche e dall’introduzione degli albi. I giornali per bambini iniziano ad inculcar loro le ideologie fasciste, dipingendo quel periodo come un modello storico di pace e moralità. Nonostante i controlli da parte del regime su alcune testate, giornali come «La Stampa» e «Il Corriere della Sera» riuscirono a sopravvivere. Con le “Leggi Fascistissime” (1925-1926) e quelle del 1925 Mussolini assegna ad ogni giornale un direttore responsabile, già iscritto al Partito fascista. Egli inoltre crea l’Ufficio Stampa che, nel 1937, prende il nome di Ministero della Cultura Popolare; ad esso l’onere di sequestrare i documenti ritenuti pericolosi, d’impartire alcune regole riguardo gli ordini di stampa e d’impedire qualsiasi riferimento alla cultura americana. Per tale ragione gli editori dei fumetti iniziano a stravolgere i nomi, e a volte anche le storie, dei protagonisti dei fumetti stranieri. Nel febbraio del 1923 nelle edicole viene pubblicato il «Balilla», giornalino a fumetti propagandistico in forte concorrenza con il «Corrierino» dal quale prende spunto per la grafica. Pochi mesi più tardi esce un altro concorrente di forte ispirazione cattolica, «Il Giornalino»22. Quest’ultimo vive la sua epoca d’oro negli anni ‘70, quando la concorrenza con il «Corriere dei Piccoli» stimola entrambe le riviste a un continuo miglioramento. 20


Il primo eroe dei fumetti fascista appare soltanto nel 1932, anno di pubblicazione della rivista «Jumbo», primo settimanale italiano a fumetti, edito dal fiorentino Lotario Vecchi (1888-1985), costituito da storie a puntate sulla falsariga dell’inglese «Rainbow», nel quale convivono didascalia e nuvoletta. Si tratta del bell’aviere Lucio l’avanguardista, versione italiana della serie inglese «Rob the Rover», difensore del “giusto”, che prende vita dalle mani di Enwer Bongrani (1914-1968). In breve tempo sorgono altre figure legate al regime: Lio, disegnato da Antonio Rubino, e Grillo di Guido Moroni Celsi (1885-1962). Lo stesso anno l’editore Nerbini pubblica il primo numero di «Topolino» (fig.5), in cui appaiono i già celebri personaggi disneyani. Nel 1935 la testata passa nelle mani prima della Mondadori e poi della Walt Disney Italia, i cui personaggi, a partire dagli anni Cinquanta, riscuotono un enorme successo, tanto che oggi il 70% della produzione mondiale di fumetti disneyani vanta origini italiane. Qualche anno dopo, nel 1934, la Nerbini promuove anche «L’Avventuroso», una rivista che favorisce l’eliminazione delle didascalie a favore dei balloon ed ospita quasi esclusivamente fumetti d’avventura americani. Un’altra rivista del periodo, volta a pubblicare soprattutto materiale americano, è «L’Audace», edita da Lotario Vecchi. I fratelli Del Duca, di contro, lanciano «Il Monello», nel 1933, e «L’Intrepido», nel 1935, pubblicandovi solo fumetti italiani ispirati ad avvenimenti realmente accaduti. Il I gennaio del 1937 nasce «Il Vittorioso», settimanale rigorosamente dal sapore nazionale e di matrice cattolica, in cui emergono talenti come Jacovitti (1923-1997), Craveri (1899-1973) e Caprioli (1912-1974), pubblicato fino al 1966. Tale giornale, oltre alla parrocchie si appoggia alle edicole, agli istituti scolastici e agli educandati, ma i fumetti in esso pubblicati non sempre riescono ad allontanare le piccole ansie e la paura della morte che imperversano nelle menti dei ragazzi nel clou della guerra. Alla fine degli anni Cinquanta nelle edicole circolano ulteriori periodici: «Il Giorno dei ragazzi» e «Il Pioniere». Il primo è un inserto gratuito del quotidiano dei Mattei il «Pioniere»; il secon21


do, invece, circola fra i ragazzi delle famiglie iscritte al Pci. Sui fogli d’anteguerra («Topolino», «L’Audace», «L’Avventuroso»), pertanto, inizia il primo boom del fumetto d’autore in Italia. Il regime di “autarchia” intervenuto in seguito alle sanzioni imposte al paese dopo la guerra d’Etiopia (19351936), provoca un vero e proprio sconvolgimento. Tutti i fumetti d’importazione scompaiono, ad eccezione di «Topolino» che è benvoluto da Benito Mussolini (1883-1945), il cui nome però viene sostituito con Tuffolino. Il legame tra il Duce e i fumetti di Topolino si consolida maggiormente quando, nel 1938, viene lanciata la campagna per l’italianizzazione della produzione fumettistica, dopo il “Congresso Nazionale per la letteratura infantile e giovanile” presieduto da Filippo Tommaso Martinetti (1876-1944). Egli redige il “Manifesto della letteratura giovanile” ispirato ai valori patriottici, religiosi, etici e politici del momento. Tale campagna difensiva provoca la sostituzione degli eroi americani lasciando via libera a quelli italiani. L’Italia, infatti, nel dopoguerra, a causa della crisi, non si può permettere il pagamento dei diritti delle strisce americane e istituisce un nuovo formato, quello dell’ “albo”, di cui fa parte una sola storia di un solo personaggio. Kit Carson, di Rino Albertarelli, ne è un esempio: appare nel 1937 su «Topolino» e s’ispira al West americano di cui l’Italia ha sempre subito il fascino. Attraverso quest’esaltazione dell’italianità, anche le idee razziste diventano oggetto di riproduzione fumettistica. Tra le numerose tavole di sapore propagandistico che appaiono sulla stampa periodica per ragazzi, le uniche che segnano l’immaginario sono quelle di «Dick Fulmine», disegnato da Carlo Cossio (1907-1964) con i tratti di Primo Carnera (19061967). Tale serie, forgiata secondo i canoni imposti dal regime, vede come protagonista un intrepido poliziotto italo-americano in perenne lotta contro un paio di pericolosi criminali: Barriera, prepotente ras sudamericano ed il nero Zambo, bandito in grado di sfruttare armi micidiali, come una pistola a gas paralizzante. Il grande successo di «Dick Fulmine» è probabilmente dovuto al ritmo vivace ed alla qualità delle sceneggiature che si risolvono inevitabilmente in frequenti colluttazioni. 22


Lo stesso anno, sulle pagine de «Il Vittorioso» esce la serie dell’aviatore «Romano il Legionario» illustrata da Kurt Caesar (1906-1974), in linea con la propaganda fascista a causa della passione dell’autore per la tecnologia e la meccanica. Nel 1939 vengono pubblicati Virus, il mago della foresta morta, fumetto di fantascienza creato da Federico Pedrocchi (1907-1945) e Walter Molino (1915-1997) e la trasposizione a fumetti del Faust, scritta da Federico Pedrocchi e disegnata da Rino Albertarelli (1908-1974) e Franco Chiletto (1897-1976). Negli anni ‘40, ancora sulle pagine de «Il Vittorioso», esordisce, ad appena sedici anni, Benito Jacovitti con la sua prima avventura umoristica23 dei ragazzi Pippo, Pertica e Palla che lo distingue dai contemporanei per la sua genialità: egli disegna direttamente ad inchiostro utilizzando un tratto, molto corposo e sicuro, costituito da tantissimi piccoli segni al fine di arricchire le tavole di particolari. Il personaggio che lo rende celebre è il cowboy Cocco Bill (fig.6), nato nel 1957 per «Il Giorno dei Ragazzi». Jacovitti è il primo ad allontanarsi dal formato umoristico del «Corriere dei Piccoli», che organizza le storie in una tavola: nelle sue tavole egli crea una sensazione di horror vacui, disponendo personaggi ed oggetti in modo da riempire ogni spazio. Nel 1945 fa la sua comparsa, ad opera di Mauro Faustinelli (1924-2006) e Alberto Ongaro (1925), l’eroe mascherato d’influenza americana, «Asso di Picche» (fig.7), grazie al quale si manifesta il rinnovamento del fumetto italiano. La bravura dei suoi autori, infatti, li spinge a partire per l’America, patria del fumetto “adulto”, per lavorare all’Editorial Abril, la più importante casa editrice sudamericana. Del gruppo fanno parte anche Giorgio Bellavitis (1926-2009), Damiano Damiani (1922), Rinaldo d’Ami (1923-1984), Ferdinando Carcupino (1922-2003), Ivo Pavone (1929), Hugo Pratt (1927-1995) e Dino Battaglia (1923-1983). Durante gli anni Cinquanta si diffondono i fumetti tascabili e le storie disneyane pubblicate da Arnoldo Mondadori. Tra i maggiori autori della scuola disneyana si possono annoverare Luciano Bottaro (1931-2006), Romano Scarpa (1927-2005), 23


Giovan Battista Carpi (1927-1999) e Giorgio Cavazzano (1947). Luciano Bottaro, già famoso tra il pubblico per il suo Pepito, debutta nel 1952 sulle pagine di «Topolino». Romano Scarpa, un anno dopo, inizia a divulgare tante storie di personaggi come Brigitta McBridge, Antonino Bip-Bip o Paperetta Yé-Yé; a lui si deve la storia disneyana più lunga mai realizzata da un singolo autore, le Paperolimpiadi (fig.8), apparse su «Topolino» per otto numeri di seguito. Giorgio Cavazzano, suo allievo, s’introduce in questo mondo ripassando a china, a soli 14 anni, le matite del proprio maestro fino alla stesura della sua prima storia, su «Topolino», nel 1963. A ideare, nel 1953, Paperinik, l’alter ego supereroico di Paperino, è Giovan Battista Carpi, fondatore, e direttore, nel 1988 della Scuola Disney (dal 1993 Accademia Disney) riconosciuta anche a livello mondiale; da cui escono grandi talenti come Silvia Ziche (1967), Alberto Lavoradori (1965) o Alessandro Barbucci (1973). Durante la guerra gli albi a fumetti come «Overseas Comics», «G.I.Comic» e «Jeep Comics» vengono stampati su carta usa-getta e viaggiano per mezzo delle truppe. Il secondo dopoguerra (1945-1960) può essere considerato un periodo di trapasso in cui la società italiana, dopo la fame e le incertezze, va incontro al cosiddetto boom economico (19501970): ricerca di un nuovo stile di vita da costruire su modello americano ma con un’anima e un’individualità proprie. Finita la guerra, il fumetto, a causa del minor costo e grazie anche alla sua scorrevolezza nella lettura, in parte prende il posto del cinema ed anche dei libri. I primi gemiti di tecnologia appaiono sulle pagine della «Domenica del Corriere» con storie di robot parlanti e di viaggi aereo-spaziali. E se la diffusione della televisione, dal 1953, immerge le giovani generazioni nel consumismo internazionale, il fumetto si avvicina al medium televisivo perché procura poche informazioni visive servendosi di particolari significanti. Il telespettatore, a livello percettivo, è in grado di ricevere solo poche dozzine (una settantina circa) dei milioni di pixel che riempiono lo schermo, e attraverso queste forma un’immagine a bassa 24


definizione. Il disegnatore, similmente, pone il lettore in una situazione analoga a quella del telespettatore che assiste ad una trasmissione in diretta e ha di fronte a sé un’immagine rozza. L’album cartaceo, inoltre, richiede al fruitore uno sforzo psicologico di partecipazione al fine di sottolineare l’inverosimile per renderlo verosimile, neutralizzando la forte dicotomia tra finzione e realtà24. Per tale ragione è importante non sottovalutare la struttura mediatica dei mezzi di comunicazione la quale, come sostiene il sociologo canadese Herbert Marshall McLuhan (1911-1980), determina lo sviluppo di una specifica forma mentis nei suoi fruitori: un libro può essere riletto più volte mentre, prima dell’arrivo dei VHS (Video Home System) e dei DVD (Digital Versatile Disk), un film doveva essere ritrasmesso ex novo per poterne comprendere a fondo una sequenza. In quegli anni il mezzo televisivo, grazie al suo potere rassicurante, vende emozioni a buon mercato e i ragazzi cominciano a possedere un “database” formato da narrazioni già elaborate dal medium con cui entrano in contatto25. All’atto pratico, però, l’assenza di questo background letterario si sente profondamente. Tra gli sceneggiatori più giovani, ad esempio, si evince l’assenza di una struttura logica delle storie. Se proviamo, infatti, a ridurre a fumetti un telefilm senza apportare alcuna modifica alla sua struttura, notiamo che per questo medium la storia non regge. La tv promuove icone da seguire e canzoni (sono gli anni dell’attore Mario Riva e del suo Musichiere, di Carosello e della pubblicità), raggiungendo l’apice del suo successo nella prima metà degli anni ‘70. Sanremo, trasmissione nata negli anni Cinquanta, presenta diversi generi musicali, dal jazz al rock. I rapporti tra musica e fumetto sono abbastanza stretti: il Rock influisce sull’abbigliamento di gran parte dei fumettisti, dal cappello girato all’indietro alla Vasco Rossi, al Borsalino scuro e stretto alla John Lurie (1952) di Stranger than Paradise (1984). Dal 1961 il fumetto cessa di essere il capro espiatorio di una cultura censoria risalente al periodo tra le due guerre, come detto in precedenza, accusato allora d’istigare i giovani alla 25


violenza. In quell’anno nasce difatti Zagor, personaggio western di Sergio Bonelli (1932-2011) difensore della giustizia e della pace tra bianchi e indiani, in grado di divertire i lettori con le sue avventure fuori da ogni critica nazionalistica ed autarchica. L’anno successivo, e siamo nel 1962 un secondo duro colpo alla dimensione eroica e culturalista italiana è inferto dalle sorelle Angela (1922-1987) e Luciana (1928-2001) Giussani, che creano Diabolik (fig.9). Da quel momento il fumetto popolare italiano diventa una semplice tavola quadrangolare dotata di due vignette di egual dimensione. Mentre Angela trasferisce sul suo personaggio rivendicazioni personali, come il bisogno di autonomia e indipendenza26, Luciana ne fa un mito tanto lontano da non riuscire ad identificarvisi. Angela era Diabolik, Luciana Eva Kant, sua compagna. Diabolik stravolge innanzitutto il concetto di eroe negativo tradizionale in quello di eroe positivo, innamorato di una sola donna. Il suo successo dipende anche dal formato tascabile, il 12x17 (da allora conosciuto come “formato Diabolik”), che consente a pendolari e studenti di leggerlo dappertutto. Con questo personaggio, ispirato al francese Fantax di Marcel Navarro (1919-2004) e Pier Mouchotte, nasce in Italia il “fumetto noir” in cui si contrappone la violenza non mascherata e i cattivi principi di cui essa è portatrice, al giallo volto a sciogliere ciascun caso. In tal senso Diabolik è un antieroe alla stregua dei suoi coetanei hollywoodiani: di forte personalità ma dominato da un desiderio pervasivo di morte e distruzione. Egli si sente estraneo alla società in cui vive e per questo assume atteggiamenti anarchici, mascherandosi per non farsi riconoscere e rubando. Soprannominato “l’Indagatore dell’incubo”, sotto la maschera di uomo sicuro di sé, Diabolik dimostra tanta insicurezza ed i suoi lettori, normalmente giovani tra i 15 e i 20 anni, ne promuovono il successo poiché attraverso di lui vedono il mondo così per com’è: reale ed esistenziale. Gli antieroi, quindi, perdono le caratteristiche degli eroi virili senza paura, e capita loro di aver timore nel bel mezzo di avventure pericolose riguardanti il sesso, la violenza, la corruzione o la politica. Assieme agli uomini (sulla 26


scia di Diabolik era apparso Kriminal (fig.10), personaggio ancora più violento e malvagio, emblema di morte e vendetta) sono le donne ad intraprendere la via del crimine. Si cita Satanik, la rossa del diavolo disegnata in calzamaglia nel 1964 da Magnus, pseudonimo di Roberto Raviola (1939-1996), e creata da Luciano Secchi (1939), in arte Bunker. Donna fredda e crudele che utilizza la magia nera per portare a termine piani perversi come ringiovanire per attirare i suoi amanti. La vera e grande svolta nella cultura fumettistica italiana avviene nel 1965, quando arriva sul mercato il primo numero della rivista «Linus» sotto la direzione di Oreste del Buono (1923-2003) e Giovanni Gandini (1929-2006). Gli educatori e i genitori non considerano più il fumetto come un “passatempo” pernicioso per i ragazzi, ma lo riconoscono come un prodotto di cultura. Fino agli anni Ottanta la rivista rappresenta una guida per orientarsi nel mondo della comunicazione per immagini: unisce strip contemporanee (Peanuts di Charles Shultz e Snoopy di Sopwith Camel eroe romantico e solitario), comics americani oldfashioned (come Li’l Abner, Krazy Kat, Little Nemo, Popeye) e fumetti e illustrazioni di autori italiani, fra cui Francesco Tullio Atlan (1942), Sergio Staino (1940) e Guido Crepax (1933-2003). Quest’ultimo è disegnatore proveniente dall’illustrazione il cui stile può considerarsi inimitabile; a renderlo famoso è Valentina (fig.11), un’affascinante fotografa milanese, disinvolta e senza pudore, che rappresenta, insieme a Corto Maltese del celebre Hugo Pratt, un colosso della “letteratura disegnata”27. Dice Crepax: Per Valentina Rosselli ho voluto che il tempo passasse e le lasciasse dei segni sul viso, sul corpo, sul cuore (andando avanti con gli anni si trova qualche capello bianco e inizia ad usare gli occhiali). In quel periodo mi piaceva molto una famosa attrice degli anni trenta, Louise Brooks, protagonista di un bellissimo film di Pabst, “Lulu”; era l’unica attrice di cui tenevo la fotografia nel cassetto con capelli corti e lisci, che doveva tornare di moda negli anni ‘70, in grado di distinguersi nettamente dai lunghi capelli biondi alla Brigitte Bardot che imperversavano in tutte le eroine dei fumetti italiani e francesi28. 27


Il suo debutto è reso possibile grazie a dei soldatini di carta; in un’intervista su «Linus» egli racconta che in famiglia lo consideravano un maniaco per la smania di ritagliare figurine, tutti eroi dell’Odissea. Il suo interesse per la guerra, tuttavia, è diverso da quello dei colleghi Hugo Pratt o Sergio Toppi: in lui non esiste confine tra gioco e lavoro. Nutre, sin da bambino, la passione per le uniformi e i combattenti in miniatura, e inizia a disegnare i suoi soldatini tracciandone i contorni sul cartone per poi dipingerli da entrambi i lati per annullare la piattezza bidimensionale; a volte vi aggiunge degli stuzzicadenti per rappresentare le lance o gli stendardi. Le serie di soldatini da ritagliare, sempre pubblicate su «Linus», sono: «Waterloo» (1965), «la Battaglia di Pavia» (1967) e «Aleksandr Nevskij-La battaglia del lago ghiacciato». Grazie alla rivista e al contributo di intellettuali del calibro di Umberto Eco (1932) ed Elio Vittorini (1908-1966), si inizia a considerare il fumetto un prodotto per adulti29. Per essere fumettista, non basta saper disegnare, bisogna pensare a fumetti e raccontare in un certo modo: il disegno deve essere proporzionale al tipo di storia che si vuole raccontare e viceversa. Tra gli anni Sessanta e Settanta si verifica una maggiore produzione di fumetti rivolti a un pubblico colto: questo, comunque sia, non li rende migliori, qualitativamente parlando, rispetto ai precedenti. L’idea che i fumetti appartengano al mondo della cultura si sviluppa anche grazie all’Esposizione Internazionale dei Comics di Bordighera. L’evento nel 1966 si trasferisce a Lucca, in Toscana, e la parola Comics crea un bizzarro equivoco che induce i cittadini lucchesi a chiamare gli studiosi “i comici”. La nascita del salone di Bordighera, poi salone di Lucca, così come quella di «Linus», rende il fumetto un mezzo autoportante. Nei primi anni Sessanta il fumetto comincia a far gola in quanto medium popolare in grado di coinvolgere milioni di persone. Un atteggiamento di rivalutazione di questo potente mezzo si divulga tra gli intellettuali intorno al Salone di Lucca e alla casa editrice Comic Art30. Quest’ultima presenta al pubblico i fumetti rientranti nel girone della letteratura disegnata. 28


Il merito della Comic Art consiste nell’aver fatto conoscere ai giovani i grandi protagonisti della storia del fumetto. Tuttavia, dal 1990 in poi il fumetto d’autore conoscerà un forte declino: con l’avvento della Marvel in Italia nel 1994, la Comic Art perderà tutti i contratti che gli assicurano personaggi importanti. Lucca Comics & Games31, invece, è un percorso guidato del fumetto negli anni dal 1930 al 1950, in cui emergono didascalie, immagini, tavole originali e memorabilia. Luogo reale e non immaginario, essa rappresenta l’emblema della fantascienza italiana nel quale l’appassionato può far viaggiare il proprio immaginario. Tale percorso, che include anche il periodo della dittatura fascista, vede dibattiti aperti sulla censura e confronta i comics col cinema. Grazie a Lucca il comicdom (regno del comico) statunitense non domina da solo il mercato e fa conoscere autori e disegnatori dell’America Latina, dando coscienza di sé agli italiani. Tale “musealizzazione del fumetto” si verifica sempre in relazione alla volontà di legittimare uno strumento culturale apparentemente transitorio. Lo stesso Hugo Pratt, uno tra i padri del fumetto italiano, ama molto la città toscana e diviene ben presto, grazie alla sua abilità di affabulatore e intrattenitore, il protagonista del salone dei Comics. Tra il 1967 e il 1969 esce la rivista «Sgt, kirk» di Florenzo Ivaldi, noto editore, insieme alle «Sturmtruppen» di Bonvi e alla nascita di «Alan Ford» (fig.12) di Bunker (forza grottesca nel tratto, parodia di James Bond) e «Lupo Alberto» di Magnus. L’incontro tra Ivaldi e Pratt, artista dal tratto inconfondibile, avviene a Genova quasi per caso. Tra loro nasce nel 1967 un sodalizio dovuto all’avventura del Sgt. Kirk, nelle pagine di «Asso di Picche», del quale Ivaldi resta profondamente colpito: «Pratt mi colpì subito per il suo disegno così moderno ed espressivo rispetto a ciò che quella rivista a quel tempo offriva. Da quei disegni rimasi affascinato perché era come notare un diamante grezzo in mezzo a dei cocci di vetro»32. Dello stesso anno è l’evento più importante per la storia del fumetto d’autore italiano, ovvero l’uscita del capolavoro di Hugo Pratt Una ballata del mare salato, 29


primo episodio del marinaio Corto Maltese, personaggio che lo rende celebre. La grandezza di Pratt, stando alle parole di Umberto Eco, dimora nell’aver saputo andare al di là dei propri modelli creando una forma originale di letteratura verbovisiva dalla cifra inconfondibile. Egli, infatti, come già detto, promuove la definizione di letteratura disegnata con l’ausilio di un nuovo modo di narrare e le sue vicende, dal sapore esotico, si espandono rapidamente in tutto il mondo33. Daniele Barbieri (1957) condivide con lui l’intento di legittimare il fumetto in ambito letterario e lo accosta al romanzo, poiché in entrambi i casi il lettore deve essere in grado di “mettere in moto” gli eventi, più di quanto non gli venga richiesto dal cinema34. Ivaldi e Pratt raccontano due antiche repubbliche marinare, Genova e Venezia. A Genova e in tutta la Liguria serpeggia un considerevole numero di sceneggiatori di fumetti. Da queste terre passano i cowboy e gli indiani d’America e ciò spiega l’evolversi del genere western, uno dei capi saldi della storia del fumetto italiano, caratterizzato da un gusto innato per i luoghi sconosciuti. Già a partire dagli anni ‘30 si assiste alla fortuna di varie serie come «Kit Carson», «Kinowa», «Pecos Bill», «Il Piccolo Sceriffo», «Kansas Kid» e «Tex». «Kit Carson» di Rino Albertarelli, pubblicato (vedi supra) nel 1937 sulle pagine di «Topolino», presenta una regia tipica da fumetto western, caratterizzata da campi lunghi che descrivono nel dettaglio gli ambienti. Altri personaggi importanti che fanno riferimento a tale genere sono Il corsaro nero creato da Emilio Salgari (1862-1911) per l’editore Donath e Corto Maltese di Hugo Pratt, edito da Ivaldi. Il genere western si diffonde in Italia grazie, non al fumetto d’oltreoceano, ma al cinema. Dagli Stati Uniti d’America il grande illustratore Milton Caniff (1907-1988) lascia anche testimonianze di quel dopoguerra durante il quale il fumetto italiano e quello western tentano di voltare pagina rispetto al passato. Negli Italiani, dopo la guerra, aleggia un forte desiderio di novità e rinnovamento. All’interno di questo clima nasce, nel 1948, grazie alla collaborazione tra Aurelio Galleppini (in arte Galep, 1917-1994) e Gian Luigi Bonelli35, il cow30


boy fuorilegge amico degli indiani Tex Willer (fig.13), eroe capace di cogliere tutte le caratteristiche tipiche del western. Successivamente esso si evolve nel personaggio disposto a proteggere i buoni dai cattivi lungo tutti i territori del lontano Ovest. Dai suoi creatori, nel 1958, parte l’idea di modificare il formato della striscia con l’albo di dimensioni 16x20, in modo da risparmiare sulla carta: stampano tre numeri insieme su un unico foglio e tale formato oggi si definisce “bonelliano”. Questa scelta consente al lettore di leggerlo dappertutto e sottrae l’albo al pregiudizio di familiari e insegnanti, che diversamente avrebbero continuato a considerarlo uno strumento di ridotto spessore culturale. Bonelli all’inizio s’ispira all’attore Gary Cooper (1901-1961) e poi al suo stesso volto; i disegnatori successivi, invece, prendono spunto da attori come John Wayne (1907-1979) e Clint Eastwood (1930), evidenziando il legame tra West e cinema di Hollywood. Bonelli sostiene: «Tex rappresenta il mezzo con cui non solo la mia casa editrice ma anche tutto il mondo dei fumetti sono riusciti a spezzare quella barriera di pregiudizi che li circondavano»36. Tale personaggio, infatti, riesce ad imporsi all’attenzione di giornalisti e critici italiani che a un certo punto, durante le accese polemiche riguardanti questo genere di letteratura popolare, si schierano finalmente dalla parte del fumetto. Bonelli rappresenta, in un certo senso, il simbolo del mondo del fumetto in Italia, motivato si dall’intento di raggiungere un rendiconto economico ma, in particolar modo, dalla passione personale. Egli, pur essendo il maggior industriale italiano del settore, è prima di tutto un appassionato di fumetti che traduce la propria passione in un successo commerciale. L’importanza dei fumetti western non consiste tanto nel conservare il ricordo degli indiani d’America quanto nel non gettare nel dimenticatoio il lontano West, luogo di avventura, il quale rischia l’estinzione. Rinaldo d’Ami (1923-1984) insieme a Gian Luigi Bonelli crea Rio Kid uno dei personaggi del West. Tra i suoi lavori più importanti, realizzati tra il 1948 e il 1959, ci sono «Mani in alto!», «I tre Bill», «Gordon Jim», «Il Sergen31


te York», «Cherry Brandy» e «La Pattuglia dei Bufali». È Ken Parker (fig.14), tuttavia, pensato da Giancarlo Berardi (1949) e Ivo Milazzo (1947), a dare il via ad una svolta nel campo del fumetto western, coi suoi toni anticonvenzionali che capovolgono i ruoli degli eroi fino ad allora imposti. Nel western italiano, infatti, l’indiano non ha una natura cattiva e spietata come nei film di Hollywood prima degli anni ‘70: probabilmente perché in Italia la problematica razziale non ha lo stesso portato che negli USA. Ken Parker è un personaggio riflessivo, un eroe problematico che s’interroga sulle prospettive della nuova America; invece in «Tex» l’avventura arriva all’apice delle sue possibilità e la divisione tra buoni e cattivi è indiscutibile. Uno degli aspetti da non sottovalutare per quanto concerne la storia del fumetto italiano è il modo in cui entra a far parte dell’istruzione scolastica. Il problema della sua introduzione a scuola riguarda i modi in cui esso viene presentato, l’insistenza degli Istituti che lo promuovono (non sempre motivata nel voler inserire storie a fumetti nei loro laboratori) e il ruolo che svolge all’interno del processo di sviluppo del sistema delle comunicazioni di massa. Secondo Luigi Grecchi (19232001): «Non c’è più volontà di educare il pubblico, mentre prima creavamo noi la moda, ora la subiamo. Il mondo del fumetto ne risente, ed anche se la televisione fa delle cose bellissime essa non soppianterà mai il giornalino»37. Tra gli anni Sessanta e Settanta i primi docenti a voler discutere coi bambini e adolescenti di questo mondo, abbracciano l’idea che è giunta l’ora d’ammettere che i fumetti rappresentino uno strumento di grande impatto nella cultura dei giovani, ed è questa la ragione per cui su alcuni manuali di Letterature cominciano ad apparire cenni storici, personaggi e autori noti. Ciò fa sì che i ragazzi entrino in contatto non solo con i fumetti più celebri, privilegiati dalla distribuzione e dalla stampa, come i Disney e i Manga, ma anche con quelli poco conosciuti. Tuttavia gli editori, tra cui lo stesso Sergio Bonelli, spesso si astengono dal collaborare con le scuole. Forse poi32


ché considerano il fumetto come una lettura di piacere, senza alcun fine didattico, oppure perché si rendono conto che durante gli anni Settanta, è stato oltrepassato ogni pregiudizio sul fumetto quale veicolo di neo-alfabetizzazione rivolto agli illetterati, tal che la scuola comincia a guardarlo con interesse. Sono gli anni in cui si afferma la “voce fuori campo” (vfc) legata sempre ad un soggetto invisibile che tende a sovrapporsi al lettore, instaurandovi un intimo contatto. L’intervento demiurgico dell’autore attraverso la voce fuori campo segna una profonda evoluzione concettuale nella comunicazione a fumetti tanto da integrarla ai linguaggi tecnologicamente più attrezzati38. Tale svolta si deve a riviste dirette da intellettuali e/o da autori di prima grandezza come «Linus» (1965), «Eureka», «Sgt. Kirk» (1967) e «Comicscuola» (1974-1976). Sulla scia del «Corriere dei Piccoli», nel 1972 nasce Il «Corriere dei Ragazzi» (così viene chiamato dai suoi lettori). Il direttore del giornale è Giancarlo Francesconi (1963) e la redazione vanta la presenza di giovani menti desiderose di comunicare il loro entusiasmo a una vasta platea di lettori. Edita dal «Corriere della Sera» di Giulia Maria Crespi (1922), la rivista affronta temi anche scottanti e la politica è una costante del settimanale. All’interno del «CdR» ritroviamo storie umoristiche come «Tilt», rubrica di satira a fumetti, che esordisce nel primo numero del settimanale: il suo scopo è quello di mettere alla berlina i miti della società (la tv, la pubblicità, gli status symbol)39. Il portavoce principale della satira in Italia è Francesco Tullio-Atlan (1942) il quale pubblica su «Linus» nel 1975 la striscia «Trino». Per il «Corriere dei Piccoli» egli crea l’allegra cagnetta Pimpa e i suoi fumetti, dai neri morbidi e pieni, rievocano lo stile di Hugo Pratt. Delle pagine del rotocalco, a partire dal 1960, entra a far parte anche un altro artista, Sergio Toppi, e nel 1977 nasce la sua prima opera seriale che trae ispirazione dalle Mille e una Notte: «Sharaz-De»; il bianco è l’elemento di maggior rilievo della sua tavola. Toppi rompe gli schemi classici delle vignette, con temi di maggior impatto emotivo e crede molto nell’affinità tra cinema e fumetto: i disegni, 33


infatti, si servono di elementi tipici del linguaggio cinematografico come le sceneggiature (che conferiscono una logica alla storia), le didascalie (usate come voice-off), il taglio dei piani, le inquadrature (sotto forma di vignette). Questa è fondamentalmente la differenza rispetto ai pittori: l’obbligo di una “rappresentazione costruita”. Di certo il cinema offre soluzioni che probabilmente solo con l’immaginazione non potrebbero essere trasposte sulla carta. Financo i colori nel fumetto possono uccidere o esaltare la bellezza del segno: nel lavoro di Toppi non esiste bianco e nero, tutto è sfumato. Nel 1976 Milo Manara (1945), seguace di Hugo Pratt, realizza «Lo Scimmiotto»; nel 1978 firma «Le avventure di H.P. e Giuseppe Bergman» fino ad occuparsi, nel 1985, dei disegni della storia Tutto ricominciò con un’Estate Indiana scritta da Hugo Pratt. Manara diventa famoso in tutto il mondo grazie alle sue sensualissime donne, create negli anni in cui in Italia impera la “rivoluzione sessuale” che, a partire dal 1968, genera importanti risvolti che coinvolgono perfino il mondo fumettistico. In seguito alla presa di coscienza dei propri diritti, infatti, nascono movimenti giovanili di protesta i quali iniziano a mettere in discussione valori come la verginità e il matrimonio, alla luce del passaggio da una società agricola ad una industriale immersa in una cultura capitalistica da pieno boom economico. Parallelamente aumenta la produzione di film, fumetti, pubblicità con contenuti erotici, per rendere appetibili le merci e, nei primi anni Settanta, le nuove eroine lasciano scoperte sempre più vaste porzioni di pelle. D’altronde come afferma Oscar Wilde (1854-1900): «non esistono libri morali o immorali ma libri scritti bene e scritti male»40; così, dalla fine degli anni Sessanta, le protagoniste femminili delle riviste si presentano finalmente senza veli41. Il fumetto sexy si divide in due filoni: quello che si basa sulla verosimiglianza del rapporto amoroso visto in situazioni realistiche, in cui il lettore s’immedesima, e quello comico-grottesco incentrato su situazioni ridicole di piacevole lettura. Così prende il via la crociata per sottrarre le giovani generazioni agli influssi nefasti di questi personaggi, corruttori della gioventù. 34


Tra essi si annoverano: Dick Fulmine, Mandrake, Pecos Bill, Piccolo Sceriffo, Sciuscià, Tarzan, Tex e l’Uomo Mascherato. Il fumettista Paolo Eleuteri Serpieri in un’intervista sostiene che in Italia, al contrario di altri paesi come la Francia, il conflitto del pudore rimane irrisolto proprio perché il fumetto si associa a una pubblicazione rivolta ai ragazzi i quali, di conseguenza, devono essere tutelati. A tal fine si aggiungono balloons o frasi anche laddove non è strettamente necessario. Per tale ragione Serpieri si rivolge ad un interlocutore adulto, non al ragazzino42. L’accanimento verso i fumetti porta, nel 1961, all’istituzione della Garanzia Morale43. Un personaggio preso di mira dalle associazioni cattoliche è Pantera Bionda, una bionda con indosso un succinto bikini di pelle di leopardo, indumento a quel tempo molto osé. I suoi disegnatori, Enzo Magni (1914-1981) e Mario Cubbino (1930-2007), accusati di aver dato vita ad un personaggio pornografico per l’eccessiva esposizione delle cosce, le fanno indossare addirittura un tailleur da first lady e dei fuseaux sotto la gonna. Poco dopo la casa editrice Arc ne annuncia la morte definitiva. Nel 1977 esordisce Andrea Pazienza (1956-1988), fumettista di spicco, con Le straordinarie Avventure di Pentothal, sulle pagine di «AlterLinus», rivista nata per mano della Milano Libri, nel gennaio 1974, sviluppo di «Linus», di cui fanno parte le proposte sperimentali o fuori tendenza rispetto alla rivista madre e in cui partecipano anche Sergio Toppi e Filippo Scozzari. Pentothal fa da collegamento tra il lavoro dell’artista e quello del disegnatore di fumetti, servendosi di una linea chiara e diversi richiami all’underground. A caratterizzare il suo illustratore è una personalità di grande spessore in cui convivono uno spirito ribelle, la volontà di autodistruzione, la droga, il punk. Secondo Pazienza per fare il fumetto bisogna partire dal segno che definisce come metafora meravigliosa: ognuno di noi è circondato da oggetti concreti che lasciano un segno, o un insieme di segni, dal quale a sua volta emerge il disegno. Allo stesso ordine d’importanza del disegno appartiene la narrativa di cui Pazienza si serve per far interagire i suoi personaggi e renderli unici nei loro “segni particolari” (tic, cadenza, dialet35


to, intercalare). Iniziare una storia per un’artista del suo calibro è come cominciare un combattimento di Kendo in cui la prima mossa è scoprire il corpo in modo tale da liberarsi da ogni scudo: spesso egli dava vita ai suoi fumetti direttamente con il pennarello, senza basarsi su un disegno preesistente, ed essi hanno il compito di muovere il kiai o plesso solare44. Altro personaggio importante per la storia del fumetto è Ken Parker il quale nasce dalla collaborazione fra Giancarlo Berardi (1949) e Ivo Milazzo (1947), pubblicato per la prima volta nel 1977 dall’editore Bonelli. Milazzo attribuisce al fumetto un velo pittorico con il suo stile evocativo ma incisivo: i suoi paesaggi sono resi con poche linee. A metà degli anni ‘80 il primato intellettuale e fumettistico è detenuto dalla Francia, mentre in Italia prende il via la diffusione delle riviste: L’«Eternauta» (fig.15) (1982), «Corto Maltese» (fig.16) (1983), «Frigidaire» (1980), «Orient Express» (1982), «Totem» (1980), «Comic Art» (1984), «Glamour International Magazine» (1980) oltre alla versione italiana di Metal Hurlant (1982). «Frigidaire», la rivista più anticonformista di quell’epoca, vede la collaborazione di Stefano Tamburini (1955-1986) e Filippo Scozzari (1946). In quegli anni Massimo Mattioli (1943) fonda, insieme a Stefano Tamburini, la rivista a fumetti «Cannibale». Nel 1973 crea per il «Giornalino» la mascotte Pinky, un coniglietto rosa, e nel 1978 iniziano le avventure spaziali gremite di sesso sadismo e ironia di Joe Galaxy, un aquilotto umanizzato. I personaggi di Mattioli sono alquanto surreali nelle loro caratteristiche antropomorfe e ciò si evince in toto, nel 1982, su «Frigidaire», con la serie «Squeak the Mouse»: l’artista sceglie di stravolgere anche il copione, in maniera un poco anticonformista rispetto ai classici schemi, cosicché sia il topo a inseguire il gatto attraverso una violenza filtrata per mezzo di un tratto cartoonesco dai colori vivaci. Accanto a Mattioli, Vittorio Giardino (1946) perfeziona il suo stile e, nel 1984, pubblica Little Ego, una reinterpretazione in chiave erotica dell’americano Little Nemo caratterizzato da figure, costumi, fondali ed oggetti estremamente ricercati nei loro attributi. Lo stesso anno esce il fumetto d’autore 36


«Fuochi» di Lorenzo Mattotti (1954) che mostra davvero come tale genere può raccontare l’impalpabile: una storia di ambientazione fantastica interamente basata sulla resa delle emozioni e sensazioni del protagonista, ricostruite con un gioco sinestesico sui contrasti di luci e colori, e sul rapporto tra questi e la narrazione verbale. Con questo testo e quelli che l’hanno poi seguito sino a oggi, Mattotti sviluppa un discorso intimamente fumettistico fino ad esplorarne potenzialità che non sognava nemmeno di avere. Ora attraverso il colore, ora con la semplice linea graffiata del pennino, egli riesce a rendere narrativo lo stile grafico stesso, arrivando a utilizzare le forme e i contrasti cromatici con l’abilità con cui un grande poeta fa uso di parole, sottraendole all’abuso del tempo e ridonando loro una freschezza nuova. Nel 1985 esce «Morbus Gravis» di Paolo Eleuteri Serpieri, disegnatore di fumetti principalmente western, primo capitolo della saga futuristica-apocalittica di Druuna, eroina affascinante e sensuale. L’artista si avvicina al mondo spagnolo-argentino, più che a quello italiano, incentrato su tratti sottili, morbidi e incrociati e sulla presenza delle texture al posto dei neri. Un altro fumettista degli anni Ottanta è Roberto Baldazzini (1958): il suo tratto è fortemente stilizzato e le parti anatomiche dei suoi personaggi prendono vita dalle loro stesse ombre (non disegna un naso ma la sua ombra portata sul viso). Nel 1986 nasce in casa Bonelli «Dylan Dog» (fig.17), fumetto il cui successo è reso possibile grazie ad Angelo Stano (1953), a uno tra i migliori sceneggiatori italiani, Tiziano Sclavi (1953), e al disegnatore Claudio Villa (1959). Tale serie, in stile horror, si diffonde nel corso di anni difficili per il fumetto, in cui cambia definitivamente l’assetto editoriale italiano che spinge i lettori a preferire gli albi monografici e tutte le riviste vecchio stile vanno in fallimento. Malgrado ciò, «Dylan Dog» dà vita a un proprio spazio editoriale. Nello stile di Angelo Stano, prevalgono i neri e le sporcature ottenute con la china asciutta e l’aggiunta del grigio come terza gradazione, influenzate dall’artista espressionista tedesco Egon Schiele (1890-1918). Alcuni anni prima, nel 1982, appare il personaggio di Martin 37


Mystère (fig.18), detective dell’impossibile e alter-ego del suo disegnatore Alfredo Castelli (1947)45. Egli svela il perché di questo nome : Si chiama Martin per rendere omaggio al primo “Detective dell’impossibile” in assoluto, il dottor Martin Hesselius di Joseph Sheridan LeFanu, nato nel 1872, prima del più famoso Abraham Van Helsing, il nemico di Dracula a cui mi ero già ispirato nei primi anni ‘70 per una breve serie sottotitolata, guarda caso, “il detective del soprannaturale”46.

Tra il 1985 e il 1986 però inizia la crisi del mercato e gran parte delle testate nate negli anni precedenti vanno incontro al fallimento; in breve tempo del gran clangore che li aveva caratterizzati non rimase quasi nulla e alcuni artisti, come Serpieri e Giardino, trovano rifugio in Francia in attesa di tornare a pubblicare in Italia. Malgrado ciò i principali autori che si erano affermati negli anni precedenti continuarono a pubblicare nelle poche riviste rimaste, ma gli spazi per autori nuovi, o anche solo per la prosecuzione del lavoro di tanti davvero degni di interesse, non esistono più. All’inizio degli anni novanta il fumetto ottiene una rivalsa grazie all’interesse verso i supereroi americani, per esempio le avventure di Batman stilate da Frank Miller (1957). Altra ragione di ripresa è il successo di «Dylan Dog», il quale può essere accostato, per importanza, a «Topolino» e a «Tex». Nei primi anni Novanta, sulle pagine di «Nathan Never», è la volta di un altro fumettista dal tratto pulito e veloce: Nicola Mari (1967). Egli, nel 1996, approda sull’universo di Dylan Dog, più conforme al suo spirito oscuro, disposto a far fuoriuscire un tratto tormentato e corposo attraverso figure tridimensionali. Nel 1990 esce il primo numero di «Zero», rivista redatta dai futuri Kappa Boys (Andrea Baricordi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni, Barbara Rossi), a cui riconosciamo il merito di aver introdotto definitivamente il Manga in Italia. Nel 1993, infatti, viene pubblicata l’edizione monografica di «Video Girl Ai» (fig.19), primo Manga in Italia. Nel 1995 tale genere diventa fumetto da edicola con la pubblicazione di «Dragon Ball». A richiamare lo stile giapponese sono Davide Toffolo 38


(1965) in Fregoli (1996), Vanna Vinci (1964) e il suo utilizzo di alcune tipiche texture grafiche basate sui contrasti bianconero. Nel 1997, dalla penna di Leo Ortolani (1967) nasce Rat-Man, pubblicato dalla Marvel Italia. Questo personaggio rappresenta una parodia dei supereroi americani poiché riesce sempre, anche se in maniera paradossale, a portare a termine le sfide contro criminali come il Buffone Janus Valker. Altri contributi in tal senso sono offerti da Alessandro Barbucci (1973) e Barbara Canepa (1969) creatori di «W.i.t.c.h» (fig.20), di «Sky Doll» e di «Monster Allergy». «W.i.t.c.h» (2001), prodotto dalla Walt Disney Italia, sconvolge il mercato per il suo formato (48 pagine a colori come un comic book americano), per la sua struttura (12 numeri a ruota, seguendo le impronte dei fumetti americano e giapponese), per il disegno e il colore (incentrato sulle atmosfere e non su tinte piatte come accade in «Topolino»). In «Monster Allergy», così come in «W.i.t.c.h.» e «Sky Doll», il tratto di Barbucci diventa più graffiato, allontanandosi da quello proprio del fumetto Disney. In questi anni, dunque, eccetto la Bonelli, le case editrici attribuiscono poco spazio agli autori italiani. Gian Alfonso Pacinotti (1963), soprannominato Gipi, è attualmente un illustratore di grande successo, anche all’estero, autore dei racconti come Esterno notte (2003), Appunti per una storia di guerra (2004), Hanno ritrovato la macchina e S. (2006). Nei suoi acquarelli narra storie quotidiane, incontrando il favore dell’editore Rizzoli, con il quale nel 2006 ripubblicherà i suoi lavori. Con l’avvento di internet anche il modo di scambiare e creare fumetti si evolve. Oltre ai noti vantaggi offerti dal file-sharing, infatti, nascono nuove testate edite e vendute direttamente ed esclusivamente nel web: è la volta del cosiddetto “fumetto online”. Una tra esse è «Selfcomics», fondata da Luca Genovese (1977) e Luca Vanzella (1978), che garantisce l’autoproduzione di fumetti. Il sito internet www.selfcomics.com permette ai giovani autori di pubblicare brevi fumetti, caratterizzati da un massimo di otto tavole, che i lettori virtuali possono scaricare gratuitamente e stampare nelle loro case in assoluta comodità. 39


Ciò consente una fluida circolazione di idee, disgiunte dalla tradizione del fumetto popolare e, di conseguenza, una maggiore libertà di espressione. Il consumatore, però, rischia di essere fagocitato dal software il quale, pur possedendo tempi di elaborazione più rapidi, incespica nel problema della riproducibilità (non si producono più originali ma copie). È necessario impedire che le nuove tecnologie intorpidiscano le menti dei fruitori che, protette da anticorpi intellettuali, non devono reputare assoluti gli assiomi proposti dal web. In questo modo l’utente può guardare alla tecnologia con un certo distacco riuscendo, non solo a leggerne i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma ad intuirne, a priori, i mutamenti sociali al fine di controllarli47. Il fatto che, già a partire dagli anni Settanta, i media cartacei vedono la concorrenza di quelli elettronici comunque indica la presenza di una finestra aperta verso il mondo. Il fumetto, nella fattispecie, assorbe sempre più nuovi linguaggi entrando a far parte, attraverso le tecnologie, della vita delle nuove generazioni: i personaggi dei fumetti si ritrovano nei telefoni cellulari, nei videogiochi e sul web. «Komix. it» e «Lospaziobianco.it», per esempio, sono due riviste elettroniche dedicate agli appassionati del fumetto. Attraverso tali siti si formano gruppi telematici di lettori che si scambiano informazioni sotto forma di immagini, interviste agli autori, anticipazioni sugli eroi. Gli editori vendono i fumetti on-line i quali, divulgati nella rete, non troverebbero spazio in edicola o in libreria, magari a causa degli argomenti da essi affrontati. Inoltre, hanno costi irrisori così da appagare un numero cospicuo di lettori: ai costi di produzione e distribuzione dei fumetti, infatti, fanno fronte gli sponsor mediante i loro spazi pubblicitari all’interno delle pagine web. In Italia hanno grande successo il fumetto multimediale «Armadel»48 e i racconti, a metà fra fumetto e animazione, del sito www.shockdom.com. Da un lato il fumetto si adegua ai cambiamenti della società e s’inserisce all’interno dei media elettronici; dall’altro l’opinione pubblica italiana lo percepisce come una forma narrativa di tutto rispetto e quindi promuove nuovi linguaggi. Oggi il fumetto viene proposto a scuola in modo da esortare 40


i ragazzi alla lettura di qualcosa di più leggero che potrebbe indurli a un livello maggiore di attenzione. Quest’aspetto ha in sé dei lati negativi in quanto spesso si tende a considerare il medium come uno strumento che possiede scarsa valenza culturale quando in realtà suole servirsi del pensiero razionale ed emotivo stimolando le coscienze e il gusto estetico. Gli stessi adolescenti, infatti, esasperati e sotto accusa da parte della famiglia e della scuola stessa, nutrono la convinzione che si tratti di “roba per bambini” e, per tale ragione, arrivano ad interessarsi esclusivamente dei fumetti Disney di stampo tradizionalista: prediligono temi come il sesso, molto più appetibili per la loro età, e il fumetto inizia ad interessare gli under 12. Ai bambini tra i 6 e i 12 anni, infatti, vengono proposti fumetti di loro interesse in modo da indurli a riflettere sulle tematiche da essi abitualmente affrontate. Il fumetto dunque non è solo lettura ma anche pratica: la sua diffusione è garantita dalla facilità con cui lo si commenta e lo si scambia. Malgrado ciò l’intento pedagogico a cui ancora oggi la scuola mira è far comprendere il funzionamento della produzione grafica nel fumetto e i suoi rapporti con le altre forme di rappresentazione come il teatro e il cinema49. Pertanto il problema sociologico riguarda la discussa inettitudine del fumetto nel proporre contenuti concorrenziali con quelli veicolati dagli altri media. Il vero grande passo verso la valorizzazione di questo mezzo di comunicazione, allora, avverrà quando i giornalisti cominceranno a parlare dei suoi autori in termini non esclusivamente folkloristici50 ma nel momento in cui (come accade nel caso di un regista, di un cuoco o di uno scrittore) ne parleranno in relazione al prodotto che sono riusciti a creare. A tal punto, ovvero quando il fumetto avrà raggiunto la parità con gli altri media, troverà una collocazione nel mondo dell’arte.

41


1. «L’idea è che un testo narrativo come il fumetto racconta di personaggi che hanno emozioni; racconta in maniera ora più ora meno emozionante degli eventi; e produce delle emozioni nel suo lettore, emozioni sul cui cammino l’autore l’ha condotto». Barbieri 2005, p.194. 2, La funzione segnica, secondo il linguista danese Loius Hjelmslev, è la correlazione fra le forme di due piani: la forma dell’espressione e la forma del contenuto. Essi consentono di sviluppare degli enunciati di senso, ovvero il segno. Questa unione può essere soggetta a variazioni di senso. Crf. http://www.treccani.it 3. L’uso di un qualunque medium o estensione dell’uomo altera gli schemi d’interdipendenza tra le persone come altera i rapporti tra i sensi. Mc Luhan 1999, pp. 15-30. 4. Il lettore, il più delle volte, sceglie di scorrere troppo rapidamente o troppo lentamente la storia, guastando il ritmo della narrazione previsto dallo sceneggiatore. Al cinema questo non può accadere poiché lì ci vengono imposti precisi tempi di fruizione che coincidono con quelli calcolati dal regista. Castelli 1991, p. 196. 5. Genovese 2009, p. 43. 6. McLuhan 1999, op.cit., p. 168-174. 7. «La nuvoletta, se tratteggiata (secondo alcune convenzioni) e terminante in una lama che indica il viso parlante, significa “discorso espresso”; se unita al parlante da una serie di bollicine, significa “discorso pensato”; se circoscritta in contorni frastagliati, ad angoli acuti, a denti di sega, a istrice, può rappresentare, volta a volta: paura, ira, concitazione, esplosione collerica, urlo, boato, secondo una precisa standardizzazione degli umori». Eco 2001, cit. p. 146. 8. Nel 1678 due corrotti membri del clero inglese, Titus Oates e Israel Tonge scoprono una congiura, rivelatasi poi falsa, che prese il nome di Popish Plot (Complotto papale), volta ad assassinare il re d’Inghilterra Carlo II Stuart per poi sostituirlo sul trono col fratello cattolico Giacomo, allora duca di York. In realtà lo scopo era eliminare sia Carlo II che il fratello Giacomo, suo unico erede. 9. Richard Felton Outcault è stato un fumettista e illustratore statunitense. La creatura che lo rese celebre fu Yellow Kid, una delle prime strisce a fumetti comiche, il cui successo crebbe di giorno in giorno: si trattava di un bambino calvo che interagiva grazie alle frasi scritte sul suo camicione giallo. Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Parigi Outcault ideò, nel 1890, il fumetto Hogan’s Alley, in vignette, ambientato a New York. Nel 1902 egli creò un nuovo personaggio: Buster Brown che apparve sulle pagine del New York Herald. 42


In Italia la serie, pubblicata sul Corriere dei Piccoli, prese il nome di Mimmo Mammolo e Medoro. 10. Deruelle 1977, p. 60-67. 11. Come ha scritto Luca Raffaelli, nel suo libro Il fumetto, il modo con cui una cosa viene chiamata ci dice molto di come una data cultura la «vede». V: http://www.doppiozero.com 12. Will Eisner introduce anche il concetto di “splash page” (vignetta grande quanto una tavola), da lui utilizzate come pagine introduttive ai vari episodi. Egli s’impadronì del tempo variandone a piacimento il ritmo, e i suoi personaggi acquisiscono un’inedita profondità psicologica. Secondo Eisner ogni elemento della tavola deve esprimere qualcosa, dal linguaggio del corpo dei personaggi, studiato ed enfatizzato, alle onomatopee visive che diventano parte integrante del disegno e del tono della storia. Algozzino 2005, op. cit., p. 38. 13. TBO è stato il nome del più famoso magazine fumettistico spagnolo, in auge, a Barcellona, tra il 1917 e il 1998. Tale rivista si discostava dalle influenze degli anni ‘70, momento in cui i fumetti europei iniziarono a diffondersi anche in Spagna. TBO mantenne sempre il proprio stile caratterizzato da storie brevi e comicità leggera. Le storie di maggior spicco su TBO: Altamiro de la Cueva, Top, a dog comics (disegnata da José Cabrero Arnal), I Puffi, Eustaquio Morcillòn, La famiglia Ulisse. V: http://en.wikipedia.org/wiki/ TBO_%28comics%29. 14. C’è chi cerca di giustificare l’uso del femminile, «la» graphic novel, in vari modi, ma valga per tutte la regola secondo cui in italiano i termini stranieri di recente introduzione vanno espressi quanto più possibile al maschile. Per l’espressione graphic novel, invece, siamo di fronte a un inganno lessicale, a un false friend. Poiché novel in inglese significa “romanzo” e non “novella”, termine che si rende: o con short story (per le storie brevi in senso generico); o, per indicare il genere letterario nato in Italia nel Duecento, proprio con novella, come in italiano. Quindi il modo corretto e logico di riferirsi in italiano al termine inglese è al maschile: “il” graphic novel. V.: http:// www.liberweb.it/upload/cmp/Liera/7-parole-chiave-fumetto.pdf. 15. Winsor McCay è uno dei massimi pionieri del disegno animato. Di origine statunitense, nel 1905 crea la serie Little Nemo in Slumberland. Figlio di Janet Murray e Robert McKay, Winsor nasce probabilmente a SpringLake, in Michigan, nel 1871, anche se sulla sua lapide è riportato l’anno 1869. In origine il suo nome completo era Zenas Winsor McKay, in onore del datore di lavoro di suo padre, Zenas G. Winsor. Successivamente abbandona il nome Zenas. Nel 43


1886 i suoi genitori lo mandano a studiare alla Cleary School of Penmanship di Ypsilanti in modo da formarlo come uomo d’affari. Qui riceve la sua unica istruzione artistica formale da John Goodison, del Michigan State Normal College. Goodison, un ex pittore di vetrate, gli insegna i fondamenti della prospettiva dei quali McCay si serve durante tutta la sua carriera di fumettista, influenzando financo il suo utilizzo del colore. Nel 1889 McCay si trasferisce a Chicago con l’intenzione di studiare alla School of the Art Institute of Chicago, ma i problemi economici lo portano a cercare lavoro. Trova un impiego alla National Printing and Engraving Company dove produce xilografie per manifesti circensi e teatrali. Due anni dopo si trasferisce a Cincinnati dove lavora come artista per il Kohl and Middleton’s Vine Street Dime Museum e dove convola a nozze con Maude Leonore Dufour. Nel 1906 McCay inizia a esibirsi nei chalk talk, spettacoli di vaudeville molto popolari tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in cui un attore intrattiene il pubblico con un monologo su argomenti diversi, mentre disegna caricature o disegni umoristici su una lavagna con un gesso. Nel suo sketch The Seven Ages of Man McCay disegna due volti per poi invecchiarli progressivamente. La prima importante serie a fumetti di McCay è Tales of the Jungle Imps by Felix Fiddle. L’opera viene pubblicata in 43 puntate, da gennaio a novembre 1903, sul «The Cincinnati Enquirer». La striscia è basata sulle poesie di George Randolph Chester, all’epoca giornalista e redattore dell’«Enquirer». I racconti hanno come protagonisti animali della giungla e descrivono i modi in cui essi si sono adattati a un mondo ostile, con titoli differenti quali How the Elephant Got His Trunk e How the Ostrich Got So Tall. Le sue strisce Little Nemo in Slumberland e Dream of the Rarebit Fiend sono entrambe ambientate nei sogni dei loro personaggi e caratterizzate da un tocco di arte fantasy che tenta di richiamare l’atmosfera e le sensazioni della dimensione onirica. I fumetti di McCay non sono mai popolarissimi ma continuano ad avere sempre un forte seguito grazie anche al suo stile grafico molto espressivo. Le pagine dei giornali dell’epoca erano più grandi delle attuali e l’autore ne ha solitamente a disposizione mezza per illustrare il suo lavoro. Per quanto riguarda l’arte fantasy nel fumetto il solo rivale di McCay è Lyonel Feininger, il quale intraprende una carriera da pittore dopo aver abbandonato il mondo dei comics. Winsor McCay realizza inoltre alcuni importanti filmati di animazione, in cui ogni singolo fotogramma viene disegnato a mano dallo stesso artista o, occasionalmente, dai suoi collaboratori. Nel cortometraggio in tecnica mista Gertie il dinosauro (Gertie the Dinosaur) egli fonde 44


animazione e vaudeville, portando nei teatri il suo film del “dinosauro ammaestrato”, ma interagendo con esso durante gli spettacoli. Tra le altre opere d’animazione occorre ricordare L’affondamento del Lusitania (The Sinking of the Lusitania), racconto realistico e allo stesso tempo ricco di suggestioni su un episodio che contribuisce all’ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra mondiale. Alla fine della sua vita si dedica all’illustrazione gli editoriali dei giornali del gruppo Hearst. Winsor McCay muore nel 1934: attualmente è sepolto al Cemetery of the Evergreens di Brooklyn. 16. Il formalista russo Vladimir Ja. Propp dice: «Il fumetto, come ogni messaggio narrativo, risulta di un concatenarsi di funzioni legate le une alle altre (scomparsa-ricerca, ricerca-prova, rapimentosalvataggio, ecc.). I personaggi che svolgono tali funzioni possono variare, ma le funzioni, motore del racconto, restano invariabili. Esiste dunque un’ossatura del racconto=l’insieme di tali funzioni costituisce il raccontato: il raccontato possiede gli avvenimenti, le situazioni, i comportamenti significativi», citato in, Deruelle 1977, p. 95. 17. Cfr. Ivi, p 55. 18. Barbieri 2005, op. cit., pp. 11-36. 19. Barbieri 2009, cit. p. 14. 20. «Nel dire questo avevo in mente l’illustrazione dei testi narrativi. Se si allarga il campo ai testi didattici e scientifici, il ruolo dell’illustrazione diventa comunicativamente molto più centrale, e buona parte dell’informazione può passare proprio da lì». Ivi, pp. 15-34. 21. Il Corriere dei Piccoli presenta una copertina interna ed una esterna (…) quest’ultima è stampata in nero su una carta colorata in celeste. Nello stesso periodo viene pubblicato un altro settimanale del Corriere della Sera, “la Domenica del Corriere” 1899, anche questo con una copertina aggiuntiva, probabilmente su carta verde chiaro. Si ipotizza che quella seconda copertina servisse a proteggere i colori all’interno, i quali, senza alcuna protezione, si sarebbero danneggiati per via della scarsa qualità di stampa. Algozzino 2005, op.cit., p.13. 22. Esso non opera alcuna censura di carattere religioso o, quantomeno, non più censure di quante ne operasse il «Corriere dei Piccoli». Castelli 1991, op. cit., p. 75. 23. I fumetti comici o umoristici sono quelli in cui buona parte del piacere del lettore passa attraverso la componente del far ridere. Barbieri 2005, p. 207. 24. Il fumetto, come la tv, è un medium “freddo” definizione che, secondo Mc Luhan, riguarda i mezzi che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta partecipazione dell’utente, in modo che 45


egli possa “riempire” e “completare” le informazioni non trasmesse; i media “caldi” sono, invece, quelli caratterizzati da un’alta definizione e da una scarsa partecipazione. McLuhan 1999, op. cit., pp.31-42. 25. A detta di Alfredo Castelli “non da frutta fresca ma da macedonia in scatola”. Castelli 1991, op. cit., p. 195. 26. Era stato proprio il marito di Angela Giussani a spingerla ad inventare qualcosa “tanto per divertirsi” (non immaginava che quel qualcosa sarebbe diventato uno dei maggiori successi editoriali degli ultimi anni). Castelli 1991, ivi, p. 43. 27. La definizione di letteratura disegnata è legata a Hugo Pratt, il padre di Corto Maltese, che soleva riferirsi al fumetto in tal senso, sottolineandone il valore letterario e la tendenza alla narrazione. Tuttavia il fumetto non è stato ancora pienamente assimilato nella veste di forma narrativa e artistica. V.: http://www.accaparlante.it. 28. Genovese 2009, op. cit., p. 195. 29. In questi anni al fumetto viene riconosciuta una dignità di linguaggio pari a quella del romanzo tradizionale e una forte importanza artistica. Ciò avviene grazie anche agli studi di importanti autori quali Umberto Eco, con i suoi Apocalittici e integrati e Il superuomo di massa, Roberto Giammanco, Elio Vittorini, Oreste del Buono ed altri. 30. La Casa Editrice Comic Art, nella sua prima configurazione, fu fondata nel maggio del 1965 sulle ali di quando era accaduto a Bordighera nel febbraio precedente. Il I Salone Internazionale dei Comics, con il grande interesse che si era scatenato sul mondo dei fumetti, faceva sperare che fosse venuto il momento di dare vita ad una attività editoriale puntata sulla presentazione di autori e personaggi classici e di nuove realtà internazionali. Ecco quindi nascere la Editrice Comic Art sulla spinta dell’entusiasmo di tre appassionati tra i quali c’era, naturalmente, Rinaldo Traini. Il nome dell’impresa fu preso in prestito da un precedente progetto. Infatti nel 1963 Rinaldo Traini aveva ricevuto l’incarico dall’ufficio pubblicità di un grande gruppo industriale italiano legato all’attività petrolifera di progettare una rivista mensile per ragazzi, o almeno con contenuti di intrattenimento, che sarebbe diventato il veicolo promozionale dell’ente in quel preciso target. Traini si era messo all’opera e dopo vari contatti con agenzie giornalistiche americane aveva opzionato una serie di personaggi americani alcuni dei quali ben noti in Italia ed altri mai pubblicati nel nostro Paese. Gli accordi furono presi con il Chicago Herald Tribune, allora rappresentato dal celeberrimo giornalista italo americano Michael Chinigo, e con la NEA rappresentata allora da 46


Ascani Senior. I personaggi che avrebbero fatto parte della scuderia erano: Terry e i Pirati di Milton Caniff (ma anche quello di Geoge Wunder), Dick Tracy di Chester Gould, La piccola orfanella Annie di Harold Gray, Cpt. Easy di Roy Crane ed altri. La rivista mensile, che sarebbe stata intitolata «Comic Art» avrebbe riproposto i grandi comics nordamericani nel formato di 22x30 cm e cento pagine, delle quali la metà a colori, cioè in quella configurazione che avrebbe caratterizzato le riviste antologiche dei decenni successivi. Il progetto, arrivato fino alla realizzazione del menabò, naufragò quando il committente, cambiato il responsabile del settore pubblicitario, si tirò indietro rinunciando al progetto e autorizzando anzi Traini a proporlo ad altri. I tempi sembrarono maturi nella primavera del 1965, e quindi la Comic Art esordì con un volume cartonato di formato orizzontale (per rispettare il formato dei fumetti originali) dedicato ad Alley Oop di Vincent T. Hamlin, un personaggio pressoché sconosciuto in Italia. La scelta era stata quasi obbligata perché già in quell’anno le agenzie erano state subissate dalle richieste di materiale fumettistico americano. I Fratelli Spada si erano assicurati quasi tutto il materiale del King Features Syndycate, mentre la Milano Libri dopo il successo dei primi numeri di Linus correva ad acquistare tutto il materiale possibile americano e non. Inoltre, la Casa Editrice Comic Art era sostenuta finanziariamente dai tre volonterosi soci che non potevano certo competere con aziende editoriali di carattere nazionale. Il primo volume di Alley Oop fu distribuito in edicola mentre altri quattro successivi paper-back (i primi in Italia a fumetti) dedicati allo stesso personaggio e arricchiti della presenza di Cpt. Easy e di altri personaggi umoristici furono distribuiti in edicola con tirature modeste. I risultati dal punto di vista economico non furono apprezzabili e l’anno successivo i tre amici decisero di sospendere le pubblicazioni. Ma Rinaldo Traini non si volle arrendere. Era rimasto proprietario della testata «Comic Art» e per qualche anno la sua attività nel mondo dei fumetti fu completamente assorbita dalle collaborazioni professionali con i più importanti editori italiani e stranieri e dall’organizzazione del Salone dei Comics, spostatosi a Lucca, del quale era diventato Direttore nel 1968. Nel 1974 Rinaldo Traini rilancia il vecchio progetto Comic Art e da solo, ma sempre coadiuvato e sostenuto dalla moglie Nanda, decide di avventurarsi nel campo della riedizione ragionata e filologica dei grandi eroi della storia del fumetto, aggiungendo alla sua attività di giornalista, critico, studioso del cartooning, ideatore della nuova formula del Salone Internazionale dei Comics, del Film di Animazione e dell’Illustrazione, quella di editore specia47


lizzato nelle produzione di collane storiche. Inizialmente la Casa Editrice puntò esclusivamente sulla pubblicazione di libri di qualità e nel primo anno riuscì a presentare sette o otto volumi. Avventura in Kandelabra della Serie «Wash Tubbs & Capitain Easy» (il suo vecchio pallino) fu il titolo d’esordio della Comic Art. Erano gli anni del pionierismo e le tirature limitate non consentivano di affrontare a livello nazionale la diffusione nelle edicole e nelle librerie. La Comic Art, con la sagace intuizione del suo animatore, affidò ad una serie di piccoli distributori specializzati l’incarico di far giungere le pubblicazioni alle fiere e alle mostre fumettistiche ormai sparse in tutta Italia (il successo del Salone aveva anche sollecitato altre iniziative). Le librerie specializzate, la vendita per corrispondenza attraverso il Comic Art Club e la spinta pubblicitaria della rivista trimestrale Comics della quale Traini era Direttore, furono i canali -. all’inizio precari ma in seguito più stabili - attraverso i quali fu possibile raggiungere un numero sempre più alto di lettori. Erano gli anni della pubblicazione cronologica di serie a fumetti che avevano fatto la storia dei comics: Cino e Franco, Terry e i Pirati, Rip Kirby, Radio Patrol, Li’l Abner, Flash Gordon, Mandrake, Phantom (L’Uomo Mascherato), Popeye (Braccio di Ferro), Johnny Hazard, Brick Bradford, Steve Canyon, Agente Segreto-9 e altri. Questa attività amatoriale durò qualche anno, poi la Comic Art progressivamente si andò trasformando in una vera e propria azienda editoriale sulla spinta degli aumentati costi di produzione e dei diritti letterari diventati ormai proibitivi per l’accesa concorrenza di quanti cominciavano a credere nei fumetti. Era venuto il momento di dimensionare la Casa Editrice alle nuove esigenze del mercato assumendo un ruolo più determinato anche nel settore dei periodici da edicola. Le novità furono rappresentate da due riviste mensili: Comic Art, “la rivista dello spettacolo disegnato” e da L’Eternauta, “i fumetti più belli del mondo”. Il numero zero de L’Eternauta apparve nell’ottobre 1980 al Salone Internazionale dei Comics di Lucca per poi uscire in edicola nel marzo 1982. Caratterizzavano il mensile i migliori autori del fumetto spagnolo e argentino, spesso conosciuti ma poco valorizzati. Voluta da Alvaro Zerbini primo direttore, e da Rinaldo Traini, inizialmente la rivista fu edita per i tipi della E.P.C. con la collaborazione redazionale della Comic Art. Sarà dal n° 60, e precisamente nel marzo 1988, che L’Eternauta passerà sotto le insegne della Comic Art con la direzione di Oreste del Buono. Nel frattempo il 1° giugno 1984 era uscito in edicola il nuovo mensile a fumetti Comic Art. Veste grafica e configurazione erano nello stile de L’Eternauta, ma come scriveva il Direttore Responsabi48


le Rinaldo Traini nell’editoriale del primo numero, la rivista nasceva con lo scopo “di approfondire l’interesse verso i comics, il film di animazione, l’illustrazione, l’umorismo grafico, proponendo un continuo e sistematico aggiornamento sui più recenti ed inediti esempi dell’espressività della nona arte”. Un mese dopo l’altro le due riviste decollarono e a loro va senz’altro il merito di aver pubblicato e valorizzato storie, racconti e disegni di tanti autori sia italiani che stranieri: Torti, Rotundo, Pazienza, Trillo, Moebius, Berardi, Milazzo, Serpieri, Corben, ecc.. Ci furono, negli stessi anni, gli accordi con la Mondadori prima e con la Disney poi che consentirono la pubblicazione dei grandi classici italiani e americani (le serie di Topolino, sia nella versione giornaliera che domenicale, le Silly Symphony, Paperino, e altre serie parallele con le cronologie complete e filologiche con materiale d’archivio di ottima qualità rintracciato in biblioteche pubbliche e private in tutto il mondo, le repliche del settimanale Topolino dal 1936 al 1947 e le celeberrime serie anteguerra de Gli Albi d’Oro e de Gli Albi del Regno di Topolino e collane di volumi come I Capolavori Disney con le firma di autori come Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi, Paul Murry, Bill Wright), tutto materiale prodotto sempre all’insegna della qualità grafica e del prezzo accessibile. Anche il settore librario non fu trascurato dalla Comic Art. Infatti sono stati prodotti decine di cartonati fra i quali hanno fatto spicco Tintin di Hergé e Blake & Mortimer di Jacobs. Ma le nuove generazioni scoprono i comics nordamericani dedicati ai supereroi. Ecco dunque apparire l’1 settembre 1986 nella scuderia Comic Art: Conan il Barbaro nelle due versioni originali in bianco e nero e a colori. Le due collane riscossero subito un successo strepitoso e negli anni successivi fu avviata la pubblicazione di una collana di volumi dedicata ai grandi eroi della Marvel. A questi personaggi dei comic-book Marvel si aggiungeranno presto le intriganti serie della DC Comics. Una duttilità editoriale che ha consentito alla Comic Art di non perdere mai di vista sia i gusti del pubblico amatoriale che le tendenze del più grande mercato e i nuovi idoli dei lettori più giovani. Il nuovo decennio si era aperto infatti con l’esplosione di nuovi personaggi come Dylan Dog, Martin Mystére, seguiti da Nathan Never e Nick Raider (editi da Bonelli Editore) tutti però puntualmente presenti sulle riviste o gli albi speciali prodotti dalla Casa Editrice Comic Art. Storie che a colori, su carta di pregio e in grande formato, mostrarono appieno la solidità dei testi e dei disegni che ne avevano decretato il successo. E così convivevano felicemente a più di trentacinque anni da quel fatidico 1965: Li’L Abner, Tintin, Dick Tracy, Mandrake, Brac49


cio di Ferro, Topolino, Paperino, L’Eternauta, Dylan Dog, Rip Kirby, Flash Gordon, L’Uomo Mascherato e tantissimi altri caratteri in un universo fantastico senza tempo che solo la Comic Art aveva saputo creare. Con gli Anni Novanta si accende in tutta Europa, e in Italia in particolare, un grande interesse per i manga giapponesi. La Casa Editrice Comic Art fa il suo ingresso in un’area fumettistica assolutamente inedita assicurandosi serie quali: Raika, Ikkiù, Astroboy, Blake Jack, Kimba il Leone Bianco (queste ultime tre dovuta al grande Osamu Tesuka), L’Immortale, Noritaka, Hamelin, Bakutesu Hunter e infine Detective Conan. Dalla metà degli Anni Novanta le riviste antologiche, Comic Art e L’Eternauta, non trovano più l’adesione del pubblico, come avveniva negli anni passati, e si trasformano in volumi monografici dedicati a grandi autori internazionali. Nel 1994 la Marvel sbarca in Italia e la Comic Art si trova a dover rinunciare a tutti i personaggi della grande corporation americana. La produzione amatoriale, incentrata sui comics storici, continua ad essere realizzata, ma ormai il numero dei collezionisti si è andato man mano riducendo. Sono anni duri per la Comic Art, che prosegue ad editare materiale di alta qualità che però ha una scarsa diffusione. L’1 dicembre del 2000 Rinaldo Traini prende la drastica decisione di sospendere le pubblicazioni di tutte le collane con l’intento di sanare i bilanci per scongiurare il fallimento della società. Operazione che a costo di pesantissimi sacrifici è pienamente riuscita. Restano i risultati di trentacinque anni di attività editoriale che hanno fatto la storia del fumetto, non solo italiano. V.: http://www.comicartclub.com. 31. Festival Intermazionale del Fumetto, del Cinema d’Animazione, dell’Illustrazione e del Gioco. V.: http://www.luccacomicsandgames. com/it. 32. Genovese 2009, op. cit., p. 191. 33. «Quest’espressione piace a molti poiché sembra collocare l’oggetto del comune amore sui sacri altari della legittimità culturale. […] Tentare di nobilitare il fumetto attraverso una sua identificazione con le arti […] preesistenti è un segno di debolezza analitica. […] il fumetto è un medium in sé, compiutamente strutturato e codificato, capace di […] dialogare con gli altri linguaggi […]». V.: http://www. liberweb.it/upload/cmp/Liera/7-parole-chiave-fumetto.pdf. 34. Intervista a Daniele Barbieri di Maria Agostinelli e Claudia Bonadonna. V.: http://www.railibro.rai.it/interviste.asp?id=50. 35. Giovanni Luigi Bonelli è uno dei più grandi sceneggiatori del fumetto italiano, sia in termini di quantità che di qualità dei lavori prodotti. Appassionato di letteratura avventurosa e grande sportivo, 50


inizia a scrivere brevi racconti e poesie già all’età di diciotto anni, non appena conseguita la licenza ginnasiale. I suoi primi lavori vengono pubblicati dalla casa editrice Sonzogno sul «Corriere dei Piccoli» e sul «Giornale Illustrato dei Viaggi». Nello stesso periodo nascono vari romanzi: Le tigri dell’Atlantico, I Fratelli del Silenzio e L’ultimo Corsaro, tutti ispirati dalle innumerevoli letture giovanili (Jack London, Zane Grey, Alexandre Dumas, H. Rider Haggard ed altri classici). Grazie al contatto con l’editore Lotario Vecchi, che lo chiama a collaborare (e successivamente anche dirigere) una serie di testate, tutte edite dalla SAEV (Società Anonima Editrice Vecchi) di Milano («Jumbo», «L’Audace», «Rin Tin Tin» e «Primarosa») Bonelli debutta nel mondo del fumetto come soggettista e sceneggiatore. Dopo il rilevamento de «L’Audace» da parte di Mondadori (allora I.D.E.A.), Bonelli allarga la sua collaborazione anche a «Il Vittorioso», salvandolo dal fallimento e portandolo, in due anni, da 18.000 copie a 120.000 di venduto. Con il n. 331 del 18 gennaio 1941, egli rileva «L’Audace» dalla Mondadori, diventando editore in proprio e fondando la Redazione Audace, piccola casa editrice (diretta inizialmente da Enwer Bongrani) che costituirà il nucleo originario della futura casa editrice Bonelli. Il settimanale viene trasformato da rivista contenitore di storie a puntate ad “albo giornale” con un’unica storia per lo più dedicata al personaggio più in voga del periodo: Furio Almirante, creato appositamente da Bonelli per la testata. Anche a causa della crescente pressione censoria del regime fascista, oltre a scrivere avventure di fantasia, Bonelli si cimenta, tra l’altro, con adattamenti di classici della letteratura (L’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata). Durante la Seconda Guerra Mondiale l’editore Bonelli si rifugia in Svizzera, mentre la moglie Tea e il figlio Sergio sfollano in Liguria. Al termine del conflitto, i coniugi Bonelli si separano: Giovanni Luigi si stabilisce a Genova, mentre la signora Tea con il figlio proseguono l’attività editoriale. In questi anni Bonelli lavora per conto di diversi piccoli editori, finché non si associa con Giovanni De Leo per il potenziamento del settimanale «Cow-Boy», creando il personaggio del Giustiziere del West (successivamente ristampato e ripreso dalle Edizioni Audace) e traducendo alcuni classici come Robin Hood e Fantax. Tra 1946 e 1947, conclusa la collaborazione con De Leo, Bonelli ritorna a collaborare stabilmente con «L’Audace» creando numerosi personaggi e divenendo nella pratica lo sceneggiatore di riferimento per la casa editrice ormai stabilmente diretta dalla ex-moglie. Del 1946 è La Perla Nera, disegnata da Franco Caprioli e pubblicata su «Albo d’Oro Audace», mentre è del 1947 51


Ipnos disegnato da Paolo Piffarerio, Gino Cossio, Dapassano e Uggeri e pubblicato come monografico a striscia nella collana «Gli albi del Mistero». Il 1948 è l’anno della nascita di Tex, il personaggio al quale Gianluigi Bonelli legherà indissolubilmente il suo nome. La genesi del personaggio è ormai entrata nel mito: «L’Audace» poteva disporre per la prima volta di una matita del calibro di Aurelio Galleppini (affermato disegnatore per la concorrente Nerbini nell’anteguerra) e per l’occasione si decise di puntare ad un rilancio della casa editrice con un personaggio innovativo, sul quale erano riposte molte speranze: Occhio Cupo. La serie, ambientata nel Nord America del ‘700, fra pirati ed indiani, era scritta da Bonelli con molta cura ed attenzione all’esotismo di ambienti e situazioni, ed era pubblicata nella prestigiosa «Serie d’Oro Audace» in un formato più grande delle consuete serie a striscia (21x29cm). Contemporaneamente, tuttavia, la coppia di autori aveva messo in cantiere anche un altra serie, quasi di rimpiazzo, un western come se ne facevano molti a quei tempi, alla quale Galep poteva dedicare soltanto le ore serali, poiché straripava d’impegni. Il protagonista di quella serie avrebbe dovuto chiamarsi Tex Killer, ma per la tenace opposizione della moglie Tea il suo nome venne mutato nel più tranquillizzante Tex Willer. Gli inizi furono in sordina: infatti la «Collana del Tex» (così si chiamava la serie a striscia che ospitava le sue avventure) non ebbe un riscontro clamoroso (al suo culmine arrivò a vendere poco più di 50.000 copie, mentre i rivali Capitan Miki e Il Grande Blek dell’Editoriale Dardo si attestavano sulle 200.000), ma riuscì tuttavia a sopravvivere. La testata dedicata ad Occhio Cupo, invece, chiuse i battenti dopo appena un anno di pubblicazioni, durante il quale il personaggio, dopo soltanto 6 numeri, aveva già ceduto il passo alla riduzione de L’Orlando Furioso. Negli anni 1948-57, l’attività di G.L. Bonelli per «L’Audace» si concretizza nella creazione di numerosi altri personaggi (molti dei quali poi ristampati nella futura collana «TuttoWest» edita dalla Bonelli): nel 1948, contemporaneamente a Tex ed a Occhio Cupo, nasce «La Pattuglia dei senza Paura», disegnata da Roy D’Amy, Zamperoni e Donatelli e pubblicata nella «Collana Arcobaleno». Nel 1949 è la volta di Plutos disegnato da Leone Cimpellin. Nel 1950 Bonelli si occupa della traduzione e dell’adattamento di Red Carson, personaggio western scritto e disegnato dall’americano Warren Tufts e pubblicato da «L’Audace» nella «Collana Zenit»: Bonelli rielabora completamente il testo originale e scrive anche due avventure inedite disegnate da Uggeri con la collaborazione di Cimpellin. Di nuovo nel 1951 si occupa della riscrittura dei dialoghi della seconda serie d’im52


portazione ospitata nella «Collana Zenit»: Buffalo Bill, scritto e disegnato dall’americano Fred Meagher ma con tutti i primi piani del personaggio ridisegnati da Aurelio Galleppini. Il 1952 è l’anno de I Tre Bill, realizzato assieme a Benvenuti, D’Antonio, Dami e Calegari, pubblicato ancora nella «Collana Zenit», mentre al 1953 risale il primo numero della «Collana Arco», che ospita le avventure di Yuma Kid, disegnato da Uggeri. In quel periodo Bonelli realizza l’adattamento in forma di didascalie di un precedente lavoro che Galleppini aveva realizzato per l’editore Nerbini: Pinocchio, che viene pubblicato da «L’Audace» sotto forma di lussuoso volume cartonato e a colori. Al 1953 risalgono Il Cavaliere Nero, realizzato assieme alla EsseGesse e pubblicato nella «Collana Fiamma», Za la Mort, disegnato da Pietro Gamba e pubblicato nella «Collana Arco», e Rio Kid (o meglio Il Cavaliere del Texas), disegnato da Roy D’Amy e pubblicato nella «Collana Zenit». Sempre nel 1953, per la «Collana del Trifoglio», Bonelli scrive alcuni brevi favole per bambini illustrate da Zampironi, pubblicate in fascicoletti dalla inusuale dimensione rettangolare (21,7x24cm) e stampate a quattro colori. Nel 1954 «L’Audace» vara la «Collana Capolavori» con la riduzione de I viaggi di Gulliver disegnata da Galleppini e con le didascalie di G.L. Bonelli. Le serie proseguirà poi, sempre con i testi curati da Monelli, con Peter Pan, disegnato da Dino Battaglia, e L’Isola del Tesoro ancora con i disegni di Galleppini. La seconda serie della collana, dal formato mutato in orizzontale, ristamperà il Pinocchio uscito l’anno precedente in volume unico, per poi proseguire con altri 6 numeri che alterneranno riduzioni inedite a ristampe della serie precedente. Nel 1955 El Kid, disegnato da Battaglia per quasi l’intera prima serie e da D’Antonio e Calegari per la seconda, succede a Za la Mort nella «Collana Arco». L’anno seguente gli seguirà Terry, disegnato da Gamba, mentre la «Collana Zenit» ospiterà Hondo, disegnato da Bignotti. Sempre nel 1956 viene editato, come supplemento alla Collana del Tex, Il Massacro di Goldena, un romanzo di G.L. Bonelli arricchito dalle illustrazioni di Galleppini (ristampato in edizione anastatica nel 1977 dall’ANAF). Nel 1957 viene inaugurata la «Collana Audace» con le nuove avventure di Kociss, disegnato da Uberti, che proseguono le gesta del personaggio già apparso in precedenza per le Edizioni Tomasina; mentre sulla «Collana Arco» appare Big Davy (ispirato alla figura di Davy Crockett) disegnato da Porciani e Calegari, e costretto al cambio di nome a causa della contemporanea uscita di una collana omonima per le Edizioni Alpe. Nel frattempo continua a crescere l’attenzione verso Tex. L’originale collana a stri53


scia ha raggiunto la quarta serie pubblicata (e quasi 200 numeri all’attivo) quando, nel 1952, viene inaugurata la prima serie di ristampe (il famoso «Albo d’Oro», per via del formato che coincideva con quello dell’omonima collana mondadoriana): ogni albo presenta, almeno inizialmente, la ristampa di tre strisce rimontate nel formato 17x24 e prestigiose copertine inedite disegnate da Galleppini. Dopo l’avvento del venticinquenne Sergio Bonelli alla guida della casa editrice Tex prenderà letteralmente il volo. Nel 1958, infatti, viene pubblicata la seconda ristampa di Tex, nota come «II Serie Gigante» (che è la collana che prosegue tutt’oggi), adottando un formato assolutamente inedito per l’epoca (17x24cm) ed inaugurando quello che in futuro sarà universalmente identificato come il formato bonelliano per eccellenza. Anche grazie a questa felice intuizione (il nuovo formato veniva incontro alle mutate esigenze del pubblico) la serie raccoglie sempre maggiori consensi: dopo le ristampe di tutte le avventure già pubblicate nella serie a striscia, la collana continua (a partire dal n. 96: La caccia) con avventure inedite, dando l’avvio ad un periodo estremamente felice per il personaggio (che durerà fino a circa la metà degli anni ‘70) con le sceneggiature di G.L. Bonelli che si fanno più incisive e brillanti e, soprattutto, si fa sempre più evidente la sua completa identificazione psicologica con il ranger. Ad affiancare Galleppini sono nel frattempo arrivati alcuni fra i collaboratori storici della casa editrice, che assieme a Bonelli avevano realizzato le altre serie citate in precedenza, come Zamperoni, Uggeri, Jeva, Gamba, Muzzi; ma altri, ai quali viene concessa sempre maggiore autonomia, se ne aggiungono con il passaggio alla nuova foliazione (tanta è infatti la mole di lavoro necessaria alla realizzazione delle tavole inedite che il formato richiede). Tra questi Guglielmo Letteri, che esordisce nel 1966, Giovanni Ticci nel 1968, e poi ancora Erio Nicolò, Ferdinando Fusco e Vincenzo Monti. Tra gli anni 1961-65 G.L. Bonelli dedicherà la sua attenzione quasi esclusivamente al ranger più famoso d’Italia, limitando notevolmente la sua produzione collaterale. Nel 1961, ad esempio, si occupa, assieme a Tarquinio, della prosecuzione di Giubba Rossa, un personaggio inglese la cui pubblicazione era iniziata l’anno precedente da «L’Audace» in una serie a striscia a lui dedicata, e soprattutto, nel 1962, corre in soccorso del figlio Sergio (sempre più occupato dagli impegni che la sua professione di editore comprendeva), scrivendo diverse sceneggiature di Zagor, personaggio creato dal figlio, che per la sua attività parallela di sceneggiatore ha assunto lo pseudonimo di Guido Nolitta. Allo stesso modo, sempre nel 1962, erediterà la serie di «Un Ragazzo nel 54


Far West», pubblicata, assieme ad altri personaggi, dalla casa editrice di famiglia (che nel frattempo ha mutato la designazione in Edizioni Araldo) nella «Collana Zenith Gigante» (si tratta dei cinquantuno numeri che precedono il definitivo arrivo delle avventure di Zagor nella collana) dal figlio, portandola fino alla sua conclusione con il n. 51 del giugno 1965. Nel 1963 scriverà l’episodio conclusivo del «Giudice Bean», altra breve serie (composta solo da cinque numeri) creata da Nolitta e pubblicata dall’«Araldo» negli «Albi del Cowboy». Grazie al complesso della sua attività, Bonelli nel 1967 è il primo soggettista e sceneggiatore ad essere premiato al Salone Internazionale del Comics di Lucca. Nel 1976-91, a dare manforte ai testi di Tex, arriva il figlio Sergio Bonelli (ma non firmerà le sceneggiature), anche se il suo impegno come editore e, soprattutto, la lontananza dalle sue corde delle caratteristiche del personaggio, non gli consentiranno di occuparsene a pieno titolo. Quello che in futuro diventerà il vero successore di G.L. Bonelli arriva soltanto nel 1983, con l’esordio di Claudio Nizzi. L’ultima avventura scritta da Bonelli per il ranger è il n. 364 del febbraio 1991: Il medaglione spagnolo. Gli anni novanta vedono Nizzi come sceneggiatore principale della serie, registrando soltanto un accennato tentativo di affiancamento con l’esordio di Decio Canzio, direttore generale della casa editrice (che ormai ha assunto la definitiva designazione di Sergio Bonelli Editore) ma già sceneggiatore in passato di numerose serie western; a lui si aggiungono Mauro Boselli e Michele Medda. Dei tre, soltanto Boselli proseguirà la sua collaborazione in maniera continuativa, alternando Nizzi nella produzione di storie, sia per la collana regolare che per i numerosi supplementi nati in seguito. Il parco dei disegnatori inoltre si arricchisce di nuove e talentuose firme come quelle di Fabio Civitelli, Carlo Marcello e Claudio Villa: a quest’ultimo spetterà anche l’onore di raccogliere, pochi mesi prima della scomparsa di Galleppini, il testimone come realizzatore delle copertine della prestigiosa testata. Giovanni Luigi Bonelli muore il 12 gennaio 2001 ad Alessandria: ormai da alcuni mesi era ricoverato nell’ospedale cittadino per gravi problemi cardiaci e polmonari. V. http://www.ubcfumetti.com. 36. Genovese 2009, op. cit., p. 233. 37. Ivi, p. 21. 38. Barbieri 2005, op.cit, p. 104. 39. «L’editore del «Corriere della Sera» considerava il «CdR» come una sorta di “figlio scemo” di cui vergognarsi ma che purtroppo era impossibile eliminare. A ogni aumento del prezzo della carta, la prima testata ad essere penalizzata era regolarmente il «CdR» che andò 55


quindi sempre più rimpicciolendosi». Castelli 1991, op. cit., p.108. 40. Cit. William Shakespeare, Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori, Milano, 1984. 41. Lo psicologo Fredric Wertham già nel 1954 pubblica negli Stati Uniti il libro Seduction of the Innocent (cit. Fredric Wertham, Seduction of the Innocent, Rinehart, New York, 1954), individuando nei fumetti una delle cause della delinquenza giovanile in quanto le forme sexy di queste ragazze inviterebbero il lettore a trascurare la trama istigandone in negativo la mente. 42. Genovese 2009, op. cit., p. 101. 43. La Garanzia Morale (GM) è il marchio edito dall’Associazione Italiana Editori Periodici Per Ragazzi, che inizia ad apparire su diversi albi per segnalare i fumetti in linea con le norme di regolamentazione del Codice di Garanzia Morale: sono gli effetti, che dureranno per oltre un decennio, di un organismo di vigilanza creato dagli editori per frenare le polemiche sui contenuti diseducativi dei fumetti e mettere al riparo i ragazzi da ogni influenza negativa. Tale “codice di garanzia morale” si può considerare come una filiazione del clima moralista e delle norme censorie introdotte negli Stati Uniti: il termine morale sta a significare l’etica o il comportamento a cui ci si deve attenere. 44. Il kiai, secondo la disciplina del ken-do, corrisponde al plesso solare. Il plesso solare è una zona che corrisponde alla regione addominale tra l’ombelico e lo stomaco. E’ anche la sede di un centro psichico (detto chakra) che viene chiamato ombelicale ed è strettamente associato ad emozioni e sentimenti. Infatti tante volte si usa l’espressione “sento come un pugno allo stomaco” oppure “ho lo stomaco chiuso” quando siamo presi da forti emozioni. Sovente in situazioni stressanti o che mettono alla prova i nostri nervi avvertiamo un certo “sfarfallio” proprio a livello dello stomaco. Spesso i principali sintomi di ansia e stress si ripercuotono nella zona del plesso solare, causando così dissenteria o stipsi, colon irritabile, fame nervosa o difficoltà ad ingerire anche un solo sorso d’acqua. Tutto questo perché nella zona del plesso solare si trovano tantissimi ricettori nervosi che avvertono anche il nostro più piccolo cambiamento d’umore. Ecco perché tante volte un po’ di calore proprio in questa zona ci fa sentire subito meglio. Questo si ottiene bevendo un latte caldo o una tisana o appoggiando la “borsa” dell’acqua calda proprio sulla pancia. E il calore che avvertiamo ci distende effettivamente, il beneficio è reale. Plesso significa quindi “insieme di cose” e solare deriva da sole e sta proprio ad indicare il “calore”. Il centro dell’universo di ogni uomo. 56


V.: http//www.guide.supereva.it. 45. «Di me Mystère possiede la curiosità, la prolissità, l’arte del tirar tardi, una certa “tuttologia” e, spero, una certa disponibilità nei confronti degli altri. Oltre, naturalmente, ad essere bello, aitante, forte e coraggioso». Castelli 1991, op.cit., p.196. 46. Ibidem. 47. Castelli 1991, ivi, pp. 19-20. 48. V.: http://armadel.clarence.com. 49. «Quella del fumettista, sostiene Giovanni Sinchetto, è una professione particolarmente impegnativa; nel fumetto se uno si prende l’impegno poi deve fare un certo numero di tavole mensili. Il fumetto non è una cosa che si può improvvisare: bisogna lavorare in fretta e con uno stile ben stabilito, chiaro, essenziale, capace di comunicare col lettore». Genovese 2009, op. cit., p. 24. 50. « “Hugo Pratt gira il mondo”, “Tiziano Sclavi sta chiuso in casa”, “Bonvi si veste da Sturmtruppen”». Castelli 1991, op. cit., p. 197.

57


Fig.1

Fig.2

Fig.4

Fig.3 58


Fig.5

Fig.6

Fig.7

59


Fig.8 Fig.9

Fig.10

60

Fig.11


Fig.12

Fig.13

Fig.15

Fig.14

61


Fig.16

Fug.17

Fig.18

Fig.19

62


Fig.20

63



II. Il viaggiatore incantato Hugo Pratt (fig.21) è uno dei più grandi e importanti fumettisti italiani; il personaggio che lo rende celebre è Corto Maltese. Il disegnatore nasce a Rimini il 15 giugno 1927 dal matrimonio tra i veneziani Ronaldo Pratt ed Eveline Genero. Eveline, di ascendenza ispano-sefardita1, nutre particolare interesse per l’astrologia, la cartomanzia e le storie fantastiche ispirate ad opere di scrittori veneziani del XVIII secolo, come Gasparo (1713-1786) e Carlo Gozzi (1720-1806); ella tramanda al figlio uno spiccato senso dell’assurdo e dell’ironia. Il padre, cattolico, appartiene alla stirpe anglo-normanna: da lui Hugo eredita l’amore per la lettura e le storie sui pirati. Il nonno paterno, Joseph Pratt, è professore di francese presso l’Istituto Ravà di Venezia, una scuola ebraica che il figlio Ronaldo frequenta. Oltre a Ronaldo egli ha una figlia in seconde nozze con la moglie Ernesta Quadrelli de’ Barbanti: Eglantine. Dalla parte materna, il nonno, Eugenio Genero è figlio illegittimo di un aiuto cuoco e di una ragazza appartenente alla famiglia di gioiellieri ebrei Zeno-Toledano; anche a lui Hugo deve la passione per la scrittura e la poesia. Eugenio lavora come pedicure oltre ad essere personaggio politico a cui si deve la creazione de “La Serenissima”, una sezione fascista veneziana alla quale aderiscono molti giovani tra i quali lo stesso Ronaldo che, all’interno di tale gruppo, incontrerà Eveline Genero. La nonna, Anzim-Greggyo-Molho, avvia il nipote alla carriera artistica abituandolo ad andare al cinema sin dall’età di cinque anni: lì il piccolo Pratt inizia a disegnare su carta da imballaggio le immagini reali che vede scorrere sullo schermo e ad esse aggiunge sempre un pizzico di fantasia2. Perfino la maestra di scuola scorge la sua vocazione e lo sollecita a disegnare le storie che ella enuncia a voce. In ogni modo sarà suo padre Ronaldo a far comprendere ad Hugo che l’immagine può servire da supporto nel narrare una storia, e lo fa attraverso il disegno di un palombaro tratto dal Ventimila leghe sotto i mari di Giulio Verne (1828-1905): il palombaro è l’uomo dai piedi di piombo che riesce a muoversi con 65


leggerezza dentro l’acqua e l’artista lo utilizzerà cinquantasei anni dopo per la prima sequenza di «Mu», un’avventura di Corto Maltese. A fare da trampolino di lancio verso la professione, definita da lui stesso di “fumettaro”, è senza dubbio Venezia, il luogo in cui egli trascorre parte dell’infanzia. Negli anni trenta in Italia si diffonde il fascismo e Hugo ha solo sette anni. Il regime emancipa i giovani, li invita alla promiscuità e ad intraprendere nuove avventure, violando le regole sociali imposte dalla Chiesa e dalla famiglia. Nel 1922 Ronaldo Pratt prende parte alla “Marcia su Roma”. L’unica persona della famiglia avversa alla dittatura è lo zio Ruggero, detto Lello: un marinaio arruolato nella Marina mercantile a cui Corto Maltese probabilmente deve molto. Ruggero provvede all’educazione virile del nipote, al contrario della madre che lo agghinda come fosse una donnicciola. Dopo le elementari Hugo frequenta il ginnasio, sempre a Venezia, al liceo Marco Foscarini, ma svariate vicissitudini non gli consentono di completare regolarmente gli studi. Per tale ragione lo scrittore studia da autodidatta, in grado di passare da un genere all’altro senza una gerarchia tra i diversi registri culturali; la casa in cui vive sembra una biblioteca ed anche se non legge per intero tutti i testi che accumula, ne conosce a memoria i contenuti nel momento in cui gli necessita un riferimento. Per tradizione di famiglia Pratt sceglie una biblioteca anglofona e non in francese, proprio perché quel tipo di libri gli consente di sviluppare la fantasia, mentre i francesi sono inclini maggiormente ad un retaggio borghese, alla Madame Bovary, per intenderci. Così facendo, egli impara perfettamente le lingue straniere per merito delle quali riesce a relazionarsi con le etnie, le credenze e le culture che incroceranno il suo cammino. Nel 1937 la famiglia Pratt si trasferisce in Etiopia, nel quartiere di Villaggio Littorio, perché l’anno precedente a Ronaldo viene offerta la possibilità di diventare capo cantiere per la costruzione di una strada che va da Assab a Dessié. Lì Hugo inizia a leggere fumetti americani. Durante la conquista del paese da parte dei fascisti, periodo in cui l’imperatore Hailé Sélassié (1892-1975) fugge in esilio, Ronaldo viene insignito del tito66


lo di Primo Capo Squadra, ovvero di sergente maggiore. Pur avendo un buon guadagno3, Pratt padre è principalmente alla ricerca di un’avventura nella quale il figlio appare immediatamente coinvolto. La campagna militare italiana in Etiopia inizia con le vittorie nel Somaliland di Berbera e di Zeila e si conclude con la sconfitta di Gondar. Il 6 aprile 1941 al comando delle truppe sudafricane arriva il generale Cunningham e il 5 maggio Hailé Sèlassié ritorna sul trono scortato dal colonnello inglese Orde Wingate: la guerra giungerà al termine in seguito all’arrivo dell’esercito britannico e di quello sudafricano. Nel 1940-41, a soli tredici anni, Hugo è il soldato più giovane di Mussolini, arruolato nelle forze della polizia coloniale incaricata di reprimere i guerrieri indipendentisti: gli scifta. Il disegnatore all’inizio partecipa alla guerra come fosse un gioco, fino al momento in cui guarda in faccia la morte. I conflitti bellici sicuramente influenzano la forma mentis di Hugo e iniziano a far parte dei suoi fumetti per il suo bisogno di includervi tutto lo scibile: la guerra, così come i viaggi e le donne, sono temi che conosce bene. Le uniformi sono molto belle e in assenza di un dispositivo fotografico le disegna con la stessa precisone di uno stilista: realizza minuziosi ritratti militari soffermandosi sull’importanza araldica dei colori, delle insegne, degli stemmi fino ad arrivare ai bottoni4 (fig.22 a,b). Nel suo lavoro egli mette in luce con un rapido tratto di matita i minimi dettagli del costume, delle armi dei soldati, perfino i tratti somatici più salienti con una precisione e insieme una leggerezza assolute, perché dietro ad ogni simbolo e insegna militare c’è una storia atta a conferire credibilità ad ogni suo personaggio di carta. Per tale ragione Hugo può considerarsi l’ultimo grande cantore del colonialismo, nello specifico, testimone oculare del periodo storico relativo alla colonizzazione dell’Etiopia da parte dell’Italia. Di tali esperienze, in Etiopia come nel sud est asiatico o altrove, Pratt non smetterà mai di raccontare l’aspetto atroce e al contempo ridicolo della guerra, pur mescolandola continuamente al mondo fiabesco. Egli non intende mostrare i buoni e i cattivi ma semplicemente degli uomini trascinati in qualcosa più 67


grande di loro in grado di assuefarli totalmente: la guerra5. Quest’ultima non fabbrica eroi: l’eroe guerriero o pacifista che sia è, a detta dello scrittore, colui che riesce ad affrontare una situazione difficile restando completamente umano. L’eroe altro non è che l’Uomo. Tuttavia al di là delle guerre e dei conflitti sociali, c’è una sola paura che permette agli uomini di tutte le latitudini di fraternizzare: quella del Mare. In Etiopia, per guadagnare qualche soldo Hugo lavora come fattorino all’interno de “l’Aquila Bianca”, un bordello tenuto da un russo convinto che ad appartenere all’ultimo gradino della scala sociale fosse il prosseneta, o ruffiano, e non la prostituta. Lì lo scrittore, ancora adolescente, consolida le prime amicizie tra prostitute di diversa nazionalità ed intraprende le prime relazioni amorose in una condizione emancipata rispetto all’Italia, dove le ideologie fasciste proibiscono qualunque tipo di approccio con la gente del luogo al fine di “salvaguardare la razza”. Hugo durante la guerra vive in un accampamento civile della Dancalia, a Dire Dawa, un piccolo villaggio bianco punteggiato sulla strada ferrata che da Addis Abeba porta a Gibuti, dove le scarse condizioni igieniche invitano, di contro, alla promiscuità e alcuni Etiopi appongono dello smegma (gr. sapone), prodotto dalla secrezione dei loro organi genitali, dietro le orecchie per attirare le donne. La guerra diviene insomma un invito alla vita e all’amore libero. Hugo ama donne di qualunque estrazione sociale, ne fa dei modelli per le sue storie, e un mondo senza di esse gli sembra inconcepibile, ma non fino al punto da sconfinare in esistenzialismo: nella sua vita la donna rimane un mero oggetto narrativo, certo in primo piano nel suo lavoro, che è il solo che possa racchiudere in sintesi tutta la sua esperienza. Nel 1942 i soldati inglesi arrestano Ronaldo Pratt e lo traferiscono in un campo di concentramento per poi essere consegnato dopo poco tempo nelle mani dei francesi. Verso la fine dell’anno egli muore di tumore al fegato sulla strada per Harar. A sedici anni Hugo rientra in Italia insieme alla madre. Dopo l’esperienza africana sente di essere cambiato: non possiede spirito patriottico e l’unico valore che continua a 68


perseguire è quello della fedeltà nei confronti degli amici. Nel 1943 a causa di un ritardo nell’iscrizione, Hugo non può accedere al liceo artistico di Venezia; così si reca presso un collegio militare a Città di Castello, in Umbria. Altre questioni politiche gli impediscono ancora una volta di completare gli studi. Nonostante l’arresto di Mussolini, il 25 luglio, e la caduta del fascismo il conflitto prosegue: i fascisti fiancheggiati dalle truppe tedesche organizzano la fuga del duce dalla prigione e poco dopo egli proclama a Salò un nuovo regime (23 settembre 1943). In quel periodo il disegnatore veneziano entra a far parte di un gruppo indipendente dell’esercito della Repubblica fascista che prende il nome di Battaglione Lupo. Una volta trasferito a Iesolo come marinaio fuciliere, Hugo viene incaricato di boicottare tutte le manovre di sbarco. Malgrado il tentativo della nonna di far rientrare il nipote a Venezia ed allontanarlo dal conflitto, alla fine del 1944 egli indosserà l’uniforme tedesca. Nel 1945 l’artista lavora, però, in qualità d’interprete per l’esercito inglese. Questa rinnovata attrattiva per il mondo anglosassone, porta Pratt ad interessarsi dell’America e delle guerre di frontiera del ‘700, da un lato, come, d’altro canto, al Jazz, genere che si propaga in Italia già tra le due guerre, anche se Mussolini ne aveva vietato la diffusione. Hugo Pratt svolge tante attività durante la sua vita, così, ancora nel 1945 a Venezia, oltre a giocare a rugby in una squadra di serie A, diventa ufficialmente un abilissimo disegnatore di fumetti, lavoro che gli permette di prendere le distanze dall’ambiente militare. È l’anno in cui egli fonda il giornale «Asso di Picche» (prima «Albo Uragano») insieme a Mauro Faustinelli (1924-2006) e Alberto Ongaro (1925): Faustinelli si occupa del lavoro redazionale, Ongaro cura le sceneggiature e Pratt i disegni a matita. Su «Asso di Picche» Pratt mostra un tratto in cui risulta palese l’influenza dei fumettisti Noel Sickles (19101982), disegnatore di Scorchy Smith, e Milton Caniff. La rivista è edita a San Canciano, nella casa/torre all’ultimo piano dove è sito il laboratorio di pellicceria delle sorelle di Mario Faustinelli. Il veneziano Alberto Ongaro ricorda così l’amico 69


d’infanzia Hugo: «Aveva un carattere straordinariamente allegro e insieme straordinariamente triste. Era capace di grandi entusiasmi e di grandi disperazioni. Gli sono grato perché è l’uomo che nella mia vita mi ha fatto ridere di più. Sapeva raccontare delle storie incredibili, assolutamente divertenti»6. Successivamente entrano a far parte del loro gruppo, chiamato “Gruppo di Venezia”, altri autori come Dino Battaglia (19231983), Rinaldo D’Ami (1923-1984), Paul Campani (19231991), Ivo Pavone (1929), Giorgio Bellavitis (1926-2009), Fernando Carcupino (1922-2003), Damiano Damiani (1922). Tale generazione di disegnatori (fig.23), legati da una determinante omologazione culturale per cui la comunicazione era immediata, coordina la nascita del fumetto moderno, quello che racconta per immagini. Il loro intervento è sicuramente appoggiato da un pubblico di lettori più esperto nel decodificare le immagini e le sequenze presenti all’interno dei fumetti. Tra il 1945 e il 1949 Hugo si assenta spesso da Venezia per dei brevi viaggi che lo conducono a Roma, in Austria, in Inghilterra e in Francia. Dopo il successo delle pubblicazioni su «Asso di Picche», Cesare Civita (1905-2005), un italiano che in Argentina dirige la Editorial Abril7, propone ai membri del “Gruppo di Venezia” di trasferirsi a Buenos Aires, consapevole che Pratt sia una stella e i suoi colleghi il firmamento. La città sudamericana, tra l’altro, in quegli anni vive un momento molto florido, paragonabile alla Parigi anni Venti strabordante di arte e di cultura: tale condizione durerà fino alla fine degli anni Cinquanta; inoltre in Argentina l’historieta, al contrario dell’Italia, si considera un nobile mezzo di comunicazione. All’inizio i membri del gruppo preferiscono lavorare a distanza, spedendo il materiale a Buenos Aires. Dopo due anni, nel 1949, Faustinelli e Pratt s’imbarcheranno finalmente per una traversata della durata di diciotto giorni che li condurrà in America del Sud8. All’inizio i due abitano in uno chalet al numero 218 di calle José C. Paz ad Acassuso, un elegante centro abitato della città argentina. In seguito li raggiungeranno anche Alberto Ongaro e Ivo Pavone. In quel momento, a causa del turbolento rapporto con Faustinelli, Hugo cambia domici70


lio e va ad abitare alla pensione di Von der None insieme al collega e amico Ivo Pavone. Buenos Aires per il fumettista significa casa, città portuale come la sua amata Venezia; durante l’intero soggiorno egli non sente minimamente il bisogno della vicinanza dei suoi connazionali ed entra immediatamente in simbiosi con gli immigrati provenienti da ogni parte del mondo. La maturità di Hugo si compie dunque a Buenos Aires, perché lì incontra diverse razze: il galiziano, l’andaluso, il “tano” (nomignolo attribuito agli italiani in Argentina), l’ebreo polacco, il tedesco, l’inglese, il russo, il patagonico, e via dicendo. La città argentina abbraccia atmosfere tipiche del tango. Hugo Pratt inizia a frequentare i locali più popolari dove le ragazze indossano i loro abiti migliori mentre i ragazzi si brillantinano i capelli9. Il nuovo linguaggio artistico argentino tuttavia non lo allontana dal jazz: tra il 1952 e il 1957 canta e suona in alcuni piccoli complessi musicali come i New Orleans Boys o i New Dixieland Stampers e diventa anche il cantante del gruppo Jesters sotto il nome di “Fabulous Sbrindolin”. Dal 1946 al 1955 in Argentina vige il peronismo o “giustizialismo”, un movimento politico creato dal presidente Juan Domingo Péron (1895-1974). Dopo l’esperienza negativa del fascismo e della guerra però Hugo non riesce più ad impegnarsi politicamente. Così egli rientra a Venezia e convola a nozze con la jugoslava Gucky Wogerer, al fine di aiutarla ad ottenere il permesso di lavoro in Italia. Malgrado la presenza dei figli Lucas e Marina questo matrimonio rappresenta per lui esclusivamente una lotta alle convenzioni sociali, motivo per il quale nel 1957 decide di separarsi e di ritornare in Argentina. Lì incontra due donne molto importanti per lui: Anne Frognier e Gisela Dester. Anne, di origine belga, posa per lui come modella per la storia a fumetti Anna della Giungla e dopo cinque anni a Venezia, il giorno di San Marco, i due si sposeranno con rito religioso non civile, poiché Hugo risulterà ancora coniugato con Gucky. Hugo ed Anne abitano a Malamocco, tra il mare e la laguna, in un villaggio di pescatori all’estremità del Lido di Venezia. In casa c’è sempre musica: tango, jazz, i Beatles ecc.; egli suona la chitarra e si diletta a 71


cantare le ballate irlandesi. Dalla loro unione nascono, a Buenos Aires, Silvina e Jonas rispettivamente il I febbraio 1964 e il 23 aprile 1965 ma il matrimonio giungerà al suo epilogo nel 1970: l’artista non potrà fare a meno della libertà di movimento di cui si sente padrone, non per nulla considera la famiglia un richiamo alla realtà, un intralcio difficile da controllare. Il lavoro infatti lo trasporterà progressivamente all’interno di un mondo onirico e ciò comporterà un distacco dai figli i quali, anche se più liberi di formare autonomamente una loro personalità, sicuramente non restano indifferenti al vuoto che l’assenza del padre lascia nella loro vita10. Nel 1957 Hugo Pratt è già un autore di riferimento, un Maestro della “nona arte”, che insegna disegno presso la Escuela Panamericana de Arte (prima Escuela Norteamericana de Arte)11 in Argentina; lì alcuni suoi allievi avranno molto successo nel campo dei fumetti: è il caso di José Munoz (1942) e Walter Fahrer (1939). Lo stesso Enrique Lipszyc, fondatore della scuola, ne alimenta il mito, pubblicando nel 1954 una monografia critica illustrata su Hugo Pratt: un volume di cinquantadue pagine cartonato con sovra copertina, prima monografia al mondo dedicata ad un autore di fumetti. Tra gli eventi sudamericani del 1952 segnaliamo la collaborazione del fumettista veneziano con Héctor German Oesterheld (1917-1977), lo sceneggiatore al quale si deve lo sviluppo della storia del fumetto argentino: una striscia avente radici classiche nordamericane dal punto di vista del disegno e del modo di raccontare, ma molto più intensa e spesso politicamente schierata e magari scomoda. Non a caso, dato il successivo regime dittatoriale capeggiato da Jorge Rafael Videla Redondo (1925)12, nell’aprile del 1977, Osterheld sarà prelevato da una squadra armata e non si avranno mai più notizie di lui, come di tanti altri desaparecidos13 della dittatura argentina: Hugo sarà il testimone della scomparsa di molti suoi amici nel momento in cui si ricongiungerà, dopo quindici anni di assenza, alla sua amata Argentina. Insieme allo sceneggiatore, Pratt lavora alle storie «El Sargento Kirk» (1953-1959), «Ernie Pike» (1957-1958) e «Ti72


conderoga» (1957-1959). Kirk (fig.24a, b) è un sergente dell’esercito statunitense che, dopo aver assistito a un massacro dei pellerossa da parte dei militari, diserta per abbracciare la causa indiana finendo per essere guardato con sospetto sia dall’una che dall’altra parte. Egli non ricorre mai alla prepotenza, agli abusi o all’esibizionismo: quando combatte è per difendere qualcosa in cui crede fermamente. Il fumettista disegna un volto duro, torturato, in grado di riflettere le fatiche della vita nei deserti e nelle praterie. Tra il 1951-55 però egli lo ripulirà (senza fargli perdere la forza e l’energia che lo caratterizzano) poiché quei tratti, secondo gli editori, possono nutrire nei lettori antipatie verso il personaggio. Le storie del giornalista Ernie Pike sono ispirate a un personaggio realmente vissuto, il corrispondente di guerra Ernest Taylor Pyle (1900-1945) morto durante il conflitto ad Okinawa - la battaglia combattuta sull’omonima isola giapponese nel corso della seconda Guerra Mondiale da marzo a giugno del 1945 - e raccontano i duelli come qualcosa di assurdo, distinguendosi in tal modo dal fumetto bellico tradizionale in cui la guerra viene esaltata. Infine «Ticonderoga» è ambientata nell’America del nord del XVIII secolo al tempo dei conflitti tra francesi, inglesi e nativi americani per la conquista del territorio. Nel settembre del 1962 Hugo Pratt decide, insieme al disegnatore Walter Fahrer (1939), di abbandonare il Sud America a causa della crisi economica che, dal 1959 al 1960, colpisce i disegnatori e porta loro a razionare la carta. L’addio all’Argentina può essere associato ad un addio alle passioni che il fumettista vive nel corso del suo soggiorno lungo ben tredici anni14. Egli ritorna in Europa da uomo adulto, abbastanza maturo da abbandonare i sogni e i comportamenti legati all’infanzia. La prima meta è l’Inghilterra, dove effettua una breve permanenza (1959-1960), in corrispondenza all’offerta lavorativa propostagli dalla Fleetway Pubblications15 : lavorare al fianco dei fratelli d’Ami all’interno del «Daily Mirror»16. A Londra l’artista vive al numero 37 di Petersham Place , insegna alla Royal Academy of Water-Colour17 ed intraprende una relazione con Patricia Frawley originaria di 73


Whelling, una cittadina sita nella Virginia occidentale. Nel 1960 si documenta in merito alla storia di quella regione e proprio tali ricerche lo porteranno a pubblicare «Ticonderoga» il racconto che narra delle lotte tra Indiani e Bianchi del ‘700. Tornato in Italia, Hugo collabora con il «Corriere dei Piccoli», con cui collaborano Giancarlo Francesconi (1963) e lo sceneggiatore Mino Milani (1928). Nel 1967 lavora con Florenzo Ivaldi (1931-1995), l’editore genovese della rivista «Sgt. Kirk»18 (fig.25): il suo prezzo ammonta a 500 lire, ben 200 in più rispetto alla rivista «Linus»; sulle sue pagine vengono promossi i fumetti scritti durante il periodo argentino e, in anteprima, il racconto intitolato «La Ballata del mare salato», che vede per la prima volta la comparsa sulla scena del marinaio Corto Maltese. La rivista di Ivaldi, però, risente ben presto di uno scarso successo nel mercato, che la porterà due anni dopo al definitivo fallimento. Nel 1968, al Congresso di Lucca19, Hugo fa un fortunato incontro con due specialisti di fumetti francesi: Pierre Couperie (1930-2009) e Claude Moliterni (1932-2009). Essi a loro volta lo presentano a George Rieu (1922-1999), capo redattore di «Pif»20: il settimanale per ragazzi delle Edizioni Vaillant è ideologicamente vicino al partito comunista. Rieu propone ad Hugo di entrare a far parte della testata e gli commissiona una storia di venti tavole al mese grazie alle quali il fumettista acquisirà una certa fama; tuttavia, l’utenza prettamente giovanile limita la sua libertà di espressione che verrà sostenuta solo in seguito all’ingresso in «Linus», rivista alla quale aderisce un pubblico anagraficamente più adulto e culturalmente più stagionato. Pertanto nel 1970 il fumettista, sebbene avesse già affittato per la famiglia una casa al Lido di Venezia presso il villaggio di Malamocco, decide di trasferirsi definitivamente a Parigi in un appartamento al n. 42 di rue de Lancry, ulteriore conferma dell’abitudine di vivere laddove vengono pubblicati i suoi lavori. In Francia Hugo Pratt decide di riprendere il personaggio di Corto Maltese, apparso nella «Ballata», per farne il protagonista di tutta una serie di episodi pubblicati e divulgati nel 1971 dalle Edizioni Publicness21. Da questo 74


momento avviene la consacrazione del personaggio e il nome dell’artista veneziano sarà indissolubilmente legato a quello di Corto, del quale realizzerà oltre mille tavole. Per quattordici anni la Francia resterà il punto di riferimento principale del fumettista, che si alienerà, gradualmente, dalla realtà catapultando la sua vita all’interno di una dimensione immaginaria. In quegli anni il disegnatore effettua diversi viaggi (in Marocco, in Irlanda) ma quello più importante lo vede fare ritorno in Etiopia per un sentimental journey durante il quale auspica al ritrovamento della tomba del padre: egli prova un fortissimo debito nei suoi confronti per aver nutrito in lui l’amore verso nuove avventure e imprese romantiche22. Durante la sua vita egli, come fosse un pellegrinaggio, si mette alla ricerca di altre tombe (quella di Yeats, quella di Stevenson) proprio al fine di ritrovare le sue radici e di rendere omaggio a qualcuno che potrebbe arricchirne la formazione. Hugo ama il silenzio e la pace dei cimiteri: in quel momento, così intimo, esiste una concatenazione inevitabile e segreta tra le persone che vi sono state e quelle che verranno in futuro. Corto Maltese, in alcune avventure, mostra il medesimo atteggiamento di raccoglimento di fronte alle sepolture23, anche lui debitore verso alcune persone che con la loro vita e la loro opera contribuiscono a renderlo l’uomo che è realmente. Nel 1973 l’atmosfera politica della Francia provoca l’allontanamento di Pratt dalla testata, che si orienta apertamente a sinistra. A febbraio dello stesso anno l’artista si lega alla rivista settimanale «Tintin»24 all’interno della quale pubblica i primi episodi della serie «Gli Scorpioni del deserto»25 . Tre mesi dopo, l’editore Casterman26 prende in mano la sua carriera francofona, si lancia nella pubblicazione degli album di Corto Maltese e «La Ballata del mare salato» appare su «France Soir»27. Gli anni Settanta rappresentano un decennio di grande produttività, durante il quale Hugo Pratt diventa veramente celebre nel mondo dei fumetti e ciò fa sì che il suo lavoro venga riconosciuto anche in Italia: le storie di Corto Maltese (fig.26) infatti vengono riproposte prima sul «Corriere dei Piccoli» e dopo sul «Corriere dei Ragazzi». Sulla rivista «Li75


nus» appare per la prima volta, nel 1974, il racconto «Corte Sconta detta Arcana». Tuttavia il numero di gennaio 1974, in cui compare, ne ospita una sola tavola: un inizio in sordina. Il marinaio si trova a Venezia, ospite di Bocca Dorata, una maga, che gli parla di Cabala, gli fa le carte e gli offre un bicchierino di rosolio. Corto si addormenta leggendo l’Utopia dello scrittore inglese Tommaso Moro (1478-1535), dopo aver affermato che sarebbe bello vivere in una favola, e Bocca Dorata risponde che in realtà lui si trova davvero all’interno di una favola. Due mesi dopo, escono, nuovamente su «Linus», le successive dieci pagine della storia: il protagonista si risveglia a casa di un dotto signore cinese, a Hong Kong, il quale gli sta leggendo a sua volta la sorte attraverso l’I Ching, il Libro dei Mutamenti. Egli ha solo sognato, o pensato, a Bocca Dorata e a Venezia, e l’avventura inizia qui. Se «Una ballata del mare salato» è ancora un fumetto d’avventura classico, forse la storia più bella mai prodotta in quel genere di fumetti, «Corte Sconta detta Arcana» costituisce il momento in cui Hugo Pratt si rende conto di poter raccontare qualsiasi cosa, non importa se verosimile o meno, purché affascinante, magica, narrativamente profumata. Inoltre, la pubblicazione sul rotocalco italiano implica anche un altro tipo di pubblico, più adulto e maturo rispetto a quello dei lettori di «Pif», a cui il fumettista si era rivolto con toni differenti. In quel periodo egli non vive più con Anne e lascia l’appartamento in rue de Lancry per prendere in affitto una villa a Saint-Germain-en-Laye, in rue Lamartine. Nel 1976 l’artista si reca in Canada per tenere delle conferenze sulle guerre di frontiera svolte nel ‘700 tra Inglesi, Francesi e pellerossa e per recitare nel film erotico dal titolo La notte dell’alta marea marea (Luigi Scattini, 1977, Italia). Hugo si rivela essere un bravo attore anche quando narra con grande carisma le sue storie, e starlo ad ascoltare è sicuramente una notevole esperienza di vita. Egli partecipa alla realizzazione di altri film: Caro lei quando c’era lui (Giancarlo Santi, 1978, Italia), Blue Nude (Luigi Scattini, 1977, Italia. Un thriller in cui interpreta il ruolo di un assassino di omosessuali e pro76


stitute), e Rosso Sangue marea (Leos Carax, 1986, Francia). Negli anni Ottanta la Rai produce alcuni documentari su Hugo Pratt, raccontando dei luoghi che rispecchiano gli scenari delle sue storie a fumetti come l’Irlanda o quelle ambientate nell’America settentrionale (Canada) del diciottesimo secolo. Nel 1985 Hugo parte per la Patagonia assieme a due amici, il disegnatore Raffaele Vianello (1951) e il fotografo Carlos Saldi (1978), e lì lavora a «Tango», un’avventura di Corto Maltese ambientata appunto in Argentina, oggetto della presente tesi, sviluppato in un capitolo qui a parte. L’anno successivo le sue opere vengono messe in mostra al Grand Palais, a Parigi: è la prima volta che un autore di storie a fumetti viene accolto all’interno di un museo nazionale. Attraverso la mostra, tra l’altro, il genere viene finalmente riconosciuto a tutti gli effetti come una forma d’espressione artistica. In quegli anni Hugo, dopo la morte della madre Eveline Genero, avvenuta ne1 novembre 1986 all’età di 81 anni, decide di andare a trascorrere il “tempo della vecchiardaggine” in Svizzera a Grandvaux, vicino a Losanna, punto strategico tra la Francia e l’Italia. La Svizzera, paese di Paracelso (14931541), Carl Jung (1875-1961), Hermann Hesse (1877-1962), rappresenta di certo un luogo di cultura in cui persiste un alto tenore di vita. Lì il fumettista si distacca maggiormente dal mondo reale per irrompere all’interno di viaggi interiori e sogni dorati da percorrere insieme al suo personaggio Corto Maltese: ne è un esempio l’album «Le Elvetiche». Tale distacco tuttavia non implica un addio all’avventura che continuerà a bussare alla porta dello scrittore nel corso della sua vita. Nel 1991 Pratt diventa protagonista di molte trasmissioni alla radio e alla televisione sia in Italia che in Francia. A novembre dello stesso anno esce il primo adattamento cinematografico della sua storia a fumetti «Jesuit Joe» ad opera del regista Olivier Austen (1950). L’8 novembre del 1993 Hugo si sottopone ad un intervento di cataratta a Losanna. L’artista ama sempre di più la quiete della sua casa a Grandvaux, lontano dai luoghi mondani e si separa simbolicamente 77


anche da Venezia lasciando la casa in affitto a Malamocco. Verso la fine del 1994 iniziano i primi sintomi di un tumore all’intestino, ma riesce a completare la stesura della Ballata del mare salato sotto forma di romanzo e la storia a fumetti «Wheeling». I romanzi in prosa elaborati dal fumettista si basano sulle sue storie illustrate, proprio al fine di dimostrare il potenziale letterario e poetico del fumetto come linguaggio, missione della quale non si stancherà mai. La prosa prattiana è caratterizzata, per l’appunto, da minuziose descrizioni degli scenari naturalistici nordamericani: suggestioni che conducono il lettore a percepire quel mondo fatto di suoni, colori e odori, della natura, con la stessa sensibilità dell’autore. Essa, dunque, sottolinea diversi aspetti della vita dei coloni, le cui esistenze sono minacciate dalla presenza dei nativi: quest’ultimi appaiono legati a una concezione ecologica della vita, cioè conforme ai ritmi naturali e per questo destinati a entrare in conflitto con l’uomo bianco. I pellerossa si trovano in perfetta simbiosi con la natura. Il suo primo romanzo è Criss Kenton28 pubblicato nel 1990 dalla casa editrice Editori del Grifo29. Tale opera, i cui nuclei fondamentali della storia sono gli elementi Natura e Uomo, prende avvio rielaborando l’intreccio narrativo del fumetto «Wheeling» (1962). Il romanzo è narrato in prima persona e predilige un andamento fluido e avvolgente. Ciò purtroppo non riesce a caratterizzare al meglio la psicologia dei personaggi, che sembrano agire in maniera prevedibile all’infuori del protagonista. Criss Kenton rientra nella corrente del Bildungsroman, il romanzo di formazione in cui un giovane individuo forgia il proprio carattere attraverso varie esperienze per poi giungere alla maturità. Al suo interno sono presenti suggestioni autobiografiche: Pratt da adolescente viene mandato in Etiopia dal padre per entrare a far parte della polizia coloniale (vedi supra). Un altro romanzo è Jesuit Joe che il fumettista scrive prendendo spunto dall’omonimo fumetto del 1984 e dal fumetto «L’uomo del Grande Nord» (1981). Egli stavolta rappresenta una natura animata da tensioni inquiete e nascoste. Manca la visione rassicurante della natura viva del romanzo pre78


cedente: il paesaggio qui è cupo, dai toni crepuscolari. Pratt affronta i temi dell’emarginazione, dell’abbandono e della diversità30: il protagonista ha una psiche in bilico tra follia e lucidità, sconvolta a causa di traumi legati all’infanzia. La sintassi è complessa, ricca di salti temporali (flashback), d’introspezione psicologica e di percezioni sensoriali interrotte da veloci scene di violenza che accrescono la tensione del lettore. Joe incarna in parte il cliché del violento e dell’emarginato, però dimostra una profondità oscura da “angelo della morte”. Il romanzo è rivolto ad un pubblico maturo capace di accettare scene forti e personaggi ambigui e contraddittori. Hugo Pratt incredibilmente dimagrito, ormai assuefatto alla malattia, naviga nei vestiti, ma riesce sempre a ironizzare: trascorre giorno e notte a guardare la televisione in compagnia così da avere la possibilità di commentare quello che vede, tranne quando sullo schermo compare lui: in quel caso vuole essere protagonista e pretende silenzio assoluto per tutta la durata dell’intervento. Egli muore alle 17 del 20 agosto 1995, a Losanna. La cerimonia funebre ha luogo nella basilica di Notre Dame du Valentin. Sulla sua sepoltura sita a Grandvaux, nel piccolo cimitero sulle colline che dominano il lago Lemano, appare un’epigrafe, ineccepibile sintesi della vita del geniale fumettista veneziano: «O anima mia, non cercare la vita immortale, ma esplora tutti i campi del possibile». L’amico Renato Genovese lo immagina davanti alla porta del Paradiso dei grandi fumettisti, immobile e in attesa del suo turno. Sebbene il lavoro di Hugo all’inizio fosse stato reputato pleonastico, tanto da accusarlo di ebefrenia31, oggi grazie alla corposa mole di lavoro svolta nell’arco di quarant’anni l’artista gode di una straordinaria reputazione e continua a vivere oltre la morte attraverso l’animo, il carattere e il sorriso di Corto Maltese, personaggio che affida in eredità alla cultura italiana come simbolo autentico d’avventura. In un’intervista a Vincenzo Mollica (1953) Hugo Pratt parla personalmente del suo rapporto con Corto: 79


Non sono ancora arrivato al punto di avere un rapporto di odio e amore con lui; è un rapporto di grande cordialità e di simpatia. Io mi trovo obbligato a stare sempre con Corto Maltese, perché dovunque vado c’è lui e ormai non posso far altro che disegnare questo personaggio32.

Hugo Pratt, dal punto di vista estetico, non ha la statura longilinea del suo personaggio, ma guardandolo meglio la sua andatura è tipica di un marinaio (cammina dondolandosi sulle gambe) e di profilo la linea del naso, il taglio della bocca, sembrano appartenere a Corto, quello magico delle ultime storie; per di più il carattere scanzonato, lo spirito avventuriero del marinaio è quello di Hugo il quale cerca se stesso con la matita mentre insegue alcuni sogni errabondi. Il fumettista e collega Milo Manara sostiene: «i personaggi dei fumetti, forse per il narcisismo insito nei loro autori, quando non fanno riferimento a qualche divo del cinema, rispecchiano le fattezze dei loro creatori»33. Corto Maltese in tal senso concretizza il sogno che ogni artista insegue da sempre: trasferire la propria immagine in un’altra più significativa e di conseguenza meno precaria. Fin dall’inizio della sua carriera artistica Hugo Pratt possiede una concezione del fumetto piuttosto innovativa rispetto a quella espressa dalla tradizione. Quest’ultima riconosce il genere esclusivamente come un mezzo idoneo a facilitare la lettura di una storia a un pubblico illetterato. Si dovranno attendere gli anni Sessanta e il contributo dello scrittore Umberto Eco (1932) affinché prenda avvio una rivalutazione del fumetto come linguaggio: costui analizza, nel libro Apocalittici e integrati34, vignetta per vignetta una tavola domenicale di Milton Caniff (1907-1988) e il suo personaggio Steve Canyon. Hugo Pratt durante il suo cammino professionale s’impegna a nobilitare il linguaggio del fumetto mettendone in risalto i diversi codici interpretativi: in tal modo egli arriva a “raccontare” attraverso le immagini le sue storie a fumetti che vengono battezzate col termine graphic novel in quanto possono figurare aggiunte tipiche della narrazione romanzesca come le 80


digressioni e gli incisi. Da quel momento il fumetto cambia pelle e il fumettista conia la definizione di “letteratura disegnata”35 al fine di dimostrare all’opinione pubblica che non esiste alcuna differenza tra l’autore di fumetti e il romanziere. «Cortomaltese» è un fumetto relativamente popolare. La sua complessità costruttiva dovrebbe destinarlo a una fruizione elitaria. Di fatto, invece, esso possiede una fluida scorrevolezza narrativa che lo rende alla portata di tutti. Tale leggibilità testimonia una duplice chiave di lettura: da una parte vi è un livello epidermico, della storia raccontata, che corrisponde a quello dei lettori meno acculturati; dall’altra esiste una natura specifica di tali avventure che coincide con la realtà storica e quotidiana espressa mediante una sottile ironia. Hugo Pratt infatti impianta la storia del suo personaggio all’interno dei primi due decenni del Novecento non a caso in corrispondenza della fine di un’epoca: quella del Romanticismo. In quel periodo cambiano gli imperi centrali, iniziano le prime rivoluzioni e il fumettista vuole che il suo marinaio rappresenti un testimone oculare degli avvenimenti considerando il fatto che la comunicazione avviene ancora via terra. Corto tuttavia possiede un’anima capace di perdersi tra realtà e fantasia, tipica caratteristica del mondo celtico al quale attinge il suo creatore. Nel fumetto sono molto frequenti le scene mute, tranne qualche monosillabo o onomatopea: tecnica che Pratt utilizza sovente nei momenti drammatici. A tal proposito l’influenza del cinema è determinante, in quanto egli elabora le sue storie preoccupandosi, più d’altri, della relazione esistente tra una vignetta e l’altra36, specie nel bel mezzo di silenzi narrativi di notevole cinematograficità. Il fumettista controlla il tempo di azione e impiega ogni vignetta allo stesso modo in cui un’immagine filmica s’inserisce dentro una sequenza ben precisa: ogni vignetta, infatti, corrisponde esattamente a una serie di scene uguali a quelle che potrebbero essere proiettate sullo schermo, col medesimo punto di vista, le stesse dimensioni del “campo” di ripresa, eguali giochi di luci e ombre. In quei momenti scatta un meccanismo d’identificazione in base al quale Corto Maltese diventa proprietà personale del lettore. A influenzare 81


Hugo Pratt nell’utilizzo della “macchina da presa” e nella ricerca delle inquadrature, nonché nell’impiegare un tratto svelto nei disegni (egli utilizza neri delicati, puntini, e sottili tratti per ombre di superfici piatte, capelli o peli) dai temi esotici e fantastici è l’americano Milton Caniff («Terry e i pirati» dal 1934, «Steve Canyon» dal 1947). Hugo non fa mai mistero del debito che, nello stile, porta nei confronti del maestro statunitense; al contrario raccomanderà sempre di non guardare solo il suo lavoro ma di partire dai maestri da cui lui stesso attinse. Tale contiguità è messa in luce dallo scrittore bolognese Antonio Faeti (1939) in occasione di una mostra dedicata a Pratt e alla sua creatura. Egli sottolinea l’assoluta inscindibilità del segno grafico dell’artista dall’andamento della trama e definisce il tutto «un incrocio di segni e di parole la cui alchemica combinazione sorprende per l’ottima fusione avvenuta»37. Faeti indica altresì un altro punto di riferimento di grande attrattiva per Hugo: la scuola americana. Il disegnatore possiede un tratto di china inconfondibile e un segno parsimonioso che lo conduce ad un percorso di ascesi personale. Nei fumetti di Hugo Pratt le inquadrature, inoltre, sono all’altezza dell’occhio umano, metodo professato financo dal regista Federico Fellini (1920-1993), in modo da bandire ogni virtuosismo (a parte le prime storie argentine e qualche altra eccezione). Hugo Pratt possiede una capacità inventiva e istrionica fuori dal normale e crea le sue storie sulla base di un’idea alla quale non appone barriere affinché esse possano subire alterazioni di ogni tipo durante la loro elaborazione: l’importante, afferma l’autore, è disporre apriori di un buon finale38. Il fumettista bagna un foglio di carta e con grande velocità, in quel gioco d’acqua, esegue lo schizzo a matita direttamente sulla striscia definitiva, usando i colori come se dovessero risvegliare figure misteriose assolutamente anticonvenzionali; sopra di esso disegna la matita più precisa e alla fine inchiostra mediante l’utilizzo di pennini di vario tipo. Pratt, al contrario del collega Guido Crepax, che sostiene l’importanza della perfezione dell’originale, pone l’attenzione sul disegno che va in stampa: non esiste alcun storyboard che parli del 82


processo creativo del fumettista veneziano. Tale metodologia, di retaggio americano, attesta l’economia del suo lavoro e verrà riproposta successivamente dai suoi allievi/fumettisti argentini Alberto Breccia (1919-1993) e José Munoz (1942). Le matrici grafiche più lontane del fumettista possono invece essere carpite da alcuni quadri di pittori veneziani: nelle acqueforti (fig.27) di Canaletto (1697-1768) e di Bernardo Bellotto (1721-1780) notiamo dei soggetti (marinai in attesa d’imbarco, facchini che si riposano, orientali che chiacchierano, vagabondi) i cui corpi appaiono mezzi in luce e mezzi in ombra, con una lama luminosa che li taglia in due ed evidenzia un naso o un braccio, la punta di un piede, una mano, o soltanto la pipa. Tale distacco tra l’ombra e la luce del contorno, lo spiazzamento tra linea di profilo e pieno (tra massa nera e contorno argenteo) è la firma inconfondibile di Hugo Pratt: sono linee appena accennate e subito interrotte. Dal punto di vista narrativo la complessa decifrazione dei racconti di Hugo Pratt deriva dal fatto che il fumettista suole coniugare l’aspetto storico-geografico a quello biografico di cui fanno parte il linguaggio letterario combinato con quello esoterico-mitologico. L’artista ha una geografia molto chiara in testa e mediante le strisce e le nuvole parlanti la esplora considerando l’intera mappa dei mari lungi dai mezzi di comunicazione futuristici alla maniera del grande viaggiatore Marco Polo (1254-1324). Il bisogno di viaggiare deriva dall’educazione romantica trasmessagli dalla famiglia: spesso parte all’improvviso, senza avvertire nemmeno gli amici più cari. La ricerca di un altrove per Hugo, implica la volontà di scoprire, per vie inedite e da mutevoli punti d’osservazione, le segrete analogie tra i mondi reali e quelli immaginari. Tale volontà è alimentata dal vastissimo panorama di sensazioni, d’immagini e cognizioni che l’artista trae, in presa diretta o per vie letterarie, da vari contesti culturali etnici e geografici. Le mete esistono già nella sua mente - esperto nel pianificare perfettamente ogni itinerario - e possiedono sempre dei riferimenti al mondo letterario e fantastico. Durante i suoi pellegrinaggi, racconta la collaboratrice 83


Patrizia Zanotti, tiene sempre in tasca una scatola d’acquerelli per fissare i colori del mondo e una matita per appuntare qualche parola39. Ma il valore della narrazione prattiana, più che nella commistione tra realtà storica e avventura, in fin dei conti ripetitiva, risiede soprattutto nell’atteggiamento che egli assume nei confronti dell’azione. L’artista infatti non prende le parti di nessuno, si mantiene in una posizione sfumata e ambigua: mostra una situazione lasciando esclusivamente al lettore la riflessione sui risvolti degli avvenimenti, senza voler dimostrare la validità di una posizione rispetto a un’altra. All’interno della saga di «Cortomaltese» si evincono le esperienze personali dell’autore e molteplici suggestioni di stampo letterario che si allungano come fili ben oltre le pagine e ampliano le storie in un modo del tutto originale. Per tale ragione il fumettista appartiene a pieno titolo alla cultura in senso stretto. Corto fa parte del mondo romantico al quale aderiscono gli eroi di alcuni tra i patriarchi del fumetto, nei confronti dei quali Hugo Pratt ha un debito culturale. Egli infatti può considerarsi l’epigono dei “poeti del mare”40: Herman Melville (1819-1891) Robert Louis Stevenson (1850-1894), Joseph Conrad (1857-1924), Jack London (1876-1916) e Rudyard Kipling (1865-1936). Melville influenza il fumettista già a partire dalle sue opere giovanili, come Mardi e Typee e Omoo41, ambientate fra le isole del Pacifico. Omaggi allo scrittore newyorkese sono presenti all’interno de «La Ballata del mare salato» (Cain racconta a Tarao la trama del romanzo d’avventura Moby Dick). Hugo ossequia altresì il Robinson Crusoe dello scrittore inglese Daniel Defoe (1660-1731), quando Cain chiama Tarao “Venerdì” come il personaggio del romanzo, e la Medea di Euripide (485 a.C.-407 a.C.) quando Cain cita la nave di Argo e Giasone che piange Medea. «La Ballata del mare salato», ricavata dall’opera letteraria La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, inizia con l’immagine di Corto Maltese disteso su una zattera abbandonata alla deriva, accecato dal sole e in balìa delle onde dell’oceano Pacifico, che gli risparmia la vita forse soltanto perché possa continuare a viaggiare alla scoperta di 84


nuovi mondi42. Il Pacifico è un simbolo lontano, un magico universo marino nel quale la fantasia di Pratt ama perdersi e navigare a vele libere, senza uno schema prefissato, ma solo sulla scia del vento unita al ricordo letterario degli scrittori ai quali è profondamente legato. Subito dopo l’entrata in scena del marinaio, inizia una vicenda intricata e affascinante di corsari e di guerra marina, di inglesi e di tedeschi, di maori e di polinesiani, fatta di passioni e colpi di scena ma soprattutto dell’enormità del mare in cui si svolgono tutte queste vicende. «Quando si finisce di leggere questo racconto resta in bocca un sapore prodigioso d’avventura, di favola, di luoghi meravigliosi, di vite che vale la pena vivere anche solo per poter essere stati in situazioni così»43. Oggi, a distanza di più di quarant’anni, non è cambiata l’emozione in cui il lettore viene gettato sin dalle prime pagine de «La Ballata del mare salato», primo passo verso il futuro magico minimalismo di Pratt. Le pagine del racconto si presentano più bianche che nere ma il disegno è ancora incerto e il marinaio non ha i tratti essenziali e definiti propri delle ultime storie, dove addirittura ringiovanirà e si angelicherà perdendo i segni di una vita non integerrima. Corto, oggi inconfondibile, all’epoca della «Ballata», infatti, è ignaro della propria biografia, incerto della propria psicologia e del suo volto: Hugo Pratt abbozza il suo personaggio vignetta dopo vignetta, man mano che la storia procede, da pochi tratti essenziali a un infittirsi di rughe interrogative. Per tale ragione questo racconto rimane nella mente dei suoi primi lettori come un evento, il modello di un nuovo modo di far letteratura attraverso il fumetto. Nel 1974 esce «Corte sconta detta Arcana», altro romanzo a fumetti di Pratt in cui non mancano espliciti riferimenti letterari tra cui quelli rivolti a Dante Alighieri (1265-1321) e a Marco Polo. Il fumettista è al vertice delle sue competenze; in una concezione americana o giapponese, a differenza di altri autori egli si avvale della collaborazione di altri disegnatori (Guido Fuga e Lele Vianello). Robert Louis Stevenson rappresenta un altro dei maestri dell’artista. Grazie all’influenza di libri e raccolte di poesie 85


come A Child’s Garden of verses (Longmans Green, London 1885, trad. it.: Il Giardino dei versi di un fanciullo, Mondadori, Italia 1987), le mani di Hugo iniziano a disegnare in modo diverso, come fossero separate dal cervello, conferendo spessore poetico all’intreccio avventuroso. Stevenson ne L’isola del tesoro44, Il ragazzo rapito45 e Ebb-Tide 46 mostra come restituire una dimensione poetica a un racconto d’avventura e influenza la tecnica narrativa dell’artista veneziano nello stesso modo in cui Milton Caniff, con la sua storia a fumetti «Terry e i Pirati», ne ispira il segno grafico. Nel fumetto Pratt utilizza come epiteto per i pirati lo stesso che adopera Stevenson: “gentiluomini di fortuna”. Un altro fattore che li accomuna è l’abitudine d’inserire carte geografiche all’interno delle proprie opere per il loro valore poetico. Lo scrittore inglese, di origine polacca, Conrad è presente per l’affine realismo visionario, seppur diluito nel sogno, con cui l’artista descrive scene e ambientazioni: esse non sono mai pittoresche ma complesse rappresentazioni volte ad avvolgere il lettore, accompagnate da un approfondimento psicologico dei personaggi. La vivace e feconda narrativa di Hugo Pratt dà vita a una miriade di personaggi così complessi che non sarebbe bastata l’intera sua vita a raccontarne le storie. Non a caso, all’indomani della morte dell’autore, esse s’interrompono per sfumare nel sogno e nella leggenda. L’aspetto esteriore di Corto Maltese riecheggia il personaggio di Conrad, Lord Jim47, che presenta una corporatura possente, le spalle leggermente arcuate e uno sguardo fisso da sotto in su che fa pensare a un toro alla carica. Il suo destino però è quello di subire una sconfitta e tale caratteristica, che non appartiene al marinaio, lo avvicina preferibilmente ad un altro personaggio della «Ballata del mare salato»: il tenente Slutter. Egli viene condannato a morte da un tribunale militare britannico dopo aver fatto esplodere una nave nemica. Hugo Pratt come Conrad possiede la predisposizione ad osservare, conoscere, capire, studiare i caratteri delle persone al fine di riprodurli all’interno delle proprie opere. Il suo modo di narrare, sciolto e coinvolgente, invece, è segno di suggestioni scaturite dall’influenza dello scrittore 86


Jack London e di opere della letteratura popolare come Il lupo e il mare48 e I racconti dei mari del sud49 in cui vengono favoleggiati rapimenti e fughe su isole deserte. Ad lui rende omaggio prima in «Ernie Pike» poi in «Corto sempre un po’ più in là». Nel 1972-73 Hugo ambienta «Le Etiopiche», un ciclo delle avventure di Corto Maltese ambientato tra la penisola arabica e il Corno d’Africa. Tra le altre influenze letterarie emerge quella dello scrittore inglese Kipling nel momento in cui appaiono fortini e truppe britanniche. Ulteriore eco dell’opera dell’autore britannico risuona nel romanzo a fumetti «La casa dorata di Samarcanda», dove Corto cita l’espressione “grande gioco” usata da Kipling in Kim50 per definire le trame diplomatiche che sottendono i confini bellici. Con «La casa dorata di Samarcanda» Hugo Pratt torna al racconto lungo in cui la storia, la geografia e il dato antropologico si mescolano. Lì vige la questione del “doppio”, tema tipicamente letterario presente anche ne Il sosia51 di Fedor Dostoevskij (1821-1881) e in William Wilson52 di Edgar Allan Poe (1809-1849): un tema che si lega al folklore nordico, dove il Doppelganger (in tedesco “il doppio che passa”) è considerato come una figura negativa, un presagio di morte: i Doppelganger non hanno ombra e non si riflettono negli specchi o nell’acqua; incontrarli equivale ad essere perseguitati per sempre da immagini della propria controparte spettrale53. Del ciclo «Le Etiopiche» fa parte il racconto Ultimo Colpo: all’inizio della storia il capitano Bradt legge alcuni versi delle poesie Le bateau ivre e Ma Bohème dello scrittore francese Jean Nicolas Arthur Rimbaud (1854-1891). Il suo stile di vita lascia sicuramente un’impronta nella formazione di Pratt (a vent’anni smette di scrivere poesie e inizia una vita avventurosa che lo conduce ad organizzare un traffico d’armi in Etiopia). Hugo Pratt per la creazione dei suoi racconti attinge a tante altre fonti: Jorge Luis Borges (1899-1986), William Butler Yeats (1865-1939), Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), Chrètien de Troyes (1135-prima del 1190), James Oliver Curwood (1878-1927), Zane Grey (1872-1939), William Shakespeare (1584-1616), Henry Rider Haggard (1856-1925), 87


Rainer Maria Rilke (1875-1926), Émile Zola (1840-1902), Ernest Miller Hemingway (1899-1961), William Somerset Maugham (1874-1965) ed altri ancora. In Sud America l’artista scopre la letteratura dell’argentino Jorge Luis Borges, con il quale ha in comune la tendenza a combinare verità e mistificazioni, personaggi reali e fittizi: la sua influenza si evince nell’avventura dal titolo «Tango»54, che è oggetto particolare del presente studio e di cui si dirà dettagliatamente più avanti. Dell’irlandese Yeats lo scrittore predilige la poesia intitolata The Lake Isle Of Innisfree e i suoi scritti sull’esoterismo, il Rosacrocismo55, l’ attività in seno al gruppo occultista “Golden Dawn” e il libro Rosa Alchemica56. L’atmosfera del racconto Concerto in ò minore svela l’amore di Pratt per i toni magici e incantati delle poesie dello scrittore al quale è molto legato tanto da recarsi in Irlanda, suo paese d’origine, per visitare la tomba e i luoghi cantati che fanno da sfondo alle sue poesie. Le atmosfere incantate del romanzo a fumetti «Le Elvetiche - Rosa alchemica», realizzato nel 1987 e ambientato in Svizzera, portano all’opera di Yeats: entrambi alludono ai saperi di tipo alchemico ed esoterico, in particolare il rosa di Thuringia, il colore che, secondo le teorie degli alchimisti, si ottiene dalla creazione della pietra filosofale. Simbolo di un peculiare modo di pensare e di ricercare, chiave di passaggio iniziatico verso un mondo occulto e segreto57. L’inglese Coleridge, poeta romantico, si ricorda ne «La Ballata del mare salato» e in «Corte Sconta detta Arcana», quando Corto Maltese continua ad alta voce la poesia The Rime of The Ancient Mariner: essa narra di una maledizione che colpisce un marinaio reo di aver ucciso un albatros. Grazie al poeta francese medievale Chr-ètien de Troyes Hugo conosce il ciclo arturiano ed entra nel mondo dei Cavalieri della Tavola Rotonda e del mito del Santo Graal: è uno tra gli scrittori che lo fa più sognare. Durante la guerra, l’artista legge libri di James Oliver Curwood come Kazan58, che hanno spesso come sfondo il Grande Nord: qualcosa di suo si ritrova all’interno del racconto Jesuit Joe. Hugo s’interessa anche alla letteratura di Zane Grey, uno dei maestri del ro88


manzo di avventura (Betty Zane59, The Spirit of the Border60, The Last Trail61), per le guerre di frontiera nord-americane del diciottesimo secolo. Egli ha il culto del self-made man, di colui che non solo non deve nulla a nessuno ma che va anche contro i valori ricevuti. L’artista adora le commedie di William Shakespeare come Sogno di una notte di mezza estate62 dal quale prende spunto per gli intrighi nati da situazioni storiche: Sogno di un mattino di mezzo inverno ne è il palese riferimento. Pratt cita Henry Rider Haggard, autore di due grandi cicli romanzeschi: quello dedicato alle avventure di Allan Quatermain e quello di Colei-che-doveva-essere-obbedita, dove colei è Ayesha, la donna eterna. Lo scrittore menziona molti autori di lingua inglese perché il romanzo d’avventura è soprattutto di matrice anglosassone il che fa riferimento al culto dell’eroe solitario. Nel racconto prattiano La Laguna dei bei sogni affiora una visione della morte che conduce al poeta Rainer Maria Rilke, in particolare alle opere Il canto d’amore e morte dell’alfiere Christopher Rilke, Il libro delle immagini e I quaderni di Malte Laurids Brigge. Un omaggio allo scrittore francese Emile Zola, invece, è presente in Vudù per il presidente. Importante scrittore da accostare al racconto «Le Celtiche» è il romanziere americano Ernest Hemingway e le opere: Il Vecchio e il mare e I Quarantanove racconti. La maniera in cui Pratt descrive le vicende belliche attinge ad Hemingway: è un’analogia che riguarda solo l’ambientazione e non influisce sullo stile letterario di Pratt ricco di suggestioni e per questo lontano dal realismo imbastito da Hemingway. Nel fumetto Tutto ricominciò con un’estate indiana riemerge l’eco rispettivamente dell’opera La Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne (1804-1864) e dello scrittore americano James Oliver Curwood, per quel che riguarda la scelta del grande Nord come ambientazione. Della letteratura italiana, invece, Hugo legge Italo Calvino (1923-1985), Dino Buzzati Traverso (1906-172), Leonardo Sciascia (1921-1989) e dato che in famiglia l’arte è qualcosa d’importante, può considerarsi anche figlio di vari pittori e illustratori. E’ importante ricordare che lo scrittore veneziano 89


riconosce le sue fonti ispiratrici ma sviluppa e modella storie sempre obbedendo ad uno stile prettamente personale. Le citazioni da grandi autori, tranne quelle più esplicite, tuttavia, sono comprensibili solo dal lettore culturalmente maturo. Oltre alle influenze letterarie la magia è una componente primaria in tutta la saga di «Cortomaltese». Nel racconto L’angelo alla finestra d’Oriente ad esempio - appartenente al ciclo «Le Celtiche» - si carpiscono tracce di esoterismo e Pratt rende omaggio al golem, una sorta di automa dalle sembianze umane che prende vita, con riferimento al libro omonimo dell’autore anglosassone Gustav Meyrink (1868-1932). A tal proposito la nonna gli narra diversi miti ebraici. Uno tra tutti, quello di Caino in cui ella pone l’accento non sul delitto che costui compie, come riporta la versione ufficiale dell’Antico Testamento63, ma sulla ribellione verso Dio responsabile di aver cacciato l’Uomo dal Paradiso: Caino da questo punto di vista appare come un buon figlio che lotta per restituire il Paradiso alla madre Eva. Hugo fa riferimento a tale mito nel libro Un’estate indiana e lo adopera ne «Le Etiopiche» e soprattutto ne L’Uomo della Somalia. Nella letteratura mistica ebraica la moglie di Abramo non è Eva ma Lilith. Ella si rifiuta di essere la serva di Adamo e fugge dal Paradiso per stabilirsi lungo le rive del Mar Rosso dove Dio le manda, invano, tre angeli perché la convincano a ritornare. Lilith diviene regina dei demoni al fianco di Satana Samael. Costui le fa perdere l’innocenza e l’immortalità dopo aver assaggiato i frutti dell’albero della conoscenza. Per tale ragione Lilith/ Eva è il ritratto della curiosità: una delle caratteristiche della specie umana64 che il disegnatore, in particolare, eredita dalla madre. Tale aspetto caratteriale è cagione del suo distacco da qualunque tipo di assioma che implichi un atteggiamento censorio ed ecclesiastico. Di conseguenza il fumettista possiede un credo profano, laico e non s’interroga su Dio ma sulla natura umana. Da qui nasce il suo amore per i miti attraverso i quali gli uomini possono intravedere la Verità che i depositari del dogma assoluto rifiutano come fosse un’eresia: «la religione di Hugo è dunque la ricerca»65. Egli è consapevole 90


di non poter mai riuscire a cogliere la realtà assoluta e perciò nei suoi racconti lascia che il verosimile si nutra di Verità. Lo scrittore riscontra tracce appartenenti al mondo esoterico66 in ogni luogo ma ciò non fa di lui un mistico bensì un pragmatico: nutre interesse per le interpretazioni scientifiche ma quando la scienza resta muta di fronte a certi quesiti scava nei meandri della filosofia, della poesia o dell’intuizione al fine di trovare le risposte che gli occorrono. Hugo quindi crede nell’esistenza di un mondo latente oltre a quello reale, perché in fondo quando l’uomo ha paura cerca di ritornare indietro nel passato, verso valori antichi legati proprio ai grandi miti. L’obiettivo delle pratiche esoteriche è dunque il desiderio di vivere meglio con gli altri e ciò si traduce nella ricerca di un potere su di loro e su noi stessi. Nonostante ciò i sentieri scelti per giungervi sono molteplici e variano a seconda della personalità di un individuo. L’unica strada alla quale Hugo si oppone è quella che può ledere gli esseri umani. «Mu», l’ultima grande avventura del marinaio, si considera quasi come il testamento spirituale dell’artista veneziano: lì egli conduce il marinaio verso un’avventura sempre più eterea, al di là del tempo e dello spazio, con l’intento di trasformare il personaggio in un simbolo distaccato dalle cose terrene. Tale sensazione ritorna anche nello stile del disegno: un segno rapido e quasi essenziale, lontano da quello più tradizionale e corposo di venticinque anni prima, quando ha inizio la saga di «Cortomaltese». Il tratto grafico di Pratt inizia a semplificarsi, a farsi essenziale, già nel racconto «Corte sconta detta arcana», abbandonando la precisione realistica classica a favore di una linea che dovrà, il più possibile, dire tutto con un tratto solo: il fumettista inizia a servirsi delle ombre per dare volume e utilizza il pennarello (gli Staedtler da acetato), sintetico e veloce. Il suo obiettivo è quello di mettere in risalto la parola scritta67. Egli si allontanerà, dunque, dagli orpelli e da ogni eccesso di dettagli al fine di spogliare sempre più l’immagine: l’essenza di tale stilizzazione consisterà nel ridurre personaggi ed oggetti alle forme geometriche più elementari: linee semplici che non deformano la figura, anzi, la mantengono entro limiti 91


naturali defalcando il superfluo68. Per tale ragione negli ultimi anni della sua vita Hugo Pratt riceve l’accusa di “disegnare alla svelta”, quasi con una certa distrazione, magari perfino con superficialità. In realtà l’urgenza di un bel disegno appare come una specie d’intrigante perdita di tempo, di fronte alla premura di raggiungere un notevole traguardo narrativo69. Corto Maltese, continua a soddisfare le esigenze di un pubblico internazionale assai ampio e ad accattivarsi grazie al suo indiscutibile carisma le simpatie degli appassionati.

92


1. Gli ebrei sefarditi sono una delle grandi tribù del popolo ebraico: essi provengono in ultima istanza dalla Spagna (Sepharad, ma sono stanziali tra medioevo e prima età moderna anche nel Maghreb, in Sicilia e nel vicino oriente) dove elaborano la lingua ladina (uno spagnolo popolare), allacciando stretti rapporti col mondo musulmano. In particolare i sefarditi sono gli ebrei che abitano la penisola iberica sino al XV secolo (1492), e si distinguono da quelli residenti in Germania e nelle altre regioni dell’Europa centrale e orientale indicati con il nome di ashkenaziti (gruppo che si distingue per tradizioni liturgiche e rituali, usi e lingua). I gruppi più consistenti di Sefarditi vivono in Israele, Europa (Francia soprattutto) e in America. Gli ebrei sefarditi riuniscono elementi tradizionali raccolti lungo le loro peregrinazioni. I testi sefarditi antichi risalgono alla Spagna medioevale e il repertorio si compone di ballate, di canzoni che illustrano il ciclo della vita, di brani religiosi ma anche di testi pieni di allegria e di ironia. Quella ebraica spagnola è una comunità molto prospera e dopo la dura parentesi visigotica essa può operare fruttuosamente per numerosi secoli grazie alle sostanzialmente favorevoli condizioni di vita garantite dai musulmani che conquistano il paese iberico ai primi dell’VIII secolo. L’intesa fra ebrei e musulmani in al-Andalus fa parlare di “complicità” agli occhi dei cristiani che, sovente, colpevolizzano gli ebrei di aver favorito la conquista islamica per odio nei confronti dei loro persecutori visigoti. Dopo la riconquista iberica, conclusasi nel 1492, gli ebrei vengono espulsi per opera dei cattolicissimi Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona, dal neonato stato spagnolo e dai territori ad esso soggetti (quale la Sicilia), disperdendosi in Italia, nei Balcani, e in tutto il bacino del Mediterraneo, venendo accolti dalle comunità ebraiche ivi già residenti, in particolare nel Maghreb e nell’Impero Ottomano, grazie alla politica tollerante attuata da governanti musulmani. I rabbini scagliano un grave anatema contro la Spagna, secondo cui, dopo quattro secoli (in realtà 450 anni) una terribile minaccia fratricida sarebbe gravata sugli spagnoli. Secondo tale previsione, la guerra civile spagnola con la dittatura franchista andrebbe letta come la realizzazione di tale maledizione. Sarà proprio Francisco Franco a revocare l’Editto di Granada che sancì l’espulsione degli ebrei nel 1492, rimasto in vigore per mezzo millennio. La grande immigrazione degli ebrei sefarditi nel neonato stato di Israele si manifesta principalmente dal 1948, in seguito alla cosiddetta guerra d’indipendenza israeliana, a causa delle crescenti tensioni nei territori musulmani provocati dal conflitto arabo-israeliano. L’ingresso dei sefarditi in Israele, allora 93


prevalentemente meta d’immigrazione di ebrei aschenaziti, provoca lo sviluppo del bipolarismo israeliano costituito dalla sinistra laburista e azkenazita e dalla destra sefardita. Con l’espulsione in massa dei sefarditi dalla penisola iberica, sorge il problema dell’accoglienza da parte dei fratelli appartenenti alla stessa religione e del confronto tra le varie realtà ebraiche. Joseph Roth asserisce che, seppure può esser capitato che un sefardita abbia sposato un’askenazita, mai e poi mai si vedrà un sefardita a fianco di un ebreo dell’Europa orientale. Questo sta a significare quanto le differenze tra questi gruppi siano marcate. Diversamente accade nei riguardi dei mizrahi vicino-orientali, assai prossimi sotto il profilo culturale. Per tale motivo sefarditi e mizrachi sono stati a lungo confusi. Ancora adesso, la parola sefardí indica anche gli ebrei dei paesi del Vicino Oriente, in particolare di Yemen, Iraq e Iran. In Grecia le comunità sefardite ospiti furono dette Romaniote, di più antiche tradizioni. Ma l’orgoglio sefardita porta i primi a fondersi con i sopravvenuti, che acquisiranno grazie a loro la parlata greco-ebraica. V.: http://www.treccani.it. 2. Pratt afferma: «sono un disegnatore, dunque il mio mondo è fatto d’immagini, immagini che ho visto o che si sono formate nella mia fantasia dopo aver letto o ascoltato un racconto, una descrizione, una sensazione». Marchese 2006, p. 8. 3. «Un funzionario guadagnava tre volte di più in Etiopia che in Italia». Pratt c) 1996, p. 32. 4. La divisa americana aveva i bottoni del taschino all’altezza di quelli dell’abbottonatura al centro della giacca, i bottoni degli inglesi invece non coincidevano. Scarpa 2012, op. cit., p.160. 5. Corto Maltese ne Le Etiopiche afferma: «Esiste un solo, unico colpevole, il più odioso di tutti: la guerra». Pratt 2006. 6. V.: http://www.cortomaltese.info 7. L’Editorial Abril è una casa editrice brasiliana con sede a São Paulo, facente parte del Grupo Abril. Essa è stata fondata nel 1950 da Victor Civita ed è diventata uno dei maggiori gruppi di comunicazione dell’America Latina. Tra le riviste pubblicate ci sono «Veja», «Nova Magazine», «Placar», «Estilo de Vida» (InStyle), «Claudia», «Boa Forma, Manequim», «Exame» e «Playboy». L’Abril è attiva anche in campo fumettistico: ha pubblicato infatti materiale Disney, DC, Image e Marvel. Nel maggio 2006 il 30% dell’azienda è stata acquistata da Naspers. V.: http://www.wikipedia.org. 8. Di ben altro genere sono i viaggiatori sui bastimenti di emigrantes italiani che attraccano continuamente in quegli anni a Buenos Aires: uomini cupi, provenienti da un paese distrutto e impoverito dalla 94


Grande Guerra, che partono alla ricerca di un lavoro verso i paesi più floridi. 9. «Andavo nei locali di tango perché trovavo quell’ “elemento donna” che m’interessava. Queste donne avevano dei nomi tipici: si chiamavano quasi sempre “Parda” che sta per pantera; erano ragazze con la pelle scura, con dentro sangue indio, spagnolo, calabrese, meridionale, arabo ... Erano belle perché avevano occhi sempre “intenzionati”, pieni di sottintesi e di malizia, con le ciglia che facevano ombra, occhi che sembravano carboni vellutati o, se vuoi, maioliche. Erano occhi come quelli dei negri, ma più ardenti perché erano il frutto dell’unione di più razze.» Scarpa 2012, op. cit., p. 34. 10. L’unico periodo in cui Silvina inizierà ad avvicinarsi all’universo del padre è quello durante il quale ella già adulta è avviata nella professione di scrittrice si cimenterà nel parafrasare i testi del padre: nella fattispecie lavora alla traduzione di «Wheeling», «Mu», «La macumba del gringo», «A Ovest dell’Eden», «La giovinezza di Corto Maltese», «Favola di Venezia», «Saint-Exupéry». 11. L’EPA nasce nel 1955. L’antecedente immediato che guida la creazione della scuola è la pubblicazione del libro Il Disegno attraverso il temperamento di 150 artisti di fama, del 1953. A cura di Enrique Lipszyc, il manuale offre un catalogo dettagliato di tecniche per illustrare storie in modo da poter ottenere una carriera come fumettista. Egli, piccolo di statura ma grande talento, è in grado d’intravedere la necessità di arricchire gli amanti del fumetto con la conoscenza di altri insegnanti che rendono popolare il motto di: “12 artisti famosi”. Lipszyc si avvale della collaborazione di Hugo Pratt, Alberto Breccia, Tito Menna, Enrique Vieytes, Pablo Pereyra, Rodolfo Claro, Joaquin Albistur, Joao Mottini, Carlos Roume, Narciso Bayon, Angel Luis, Carlos Dominguez e Freixas. Per i giovani artisti era un vantaggio comparativo essere educati in prestigiose accademie di disegno. Nell’ EPA gli allievi sono particolarmente incoraggiati a guadagnare soldi dal disegno, ma non si trascura l’importanza del disegno come arte. Il professionista e l’artista convivono senza conflitto apparente e ciò che ha valore è l’applicazione piuttosto che il talento. Il raggiungimento di un lavoro come paroliere, sceneggiatore, illustratore o un qualsiasi dei mestieri offerti dà l’idea di carriere promettenti. La professione è una “via d’uscita” per i giovani sfortunati e la scuola svolge quindi un ruolo d’integrazione tra il mercato e il mestiere d’arte. V.: www.rehime.com. 12. Jorge Rafael Videla Redondo è un ex militare argentino, dittatore e presidente del paese tra il 1976 e 1981. Egli giunge al potere attra95


verso un colpo di stato ai danni della politica argentina, moglie di Juan Domingo Perón, Isabelita Perón. Il suo governo vede numerosi violazioni dei diritti umani e contrasti frontalieri con il Cile, che per poco non sfociarono in una guerra. Egli è stato condannato a due ergastoli e a cinquanta anni di carcere per vari crimini contro l’umanità, tra i quali l’assassinio e la tortura di 30.000 persone. Attualmente sconta la sua pena presso una prigione di Buenos Aires. 13. L’espressione desaparecidos, letteralmente “persone fatte scomparire” in spagnolo, si riferisce ai cittadini che furono arrestati per motivi politici, o anche semplicemente accusate di avere compiuto attività “anti governative” dalla polizia del regime militare argentino, cileno e di altri paesi dell’America Latina, e delle quali si persero in seguito le tracce. 14. Questo è il periodo della formazione morale e affettiva, quello che in letteratura si chiamerebbe un Bildungsroman. Pratt c) 1996, op. cit., p. 89-113. 15. La Fleetaway Pubblications era una casa editrice londinese fondata nel 1959, quando il Mirror Group acquisisce la rivista «Amalgamated Press». Nel 1963 è ‘stata una delle aziende confluite nel gruppo IPC (International Publishing Corporation), e la bandiera Fleetway continuò ad essere utilizzata fino al 1968, quando tutte le pubblicazioni dell’IPC sono state riorganizzate in Periodici unitari. Nel 1987 IPC fumetti è stata venduta a Robert Maxwell allo stessa maniera di Fleetway Publications. Egmont UK comprò Fleetway da Maxwell nel 1991, la unì con il proprio funzionamento editoriale, Edizioni Londra, per formare Edizioni Fleetway, ma il nome “Fleetway” ha cessato di apparire sui loro fumetti qualche tempo dopo il 2002. Egmont attualmente possiede tutti i personaggi dei fumetti e i titoli creati dall’ IPC dopo il 1 gennaio 1970 (con l’eccezione della stalla 2000 AD, che Egmont ha venduto e che è ora proprietà di Rebellion Developments), insieme ai 26 caratteri specificati che apparvero in «Buster» e in «Roy of the Rovers», mentre IPC mantiene attualmente i suoi altri personaggi dei fumetti e titoli, inclusi Sexton Blake, The Steel Claw, e Battler Britton (ma non Dan Dare, che è stato venduto separatamente ed è ora di proprietà della Dan Dare Corporation. V.: http://www.wikipedia.org 16. Il giornale noto informalmente come «The Mirror», è un quotidiano britannico di tipo tabloid. Esso è l’unico nazionale britannico che sostiene dal 1945 il Partito Laburista. Nasce il 2 novembre 1903 da Alfred Harmsworth (poi Lord Northcliffe) come giornale femminile prodotto da donne. Lo scarso successo iniziale induce il fonda96


tore a trasformare il giornale in periodico illustrato e il titolo di testa diventa, dal 26 gennaio al 27 aprile 1904, «The Daily Illustrated Mirror». Il rotocalco possiede un’edizione domenicale chiamata «The Sunday Mirror» pubblicata dal 1915. V. http://www.wikideep.it. 17. V.: http://www.royalwatercoloursociety.co.uk/. 18. El Sargento Kirk o Sgt. Kirk è il personaggio e il titolo di un fumetto western sceneggiato dall’argentino Héctor Germán Oesterheld e disegnato dall’italiano Hugo Pratt. La serie, originariamente creata in Sud America durante la cosiddetta “epoca d’oro del fumetto argentino”, fu pubblicata per la prima volta nel numero 225 del settimanale a fumetti «Misterix» il 9 gennaio 1953. Il Sargento Kirk ha proseguito la sua pubblicazione fino al numero 475 di «Misterix» del 20 dicembre 1957; in seguito Oesterheld ha fondato una sua casa editrice, l’Ediciones Frontera, e la serie continuò sulla rivista «Frontera Hora Zero». La pubblicazione proseguì fino al 1959. In seguito, nei primi anni settanta, i racconti del Sargento Kirk sono stati ripresi e disegnati da Jorge Moliterni, Porreca e Gisela Dexter. Sgt. Kirk è stato scelto come nome della rivista di fumetti edita a partire dal luglio del 1967 per mano dell’editore genovese Florenzo Ivaldi e diretta da Claudio Bertieri. L’idea era nata da Ivaldi, immobiliarista di successo con la passione per i fumetti, che a quel tempo aveva trovato la disponibilità di Hugo Pratt. Il rotocalco ospitava anche i lavori di altri disegnatori, ad esempio Dino Battaglia, di cui fu pubblicato Moby Dick. Sulla rivista apparivano infine alcuni classici americani (quali Terry e i pirati di Milton Caniff), nonché saggi di storia e critica del fumetto. «Sgt. Kirk» ha mantenuto la pubblicazione regolare fino al dicembre 1969, per un totale di trenta numeri, ed è stata successivamente distribuita solo per abbonamento ed in modo irregolare fino all’uscita del numero 55 del giugno 1977. V. http://it.wikipedia.org/wiki/Sgt._Kirk. 19. Il Congresso di Lucca è l’unico festival di fumetti esistente al mondo in quel periodo. 20. :«Pif Gadget» è una rivista-settimanale francese di fumetti creata nel febbraio 1969. Sulle sue pagine ad ogni uscita vengono inclusi dei “gadget”. Essa conosce un periodo di grande successo fra gli anni settanta e gli anni ottanta e lancia serie come Rahan, Corto Maltese, Gai Luron, Docteur Justice, Pifou, Totoche e Corinne e Jeannot. Fra il 1993 e il 2004 le pubblicazioni s’interrompono. In seguito la rivista torna in edicola sotto forma di mensile per poi interrompere definitivamente la sua pubblicazione nel novembre del 2008.V.: http://www. wikipedia.org. 21. Prima pubblicazione dedicata a Corto Maltese in occasione 97


dell’assegnazione del premio “Phenix” 1971 per il miglior fumetto d’avventura mondiale. Due volumi in formato orizzontale “all’italiana” e una edizione sofisticata de La Laguna dei bei sogni. V.: www. cortomaltese.org. 22. «Lo trovai sepolto in un cimitero musulmano dove però in un angolo si trovavano sei o sette tombe cristiane: era una tomba semplice, senza nome, con una croce in cemento, in mezzo a un mucchio di fiori selvatici. Ho fatto tale pellegrinaggio dopo 26 anni perché mi ero trovato coinvolto in vari avvenimenti quando mi trovavo in America del Sud. Ma tale ritardo rese il mio viaggio ancor più emozionante». Pratt c) 1996, op. cit., p. 126. 23. In Favola di Venezia Corto giunge alla tomba di Frederick Rolfe, il “Baron Corvo”, al quale Hugo s’ispira. Ivi, p. 180. 24. «Tintin», conosciuto anche come «Le Journal de Tintin» e «Kuifje» (nella versione fiamminga) è una rivista settimanale di fumetti realista della seconda metà del XX secolo. Sottotitolato “Le journal des jeunes de 7 à 77 ans” (Il giornale dei giovani dai 7 ai 77 anni) poi “Le journal des super - jeunes de 7 à 77 ans” (Il giornale dei super-giovani dai 7 ai 77 anni), pubblica delle serie leggendarie come «Blake et Mortiner», «Alix», «Michel Vaillant», «Ric Roland» e «Le Avventure di Tintin» e «Milou». La prima pubblicazione della rivista avvenne nel 1946. L’idea di pubblicare un periodico per ragazzi dal titolo Tintin nacque da incontri tra Raymond Leblanc e Hergé: quest’ultimo è l’autore della serie «Tintin» creata nel 1929 per il «Petit Vingtième», (supplemento del quotidiano cattolico «Le Vingtième Siècle»). Leblanc che nel 1944 aveva fondato con due amici la piccola casa editrice Les Éditions Yes creò a Bruxelles Les Éditions du Lombard con lo scopo di pubblicare la rivista «Tintin». Ben presto nacque anche la versione fiamminga intitolata «Kuifje», nome con il quale Tintin, protagonista della serie, era conosciuto nei paesi fiamminghi. I capo redattori furono: Jacques Van Melkebeke (1946-1947), André Fernez (1947-1959), Marcel Dehaye (1959-),Greg (1965-1974), Henri Desclez (1974-1976), André-Paul Duchâteau (1976-1979). Per il primo numero, uscito il 26 settembre 1946, furono chiamati degli artisti di grande rinomanza come Edgar Pierre Jacobs (con una serie di fantascienza, Blake et Mortimer), Paul Cuvelier (con Corentin), Jacques Laudy(con Les Quatre Fils Aymon). Gli anni seguenti, Hergé riprese Jo, Zette et Jocko che erano apparsi la prima volta in Cœurs Vaillants. Étienne le Rallic fornì una variazione umoristica con Jojo Cow-Boy e Teddy Bill. Nel 1948 Jacques Martin arrivò con Alix, contemporaneamente a Dino Attanasio e Wil98


ly Vandersteen. Per diversi decenni Hergé ebbe il controllo artistico della rivista, da ciò le sue interferenze in Bob et Bobette di Willy Vandersteen che fu ridisegnato con una linea sintetica e pulita definita “ligne claire” (linea chiara). Nell’ottobre del 1948, fu pubblicata dalla casa editrice Dargaud la prima versione francese di «Tintin». Sebbene le versioni belga e francese comprendessero quasi gli stessi fumetti, le linee editoriali erano diverse. Nel 1949, Bob de Moor si unì all’équipe degli autori e disegnò qualche pagina di gag. Per ricompensare i suoi lettori, Leblanc creò una specie di punto fedeltà chiamato chèque Tintin che si incominciò a trovare, dal 1951 in Belgio e dal 1952 in Francia, in ogni esemplare della rivista. Con i punti si potevano ottenere regali diversi, fuori commercio (questa sarà l’idea geniale) in cambio di un numero stabilito di punti per ogni regalo. Alcune marche di prodotti alimentari, davanti all’entusiasmo dei lettori, si associarono allo chèque Tintin: si troveranno punti fedeltà su scatole di farina, di semolino, minestre, dolci, venne prodotta anche una soda Tintin, poi scarpe Tintin. Fra i regali, le bellissime oleografie della raccolta Vedere e sapere aventi per temi l’aviazione, le barche, l’automobile. Anche la SNCF (Società Nazionale delle Ferrovie Francesi) offrì viaggi gratuiti di 100 km in cambio di ottocento punti Tintin. Gli anni 1950 videro arrivare nuovi artisti: Raymond Reding, Albert Weinberg, Tibet, Raymond Macherot, François Craenhals, Liliane e Fred Funcken, Jacques Martin, Jean Graton, Albert Uderzo, René Goscinny, Dino Attanasio e Berck. «Tintin» fu sempre in competizione con la rivista «Le Journal de Spirou» tanto che ogni artista poteva pubblicare le sue opere soltanto su una delle due riviste. Un’importante eccezione fu André Franquin. Negli anni 1980, le vendite del giornale diminuirono: lavorarono per «Tintin» solo pochi artisti (Bernard Capo, René Sterne e Michel Weyland). La rivista terminò le pubblicazioni con il titolo originale nel novembre del 1988 per uscire un mese più tardi con il nome «Tintin reporter», pubblicata da Yeti Press. Anche la rivista in versione francese, che era già stata chiusa nel 1972, continuò cambiando formula: nel gennaio 1973 si chiamava «Tintin l’Hebdoptimiste» nel 1975 «Nouveau Tintin» e nuovamente «Tintin» dal 1979 sino al 1988. «Tintin reporter» sopravvisse qualche mese e fu seguito da «Hello Bédé» nel settembre 1989. Questa versione finale, di nuovo pubblicata da Le Lombard, continuò fino al 1993. In quel momento cadde definitivamente il velo su una delle migliori riviste di fumetti europei. V.: http://www.wikipedia.org. 25. La saga «Gli scorpioni del deserto» realizzata tra il 1969 e il 99


1992 è ambientata in Africa e risente maggiormente dell’esperienza personale di Hugo Pratt. Tra le suggestioni letterarie si evince un legame con l’opera del romanziere William Somerset Maugham, in particolare col racconto Pioggia: esso narra di amori conflittuali tra prostitute e uomini, amori che portano quest’ultimi alla rovina e alla follia; lo stesso accade ad alcuni protagonisti del racconto. 26. Casterman è un editore franco-belga specializzato in fumetti e letteratura per bambini. L’azienda ha sede a Tournai, in Belgio ed è stata fondata nel 1780 da Joseph Donat-Casterman, un editore e libraio originario di Tournai. Casterman era originariamente una stamperia. Nel 1934, la Casterman ha assunto la Petit Le edizioni Vingtième per la pubblicazione degli album di Le avventure di Tintin, dal quarto album della serie Sigari del faraone. A partire dal 1942, Casterman ha pubblicato le versioni rielaborate e versioni colorate dei precedenti album di Tintin. Forte del successo dei fumetti di Hergé, poco dopo la Casterman propone nuove serie, con nuovi autori, come Jacques Martin, François Craenhals e C. & V. Hansen. Dal 1954 in poi, egli ha pubblicato libri per bambini come Martine di Marcel Marlier. Desideroso di fare appello ad un mercato più maturo, la Casterman ha deciso nel 1973 di pubblicare i primi album di Corto Maltese dello scrittore italiano Hugo Pratt e, nel 1978, stabilì che la sua rivista mensile «A Suivre» doveva avere un impatto sulla rinascita dei fumetti degli anni 1990. Tale rivista però cessa di essere pubblicata nel 1997. Casterman è ora parte di Groupe Flammarion, che a sua volta è stato acquistato da RCS MediaGroup (ex Rizzoli-Corriere della Sera) d’Italia. V.: http://www.wikipedia.org. 27. «France Soir» è un quotidiano francese che nasce da un’idea di Pierre Lazareff nel novembre del 1944 come «Défense de la France» (viene ribattezzato dopo la Seconda guerra mondiale) e diviene fra gli anni ‘50 e ‘60 il principale quotidiano del paese, raggiungendo un milione di copie vendute nel 1961. In seguito, le vendite subiscono dei ribassi, fino alle 45.000 tirature del 2005. Per aumentare i volumi, negli anni e nelle varie amministrazioni, la testata si fa sempre più popolare e sensazionalista. All’inizio del mese di febbraio 2006, vengono pubblicate una serie di caricature di Maometto, riprese dal giornale danese «Jyllands-Posten», che provocano disapprovazione da parte del mondo musulmano. Quest’azione comporta il licenziamento del direttore Jacques Lefranc. Dopo il rilevamento, nel 2009, da parte di Alexandre Pougatchev, figlio dell’oligarca russo Sergueï Pougatchev e amico personale di Vladimir Putin, la redazione subisce un riassetto con il licenziamento a novembre del giornalista Ge100


orges-Marc Benamou e l’ingresso in direzione di Gilles de Prévaux, proveniente dalla rivista «Télé Loisir». Inoltre le corrispondenti a Roma e a Mosca, rispettivamente Ariel Dumont e Nathalia Ouvaroff, lamentano il costante rifiuto dei propri articoli, le accuse di antiberlusconismo e l’eccessiva critica a Putin, perdendo le proprie collaborazioni col rotocalco. 28. L’adolescente Criss Kenton, protagonista del romanzo, è un giovane colono spinto da sogni di libertà e d’avventura, che si arruola nelle truppe coloniali partecipando agli scontri armati con le truppe britanniche e le tribù pellerossa: un’esperienza dura che lo metterà alla prova ed a stretto contatto con la vita di frontiera. 29. Editori del Grifo nasce dalla volontà di Lorenzo Paganelli di recuperare lo storico marchio che vide la luce per la prima volta a Montepulciano nel 1979 e che, in trent’anni di attività, ha rappresentato una guida autorevole nel panorama fumettistico e culturale in Italia e all’estero. Per ogni altra info cfr.: www.editoridelgrifo.it. 30. Joe è un giovane metà bianco e metà pellerossa, con un’indole aggressiva perché cresciuto presso una missione cattolica dove venivano raccolti gli orfani meticci, bambini ripudiati perché “mezzosangue”. 31. L’ebefrenia o psicosi della giovinezza è una delle forme in cui può presentarsi la schizofrenia. Questo disturbo psichiatrico fa la sua comparsa generalmente nei giovani. La forma ebefrenica è caratterizzata da comportamenti confusionali e incoerenti; l’ebefrenico rivela la volontà di abbandonare la lotta, di non crescere psicologicamente per non dover competere ed essere sottoposto a giudizio alla disapprovazione degli altri o confrontarsi con la loro aggressività; tale soggetto crescendo con l’età digredisce mentalmente. 32. V.: http://www.mollica.rai.it. 33. Genovese 2009, cit., p. 325. 34. Eco 2001, pp. 131-183. 35. «Il mio disegno, dice, cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni». Marchese 2006, op. cit., p. 56. 36. Al loro interno colpisce il perfetto equilibrio tra immagine e testo. Inoltre, la scelta di posizionare il primo personaggio che parla a sinistra e l’altro a destra è un fatto narrativo molto importante nei fumetti di Pratt. In tale impianto possono determinarsi eccezioni e subentrare balloons che si incrociano o che stanno in basso. Le sue vignette non sono rotonde ma rettangolari perché in tal modo si dà rilevanza alla storia. Pratt sostiene: «finché il mondo è basato sul rettangolo è giusto utilizzare quel modulo, questa gabbia all’interno della quale pos101


siamo trovare il massimo della libertà». Scarpa 2012, op. cit., p. 67. 37. Cfr. Pratt b) 1996. 38. Cfr. Intervista “Fumo d’inchiostro”. V.: http://www.youtube.it. 39. V.: http://archivio.panorama.it/Nel-magico-mondo-di-CortoMaltese. 40. «Pratt è debitore degli “scrittori di mare” ma al contrario di loro non s’imbarca mai per lavoro e ciò genera un vuoto per quel che concerne la visione in presa diretta della vita marinaresca: nelle storie non rappresenta la dura vita di mare, tra quiete e tempesta, ma un superamento di tale prospettiva attraverso il sogno. In tal senso nei fumetti prattiani il mare è un fondale onirico, uno scenario di ascendenza letteraria, e rimane in secondo piano pur rivestendo un ruolo narrativo fondamentale». Marchese 2006, op. cit., p. 22. 41. Herman Melville, Mardi e Typee e Omoo, Literary Classics of the United States, New York, 1982. 42. «Si sente un sottofondo musicale. Lui non parla, è concentrato sul suo lavoro. Sta disegnando la prima tavola di una «Ballata del mare salato»: Corto è attaccato a una zattera naufragata in mezzo all’immensità dell’oceano. Il mio primo ricordo di mio padre disegnatore». Pratt S. 2008, p. 77. 43. Barbieri 2012, cit. p. 144. 44. Robert Louis Stevenson, L’Isola del tesoro, BRI ed., Milano 1965; prima ed. ingl. Cassell & Company, Londra 1883. 45. Idem, Il Ragazzo rapito, Edizioni Capitol, Bologna 1963; prima ed. ingl., London 1886. 46. Idem, Ebb-Tide, Heinemann ed., London 1922; prima ed. ingl. Heinemann ed., Scotland 1894. 47. Joseph Conrad, Lord Jim, Rizzoli, Milano, [1951?] ; prima ed, ingl. Blackwood, Britain 1900. 48. Jack London, Il Lupo e il mare, Madella ed., Milano, 1929; prima ed, ingl 1904. 49. Idem, I Racconti dei mari del sud, AMZ ed., Milano, 1962; prima ed, ingl. 1893. 50. Rudyard Kipling, Kim, Pan Books and Macmillan ed., London 1976. 51. Fedor Dostoevskij, Il sosia, Delta, Milano, 1929; prima ed, ingl. «Otecestvennye Zapiski», Russia 1846. 52. Edgar Allan Poe, William Wilson, Morcelliana, Brescia, 1947; prima ed. ingl. «Burton’s Gentleman’s Magazine», London 1839. 53. Cfr. Hugo Pratt, La Casa dorata di Samarcanda, Lizard ed., Roma 1996. 102


54. «Borges riesce a raccontare cose vere facendole apparire come fantastiche e in me si ritrova il medesimo modo di procedere: un miscuglio inestricabile di verità e mistificazioni, di personaggi reali e fittizi». Pratt c) 1996. 55. I Rosa Croce sono un leggendario ordine segreto nato nel XV secolo e la cui conoscenza venne diffusa nel XVII secolo, associato con i simboli della rosa e della croce. Secondo la leggenda l’ordine venne fondato nel 1407, da un pellegrino tedesco di nome Christian Rosenkreuz (Rosen = rosa Kreuz = croce) al suo ritorno in Germania. Egli soggiornò a Damasco ed in Terra Santa, dove avrebbe studiato l’occultismo. Sembra che l’ordine fosse limitato a soli otto membri e che si fosse estinto immediatamente dopo la sua morte, per rinascere solo nel XVII secolo. Secondo una leggenda meno conosciuta e circolante in ambiente massonico, l’ordine sarebbe invece stato creato nell’anno 46, quando il saggio gnostico alessandrino Ormus e sei suoi discepoli si convertirono al Cristianesimo ad opera di San Marco, fondendo la dottrina cristiana con i misteri egiziani: Christian Rosenkreuz sarebbe stato iniziato a quest’ordine divenendone il gran maestro, invece di averlo fondato. In realtà quella che era conosciuta agli inizi del XVII secolo come la “Società dei Rosa Croce” era probabilmente un piccolo numero di individui isolati che condividevano alcuni punti di vista, apparentemente il loro solo legame. Non esiste alcuna traccia di una società che tenesse incontri o assegnasse cariche. Secondo le numerose opere che ne parlano, i Rosa Croce erano probabilmente riformatori religiosi e morali che utilizzavano mezzi, all’epoca ritenuti scientifici, come l’alchimia al fine di tramandare le proprie opinioni. I loro scritti sono permeati di misticismo o occultismo e suggeriscono significati nascosti che potrebbero essere compresi solo dagli iniziati. V.: http://www.wikipedia.com. 56. William Butler Yeats, Rosa alchemica, Einaudi, Torino, 1976; prima ed. ingl. 1913. 57. Pratt instaura un legame con la massoneria l’8 giugno 1976, quando firma la richiesta per essere iniziato alla loggia “Hermes all’Oriente” di Venezia. Così egli diventa maestro Segreto e il ciclo di storie di Corto Maltese si considera come un percorso d’iniziazione attraverso le conoscenze arcane. In particolare le ultime avventure del marinaio («Favola di Venezia», «Le Elvetiche-Rosa alchemica» e «Mu») concludono il suo percorso misterico. 58. James Oliver Curwood, Kazan, Principato, Milano, 1973; prima ed. ingl.1914. 59. Zane Grey, Betty Zane, Sonzogno, , Milano, 1967; prima ed. ingl. 103


Charles Francis Press, New York 1903. 60. Idem, The Spirit of the Border, Sonzogno, , Milano, 1933; prima ed. ingl. A. L. Burt, United States 1906. 61. Idem, The Last Trail, Sonzogno, , Milano, 1932; prima ed. ingl. Outing Publishing, New York 1909. 62. William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, Bietti, stampa, Milano, 1936; prima ed. ingl. 1595. 63. Caino (ebraico Qayin; Vulgata Cain) è il figlio primogenito di Adamo ed Eva secondo la Bibbia. Il racconto della Genesi (IV, 1-17) relativo a Caino è attribuito dai critici moderni al cosiddetto documento jahvista, uno dei quattro che formerebbero il Pentateuco. In Gen., IV, 1 il nome di Caino è messo in relazione col verbo ebraico qānāh “possedere”, giacché vi si riferisce che sua madre esclamasse per gioia alla sua nascita: “Posseggo un uomo!” Ma questa relazione non si fonda che su una semplice assonanza, mentre il nome di Caino non può derivare da quel verbo ebraico, ed è piuttosto da riavvicinarsi etimologicamente al vocabolo arabo qayn “fabbro”; anche in ebraico la stessa voce qayin, come nome comune, significa “lancia” (di metallo). A differenza del fratello Abele, che era pastore, Caino coltivava la terra. Ambedue un giorno fecero un’offerta a Dio dei prodotti del rispettivo lavoro, ma Dio “riguardò Abele e la sua offerta, mentre a Caino e alla sua offerta non riguardò” (Gen., IV, 4-5). Caino concepì allora verso il fratello un’invidia così profonda che l’uccise. Dio maledice il fratricida (Gen., IV, 11-12). Caino esprime allora il timore che nella vita randagia cui è stato condannato chiunque l’incontri lo uccida. Egli emigrò nel paese di Nod (che in ebraico significa “esilio”), e vi edificò una città che dal nome di suo figlio chiamò Eno (in ebraico “dedicazione”). Caino rappresenta dunque l’uomo violento. Il suo gesto colpisce il cuore della fraternità ed è sintomo che la rivolta dell’uomo contro Dio si risolve inevitabilmente nella lotta dell’uomo contro l’uomo. V.: http://www.treccani.it. 64. «A mio parere un’immortalità fatta d’ignoranza non poteva condurre che a un tipo di vita piuttosto larvale». Pratt c) 1996, op. cit., p. 236. 65. Ivi, p. 245. 66. Venezia ad esempio, città natale, è piena di segni, gli “Abraxas”, pietre incise con iscrizioni magiche. In Etiopia lo affascinano i monasteri, le leggende, i legami con la Genesi e riscontra delle connessioni con le storie di angeli e demoni raccontate dalla nonna quand’era ancora un pargolo. A Buenos Aires ritrova se stesso grazie ai funghi allucinogeni provenienti dalla cultura maya definiti “carne di Dio”. 104


In Brasile le persone si perdono in danze ipnotiche legate al culto vudù e sembrano conoscere fatti intimi della vita dello scrittore. Ivi, p. 216-223. 67. «Pratt fa del fumetto un genere autonomo perché dimostra che esso non è parassitario di altre storie che riracconta senza saperlo, ma ha la capacità sottile di ragionare su altre storie, spesso al limite della parodia, facendole rivivere in spirito diverso, talora ironico, talaltra melanconico, talora decidendo che il già narrato fa ormai parte del mito, e giocando di ricamo e invenzione sugli elementi del mito». Brunoro 2008, cit., p. 222. 68. «Il mio sogno è di prendere il pennello, intingerlo bene nell’inchiostro, poi cominciare e senza mai alzare la mano dal foglio, arrivare qua e finire…flum! Raccontare tutta la mia storia». Scarpa 2012, op. cit., p. 48. 69. «Se Picasso dice: “Uso il rosso e se lo finisco uso il blu” non si basa sull’estetica: il suo quadro deve parlare sul piano espressivo. Pratt come Picasso è espressione». Ivi, p. 178.

105


Fig.21

Fig.22a 106

Fig.22b


Fig.23

Fig.24a

Fig.24b 107


Fig.25

108


Fig. 26

Fig.27

109



III. Corto Maltese Corto Maltese è un marinaio partorito nel 1967 dalla geniale mente del fumettista e scrittore veneziano Hugo Eugenio Pratt. La prima persona a proferire notizia circa l’ideazione del personaggio di mare è probabilmente il giornalista Dominique Petifaux. Il marinaio esordisce con un’avventura di stampo tradizionalista, che ha come sfondo il mondo reale (i paesaggi esotici dell’America meridionale); proseguendo il suo cammino arriverà ad essere protagonista di episodi nei quali il suo creatore prenderà spunto da fonti letterarie e cinematografiche, di maggiore contenuto politico e culturale (la guerra in Europa, i movimenti di liberazione), mischiate costantemente a un carattere mistico. Corto Maltese, personaggio cosmopolita dal fascino ribelle, nasce il 10 luglio del 1887, a la Valletta (Malta), sotto il segno del Cancro. Hugo Pratt preleva un tipo mediterraneo e lo inserisce all’interno di una cultura anglosassone intrisa di mistero. L’unico mediterraneo in cui si possono riscontrare determinate peculiarità è un maltese, figlio, non a caso, di una prostituta di Gibilterra, modella del pittore Jean Auguste Dominique Ingres (1780-1867), e di un marinaio inglese, originario di Tintagel King’s Arthur Castle, in Cornovaglia. Subito dopo la nascita di Corto la madre, la Nina da Gibraltar, lo porta con sé a Gibilterra dove, l’anno successivo, andrà a trovarli il padre: è l’unica volta in cui i suoi occhi fissano il volto di quell’uomo dalla barba e dai capelli rossi. Costui, infatti, è quasi del tutto assente dalla vita del figlio; malgrado ciò gli trasmette il gusto di errare nei mari lontani e l’amore per le leggende e i luoghi incantati tipici del mondo celtico, luogo di stregoni, pirati e fantasmi lazzaroni. Tali luoghi sono frutto dell’immaginario del fumettista e ciò è confermato dall’incerto scorrere del tempo e dai continui passaggi dalla realtà al mito. La Nina, nata a Siviglia, sensuale danzatrice di flamenco, dal canto suo, educa Corto all’amore per la libertà e la cultura zingara. Dopo Gibilterra la Nina e il figlio si stabiliscono a Cordoba: città situata nell’Argentina centrale ai piedi della catena 111


montuosa Sierras Chicas, sulle rive del fiume Primero, circa 700 km a Nord-Ovest di Buenos Aires. Il continuo vagabondare insieme alla madre gratifica Corto a tal punto da indurlo costantemente alla continua scoperta del mondo, verso nuove avventure. A Cordoba Nina ritrova un amore di gioventù, il rabbino Ezra Toledano, che sin da subito si preoccupa di ricoprire il ruolo di padre per il piccolo Corto. A denunciare un aspetto focale della personalità del marinaio prattiano è un episodio magico della sua infanzia: un giorno la maga Amelia, una gitana amica della madre, mentre gli legge la mano sinistra scopre che sul suo palmo manca un segno mistico di fondamentale importanza: la linea della fortuna. Secondo la Nina tale mancanza è sintomo di una grave disgrazia. Così Corto, mosso da uno spirito libero e ribelle, fatalista verso il pericolo, afferra il rasoio d’argento del padre e se ne incide una più lunga e profonda di qualsiasi altro uomo. La ferita si rimarginerà dopo molto tempo ma con quel gesto egli dimostra quanto, fin da bambino, scelga di essere l’artefice del proprio destino. A dodici anni il marinaio lascia la madre e torna a Malta insieme a Ezra Toledano che lo iscrive alla scuola ebrea di La Valletta. Legge i testi dello Zohar1 e della vera Kabbala2 e ascolta i racconti magici di Ezra. Nel 1904 Corto, all’età di sedici anni, s’imbarca sulla Vanità Dorata, una goletta che fa scalo a Malta e grazie alla quale oltrepasserà per la prima volta lo stretto di Gibilterra: arriva in Egitto, dove visita le piramidi di Giza, raggiunge Ismailia per poi attraccare ad Aden, Mascate, Karachi, Bombay, Colombo, Madras, Rangoon, Singapore, Kowloon, Shanghai e Tien’Tsin. Alla fine del 1904 egli giunge in Manciuria, al tempo del conflitto russo-giapponese (febbraio1904-settembre1905)3. A Mukden, l’odierna Shenyang, frequenta la famiglia Song, diventa amico dello scrittore e corrispondente di guerra americano Jack London (1876-1916), e incontra Rasputin, giovane disertore russo di un reggimento di fucilieri siberiani. Insieme a quest’ultimo il marinaio approda a Tien’Tsin e s’imbarca verso l’Africa alla ricerca delle miniere d’oro di re Salomone 112


in Dancalia. I due però non giungono al continente perché in prossimità di Celebes rimangono coinvolti in un ammutinamento da parte dell’equipaggio, che li abbandona su una scialuppa. Successivamente, Corto e Rasputin saranno raccolti da un cargo facente rotta verso il Cile che li sbarcherà a Valparaiso. Questo è il periodo della storia «La Giovinezza»: all’interno del racconto Hugo Pratt accentua il ritratto dei personaggi e degli ambienti. Il marinaio adolescente si presenta ai lettori con una dose di imperturbabilità e buon senso poco comuni in persone della sua età. La sua personalità affiora mediante lo studio del linguaggio e degli atteggiamenti dei personaggi che lo circondano. Sin dalla gioventù quindi è possibile dedurre le principali caratteristiche dell’indole di Corto Maltese: la sua apparente indifferenza che trasforma in stoicismo, il buon senso e l’abilità nel persuadere il prossimo. «La Giovinezza» rimane incompiuta a causa delle divergenze fra Hugo Pratt e la direzione del quotidiano francese «Le Matin»4 che pubblicherà la prima edizione del fumetto nel 1981. Il fumettista ne parla a Dominique Petifaux nel libro All’ombra di Corto5: Il direttore Claude Perdriel mi aveva chiesto di fare una striscia quotidiana in bianco e nero e una tavola settimanale a colori, come nei quotidiani americani. Era previsto che Corto arrivasse in una tavola a colori, e dovevo ritardare il suo arrivo fino al momento in cui potevo iniziare le tavole a colori. Ma quando Perdriel ha finalmente lanciato il supplemento a colori, c’erano soltanto strisce comiche. Non ho capito cosa sia successo, comunque mi sono stancato di aspettare e ho terminato l’episodio (…) La pubblicazione avrebbe dovuto durare più di un anno, ma siccome poi non c’è stata questa tavola settimanale, ho terminato rapidamente la storia6.

Da Valparaiso, Corto e Rasputin arrivano in treno a Santiago e poi, nel 1905, in Argentina. A Cholila, in Patagonia, incontrano i criminali americani Butch Cassidy (1866-1908), Sundance Kid (1867-1908) e Etta Place (1878-1908). Nel 1907 il marinaio si trova ad Ancona, dove incontra il rivoluzionario russo Josif Dzugasvili (conosciuto come Stalin, 1879-1953), 113


allora portiere d’albergo. L’anno successivo egli ritorna in Ar gentina e s’imbatte nuovamente nello scrittore Jack London e nel drammaturgo Eugene O’Neill (1888-1953). Nel 1909 Corto si reca prima a Marsiglia e poi a Trieste, dove incontra lo scrittore James Joyce (1882-1941). Nel 1910 diventa ufficiale in seconda sul Bostonian, che disloca bestiame fra Boston e Liverpool. Più tardi visita la Tunisia, il Brasile, le Antille, la Nuova Orleans, l’India, e la Cina. Nel 1913 Corto esplora l’Indonesia e il Pacifico meridionale: Surabaya (Giava), le Isole Samoa, le Isole Tonga. Il Ι novembre dello stesso anno è l’inizio della storia «Una Ballata del Mare Salato» ambientata (1913-1915) nell’arcipelago melanesiano dell’Oceano Pacifico7, calmo come un lago e scatenato come un vulcano. Le rotte del marinaio sono guidate dalle stelle e il mare ne scandisce senza dubbio la vita, ora come presenza navigata, ora come ricordo di Malta o di Venezia: luoghi di mare per eccellenza e patrie del personaggio e del suo creatore. «La ballata» è una storia di pirati pubblicata all’interno della rivista «Sgt. Kirk», edita dall’editore genovese Florenzo Ivaldi (vedi supra, p. 68) che promuove il debutto del personaggio prattiano. Costui entra in scena, di fronte allo sguardo stupefatto del pirata Rasputin (personaggio secondario) che lo salva e dei suoi lettori: barbuto e battagliero, sopravvissuto a una terribile tempesta, legato ad una logora zattera di legno dopo un ammutinamento da parte della sua flotta. Quest’immagine, seppur si tratta della presentazione del protagonista, non è affatto rassicurante e per tale ragione Corto Maltese da quel momento diventa un antieroe per definizione (non possiede né l’aspetto né le qualità tipiche dell’eroe) e sancisce il passaggio a un fumetto di nuova generazione, completamente diverso da quelli pubblicati ordinariamente sul «Corriere dei Piccoli». La «Ballata», più adulta nei temi e nella realizzazione, avventurosa e coinvolgente, sembra richiedere un maggiore impegno per i giovanissimi lettori, assicurando frattanto loro la partecipazione ad una avventura straordinaria difficile da dimenticare. In essa si riconosce il senso epico delle storie di mare di Melville; le bianche spiagge dei mari del Sud e le palme dolcemente chine 114


sulla sabbia di remoti atolli rievocano, invece, i paesaggi esotici di Stevenson o di Jack London. D’impronta conradiana è invece l’approfondimento dei caratteri (Joseph Conrad rappresenta il prototipo di scrittore abile a scavare nelle anime) in base al quale ciascuno dei personaggi possiede una propria fisionomia: l’ambiguità del marinaio prattiano ricorda il celebre personaggio conradiano di Lord Jim. All’interno della storia, tuttavia, Corto Maltese non si distingue ancora come figura principale: il termine “ballata” indica l’intreccio di molte esistenze che da luogo ad una sorta di grande catena dalla quale nessun anello può staccarsi senza che si stacchino tutti gli altri. Solo nel 1970, in seguito alla collaborazione di Hugo con la rivista francese «Pif Gadget», di ampia tiratura, Corto Maltese assumerà la veste di protagonista principale della serie omonima e il suo creatore acquisterà una notevole fama in Francia pur non essendo ancora molto noto in Italia. Nel 1914 Corto e Rasputin si trovano nel Pacifico, fra la Nuova Guinea, l’arcipelago delle Bismarck e l’isola Escondida. L’anno dopo abbandonano Escondida per recarsi all’isola di Pitcairn. Da lì approdano all’Isola di Pasqua, all’Isola di Sala y Gomez, a Iquique (Cile), a Callao (Perù), a Guayaquil (Ecuador) e infine a Panama. Da Paramaribo (Guayana Olandese, oggi Suriname), invece, inizia la prima avventura appartenente alla serie «Suite Caribeana» («Suite Caraibeenne») dal titolo Il segreto di Tristan Bantam; ad essa seguono le storie Appuntamento a Bahia, svolta a Saint-Laurent-de-Maroni (Guayana Francese) e Salvador de Bahia (Brasile) e Samba con tiro fisso dove i due avventurieri incontrano la maga Bocca Dorata nel sertào brasiliano. Tra il 1916 e il 1917 troviamo le avventure del ciclo «Il mare d’oro»: Un’Aquila nella giungla (ambientata nel delta del Rio delle Amazzoni, nell’isola di Marajo), … E riparleremo dei gentiluomini di fortuna (a Saint Kitts) e Per colpa di un gabbiano (Isola di Maracatoquà, Honduras britannico). In quell’anno il marinaio è protagonista di nove ulteriori avventure aventi come sfondo l’Europa e l’America Latina, raccolte all’interno delle tre serie «Lontane isole del vento» (Teste e funghi, La conga delle banane, Vudù per 115


il presidente), in cui compare per la prima volta il personaggio di Veneziana Stevenson, «Le Lagune dei misteri» (La laguna dei bei sogni, Nonni e fiabe, L’angelo della finestra d’oriente, Sotto la bandiera dell’oro) e parte de «Le Celtiche» : Concerto in O minore per arpa e nitroglicerina e Sogno di un mattino di mezzo inverno. A quest’ultime fa da sfondo l’Europa della Grande Guerra fra spiriti e leggende appartenenti alla tradizione inglese e irlandese. La prima è ambientata in Irlanda fra leggenda e realtà. Lì il marinaio incontra Banshee Finnucan, la donna guerriera vedova di un eroe della resistenza irlandese. Nella storia Sogno di un mattino di mezzo inverno gli spiriti delle leggende inglesi - come la fata Morgana, il mago Merlino, Oberon e altri -, indignati dalla minaccia d’invasione da parte della Germania nei confronti del loro paese che avrebbe come conseguenza l’approdo in Inghilterra delle loro divinità opprimenti e violente. Corto Maltese si ritrova coinvolto, più che all’interno di una guerra fra nazioni, al centro di una lotta fra gli spiriti inglesi e le antiche divinità teutoniche. Nel 1918 il marinaio approda in Francia, sulla Somme, dove si svolgono gli ultimi due capitoli della collana «Le Celtiche» ambientata sulle spiagge del Mare del Nord: Cotes de Nuits e Rose di Piccardia. Burlesca e no tra Zuydcoote e Bray-Dunes. Nel primo il marinaio si porta sulle rive della Somma, al fronte bellico franco-australiano/tedesco, al fine d’incontrare il suo vecchio amico Cain Groovesnore, ormai cresciuto e arruolato nella RAF. Una serie di circostanze fanno sì che egli assuma un involontario ruolo di rilievo nell’abbattimento di un famoso pilota di guerra e asso dell’aviazione tedesca, Manfred Von Richthofen (1892-1918), soprannominato il Barone Rosso. In Burlesca e no tra Zuydcoote e Bray-Dunes Corto smaschera una compagnia teatrale che agisce presso il reggimento di stanza a Zuydcoote, dove presta servizio Cain Groovesnore. Questa è in realtà costituita da spie tedesche le quali verranno eliminate. Poco dopo è la volta del primo episodio del ciclo «Le Etiopiche», Nel nome di Allah misericordioso e compassionevole, durante il quale il marinaio incontra Cush presso Turban, nello Yemen. Ad esso seguono L’ultimo 116


colpo (Somalia britannica), Di altri Romei e altre Giuliette (Etiopia) e Leopardi (Africa orientale tedesca). Da questo momento in avanti, Corto Maltese assumerà una statura letteraria via via più imperante e le vicende nelle quali sarà coinvolto diventeranno più “adulte” dal punto di vista contenutistico e narrativo. Dopo «Una Ballata del mare salato» e le altre avventure del marinaio l’unico luogo che la sua curiosità non ha ancora assaporato è l’Oriente. Il legame di Hugo Pratt con quest’emisfero, acquisito mediante le letture giovanili (ad esempio la serie «Terry e i pirati» di Milton Caniff, fanno da trampolino di lancio, a partire dal 1974 e per ben tre anni, ad un lavoro dedicato alla Cina: «Corte sconta detta Arcana». Dopo tante novelle, è la volta di un romanzo a fumetti lungo ben 177 tavole pubblicato su «Linus». È una storia particolare, ambientata tra il 1918 e il 1920, che narra delle intricate ed affascinanti vicende di Corto Maltese e Rasputin in giro per il mondo sulle tracce del treno che trasporta l’oro dello zar sullo sfondo della Rivoluzione. Il marinaio viene contattato dalle “Lanterne Rosse”, una società segreta cinese che vuole appoggiarsi a lui per poter portare a termine una missione in Siberia. Infatti esse sono interessate ad impadronirsi del tesoro imperiale russo che sta viaggiando sul treno blindato dell’ammiraglio Kolchak attraverso la Russia, dopo che se ne impossessa in nome del governo antirivoluzionario. Ma le Lanterne Rosse non sono le uniche ad essere interessate al tesoro: su di esso convergono anche le ambizioni di un signore della guerra, il generale Semenoff, capo della divisione selvaggia, e del barone von Ungern, un diretto discendente dei cavalieri teutonici stabilitisi in Estonia nel XII secolo. In seguito allo sterminio della sua famiglia durante la rivoluzione, egli si pone l’obiettivo di eliminare il Bolscevismo8 dall’Asia e proseguire poi con la riconquista della Russia e dell’Europa. Il territorio siberiano diviene così teatro di un sanguinoso scontro al fine d’impossessarsi dell’oro. Ma al termine di questa avventura il tesoro, dopo essere precipitato nel lago delle tre frontiere, grazie all’astuzia di Shangai Lil, verrà utilizzato per costru117


ire una centrale idroelettrica una volta recuperato dal governo del GuoMindang9, di cui usufruiranno la Russia, la Cina e la Mongolia. L’episodio si snoda tra Venezia e la Cina, la Manciuria, la Mongolia e la Siberia. L’importanza della città di Venezia si coglie sia nel momento in cui Corto ripensa improvvisamente, e del tutto senza motivo, ai versi di un poeta veneziano (e la pagina in cui viene raccontato rappresenta, nella pubblicazione su «Linus», un intero episodio a colori, segno della sua importanza) sia dal titolo stesso: “Corte sconta detta Arcana”. Esso rappresenta, in un certo senso, un piccolo indovinello che il fumettista indirizza ai suoi lettori. Infatti a Venezia (luogo in cui dovrebbe trovarsi la suddetta Corte) non esiste una Corte sconta. Hugo Pratt gioca con le parole, e con i suoi lettori, utilizzando un nome di fantasia per descrivere un posto realmente esistente a Venezia: la Corte Botera (sita nei pressi del Campo di SS. Giovanni e Paolo). L’autore si serve dei termini “Sconta” e “Arcana” per confermare tale “gioco”: il participio passato “sconto” (derivante dal dialetto veneziano) significa nascosto. Allo stesso modo “arcano” è un aggettivo che può voler dire: nascosto, misterioso, segreto, ignoto. Ogni mondo simbolico, tuttavia, necessita di una chiave particolare che consenta l’accesso alla sua conoscenza. Ebbene Hugo, forte della sua formazione pregressa, adotta il numero sette, quello della cabala ebraica, quello dei sette diavoli con i nomi incisi sulle sette porte e dà al suo protagonista il compito di aprirle per entrare nella misteriosa e magica “Corte sconta detta Arcana”: le porte possono condurre i veneziani in posti bellissimi e catapultarli addirittura in altre storie10. Probabilmente in questo racconto Corto Maltese non oltrepassa mai i confini veneziani perché la città può in verità trasformarsi in qualsiasi luogo: ecco che diviene la Cina sognata da Milton Caniff, la Cina dell’esotismo, la Cina del sogno di Corto Maltese11. Una vicenda di questo tipo resta chiaramente inverosimile nel mondo reale malgrado lo sfondo di eventi storici e la presenza di personaggi realmente esistiti. Nel 1921 Corto Maltese sarà protagonista della storia «Favola di Venezia» («Sirat Al Bunduqiyyah») che vede nel 1977 118


la sua pubblicazione su «L’Europeo». Essa rappresenta probabilmente una delle più interessanti avventure del marinaio dal punto di vista narrativo: egli è sulle tracce di un misterioso tesoro, la Clavicola di Salomone, un prezioso talismano magico con misteriose incisioni, proveniente dall’Oriente. L’avventura inizia con la descrizione di un inseguimento per i tetti di Venezia, quando Corto Maltese cade da un lucernario e a quel punto il registro della narrazione subisce un cambiamento divenendo quasi onirico. Il protagonista piomba in una riunione della Gran Loggia Massonica d’Italia, tiene un discorso assurdo con uno dei suoi componenti e conosce il mite quanto misterioso Bepi Faliero. Nel corso della notte, insieme a Faliero, Corto prende parte ad uno scontro con un gruppo di fascisti tra cui il bellicoso Stevani, ed incontra personaggi come il poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio (18631938) e la matematica, astronoma e filosofa greca Hipazia12. In «Favola di Venezia» Hugo Pratt decontestualizza da Alessandria sia il personaggio di Hipazia che quello del padre Teone e li trasferisce nella Venezia dei primi decenni del ‘900, sotto la veste di due studiosi di esoterismo ai quali il marinaio si rivolge per ottenere informazioni. La giovane Hipazia assume i tratti della cantante Patty Pravo (1948) da cui il fumettista prende spunto. Il marinaio però viene accusato di tentato omicidio e ciò mette a repentaglio la sua vita. Nel frattempo Corto Maltese è a conoscenza di un indovinello inviatogli da Baron Corvo, pseudonimo dello scrittore inglese Frederick Rolfe13 (1860-1913), insieme ad una lettera la cui soluzione svela il nascondiglio del prezioso smeraldo: la Corte di Venezia. A complicare ulteriormente la situazione è una sorta di Genio della lanterna magica di Aladino, che rassomiglia a Rasputin, rinchiuso all’interno di un recipiente sigillato con lo stemma del Leone di San Marco. Il genio dice di chiamarsi Saud Khalula e manifesta stanchezza nel disegnare: probabilmente è lo stesso autore che si traveste da Genio della lampada al fine d’interloquire con il suo personaggio. La scelta di adottare Venezia come ambientazione non è casuale. La storia della Clavicola di Salomone è legata 119


all’apostolo Simon Pietro e a San Marco Evangelista: secondo tale leggenda, dopo tante vicissitudini, lo smeraldo viene riportato a Venezia insieme alle spoglie di San Marco, patrono della città. La ricerca del talismano diventa anche un viaggio iniziatico nella Venezia d’inizio Novecento, tra logge massoniche, sette religiose e confraternite filosofiche. Il tema della magia è dunque centrale all’interno della vicenda: lo confermano il titolo e il finale di shakespeariana ispirazione. Tra il 1921 e il 1922 Corto parte per Rodi alla ricerca di una mappa nascosta da Baron Corvo per trovare il tesoro di Alessandro Magno, tra il confine sovietico e quello persiano, vicino all’inespugnabile e pericolosa prigione dov’è recluso Rasputin. È l’inizio del racconto «La Casa Dorata di Samarcanda» dal nome della prigione così chiamata perché, secondo un vecchio adagio, l’unico modo per sfuggirvi sono “i sogni dorati provocati dall’hashish”. Il tema del “sogno” è legato a quello della “fuga”: anch’esso è una finestra aperta su altri orizzonti ai quali è possibile accedere una volta alienati dai mali del mondo terreno. In questa vicenda si crea una sovrapposizione tra un percorso narrativo rivolto verso un oggetto di valore pratico (il rinvenimento del tesoro) ed un oggetto di valore utopico (l’amico prigioniero). Tali valori indicano due categorie: quella del materialismo (valori individualisti) e quella dell’idealismo (valori universali). Il viaggio verso est (Rodi) è sintomo dell’abbandono dei valori materiali per giungere alla riscoperta di quelli utopici/ideali, primo fra tutti l’amicizia a cui il marinaio è fortemente legato (troverebbe amici anche all’inferno). Corto Maltese si ritrova implicato in un gruppo di estremisti turchi e in un inquietante sosia, identico nei tratti fatta eccezione per le basette e per l’orecchino d’oro: l’ufficiale Timur Chevket14. Il marinaio però fugge da un sogno (e da se stesso) e ciò causa la scomparsa del sosia dalla storia un attimo prima del loro incontro. Dal punto di vista storico “il doppio” rappresenta l’Oriente che vuol diventare Occidente. Malgrado lo spazio della narrazione sia compreso tra Rodi, colonia italiana, e Kabul, protettorato inglese (un mondo in cui l’Occidente domina l’Oriente) 120


l’ombra nera di Corto Maltese riflessa dalle fiamme su una roccia, rappresenta tale volontà di dominio sul personaggio che Pratt descrive appositamente con un tratto sfumato verso il bianco che ne evidenzi lo stato di sottomissione. A giugno del 1910 Corto, dopo quindici anni, ritorna in Argentina e lì si dipana l’episodio «Tango». Il protagonista si trova a Boca, un sobborgo di Buenos Aires, presso il fiume Riachuelo, fra immigrati italiani, marinai, ladri e ballerini di tango. Lì egli inizia le ricerche per ritrovare un’amica scomparsa, Louis Brookszowyc (già apparsa in «Favola di Venezia»), ma s’imbatte con influenti società che operano al limite della legalità come la polacca Warsavia15. Corto scopre che ella è in qualche modo coinvolta in questo giro malavitoso e per tale ragione gli affida l’incarico di portare la figlia di tre anni al riparo a Venezia. La conoscenza della città consente all’autore, seppur con tono melanconico, di ricostruire fedelmente luoghi e ambienti, nonché di utilizzare il “lunfardo”, gergo degli emigrati e della malavita. Alcune tavole della storia per costruzione e narrazione delle scene possono considerarsi dei veri e propri capolavori. Nel 1924 è il turno di un altro ciclo «Le Elvetiche» di cui fa parte il racconto Rosa Alchemica, ambientato in Svizzera luogo in cui il protagonista incontra il dott. Steiner e il noto scrittore Hermann Hesse (1877-1962). Gli elementi poetici ed onirici sono accentuati dal tratto acquarellato dei disegni di Pratt che appare impalpabile come un sogno. Il titolo Rosa Alchemica si riferisce al dono che Corto Maltese devolve ad una ragazzina di quindici anni: un vestito color rosa di Thuringia. Tale colore non esiste in commercio poiché riguarda una sfumatura che si ottiene formulando una particolare parola magica, “alchemica”. L’ultima storia (romanzo a fumetti) in cui s’imbattono Corto Maltese e l’amico, nonché compagno di avventura, Rasputin è «Mu»: qui i due avventurieri ricevono un telegramma da parte di Levi Colombia che li guiderà alla ricerca di Atlantide e al continente perduto di Mu. In questa storia il tratto dell’autore, da fitto e realistico qual era, diventa completa121


mente onirico e rarefatto. Inoltre si respira un’atmosfera da “ricerca del tempo perduto” chiaro riferimento allo scrittore Marcel Proust16. Il tema del continente perduto, invece, prende sicuramente spunto dai Dialoghi di Platone in cui è descritta Atlantide. Tra le vignette riecheggiano altri riferimenti alle opere l’Odissea di Omero e la dantesca Divina Commedia. Dal 1926 al 1936 Pratt non fa pervenire più alcuna notizia ai suoi lettori riguardo la vita di Corto Maltese: probabilmente in quegli anni il marinaio si trova ad Harar, in Etiopia, terra di Arthur Rimbaud (1854-1891), insieme al romanziere Henry de Montfreid (1879-1974) e al paleontologo e teologo Teilhard de Chardin (1881-1955). Nel luglio 1936, data d’inizio del conflitto civile spagnolo17, Corto si arruola nelle Brigate internazionali e da quel momento finisce la parabola del personaggio che si volatilizza nel nulla18. Solo la lettera, scritta da Pandora, rivelerà che Corto, ormai anziano, vive insieme a lei. A parlarci della professione di Corto Maltese è sin da subito il suo look: divisa da capitano, orecchino d’oro ad anello sull’orecchio sinistro, e berretto; è proprio la posizione in cui si trova l’orecchino a rivelarne l’appartenenza alla Marina Mercantile Inglese: gli abiti spesso raccontano le funzioni svolte dai personaggi; infatti se lo portasse a destra apparterrebbe a quella militare. L’orecchino è inoltre simbolo di anarchia, segno di rifiuto verso il nazionalismo e le religioni imperanti agli inizi del Novecento. Le altre componenti del vestiario rimandano a Burt Lancaster (1913-1994), beffardo marinaio colonialista nel film His majestic O’Keefe (Il Trono nero, 1954) di Byron Haskin (1899-1984). Lì Burt è legato mani e piedi su una zattera19 come Corto all’inizio della sua prima avventura, «La ballata del mare salato», fra Papua e le isola Salomone. In almeno due momenti di quella pellicola Lancaster veste la divisa che indosserà Corto. La professione di marinaio è non a caso una tra le più romantiche e permette all’autore di narrare a briglia sciolta tante 122


avventure: l’uomo di mare è più libero rispetto ad un aviatore che dipende troppo dal suo aereo; una barca inoltre rappresenta un universo che racchiude una moltitudine di persone. L’attività di Corto Maltese allude a quella del “pirata di altri tempi” ma Hugo Pratt suole definirla con l’espressione di “gentiluomo di fortuna”20. Il fumettista crea un pirata lungi dall’accezione del termine; non spietato, che si dedica al contrabbando e al traffico d’armi solo nel caso in cui questi non vengano utilizzati per ledere il prossimo. Alla stregua di un pirata, di contro, il marinaio si mostra cinico, menefreghista ed egocentrico. Tale aspetto del suo carattere lo sottolinea in prima persona, già nella «Ballata», quando narra a Pandora l’episodio durante il quale traccia la linea della fortuna sul palmo della sua mano sfidando il destino (vedi supra)21. Correndo lungo le disparate avventure del personaggio prattiano affiora una doppia anima: dietro alle ostentazioni di superiorità, durezza e disimpegno egli cela una natura romantica contraddistinta da un senso di lealtà e solidarietà umana da indirizzare anche ai nemici (ad esempio l’estremo tentativo, in La conga delle Banane, di salvare Venexiana Stevenson, caduta in acqua sotto i colpi del mitra proprio mentre lo minaccia di morte). La vita per Corto Maltese, infatti, è un valore inviolabile ed ogni delitto è ingiustificato (ripete spesso frasi del tipo “Che bisogno c’era di farlo fuori?”) salvo quando si tratta di difendere la propria esistenza: in quelle circostanze uccide senza alcuna remora. Egli incarna il prototipo dell’avventuriero del XX secolo abituato a scontrarsi continuamente con l’incoerenza degli organi politici e militari. Le avventure, seppur intrise di un velo di mistero, di conseguenza si mantengono sempre in simbiosi col contesto storico e politico in cui vive il protagonista. Egli infatti rimane spesso coinvolto in guerre e movimenti rivoluzionari di liberazione e puntualmente si schiera a favore degli oppressi 22. La vita del marinaio è continuamente orientata verso la ricerca di tesori perduti, i quali non collimano affatto con l’oro bramato dai pirati dei galeoni sommersi. Il tesoro rappresen123


ta l’alibi che puntualmente permette al protagonista di vivere meravigliose avventure. Pertanto costui, giunto all’epilogo di ogni vicenda, sceglie di ripartire nuovamente verso l’altrove anteponendo costantemente alla ricchezza valori a lui cari come la libertà e la fantasia: si definisce un moderno Ulisse in grado di farci esplorare i luoghi più affascinanti del mondo23. Omero rimane per l’appunto il massimo riferimento letterario. L’obiettivo primario, quindi, non è quello di rinvenire il tesoro ma concepirlo come quel sogno in grado di accendere il fuoco della vita di ignote e brillanti fiamme24. Per tale ragione Corto Maltese affronta i suoi viaggi in modo razionale e si definisce un cacciatore di tesori disincantato: di fronte alla loro romantica perdita, quello che realmente desidera trovare è se stesso: si lascia sfuggire dalle mani le cose che conquista così regolarmente tanto da generare il sospetto che sia proprio lui a farsele scappare . In Favola di Venezia, ad esempio, il marinaio può scovare lo smeraldo legato alla storia della città solo dopo aver risolto l’indovinello dello scrittore inglese Frederick Rolfe (soprannominato Baron Corvo, 18601913). Egli però viene raggirato attraverso un messaggio e, invece di andare su tutte le furie, esordisce: «Ci ha regalato comunque una meravigliosa avventura». Corto Maltese è un antieroe: non s’identifica più nella voglia di vincere a tutti i costi ma minimizza il senso della vittoria e della sconfitta. Ad affascinare il lettore è proprio la sua imperturbabilità di fronte alle situazioni: egli reagisce alla violenza mostrando una flemma e una lucidità ascrivibile ad un qualsiasi spettatore, non ad un protagonista, estraneo a quel che accade intorno a lui25. Il marinaio è attento ai risvolti psicologici della gente e assume, il più delle volte, un atteggiamento pragmatico che fa presagire al lettore quanto egli conosca già la natura umana. Corto non rivela i suoi stati d’animo, rimane discreto: come il suo creatore non ama parlare molto di sé e delle sue esperienze ma preferisce ascoltare gli altri. Tale peculiarità rappresenta un aspetto assai raro nella narrativa a fumetti. L’ambiguità insita nella personalità del personaggio prattiano viene risolta in un tratto caratteriale tipico del Mediterraneo: l’i124


ronia. Codesta qualità, scelta non a caso dal suo creatore al fine di dialogare con un pubblico più colto e smaliziato, permette a Corto di sdrammatizzare anche nei momenti di pericolo. Egli sfrutta l’ironia addirittura come scudo da sollevare nel caso in cui senta la necessità di un momento di solitudine che gli permetta di partorire le sue riflessioni lontano da occhi indiscreti. In quell’istante traboccano i sentimenti più reconditi e si ha la percezione che abbandoni la condizione di semplice marionetta cartacea divenendo un uomo a 360°, con pregi e difetti. Il nome del marinaio somiglia ad uno pseudonimo: in spagnolo argot vuol dire “svelto” e ciò fa riferimento al suo essere impulsivo. Hugo Pratt lo sceglie prendendo spunto da Jimmy Lea, personaggio della serie «Sergente Kirk» da lui ideata, su testi di Oesterheld, e da Kurtz, personaggio del romanzo di Joseph Conrad Cuore di Tenebra26. Il cognome, invece, rievoca il romanzo Il Falcone Maltese27 di Dashiell Hammett (1894-1961). Corto Maltese, dunque, è il risultato di una moltitudine di caratteri e psicologie grazie alle quali ogni lettore può riconoscersi in lui. Hugo Pratt cura particolarmente anche la costruzione dei personaggi secondari poiché essi conferiscono consistenza e credibilità ai racconti: al fine di dare coerenza alle stranezze dei personaggi spesso si confronta con un amico psicologo, il dott. Oscar Masotta (1930-1979), fortemente appassionato di fumetto, il quale fa parte del suo gruppo di amici e autori. A tal proposito all’interno della saga di «Corto Maltese» un’altra figura, di grande spessore, legata ad uno specifico ruolo narrativo è quella dell’amico nonché pirata Rasputin (fig.28), le cui fattezze corrispondono al leggendario ed omonimo “monaco nero”28 di Russia. Egli è figlio di un sarto da donna (Rasputin spesso sostiene che si tratti di un principe russo) e di una ballerina di San Pietroburgo che morì nel darlo alla luce dopo l’esilio per meretricio in Siberia orientale. Il personaggio ricorre più volte sulla strada di Corto Maltese e, nella fattispecie, rappresenta il deuteragonista29, al tempo stesso antagonista e alter ego, partner ideale necessario per conferirgli valore30. Rasputin appartiene ad un piano diametralmente opposto a 125


quello romantico di cui fa parte l’amico: se il marinaio maltese mostra un cinismo che alla fine dei conti si rivela essere fittizio, egli, dal canto suo, ostenta con fierezza la vera indole di un sadico e spietato assassino31. La tendenza del ricorrere alla violenza in ogni situazione entrerà spesso in contrapposizione con la dottrina di Corto Maltese. Anche l’atteggiamento di Rasputin nei confronti delle donne lo situa agli antipodi rispetto alla galanteria espressamente romantica di Corto: violento, aggressivo, rozzo e volgare. La causa dell’instabile personalità del pirata, tuttavia, va ricercata all’interno di un altalenante sentiero di vita: dopo la morte della madre viene cresciuto da una prostituta di Nicolaevsk. In «Corte Sconta detta Arcana» egli proferisce a Corto confidenze in merito al suo passato ma per discrezione desiste rapidamente a quel momento di apertura. Rasputin mostra svariati scatti d’ira alternati da momenti di forte sconforto32 ed è affetto da un rilevante complesso edipico33 nei riguardi dell’amico: Pratt lo risolve mediante il processo d’identificazione che, secondo studi psicologici, porta il bambino a considerare il genitore come un modello da seguire e imitare. Effettivamente, all’inizio della saga, tra lui e Corto esiste una forte ostilità poiché i loro interessi convergono34 mentre più avanti, quando Rasputin dopo due anni di assenza ritorna a far parte del cast di gentiluomini di fortuna creati da Hugo Pratt, il loro rapporto appare più equilibrato e, da non sottovalutare, soprattutto più ironico35. Egli, infatti, attraverso i sogni del marinaio guarda oltre i propri limiti interiori. Il rispetto che il pirata nutre nei confronti del marinaio è di certo contraccambiato. Per tale ragione rientra a far parte dei personaggi importanti della saga rappresentando la parte più oscura e irrazionale che lo stesso Corto Maltese desidera tenere a bada ma dalla quale non riesce mai a distaccarsi. Rasputin è chiaramente un individuo bisognoso d’aiuto, profondamente segnato dalle esperienze passate e risultato di una vita totalmente discorde da quella del compagno d’avventure. Hugo Pratt, infatti, serba al suo protagonista una sorte del tutto vantaggiosa: è un uomo bello, colto e con una madre la quale, malgrado la professione, risulta es126


sere un genitore esemplare in grado di prendersi cura del figlio e di trasmettergli un’educazione e una mentalità sgombre da ogni infruttuoso pregiudizio. In una visione ordinaria il ruolo della madre consiste nel forgiare l’indole del proprio figlio in modo da addestrarlo alle dinamiche dei rapporti umani sulla base di valori etici e morali. La sua mancanza, in tale prospettiva, quindi, non può far altro che arrecare al bambino gravi disturbi: Rasputin ne è l’esempio tangibile. La madre non lo plasma né educa al rispetto verso gli altri e, per tale ragione, egli cresce con la smania di stringere a tutti i costi rapporti con le persone, ignaro che l’amicizia sia un valore inacquistabile. Il padre, a sua volta, senza il sostegno della moglie produce unicamente disastri. All’interno della serie prattiana, in definitiva, le madri fungono da perno e culla di valori positivi della vita mentre i padri, come già detto in precedenza, sono spesso assenti. In generale, la figura della madre rappresenta un originale e raro archetipo da riscontrare all’interno di un fumetto. Hugo Pratt colloca la maternità al vertice della piramide dei valori come fondamentale strumento di salvezza dai mali del mondo36. Un dato alquanto curioso riguarda la scelta dell’autore di ricorrere a madri/prostitute (quella di Corto, di Rasputin, Louise Brooksowic) trasferendo probabilmente sui suoi personaggi di carta alcuni aspetti della propria genesi. Corto Maltese ha due madri: la Nina de Gibraltar e Venezia. Alla prima lo lega, come già detto in precedenza, quel senso di gratitudine derivante dall’averlo reso colui che è; la seconda, invece, rappresenta l’unico luogo magico capace di rigenerare il suo spirito ogni qual volta ne sente il bisogno37. Nonostante il continuo peregrinare, il marinaio, torna puntualmente a Venezia perché lì si sente accolto e al sicuro quanto un bambino nel tepore del ventre materno38. All’interno dei fumetti la presenza di una città, con la sua cultura, non ha mai avuto tanto spessore. Il fumettista è profondamente legato a Venezia e, all’interno delle sue storie la racconta sotto una luce universale: i polinesiani, sin dalla «Ballata del mare salato», parlano il dialetto veneziano oltre a utilizzare cognomi tipici (Venexiana Stevenson). Della città figura sia la parte nobilia127


re, con i suoi monumenti celebri come il palazzo ducale, San Marco e il famoso campanile, che quella ordinaria accompagnata dal quotidiano transito delle gondole laddove i palazzi si specchiano nelle acque. Ogni vicenda perderebbe sicuramente di significato senza la presenza di questi elementi. La rivista «Corto Maltese» nasce ufficialmente nel 1983 (chiude nel 1993) , diretta da Fulvia Serra per la Rizzoli/Milano Libri. Inizialmente avrebbero dovuto parteciparvi, in qualità di collaboratori di Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Milo Manara e Guido Crepax, ma alla fine i tre rimasero solo ospiti fissi della testata. In parte ispirata al bel mensile «A Suivre» dell’editore franco-belga Casterman, «Corto Maltese» è stata la più ricercata tra le testate di fumetto d’autore in Italia, affiancata dai migliori collaboratori tra i nomi del fumetto, dell’illustrazione e della letteratura. La pubblicazione dei racconti del marinaio in genere è governata da due case editrici: Casterman per la Francia e Rizzoli Milano Libri39 per l’Italia. Essa riguarda altresì la Lizard edizioni40 che in seguito verrà assorbita dal gruppo RCS41 di cui, nel 2000, farà parte anche Casterman. La saga di «Corto Maltese», a differenza dei fumetti coevi, è narrazione “autobiografica”: spesso figurano soggetti conosciuti realmente dall’autore o esperienze da lui vissute. I personaggi caratterizzanti le avventure di Hugo Pratt, comunque, fantastici o realmente esistiti, nel complesso, possiedono verosimilmente un esclusivo spessore umano. Il bel marinaio prattiano intrattiene rapporti diversi con le donne che incrociano il suo cammino: femmine in carne e ossa, sognate o incontrate realmente dal disegnatore su isole lontane, nelle quali s’ individuano componenti psicologiche e materiali. Tra il gentil sesso ad imbattere via via la strada di Corto Maltese vediamo: Morgana, Soledad Lokaarth, Hipazia, la prostituta Esmeralda, la polacca Louise Brooksowic, Java, l’avventuriera Venexiana Stevenson, Marina Seminova, la rivoluzionaria cinese Shangai Lil, Pandora Groovesnore, l’irlandese Banshee O’Danaan, la sacerdotessa Bocca Dorata. Durante l’intera saga, però, la donna resta solo un’im128


magine inafferrabile per il protagonista. Egli preferisce restare prudente poiché legarsi sentimentalmente a qualcuno avrebbe comportato l’epilogo delle sue avventure: la fine del viaggio di Corto Maltese ne provocherebbe la morte. Tuttavia, l’eccezione alla regola si manifesta nel momento in cui Hugo Pratt narra dell’esistenza di una donna ideale, senza nome, che il marinaio custodisce continuamente dentro di sé42. Al lettore non è dato sapere l’identità di questa donna misteriosa capace d’incupire il cuore del protagonista esortandolo sempre alla fuga: ricercare nuove avventure, in definitiva, aiuta a lenire il proprio dolore. Ma lo scopo di Corto non riguarda semplicemente l’esplorazione di luoghi lontani quanto l’essenziale ricongiungimento a sé (vedi supra). Corto Maltese rappresenta, per più di una generazione di appassionati di fumetti, l’accesso al chimerico mondo dell’avventura e grazie alle sue caratteristiche finirà col diventare un personaggio immortale. La sua esistenza si dissolve dentro un alone di magia e mistero e Pratt ne spiega così la ragione: «Corto non morirà; se ne andrà perché in un mondo dove tutto è elettronica, dove tutto è calcolato, tutto è industrializzato, è consumo, non c’è posto per un tipo come lui. Lui non accetta questo mondo, questa vita. Ama andarsene e se ne avrà voglia è giusto in quel momento lasciarlo andare perché è un amico e se non ha voglia di stare qui con noi avrà i suoi motivi»43.

Il mondo odierno guidato dalla tecnologia e da considerazioni economiche legate al guadagno e al profitto non appartiene agli interessi del protagonista prattiano. Egli vive in un mondo dove nulla viene deciso a priori e dove bisogna espletare continuamente delle scelte. Sin dalla «Ballata», il fumettista fa intendere che il suo protagonista morirà cieco in seguito alla guerra di Spagna a Vina del Mar44. La morte dell’autore, in fondo, non inficia con la completezza del suo personaggio del quale aveva già compiutamente svelato la maturità. Attualmente il suo ricordo perdura, sopravvivendo all’interno di quella piccola nicchia di cui fanno parte i personaggi immortali, dentro l’anima di coloro i quali sono ancora disposti a sognare. 129


1. Lo Zōhar (Sēfer ha-Zōhar, ovvero “Libro dello splendore”) è considerato sacro dai seguaci della Cabala giudaica, per i quali è una delle fonti principali della dottrina religiosa, accanto alla Bibbia e al Talmūd. Nella forma in cui ci giunge è un’opera composita, risultante di parti assai diverse fra loro. La parte principale e fondamentale è una specie di midrāsh sul Pentaieuco, che si presenta come opera dell’antico dottore Shim‛ōn ben Yōḥay (sec. II d. C.), ma che in gran parte segue, più che le forme del midrāsh antico, quelle dell’omiletica medievale. Esso prende occasione dalle parole del testo biblico per esporre, senz’alcuna cura di ordine sistematico, i pensieri e le concezioni della Cabala. Intrecciati con questa parte principale troviamo altri elementi, fra cui sono particolarmente notevoli: a) il Midrāsh ha-Ne‛lām (Midrāsh segreto) e i Sitrē ha-Tōrāh (Segreti della Torāh), composizioni parallele alla parte principale, su diversi passi del Pentateuco, contenenti specialmente un’interpretazione della storia dei patriarchi come allegoria filosofica della sorte dell’anima umana prima e dopo la morte; b) la Idrā rabbā (Grande assemblea) e la Idrā zūṭā (Piccola assemblea), descriventi la figura mistica della divinità, simboleggiata in quella dell’”uomo originale”; c) il Ra‛yā mehēmnā (Pastor fido), che presenta Mosè intrattenentesi con Shim‛ōn ben Yōḥay intorno ai motivi misteriosi dei precetti divini; d) i Tiqqūnīm (propriamente “ordinamenti”, qui nel senso di “esplicazioni”), esposizione della prima pericope della Genesi; e altri. La lingua di tutti questi testi è aramaica. Diffuso nel sec. XIII per opera di Mōsheh de León, lo Zōhar fu subito sospettato di essere una falsificazione di questo scrittore; e tali sospetti furono ritenuti fondati dalla critica del sec. XIX. Nella critica più recente si è fatta strada, per contro, l’idea che lo Zōhar, pur essendo stato redatto in gran parte nel sec. XIII, contenga anche alcuni strati assai antichi, e che la paternità di Mōsheh de León sia probabilmente da escludersi. Ma ultimamente (1935) lo specialista più competente in materia, G. Scholem, che aveva prima aderito al nuovo atteggiamento della critica, ha esposto il suo convincimento finale che vi siano nello Zōhar strati antichi, che gli anzidetti testi c) e d) siano stati composti fra il 1290 e il 1300, e che la parte principale, con i testi a) e b) e con i più dei testi minori, sia stata composta fra il 1260 e il 1280 da un solo autore, probabilmente Mōsheh de León, il quale avrebbe dato ai suoi scritti carattere pseudo-epigrafico, attribuendoli a Shim‛ōn ben Yōḥay non per altro scopo che per quello di fare scomparire la sua personalità di fronte alle dottrine che a lui premeva diffondere. V.: http://www.treccani.it/enciclopedia/zohar_(Enciclopedia-Italia130


na)/ 2. La Cabala (ebr. qabbālā) riguarda il complesso delle dottrine mistiche ed esoteriche ebraiche su Dio e l’universo, che si asserivano rivelate a un numero ristretto di persone e tramandate da generazione in generazione. In tale accezione il termine è usato non prima del 13° sec. (da Isacco il Cieco). Si possono distinguere nella Cabala: una letteratura mistica in senso stretto, che tratta principalmente dell’esperienza diretta del divino e del conseguimento dell’unione con Dio attraverso tecniche varie (tra le quali ha particolare rilievo la kawwānāh, che è una forma di concentrazione meditativa), una letteratura più propriamente iniziatica (non sempre distinta dalla prima), in cui l’accento è posto sul carattere segreto ed elitario degli insegnamenti e dei riti; e, infine, una letteratura a carattere magico e occultistico. Gli stessi cabalisti hanno sentito la necessità di distinguere una Cabala “speculativa” e “teoretica” da una Cabala “pratica” o “teurgica”. V.: http://www.treccani.it/enciclopedia/cabala/ 3. All’inizio del 1904 i contrasti tra Russia e Giappone per il predominio in Asia Orientale giunsero a un punto di tensione che lasciava prevedere lo scoppio delle ostilità. Dopo un infruttuoso scambio di note diplomatiche, i Giapponesi, forti dell’appoggio della Gran Bretagna e degli USA, senza previa dichiarazione di guerra attaccarono la flotta russa a Port Arthur l’otto febbraio del 1904. Il I maggio successivo batterono i Russi sul fiume Yalu, costringendoli alla ritirata e alla fine del mese assediarono Port Arthur; il 10 agosto affondarono gran parte della flotta zarista di stanza in quel porto e quattro giorni più tardi anche quella di Vladivostok. Infine attaccarono i Russi sulla terraferma, sconfiggendoli presso Liaoyang (24 agosto - 4 settembre). Dopo la resa di Port Arthur (2 gennaio 1905), l’esercito zarista subì una serie di sconfitte culminate nella disfatta di Mukden (10 marzo) e fu costretto a una rapida ritirata verso il nord. Intanto il governo russo, non potendo utilizzare la flotta del Mar Nero a causa delle convenzioni internazionali che vietavano alle navi da guerra il transito attraverso gli Stretti, inviò in Estremo Oriente la flotta del Baltico. Il 20 maggio la flotta russa entrò nel Mar Orientale della Cina e il 27 nello stretto di Tsushima subì una drastica sconfitta che pose fine alla guerra. Con il trattato di pace di Portsmouth (5 settembre 1905) la Russia riconosceva la preponderanza giapponese in Corea, cedeva al Giappone l’affitto sulla penisola del Liaodong, con le basi di Dairen e Port Arthur, e la parte meridionale dell’isola di Sachalin. V.: http://www.treccani.it/enciclopedia/guerra-russo-giapponese/ 4. «Le Matin» è una testata condivisa da alcuni giornali francofoni: 131


«Le Matin» quotidiano della Svizzera francofona, «Le Matin» quotidiano privato algerino, «Le Matin du Sahara et du Maghreb» quotidiano marocchino, «Le Matin» giornale senegalese.« Le Matin» è stata anche la testata di alcuni giornali oggi chiusi come: «Le Matin» giornale francese fondato nel 1884 e chiuso nel 1944, «Le Matin de Paris» quotidiano francese fondato nel 1977 e chiuso nel 1988, «Le Matin», giornale belga chiuso nel 1998. V. : http://it.wikipedia.org/wiki/Le_Matin 5. D. Petifaux, Hugo Pratt. All’ombra di Corto, Rizzoli, Milano, 1992. 6. V.: http://www.cortomaltese.org. 7. Gli anni Trenta abbondano di fumetti i cui personaggi veleggiano dalle parti dei mari del sud : vedasi «Terry e i pirati» e «Ming Fu». 8. Il Bolscevismo è un movimento politico russo, nato nel 1903 all’interno del Partito operaio socialdemocratico russo ad opera di Vladimir Lenin (1870-1924), le cui posizioni risultarono maggioritarie al congresso di Londra del POSDR rispetto a quelle di Julius Martov (1873-1923, leader dei menscevichi). Le due principali correnti rivoluzionarie russe, unite dall’analisi marxista sulla centralità del ruolo politico del proletariato di fabbrica, si dividevano profondamente sui programmi d’azione, in particolare sul problema organizzativo. Per Lenin il partito doveva essere formato da rivoluzionari di professione, che si dedicavano a tempo pieno all’attività politica, e avere una struttura ristretta, compatta e disciplinata. Questa concezione fu l’elemento costitutivo del Bolscevismo: il partito (l’autentico depositario della coscienza di classe operaia e dei suoi interessi reali) doveva essere in grado di fornire programma, tattica, strategia e strumenti organizzativi a un proletariato altrimenti destinato a disperdere le proprie energie in rivendicazioni o rivolte senza alcuna prospettiva politica. Queste idee entrarono a far parte del dibattito del movimento operaio internazionale e assunsero un ruolo importantissimo quando, nel 1917, si dimostrarono le più adeguate per la conquista del potere politico in Russia. Da allora furono un costante punto di riferimento per i partiti comunisti di tutto il mondo e della Terza Internazionale. Nella sua concreta espressione politica nel partito russo, il Bolscevismo non fu un corpo monolitico, essendo diviso (almeno fino al 1921, quando vennero proibite le fazioni) in correnti e gruppi; nella sua veste ideologica divenne, invece, una sorta di “principio universale” cui tutte le organizzazioni operaie dovevano ispirarsi. In realtà il Bolscevismo era nato come applicazione creativa del Marxismo alle condizioni particolari della Russia (e in rottura 132


con la tradizione della socialdemocrazia). Esso, infatti, da un lato si collegava alla tradizione del populismo utopistico russo e al suo giacobinismo cospirativo; dall’altro teneva conto dell’inesistenza nello stato zarista di una borghesia imprenditoriale e affidava allo stesso proletariato il compito di modernizzare un paese che non aveva conosciuto le rivoluzioni liberali che il capitalismo industriale aveva portato con sé nell’Europa occidentale. V.: http://www.pbmstoria.it. 9. Il GuoMindang è il primo partito politico nazionalista cinese (o Partito Popolare della Cina) organizzato con criteri moderni tra i Cinesi in patria e all’estero. Nasce nel 1904 per opera di Sun Zhongshan che ha l’obiettivo di trasformare la Cina in senso nazionale-democratico-sociale. Il partito vince le elezioni del 1912, dopo la vittoria repubblicana, e l’anno seguente verrà estromesso dal potere ad opera di Yuan Shikai. Nel 1924 esso subisce un’effimera evoluzione in senso comunista, dopo la scissione tra la Cina comunista e quella nazionalista, s’identifica con l’azione conservatrice di Jiang Jieshi. Il GuoMindang dal 1949 al 1992 sarà partito unico al potere a Taiwan. V. : http://www.treccani.it/enciclopedia/guomindang/ 10. «Provate a camminare senza una meta precisa per le calli e le corti di Venezia, tra muri alti, vicoli ciechi, ponti e canali. Avrete l’impressione di trovarvi in un ambiente in cui il tempo e il caso possiedono una dimensione particolare, diversa da quella normale che caratterizza il tempo e il caso di tutti gli altri luoghi del mondo». Barbieri 2012, cit., pp. 146-147. 11. Potremmo aggiungere a questa lista anche la Cina del Marco Polo del romanzo Le città invisibili di Italo Calvino, ugualmente veneziana e favolosa. Cfr. Italo Calvino, Le Città invisibili, Einaudi, Torino 1972. 12. Figura femminile di ascendenza letteraria: il personaggio deriva da Ipatia un romanzo intriso di metafisica dello scrittore Charles Kingsley (1819-1875). Rappresentante la filosofia neo-platonica pagana (350 d. C.-415 d. C.), muore per mano dei cristiani e diviene martire del paganesimo e della libertà di pensiero. 13. Nel fumetto riecheggiano le atmosfere magiche e misteriose del romanzo di F. Rolfe, ambientato a Venezia, Il desiderio e la ricerca del tutto. La figura letteraria di Frederick Rolfe/Baron Corvo ritornerà in «La Casa Dorata di Samarcanda».

133


14. «Mia madre raccontava che quando qualcuno incontra il suo doppio è un presagio di morte… Per tutti e due o per uno soltanto… Dovrò stare in guardia, mia madre era infallibile nel predire». La stessa indovina Cassandra, che lo ospita a Rodi in quei giorni, legge nei fondi del caffè amaro il suo futuro: «Si direbbe che uccidi te stesso, ma non è un suicidio». Pratt a) 1996, p. 72. 15. Noé Traumann arrivò da Genova a Buenos Aires il 3 novembre del 1898 a bordo della nave Sirio. Alcuni anni dopo, nel 1906, la Sirio affondò, schiantandosi su uno scoglio di fronte alle coste della Spagna, mentre Traumann, nel maggio di quello stesso anno, fondò la sua società di mutuo soccorso fra prosseneti russi e polacchi, e la chiamò Warsavia. Lo scopo era creare piccoli bordelli organizzati come attività culturali e sociali che mantenevano perfino una contabilità trasparente, ma dietro il paravento legale si celava la vera e proficua attività clandestina che godeva dei favori di poliziotti e politici corrotti. Nella metà degli anni venti la Warsavia arrivò a contare trecento ruffiani che controllavano tremila bordelli e cinquemila ragazze. La sede era in Calle Cordoba 3280, in un bel palazzotto di due piani con il giardino, la sinagoga, una salone per le feste, un bar e un ristorante. Nel 1927 Albert Londres (1884-1932), uno dei più famosi e moderni giornalisti francesi, descrisse il regime di terrore e miseria della “tratta delle bianche” gestita dai ruffiani ebrei polacchi. Nel 1929, dopo le proteste del console, la società dovette cambiare nome per non infangare quello della capitale polacca e la scelta cadde su Zwi Migdal, da uno dei primi presidenti o, forse, perché in yiddish significa “grande forza”. A Buenos Aires quasi ogni ebreo polacco gestiva le sue ragazze senza curarsi del discredito che arrecava all’intera razza ebrea. Poco a poco i prosseneti furono allontanati dai luoghi di riunione e di culto, fu vietata loro la sepoltura nel cimitero ebraico e vennero additati come theyim, “gli impuri”. Questo Traumann non lo poteva sopportare. Prima della fine della sua organizzazione, e della morte per cancro in Uruguay, egli acquistò un’area circoscritta del cimitero di Avellaneda, appositamente riservata alla sua gente. Oggi quella parte del cimitero è chiusa, ma se si riesce ad aprire la porta in ferro là dietro c’è uno sfacelo quasi metafisico. Le pietre tombali sono aperte e le erbacce invadono ogni cosa, ci sono tracce di fuochi e cocci di bottiglia rotte sparsi in giro, si cammina alla cieca, sperando di non finire in una tomba, le scritte sono consumate e le fotografie staccate o spaccate, i cadaveri sono stati frugati e spogliati di gioielli e denti d’oro. Se potesse, Noé Traumann, l’anarchico scappato dalla Polonia dopo aver gettato una bomba e ammazzato un generale 134


e nove ufficiali, forse lo rifarebbe, proprio qui, dove non hanno avuto rispetto nemmeno della morte. Per scrivere la parola fine alla storia della Warsavia, ci vollero una prostituta che, stanca, decise di parlare, Raquel Liberman (1900-1935), un poliziotto pulito, il commissario Julio L. Alsogaray (1918-1994), detto “il pazzo” per i suoi metodi non convenzionali, e un giudice deciso, Rodriguez Ocampo (1965), che ordinò perquisizioni e arresti. I “benpensanti” potranno giustamente applaudire di fronte a questo successo, ma-per completezza bisogna aggiungere che se le prostitute non volevano convivere con il loro protettore erano libere di farlo e avevano diritto al cinquanta per cento degli incassi, per cui avevano anche la possibilità di ricomprarsi la libertà. Traumann cercò sempre di evitare i metodi violenti utilizzati dagli altri ruffiani e, proprio perché rifiutato dalla comunità ebraica e dalla società in generale, cercò sempre di dare un connotato sociale alla propria organizzazione, rendendola un mondo a parte, con le sue leggi e i suoi codici di comportamento, collocandola alla giusta distanza da una realtà ipocrita e conservatrice che lui, da ateo e anarchico, odiava profondamente e avrebbe voluto distruggere. E finì per avere la forza e la capacità di tenere in pugno proprio quel mondo che, pur criticandolo, non poteva fare a meno delle sue donne e del loro “amore”. Pratt 2011, p.47. 16. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi, Torino 1981; prima ed. originale À la recherche du temps perdu, Francia, 1913-1927 . 17. La guerra civile spagnola fu un aspro conflitto combattuto dal luglio 1936 all’aprile 1939 fra i nazionalisti (anti-marxisti) noti come Nacionales, ed i Republicanos composti da truppe governative e sostenitori della Repubblica spagnola (filo-marxisti). La guerra lacerò il paese e terminò con la sconfitta della Seconda repubblica spagnola, dando il via alla dittatura del generale nazionalista Francisco Franco. V.: http://www.wikipedia.it. 18. Cush, nel gennaio del 1941 dice a proposito di Corto Maltese: «Sembra che sia scomparso durante la guerra di Spagna»; si apprende così che Corto ha spedito a Cush dalla Spagna un falco, Al-Andaluz, per dargli sue notizie. Cfr. Gli Scorpioni del deserto. 19. Quando Corto Maltese entra nel mondo dei fumetti appare legato su una zattera di legno come un Cristo. Tale situazione non è inverosimile: quel tipo di crocefissione veniva praticata come punizione presso alcuni popoli del Pacifico, ad esempio in caso di stupro. Le altre fonti per la «Ballata del mare salato» sono il film di Frank Lloyd L’ammutinamento del Bounty (1935), con Clark Gable e Charles 135


Laughton, e un romanzo d’avventura, La laguna blu, pubblicato nel 1908 dall’Irlandese Henry de Vere Stacpoole. Naturalmente anche i romanzi di Stevenson, Conrad, Melville, e London hanno giocato la loro parte. 20. «Per gentiluomini di fortuna intendevamo né più né meno che comuni pirati». Cfr. Robert Louis Stevenson, L’Isola del tesoro, Lucchi, Milano, 1961, prima ed. ingl. Treasure Island, London, 1883. 21. «Quando ero bambino mi accorsi che non avevo la linea della fortuna sulla mano e allora presi il rasoio di mio padre e, zac! Me ne feci una come volevo». Crf. La Ballata del mare salato. 22. Hugo Pratt ama condividere coi lettori le proprie esperienze di vita e attraverso Corto Maltese li educa verso sentimenti politici ben precisi come l’antirazzismo: il rapporto che il marinaio intrattiene con gli indigeni, ad esempio, dimostra quanto per lui gli uomini siano tutti uguali. 23. «Il tesoro, alla resa dei conti, c’è sicuro, nascosto da demoni dispettosi e introvabile nei labirinti delle nostre domande e risposte (...) è la vita stessa: cercarlo ne alimenta le speranze e le ragioni, trovarlo sarebbe come appassire, piegarsi sulle gambe, e morire». Brunoro 2008, pp. 147-159. 24. Dall’espressione di Hugo Pratt «i sogni sono d’oro, la realtà è di piombo» i lettori comprendono che il traguardo romantico di Corto Maltese è il sogno. Ivi, p. 71. 25. Il marinaio riesce ad avere nei riguardi della vita lo stesso distacco di un Dio laico o forse di un eroe già morto: superiore, disilluso, solo con qualche rimpianto. Corto Maltese è proprio il simbolo del cambiamento degli eroi dei fumetti: un tempo vincevano, adesso sono tristi perché hanno la consapevolezza di dover perdere, di avere un mondo così complesso intorno a loro da avere poche speranze di poterlo cambiare. Cfr. Intervista del 05/01/2010 al giornalista Luca Raffaelli, Rai tre. 26. Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Sonzogno, Milano, prima ed. it. 1924; prima ed. ingl. edita sul «Blackwood’s Magazine», 1889. 27. Dashiell Hammett, Il Falcone Maltese, Mondadori, Milano, 1981, prima ed. ingl.The Maltese Falcon, Knopf, United States, 1929. 28. Grigorij Efimevič Rasputin nacque il 10 gennaio 1869 a Prokovskoe, un piccolo villaggio della Siberia, sulle rive del fiume Tara, presso Tobolsk, vicino ai Monti Urali. Di cultura contadina rimase fondamentalmente un semianalfabeta per tutta la vita. Si narra che da piccolo cadde nel fiume gelido con suo fratello e che riuscì a guarire da una grave polmonite, dopo giorni di deliri e strane visioni. 136


Suo fratello, invece, morì, lasciando un vuoto incolmabile nella sua esistenza. Da bimbo turbolento si trasformò in fretta in un giovane uomo irrequieto che infilava un guaio dopo l’altro. Si ubriacava, rubava e correva dietro alle donne per soddisfare un appetito sessuale che sembrava non placarsi mai (Rasputin è il soprannome che si guadagnò proprio in quegli anni e, in russo, significa depravato). Durante una delle tante scorribande, finì al monastero di Verhoturje dove s’imbatté nella setta Khlysty rinnegata dalla Chiesa ufficiale ortodossa. Gli adepti di tale setta sostenevano che per comprendere appieno l’essenza di Dio era necessario peccare. Tramite l’intima conoscenza del male il peccatore poteva pentirsi, confessare e infine ottenere il perdono. Un circolo vizioso, che aveva come obiettivo la catarsi, in cui l’uomo si macchiava di ogni tipo di colpa per continuare a godere della grazia divina. Rasputin, allora diciottenne, abbracciò con entusiasmo la nuova religione: cominciò a vestirsi come un monaco, si attenne con costanza ai dogmi della setta, adattandoli però a suo piacimento a seconda delle occasioni, e si proclamò veggente e guaritore. Ebbero inizio i suoi pellegrinaggi attraverso il paese, durante i quali attirò l’attenzione di chi vedeva in lui una piacevole novità in un impero incatenato ad antiche regole ferree. A diciannove anni sposò Pra­škovia Ferodovna Duborvina ed ebbe tre figli: Dimitrij, Maria e Varvara. La creazione di una famiglia non interruppe il suo vagabondare. Arrivò fino in Grecia e a Gerusalemme. Alto, vestito di una lunga tonaca, lo sguardo penetrante, quasi da folle, Rasputin riuscì a guadagnarsi la simpatia di molte persone, inclusi i religiosi della città di Kazan che lo invitarono a visitare la capitale: San Pietroburgo. Nel 1902, aveva poco più di trent’anni e con il suo aspetto e la parlantina sciolta conquistò la fiducia anche degli ecclesiastici facenti parte della Russia di Nicola II. L’imperatore era salito al trono alla fine del 1894, dopo la morte improvvisa di suo padre, a soli ventisei anni. Schiacciato dal peso di una corona che non si sentiva pronto a indossare, Nicola pregava da tempo affinché Dio inviasse una guida per aiutarlo ad affrontare tutte le responsabilità che stavano ricadendo sulla sua persona. Dal matrimonio con la principessa di origini tedesche Alessandra di Hesse nacquero Olga Nikolajevna, Tatiana, Maria e Anastasia. I due sovrani erano preoccupati dal mancato arrivo di un erede maschio e per sconfiggere quella che pensavano fosse una maledizione chiamarono a palazzo ogni sorta di guaritori, maghi e sensitivi, gente di dubbia fama ansiosa di ingraziarsi gli imperatori con ogni mezzo. Finalmente, il 30 luglio 1904, nacque Alessio. Tuttavia presto si scoprì che il bimbo era emofiliaco. A un anno di vita 137


rischiò di morire per un banale incidente. Rasputin apparve nella vita dei Romanov nel 1907 e li colse in un momento di estrema fragilità psicologica ed emotiva. Così la strada era spianata e i sovrani aprirono le porte al monaco vedendo in lui il miracolo tanto invocato nel momento in cui riuscì a bloccare l’ennesima emorragia del piccolo Alessio. Tale episodio fu sufficiente a trasformare un semplice ex contadino e pseudo prete in un membro della famiglia reale. Presto però le maldicenze da lui proferite nei riguardi dello zar e della sua famiglia arrivarono all’orecchio dell’imperatore che, in preda all’ira, lo allontanò dalla corte. Quando il piccolo Alessio fu sull’orlo di un altro dissanguamento, Rasputin fu richiamato a palazzo e arrestò l’emorragia. Il ritorno del monaco convinse una volta per tutte gli ex sostenitori dello Zar che la Russia non aveva più bisogno di un imperatore che stimava un uomo così discutibile. Nicola II aveva firmato la propria condanna a morte. I membri della famiglia reale vicini alla coppia Alessandra-Nicola decisero che il monaco doveva essere eliminato. Ma il monaco, protetto da forze oscure o semplicemente dotato di una fibra molto forte, mise in seria difficoltà i suoi assassini. Rasputin infatti fu avvelenato, trafitto da una pallottola, lasciato a dissanguarsi per un’ora, eppure il suo cuore continuava a battere. Così fu pugnalato, preso a randellate, avvolto in una coperta pesante, legato con una corda e quindi gettato nel fiume Neva nel quale infine morì annegato. La sua figura continua ad aleggiare come uno spettro sugli eventi. V.: http://www.latelanera.com. 29. Il deuteragonista è il secondo attore o personaggio di spicco che affianca il protagonista. La sua invenzione è attribuita secondo la tradizione al drammaturgo greco Eschilo (525 a. C.-456 a. C.). V.: http://www.treccani.it. 30. «Ve ne state qui ad aspettare un vagabondo buono a nulla. Ma io non resterò qui. Io non ho bisogno di lui, casomai è lui che ha bisogno di me. Chi l’ha ripescato dal mare quando nessuno sapeva niente di lui? Sarà lui che mi cercherà. Lui sa cosa si perde a non essere mio amico. Quando verrà gli dirò: sei sempre tra i piedi! Cosa ci fai qui? E lui mi dirà: sei elegante con quell’impermeabile. E partiremo, io e lui, per un’altra bellissima avventura». Cfr. Dedicated to Corto Maltese, tavola di Milo Manara. V.: http://lapisvedese.wordpress.com.

138


31. «A Corto affiancai la sua coscienza, Rasputin, ed eccoli là. È il gioco della moralità e dell’immortalità quello che si svolge continuamente fra loro. E direi persino che il più immorale è Corto perché lui sa dove sta il male e dove sta il bene. Rasputin, invece, è un amorale: non gli importa niente di quello che succede, si regge sui propri impulsi, non pensa. Ho incontrato gente che preferisce Rasputin a Corto perché trova in Rasputin certe debolezze umane estranee al marinaio maltese». Scarpa 2012, cit. p. 175. 32. Tale caratteristica si definisce “ciclotimia” o presenza di numerosi episodi ipomaniacali uniti a frequenti periodi con sintomi depressivi. (…) L’episodio ipomaniacale è l’umore persistentemente elevato espansivo o irritabile che dura ininterrottamente per almeno quattro giorni che differisce dall’umore non depresso abituale. L’individuo con personalità ipomaniacale è manifestamente allegro, molto socievole, modello ideale per gli altri, molto impegnato nel lavoro, leggero nelle relazioni e disinvolto mentre nascostamente si sente in colpa per la propria aggressività verso gli altri e incapace di stare da solo è poco empatico, incapace di amare, corruttibile e privo di un approccio sistematico nel suo stile cognitivo. Le persone maniacali sono famose per i loro progetti grandiosi, per rapidità del pensiero, libertà dalle normali necessità fisiche come cibo e sonno. Spesso sono dei grandi intrattenitori, narratori di storielle e giochi di parole, imitatori, molto apprezzati dai loro amici che tuttavia si lamentano a volte che la loro tendenza a trasformare in occasioni umoristiche ogni osservazione seria renda difficile avvicinarli emotivamente. Quando un aspetto negativo appare in persone con personalità ipomaniacale esso non si manifesta come dispiacere o delusione ma come rabbia a volte nella forma di episodi improvvisi e incontrollabili. L’esagerata motilità suggerisce una notevole angoscia nonostante un umore spesso molto alto. La felicità è una condizione normale per il maniacale, una tranquilla serenità può essere uno stato emotivo del tutto estraneo alla sua esperienza. Le persone maniacali preferiscono qualunque tipo di distrazione alla sofferenza emotiva e quelle con disturbo più grave, che si trovano in uno stato psicotico, possono utilizzare la difesa del controllo onnipotente: si sentono invulnerabili, immortali o sicure del successo di qualche progetto grandioso. Atti d’esibizionismo impulsivo, violenza e controllo autoritario non sono rari durante un episodio psicotico. Judith L. Rapoport, Deborah R. Ismond, DSMIV-Guida alla diagnosi dei distrurbi dell’infanzia e dell’adolescenza, Masson, Milano, 2000. p. 172 ,187. Nancy McWilliams, La Diagnosi psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 1999. p. 179, 273, 274. 139


33. Nella teoria psicoanalitica di Sigmund Freud (1856-1939), il complesso di Edipo è la situazione psicologica centrale del bambino, che sino a una certa età nutre sentimenti d’amore per il genitore del sesso opposto e sentimenti di rivalità per quello del suo stesso sesso. Il non avvenuto superamento di tale complesso favorirebbe l’insorgere di situazioni nevrotiche nell’età adulta. Il complesso di Edipo è diverso nel maschio e nella femmina (per la quale da alcuni psicoanalisti è stata adoperata l’espressione complesso di Elettra). V.: http://www.treccani.it. 34. Tra le prime pagine della storia Corto afferma «Amico? È una parola importante. Non siamo propriamente amici, il capitano Rasputin e io, ma abbiamo delle cose in comune». Cfr. «Una ballata del mare salato» (1921-1922). 35. L’ironia è il tratto caratteriale di maggior risalto della personalità di Corto Maltese. 36. La maternità ad esempio salva Venexiana Stevenson. Cfr. «La casa dorata di Samarcanda» (1921-1922). 37. Corto rievoca il mito di Anteo: egli esausto si ricongiunge con Gea, la Madre Terra per riacquistare la forza perduta. Quest’ultimo è un Gigante figlio di Poseidone e della Madre Terra. Anteo viveva in Libia dove costringeva gli stranieri a lottare con lui fino allo stremo delle loro forze per poi ucciderli. Infatti non soltanto egli era un atleta forte e abile, ma ogni qual volta toccava la sua terra riprendeva forza. Conservava i crani delle sue vittime per farne il tetto del tempio di Poseidone. Non si sa se Anteo fu sfidato per primo da Eracle, che era ben deciso a porre fine a questa barbara usanza, oppure se lo sfidò. Anteo comunque non era un avversario facile da battere; viveva in una grotta ai piedi di un picco roccioso, dove si nutriva di carne di leone e dormiva sulla nuda terra per conservare e aumentare la sua forza colossale. Preparandosi alla lotta, Eracle ed Anteo si liberarono delle loro pelli di leone, ma mentre il primo si ungeva il corpo con olio alla maniera olimpica, l’altro si massaggiò le membra con sabbia calda, per timore che il solo contatto delle piante dei piedi con la terra non fosse sufficiente a rinvigorirlo. Eracle non appena ebbe messo a terra il Gigante, con grande stupore vide i suoi muscoli gonfiarsi e il sangue scorrergli benefico nelle membra, poiché la Madre Terra gli ridava forza. Alla fine Eracle sollevò il Gigante alto tra le braccia e gli strizzò le costole, sordo ai profondi gemiti della Madre Terra, finché Anteo morì. Alcuni dicono che questa lotta si svolse a Lisso, una cittadina della Mauritania a circa cinquanta miglia da Tangeri, vicino al mare, dove ancora si mostra una collinetta soprannominata 140


“la tomba di Anteo”. V.: http://www.mitologia.dossier.net. 38. «Tornarvi è come tornare al tiepido torpore del ventre materno, nel quale è pericoloso rifugiarsi. Sarebbe una micidiale regressione a uno stato infantile». Cfr. L’Angelo della finestra d’oriente (1917). 39. Nella metà degli anni ‘80 la Milano Libri Edizioni viene assorbita dal gruppo RCS, diventato Rizzoli Milano Libri Edizioni. 40. La Lizard edizioni è stata costituita nel 1993 da un’idea di Hugo Pratt che ne disegna il logo. Il catalogo consta di circa 170 titoli con un ritmo di circa 25 edizioni all’anno. Gli autori oltre a Hugo Pratt, la cui opera omnia è la principale connotazione della casa editrice, sono i maggiori rappresentanti del fumetto d’autore italiano ed internazionale, da Vittorio Giardino a Guido Crepax, Milo Manara, Sergio Toppi, Ivo Milazzo, Giancarlo Berardi, Attilio Micheluzzi, Hergé, Bourgeon, Comes, Cothias, Juillard, Peeters e Shuiten, Dufaux, Griffo. Lizard ha inoltre costantemente proposto nuovi autori come l’iraniana Marjane Satrapi, i francesi Dupuy e Berberian, gli svizzeri Wazem e Marini, gli spagnoli Canales e Guarnido e gli italiani Paolo Scheriani e Walter Chendi. 41. L’RCS MediaGroup è un gruppo editoriale internazionale e multimediale attivo nel settore dei quotidiani, dei periodici e dei libri, nel comparto della radiofonia, dei new media e della tv digitale e satellitare, oltre ad essere tra i primari operatori nel mercato della raccolta pubblicitaria e della distribuzione. Tra i principali editori europei a livello internazionale, il gruppo RCS, con un fatturato generato per il 40% circa dal comparto estero, è significativamente presente in particolare in Spagna, Portogallo, USA, America del Sud e Cina. RCS MediaGroup S.p.A. è quotata alla Borsa Italiana, segmento Blue Chip. 42. La donna eterna rappresenta un altro riferimento letterario di cui si serve Hugo Pratt. Essa infatti si associa a She-Lei, la Donna Eterna dello scrittore britannico Rider Haggard (1856-1925). 43. Brunoro 2008, cit., p. 262. 44. «Vedo lo zio Corto andarsene seduto in giardino con gli occhi spenti di fronte a quel suo grande mare». Ciò anticipa al lettore che il marinaio, ormai cieco, è andato a finire i suoi giorni presso Pandora, la donna-forse più autentica fra quelle incontrate nella sua vita.- che ha conosciuto in una sua giovanile avventura. E noi lo immaginiamo propenso verso un’altra avventura. Cfr. «Una Ballata del mare salato» (1913-1915).

141


Fig.28

142




Il tango è un pensiero triste che si balla Enrique Santos DiscÊpolo1.



IV. Tango «Tango» è un’opera di Hugo Pratt risalente al 1987 che mette in evidenza, forse più d’altre, l’estremo parallelismo tra la vita del marinaio Corto Maltese e quella del suo creatore. La storia, dal titolo iniziale di Y todo a media luz, in omaggio a una canzone d’amore, è ambientata nell’Argentina degli anni Venti (1923) e racconta del ritorno di Corto in Sud America dopo quindici anni di assenza2, lo stesso che il fumettista intraprende nel 1979 spinto dall’amore per Buenos Aires, città in cui vive e lavora per molti anni3. In «Tango» il protagonista alloggia nella Boca, sobborgo situato nella parte sud di Buenos Aires e adiacente alle tortuose rive che il piccolo fiume Riachuelo disegna prima di confluire nel Paranà (in quel punto largo 120 chilometri). La Boca è il porto di Buenos Aires in cui il marinaio respira atmosfere porteñas alla ricerca dei vecchi amici o nemici che il tempo disperde o fa dileguare: egli è sulle tracce di una bambina di tre anni, figlia di una sua cara amica, Louis Brookszowyc, prostituta la cui morte appare legata alla Warsavia, una società di mutuo soccorso fra prosseneti russi e polacchi nata nel 1906 per mano dell’anarchico Noé Traumann (vedi supra p. 134). Il compito di Corto Maltese è quello di proteggere la bambina e riportarla a Venezia poiché tutte le morti appaiono legate al personaggio di Louis. Intraprendente e determinato, il marinaio indaga su questa storia con a fianco l’amica Esmeralda, un suo vecchio amore, il conoscente Butch Cassidy (18661908) e Fosforito (1932). Butch Cassidy è un criminale statunitense, bandito del vecchio West. Insieme a George Curry (1861-1947), Kid Curry (1867-1904), Ben Kilpatrick (18741912) e Harry Longabaugh (1867-1908), conosciuto anche come Sundance Kid, egli è a capo del “Wild Bunch” (Mucchio Selvaggio), quella famosa gang di fuorilegge detta anche la “Hole-in-the-Wall” ovvero “Quelli del buco nel muro” dello Wyoming Territory negli Stati Uniti. Corto Maltese in Argentina conosce anche China Farias Gomez, nipote di Hassan (1936), a sua volta generale della “Salvation Army”. 147


Hugo Pratt in questa storia ricostruisce perfettamente le strade e i luoghi di Buenos Aires che appare in tutta la sua bellezza; le immagini, seppur all’interno del contesto metropolitano e malavitoso di quel tempo, sono piene di esotismo come in tutte le altre avventure del marinaio. La scenografia che fa da sfondo alla vicenda assume toni surreali, caratterizzata da atmosfere notturne, oniriche e magiche, dai tratti sempre più essenziali: il disegno è realistico e dettagliato con forti contrasti fra zone scure e chiare, mentre le inquadrature possiedono una forza straordinaria nella loro grande varietà. Eccoci approdati alla fase matura dell’arte di Hugo Pratt, in cui tutti i personaggi della storia possiedono uno spessore da grande romanzo. Al lettore è dato perdersi nei labirinti, nella storia, nelle invenzioni e nelle passioni letterarie che rievocano lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges (1899-1986), il cui cognome torna ossessivamente nel fumetto: basti pensare alla stazione Borges a nord di Buenos Aires e ai suoi rumori. Essa rimane esattamente come nei suoi disegni, semplice e antica, anche se sullo sfondo azzurro oggi si stagliano i grandi parallelepipedi di cemento degli anni Sessanta e, di notte, le antenne televisive prendono il posto delle due lune gemelle e calanti con cui Corto dialoga (fig.29), sin dalle prime tavole, la notte tra il 20 e il 21 giugno sul Rio de la Plata4. Oggi infatti la globalizzazione, con le gioiellerie, le griffe e le profumerie localizzate in tutte le città del mondo, avvolge anche le vie del centro di Buenos Aires. Tuttavia se si prova ad osservare la città oltre i manifesti e i cartelloni pubblicitari si evincono le strane architetture e i segreti dei palazzi che la popolano. L’Avenida de Mayo, ad esempio, oggi non è più elegante e scintillante come allora: adesso ci sono solo ristoranti da quattro soldi, pizzerie e negozietti che vendono cianfrusaglie colorate, scarpe e magliette cinesi. Malgrado ciò è ancora possibile tornare indietro nel tempo e immergersi nel bel mezzo di un altro spirito essenziale di Buenos Aires vivo all’interno della storia prattiana: il biliardo. Passeggiando per quella zona infatti si trova il bar/ristorante Los 36 Billares. 148


Scendendo le scale si possono ammirare trentasei tavoli da gioco: attorno ad essi una decina di giocatori concedono un magico spettacolo di geometrie ed eleganza ad altrettanti silenziosi osservatori che si divertono quasi quanto i protagonisti. I tavolini di legno sono logori e segnati dal ricordo di antichi mozziconi di sigaretta dimenticati e consumati nell’attesa dei colpi. Un cameriere grasso e affaticato cerca di volteggiare con vassoi carichi di tazzine di caffé e bicchierini gocciolanti e appannati dall’acqua fredda che nessuno berrà. Un ventilatore stanco e solitario gira evitando inopportuni cigolii. Si sente un lontano rumore di piatti di chi è arrivato al mattino e ha voluto mangiare qui sotto, qualche frase di commento, ma la vera musica è lo schiocco delle biglie. I movimenti sono morbidi e decisi, le triangolazioni impeccabili. Sembra quasi di vedere i disegni tracciati in quella sospesa, preparatoria geometrica fantasia. Uno spettatore se ne sta seduto in un angolo a osservare. Una statua quasi impassibile. Ha un maglione leggero di cachemire nocciola, camicia azzurro chiaro come gli occhi mobilissimi e attenti, un foulard di seta a disegni bordeaux. Tiene le gambe elegantemente accavallate e le braccia conserte. I capelli bianchi sono stirati all’indietro5.

Negli anni che vanno dal 1900 al 1916 la Boca è la capitale mondiale del tango. In quest’ambiente cosmopolita e bohemio Corto si trova a suo agio: stringe amicizie durature, conosce e frequenta poeti, musicisti, ballerini, avventurieri di ogni tipo e, ovviamente, ladri. In mezzo a questi furfanti la figura elegante e un po’ malinconica del marinaio non passa inosservata. Hugo Pratt comprende sulla propria pelle quanto il tango rappresenti la musica delle mura e dell’asfalto della città argentina e in questa parentesi sudamericana ne fa fare esperienza diretta anche al suo marinaio (fig.30)6. Quando si parla di tango si devono considerare più cose: le origini, il periodo storico, la geografia e la topografia, le femmine, il biliardo e le scommesse sui cavalli. La voce tango compare molto prima che esistesse la danza così come si conosce alla fine dell’Ottocento. Il vocabolo deriva dalla parola onomatopei149


ca africana tan-go che riproduce i suoni delle percussioni tipiche afroamericane derivanti dal loro ritmo tradizionale, il Candombé. L’etimo del termine è incerto, ma una prima ipotesi considera la parola una variante di tangano (l’osso di pietra che si usa nel gioco che porta questo nome) mentre una seconda la fa derivare da tangir, (suonare uno strumento) entrambi vocaboli associati alle feste e alle danze dei neri africani. In alcuni dialetti parlati nelle zone dalle quali parte il commercio degli schiavi verso le Americhe (il Congo, il Golfo di Guinea e il Sudan meridionale) “tango” significa luogo chiuso, per estensione ogni luogo vietato al quale è possibile accedere solo soddisfacendo determinate condizioni d’ammissione. In tali lingue africane quindi la parola riconduce ad un contesto religioso, con l’ermetismo proprio di ogni culto, soprattutto nelle comunità primitive. Meri Lao (1928), studiosa di letteratura e teatro, avanza un’altra ipotesi etimologica di grandissima suggestione secondo la quale la parola tango trae origine da Shangò, il nume più popolare del pantheon yoruba, dio delle tempeste e della folgore7. Un’altra tesi è quella di Eduardo S. Castilla (1889-1938), il quale nel 1932 attribuisce al vocabolo un origine giapponese: “Una città e una regione dell’Impero del Sol Levante si chiamano così”. È difficile delineare il momento in cui nasce tale linguaggio corporeo poiché sicuramente esso è il frutto di un ibridazione che vede coinvolte danze, linee melodiche e ritmi differenti. Per tale ragione anche le tesi riguardanti la sua nascita sono varie e particolarmente differenziate. Esse concordano comunque sul fatto che il tango si sviluppa tra il 1880 e il 1900 da una compenetrazione di ritmi e musiche diverse che hanno come sfondo i sobborghi e i locali (bordelli e luoghi frequentati dalla malavita) più squallidi delle due città che fiancheggiano l’estuario del Rio de la Plata: Buenos Aires (capitale dell’Argentina) e Montevideo (capitale dell’Uruguay). Intorno al 1880 la classe dirigente argentina infatti, considerando il vasto territorio e la scarsa densità di popolazione, attua una politica di “open doors” in materia d’immigrazione: a tal proposito l’art. 25 della Costitucìon del 1853 assicura la libertà di 150


coscienza e di culto per chiunque e proibisce esplicitamente di restringere, di limitare o di gravare con qualsivoglia tassa l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri che “abbiano come scopo quello di lavorare la terra, migliorare le attività produttive, introdurre e insegnare le scienze e le arti”. Gli immigranti sono il simbolo di una classe sociale svantaggiata nei rispettivi paesi di origine, dove la rivoluzione industriale porta a grandi risultati solo negli hinterland, lasciando economicamente scoperto il rimanente territorio a cui essa non arriva. Tali frutti così non riescono a soddisfare le necessità di una popolazione sempre crescente, soprattutto nelle zone agricole (ciò si deve anche al ridursi del tasso di mortalità dovuta a carestie, epidemie e guerre che affliggevano i secoli precedenti). Il primo impatto degli stranieri col nuovo mondo avviene quindi con queste due città portuali che in breve tempo cresceranno a dismisura, e mentre una parte del flusso in entrata si smista verso le zone interne, una sua consistente fetta gravita attorno alle aree portuali, mischiandosi coi residenti di vecchia data chiamati porteños. Del flusso migratorio che caratterizza il periodo compreso tra la metà dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del secolo scorso, fanno parte italiani, francesi, ebrei8, ungheresi e slavi, tutti mossi dallo stesso sentimento di ricerca della “terra promessa”. Ben presto ciò si rivela essere un illusione, tant’è che la gente inizia ad adattarsi ai lavori più umili, ai margini delle due città portuali. In totale, dal 1857 al 1930 il “deserto argentino” accoglie 6.330.000 immigranti; lo stesso accade a Montevideo. Le componenti più presenti numericamente sono però quella di origine spagnola e italiana. Gli italiani provengono dalla Sicilia, da Napoli e dal meridione in genere, dal Friuli, dalla Liguria, dal Piemonte e da tutta la penisola; lo stile musicale napoletano, sentimentalmente nostalgico, influenza notevolmente le canzoni composte dai musicisti di tango. Quest’enorme crogiolo di razze, religioni, culture, che si affollano nei barrios (quartieri o distretti della capitale) diviene la fonte di un progetto che mira alla costruzione dell’identità nazionale: le varie etnie manifestano i loro stati d’animo, dovuti in primo luogo allo sradicamento, dalla 151


solitudine alla mancanza di affetti, alla frustrazione o ai momenti di festa. Le difficoltà d’integrazione e persino di comunicazione fra le diverse etnie però richiedono la costruzione di ponti culturali che siano in grado di scavalcare le barriere sociali, culturali e linguistiche, e contribuire alla creazione di una nuova comunità. Di questi ponti culturali il tango è senza alcun dubbio il più rappresentativo, riconoscibile come linguaggio non verbale portatore di un’identità rioplatense. L’argentino di conseguenza assorbe il linguaggio dello straniero per poi diffonderlo negli strati più bassi della società. Diversi vocaboli di origine italiana contribuiscono all’arricchimento del lunfardo, gergo caratteristico delle città rioplatensi agli inizi del secolo scorso. Horacio Salas (1938) sostiene che tale linguaggio nasce probabilmente nelle prigioni di Buenos Aires, per permettere ai carcerati di comunicare tra loro in modo che nessuna guardia potesse comprenderli. Naturalmente tutte le parole sono familiari anche agli “sbirri”: malavita e polizia non costituiscono mondi separati, ma appartengono a due sottomondi che sono legati da un rapporto permanente, spesso amichevole, fatto di quotidiane relazioni. La struttura del lunfardo si basa sulla sostituzione dei sostantivi, dei verbi e degli aggettivi della lingua spagnola con termini ai quali si cambia il significato provenienti dalle lingue europee, in particolare dall’italiano e dai suoi dialetti, dalle lingue indigene e addirittura dallo stesso spagnolo. La cosa più strana di tale linguaggio consiste nel fatto che non è una lingua nata dalla fusione di altre, ma utilizza i termini di queste lingue storpiandoli, o meglio usando una “metatesi”9. Naturalmente le parole devono avere almeno due sillabe e per entrare a far parte di questo vocabolario devono essere scorrevoli. Tra le più frequenti, sono da annoverare: gongri (gringo), choma (macho), tovén (vento, denaro), colo (loco, pazzo), gomìa (amigo), troesma (maestro, per antonomasia Gardel) e, naturalmente gotàn (tango). Il lunfardo rappresenta soltanto una tappa dello sviluppo del gergo tra delinquenti: con il passare del tempo diventa una vera e propria lingua popolare intenta a raccontare le storie degli umili che affollano i quartieri cittadini: è a 152


tutti gli effetti la lingua del tango. Grazie a poeti e scrittori si riescono a catturare i sentimenti della gente comune e colorare nelle loro poesie i piccoli drammi quotidiani e i cambiamenti sociali, economici e politici della società. Pertanto l’unico modo di vivere la loro nostalgia è quello di esorcizzarla: il tango nella musica, nelle parole e nei movimenti riflette proprio tale disagio e può definirsi un inno dei lavoratori, degli uomini che vivono la vita per inerzia, capace di esprimere la loro impotenza mediante i toni bassi10. Secondo Borges il tango forse ha la missione di dare agli argentini la certezza di essere stati valorosi, di avere già adempiuto ai loro obblighi di coraggio e di onore. Dunque il tango è lo specchio della popolazione argentina, veicolo culturale dell’anima porteña. Tra i precursori di questa danza si annoverano il candombe, l’habanera e la milonga: ritmi di origine africana che con diverse connotazioni musicali sono tipici di tutti i paesi schiavisti. Sebbene i paesi del Rio de la Plata, caratterizzati da un’economia agricola estensiva, si avvalgono della schiavitù in misura minore rispetto agli altri Stati del continente, basati sulla coltura intensiva del cotone, della canna da zucchero, del tabacco o del caffé, le capitali dell’Argentina e dell’Uruguay restano i porti più importanti del Cono del Sud per quel che concerne il traffico negriero. Il candombe è proprio uno tra i balli preferiti della popolazione rioplatense di origine africana: nasce come adattamento dei balli dei padroni in coppie separate, con aggiunta di sgambetti, finte, fermate subitanee e altri passi fantasiosi, divenendo un genere musicale complesso tutt’ora in uso. Nel 1812 termina l’ingresso dei neri nel Rio de la Plata e l’anno successivo tutti gli schiavi dell’epoca coloniale verranno dichiarati liberi. Nel corso del tempo la gente di colore pian piano scompare a causa delle guerre tra gli Stati della regione - i neri lottano in prima linea al posto dei loro padroni - e di un’epidemia di febbre gialla che nel 1871 decima il quartiere nero di San Telmo. Da quel momento la loro presenza si limita solo alla popolazione montevideana, dove continuano a rappresentare una percentuale rilevante. Con loro muore anche il ballo, sopravvivono solo le drama153


tis personae11, come la comparsa. Un ritmo simile si trova ne l’habanera12 cubana, diffusa nell’America meridionale ad opera degli spagnoli e dei cubani immigrati ed a seguito degli intensi scambi commerciali tra L’Avana e i porti rioplatensi. L’ habanera, diffusa verso il 1850 nella città di Buenos Aires e di Montevideo dai marinai che eseguono la rotta commerciale tra i porti dei Caraibi e quelli della Plata, comincia a subire le influenze delle melodie peninsulari e quando giunge in questa regione del mondo si mischia con la milonga13 a sua volta erede dell’antica payada14. Quest’ultima arriva nella città portuale grazie ai gauchos, mandriani abituati al rigore della campagna, scesi da cavallo insieme alle loro chitarre (fig.31). La milonga, popolare per eccellenza, conquista ben presto un posto d’onore in tutte le feste dei sobborghi; essa non usa figure esagerate e si balla tanto nei bordelli di bassa lega quanto nelle balere e nelle veglie di campagna: il ballerino milonguero danza perché per lui è una esigenza oltre che un piacere; mosso dalla passione, cerca sempre di migliorarsi con la convinzione che ogni volta potrebbe essere la più bella di tutta la vita, non dal punto di vista coreografico, ma da quello emozionale. Il tango-milonga o de salon nasce grazie ai compraditos, giovani di condizione sociale modesta abitanti nelle orillas, vale a dire nelle periferie della capitale, per burlarsi dei balli dei neri. Questa si differenzia dal tango-fantasia composto da figure complesse che richiedono una certa preparazione fisica e spazio: essa si indirizza per tale ragione al palcoscenico. All’interno della milonga è possibile vedere rappresentata anche la Chacarera, ballo di corteggiamento che nasce intorno al 1840-50 nell’Argentina del nord, nella provincia di Santiago del Estero; essa arriverà a Buenos Aires solo nel 1900. Tale danza vede uomini e donne divisi, disposti gli uni da una parte e gli altri dall’altra; l’uomo anticipa il ballo con il battito delle mani per poi intrecciarsi con eleganti volteggi sino all’abbraccio finale, spesso vagamente accennato. Gli strumenti usati in sottofondo sono il violino, la chitarra e il bombo, un alto tamburo sul quale la mano sinistra, stretta attorno al manico di una mazza, dà vita ad un suono abbastanza 154


profondo. La mano destra, invece, impugna una bacchetta che urta contro l’armatura in legno del bombo stesso: in tal modo si sviluppa un suono simile a quello delle nacchere, probabilmente retaggio dell’antica dominazione spagnola sul posto. Nel tango dei primordi ognuno ballava per proprio conto, come nel candombe; solo in seguito esso diventa una danza a due, probabilmente tra soli uomini, e si è mantenuto così fino a quando non passerà all’interno dei postriboli. Gli uomini ballano sui marciapiedi e si riuniscono al tramonto, sotto i lampioni a gas, per eseguire questa bizzarra danza introversa ma totalmente libera, priva di coreografie predefinite: probabilmente si considera strumento di seduzione verso le donne. Bisogna sfatare il topos del tango che lo definisce una danza “maschilista”: i primi tanghi vengono ballati tra uomini, è vero, come testimoniano molte fotografie d’epoca (fig.32), data la scarsa presenza di donne. Infatti in seguito all’esplosione demografica in Argentina si verifica una forte disparità numerica, con un rapporto anche di tre a uno fra la componente maschile e quella femminile, con una conseguente forte domanda di amore, inteso certamente come sesso, ma anche come desiderio di compagnia femminile in grado di ridurre la nostalgia per le donne lasciate nei paesi d’origine: le ballerine si affittano a tre pesos l’ora. Gli uomini si riversano nei lupanari e nelle sale da ballo in cerca di speranze e distrazioni, tra questi: ruffiani, emigranti, guardie e ladri, puttane e parde (fig.33, nel linguaggio “postribolero” e “tangoso” vuol dire india “provinciana” ovvero con la pelle color mate, di pantera o giaguaro); essi danno luogo alla cornice che inquadra l’avventuroso ambiente del tango con i suoi temi preferiti: amore, tradimento e morte. La penuria di donne quindi porta inevitabilmente allo sviluppo della prostituzione15, in particolare di quella praticata all’interno di case che offrono ai frequentatori, oltre al soddisfacimento delle esigenze di carattere sessuale, prevalentemente la possibilità d’intrattenersi e ballare con le ragazze ospitate. Molti di questi locali sono situati nel barrio de La Boca, che s’indica per tale ragione come la vera culla del tango. I locali “malfamati” svolgono un’importante funzione di valvola di 155


sfogo per gli immigranti, ma anche di aggregazione sociale e di diffusione culturale. Nei festini dei sobborghi o nei bordelli gli uomini non si contendono necessariamente le donne più belle quanto quelle più brave: esse vengono soprannominate le regidoras (le reggenti). Per il tanguero la donna non è altro che la metà della coppia, non rappresenta un oggetto di desiderio, e il ballo non è tanto l’occasione per ricercare un momentaneo contatto fisico, quanto il fine, l’ostentazione del saper ballare, con un rispetto quasi liturgico del movimento. L’accettazione del tango da parte della cultura ufficiale e della società nel suo complesso risulta flemmatica, in quanto il peccato primario si associa alla discendenza negra. Tale danza, inoltre, fatica a guadagnarsi la fiducia dei ceti operai e della media borghesia porteña, perché esprime il lato oscuro della vita. La preoccupazione maggiore dell’establishment di quel periodo storico è quella che il tango potesse infangare la reputazione che l’Argentina possiede come nazione di recente ricchezza alla ricerca di rispettabilità internazionale. Malgrado ciò, pian piano il tango viene accettato fino alla sua definitiva consacrazione nella veste di portavoce della cultura argentina nel mondo. Tale accettazione si verifica grazie all’esportazione della danza in Europa da parte di alcuni giovani appartenenti all’élite economica argentina, al suo immediato accoglimento da parte della buona società parigina e alla sua conseguente reintroduzione, così nobilitato, all’interno della cultura porteña. A quel tempo Parigi è il centro culturale del mondo, la capitale della moda e della raffinatezza; di conseguenza i viaggi ed i soggiorni in Francia dei ricchi sudamericani divengono sempre più frequenti e le famiglie più agiate iniziano ad inviarvi, in vacanza o per motivi di studio, i propri figli, alcuni dei quali non esitano ad introdurre la novità del tango appreso nelle “Accademie” di Buenos Aires, nelle sale da tè danzanti e nei locali alla moda della capitale francese16. Gradualmente il tango esce dall’oscurità dei postriboli per emergere sotto le luci multicolori della vita notturna cittadina. Negli anni precedenti la Grande Guerra, la società parigina della Belle Epoque, edonista, cosmopolita e piena di joie de 156


vivre, poco condizionata dai pregiudizi e amante del ballo, accoglie con entusiasmo la novità, trasformandola in una moda: è il periodo degli “anni ruggenti” che ha come imperativo la ricerca del piacere e di nuove sensazioni e di conseguenza il tango, preceduto da una fama di danza peccaminosa e proibita, si diffonde rapidamente come la moda del momento. Il 1913 viene così indicato come l’anno del tango ed ad esso s’ispirano arredamenti, illustrazioni, abiti, calzature e pellicole cinematografiche. I primi film vengono girati grazie all’ausilio di cantanti di tango (debutta Carlos Gardel con Flor de durazno, di Francisco De Filippis Novoa, 1917). Dal 1924 in poi (fino all’avvento del sonoro) nelle sale di proiezione sono presenti vere e proprie orchestre. I primi film sonori sul tango sono invece del 1930-1931. Inizialmente questi somigliano molto come struttura ai film muti; poco dopo si cominciano a creare delle storie, introducendo le canzoni da far conoscere al pubblico. Con questi film si fa conoscere alle persone la storia del tango, dei suoi protagonisti e i moti dell’animo che questa danza e la sua musica riescono a liberare ed esplicare. Quando tale genere di rappresentazione perderà la sua vitalità, si verifica un cambiamento sostanziale per il binomio tango-cinema: non più l’uso del cinema per far conoscere la danza, ma questa come colonna sonora per il cinema. Ad oggi si ricorda Ultimo tango a Parigi, film del 1972 di Bernardo Bertolucci, con colonna sonora di Gato Barbieri (1932), sassofonista di origine argentina: qui la figura tormentata del protagonista Paul (interpretato da Marlon Brando) appare alla ricerca di un mondo nel quale i rapporti tra gli esseri umani non siano ancora stati contaminati dalle conseguenze dell’evoluzione umana. La vicenda è ambientata all’interno di un appartamento che è il rifugio dentro il quale il protagonista cerca la salvezza, dove si aliena dai rumori del mondo esterno; e lo fa insieme ad una ragazza, perfettamente e volutamente sconosciuta, con la quale dimentica i nomi, i ricordi passati che distruggono la possibilità del rapporto: tra loro si scatena una passione che è allegoria dell’incomunicabilità e dell’isolamento esistenziale cui l’umanità è destinata. Il sesso è un simbolo di reazione 157


al conformismo parigino che fa da cornice alla storia e i due protagonisti rappresentano esseri umani alla deriva la cui unica via d’uscita è la trasgressione. Solo quando il protagonista proverà ad instaurare una relazione con la donna, l’equilibrio precario di tale unione si spezzerà sino al punto da spingere la protagonista a ucciderlo. A livello di rappresentazione ballata di tango si citano Indocina (di Régis Wargnier, 1991) con Cathérine Deneuve che balla con Linh Dan Pham un pezzo di stampo inglese, o ancora Scent of woman (1992, Martin Brest) dove Al Pacino danza Por una cabeza (fig.34), di Carlos Gardel e Alfredo Le Pera, 1935: egli impersona un ufficiale diventato cieco per un incidente, che si ritrova a ballare un tango con una ragazza che ignora la sua menomazione; lei non conosce questa danza ma lui risponde alla sua paura di sbagliare dicendo: «Il Tango è più facile della vita: anche se sbagli, continui a ballarlo». Anche in Schindler’s list di Stephen Spielberg (1946) del 1993, e ne Il Postino di Michael Radford (1946), con Massimo Troisi che impersona il postino e Philippe Noiret che è Pablo Neruda, ci sono accenni di ballo e musiche di tango. Di Fernando Ezequiel Solanas sono Tango. L’exil de Gardel (1985) e Sur (1988). Il primo vede artisti argentini, esiliati a Parigi, progettare una tanguedia, spettacolo che mischia commedia, tragedia, tanghi del passato e del presente per raccontare l’esilio. Il film vuole ricordare la dittatura miliare argentina tra il 1976 e il 1983 che fu particolarmente dura e insieme ad essa i migliaia di desaparecidos, la maggior parte di loro gettata nel Rio della Plata in quelli che vengono definiti “i voli della morte”. Questo film s’interroga su se stesso, sul cinema, sull’arte: il regista nella storia mette in risalto i contrasti fra la razionale concezione francese dello spettacolo e della rappresentazione e quella sensitiva e improvvisata degli argentini. La poetica del protagonista (Juan Uno) è racchiusa all’interno di una valigetta: ritagli, scarabocchi, appunti presi sui pezzi di carta più folli, dai tovaglioli alla carta igienica. “Gettare dalla finestra i canoni estetici,- egli dice - mischiare i generi, rischiare la bruttezza per trovare la bellezza. La perfezione è morte, viva la vita”. Mentre il protagonista scrive sen158


za logica Pierre, da bravo europeo, la logica la pretende. Juan Uno non manda il finale. Tutto rimane aperto nella tanguedia da rappresentare e nel film di Solanas perché l’esilio probabilmente non ha una fine e i pericoli della dittatura restano vivi. L’esilio è anche un grande viaggio introspettivo, una crisi profonda dalla quale pochi riescono a fuggire. Anche Sur è un film di protesta contro la dittatura e il destino dei desaparecidos, ambientato a Buenos Aires negli anni che seguono la dittatura (1985). Stavolta incontriamo tutto il pathos del ritorno a casa degli argentini dopo l’esilio. Solanas attraverso i suoi film si pone l’obiettivo di solleticare l’emotività del pubblico in modo tale da provocare non l’identificazione passiva con le vicende e i personaggi presentati, ma la riflessione critica su di essi; a tal fine la struttura del racconto cinematografico viene continuamente frantumata, svelata, così da penetrare dentro le convenzioni, comprenderle a fondo e valicarle. Del 1996 è Evita di Alan Parker (1944), con Madonna e Antonio Banderas e i più recenti Lezioni di tango (di Sally Potter, 1949) e Tango (di Carlos Saura, 1932. Già in precedenza l’Europa ha contatti con il tango: nel 1905 ad esempio, durante una crociera attorno al mondo della fregata “Sarmento” della Marina argentina, i marinai durante le soste nei porti divulgano copie della partitura di un celebre tango, La Morocha (La Moretta) di Enrique Saborido (1877-1941) celebre musicista e ballerino. Una volta che il tango si diffonde in qualità di moda all’interno dei saloni e delle dimore più rispettabili della capitale francese, la buona società rioplatense pone fine al processo di ostracismo che peraltro la stava emarginando dalla scena mondiale. A Parigi questa danza subisce insomma una riabilitazione irreversibile e, tornando nei luoghi di origine, quello che era fino ad allora considerata un ballo confacente la gente di malaffare, verrà prontamente accettata da tutte le classi sociali. L’ impronta europea e benpensante si manifesta in una marcata riduzione della carica sensuale della danza, mediante movimenti più eleganti, ed in un rallentamento del ritmo simboleggiante l’ordinato stile di vita delle classi sociali più abbienti. L’effetto della cadenza quasi lamentosa è dato dalla 159


maggiore lentezza di esecuzione e dal tono sentimentale di molti testi delle canzoni, che portano inevitabilmente ad imprimere quel carattere nostalgico che nell’immaginario collettivo assume in prevalenza il tango: alcuni autori di quel periodo definiscono alcune loro creazioni tango lloròn (piagnucoloso). Tale danza si serve dell’utilizzo di svariati strumenti musicali: la chitarra, molto in uso fra i criollos, il violino, il flauto, il clarinetto e l’arpa diatonica, caratteristica degli indios paraguayani. Talvolta compare anche il mandolino, strumento che ne testimonia il forte contributo italiano. Ad attribuire al tango un inflessione sentimentale e lamentosa è di certo l’introduzione di due strumenti che fanno la storia di questa musica: il pianoforte e il bandoneòn17. Il pianoforte si sfrutta dapprima come strumento solista; solo agli inizi del Novecento esso entrerà nelle formazioni orchestrali del tango. È soprannominato nopia, rovescio di piano, o dientudo, dentone, ingombrante e costoso; rappresenta lo strumento delle classi alte, e contribuisce alla scalata sociale del tango. Il bandoneòn - di origine tedesca, detto anche fuelle o fueye (in italiano vuol dire mantice, ma in lunfardo significa polmone) - è una sorta di fisarmonica che si suona contemporaneamente con entrambe le mani e possiede due casse esagonali armoniche all’interno delle quali vibra, per effetto dell’aria pressata, un sistema di linguette metalliche. I padri di tale strumento sono Carl Friedrich Uhlig di Chemnitz (1789-1874), costruttore della prima concertina tedesca, e Carl Zimmermann (1817-1898) che all’esposizione industriale di Parigi del 1849 esibisce uno strumento similare, sempre d’origine germanica, ma con differenti tastiera a bottoni. Esso rappresenta quindi il malinconico portavoce della nostalgia porteña, legata allo sradicamento dei primi immigrati, al loro senso di precarietà, alla tristezza di un passato irrecuperabile e alla lontananza dei paesaggi dell’infanzia. Ad esprimere tali stati d’animo è il cosiddetto tango cancion, in cui le parole sono fondamentali e danno significato alla musica: Carlos Gardel18 (1890-1935) è il massimo interprete di questo genere. In effetti, in America Latina tango è sinonimo di canzone più che di ballo, perché è questa, con le sue parole, 160


ad evidenziare i luoghi e a dar voce ai sentimenti dei personaggi che vivono nei quartieri bassi, furfanti e malfattori: essi sono parte della tradizione locale e come tali vengono cantati dagli immigrati per integrarsi. Tali considerazioni conducono alla definizione del linguaggio del tango come el idioma del brazo (il linguaggio dell’abbraccio): il corpo dell’uomo e quello della donna sentono il bisogno di unirsi per non rimanere soli e scappare dai venti di guerra, dalla schiavitù, dalla miseria e dal dolore, dall’impotenza a cambiare il proprio destino. In quest’incontro i corpi intraprendono una metamorfosi, perdono sembianze ed atteggiamenti abituali, la scena quotidiana si spezza per far posto ad altri riti e celebrazioni. Il ritmo possiede una melodia eterogenea e la donna, strettamente legata al suo uomo, percepisce i movimenti improvvisi che egli tesse nella sua mente a partire dal linguaggio musicale per dar vita ad una coreografia via via differente e irripetibile. Non a caso ella si definisce seguidora: colei che è in grado di seguire il cavaliere in una sorta d’intimità senza parole, molto più forte del semplice contatto fisico (anche un uomo e una donna tra loro sconosciuti possono riuscire a formare una coppia perfetta già alla prima prova). È un po’ come fra due innamorati: l’intesa data dall’amore fa sì che i due senza parlare riescano a comunicare sentimenti molto profondi. La posizione di partenza e il fatto che sia l’uomo a guidare attraverso il contatto (la marcas è il toccare la schiena della donna al fine di indicarle la direzione), sono forse le uniche analogie che si possono riscontrare tra il tango e le altre danze di coppia. Tuttavia la donna non è passiva, anzi, ha un ruolo fondamentale19: ella si fa sì guidare dal partner e ne capta i segnali, ma senza di lei non ci sarebbe da parte dell’uomo la ricerca della ballerina più brava né tantomeno la contesa che le avviene intorno. Una prima differenza invece si evince nella postura, che vede i ballerini formare con i loro corpi una sorta di triangolo: le gambe sono libere di muoversi mentre, al contrario dei balli standard, il torso è ben dritto con le spalle molto aperte (soprattutto le donne). Il corpo s’inclina leggermente in avanti, così da trasferire tutto il peso sugli avampiedi 161


in un equilibrio precario, generando il tipico passo scivolato. La bellezza del tango sta nell’incredibile varietà di passi e nel verificarsi di vere e proprie pause di sospensione20 (cortes) ed equilibri continui (quebrada) che si alternano a momenti di creazione della dama: è un gioco di coppia in cui regnano creatività e armonia. I caffè e i cabaret divennero pian piano un grosso business: lì è possibile sedersi, bere, ascoltare la musica, ballare, socializzare, concludere affari e trattative politiche. Durante gli “anni ruggenti”, i cosiddetti Roaring Twenties, il tango conosce una fioritura particolare per la diffusa prosperità che produce un ceto di nuovi ricchi, disposti a spendere il loro tempo e denaro in passatempi gradevoli e distensivi. Il cabaret, le accademie, i concorsi, la radio, il cinema contribuiscono alla nascita dell’orchestra tipica, prima, e poi delle grandi orchestre di tango. La crisi del 1929 dopo Wall Street colpisce le economie di tutto il mondo, comprese quelle dei paesi del Cono Sud, a causa del drammatico calo delle esportazioni di materie prime verso i paesi industrializzati: i cabaret scompaiono e con essi anche il tango comincia a decadere. Il 6 settembre del 1930 fu instaurato un regime conservatore dipendente economicamente dall’Impero britannico. Alcuni politici addirittura chiedevano che l’Argentina entrasse a far parte del Commonwealth21. Durante gli anni del secondo conflitto mondiale la situazione internazionale spinge la Giunta militare allora al potere a censurare i testi delle canzoni, a causa del loro contenuto a volte di vaga protesta sociale. In quel periodo l’Argentina vive di intensi scambi commerciali consistenti nell’esportazione di materie prime verso le nazioni in guerra e Buenos Aires e Montevideo diventano crocevia per i più vari personaggi: uomini d’affari, banchieri e rappresentanti commerciali, spie e diplomatici che comunque contribuiscono all’innalzamento del tenore di vita della popolazione dando lavoro a bar, cabaret e musicisti. Nel 1946, con l’ascesa al potere del colonnello Juan Domingo Peròn, s’istaura un regime dalla forte impronta populista basato sul consenso piuttosto che sulla repressione, sul rapporto diretto fra il leader e le masse. Il ceto operaio appoggia il peroni162


smo e viene ricompensato con riforme sociali che innalzano lo stile di vita dei lavoratori. La forte connotazione populistica e nazionalistica del Peronismo favorisce la riscoperta del tango in quanto forma artistica autenticamente popolare e nazionale. Quando il governo cade (siamo nel 1955), però il tango ne segue le sorti; il nuovo regime per esorcizzare il pericolo del ritorno al potere di Peron, ancora molto popolare fra le masse, reprime tutto ciò che, come il tango, potesse rievocare l’epoca precedente, esiliando molti tangueros. Negli anni Cinquanta al tango si sostituiscono rock & roll e Mambo e Cha cha cha, dai ritmi afro cubani. Si attenderà l’intervento di Astor Piazzolla (1921-1992) per conferire al tango un nuovo respiro. Tra i tanghi più conosciuti al mondo troviamo La Cumparsita di Gerardo Matos Rodríguez , del 1915, che già dal nome indica il miscuglio di razze e di culture che fanno parte di questa danza. “Cumparsita” non è un termine spagnolo ma più probabilmente è ripreso dal dialetto siciliano dove al posto di comparsa si usa cumparsa. Nel carnevale del Tango c’è questa “comparsa” che è una figura tipica. Tra i parolieri il padre del tango è Angel Gregorio Villoldo (1868-1919). Egli scrive brani pittoreschi e satirici che offrono un’autentica testimonianza dell’epoca, i primi ad essere conosciuti in Europa: La Morocha (1905) e El Choclo (1929). A lui si deve l’esportazione del tango all’estero, specie in Europa. Indimenticabile è il binomio artistico formato da Carlos Gardel (1890-1935) e Alfredo Le Pera (1900-1935), durato solo tre anni ma fecondo (circa 28 i brani scritti). Impossibile sapere se sia stata la musica di Gardel a stimolare la fantasia di Le Pera o viceversa; i temi delle loro composizioni (Mi Buenos Aires querido, Por una cabeza e Volver) sono legati al tempo che scorre inevitabile e in generale alla condizione dell’uomo destinato a errare per il mondo. Tra gli altri troviamo: Cátulo Castillo (1904-1976) poeta paroliere e musicista; suoi María (1945), Tinta roja (1941) e A Homero (1952); Homero Manzi (1907-1951) compositore di opere di rara bellezza come Malena (1941), Sur (1948) 163


e Barrio de Tango (1942). Infine ,il più recente è Horacio Ferrer (1933), che insieme ad Astor Piazzolla fonda l’Academia Nacional del Tango22. Degli anni Sessanta sono: Balada para un loco (1969) e Balada para mi muerte (1972). I ballerini che rendono il tango il più grande fenomeno platense esportato in tutto il mondo sono: Tito Lusiardo (1896-1982) con Beba Bidart (1924-1994) e la coppia Juan Carlos Copes (1931) e Maria Nieves (1950). Copes si esibisce ancora con la figlia Johana (1979) con la quale da vita alla compagnia di ballerini e musicisti: “Copes Tango Copes”. Dal 1908 in Argentina si organizzano competizioni di Tango, ma quando in Europa si inizia a pensare a delle gare che possano comprendere anche questo ballo, nessuno indaga sulle matrici culturali di tale danza: così nasce una nuova forma di tango detto internazionale, standardizzazione del tango europeo, già molto diverso da quello platense. Dal 1996 i balli standard e quelli latini entrano a far parte delle competizioni olimpiche e il tango ha già una risonanza mondiale. Oggi esso è il fenomeno culturale più vasto che l’America latina sia mai riuscita ad esportare nel mondo. Il 30 settembre del 2009, a Buenos Aires, l’Unesco lo ha proclamato Patrimonio mondiale dell’umanità.

164


1. Un celebre paroliere è Enrique Santos Discépolo (1901-1951). Egli riesce ad esprimere il malessere del cosiddetto “decennio infame” (1930-1940) mediante i suoi testi polemici e pieni di pessimismo; tra i suoi componimenti si ricordano: Cambalache (1934), Uno (1943), Yira yira (1930) e Cafetín de Buenos Aires (1948). 2. Corto Maltese giunge per la prima volta a Buenos Aires all’inizio degli anni ’10 quando è poco più di un ragazzo. Non si hanno molte notizie del suo soggiorno in Argentina: Hugo Pratt si era spesso riproposto di narrarne la storia, con i tanti personaggi che il marinaio conosce in questi anni giovanili e che ritroverà successivamente e con una bella dose di Tango, naturalmente. Pratt 1998, cit. p. 26. 3. Pratt amava Buenos Aires ma in quel momento vi trova un paese del tutto diverso: :l’Argentina era sottoposta ad una spaventosa dittatura militare sotto il comando del presidente Jorge Rafael Videla. La violenza politica si era radicata a tal punto che l’Alleanza Anticomunista, nota anche come Triplice A, disseminò terrore e morte fino al 1983: Pratt percepisce l’assenza di molti amici, alcuni costretti all’espatrio verso l’Europa e altri scomparsi nel nulla: il narratore di fumetti Héctor German Oesterheld ne è un esempio. Prima di tale dittatura in Argentina vigeva il peronismo: movimento politico a carattere nazionalistico e populistico promosso dal generale e presidente dell’Argentina Juan Domingo Perón dal 1946 al 1955. La sua dottrina, genericamente indicata col nome di “giustizialismo”, si ispirò ai modelli di governo fascisti e reazionari di Mussolini, Salazar e Codreanu, mettendo però l’accento sul ruolo dell’indipendenza economica, sul primato della sovranità nazionale e sulla ricerca di una più diffusa giustizia sociale. 4. Il marinaio dice: «Anche tu sei strana doppia crescente avanti le nuvole. E in più sono tre notti che non cambi». E le lune: «Cosa vuoi saperne di come siamo o cosa sono? Qui a Borges sono doppia! E non abbiamo nessuna voglia di crescere. Stiamo bene così!». Pratt 1998, cit. p. 100. 5. Pratt 2011, op. cit. p. 35. 6. «Si ballava e gli sguardi di queste ragazze, così profondi e belli erano già un atto sessuale».V.: http://www.emiliosalgari.it/giornalismo/articoli_2009/pratt_tango_mompracem.pdf. 7. Biagini 2004, cit. p. 51. 8. La presenza degli ebrei nel mondo del tango diviene numerosa tra il 1920 e il 1930, ma raggiunge il suo apogeo nel periodo che coincide col trionfo del nazismo in Germania, l’affermarsi delle idee fasciste in Argentina, fino alla Shoah e alla nascita dello Stato d’Israele. 165


Nell’ambiente del tango non esiste antisemitismo, anzi si rammenta di amicizie profonde tra ebrei e non ebrei. Non esiste antisemitismo per due ragioni: una è la presenza generalizzata degli immigranti nella vita musicale; l’altra ragione risiede nei valori culturali che predominano nel tango, ovvero: bohème, libertà e romanticismo che la maggioranza degli ebrei condivide con chiunque appartenga a quel mondo, sia creolo, italiano o spagnolo. Il tango, dunque, è visto come prova dell’integrazione, ma anche come rifugio contro l’intolleranza. La presenza degli ebrei sicuramente conferisce al tango un’area cosmopolita. Ivi pp. 83-84. 9. La metatesi è il fenomeno linguistico per cui all’interno della stessa parola due sillabe si possono invertire assumendo l’una il posto dell’altra. V. : http://www.treccani.it/enciclopedia/metatesi/. 10. «La crescita violenta e tumultuosa di Buenos Aires, l’arrivo di milioni di esseri umani pieni di speranze e la loro quasi invariabile frustrazione, la nostalgia della patria lontana, il risentimento dei nativi contro l’invasione degli immigrati, la sensazione d’ insicurezza e di fragilità in un mondo che si trasforma vertiginosamente, l’impossibilità di dare un senso all’esistenza, la mancanza di gerarchie assolute, tutto ciò si manifesta nella metafisica tanghistica». Cfr. Salas Horacio, Il Tango, Garzanti, Milano, 1992, p. 9. 11. Dramatis personae è un’espressione latina che letteralmente vuol dire maschere del dramma e quindi si usa per indicare i personaggi. V.: http://it.wikipedia.org/wiki/Dramatis_personae. 12. Si tratta di una danza dalla caratteristica andatura ondeggiante su un ritmo lento e monotono, a sua volta influenzata dalle controdanze europee del XVIII secolo e anche da qualche melodia orientale, filtrata attraverso la dominazione araba nella Spagna meridionale. Parallelamente all’Habanera citiamo l’influsso del Tango Andaluz, variante del Flamenco originaria della penisola iberica e con ascendenze arabo-africane, importata dagli immigrati di origine spagnola verso il 1870. Lala 2007, p. 26. 13. Termine che letteralmente indica “molte parole” o “brusio” e di conseguenza “affollamento” o “festa”: forma cantata dai payadores o cantastorie itineranti che si esibiscono nei villaggi dove la gente accorre ad ascoltarli. Ivi p. 25. 14. La payada (improvvisazione), è composta da versi ottosillabi improvvisati sulla vita, sulla morte, sull’amore, sulla solitudine, recitati con una certa cadenza ed accompagnati con la chitarra o con strumenti rudimentali come “il pettine di carta” oppure seguiti da musicisti ambulanti che suonano il flauto, l’arpa rustica, il violino e 166


la fisarmonica. 15. L’Argentina tra il 1880 e il 1930, e specialmente la sua capitale, diviene uno dei principali centri del mondo per lo sfruttamento della prostituzione ebraica. Secondo i dati del 1909, Buenos Aires conta 199 case di tolleranza autorizzate, di cui 102 erano controllate da ebrei, e 537 prostitute schedate, delle quali 265 sono ebree (la maggioranza 213 provenivano dalla Russia). Nel 1922 vi erano 497 postriboli con 1.115 donne. Su un totale di 8.486 nuove prostitute registrate dalla municipalità porteña tra il 1909 e il 1922 solo 1.916 erano argentine. Biagini 2004, op. cit. pp. 30-31. 16. Luoghi celebri in tal senso sono il leggendario ristorante Hansen, dal nome del primo proprietario, e El Tambo o Tambito, El Velòdromo e il Pabellòn de Los Lagos, tutti situati presso il quartiere Palermo. 17. Una leggenda racconta che questo strumento giunge in Argentina per la prima volta nel 1868, quando una nave svedese sbarca al porto di Buenos Aires e uno dei marinai baratta un bandoneòn con una bottiglia di liquore. 18. Gardel allontana i temi gaucheschi e fa predominare i temi dell’amore sentimentale e nostalgico, della tristezza e dell’abbandono, ben esemplificati dal primo grande successo Mi noche triste del 1917. Egli lascia testimonianza della sua arte in un vasto repertorio di incisioni fonografiche e in molti film cui partecipa come attore e come cantante. 19. Per tale ragione spesso nelle praticas - una sorta di scuole di danza, dove lo scopo principale è quello di migliorare la propria tecnica e il proprio stile e apprendere durante l’esecuzione - le donne vengono fatte ballare con le donne e gli uomini con gli uomini. La donna infatti nel ruolo dell’uomo capisce i segnali della marcas e ciò le permetterà poi di seguirli più facilmente; l’uomo dal canto suo impara seguire e quindi a capire l’attesa della donna e le sue difficoltà. 20. «Il tango genera frustrazione: durante la danza i corpi si avvicinano, si crea una forte tensione fisica, poi, quando la musica si arresta bisogna fermarsi e separarsi, spesso proprio quando si avrebbe voglia che quel contatto fisico possa continuare». Pratt c) 1996, cit. p. 91. 21. l sostantivo inglese commonwealth risale al XV secolo. La frase originale common wealth o the common weal viene dal vecchio significato di wealth che è “benessere”. Il termine letteralmente significa “benessere comune”. Perciò in origine commonwealth indicava uno stato governato per il bene comune in opposizione ad uno stato autoritario, governato per il beneficio di una data classe di proprietari (includendovi anche i despoti). V.: http://it.wikipedia.org/wiki/ 167


Commonwealth. 22. L’ Accademia Nazionale di Tango è un’istituzione che nasce a Buenos Aires, in Argentina, il 28 giugno del 1990 con l’obiettivo di raccogliere, selezionare, rivedere e salvare dalla perdita dal patrimonio culturale del tango. Il suo presidente è il poeta e paroliere Horacio Ferrer. V. : http://en.wikipedia.org/wiki/Academia_Nacional_del_Tango_ de_la_Rep%C3%BAblica_Argentina

168


Fig.29

169


Fig.30

170


Fig. 31

Fig.32

171


Fig.33

Fig.34

172




V. Un Tango Corto L’analisi e la reinterpretazione del costume di Corto Maltese inizia da un interrogativo: Hugo Pratt fa riferimento a qualche periodo particolare della storia della moda quando crea il suo personaggio? A tal proposito avanziamo diverse ipotesi che certamente restano appese come un indagine irrisolta all’interno della tesi. Interessante è sin da subito la giacca del marinaio con un taglio redingote già in voga nel corso del Settecento e poi, compiutamente, dopo la Rivoluzione: quest’ultima si ricorda con uno o più baveri al collo di dimensioni a scalare. L’esperienza del Secolo dei Lumi ed i suoi profumi ideologici sembrano rimasti appesi tra le corde più intime della personalità di Corto. Un’epoca in cui assume grande rilevanza il tema del viaggio verso terre lontane, esotiche e sconosciute ed in cui sorge il pensiero Positivo: il primo permette un confronto tra costumi e modus vivendi sempre nuovi, il secondo valorizza la ragione, la libertà di pensiero e lo sviluppo di una coscienza critica della propria identità. Entrambi attributi presenti nell’indole di Corto Maltese. Seguendo la linea dell’evoluzione sartoriale e di moda, una personalità emergente in quegli anni a cui è possibile far riferimento per il nostro è quella degli Incroyable (lett. “Incredibili”, antirivoluzionari ed antiborghesi): nel repertorio iconografico a nostra disposizione, questi infatti indossano una marsina a vita alta rialzata con risvolti ampi, taglio in vita e falde scappanti all’indietro (fig. 35). Tuttavia il periodo su cui incanalare al meglio la personalità del protagonista prattiano si estende fino al primo ventennio del XIX secolo. Se nel Settecento l’uso della redingote si limita agli ufficiali come sopravveste militare, ovvero alla divisa d’equitazione, tra il 1799 e il 1815 viene adottata dai più eleganti in quanto l’abbigliamento cittadino, come spesso accade, si conforma alle fogge marziali. Essa è a doppio petto, ha il collo alto e ampi pettacci risvoltati a punta spesso in colori diversi (fig.36) come quelli del marinaio maltese; le maniche presentano una leggera increspatura alla spalla che le rende leggermen175


te più aderente sul braccio e all’altezza del torace si contano quattro bottoni per lato. Dai primi dell’800 i capelli dell’uomo la sera diventano corti, con riccioli cadenti sulla fronte mentre il giorno restano disordinati. Intorno al 1804 compaiono i basettoni, anch’essi riproposti da Pratt sul suo personaggio, di grande fascino e successo; allo stesso modo si diffonde tra gli uomini l’uso dell’orecchino a cerchietto come degli anelli, e le cravatte si restringono in un nastro composto da un nodo. Anche se il fumettista descrive il suo protagonista come un pirata di mare, egli mantiene sempre, in ogni occasione, un eleganza impeccabile che lo rende l’archetipo dell’avventuriero solitario e disincantato eternamente sospeso tra realtà e sogno. Il marinaio è sempre alla ricerca di nuovi orizzonti; come il mare possiede lo stesso fascino e risulta imprevedibile: dapprima calmo e ospitale, un attimo dopo cupo e pericoloso. L’alone di mistero che gravita attorno al personaggio di Corto Maltese dunque riporta la mente ad uno tra i quadri più suggestivi dell’epoca romantica: Il viandante solitario (1808-1809) di Caspar David Friedrich (fig. 37). Qui il soggetto si sente incompiuto ed infelice mentre da una rupe contempla lo spazio infinito. L’uomo appare in solitudine di fronte all’immensità della natura; i suoi sentimenti restano avvolti nel mistero così come quelli di Corto, e l’osservatore non riesce a penetrarvi: chi guarda non sa se il viandante sia spaventato o affascinato di fronte all’infinito poiché egli ci volta le spalle e non possiamo dedurre nulla dalla sua fisionomia, né possiamo immaginare quale sia il suo stato d’animo. L’osservatore può supporre che l’uomo, anche qui in redingote mentre osserva il paesaggio montuoso, sia in comunione con la natura o ne venga in qualche modo sopraffatto, sentendosi un essere minuscolo e impaurito per il senso di solitudine scaturito di fronte all’infinito. Hugo Pratt, come è stato già detto in precedenza, costruisce su ogni personaggio una psicologia particolare, ma quella di Corto è senza ombra di dubbio la più affascinante proprio perché è quella che resta avvolta in un’ambiguità e senso dell’inquietudine che lo rendono un personaggio estremamente attuale. 176


Il progetto prevede l’elaborazione di tre capi i cui stili rievochino gli anni ruggenti, periodo in cui si svolge l’avventura del marinaio Maltese. Durante la loro elaborazione sartoriale sono stati man mano adattati alle esigenze della danza e del video, strumenti che, si è ritenuto più d’altri, permettono di evocare in maniera affascinante il climax che i lettori più colti recepiscono dopo la lettura di «Tango». Da qui la scelta di realizzare un cortometraggio-videoclip; esso s’incentra sul momento in cui Corto Maltese balla un tango dal sapore malavitoso in Buenos Aires, città che la penna di Hugo Pratt descrive essere allo stesso tempo cruda e magica. I passi tormentati del tango vengono illuminati da due splendide lune, anch’esse dotate di vita propria: quello che nel fumetto appare come un dialogo verbale tra Corto e le lune, nel video è riproposto sotto forma di linguaggio corporeo perché anche la danza è comunicazione. La danza tra Corto e la sua probabile prostituta è scandita dalle note di Vuelvo al Sur di Astor Piazzolla (musica) e Fernando Solanas (parole), 1988, una canzone nostalgica che ricorda lo stato d’animo degli immigrati in Argentina. L’esistenza delle due lune, quindi, sembra nascere dal bisogno di evasione dalla realtà al fine di rifugiarsi in un sogno, dentro qualcosa di irreale. Il “corto” che ne deriva è frutto della collaborazione istituzionale con “Palermo in danza” e con la cattedra di “Digital video” dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. I suoi crediti sono così riassunti: Titolo: Vuelvo al Sur. liberamente tratto da: Pratt Hugo, Corto Maltese. Tango, Lizard, Roma 1998. Soggetto e sceneggiatura Vuelvo al Sur Ndr-Personaggi: 177


Corto - Uomo sui 30 anni indossa una giacca doppio petto, camicia, bretelle, pantaloni a righe, scarpe correlate di ghetta. LEI - Donna sui 30 anni indossa un abito bordeaux stile anni Venti. Lune - Donna sui 30 anni, tiene in mano una Luna (componenti: polistirolo cartonato, carta di giornale, colla vinilica e polvere argentata). Lei indossa un abito di seta bianco la cui gonna rievoca la forma di una luna; anche le perline che lo compongono fanno riferimento ai crateri lunari. Titoli di testa Scena 1 - Esterno giorno - Arrivo di Corto Inquadratura 1 - CM Corto entra in campo da destra, percorrendo una strada in terra battuta in riva al mare. Percorre la strada fino ad uscire a sinistra del campo. Inquadratura 2 - CL Passerella in legno, Corto entra da sinistra e percorre la passerella. Inquadratura 3 - PA Controcampo su Corto che arriva alla fine della passerella, esce di campo alla sinistra della MDP. Inquadratura 4 - CM Un pontile in legno, ferma alla destra dell’inquadratura, Esmeralda entra in campo dalla destra dell’inquadratura; Corto supera lei che dà le spalle alla MDP, appoggiandosi alla staccionata del pontile. Inquadratura 5 - PP Corto fuma, guarda Esmeralda, getta la sigaretta, le si avvi178


cina. Inquadratura 6 - PA I due si avvicinano, Corto la abbraccia, iniziano a danzare. Scena 2 - Esterno giorno - Tango con Esmeralda Alternanza di CM - PP - PA - PPP I due si separano ed escono ai lati opposti dell’inquadratura. Scena 3 - Esterno giorno - Corto veda la Luna Inquadratura 1 - CM Staccionata, in lontananza il mare. Corto entra dalla destra dell’inquadratura, si dirige verso la staccionata, si toglie il soprabito e arrivato alla staccionata accende una sigaretta. Inquadratura 2 - PP Controcampo su corto appoggiato alla staccionata. Fuma e scruta il paesaggio. Corto vede in lontantananza qualcosa sulla spiaggia. E’ la luna, cambio inquadratura. Inquadratura 3 - CL Quinta di Corto che guarda in lontanza la Luna scorta sulla spiaggia. Scena 4 - Esterno giorno - La danza delle Lune Le Lune danzano in riva al mare. Alla loro destra una barca. Alternanza di CM - PP - PA - PPP Scena 5 - Esterno giorno - Conclusione Inquadratura 1 - PP 179


Corto non vede più la Luna. Inquadratura 2 - Soggettiva Corto guarda il mare. Dissolvenza. Titoli di coda Riprese, regia, montaggio e post produzione: Umberto Denaro, Simone Brancatello Coordinamento didattico: prof. Marco Battaglia Coreografia: Silvia Giuffrè Interpreti: Silvia Giuffrè, Alessandro Montemaggiore Costumi: Gaetana Aloi Documentazione fotografica: Lorenzo Gatto Trucco e parrucco: Gaetana Aloi, Alessio Scarlata by Ivan Hairlab Colonna sonora: Vuelvo al Sur, di Astor Piazzolla (musica) e Fernando Solanas (parole), 1988 Eseguita dai TangAires Trio: Alejandra Bertolino Garçia (voce), Roberto Mezzatesta (pianoforte), Romina Denaro (contrabasso). Italia 2013 In collaborazione con: Associazione “Palermo in danza” di Palermo Accademia di Belle Arti di Palermo, cattedra di “Digital video”, corso di I livello in Audio/Video e Multimedia. Location: Tonnara Bordonaro, Palermo.

180


Sviluppo sartoriale degli abiti Corto Maltese Il costume di Corto Maltese nasce dalla comunione tra il taglio della divisa classica del marinaio e lo spezzato stile anni venti (tav.1). La costruzione di quest’abito e dei suoi accessori è una media ponderata di tecniche sartoriali per il costume e di “trovarobato”, tecnica “seconda” della costumistica per lo spettacolo, ma non meno importante ed usata nella prassi costruttiva dell’idea filmica. Presso un mercatino rionale è stata acquistata una giacca blu in gabardine di cotone misura 54. Dopo aver preso adeguatamente le misure al protagonista maschile (Alessandro Montemaggiore), la fodera della giacca è stata scucita e riportata, grazie ad un manichino professionale, alla misura 48 (tav.2): tale operazione è stata eseguita scucendo i laterali e le maniche (che sono state anche accorciate). Successivamente, la giacca, originariamente in monopetto, è stata trasformata in doppio petto (tav.3), tal quale quella del marinaio Maltese. Grazie alla stoffa in avanzo sono stati realizzati i pettacci (di cui la parte sottostante composta da più pezzi) ed il “collettino in piedi”, su cui è stata inserita della telina precedentemente stirata (tav.4,a). Ad una prima prova della giacca (tav.4,b), ci si è accorti che le spalle risultavano cadenti, così è stato inserito un rollino di spugna in entrambi i lati all’altezza dell’attaccatura delle maniche. Alla fine è stata ricucita la fodera della giacca ed inseriti i bottoni: otto sulla parte anteriore, tre (più piccoli) alle maniche; laddove si rendeva necessario per esigenze coreografiche, alcuni dei bottoni sul petto sono stati applicati mediante automatici plastificati. Anche la camicia, in batista, parte da una taglia superiore (tav.5,a). Essa è bianca: con il collo a plastron (misura 44) e il doppio polso che necessita l’uso di ferma-polsi. 181


S’è iniziato con lo scucire tutti i pezzi (fianchetti, maniche, collo e sprone) per riportarla alla misura 40 di collo (tav.5,b). Con gli scampoli ricavati è stato creato ex-novo il collo, poiché quello originale risultava troppo basso rispetto al collo in piedi della giacca. Quindi è stato realizzato un altro collo sulla base di quello esistente, alto 10 cm (tav.6,a). Il cravattino è stato realizzato anch’esso in gabardine di cotone blu (tav.6,b); le sue misure finali sono: 3,3 cm di larghezza x 1,10 m di lunghezza. Il pantalone, invece, parte dalla costruzione su cartamodello ricavato dal libro Storia della tecnica del taglio: opera scelta per la prossimità culturale alle tecniche sartoriali di taglio maschile nei primi decenni del Novecento. Esso è un modello a campana (nella parte sottostante) correlato di cinturino in vita. I calzoni, che nel cartamodello originale sono concepiti per fanciullo, sono stati riportati, mantenendone le proporzioni, alla misura per uomo 48. Per essi sono stati scelti due metri e mezzo di gabardine di cotone bianco, h. 1,5 m.. Volendo fare maggior riferimento al contesto sartoriale dell’epoca, s’è deciso di virare la tinta unita in un gessato, per via di tracciamenti di linee, a distanza di tre cm, su tutto il tessuto, in modo da creare le righe (tav.7,a). Detti tracciamenti sono stati dunque ribattuti a macchina da cucire, con impunture di cotone blu (tav.7,b), alternando punto “dritto” (piedino A, tensione filo 5, selettore punto dritto regolare, larghezza 0, lunghezza 3) a punto “decorativo elastico” (piedino A, tensione filo 2, selettore punto elastico +, larghezza 6, lunghezza S). Secondariamente s’è proceduto al taglio il tessuto (tav.8,a), completamente impunturato, sulla base del cartamodello, imbastendo i pezzi tra loro in modo tale da verificarne la vestibilità con le prime prove. Al pantalone è stato unito il cinturino (tav.8,b), il tutto pensato per essere sorretto da bretelle blu con asole ad incrocio (tav.8,c). Ancora per ragioni coreografiche, tuttavia, al pantalone è stata aggiunta una chiusura lampo laterale, per far si che esso non ostacolasse in alcun modo i movimenti del ballerino durante 182


la danza. Per la stessa ragione le scarpe (tav.9,a) hanno la suola in cuoio, tali da far scivolare bene il piede nella danza. Esse sono state dipinte di bianco (tav.9,b) ed associate mediante elastico ad una ghetta in gabardine blu appositamente progettata e realizzata per lo scopo (tav.9,c). Anche il cappello è stato modificato nella circonferenza dalla misura 60 (tav.10,a) alla misura 58, stringendolo dalla parte posteriore dopo aver tolto momentaneamente la fodera interna (tav.10,b). La sua parte superiore è stata realizzata mediante gabardine bianco (tav.10,c) che funge da rivestimento finale, insieme ad altri particolari cuciti anteriormente rievocanti la marina ovvero: un nastrino dorato e lo stemma (tav.10,d).

Abito Tango anni Venti Inizialmente sono state prese le misure alla coreografa ed interprete Silvia Giuffrè, in base ad esse si è deciso di acquistare due metri di crêpe (sintetico) bordeaux. A partire dal modello creato sul figurino (tav.11) è stato tracciato il cartamodello misura 40 che è servito per la costruzione sartoriale dell’abito. Quest’ultimo seguiva un’impronta tipicamente anni Venti, con taglio a vita bassa, frange e le perline. Anche questa volta per motivi di funzionalità del costume per la danza è stata inserita una lampo nella parte laterale sinistra del capo. Dopo aver eseguito diverse prove, è stata cucita la frangia (lunga 50 cm e precedentemente dipinta nello stesso colore del vestito) all’altezza del taglio della gonna; essa ha una circonferenza di 91 cm. L’abito è stato definito con uno spacco nella parte sinistra per agevolare i movimenti della ballerina e la lunghezza è stata regolata fino a metà polpaccio (tav.12, tav.13). Esso è stato decorato nella parte anteriore, posteriore e laterale destra (in contrapposizione allo spacco) con perline beige e bordeaux, inserite minuziosamente, una per volta, sul filo di cotone a gruppi di trenta (tav.14,a). Poi sono state fermate (tav.14,b) e legate tra loro con piccoli nodi in modo da fissarle sull’abito. 183


Le esigenze coreografiche hanno richiesto infine l’aggiunzione di un nastrino di raso nella parte interna del vestito all’altezza delle spalle: esso è stato cucito ad un automatico in modo da fermare le bretelle del body indossato dalla ballerina. Perline sono state applicate anche sulle scarpe di modello Cuccarini color beige (tav.15 a,b), per assonanza con quelle dell’epoca: infatti per la prima volta i quegli anni si lasciavano scoperte le gambe e ciò si tradusse nel dare maggiore importanza, alla scarpa che venne impreziosita da ricami e dettagli di ogni tipo.

Abito Luna Quest’abito simboleggia una luna (tav.16). Gli è stata correlata quindi un’altra luna (tav.17 a,b), anch’essa parte integrante della scenografia, realizzata con i seguenti materiali: polistirolo cartonato, carta di giornale, colla vinilica, acqua, polvere argentata e vernice trasparente opaca (cosicché non riflettesse troppo la luce davanti all’obiettivo della telecamera). Nel rispetto di tale ispirazione lunare sono stati composti dei piccoli crateri sulla parte anteriore-laterale, mediante la congiunzione di perline argentate (tav.18). Inizialmente sono stati acquistati tre metri e mezzo di cadì di seta bianco, tagliati accuratamente in base al modello di misura 40 (tav.19). Oltre alla disposizione delle perline ed ai loro disegni, nell’abito un altro elemento importante che rievoca la luna è la gonna. Essa è stata tagliata in tralice per conferirle maggiore ampiezza ma con una particolarità: il prolungamento del lato anteriore sinistro si presenta a forma di mezza luna, con piccoli punti di tre perline su tutta la superficie (tav.20). La coreografia ha ruotato ed interagito, in certo qual senso, con questo elemento fatto fluttuare nell’aria grazie ad un nastrino di raso cucito sulla punta della luna. La gonna è stata rivestita con un metro di fodera di raso bianca al fine di evitare trasparenze (tav.21). Nella parte interna del vestito, all’altezza delle spalle, una striscia di nastrino di raso cucita a un automatico ha fermato le bretelle 184


dell’intimo, esigenza anche questa di ordine coreografico. Al fine di rendere il personaggio-luna piÚ surreale possibile, sono stati aggiunti altri dettagli: una parrucca bionda a caschetto ed un trucco smokey eyes, nei toni del bianco del grigio e del blu.

185


Testimonianze Silvia Giuffrè Danzatrice contemporanea e coreografa è laureata in Filosofia presso l’Università di Palermo con il massimo dei voti e la lode con una tesi di ricerca sulla filosofia della danza. Riceve nel 1998 una borsa di studio per merito dalla London Contemporary Dance School di Londra e nel 2006 una Menzione speciale per il talento artistico al premio internazionale Palermo in Danza. Studia a New York presso la Trisha Brown Dance Company dove frequenta anche il Movement Research e approfondisce la Release Technique, la Contact Improvisation. Dal 1999 fa parte della compagnia Moto Armonico Danza diretta da Betty e Patrizia Lo Sciuto in cui apprende la Fine Movement Technique © e lavora in seno agli Amici della Musica di Trapani. Si esibisce in Italia, Germania, Francia e Cile e in numerosi contesti italiani di improvvisazione. E’ danzatrice nell’Ensamble di Micha Van Hoecke (Baccanti 2009) e partecipa insieme ad altri venti danzatori europei al gruppo di sperimentazione per la ricerca di Steve Paxton presso il Centre National de la Danse di Parigi, e con Mathilde Monnier a Vienna. Come danzatrice partecipa al film Mari con la regia di Michel Ferra, per il canale franco-belga Arté e come coreografa al film “Un tango prima di tornare” di Italo Zeus, con la fotografia di Daniele Ciprì. La sua prima creazione è Prendo il corpo in parola ispirata al libro di poesie di Francesca Guajana, musiche originali di Giuseppe Rizzo. Nella stagione 2009/2010 è stata danzatrice e coreografa nello spettacolo Anima, regia e interpretazione di Luciano Roman, prodotto dal Teatro Biondo Stabile di Palermo. E’ interprete dell’assolo “Point de vue” con la coreografia di Betty Lo Sciuto in cartellone al Teatro Libero/Incontroazione Stabile d’Innovazione di Palermo, nella stagione 2011/2012. Come danzatrice lavora con la Compagnie Cadmium (Pontoise, France) nel 2006 nella creazione dal titolo “Chi non ha il suo Minotauro?” e nel 2012 186


in “Dèlit D’identité”. E’ ballerina di Tango Argentino e studia con maestri di fama internazionale (Julio Balmaceda, Corina De La Rosa, Elina Roldan, Ramiro Gigliotti, fausto Carpino). Infine si occupa di formazione insegnando danza in diversi contesti pubblici e privati e persegue una ricerca sul movimento naturale del corpo tra danza e teatro in accordo con la logica articolare e cinestetica del corpo. Collabora in qualità di pubblicista con il quotidiano on line Siciliainformazioni.com scrivendo sulla danza e sul teatro. Vive a Palermo e dal 2009 è direttore artistico della Compagnia Omonia-Contemporary Arts in cui lavora insieme ad Alessandro Montemaggiore artista visivo nonché ballerino di tango argentino e il musicista e compositore elettroacustico Giuseppe Rizzo. L’intento di Omonia è la ricerca e la divulgazione dell’arte contemporanea, ponendo la danza come disciplina di partenza. Rispettando le specificità di ciascun ambito artistico il lavoro coreografico si intreccia e si completa con gli altri linguaggi, al fine di scoprire nuove possibilità di espressione attraverso l’interazione e la contaminazione tra le discipline performative, le quali si influenzano tra loro, si ispirano a vicenda e si reinventano ristrutturandosi di volta in volta dal punto di vista dell’approccio metodologico e compositivo, maturando così un linguaggio specifico che fa della connessione tra le arti il centro e il punto di forza di ogni creazione.

187


Alessandro Montemaggiore Laureato all’Accademia di Belle Arti “P. Picasso” di Palermo con il massimo dei voti e la lode, comincia fin dagli anni novanta la sua carriera artistica di progettazione e organizzazione scenografica presso alcuni allestimenti nella città natale (spettacolo “l’Angelo e il Golem”, “Prova di un’ Opera Seria” regia di Fabrizio Lupo, “Amahl e i Visitatori della Notte” regia di Stefano Vizioli presso i Cantieri Culturali della Zisa di Palermo). Progetta e realizza il logo del “Distaccamento Aeroportuale Palermo-Boccadifaico” Addaura (Pa), nonché l’impianto scenico e di illuminazione del cinema del distaccamento. Si forma come scenotecnico-scenografo presso “l’Operalaboratorio” patrocinato dal Teatro Massimo di Palermo, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Palermo. Nel 2001 si trasferisce a Milano dove opera nel campo artistico e creativo collaborando come progettista e macchinista presso molte manifestazioni tra cui la Triennale di Milano (mostra “Made in Italy 1951-2001” con Oliviero Toscani, Gaetano Pesci e Gae Aulenti). Sempre a Milano è macchinista, realizzatore tecnico di palcoscenico presso il “Piccolo Teatro di Milano - Teatro D’ Europa” negli spettacoli diretti da Luca Ronconi (“Lolita”, “Il Candelaio” di G. Bruno, “Quel che sapeva Maisie” di H. James con Mariangela Melato). Al “Teatro Greco di Siracusa” allestisce la scenografia di “Prometeo incatenato”, “Le Baccanti” , “ Le Rane” , per la regia di Luca Ronconi. Collabora anche con altri teatri come il Teatro Manzoni di Milano e il tour del musical “Notre Dame de Paris” nelle tappe di Milano, Torino e Bologna, realizzando anche e in particolare le torri del boccascena. Nel 2003 si occupa di moda come macchinista per l’allestimento di festival e delle sfilate, collezione donna primaveraestate 2003 ( Blumarine, Borbonese, Roberto Cavalli, Clips, Lancetti, Angelo Marani, Max Mara, Mila Schon) presso la 188


Fiera di Milano. Lavora inoltre come disegnatore e stilista presso lo studio “Paolo Quartucci Stilista” (consulente per le ditte: Mabrun, Marzotto, Coin, Mariella, Bond Street, Vestebene, gruppo Mitsubishi, lanificio f.lli Bacci, Longhi, Zegna). Dal 2005 torna a Palermo e si occupa della realizzazione del centro coreografico L’espace, di cui ne è attualmente socio fondatore e responsabile dell’ immagine e della tecnica. Nel 2006 e 2007 è supervisore tecnico nello spettacolo “ Coming soon” della compagnia L’espace a Palermo. E’ attualmente docente di decorazione e di tecniche pittoriche presso l’ Accademia di Bellle Arti “P.Picasso” di Palermo. Inoltre durante gli anni di lavoro come scenografo e macchinista al Piccolo Teatro di Milano viene scritturato come comparsa in numerose rappresentazioni teatrali con regia di Luca Ronconi (“Lolita” “Il Candelaio” “Infinities”). Ballerino di Tango Argentino ha studiato con maestri di fama internazionale (Julio Balmaceda, Corina De La Rosa, Elina Roldan, Ramiro Gigliotti, Luca Giacomoni, Tobias Bert , Annalisa di Luzio, Gerardo Quiroz, Fiorella Giliberti e Oriel Toledo, Fausto Carpino). Coprotagonista nello spettacolo di Tango Argentino in scena il 15 giugno 2008 al Teatro Politeama Garibaldi di Palermo. Protagonista del video clip del singolo “Canzone semplice” di Aida Satta Flores nell’aprile 2009. Nel novembre 2010 posa per il progetto fotografico “ Un Tango a Palermo” in mostra C.O. il Centro Coreografico l’Espace. Nel settembre 2011 comparsa speciale per il film-musical “UN TANGO PRIMA DI TORNARE” con la regia di Italo Zeus e la fotografia di Daniele Ciprì.

189


Ascolto, sensibilità, ritmo, colore e creatività sono gli elementi che hanno caratterizzano questo incontro tra il Costume e la Danza. Scrive Anna Anni, celebre costumista italiana che firma centinaia di produzioni per i più prestigiosi teatri del mondo: “per i costumi per la danza è fondamentale che i vari colori creino giochi cromatici accompagnando i movimenti dell’interprete. Il peso dei tessuti e la forma del costume non devono imprigionare il corpo, vero protagonista dello spettacolo”. Su questo assunto di base si è lavorato durante la realizzazione del progetto video “Un Tango Corto” per il conseguimento della tesi di laurea di Gaetana Aloi. L’attenta lettura del fumetto “Tango” di Hugo Pratt ha subito ispirato il mio lavoro di coreografa e danzatrice in diverse direzioni. Le numerose suggestioni e le proposte performative in merito alle possibilità comunicative del linguaggio del corpo hanno condotto il gruppo di lavoro alla realizzazione del progetto: una creazione composita conseguita grazie al connubio di diverse competenze; video, musicali, costumistiche, performative e coreografiche. La figura elegante e un po’ malinconica del marinaio Corto Maltese ha nel testo due principali partner con cui istaura un dialogo personalissimo: la luna e la donna. Da qui la scelta di una drammaturgia coreografica in grado di offrire una sintesi del contenuto del fumetto ed in grado di raccontare i diversi cambiamenti emotivi del protagonista, entro il breve tempo musicale di un tango: una danza per la luna e la sua gemella e un tango argentino tra Corto ed Esmeralda. I costumi realizzati ad hoc per il progetto sono stati pensati e disegnati sin dall’inizio per la danza, con la finalità di raggiungere il miglior risultato possibile nella duplice valenza estetica e funzionale. Gli abiti femminili in particolare, ancor più del costume di Corto, hanno dovuto “sottostare” ad alcune necessità tecniche legate al movimento ed hanno assunto solo in itinere una forma definitiva, richiedendo continue attenzioni al fine di vestire il corpo nel modo più armonico possibile e assicurare 190


una “comodità” nel movimento. Per l’esecuzione della danza delle due lune la location esterna sulla spiaggia di ciottoli (con un po’ di farina sparsa per terra per salvaguardare il piede nudo) ha permesso di creare un contesto quasi surreale, creando una situazione a metà tra l’onirico e il fumetto. Dal punto di vista coreografico, a causa della particolarità del luogo e del suolo, ho lavorato con la tecnica della “composizione istantanea”, per conferire una certa versatilità alla scelte coreografiche, a partire da una tematica di base: l’alternanza tra le linee e le curve del movimento. Inoltre, mediante l’improvvisazione del movimento ho sperimentato - in sala danza prima e nella stessa location dell’esecuzione, poi- dei movimenti possibili da eseguire in interazione con l’oggetto: la luna di polistirolo cartonato. Da questa ricerca ho poi selezionato alcune sequenze danzate, alternando movimenti globali del corpo con movimenti del “dettaglio”. I più interessanti e più ricchi di senso drammaturgico sono stati eseguiti in diverse combinazioni ritmiche e spaziali in fase di ripresa video. La scelta della parrucca bionda ha conferito una caratterizzazione maggiore al personaggio fumettistico e ha reso più originale ed interessante la relazione tra la luna-interprete (vestita di bianco, con un morbido abitino di seta arricchito qui e là con piccoli “crateri” di perline ) e la luna-oggetto (in polistirolo cartonato). Il tango argentino “in abbraccio stretto” -caratteristica tipica di questo ballo sociale ai suoi esordi - è legato ad una modalità compositiva detta “improvvisazione strutturata”, in cui il ballerino è libero di interpretare la musica seguendo uno schema ritmico e dinamico a piacimento, sulla base di regole tecniche condivise e di alcuni patterns di movimento stabiliti. Sono state scelte in fase di prova e poi eseguite in fase di ripresa diverse e numerose figurazioni coreografiche di coppia proprie del ballo argentino, una serie di evoluzioni capaci di alternare i livelli di percezione estetica e comunicativa. Il tango di Corto interpretato da Alessandro Montemaggiore sulle note di Vuelvo al Sur di Astor Piazzolla ( nella versione 191


remake del gruppo “Tangaires Trio” di Alejandra Bertolino Garcia) racconta di un amore fugace e appassionato. L’incontro con la donna simboleggia un momento di grande empatia, in cui entrambi i ballerini si concedono l’uno a l’altra abbandonandosi ad uno scambio di emozioni, ciascuno consolando la propria solitudine seppur rimanendo in un atteggiamento di compostezza tipico di quegli anni. Inizia così un dialogo silenzioso e sensuale in cui fallisce ogni genere di contesa e in cui il rapporto tra i due si consuma dentro un gesto di sorprendente naturalità: un abbraccio. I costumi dei due personaggi dall’armonica relazione cromatica d’insieme hanno garantito una certa “leggerezza” al movimento, così che ogni guizzo dei corpi intrecciati potesse risultare elegante e sinuoso, tanto per l’ interprete quanto per l’osservatore. Silvia Giuffrè

192


Alejandra Bertolino Garcia Docente di canto presso la Scuola Internazionale di Musica PalermoJazz è di origine spagnola. Canta, suona il cajon e l’harmonium mescolando le tradizioni popolari Spagnola e Sefardita con innovazione del flamenco rispettando i suoi classici “palòs” (le ritmiche) rappresentando il mezzo occidentale attraverso il linguaggio universale Jazz per tradurre una radice melodica Andalusa e Araba come una fusione di lingue diverse in un unico linguaggio. In tal modo fonde nella sua improvvisazione elementi dell’Orientalismo musicale andaluso e le sue espressioni gitane con mielismi Arabo-indiani. Nel 2003 entra in contatto con la cultura e la canzone in ladino, per puro caso durante un viaggio in Spagna con il figlio, e inizia la sua ricerca sulla cultura giudeo-spagnola del XV secolo dedicando gran parte della sua vita, da allora, a raccogliere canti sefarditi religiosi e secolari. La sua voce diviene uno strumento di fusione tra il flamenco e i suoni orientali. Così unisce i brani tradizionali sefarditi a ritmi orientali, causando una piccola rivoluzione nel panorama musicale sefardita, lasciando l’accompagnamento tradizionale di chitarra spagnola e recuperando gli strumenti della più antica tradizione musicale (Viella, Santur, Harmonium, Oud). Assimila con naturalezza differenti linguaggi perché non li ricerca ma sceglie di accogliere ciò che incontra . Nella quiete, annota ogni nota della sua ombra, ogni melisma del suo cuore. L’anima la guida, ama ogni nota della musica che è danza ed è musica, d’un tratto antica e appena nata come il flamenco stesso. Attualmente lavora a tre progetti . 1. FLAMENJAZZ in “NEGBA” (Verso Sud) di musica Sefardì : un viaggio attraverso la poesia e la musica. Tale progetto la vede da anni impegnata in studi e ricerche in Spagna (terra della famiglia materna) in Israele e in Turchia. 2. SONIKÈTE in “Sefaràd” Musica, Danza & Poesia: la compagnia Sonikète porta in scena le radici di un canto che ha origini antiche e nasce dall’incontro della cultura musicale spagnola con quella Araba, Sefardì e con il Jazz. Questo spet193


tacolo fonde il Flamenco ed il Jazz, la musica di “metissage” per eccellenza in un’unica arte in cui le antiche tradizioni popolari e la penetrante poesia fungono da cornice formale e il dialogo tra i musicisti e l’improvvisazione suonata e danzata accostano magicamente due mondi: l’Orientalismo musicale Andaluso e il Jazz. 3. TANGAIRES TRIO: gruppo musicale che si basa su una rilettura della meravigliosa musica di Astor Piazzolla, nella quale all’interpretazione dei brani, così come amava eseguirli il Maestro argentino, si fondono arrangiamento e improvvisazione con gli “assolo” di contrabbasso di Romina Denaro e il pianoforte di Roberto Mezzatesta con la sua delicatezza interpretativa e la sua forma di vedere e sentire il Tango, sorretti nei brani cantati dalla voce di Alejandra. Nei Brani proposti sarà facile riconoscere l’esperienza di concertisti impegnati da anni in un repertorio che sta a cavallo tra la musica colta e il jazz. Romina e Roberto, due musicisti virtuosi incredibilmente talentuosi, catturano insieme ad Alejandra la passione e l’emozione del tango argentino in un repertorio che spazia da brani tradizionali, a interpretazioni contemporanee. Nel progetto Trio confluiscono tutte le varie suggestioni culturali nonché le abilità strumentali e creative del gruppo, con i sensuali impasti timbrici del contrabasso che, a più riprese, si sfidano in intricati e ricercati effetti percussivi e dove alla base si aggiungono, in mirabile simbiosi, la tecnica del contrappunto e l’inimitabile freschezza dell’impressionismo, in una tensione virtuosistica che è solo del tango. Attraverso autori come Borges, Alfonsina Storni, Astor Piazzola, che rendono il tango un linguaggio alto ed internazionale, si cattura l’essenza di questa espressione che Discépolo definisce “un pensiero triste che si balla” e Borges “un confuso ed irreale passato, un assurdo ricordo d’esser morto”; Sabàto, dal canto suo, lo fa ballare per “inseguire pensieri cattivi sull’esistenza”.

194


Tra il caso o un’oscura e curiosa convergenza astrale?! No, niente di tutto questo. Una semplice risposta ad un richiamo tra anime vere, autentiche, umili e alte, prima ancora del piacere dell’intricarsi nel confronto tra professionisti. Un richiamo profondo tra noi figlie della luna. Un nostalgico bisogno d’utopia. C’è sempre una grande anima che mette insieme le note. L’anima domanda la musica risponde. Insomma sono stata risucchiata in un vortice di simpatie, tutte con curiose rispondenze. Ma facciamo alcuni passi indietro per chiarire da dove nasce quest’unisona vibrazione. La mia storia musicale nasce attingendo dalle profondità delle mie origini che sono state partorite a loro volta da tante altre importanti origini. Per semplificare: io, spagnola, sono partita dal flamenco e attraverso questo ho scandagliato a fondo, approdando poi ad altre culture musicali che vivono, pur loro, nei giri del mio, del nostro sangue, cromosomi arabi, ebraici, spagnoli, siciliani, mediterranei. Le culture dell’erranza. Ma nel flusso del mio sangue vive anche il battito della musica ascoltata e vissuta durante la mia felice infanzia spagnola. Tanghi eseguiti ed interpretati dalla nonna, dalla zia e dalla mamma, nelle notti Canarie mentre la misteriosa luna ballava il tango scivolando leggera sul mare. Quella bianca dea, che si riflette sull’acqua, che cattura, non è tutto, ma è qualcosa e qualcosa è meglio della solitudine, che è mancanza e quindi attesa, di ciò che non c’è ma può esserci. Tra i tanti brani uno ha, particolarmente, accarezzato la mia memoria ed è proprio Vuelvo al sur. “Ah se qualcuno mi avesse amato con l’intensità dell’acqua, del fuoco, dell’ora profonda…”

Cosa può commuovere di più veder sognare e danzare, su i tuoi stessi sentimenti, in perfetta simpatia, un’altra anima, Silvia Giuffrè. Con lei ho sposato questo lavoro di Tatiana, il cui nome risuona con l’energica fierezza dei due colpi di chiusura di un taconeo. 195


Con Silvia abbiamo dato soffio vitale ad un precedente spettacolo e senza che io ne fossi a conoscenza e senza che io la conoscessi. Una mia canzone, ad un certo punto dello spettacolo, a mia insaputa, inonda la sala mentre Silvia, con le sue coreografie, racconta “poesia”. E Corto Maltese?! Ditemi voi se non può non esserci simpatia e affinità col nostro eroe: figlio di un marinaio (come mio padre). Figlio di una gitana di Siviglia, spagnola (come mia madre), puttana, (mia madre no) che gli trasmette (come fece mia madre) un carattere zingaresco, abitudini ereditate da una cultura arabo Andalusa al ritmo di chitarre, e ancora amore per la libertà e per l’erranza, dell’essere innamorati delle cause perse e con il gusto per la magia. E infine un’educazione in un collegio ebraico. Uomo d’isole, come lo sono io. Insomma potrebbe essere o un mio fratello o il mio uomo ideale. Nella incantevole e affascinante Buenos Aires, il mio eroe attraversa notti tanghere rischiarate da misteriose lune. Corto :“Che strano ci sono due lune…”

Un incontro tra sguardi e non per curiosa convergenza astrale si sono combinate, per il Tango di Corto, tre addirittura lune: Tatiana, Silvia e Ale. Ho scelto la luna, non solo indispensabile ma carica di tutti gli aggettivi veritieri, struggenti e forse un po’ melensi che millenni di poesia le hanno attaccato addosso, per descrivere il senso di commosso fascino che ha scandito lo scorrere di questo lavoro; la luna che sublima forse, o forse rende irrinunciabile il desiderio, l’anelito, la ricerca febbrile. In ultimo una citazione da Shakespeare: L’uomo che non ha musica in se stesso, e non è mosso dall’armonia dei dolci suoni, è buono per tradire, tramare, e depredare. I moti del suo animo sono cupi come la notte e i suoi affetti neri come l’Erebo. Un uomo così non riceva mai fiducia.

Alle mie due amiche più della mia fiducia, tutto il mio canto. 196


Umberto Denaro e Simone Brancatello E’ interessante come dal nulla possa nascere una sinergia tra varie forme d’arte che hanno diversa matrice espressiva come in questo progetto. La sensazione che avevamo fin dall’inizio era che da questa collaborazione potesse materializzarsi prodotto di ottima fattura. E’ stata sicuramente una piacevolissima esperienza che ci ha proiettato in un mondo, quello del Tango e della sua essenza, a noi sconosciuto, dandoci sul momento diverse emozioni e nuove visioni del progetto stesso. I videomakers Umberto Denaro Simone Brancatello

197


Lorenzo Gatto Nasce a Palermo, il 12 Ottobre 1963. Come tutti i palermitani matura capacità critiche e autoironiche sulle situazioni controverse che vive la sua città. Lascia gli studi e si getta a capofitto nel lavoro. Nel frattempo si sposa “oggi separato” e da questo matrimonio nascono due figli. Si guarda attorno e incomincia ad affascinarsi a tutto quello che può aiutarlo a comunicare la sua sensibilità al prossimo. Pensa di avere tanto da trasmettere e assieme alla compagna decide di realizzare un sito, Bellapalermonline col quale incomincia la sua “carriera” di amante di Palermo e delle sue bellezze architettoniche e monumentali….. Il successo passa attraverso uno studio accurato di tutto ciò che concerne Palermo… Studia i monumenti, le chiese, i palazzi nobiliari, le vecchie strade, i vicoli più antichi della città. Le relative letture lo affascinano e comincia a questo punto la sua idea di immortalare personalmente tutta questa bellezza. Frequenta gli eventi più importanti della Palermo che emerge dal buio degli anni precedenti e incomincia a scattare… Qui comincia a conoscere alcuni amici con le stesse sue idee e acquista la sua prima reflex…. Non l’avesse mai fatto: incomincia una grandissima produzione di scatti che lo conducono ad una sempre più crescente volontà di migliorarsi… Le prime mostre, i set fotografici, le escursioni in città e provincia, le uscite goliardiche, le associazioni. Durante un flash mob tango a Palermo viene a contatto con questa meravigliosa danza argentina ed è come una folgorazione… Si innamora e decide di realizzare dei progetti con il tango grande protagonista. Fa amicizia con alcuni maestri e decidono di realizzare alcuni set a Palermo, in giro per i più bei monumenti. Un binomio vincente: tango e bellezze architettoniche di Palermo… Lorenzo scatta ascoltando quel ritmo e vedendo quei passi… I suoi scatti e la coppia diventano una cosa sola: ritmo e scatto, scatto e ritmo e figura si disegnano immortali nella sua men198


te, nel suo cuore e s’innalzano sublimandosi verso l’Assoluto. Guardi i due abbarbicati e lo scenario s’illumina, tango emozionante, commovente, forza che abbaglia e che trascina…la luce della musica e dell’immagine si fondono e ne nasce un capolavoro: il fotografo penetra dentro l’anima dei passi della danza e dentro l’anima dei movimenti degli attori e ne trae linfa vitale per il suo obiettivo finale. La FOTO e il tango: un connubio inscindibile e immortale…! “Il tango è un bellissimo linguaggio del corpo – racconta De Figueroa -. Passione, sensualità e intesa mentale e fisica tra uomo e donna. La foto risulta un’espressione creativa e tridimensionale di ciò che il nostro occhio vede, miscelando luci, colori, geometrie e materia. Questi elementi viaggiano insieme nella mia mente e poi li trasferisco nella realtà. Un insieme di cose attraggono un fotografo – spiega il collega Lorenzo Gatto-: l’eleganza del movimento, la passione e soprattutto la fortissima emozione che due ballerini di tango trasmettono all’esterno. Per quanto mi riguarda sono sempre i soggetti a darmi l’ispirazione giusta, per poi contestualizzare lo scatto. Tutto cambia in base a chi sto fotografando”.

Lo troviamo impegnato nel documentare le serate di musica e varietà organizzate dal Centro Coreografico l’Espace, in cui ritrae alcuni dei più importanti artisti di Palermo durante le loro esibizioni. Si interessa molto di danza contemporanea collaborando con la Compagnia di Danza OMONIA e con la compagnia l’ESPACE. Mostre. “Un tango a Palermo”: Inaugurata il 31 marzo 2011, dedicata al tango presso l’Associazione Culturale PALAB. “Instantes de tango”: Inaugurata il 7 marzo 2013, dedicata al tango presso Il Centro Coreografico l’Esapce.

199


Il Tango, ancora una volta davanti al mio obiettivo….. si è proprio il tango che nel gennaio del 2010 mi porta nel mondo della danza, e che da quel momento non ho smesso di fotografare, grazie anche ai miei cari amici Silvia Giuffrè e Alessandro Montemaggiore, che in questa occasione ho ritratto in una veste un po’ insolita ma estremamente suggestiva. Il tutto valorizzato da una splendida location, La Tonnara Vergine Maria, meglio conosciuta come Tonnara Bordonaro, molto cara a noi palermitani , che ha saputo donare quella splendida atmosfera un po’ malinconica, ma adatta, tipica dei luoghi di mare. Tango Argentino, Silvia ed Alessandro, Tonnara Bordonaro, una combinazione perfetta per realizzare il video per una tesi di Laurea su un personaggio di un famoso fumetto di Hugo Pratt: Corto Maltese. Il contenuto del set trae ispirazione da una delle opere più importanti di Pratt “Tango”, rievocando il momento in cui Corto scorge due lune dei cieli di Buenos Aires; anche se di luna ce n’é una sola, quella ben realizzata da Tatyana, laureanda, stilista e truccatrice, che ho avuto il piacere di conoscere in questa bella e inaspettata giornata fotografica. Dopo alcune foto del backstage, iniziano le riprese video dirette da due studenti del corso Audio/Video e Multimedia, Umberto Denaro e Simone Brancatello, direi all’altezza della situazione…..ed ecco qua, Silvia e Alessandro davanti al mio obiettivo, in una atmosfera quasi surreale, in uno scenario, atemporale, che dona un effetto quasi magico, il tutto splendidamente reso dai bei costumi realizzati da Tatyana e ben indossati da Silvia e Alessandro, insomma…..un cocktail perfetto ,bello…. per me che sto fotografando. Ringrazio Silvia, Alessandro e Tatyana per questa meravigliosa giornata fotografica di tango.

200


Fig.35

201


Fig.36

202


Fig.37

203


Tavole di Progetto

204


Tavola 1

205


Tavola 2

206


Tavola 3

207


Tavola 4

a.

b.

208


Tavola 5

a.

b.

209


Tavola 6

a.

b.

210


Tavola 7

a.

b.

211


Tavola 8

a.

b.

212

c.


Tavola 9

a.

b.

c.

213


Tavola 10

214

a.

b.

c.

d.


Tavola 11

215


Tavola 12

216


Tavola 13

217


Tavola 14

a.

b.

218


Tavola 15

a.

b.

219


Tavola 16

220


Tavola 17

a.

b.

221


Tavola 18

222


Tavola 19

223


Tavola 20

224


Tavola 21

225


Tavola 22

a.

b.

c.

226


Tavola 23

227


Tavola 24

228


Tavola 25

229


Tavola 26

a.

b.

230


Tavola 27

a.

b.

231


Tavola 28

a.

b.

232


Tavola 29

233


Tavola 30

234


Indice delle Illustrazioni Capitolo I Fig.1 Il Manifesto di Bibolbul, Atak, Festival di Bologna, http://bologna. repubblica.it/cronaca/2012/02/29/news/bilbolbul_ghermandi_e_le_ altre_l_avanguardia_rosa_del_fumetto-30680790/ pag. 58 Fig.2 Il personaggio di Quadratino, tavola di fumetto. «Corriere dei Piccoli», 32, 7 ago, 1910. pag. 58 Fig.3 Il personaggio di Signor Bonaventura, tavola di fumetto. «Corriere dei Piccoli». 1917, http://www.glamazonia.it/board/t-GENERAZIONI-Fumettomani-presenta-4-passi-tra-le-nuvolette-3a-puntata--11732 pag. 58 Fig.4 Bruno Angoletta, il personaggio di Marmittone, tavola di fumetto. «Corriere dei Piccoli». 1975, http://lelecollector.altervista.org/nonsolo-marmittone/ pag. 58 Fig.5 Copertina di «Topolino», 1, 1932. Archivio Fondazione Fossati. pag. 59 Fig.6 Benito Jacovitti, Copertina Cocco Bill. 1967. pag. 59 235


Fig.7 Rivista «Assodipicche», 1, 1982. http://www.fumettomania2000. com/Pratt%20Asso%20di%20picche.jpg pag. 59 Fig.8 Prima vignetta de Le Paperolimpiadi, La video camera “premonitor” episodio 4. pag. 60 Fig.9 Copertina di-Diabolik,1, 1982, http://www.animamia.net/il-mondoin-copertina-il-mondo-e-una-copertina/ pag. 60 Fig.10 Copertina di Kriminal, albo 1, http://comicus.forumfree.org/index. php?&s=79620267819a2dd69747350c87b8d140&showtopic=6483 9&st=135. pag. 60 Fig.11 Guido Crepax, rielaborazione di un poster originario del 1969: Valentina con biottica, 6x6cm, 1972. pag. 60 Fig.12 Max Bunker, Collana Alan Ford Story, http://morenoburattini. blogspot.it/2010/09/hanno-un-anno.html pag. 61 Fig.13 Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galeppini, Tex Willer. La fine di Lupo Bianco, n. 19, 1965. pag. 61 Fig.14 Berardi e Milazzo, Ken Parker. Isola Trovata, n.1 pag. 61

236


Fig.15 Héctor German Oesterheld e Francisco Solano López, «Eternauta», 1024x807, http://comics-parma.blogautore.repubblica.it/2011/05/04/ consigli-del-mese-4/ pag. 61 Fig.16 «Cortomaltese»,Appuntamento a Bahia, 2, 1983, http://www. fumetto-online.it/it/ricerca_editore.php?TITOLO=CORTO%20 pag. 62 Fig.17 Claudio Villa, Dylan Dog. L’alba dei morti viventi, 1, 1986 pag. 62 Fig.18 Alfredo Castelli, Ep. Martin Mystere. Che fine hai fatto Kurt Katzenjammer, http://www.fumetto-online.it/it/lo-scarabeo-martinmystere-che-fine-ha-fat-martin-mystere-che-fine-ha-fatto-kurtkatzenjammer-c28348000000.php pag. 62 Fig.19 Video Girl Ai (primo manga), http://otakusoul.forumfree. it/?t=54013884 pag. 62 Fig.20 Alessandro Barbucci e Barbara Canepa, Witch. pag. 63 Capitolo II Fig.21 Hugo Pratt, Losanna.

pag. 106

Fig.22 a. Hugo Pratt, Soldati, china, Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012. pag. 106 237


b. Hugo Pratt, Soldati, china, Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012. pag. 106 Fig.23 Da sinistra a destra G. Bellavitis, H. Pratt, G. G. Guarda, tutti collaboratori di una delle prime testate fumettistiche italiane «L’asso di picche». pag. 107 Fig.24 a. Hugo Pratt, Studio del personaggio Kirk, china, Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012. pag. 107 b. Hugo Pratt, Studio del personaggio Kirk, china, Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012. pag. 107 Fig.25 Hugo Pratt, Copertina Rivista Sgt. Kirk, Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012. pag. 108 Fig.26 Hugo Pratt, Corto Maltese, 1976, acquarelli, http://www.komixjam. it/la-casa-di-corto-maltese/. pag. 109 Fig.27 Antonio Canal detto Canaletto, Le Porte del Dolo, seconda metà del XVIII secolo, Acquaforte mm 302 x 431 ca. più marg. pag. 109 Capitolo III Fig.28 Hugo Pratt, Rasputin, acquarelli, Pratt Hugo, Corto Maltese. La Casa dorata di Samarcanda, Lizard, Roma 1996. pag. 143

238


Capitolo IV Fig.29 Hugo Pratt, Tavola Corto Maltese dialoga con le due Lune, Pratt Hugo, Corto Maltese. Tango, Lizard, Roma 1998. pag. 169 Fig.30 Hugo Pratt, Tavola Tango, Pratt Hugo, Corto Maltese. Tango, Lizard,Roma 1998. pag. 170 Fig.31 A timeline of gaucho fashion, http://thesteamerstrunk.blogspot. it/2011/02/cyl-wild-wild-south-gaucho-gear.html pag. 171 Fig.32 Tango tra soli uomini, http://capplegnami.com/category/andata/ capitolo-11/ pag. 171 Fig.33 Hugo Pratt, Parda, Pratt Hugo, Corto Maltese. Tango, Lizard, Roma 1998. pag. 172 Fig.34 Tango Al Pacino, Scent of the woman, http://www.klatmagazine. com/design/questionnaire-006-odoardo-fioravanti/7351 pag. 172 Capitolo V Fig.35 Carle Vernet, Les Incroyables, 1797,incisione, Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs,part pag. 203 Fig.36 Robert Lefèvre, Ritratto del cittadino Guérin,1801, olio su tela, 239


OrlĂŠans, MusĂŠe des Beaux Arts.

pag. 204

Fig.37 Caspar David Friedrich, Il viandante solitario, olio su tela, 1818 pag. 205

240


Indice delle Tavole Tav.1

Fasi di lavoro

Figurino abito Corto Maltese

Tav.2 Restringere la giacca dalla mis.54 alla misura 48 Tav.3 Trasformazione della giacca da monopetto a doppio petto Tav.4 a. Realizzazione dei pettacci e del collettino in piedi b. Prima prova giacca Tav.5

a. Camicia non modificata b. Camicia scucita

Tav.6 Tav.7

a. Realizzazione del collo della camicia b. Realizzazione del cravattino a. Segnalazione dei tracciamenti sul pantalone b. Tracciamenti ribattuti a macchina da cucire

Tav.8

a. Taglio del pantalone b. Realizzazione del cinturino del pantalone c. Bretelle blu con asole ad incrocio

Tav.9

a. Scarpe in origine b. Scarpe dipinte di bianco c. Creazione della ghetta con bottoni a sfera

Tav.10

a. Cappello in origine b. Cappello scucito c. Parte superiore del cappello d. Cappello e complementi

Tav.11

Figurino Abito Anni Venti

Tav.12

Prima prova davanti

241


Tav.13

Prima prova dietro

Tav.14

a. Inserimento delle perline b. Fermare le perline sul vestito

Tav.15

a. Scarpe modello Cuccarini in origine b. Scarpe con perline

Tav.16

Figurino Abito Luna

Tav.17

a. Costruzione della luna b. Luna ultimata

Tav.18

Realizzazione crateri lunari

Tav.19

Modello abito misura 40

Tav.20

La gonna origina una luna

Tav.21

Gonna foderata

Tav.22

Backstage trucco e riprese Backstage trucco e riprese

Riprese e video

Tav.23

Un primo sguardo

Tav.24

Un primo tocco

Tav.25

Inizia il Tango

Tav.26 a. Tra un passo... b....e l’altro Tav.27

a. Zoom sulle scarpe b. La Luna si presenta

Tav.28

a. La luna danza b. Luna calante

242


Tav.29

L’abito è Luna

Tav.30

Le Lune gemelle

243


Bibliografia Algozzino Sergio, Tutt’a un tratto, Tunué, Latina 2005. Barbieri Daniele, La Linea inquieta,Meltemi, Roma 2005. Idem, I Linguaggi del fumetto,Bompiani, Milano 2009. Bernardi Luigi, Boschi Luca, Frediani Graziano, Destinazione Utopia, Eèuthera, Milano 1988. Biagini Furio, Il Ballo proibito. Storie di ebrei e di tango, Le Lettere, Firenze 2004. Brunoro Gianni, Corto come un romanzo nuovo. Illazioni su Corto Maltese, ultimo eroe romantico, Lizard, Roma 2008. Castelli Alfredo, Castelli 25. Gli editori, la storia, gli aneddoti dell’ultimo quarto di secolo del fumetto italiano con tavole inedite e storie mai ristampate, Anaf, Italia 1991. Della Bruna Arnaldo, Bergadano Elena, La Nuvola parlante Paoline, Roma 1982. Deruelle Pierre Fresnault, Il Linguaggio dei fumetti, Sellerio, Palermo 1977. Eco Umberto, Apocalittici e Integrati, Bompiani,Milano 2001. Genovese Renato, L’Avventurosa storia del fumetto italiano. Quarant’anni di fumetti nelle voci dei protagonisti, Castelvecchi, Roma 2009. Kipling Rudyard, Pratt Hugo, Poesie. Testo inglese a fronte, Nuages, Milano 1993. Lala Giorgio, Tangologia: Grande guida del tango argentino : musica, storia, danza passi, figure, improvvisazione stile milonguero, milonga, vals, con scritti di P. A.Vignazia, Sigillo, Lecce 2007. 244


La Moda maschile. Ad uso del tagliatore sarto da uomo, La Moda Maschile, Milano 194711. Marchese Giovanni, Leggere Hugo Pratt. L’autore di Corto Maltese tra fumetto e letteratura,Tunué, Latina 2006. McLuhan Marshall, Gli Strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1999. Mollica Vincenzo, Il Viaggio immaginario di Hugo Pratt, Rizzoli, Milano 2011. Osorio Elsa, Lezione di tango, Guanda, Parma 2006. Pratt Hugo, a) Corto Maltese. La Casa dorata di Samarcanda, Lizard, Roma 1996. Idem, b) Hugo Pratt- Viaggiatore incantato, Electa, Milano 1996. Idem, c) Il Desiderio di essere inutile, Lizard, Roma 1996. Idem, Corto Maltese. Tango, Lizard, Roma 1998. Idem, I Luoghi dell’avventura, Rizzoli Lizard, Milano 2011. Pratt Silvina, Con Hugo. Il Creatore di Corto Maltese raccontato dalla figlia, Marsilio,Venezia 2008. Scarpa Laura, Le Lezioni perdute, Mompracem, Roma 2012.

245


Sitografia http://www.accaparlante.it http://armadel.clarence.com http://www.comicartclub.com http://www.cortomaltese.info http://www.cortomaltese.org http://www.doppiozero.com http://www.editoridelgrifo.it http://www.emiliosalgari.it http//www.guide.supereva.it http://lapisvedese.wordpress.com. http://www.latelanera.com. http://www.liberweb.it/upload/cmp/Liera/7-parole-chiave-fumetto. pdf http://www.luccacomicsandgames.com/it http://www.mitologia.dossier.net. http://www.mollica.rai.it http://www.pbmstoria.it. http://www.railibro.rai.it/interviste.asp?id=50 http://www.rehime.com http://www.treccani.it 246


http://www.ubcfumetti.com http://www.wikideep.it http://www.wikipedia.org

247


248


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.