UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA E ARCHITETTURA Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura
P.I.P.I.A. Piano d’insediamento produttivo integrato con l’ambiente
NUOVI MODELLI URBANISTICI E AMBIENTALI PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI Laureando: Gaia Caporale
Relatore: Adriano Venudo Correlatore: Luca del Fabbro Machado
no sprawl
Analisi Friuli Venezia Giulia Modello per la redazione di un P.I.P.I.A.
INDICE SPRAWL: 1. Definizione
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2. Caratteristiche
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3. Le cause dello sprawl
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4. Componenti
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65
5. Soluzioni, azioni per frenare lo sprawl
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89
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91
7. Linee guida per la redazione di un P.I.P.I.A.
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171
8. Modello per la redazione di un P.I.P.I.A.
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211
pg.
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FRIULI VENEZIA GIULIA 6. Friuli Venezia Giulia P.I.P.I.A. (Piano di Insediamento Produttivo integrato con l’Ambiente)
BIBLIOGRAFIA
1. SPRAWL: DEFINIZIONE
“Oggi percorriamo una città dalle frontiere sempre più incerte, un tessuto urbano che sembra estendersi all’infinito, dove le zone residenziali, commerciali, terziarie, del tempo libero, si succedono senza ordine apparente, interrotte da spazi interstiziali e residuali dallo statuto spesso indefinibile, dove di tanto in tanto emergono grandi strutture funzionali: gli aeroporti, i centri direzionali, i grandi centri commerciali...“ May, Spector e Veltz Periferia, periurbano, conurbazione, urban spill, spread city, nebulosi urbana, exurbia ovvero città diffusa, non-città, non-campagna, ville èparpilèe o ville èclatèe (città sparpagliata, esplosa), mitage urbain (tarmatura urbana), città diffusa, ville èmergente, sono tutti termini per descrivere questo difficile fenomeno e le sue nuove forme di sviluppo. Sprawl letteralmente significa “sdraiato“ e indica l’insediamento dell’uomo che si sdraia sguaiatamente sul territorio, lo invade divorandolo, frammentandolo, cancellandone le caratteristiche sotto una massa indifferenziata e
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anonima di elementi artificiali. E’ un termine che venne introdotto negli anni 70 negli USA per definire un modello insediativo che ha raggiunto una precisa configurazione negli anni 80 grazie alla piena affermazione di stili abitativi e tendenze localizzative delle attività economiche che hanno privilegiato le corone metropolitane più esterne. Ma anche per effetto delle politiche di deregolamentazione che hanno sfavorito la pianificazione di inquadramento di area vasta consentendo l’affermarsi di politiche locali svincolate da un quadro di coerenze complessive.
Questa modello di urbanizzazione è a bassa densità relativa, dilatato fino ai margini estremi della regione metropolitana, ad alto consumo di suolo non giustificato dalle dinamiche di crescita demografica ed occupazionale, discontinuo, senza confini e identità, tendenzialmente segregato e specializzato per destinazioni monofunzionali. Il tutto dipendente dall’incessante incremento della mobilità su gomma, con effetti di sovraconsumo di energia, di congestione delle infrastrutture stradali, di elevato inquinamento ambientali. E’ un modello affermatosi non solo negli Stati Uniti, ma anche nelle
periferie estese di molte aree metropolitane europee, dove la città si diluisce nella campagna intaccandone la caratteristiche specifiche, interrompendo il continuo degli spazi agricoli o naturali con interventi di edilizia residenziale sparpagliata e a bassa densità, con l’inserimento –apparente casuale- di attività economiche – in particolare localizzazione del grande dettaglio commerciale, depositi e magazzini, attività industriali di piccole dimensioni, attività terziarie di routine- e grandi contenitori destinati al tempo libero, spesso localizzati in aree poco o mal servite dal trasporto pubblico.
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Amburgo Sao Paulo Megalopoli principali Berlino Sydey Seul Colonia Toronto Buenos Aires Francoforte Canton Rio de Janeiro Monaco di Baviera Nanchino Sao Paulo Osaka Pechino Sydey Nagoya Shangai Toronto Tokyo Shenzhen Canton Yokohama Tientsin Nanchino Bangalore nata dalla Wuhan milioni di abitanti ciascuna, Pechino Calcutta Il fusione Cairo di grandi città vicine tra loro. Shangai Chennai Lione Shenzhen L’immagine che se ne ricava è quella Mumbai Marsiglia Tientsin New Delhi Parigi di un mega concentrato di strutture Wuhan Surat Amburgo francamente distante da Il antropiche, Cairo Jakarta Berlino Lione qualsiasi idea di sostenibilità degli Lagos Colonia Marsiglia insediamenti. Roma Francoforte Parigi Napoli Monaco di Baviera La città è ormai scomparsa. Ora si Amburgo Milano Osaka Berlino abita in periferia. Città del Messico Nagoya Colonia Oggi più del 50% del mondo abita in Liverpool Tokyo Francoforte Londra Yokohama Monaco di Baviera Manchester Bangalore Osaka Kinshasa Calcutta Nagoya Mosca Chennai Tokyo San Pietroburgo Mumbai Yokohama Barcellona New Delhi Bangalore Madrid Surat Calcutta Boston Jakarta Chennai Chicago Lagos Mumbai Houston Roma New Delhi New York Napoli Surat Los Angeles Milano Jakarta Washington Città del Messico Lagos Filadelfia Liverpool Roma Bangkok Londra Napoli Lima Manchester Milano Kinshasa Città del Messico Mosca Liverpool San Pietroburgo Londra Barcellona Manchester Madrid Kinshasa
SPRAWL NEL MONDO
Sulla terra siamo oggi 6.8 miliardi di Megalopoli abitanti, la popolazione cresceprincipali ancoSeul ra, e stando alle stimeBuenos più Aires Rio a de9.1 Janeiro accreditate, arriveremo miliardi Sao Paulo entro il 2050. Sydey Non si intravede invece una fine al Toronto processo di concentrazione Canton urbana: di Nanchino questo passo nel mondo si Pechino consolideranno una ventina di Shangai megalopoli da cinquanta – cento Shenzhen Megalopoli principali
Seul Buenos Aires Rio de Janeiro Sao Paulo Sydey Toronto Canton Nanchino Pechino Shangai Shenzhen Tientsin Wuhan Il Cairo Lione Marsiglia Parigi Amburgo
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Tientsin Wuhan Il Cairo Lione Marsiglia Parigi Amburgo Berlino Colonia Francoforte Monaco di Baviera Osaka Nagoya Tokyo Yokohama Bangalore Calcutta Chennai Mumbai New Delhi Surat
Dati della popolazione mondiale dal 1750 al 2012.
città e di questo il 60% si trova in condizioni periurbane, quando alla fine dell’Ottocento nemmeno il 10% del mondo era urbanizzato. Ora assistiamo alla formazione di una città diffusa che va ben oltre alla megalopoli. Non possiamo parlare di città: Città del Messico ha più di 18 milioni di abitanti, Tokyo-Yokohama ne ha 31 milioni, la “megalopoli padana” di Eugenio Turri è considerata un’unica entità urbana.
Veduta di Los Angeles
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(Dall’alto) Vedute di Tokyo, Città del Messico e Houston.
COME SI FORMA LO SPRAWL? L’urbanizzazione sta assumendo in tutto il mondo caratteri sempre più tesi alla concentrazione, cioè alla formazione di conurbazioni o pluricittà. Ma le megalopoli hanno una loro unicità: nascono in momenti storici particolari e in luoghi particolarmente favoriti da dinamiche relazioni tra spazi diversi. Esse poi attraversano fasi diverse come se fossero processi che hanno modalità e caratteristiche inscritte nel loro DNA. In genere si comincia con l’affermazione di un centro gerarchicamente dominante che diventa il centro guida, il cuore o il perno della formazione megalopolitana. Quel centro, che assume un ruolo di comando, si ingrandirà diventando forte sino a governare e trasmettere vita agli altri centri vicini che nascono più o meno per le stesse dinamiche. Ad essi imporrà il proprio stile urbano,
il proprio modo di contrarre relazioni, imporrà impulsi anche agli altri centri, i quali finiranno con il crescere allo stesso modo. Nel contempo essi aumenteranno le loro relazioni con la città con il ruolo di comando. Le relazioni nella rete di città determineranno un assetto in base al quale saranno assegnate funzioni distinte ai diversi centri, anche perché essi si diversificheranno nei rapporti con gli spazi da cui ricevono dinamismo in base anche alla loro differente collocazione geografica. È ovvio che la crescita della megalopoli sarà sostenuta anche da processi migratori messi in moto dall’attrazione e dalle grandi opportunità di contenimento offerta dalla stessa megalopoli che crescere in certe fasi a scapito degli spazi circostanti. Questi perderanno popolazione in precisi momenti storici, come ad esempio nella fase di transizione dall’economia agricola a quella industriale.
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Fig. Le città che catalizzano gli sviluppi in senso megalopolitano dell’urbanesimo.
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Fig. Banana Blu: la fascia di urbanizzazione, secondo gli assi storici di movimento pi첫 vitali in Europa
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Fig. Schema sull’urbanizzazione in Italia
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LA MEGALOPOLI PADANA
Nella banana blu si inserisce quella che Eugenio Turri chiama “megalopoli padana”. Essa viene considerata un’unica grande città, un’ininterrotta formazione urbana, se non proprio nel senso di una sola città, nel senso che gli spazi un tempo ritagliati intorno a tante città, gli spazi frammentati, divisi da città e paesi, da siepi e fiumi, da colline e cascine, non esistono più, sono stati distrutti dalle trasformazioni della seconda metà del secolo appena trascorso: trasformazioni che hanno significato una despazializzazione o deterritorializzazione, seguite da un rinnovato uso e rinnovata organizzazione dello spazio in funzione della la megalopoli nella quale è avvenuta la saldatura tra tante città che prima, sino alla metà del Novecento, erano indipendenti della terra padana.
“La megalopoli è paragonabile ad una gigantesca macchina che funziona per un duplice fine: come organismo che consuma energia per produrre vita, movimento, costruire strutture adatte al produrre e all’abitare degli uomini; poi come sistema che obbedisce alle sollecitazioni ispirate da un disegno di potere impostato secondo i modi di produzione capitalistico-industriali.” Turri (2000)
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Città Milano Torino Genova Bologna Venezia Verona Trieste Padova Brescia Modena Parma Ravenna Reggio Emilia Ferrara Rimini Monza Bergamo Vicenza Forlì Trento Novara Piacenza La Spezia Bolzano Udine Cesena Alessandria Como
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1998
1931
1901
1307591 921485 665704 385813 297743 254146 222589 213072 190059 174686 167685 137129 136675 134703 129720 119658 117096 108041 107909 103269 102327 99799 93060 96913 95374 89307 89304 84603
961877 590753 590736 239283 250207 151247 250243 126843 114607 49245 61497 78143 58993 115628 30669 51063 62491 46780 30753 35225 53206 46710 115118
490084 329691 219507 147898 148471 73917 178011 81242 69210 63012 49513 63364 58993 86675
57572 59689 55567 42734
36899
42124 46861 43703 43321 41249 36647 66263
72109 38174
La megalopoli è venuta a configurarsi spontaneamente al di fuori di un disegno degli uomini, sull’onda di un unico, formidabile movimento che ha coinvolto l’intero spazio padano. Essa in particolare è venuta costituendosi così come è oggi grazie a spinte locali, omologhe rispetto alle condizioni storiche e naturali della terra padana. La sua configurazione inizia già alla metà dell’Ottocento, periodo durante il quale, l’economia industriale comincia a muoversi per lo più in Lombardia, in Piemonte e in Veneto, le ferrovie sono diventate polarità di convergenza viaria e con la legge del 1865 si avvia la costruzione della rete stradale. In rapporto a ciò l’urbanesimo cresce. La pianura padana era occupata da tante città di antica storia, ognuna a dominio di un suo Umland, anche se gerarchicamente molto differenziate per dimensioni: Milano, Torino, Brescia, Verona, Padova. Un contributo lo darà anche nella prima metà del Novecento la diffusione dell’automobile, che trova nella Fiat e
(Dall’alto) Vedute di Bologna, Veneto e hinterland di Milano.
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Gli sviluppi dell’urbanesimo nello spazio padano hanno dato origine, a partire dalla metà del Novecento, ad una grande struttura classificata come megalopoli.
Legenda: = aree fortemente urbanizzate = aree prevalentemente agricole = città metropolitane = città con abitanti tra 100000 e 50000 = città con più di 20000 abitanti = autostrade
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“La megalopoli è una divoratrice di spazio e di storia formidabile, semina distruzioni, cancella memorie.” Turri (2000)
Millet, Le Spigolatrici. 1857, Musèe d’Orsay, Parigi
Locandina Fiat inizio anni ‘900
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in altre marche l’organizzazione produttiva capace di imporla sui mercati delle città padane. La crescita demografica sarà così il risvolto della deruralizzazione delle campagne padane dove le misere condizioni sociali saranno avvertite come giustizie sociali che diedero luogo a lotte politiche e scioperi. Queste lotte del ceto contadino si porranno come forze propulsive dello sviluppo industriale e dell’urbanesimo. L’urbanesimo aumentò ancora, favorito anche dagli interventi dello stato nazionale nei confronti dell’industria. In generale l’incremento demografico della nazione favoriva la crescita delle città più dinamiche, crescita mal controllata dal fascismo, nonostante la sua proclamata politica antiurbana. E così si formarono aree industriali nelle periferie delle città. Chi governò lo sviluppo pose le basi dell’urbanizzazione, nei modi più spontanei e congruenti dell’economia capitalista. D’altra parte operarono le forze locali, con iniziative autonome di città e micro regioni che hanno
innestato il loro sviluppo su quello dei grandi assi di industrializzazione governati dalle centrali economiche e finanziarie di livello nazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’effetto di un impulso economico percorse l’Italia e l’Europa con il sostegno degli USA i cui bombardieri avevano rotto gli equilibri della vecchia civiltà rurale e portato il messaggio di un mondo nuovo che stava per arrivare, ma anche per una precisa volontà degli italiani di riscattarsi da una condizione difficile, se non di fame, di umiliazioni dopo secoli di economia agricola povera e senza speranza: lo sviluppo divenuto ideologia, come aspirazione di tutti. Ma la grande crescita urbana delle città maggiori impose ad un certo momento la necessità di un loro governo urbanistico che tenesse conto della capacità divoratrice e assimilatrice della grande città nei confronti delle aree rurali circostanti rimaste soggette al governo dei piccoli comuni. Si pensò a dei piani
intercomunali. Ci furono però subito difficoltà nello stilare una legge adeguata che differisse da piani regolatori generali e rispondesse alle nuove esigenze dello sviluppo urbano. Le difficoltà stavano soprattutto nella inaccettabilità che il dettato legislativo provenisse da un solo comune. Gli sviluppi territoriali e urbanistici sono avvenuti senza un controllo, una pianificazione che li disciplinasse in qualche modo. Questo perché, nonostante non mancasse un’opposizione al laissez faire, i governi al potere non si preoccuparono mai di contrastare gli interessi immobiliari, fondiari e speculativi, che operavano nelle città del nord come in ogni parte d’Italia, edificando nelle forme più selvagge e rapinose. Ma la nuova condizione che si espresse nel possesso dell’automobile, della televisione, nelle ferie pagate che consentivano la vacanza, nell’alimentazione più ricca e quelle libertà che la vita urbana permetteva,
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era alla portata di tutti coloro che avevano un lavoro in fabbrica o in ufficio e non si voleva rinuncia a tutto questo. E la città, il lavoro poteva offrirlo in quanto alimentava le proprie necessità produttive, sia con la crescita industriale sia con quella urbana. Il sistema era eccitato poi dal potere economico e finanziario in combutta con quello politico, che riceveva consensi quanto più si autoalimentava attraverso questa sua complicità. Nell’insieme era tutta una grande macchina che muoveva uomini, attività, interessi finanziari e politici e che aveva come risultato l’espansione urbana delle città padane, proliferante con i quartieri periferici, i caseggiati per centinaia di famiglie ai margini dei campi, eppure vicini alla grande città che dava lavoro, vita e illusioni. La Padania si cementificava e si megalopolitanizzava anche perché se il miracolo degli anni sessanta era ormai irripetibile, la crescita del sistema
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economico basato sulla piccola e media impresa continuava. In questo momento siamo stati trascinati dentro questa specie di complicato meccanismo che ha prodotto nella terra padana la crescita irrefrenabile degli spazi urbanizzati ed una riduzione degli spazi agrari e degli spazi naturali laddove un tempo la città era un ambito delimitato contenuto negli spazi rurali. Oggi nello spazio padano la condizione si è ormai invertita: i territori rurali sono aree residue comprese nella città di dimensioni regionali. Oggi la città è dappertutto. I vecchi confini non esistono più. E non esistono neanche le distanze di un tempo. Le città sono ormai saldate insieme da un unico cordone urbano, che si stende in modo continuo. Il cuore storico delle antiche città padane e le loro piazze storiche sono sempre più i luoghi destinati alla fruizione della modernità, come il supermercato, che sta fuori dal centro urbano, il casello dell’autostrada, la
via che fuoriesce dalla città, lì dove si concentrano i servizi nuovi, la cittàmercato, l’autosalone, la discoteca, il campo da gioco, la stazione ferroviaria, l’aeroporto. Ciò comporta l’uso quotidiano dell’automobile. Per effetto di questa fuga fuori dalle mura la città si amplia, l’urbanesimo assume dimensioni giganti, l’effetto concentrazionario continua
considerato che al tempo stesso tutti vogliono fuggire dai deserti della ruralità residuale, dove c’è poca vita, poca modernità e vogliono godere invece dei vantaggi che l’organizzazione urbana può offrire. È uno dei perversi effetti della crescita urbana.
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2.
CARATTERISTICHE
SPRAWL E... ...la città moderna L’immagine della città che ci deriva dal passato si è irrimediabilmente dissolta. La città premoderna come non esiste più. Non c’è più la città chiusa da una cerchia di mura e finita nel suo spazio circolare che subordina tutto il resto ad essa e ai suoi spazi simbolici ereditati dalla storia (es. campanile) con lo sfondo del paesaggio agricolo. La città non irradia più dal suo centro e i suoi insediamenti non sono più “casi” del suo sistema irradiante, lungo gli assi che uniscono il centro alla periferia, un tempo meno importante nella gerarchia interna. L’organizzazione dello spazio urbano, infatti, ormai non è più centrata sulla conservazione del circuito chiuso
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dalle relazioni locali e dell’industria storica ricevuta dal passato. Ora assistiamo ad una perdita di “valore simbolico” della città che cresce insensatamente senza una meta e senza la possibilità di fissare i confini che si sono ridotti ad affare puramente tecnico-amministrativo. Questa città della modernità è resa anonima dallo spazio seriale ispirato alla funzionalità e alla prestazione dove i prodotti standard della tecnica sono vincolati alle prestazioni funzionali richieste agli insediamenti sul territorio (fabbriche, negozi, strade, aeroporti..). I luoghi della modernità infatti sono diventati sempre più artificiali, sostituibili, privi di valore estetico e culturale.
Con le loro caratteristiche essi hanno scomposto il precedente spazio circolare banalizzando le differenziazioni simboliche. Ormai lo spazio fisico della città è quello della conurbazione; lo spazio
funzionale è quello dell’area metropolitana, della regione urbana, del sistema urbano. Confini e gerarchie sono stati superati da tempo, in modo irreversibile. Questo è lo sprawl.
(Dall’alto, da sinistra): città egizia (Tel el Amarnah), città greca (Priene), città romana (Verona), città medievale (Siena), Sforzinda, il Ring di Vienna.
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...gli strumenti urbanistici La città dello sprawl non ha un valore estetico e tantomeno un progetto geografico. Non ha un progetto a scala territoriale vasta per dar ragione d’essere a non-luoghi che nel futuro non sopravviveranno a se stessi. Essa rappresenta la definitiva morte della pianificazione urbanistica. In molte parti d’Italia infatti si lamenta l’assenza di piani di livello sovra comunale, specialistici e generali e la lentezza parossistica con cui vengono rinnovati strumenti urbanistici ormai inadeguati, privilegiando il ricorso a deroghe, varianti e piani straordinari. Tuttavia è raro che il piano regolatore d’origine resista nel corso del tempo: l’edilizia selvaggia o parassitaria minaccia le disposizioni iniziali.
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...i confini Lo sprawl non è un luogo ma una successione infinita di luoghi che appaiono al viaggiatore che li attraversa senza che l’orizzonte finisca mai. Queste polarità possono localizzarsi senza tener conto degli assi tradizionali di espansione delle città. I ruoli di centro e di periferia possono scambiarsi incessantemente. Si vive il territorio superando i confini del singolo luogo senza perdere la territorialità. Sei sempre in uno spazio e sempre fuori luogo.
“Vivere in questo mondo molteplice significare fare esperienza della libertà come oscillazione continua tra appartenenza e spaesamento” Gianni Vattimo (1989) C’è spaesamento. I confini della città diffusa non sono che un mero artificio; sono perennemente in crisi. I confini non esistono: esso esistono soltanto per essere superati.
...l’identità La città contemporanea è una noncittà, priva di identità singolare, aldilà delle destinazioni funzionali dei suoi spazi.
Essa è infatti solo provvisoriamente appoggiata ad un luogo, ma non è logicamente ancorata ad esso.
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...e la sua configurazione La città contemporanea non si sviluppa più per parti omogenee ma come costellazione di edifici sparsi. Vi preabitano parti omogenee della città europea moderna che configgono con le monadi solitarie della città contemporanea negli stessi spazi. Quella che Boeri chiama “l’Anticittà”, una sorta di flusso che eroda la città dall’esterno, sta edificando città senza confini su aree un tempo destinate all’agricoltura e alla natura, favorendo arcipelaghi di aree specializzate a diversa propensione disinteressate all’organismo geo-antropologico a cui appartengono. Le città si stanno espandendo nel territorio: crescono i loro reticoli, si addensano i flussi e i nodi, aumenta la loro dimensione geografica. Viaggiando ad un’altezza intermedia vediamo un arcipelago di figure e organismi che aggregano le unità
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minime del territorio: isole, perimetri, ritagli, recinti, rette ovvero sottosistemi spesso perfettamente funzionanti al loro interno, ma che non si curano di dialogare con i loro vicini. La moltitudine si ricompone di un numero ridotto di figure spaziali introverse e ripetute all’infinito, specializzate. In Europa, la somma delle città e delle aree metropolitane si configura come un’unica immensa entità urbana che appare come una nebulosa indistinta ma continua senza interruzioni, forma e confini, formatasi dalla continua crescita delle entità urbane. Per quanto riguarda l’organizzazione padana della megalopoli, essa non si distribuisce per punti, per singole centralità, ma “a macchia”. Le centralità si riconoscono caso mai attraverso un più intenso addensamento delle macchie che corrispondono alle dilatazioni intorno ai centri urbani di antica origine
su cui si strutturano le formazioni lineari che si trovano nell’intera Padania. Le cellule componenti la macchia megalopolitana, le numerose centralità di dimensioni variabili, sono caratterizzate da un rapporto di contiguità esistente tra di esse che le fanno vivere come in simbiosi. Il grande insieme che genera la dispersione di più piccole macchie, produzione di effetti urbani dell’organismo che vive, emettendo la propria essenza negli spazi intorno. La città diffusa costituisce una sorta di alone intorno al nucleo più denso come un’areola di densità che si
attenua di densità via via che la distanza da esso aumenta. Le centralità forti hanno conservato una forza condizionante: sono infatti capaci di imporre regole, comportamenti e usi di spazio lori propri alle centralità minori. E così allo stesso modo sfugge dallo spazio quella che si può definire la qualità urbana della città dilatata. Il concerto che sembra tenere unito l’insieme è l’integrazione fra piccole e grandi centralità, cucite insieme a formare un unico tessuto, un unico organismo.
Schemi di organizzazione territoriale per situazione nello spazio padano: a) organizzazione rurale quando esistevano relazioni di tipo gerarchico tra località centrali b) anni 1950-60: sistemi di tipo stellare, fondati sulle interconnessioni dirette tra centri metropolitani e località minori c) sistemi ad elevato grado di interconnessione reciproca tra località centrali che si stringono intorno a modelli multipolari d) modello di organizzazione estesa su spazi regionali sempre più connessi con località marginali (da G. Dematteis)
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...la diffusione e la dispersione I termini diffusione e dispersione insediativa sono due fenomeni distinti, spesso compresenti e interdipendenti. Con il termine diffusione insediativa si intende la crescita progressiva di centri urbani di piccola e media taglia, collocati nelle corone più esterne delle aree metropolitane o in aree lontane dai centri principali, nei fondovalle, nelle pianure interne, lungo la costa. È una forma di insediamento che si è sovrapposta al modello urbano denso e centripeto della città moderna, attenuando le gerarchie fra i centri urbani. Favorita dalla presenza di nuove forme di organizzazione e specializzazione produttiva, dall’incremento della dotazione di infrastrutture, dalla crescita del reddito e della domanda di beni e servizi, la diffusione insediativa costituisce una tendenza di lungo periodo di sistemi economico-territoriali di successo e
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non di rado si accompagna una relativa diffusione del benessere. Possiamo definire la dispersione insediativa come un fenomeno di frammentazione della forma urbana, al bricolage della pianificazione urbanistica e territoriale avulso da ogni principio di economia delle risorse territoriali. La dispersione e la diffusione urbana sono infatti determinate da una miriade di interventi spontanei, piccoli e grandi, talvolta autorizzati da piani regolatori permissivi, talaltra realizzati in spregio alla legalità, in assenza di un incisivo governo delle trasformazioni.
...la specializzazione
Esempio di morfologia del costruito (Brianza)
A causa della città diffusa, il territorio si sta lentamente trasformando in un immenso arcipelago di aree specializzate a diversa propensione. La zonizzazione “single use” o segregata è sotto accusa: si vive nella località A, si portano i bambini a scuola nella B, si lavora nella C, si fa la spesa nella D, si va al cinema e al ristorante nella E e al weekend si va fuori porta nella F, tutto rigorosamente in auto. Per decenni, la pianificazione urbana e il mercato immobiliare hanno preferito evitare l’incertezza e i rischi della convivenza tra usi negli spazi urbani, puntando su una netta distinzione tra zone residenziali, commerciali e per il tempo libero. Anche i centri storici delle città italiane, tradizionali esempi di urbanistica con usi promiscui, si sono col tempo trasformati in parchi tematici, con sedi
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di rappresentanza, luoghi dedicati al consumo culturale, shopping center, centri direzionali e poche residenze di lusso. Al contempo, i nuovi quartieri residenziali si sono spesso trasformati in trappole urbane, luoghi privi di spazi pubblici, di centri d’attrazione, negozi e servizi.
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Se non si tornerà a concentrare funzioni e residenze nei centri urbani, la conseguenza sarà l’urbanizzazione estensiva ed ecologicamente inefficiente che colpirà le grandi superficie agricole, portando al sacrificio non solo del paesaggio, ma anche della base produttiva della trasformazione agroalimentare.
...l’agricoltura e la natura La città diffusa si sta espandendo e sta edificando città senza confini sparse nel territorio, estese su aree un tempo destinate all’agricoltura e alla natura, territori un tempo esterni. La città, la natura e la campagna coltivata non riescono più a occupare grandi campiture senza compromettersi reciprocamente. La sfera urbana si è estesa esplodendo in innumerevolit porzioni di suolo impermeabile e inglobando aree di campagna e natura, per ricercare terreni dove realizzare modelli a bassa attività edilizia. La sfera rurale, per la crescita sfrenata della città, si è ritirata entro grandi aree monoculturali e a coltivazione intensiva prive di biodiversità vegetale e faunistica. Il costo economico di spreco di suolo agricoli e beni culturali è dispendioso: da un lato vengono sottratte all’uso
agricolo parti del territorio che storicamente erano finalizzate all’alimentazione della città, dall’altro il paesaggio subisce un degrado tale da compromettere questa sfera. La sfera naturale ha trovato un imprevisto sbocco per la sua crescita nelle zone urbane dismesse e abbandonate. Alle tre grandi sfere ambientali corrispondono territori ibridi e contaminati composti da paesaggi temporanei e in transizione, espressione più forte dell’incertezza politica e programmatica che governa le società. La contrazione delle aree agricole, secondo il Rapporto Europeo, nel decennio considerato registra la scomparsa di 2445000 ha di superfici agricole, a causa dell’urbanizzazione, dell’abbandono colturale, della
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conversione a pascolo o a bosco. La diminuzione è parzialmente bilanciata dalla formazione di 1809000 ha di nuove aree agricole, per conversione di aree seminaturali, pascolative e boschive. Il saldo negativo netto è di circa 640000 ha, pari allo 0.5% della superficie agricola 1990, mentre il totale delle aree agricole interessate da
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cambiamento, è pari al 3.6% della superficie agricola 1990. In Italia, la diminuzione netta di aree agricole osservata nel decennio è dovuta per il 40% circa a forestazione e per la restante parte ad urbanizzazione, mentre le nuove aree urbane derivano per più del 95% dalla conversione di aree agricole.
...l’auto La popolazione mondiale è concentrata nelle città. All’inizio del secolo scorso gli abitanti delle città erano appena il 3% della popolazione del pianeta; nel 1994 la popolazione urbana era già il 45% della popolazione mondiale. New York Manhattan (solo isola) Tokyo Copenhagen Madrid Berlino Londra Stoccolma Vienna Barcellona Parigi Amsterdam (area metropolitana) Los Angeles Milano (Comune) San Francisco Bay Area Roma (Comune)
Nello stesso arco di tempo anche la motorizzazione è aumentata in maniera incredibile grazie a Ford e alla sua catena di montaggio che ridusse i prezzi e resa l’automobile alla portata di tutti. Con questa rivoluzione, anche l’assetto 20 13 27 27 32 35 36 38 38 41 45 52 57 63 64 76
Numero di auto in circolazione ogni 100 abitanti in alcune città del mondo
Fonte: dossier “Senz’auto“, Legambiente, 2009
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delle città cambiò. Da quel momento si dà più importanza al traffico, assassino della socialità, a scapito della piazza, primo ritrovo della comunità del quartiere. Si prediligono i nuovi quartieri costruiti attorno al modello urbano dell’automobile, quelli con le ville a schiera (abitazione con garage comunicante e giardino) o i condomini con i garage sotterranei e i giardini recintati, lasciando lo spazio pubblico pedonale pressoché deserto. La motorizzazione ha permesso la dispersione e la dilatazione degli spazi e la necessità di grandi arterie stradali e di ampi parcheggi obbligava a distanziare gli edifici. La città si è dilatata, non ha più limiti e questo grazie all’automobile. La città ha impugnato il volante o, se si vuole, l’automobile ha ridisegnato la città. In più, soprattutto nelle città, l’automobile costa all’amministrazione locale con gli investimenti conseguenti alla sua presenza (asfaltare le strade, costruire cavalcavia, circonvallazioni e
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parcheggi), assieme ai costi del personale (vigilazione, amministrazione, pianificazione del traffico) e dei servizi (semafori, permessi, controlli). Per quanto riguarda la città europea, non concepita certo per l’automobile, essa si è dovuta ridimensionare: per evitare, sorvolare e scavalcare spazi peculiari e caratteristici della città preautomobile si sono fatti degli adattamenti come gallerie, crocevie ecc. E la mobilità continua ad aumentare.
5.3 è il numero medio di giorni a settimana di uso dell’auto privata
3.3 è il numero medio di spostamenti con l’autovettura ogni giorno <1 km
0.7
<1 km
<1 km
<1 km
<1 km
è il numero di spostamenti quotidiani per distanze inferiori a 1 km
78%
<1 km
è la percentuale del parco automobilistico posseduto dai Paesi OCSE
1.16
<1 km
numero medio di persone a bordo di un auto
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Il suo aumento, registrato nei paesi avanzati, nonostante la crescente congestione delle infrastrutture, dipende da molteplici cause: la dispersione residenziale, ma altri aspetti determinanti sono rappresentati dall’aumento del reddito pro-capite e del tempo libero, della riduzione della dimensione delle famiglie, dall’aumento dei tassi di attività femminili. L’aumento della mobilità privata ha generato un aumento nei consumi pro capite di benzina nonostante che in molti paesi l’efficienza energetica dei motori sia fortemente aumentata. Il sistema dei prezzi ha indubbiamente aiutato la scelta di modelli di vita ad alta intensità di mobilità. In molti casi la scelta di mobilità su mezzo privato è resa quasi obbligatoria dalla bassa qualità prestazionale del servizio pubblico. Ma il problema non sembra potersi risolvere unicamente attraverso una offerta trasportistica pubblica più efficiente: in assenza di indirizzi cogenti di pianificazione fondati su un principio di
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ottimizzazione delle risorse territoriali e delle opportunità insediative generate dalla rete dei trasportii pubblici, la propensione per localizzazioni diffuse rende irreversibile la scelta di mobilità su mezzo privato. Un modello insediativo rarefatto infatti non può esser servito adeguatamente dalle infrastrutture pubbliche di trasporto di massa, poiché le densità di domanda sono basse, la dispersione territoriale della domanda è elevata, la dispersione delle destinazioni è anch’essa crescente a causa della sub urbanizzazione dei posti di lavoro. Un ulteriore fenomeno emergente è rappresentato dal sovrautilizzo dell’automobile. Una quota crescente degli spostamenti in automobile si effettua oggi sulla breve e brevissima distanza: meno di 8km. Altri problemi, causati dall’auto, sono l’inquinamento acustico (rilevante nella città europea che non è stata costruita per una società motorizzata), il valore del tempo perduto nel pendolarismo, lo stress, e l’esclusione.
Ora i paesi dell’Ocse, con il 16% della popolazione mondiale, possiedono il 78% del parco automobilistico; gli spostamenti in auto in termini di km/ auto percorsi sono aumentati mediamente del 3.3% annuo negli ultimi 20 anni. Ognuno di noi compie mediamente più di 3 spostamenti al giorno percorrendo in tutto 36km in più di un’ora di tempo. Ovviamente si tratta di una media considerando che una parte crescente della popolazione (17%), gli anziani, non si muove più. Il 53% degli spostamenti degli italiani supera i 50km.
Il 69% dei casi impiega l’automobile o lo scooter, per l’11% il mezzo pubblico e per il 20% i piedi o la bicicletta. L’automobile è usata malissimo: mediamente con 1.16 persone a bordo. Una tonnellata in ferro e di plastica per spostare meno di 100kg di peso corporeo. Non c’è dunque da stupirsi se la nostra personale “dieta” annuale di CO2 nei trasporti è quantificabile in tonnellate: per ogni km di un’auto in Italia si emettono 160 grammi di CO2.
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...la periferia e il centro Secondo la tradizione europea le città hanno un centro, luogo attivo e dinamico dove troviamo la quintessenza dell’elemento urbano. Discendente diretto dell’agorà greca, del forum romano, della strada medievale, della piazza principale del Rinascimento. Qui trovano una giusta collocazione il commercio, l’amministrazione pubblica, i servizi privati, le attività del tempo libero e della cultura. Mentre prima al centro veniva assegnata una posizione di supremazia cui corrispondeva una subordinazione di fatto della periferia, oggi non si può più replicare questo modello. Ormai la città è continua. Tutto nello sprawl può diventare centrale perché i flussi dello sviluppo non gravitano più intorno a punti fissi. Questa città infinita nasce dalla periferia: da un sistema orfano di passato e di centro.
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“(...) E’ una città sempre meno topica e territoriale e sempre più tele topica e profondamente extraterritoriale, in cui le nozioni geometriche di centro e di periferia perderanno a poco a poco il loro significato” Paul Virilio (1996) Lo stile di vita improntato sul mantenimento di una distanza dal cuore storico della grande città ha ormai conquistato tutte le “facilities” di una vita urbana intensa: scambi, relazioni, opportunità che sembrano oggi accessibili abitando anche a decine di km dal centro geografico delle aree urbane italiane.
...la standardizzazione
La città diffusa è uno spazio fuori del tempo e della storia, condannato a essere uguale a tutti gli altri spazi che servono quella funzione. Ad essa appartengono i non-luoghi: spazi che, privi di ogni caratterizzazione storica e territoriale, si riconoscono soltanto per le funzioni
a cui sono chiamati rispetto a una società massificata e che da ciò derivano il loro volto, ovunque eguale. Questi non luoghi, presenti in numero ridotto, sono ripetuti in un numero infinito fino alla formazione di frammenti solitari.
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...la dismissione Il corpo della città diffusa ha visto la ritrazione della presenza umana da alcune sue parti. I moti urbani e le aree di “dismissione” hanno intaccato e svuotato le grandi aree industriali e i grandi servizi della città ottocentesca sia della città compatta costruita nella
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prima metà del 900. E oggi stanno svuotando di vita intere aree urbane residenziali e terziarie a cominciare da molti centri urbani europei. Questo è il risultato caotico di una società urbana priva di gerarchie e di regole insediative.
...l’ambiente La città diffusa nuoce gravemente alla salute dell’ambiente. Essa richiede grossi costi: - I costi di impatto ambientale relativo al consumo di risorse finite o scarse: consumi energetici crescenti per effetto dell’aumento della mobilità privata e per il riscaldamento, crescente consumo idrico e bassa qualità del trattamento e drenaggio delle acque reflue, crescente impermeabilizzazione dei suoli con effetti negativi –sia locali che globali- sul clima e la qualità dell’aria. I motori infatti immettono nell’atmosfera ossido di carbonio e di azoto, idrocarburi volatili e altri elementi non regolamentati come il benzene, la formaldeide. Il 66% di emissione di monossido di carbonio in città sono causate dalle auto. Questo aggrava la crisi ambientale
planetaria più di qualsiasi altro fattore. L’effetto serra, il disgelo delle calotte polari e dei grandi ghiacciai, l’aumento del livello e della temperatura delle acque marine, incrinando l’equilibrio degli ecosistemi, sono solo alcuni effetti di un clima sempre più sregolato. La biodiversità è visibilmente in grande declino: negli ultimi 50 anni si registra l’estinzione da 30 a 50% delle specie animali. Oltre alla perdita di naturalità e di biodiversità, c’è lo spreco di risorse fondamentali quali l’acqua, la terra, l’energia, l’aria, il progressivo affidare il soddisfacimento delle esigenze umane a tecniche sempre più lontane dalla natura, e perciò meno affidabili e controllate. - I costi di inquinamento estetico determinati dalla banalizzazione del territorio suburbano e dalla speculare
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ipercongestione della città consolidata, in cui in genere permangono concentrati i posti di lavoro e quindi le destinazioni maggioritarie dei movimenti dei pendolari Si perde quella risorsa per attirare residenti e visitatori, costituita dalla bellezza, dall’ordine, dalla civiltà della città e del territorio sul quale si vive. - I costi di inquinamento acustico (che possono causare disturbi del
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sonno e stress). Anche la Gibelli ha evidenziato come il suolo ci accompagni ad un uso sempre più estensivo dello spazio, alla perdita dei confini della città, alla progressiva formazione di un magma di costruzioni, infrastrutture e aree agricole relitte, incompatibili con il paradigma dello sviluppo urbano sostenibile.
...la popolazione Più del 60% della popolazione urbana vive fuori dai limiti della città costruita e consolidata. I centri urbani dopo l’orario di lavoro si svuotano e mentre si riempiono le zone residenziali e commerciali. Prevale nel mondo dello sprawl la sensazione che le città siano rimaste senza gente. Ormai gli spazi urbani sono stati abbandonati o occupati da delinquenti o gente senza fissa dimora. La scelta di vivere nello sprawl a volta è una pericolosa fuga dalla città.
Quella che Boeri chiama “L’Anticittà” cresce invisibile parallela alla città ufficiale con due principali caratteristiche: la frustrazione e l’omologazione. Attraverso le quali migliaia di concittadini simili nelle credenze, nelle aspettative, negli stili di vita trasformano la frustrazione in antagonismo. Per questo motivo bisogna spingere verso una coalizione di stili di vita diversissimi e di una politica dello spazio degradato così da evitare l’anonimato, la perdita
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dellâ&#x20AC;&#x2122;identita (di sangue, razza, cultura e religione). Con lo sprawl stiamo andando incontro a dei costi e a dei mutamenti: - costi sociali in termini di rischio di segregazione per fasce di reddito piĂš basse per gruppi sociali o etnici immigrati recentemente la quale rallenta i processi di integrazione;
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- mutamenti antropologici: la piazza è stata abbandonata perchÊ si lavora e vive altrove come la strada del centro che ha perso la sua vitalità a causa dei centri commerciali; - mutamenti nelle relazioni: esse sono labili e i rapporti di vicinato poco amichevoli.
...il consumo di suolo
Tratto dal film “Le mani sulla città” (1963), Regia di Francesco Rosi “Lo so che la città sta là e da quella parte sta andando perché il piano regolatore così ha stabilito. Ma è proprio per questo che noi da là la dobbiamo far arrivare qua!” “E ti pare una cosa facile?” “Cambiamo il piano regolatore” […] “Non c’è bisogno. La città va in là e questa è zona agricola. E quanto la puoi pagare oggi? 300-500-1000£ al metro quadrato? Ma domani questa terra, questo stesso metro quadrato, può valere 60-70000 lire o forse di più. Tutto dipende da noi. Il 500% di profitto. Eccolo là. Quello è l’oro (indica la città)”.
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Forse per la prima volta nella storia, l’umanità ha la sensazione che lo spazio sul pianeta si stia esaurendo. Dopo le risorse energetiche, anche il suolo inizia a essere considerato un bene comune che non è più possibile sfruttare all’infinito. Diventa sempre più urgente preservare le poche aree libere e ottimizzare quanto già occupato. Il consumo di suolo è il problema principale di un modello insediativo “spontaneo” poco denso che si fonda, in un’ottica di razionalità privata, su un basso costo della mobilità privata e un basso costo del suolo non urbanizzato e che dunque tende ad aumentare l’intensità d’uso delle risorse come energia, rete di trasporto su gomma e suolo. Non esistono dati di consumo di suolo aggiornati a livello nazionale. Ma secondo l’ultimo censimento, l’Italia, che misura 301000 kmq di cui il 40% del territorio è montuoso, il 7% è agricolo di pregio ormai edificato, secondo l’ultimo censimento del 2000,
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è stata edificata per 21000 kmq, pari alla superficie dell’Emilia Romagna. Quindi possiamo affermare che, citando i dati Eurostat, il 7% del territorio italiano, intorno ai 2.1 milioni di ettari, è stato cementificato con insediamenti artificiali, abitazioni, impianti, costruzioni, strade, ferrovie.. Come dimostrano numerosi studi, l’espansione urbana avviene soprattutto sui suoli agricoli più fertili, in parte perché sono quelli facilmente urbanizzabili, in parte perché semplicemente sono localizzati vicino alle principali aree urbane. Anche negli USA la situazione è allarmante: l’urbanizzazione su suolo agricolo procede al ritmo di 1100 ettari al giorno, circa 4000 kmq all’anno, lo 0.2% della superficie agricola utilizzata (1.66 milioni di kmq). Secondo Salzano, ormai il territorio è merce per costruire, il cui unico obiettivo è costruire qualcosa con un valore di mercato. Una volta invece, il territorio esisteva per quello che
dava come i prodotti agricoli (ormai importati, es. soia dal Brasile) o la sua bellezza. Secondo Santoloci (2002), il consumo di suolo e il conseguente degrado del territorio rappresenta oggi certamente il primo grande problema ambientale del nostro Paese. Il fenomeno sembra procedere senza segni di remissione, a un ritmo stimato in 58700 ettari di suolo agricolo sepolto ogni anno sotto asfalto e cemento, con il favore dei condoni edilizi periodicamente accordati, che di certo non hanno contribuito a contrastare con la cultura dell’illegalità spesso così diffusa in materia edilizia. Mentre in tutti gli altri paesi dell’Europa il consumo di suolo è fenomeno temuto, misurato, combattuto, in Italia è ignorato. Il danno emergente certamente è costituito dall’aumento del rischio determinato dall’indifferenza della dispersione insediativa nei confronti delle caratteristiche proprie dei suoli, la sottrazione al ciclo biologico di
risorse insostituibili per l’equilibrio tra uomo e natura e la distruzione di testimonianze preziose della storia e della cultura della nostra civiltà e di quelle che l’hanno preceduta. Per non parlare poi del danno estetico, Un elevato consumo di suolo e un’esasperata dispersione insediativa significano: - Sottrazione di terreni produttivi e naturali; - Erosione e perdita di qualità del paesaggio; - Disposizione indifferente ai diversi caratteri di vulnerabilità e pericolosità del territorio, e conseguente incremento dei danni subiti e provocati; - Maggiori oneri nella distribuzione dei servizi; - Incremento della mobilità basato esclusivamente sul trasporto su gomma delle merci e delle persone e impossibilità di fornire un adeguato servizio di trasporto collettivo.
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dell’aggressione alla bellezza dei paesaggi con la squallida edilizia fatti di disordati tasselli che compongono la città diffusa. Quindi, l’arresto della crescita indiscriminata può costituire la premessa per una riorganizzazione delle aree urbane esistenti che sia volta a consentire ai sistemi urbani, ancorchè diffusi, di giovarsi appieno delle favorevoli condizioni ambientali e paesaggistiche, della varietà del tessuto sociale e della qualità della vita, di una buona accessibilità ai servizi rari, ovverosia di tutte quelle condizioni necessarie per rafforzare la competitività economica e mantenere il
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benessere della popolazione. La preoccupazione per l’irrefrenabile espansione urbana trova motivazioni diverse: la riduzione dello spazio produttivo dell’agricoltura; la crisi dello spazio ecologico, del verde, dei suoli impermeabilizzati che accresce le occasioni di inquinamento e i rischi di squilibrio idrogeomorfologico; la compromissione delle unità di paesaggio da un lato e l’affievolimento della qualità urbana dall’altro che intaccano le valenze simboliche degli spazi e la qualità di vita che essi offrono, smarrendo la loro identità e il loro significato.
Territorio europeo con copertura artificiale - Anno 2009
Dati: Eurostat, indagine LUCAS
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Variazione delle località abitate (a) tra il 2001 e il 2011 per tipo di variazione (%) Regioni Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia Trentino-Alto Adige Bolzano Trento Veneto Friuli Venezia Giulia Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna
Percentuale sul totale delle località 2011 Nuove località Espansioni di località 4,4 30,7 2,6 22,9 2,1 16,2 3 37,5 1,2 48,1 1,1 55,3 1,2 41,6 2,3 29,2 2,4 32,5 2,7 27,9 2,5 29,5 1,9 27,2 3,9 27,9 4 29,2 2,7 30,5 6,4 38,8 6,1 50,3 17 40,2 7,8 29,5 3,2 29,2 10,2 34,4 12,1 25
Fusione di località di due o più località 5,7 1,2 2,2 2 0,8 0,5 1,1 2,7 1,1 2,4 2,4 2,2 2 2,3 1,5 3,7 1,1 1,2 1,5 1,2 2,3 0,7
Cambi di tipologia 0,5 0 0 0,5 0 0 0 1,3 0,8 1,3 0,9 0,4 0,7 0,9 0,1 0,5 0,8 0,5 1,1 0,3 0,4 0,7
Tot. 41,2 26,7 20,6 43,1 50,1 56,9 44 35,5 36,8 34,3 35,3 31,6 34,6 36,4 34,9 49,5 58,3 58,9 39,9 33,9 47,3 38,4
Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno
3,2 2,3 3,1 7,1
31,9 31 28,8 36,2
3,6 2,2 2,3 1,5
0,4 1,1 0,8 0,5
39,4 36,7 34,9 45,2
Italia
3,9
32,1
2,5
0,7
39,2
Fonte: basi territoriali (2001) e basi territoriali (2011) a) comprende: centri abitati, nuclei abitati e località produttive b) comprendono tutti i cambi di tipolologia (da centro a nucleo, da nucleo a centro, ecc.) o i declassamenti di centri o nuclei a località di case sparse
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3. CAUSE
CAUSE Il prezzo estremamente basso dei suoli agricoli e l’aumento di quelli nel cuore della città Il prezzo estremamente basso dei suoli agricoli comparati a quelli dei suoli già urbanizzati o di aree industriali dismesse, rappresenta un ulteriore fattore che alimenta lo sprawl urbano. In molti progetti di sviluppo, il costo per l’acquisizione di suoli agricoli è relativamente basso e consente di realizzare profitti più elevati rispetto all’uso di aree già urbanizzate o di siti industriali dismessi, anche quando non ne sia richiesta la bonifica. La diffusione costituisce una tendenza di fondo dei sistemi economico-territoriali di successo e ad alto reddito, in presenza di tecnologie vecchie e nuove che limitano l’impedenza dello spazio fisico, in presenza di ridotte necessità di spazio
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per l’agricoltura e di elevate rendite fondiarie e immobiliari all’interno delle grandi aree metropolitane. Essa deriva dalla progressiva concentrazione dello sviluppo in ampie regioni urbane e dalla conseguente estensione dei territori densamente urbanizzati per traboccamento al di là delle conurbazioni storiche; dal successo –economico, sociale, ambientale- di città di dimensione piccola e media; dalla scelta di sub urbanizzazione da parte di famiglie a reddito medio e basso per effetto della crescita dei valori delle aree centrali e dalla parallela scelta di suburbanizzazine da parte di famiglie a reddito medio-alto in fuga dalla città congestionata e alla ricerca di maggiore spazio abitativo e di “naturalità”.
Motivi economico-finanziario-industriali e il potere politico L’urgenza dello sviluppo, le pressioni esercitate dal basso e dall’alto hanno sortito il risultato d’oggi. Al potere economico-finanziarioindustriale, condizionante delle forze politiche, si devono le azioni più importanti e decisive in quanto l’unico obiettivo del paese era quello di favorire in tutti i modi le iniziative economiche; sia piegandosi al grande capitale che favorendo le iniziative locali e quindi la piccola impresa. Il potere politico quindi ha assecondato e sostenuto lo sviluppo industriale, incurante dei modi in cui l’urbanesimo veniva crescendo, oltre che orientandolo direttamente con le sue iniziative industriali, le sue politiche di distribuzione del denaro pubblico. Con l’affermazione della piccola impresa, l’urbanizzazione si diffuse via via sul territorio in aree agricole, sia nei piccoli che nei medi centri ovunque l’iniziativa trovasse l’ambiente più adatto, sviluppandosi al di fuori di qualsiasi piano urbanistico territoriale.
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Legami con le tradizioni e le permanenze del passato La storia italiana fino al 1900 è stata contraddistinta tra una mutua interazione fra uomo e natura, che successivamente si è andata a rompere. In poche generazioni questa necessità è venuta meno e con essa l’attenzione al territorio. La campagna si è trasformata perché la produzione agricola, alla pari del commercio e della produzione industriale, ha perso il proprio legame con il territorio. La politica democristiana d’altra parte obbediva a questa istanza, far crescere l’attività industriale, il reddito procapite, togliere i contadini dai campi e metterli nell’industria locale, eliminare il sottosviluppo. Ci si preoccupava solo della dimensione dello sviluppo, che avrebbe dovuto saldare il passato con il presente, ma in realtà venivano trascurate la natura e la campagna a scapito della cultura e della città. Lo sviluppo urbano era in mano alle
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amministrazioni locali, ai piccoli o grandi poteri locali, preoccupati solo della crescita, dell’edificazione come forma che favoriva il successo capitalistico, il profitto, la ricchezza. Soltanto oggi ci si accorge del paesaggio sconvolto in modi insostenibili e dell’urbanesimo inaccettabile. Si faceva razzia di spazio per la megalopoli, prodotto di meccanismi capitalistici che consumano spazio attraverso la sua valorizzazione, la sua elezione a capitale spendibile.
Scarso ruolo avuto dalla progettualità urbana nella configurazione del territorio La città diffusa ha preso piede grazie ad elementi istituzionali, urbanistici e di carattere fiscale. Nelle frange esterne alla città infatti ci sono più ampie opportunità edificatorie, una fiscalità locale che spesso contribuisce ad esacerbare cumulativamente processi di specializzazione e segregazione spaziale, di doppia velocità, di declino di porzioni della città centrale, grazie all’importante voce di entrata costituita dagli oneri urbanizzativi, dalle imposte sugli immobili e dal gettito fiscale proveniente dalle attività economiche di nuovo insediamento; la frammentazione amministrativa e la spesso debole o inesistente integrazione fra pianificazione urbanistica e pianificazione di settore; la predominanza dell’azione comunale in materia di pianificazione spaziale e la simmetrica debolezza della pianificazione strategica di area vasta. Inoltre, a causa del potere politico
degli anni del ‘900, inoltre va addebitata la mancanza di norme legislative che impedissero l’anarchismo e l’abusivismo del capitale impegnato nel campo immobiliare, che per anni ha operato con grandi profitti, costruendo le periferie, i quartieri dormitorio, le fungaie edilizie svuotate di urbanità. La progressiva estensione dell’influenza della città sull’intero territorio nazionale rende infatti necessario rilanciare il tema del conflitto tra domanda di spazi per insediamenti e mantenimento dei caratteri rurali e naturali residui, tanto più preziosi in quanto sempre più rari.
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La diffusione dell’automobile e l’assenza di trasporto pubblico Con la diffusione dell’automobile, la sub urbanizzazione ha ricevuto un nuovo impulso. In america del nord essa diventa la forma più diffusa di urbanizzazione, ma troviamo la stessa situazione nei dintorni delle città europee, asiatiche, africane. Il ruolo dell’automobile è molto importante per queste zone che sono state costruite in funzione di essa. Il contatto centro-città è sempre necessario. Lo sprawl è stato favorito dalla rinuncia alla centralità del trasporto pubblico che le pubbliche
Rendita immobiliare In Italia, a differenza della maggior parte degli altri paesi europei, la rendita immobiliare e l’affermazione della proprietà privata hanno un fortissimo peso.
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amministrazione non hanno voluto finanziare risparmiando una rete integrata a scala territoriale; dalla conseguente scelta della mobilità privata che ha scaricato i costi del trasporto e l’onere della sua organizzazione sulle singole famiglie ed imprese; dalle politiche di infrastrutturazione stradale tese a salvaguardare e/o ripristinare le funzionalità di quell’andar lontano senza strutturare reti adeguate all’effettivo sistema di relazioni che si andava consolidando.
Preferenze residenziali Con il mutare della società, sono cambiati anche gli stili di vita delle popolazioni dei paesi più sviluppati, guidati dal consumismo, da una certa libertà individuale, da politiche governative che hanno orientato la domanda e l’offerta in direzione della casa unifamiliare di proprietà. Questa strategia ha condizionato la
popolazione a reddito medio/basso che ha favorito la proliferazione dei quartieri di villette unifamiliari e di casette a schiera localizzati nelle frange metropolitane più esterne, in dipendenza dell’aumento del reddito e dalle opportunità di mobilità individuale.
Possibilità lavorative La prima logica che ha dato forma alla megalopoli è stata quella di soddisfare le richieste di avere lavoro e residenza. Esigenza a cui è stata data una risposta immediata che va considerata come il primo fattore che ha fatto quantitativamente crescere l’urbanesimo.
L’espansione progressiva e inarrestabile dell’urbanesimo intorno ai cuori storici non ha potuto evitare che il cittadino di periferia fosse costretto a diuturni spostamenti per lavorare e vivere nella città.
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Migrazioni All’esodo dalle aree più interne, segnale di un loro disagio profondo, si aggiunge anche un apprezzabile esodo dalle città più popolate. Al contrario sono presenti rilevanti flussi migratori verso le aree periferiche delle regioni urbane. Questi spostamenti di popolazione determinano una concentrazione della pressione urbana su alcune porzioni specifiche del territorio: le coste, le pianure, i fondovalle, le prime quinte
collinari. In queste aree la sottrazione di suoli all’agricoltura e alla natura raggiunge livelli particolarmente critici e il paesaggio è sottoposto ad alterazione profonde. Secondariamente, nelle forme di insediamento conurbate, la diffusione e dispersione degli insediamenti si accompagna ad un consumo di suolo più elevato.
Il mito di vivere vicino al verde Gli abitanti di queste zone sono a contatto con un ambiente più soddisfacente (tranquillità, verde) che non in un affollato centro urbano.
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Rendite maggiori per le attività terziarie Per le attività economiche, appaiono determinanti la riduzione dei costi di localizzazione per le funzioni che non richiedono diretta accessibilità al centro; la ridotta accessibilità su gomma delle localizzazioni centrali; lo
sviluppo di nuovi modelli di offerta commerciale, basati sull’uso dell’automobile; lo spiazzamento della funzione residenziale dalle zone più centrali da parte delle attività terziarie che garantiscono rendite più elevate.
Sviluppo industriale Lo sviluppo industriale contribuisce ad alimentare la dilatazione delle aree urbane.
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“Un paesaggio nato come esito di piccole cause, come se a nessuno fosse venuto in mente nulla di originale e si fosse copiato gli uni dagli altri, fino a dar luogo a territori fatti di oggetti ovunque uguali”. C. Bianchetti, 2000 Volando sopra la città, il panorama non mostra nient’altro che una ripetizione di capannoni, aree residenziali, strade, parcheggi, depositi di materiali, macerie e rifiuti che erodono sempre più velocemente il paesaggio agrario che finirà per cedere alla cementificazione. Ma la cosa peggiore è che l’espansione edilizia e industriale continua a ingoiare i terreni più fertili invece che recuperare aree dismesse.
4. COMPONENTI
STRADE Con la diffusione dell’automobile e l’estensione di un territorio privo di una rete di trasporti pubblica adeguata, le strade, circuito sanguigno della città diffusa, risultano fondamentali. La gran parte degli spostamenti di merci e di persone infatti avviene su automobili e camion in strade ormai sempre uguali, anonime e che trasmettono insicurezza. Esse, sempre intasate di automezzi, invischiate dai traffici locali altre che da quelli di raggio maggiore, sono considerate arterie intorno alle quali tutto si concentra: attività industriali, quartieri di villini fatti di un’architettura banale, residence condominiali, capannoni industriali, negozi per l’automobilista, supermercati e ipermercati, edifici in vetrocemento di una modernità dozzinale dove si esibiscono i prodotti delle industrie locali, dai mobilifici ai piastrellifici e ai calzaturifici, dai magazzini dove si esibiscono prodotti dall’industria nazionale, ai grandi negozi di abbigliamento e così via.. Ormai l’automobile è l’elemento protagonista della megalopoli padana: le amministrazioni comunali in Italia spendono più per gli asfaltature, cavalcavia, circonvallazione e parcheggi assieme ai costi del personale (vigilazione, amministrazione, pianificazione del traffico) e dei servizi (semafori, permessi, controlli) che per l’infanzia e la formazione dei più giovani. È stata fatta una spesa proporzionale al risultato: in media 8 auto per bambino. Inoltre l’auto, con l’inquinamento e delle emissioni di gas serra, ha ucciso la piazza e quindi la socialità; ha contribuito all’impermeabilizzazione dei suoli e alla frammentazione dei paesaggi naturali.
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MODELLI ABITATIVI La villetta unifamiliare è considerata la cellula su cui si basa il sistema residenziale della città diffusa. Essa si è diffusa per varie ragioni: - costituisce una sorta di ribellione verso le politiche edilizie pubbliche e una politica italiana nei conflitti urbani negli anni 60 che ha preferito una politica di “mobilitazione individualistica” (do it yourself) - Flessibilità del singolo manufatto edilizio che può comporsi in una schiera, un’enclave, una sequenza puntiforme - La forma più efficace di protezione delle reti della “famiglia allargata” (Saraceno) - L’85% degli italiani desidera una villetta con giardino: il mito del verde di proprietà è molto forte anche se non è davvero ecologico. Ma ora, con la crisi, la fragilizzazione della famiglia e il mutamento degli stili di vita, sono nati nuovi modi di abitare che si scontrano con la rigidità dell’offerta di abitazioni. Per esempio esistono il Cohousing o una forma nuova di abitare nella quale gli anziani ospitano temporaneamente studenti universitari. I quartieri di edilizia popolare sono considerati delle alternative alla casa di proprietà. Essi, costruiti per coloro i quali non possono permettersi una casa di proprietà o con un affitto troppo alto, contano in questi modelli abitativi.
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CENTRI COMMERCIALI E OUTLET La tipologia architettonica del centro commerciale nasce negli USA negli anni ’50 dove lo sprawl si era già radicato. Gli edifici vengono localizzati agli sbocchi autostradali, luoghi strategici, dove i clienti, residenti in periferia, sono tutti forniti di automobili. Gli edifici fino agli anni ’90 non presentavano alcun rischio commerciale; infatti ci fu una rapida proliferazione di questi luoghi di consumo, distruttori dell’economia del centro. Si sperava che essi potessero diventare il nuovo cuore sociale delle periferie, ma in realtà non ci si rendendeva conto che la partecipazione civica stava declinando. Gli edifici si presentano come blocchi monolitici, introversi e senza finestre, circondati da grandi parcheggi e con il vuoto attorno. Boeri le definisce “architetture dell’intrattenimento”: si nutrono di spazio, di tempo e vogliono diventare dei veri e propri luoghi del divertimento di massa. Gli Outlet Village, posizionati anch’essi agli svincoli autostradali, con la sua architettura finta rappresentante una piccola cittadina, vogliono imitare e pensano di sostituire la vera vita civica dei centri abitati. I clienti vengono attirati per le grandi marche che vengono proposte a prezzi più bassi e per gli eventi di intrattenimento che vengono organizzate.
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VUOTI URBANI I vuoti urbani sono costituiti da aree dismesse e da vuoti come parcheggi e parti di suolo non utilizzate. Lo sprawl, con il suo consumo di suolo e spreco di territorio, ha contribuito alla costruzione di nuovi edifici e all’abbandono di altri, non più adatti al loro uso. A partire dai primi anni 80 una casistica vastissima di aree dismesse ha rappresentato in Europa il banco di prova per le politiche delle amministrazioni locali, come l’edificio del Lingotto a Torino, l’area Pirelli Bicocca a Milano, il Porto Antico di Genova e le aree siderurgiche e di Bagnoli a Napoli.
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ZONE INDUSTRIALI L’Italia misura 301000 kmq di cui il 40% del territorio è coperto da montagne, il 7% è agricolo di pregio che è stato edificato. Secondo l’ultimo censimento del 2000 sono stati edificati 21000kmq, pari alla superficie dell’Emilia Romagna. Un fenomeno che si sta diffondendo sempre di più nel nostro territorio massacrando la pianura è infatti la capannonizzazione. Infatti non esiste comune che non abbia la propria zona industriale. Il fenomeno si inserisce in una dimensione in cui le grandi imprese si sono scomposte in un pulviscolo di medie e piccole imprese, di lavoro artigianale, sommerso e nero. Il fenomeno in realtà non è espressione di necessità locali, ma è un uso rapido di una risorsa per produrre denaro. I capannoni rovinano il paesaggio che perde la sua fruizione turistica, impediscono la vista de costituiscono dei vuoti funzionali che sacrificano la produttività dei suoli migliori. Sono dei monumenti allo spreco; il 30% di essi in Veneto è dismesso o invenduto, ma si continua a costruire su terreno vergine delle zone agricole pregiate e aree protette. Così si rinuncia ai suoli italiani di buona qualità, classificati tra i migliori al mondo per la felice combinazione di composizione chimica, tessitura e clima. Compito dello Stato sarebbe garantire la salvaguardia dei beni comuni più preziosi, impedire la cementificazione e le speculazioni edilizie volte solo all’interesse economico per capannoni destinati a restare vuoti ma presenti nel territorio a macchia d’olio.
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ZONE AGRICOLE L’Italia è stata vittima di un fallimento culturale: è un paese che si vergogna delle sue origini agricole a favore del commercio e dell’industria, considerate più idonee a produrre ricchezza. L’agricoltura quindi veniva considerata inutile ai fini dello sviluppo e quindi bisognava disfarsi di un passato ingombrante. Ora l’agricoltore si trova di fronte a delle difficoltà gravi: - L’andamento economico non favorevole - Assenza di linee guida condivise - A causa di difficoltà economiche, l’agricoltore cede e vende i suoi terreni per essere economicamente tranquillo
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5. SOLUZIONI
1. AGRICOLTURA ATTORNO LE CITTA’_ AGRICIVISMO_SALVAGUARDIA DI SPAZI APERTI E AGRICOLI - Agricoltura attorno alle città permettendo ai cittadini di vivere vicino alla natura; - Il documento della Commissione Europea “Europa2000+” del 1994 propone “misure volte a combattere l’urbanizzazione delle aree rurali” e “a preservare gli spazi liberi vicini alle aree urbane”, evitando costi di infrastrutturazione, il traffico, il consumo di energia e il degrado del paesaggio; - Contenimento del consumo di risorse territoriali e salvaguardia di spazi aperti non frammentati e compromessi sfavorendo la diffusione insediativa; - Limitare l’espansione delle infrastrutture stradali e autostradali; - Creazione di aree di frangia non urbanizzabili (green belt) e “perennizzare gli spazi agricoli” (Gibelli) - Evitare il consumo di suolo con l’imposizione di un utilizzo massimo di ettari al giorno (ad es. in Germania il limite è 30) - Danno ecologico causato dall’urbanizzazione deve essere risolto altrove in baso allo spazio occupato - “Agricivismo” (Ingersoll, 2004): grazie al 30% del suolo che dovrebbe restare coltivabile, l’agricivismo richiede la partecipazione dei cittadini alle attività agricole per permettere di indirizzare il discorso urbano a questione ambientali. L’Agricivismo è legato ai “bisogni civici di educazione, ricreazione e mantenimento del verde”. Gli obiettivi sono: 1. Sinergia tra l’abitato e l’ecosistema risanato 2. Fondare un senso di responsabilità verso lo spazio urbano 3. Provvedere al fabbisogno locale e a risolvere i problemi idrici. - Evitare l’abbandono dell’agricoltura dove il territorio si converte in bosco e in aree urbane
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2. DENSIFICAZIONE L’architetto e urbanista Joseph di Pasquale scrive nel suo saggio “Eco+density”: “Se da un lato il processo di densificazione più apparire mostruoso, pensiamo all’opposto, allo scenario ben più tragico che si verificherebbe se si applicasse su scala planetaria l’ideale della villetta unifamiliare. Significherebbe non avere più boschi né prati vicini alle città, e si dovrebbero fare migliaia di km anche solo per uscire dalla megaperiferia urbana, senza parlare dei problemi di trasporto e delle distanze per gli spostamenti quotidiani. Non è detto che la percentuale di verde in un quartiere sia sinonimo di qualità urbana. Cosa è più umano e vivibile: la città compatta e senza verde del medioevo, oppure un quartiere della periferia di una grande città moderna, immersa in ampi ma poco raccomandabili parchi pubblici? La densità quindi, dal punto di vista del pianeta, è conveniente ed ecologica.” - politiche di compattamento urbano, per garantire la realizzazione di un modello di città sostenibile, che deve essere connotata da: controllo dell’espansione delle città, commistione funzionale e sociale del tessuto urbano, gestione prudente dell’ecosistema urbano, sviluppo di sistemi di mobilità efficienti ed ecocompatibili, riduzione degli spostamenti in automobile e potenziamento dei trasporti ecocompatibili, riqualificazione di aree centrali e semicentrali attraverso l’intensificazione, infilling, diversificazione locale degli usi del suolo.
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3.
NO AUTO_SI TRASPORTI PUBBLICI E MEZZI ALTERNATIVI
Può esistere un’alternativa all’automobile di proprietà, che ci sgravi degli inconvenienti ma sia altrettanto flessibile rispetto alle esigenze individuali? - In tutte le città è cresciuto il numero di ciclisti e pedoni hanno tolto lo spazio alle auto e hanno allargato quello disponibile per la mobilità dolce. Si tratta di interventi poco costosi, sulla segnaletica stradale, sia verticale (grandi cartelli indicatori degli spazi, dei percorsi e dei parcheggi per bici, semafori dedicati) sia orizzontale (corsie preferenziali, spazi davanti ai semafori, svincoli dedicati negli incroci, cordoli di protezione): quando pedoni e ciclisti cominciano a essere considerati una parte importante della mobilità stradale, tendono poi a difendere il loro spazio delle invasioni delle auto. - Favorire il noleggio e la condivisione: Bike e Car sharing. Ad esempio a Milano dopo un anno al lancio, a dicembre 2009, risultavano 12300 abbonati (a 25 euro l’anno), 4332 prevalentemente giornalieri e 545000 totali: ora le biciclette sono 1350 in un centinaio di aree di prelievo. La bici condivisa è diventata così un vero e proprio sistema di trasporto pubblico da utilizzare per brevi spostamenti. - Il trasporto pubblico deve essere più duttile. Es. compagnie di taxi, servizi di bus a chiamata, attivazioni di servizi volontari. - Cercare di fare a meno dell’auto e far in modo che esse vengano limitate: per esempio a Londra, il nuovo grattacielo di Renzo Piano (il London Bridge Tower) non prevede parcheggi per auto private, ma solo 240 posti macchina per disabili, servizi consegne o auto pubbliche e car sharing.
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- Bisogna limitare l’invasione delle auto. Le contromisure sono di vario tipo: limite di velocità, regolamentazione del parcheggio, circolazione a targhe alterne. - Salvaguardare e migliorare le opportunità di spostamento a piedi e in bicicletta e di trasporto pubblico
I primi esperimenti sono iniziati in Olanda a partire dagli anni 80. A Drachten, città di 45000 abitanti, le automobili circolano con gli stessi diritti e doveri di pedoni e biciclette. Si devono tenere presenti due regole fondamentali: 1. Bisogna dare la precedenza a destra (anche se pedone o ciclista) e 2. È impossibile parcheggiare su suolo pubblico perché ciò che ostacola gli altri verrà rimosso. L’idea ha origine da un ingegnere del traffico tedesco, Hans Moderman, afferma:per aumentare la sicurezza stradale occorre rendere le strade più pericolose. Se i segnali proliferano, nessuno presta loro attenzione. Circa il 70% della segnaletica non viene nemmeno percepita. Togliere i cartelli stradali significa disorientare chi è alla guida e quindi responsabilizzarlo.
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4. MIGLIORAMENTO DI QUALITA’ DI VITA URBANA_ RECUPERO AREE DISMESSE_RIGENERAZIONE DI AREE CENTRALI - Miglioramento della qualità della vita urbana e, in particolare, maggiori opportunità di interazione sociale garantite da una ricca diversificazione funzionale degli usi del suolo - Politiche di rivitalizzazione e rigenerazione urbana: più elevata qualità dell’ambiente urbano, dei servizi urbani, della progettazione urbanistica ed architettonica; impegno deciso per la riduzione dei fenomeni di doppia velocità - rafforzare i centri esistenti che offrano un buon ventaglio di servizi pubblici, attività commerciali e opportunità di lavoro, proteggendone e potenziandone la vivibilità e la qualità - Incentivare il riuso di aree dismesse e aree interstiziali - Ridurre desertificazione urbana (no agli appartamenti sfitti e uffici dove non lavora nessuno) - priorità per la ricostruzione della città su se stessa (infilling)
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5. NUOVE CENTRALITA’ PERIFERICHE Modello policentrico: - scoraggiare la dispersione residenziale a bassa densità attraverso una maggiore diversificazione funzionale degli usi del suolo e la creazione di nuove centralità periferiche di dimensioni medio-piccole in corrispondenza dei nodi e dei principali corridoi di trasporto pubblico; che realizzi una migliore connessione trasportistica tra centri organizzati in rete in modo da valorizzare le relazioni intra-periferiche in contesti già ben consolidate grazie alla presenza di rapporti di sinergia e di complementarietà – e ridurre la dipendenza dalla città centrale. Questo modello sembra poter favorire processi di auto contenimento e spostamenti più brevi, con positive ricadute globali e locali: minor consumo di energia, minore dipendenza dal mezzo privato, minori emissioni inquinanti, migliore qualità della vita. Questo tipo di modello potrebbe rivelarsi il più adatto per porre sotto controllo i costi dello sprawl: - Interpretare la metafora della città compatta in chiave di riqualificazione urbana: più qualità elevata dell’ambiente urbano, dei servizi, degli spazi pubblici e della progettazione urbanistica e architettonica, maggiore diversificazione funzionale locale, con attenta salvaguardia delle funzioni deboli - Contrastare la dispersione insediativa garantendo margini di libertà ai processi di diffusione urbana comunque all’interno di quadri di coerenza territoria - Rafforzare le relazioni fra i centri della rete caratterizzati da relazioni di complementarietà .
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6. DIVERSIFICAZIONE FUNZIONALE
- concentrazione di attivitĂ e residenze nel capoluogo attraverso progetti di intensificazione e diversificazione funzionale - inquadramento e parallela diversificazione funzionale (obbligatoria la realizzazione di edilizia abitativa a basso costo) nei subpoli localizzati nel territorio suburbano e interconnessi dalla rete su ferro
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7. NUOVE LEGGI E PIANIFICAZIONE A VASTA SCALA - Evitare la deregolamentazione urbanistica che, assecondando la domanda del mercato e in particolare le strategie immobiliari, ha costituito una importante concausa dell’elevata dispersione urbanizzativa. - Attenzione al governo della dispersione insediativa, attraverso una concentrazione delle nuove possibilità edificatorie sui nodi urbani esistenti, una necessaria integrazione fra pianificazione urbanistica e pianificazione dei trasporti e il rilancio e la riattualizzazione della pianificazione di area vasta. - Quando si tratti di decidere in merito ad infrastrutture e servizi strategici che sono destinati a suscitare forti opposizioni locali da parte delle comunità territoriali direttamente coinvolte dalla realizzazione delle opere, costruire una concertazione, un coordinamento e soprattutto un consenso anche attraverso forme adeguate di compensazione economica. L’idea di fondo che connota oggi la riflessione sulla pianificazione di inquadramento strategico sono dunque la competitività economica, solidarietà sociale e la cura del territorio. - Pianificazione integrata di area vasta - Approccio top-down - Istituire agenzie metropolitane preposte al controllo e al coordinamento delle politiche delle singole municipalità
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8. OFFERTA COMMERCIALE: - ORIENTATA ALL’AUTO + INTERNA ALLA CITTA’
- Realizzazione di un’offerta commerciale meno orientata all’automobile e prioritariamente localizzata nei centri urbani - Razionalizzare la distribuzione di aree per attività produttive e di servizi a loro supporto, anche in considerazione del consistente patrimonio dismesso e della necessità di ridurre e controllare le situazioni di rischio e di incompatibilità con altre funzioni - Ridurre la dipendenza finanziaria dalle entrate locali (municipali) sulle proprietà e sulle entrate commerciali
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9. RISPARMIO DI ENERGIA - Dinamiche di coabitazione diverse dalle tradizionai - Nuovi edifici per modelli abitativi nuovi - Riduzione dei consumi di energia e dei consumi idrici, grazie ad una piĂš saggia progettazione ecologica degli interventi edilizi - Limitazione dei finanziamenti per nuove strade, reti fognarie e idriche e servizi pubblici. - Pianificare lâ&#x20AC;&#x2122;uso ottimale del suolo sotto il duplice aspetto di bilancio economico di mercato, ma soprattutto di bilancio energetico; - Promuovere produzione e consumo di energia in modo da soddisfare i bisogni reali della popolazione, senza oltrepassare i livelli di salvaguardia del territorio, bene limitato e non rinnovabile.
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6.
FRIULI VENEZIA GIULIA
TERRITORIO
92
CONFINI Italia
= Veneto
93
CONFINI EU
94
= Austria
CONFINI EU
= Slovenia
95
PROVINCE
96
CAPOLUOGHI DI PROVINCIA
Udine Pordenone
Gorizia
Trieste
97
SUPERFICIE
2276,30
4904,25
466,02 211,82
98
(in kmq)
POPOLAZIONE
315323
541522
142407 236556
99
COMUNI
100
COMUNI (numero)
51
136 25 6 101
INFRASTRUTTURE
= autostrade
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= infrastrutture secondarie (SS, SR, SP )
La regione Friuli Venezia Giulia è sempre stata un punto nevralgico per lo scambi di merci e per il transito di persone verso la Slovenia e l’Austria e attraverso esse verso i paesi del mediorientali e dell’Europa centro-settentrionale. Il sistema dei trasporti regionale ha conosciuto negli ultimi anni un rapido incremento grazie soprattutto all’allargamento verso est dell’Unione Europea e quindi un allargamento dei mercati. Questa situazione ha prodotto un flusso continuo di persone e merci che ha avuto ripercussioni nel tempo privilegiando il trasporto su gomma e quindi creando di fatto uno squilibrio nella ripartizione modale dei traffici. La maggior parte delle aree industriali, così come i porti e altre infrastrutture nodali, infatti, sono collegati direttamente alla rete ferroviaria ma questa modalità di trasporto resta ancora poco utilizzata. Attualmente la regione si trova incardinata su due dei principali corridoi che costituiscono la rete di
trasporti europea: il corridoio Mediterraneo che comprende l’asse ferroviario Lione – Torino – Milano – Venezia – Trieste e il corridoio Baltico – Adriatico che permetterà di collegare le regioni adriatiche con il nord Europa. Sotto l’aspetto della dotazione infrastrutturale il Friuli Venezia Giulia possiede circa 3.580 km di strade di interesse nazionale, regionale ed autostrade che corrispondono all’11% del totale della rete del Nord Est escludendo le strade comunali, e 469 km di linee ferroviarie, la maggior parte classificate come fondamentali, corrispondenti al 14% delle linee ferroviarie del Nord Est. Il sistema portuale comprende i porti commerciali di Trieste, Monfalcone e Porto Nogaro. I collegamenti nazionali e internazionali via aerea sono assicurati dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari, che funge da riferimento per l’intera regione.
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Infine, per quanto riguarda l’intermodalità per le merci, la regione ospita sul suo territorio tre infrastrutture (Interporto di Cervignano del Friuli, Autoporto di Gorizia e Terminal intermodale di Fernetti), importanti soprattutto per quanto riguarda gli scambi transfrontalieri con la Slovenia e l’Austria. La rete stradale La rete stradale del Friuli Venezia Giulia è costituita da autostrade, strade di interesse nazionale, regionale e provinciale, per una estensione complessiva di 3.578 km. Dal 2008, a seguito dell’entrata in vigore delle norme previste dal D.Lgs. 111/2004, la rete ordinaria ha subìto profonde modificazioni: con esso, infatti, sono state assegnate alla proprietà e alla gestione della Regione 650,214 km di ex strade statali, 269,616 km sono rimaste di proprietà dello Stato ma gestite dalla Regione e 160,22 km di strade rimaste allo Stato. Così per la gestione
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della rete stradale di sua competenza la Regione ha creato la società Friuli Venezia Giulia Strade s.p.a. che attualmente gestisce circa 1.000 km di rete regionale. Il resto della rete è gestita in parte da ANAS s.p.a. e da Autostrade per l’Italia s.p.a. Nello specifico la rete autostradale poggia su tre assi fondamentali: - l’autostrada A23 Palmanova – Tarvisio che collega l’Italia all’Austria e costituisce un importante asse viario trai due Paesi; - l’autostrada A28 Portogruaro – Pordenone, che collega Veneto e Friuli Venezia Giulia; - l’autostrada A4 Torino – Trieste che rappresenta l’asse fondamentale per i collegamenti nell’ambito della Pianura Padana. A livello provinciale, Udine ha la maggiore estensione di strade con circa 2.200 km e il 71% della rete autostradale regionale.
Friuli Venezia Giulia: rete stradale 2009 (Fonte:Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti
Territorio Friuli Venezia Giulia Nord Est Italia
Strade regionali provinciali 3177 29900 154513
e Altre strade di interesse Autostrade Totale nazionale 191 210 3578 2224 1514 33638 19375 6661 180549
La tabella seguente raffigura il calcolo degli indici: il primo rappresenta la densità delle strade rispetto alla unità di superficie (100km); il valore dell’indice rispetto agli abitanti e agli impiegati rappresenta la congestione potenziale che deriva dagli spostamenti per motivi di lavoro, di svago e altro da parte della popolazione; l’ultimo indice rispetto agli autoveicoli circolanti rappresenta la congestione teorica e dipende dal livello di motorizzazione. La tabella evidenzia come la mobilità regionale sia garantita prevalentemente dalla viabilità ordinaria composta da strade comunali, provinciali e statali, a causa della poca disponibilità di km di
di autostrade rispetto alla superficie territoriale (2,8 km ogni 100 km). Gorizia presenta una situazione migliore con 3,4 km ogni 100 km di superficie mentre al lato opposto Pordenone ha un indice che si ferma a 1,8. Nel complesso, i cittadini che godono di una maggiore disponibilità di strade sono quelli della provincia di Udine. Infatti, per tutte le variabili considerate la provincia presenta gli indici totali più alti seguita a poca distanza da Pordenone. Il calcolo degli indicatori relativi alla provincia di Trieste risente molto della particolare conformazione del territorio che ha determinato una concentrazione dei centri abitati e
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Indicatori
Territorio
km di strade per Gorizia 100 di superficie Pordenone Trieste Udine FVG Nord Est Italia km di strade per Gorizia 10000 abitanti Pordenone Trieste Udine FVG Nord Est Italia km di strade per Gorizia 10000 occupati Pordenone Trieste Udine FVG Nord Est Italia km di strade per 10000 veicoli Gorizia circolanti Pordenone Trieste Udine FVG Nord Est Italia
Comunali
Provinciali
Statali e raccordi Autostrade autostradali
Totale
193,6
27,5
22,7
3,4
247,2
175,4 567 156,5 175,3 197,9 221,9
28,6 63,6 25,7 27,7 30,8 37,1
9,1 41,5 17 15,7 13,4 15
1,8 2,9 3,2 2,8 2,3 2,2
214,8 674,9 202,5 221,5 244,5 276,1
160,7
22,8
18,9
2,8
205,3
285,4 131,9 343,3 269,7 241,3 291,1
46,5 14,8 56,4 42,6 37,6 48,6
14,7 9,7 37,4 24,2 16,4 19,7
2,9 0,7 7 4,3 2,8 2,9
349,6 157 444,1 340,8 298,1 362,3
160,7
22,8
18,9
2,8
205,3
285,4 131,9 343,3 297,7 241,3 191,1
46,5 14,8 56,4 42,6 37,6 48,6
14,7 9,7 37,4 24,2 16,4 19,7
2,9 0,7 7 4,3 2,8 2,9
349,6 157 444,1 340,8 298,1 362,3
78,8
11,2
9,3
1,4
100,6
156,7 62,8 172,1 136,8 131,1 136
25,6 7 28,3 21,6 20,4 22,7
8,1 4,6 18,7 12,3 8,9 9,2
1,6 0,3 3,5 2,2 1,5 1,3
192 74,8 222,6 172,9 161,9 169,3
Indicatori di disponibilitĂ e densitĂ della rete stradale, anni vari (Fonte: Elaborazione Uniontrasporti su dati ISTAT)
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delle aree industriali in prossimità della costa e di conseguenza la rete dei collegamenti stradali si è maggiormente sviluppata in queste aree. La limitata estensione del territorio e l’alta densità abitativa sono inoltre tra i fattori che incidono negativamente sulla sostenibilità della mobilità locale. Per quanto riguarda Gorizia, infine, la disponibilità di strade e i livelli di congestione sono influenzati dalla alta densità abitativa e dalla concentrazione della popolazione in pochi comuni, come il capoluogo e Monfalcone, che sono anche i maggiori attrattori di attività economiche e logistiche. La posizione geografica e la dotazione di infrastrutture rendono la regione uno snodo importante per i traffici che interessano il Nord Est e l’Est - Centro Europa: per questo motivo negli ultimi anni gli investimenti della Regione sono stati orientati a creare una rete di strade (ordinaria ed autostradale) in grado di assicurare un
adeguato livello di servizi sia per le persone che per le merci. Alcuni interventi infrastrutturali come il prolungamento della A28 fino all’allacciamento con la A27, ma ancora di più il completamento delle opere in corso, come ad esempio l’adeguamento della A4, servono a potenziare gli assi fondamentali di comunicazione per integrarli con il sistema stradale nazionale. Il riequilibrio modale dei trasporti attraverso il potenziamento dell’intermodalità ferro - strada – mare, soprattutto per il trasporto delle merci, è un obiettivo da perseguire nel breve-medio periodo al fine di favorire il decongestionamento delle strade e la riduzione degli impatti ambientali e delle esternalità negative legate alla incidentalità.
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La rete ferroviaria La rete ferroviaria gestita da RFI in Friuli Venezia Giulia ha una estensione complessiva di 469 km. Per le loro caratteristiche le linee ferroviarie sono classificate, generalmente, in - linee fondamentali: sono caratterizzate da un’alta densità di traffico e qualità dell’infrastruttura, comprendono le direttrici internazionali e gli assi di collegamento fra le principali città italiane; - linee complementari: meno trafficate, costituiscono la rete dei collegamenti regionali e connettono tra loro le direttrici principali; - linee di nodo: si sviluppano all’interno di grandi zone di scambio e collegamento tra linee fondamentali e complementari nell’ambito di aree metropolitane. Nella regione la rete fondamentale ha una estensione di 318 km e comprende le linee: - (Venezia) - Latisana - Cervignano Monfalcone - Trieste/Villa Opicina -
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Confine di Stato che costituisce l’ultimo tratto nazionale della direttrice trasversale transeuropea con ingresso in Slovenia attraverso il valico di Villa Opicina; - (Venezia) - Sacile - Pordenone Udine - Pontebba - Tarvisio - Confine di Stato che permette il collegamento con l’Austria attraverso il valico di Tarvisio; - Monfalcone - Gorizia – Udine che collega le due linee precedenti tra loro e da cui si dirama un ulteriore tratto di linea transfrontaliero Gorizia - Nova Gorica (Slovenia). La rete complementare ha una estensione di 151 km e comprende le linee: - Udine - Palmanova - Cervignano, importante per il traffico merci da/per gli scali di Cervignano e Palmanova, dotati di appositi terminali intermodali per lo scambio “ferro-gomma”; - Casarsa - Cordovado; - Sacile - Pinzano - Gemona del Friuli. Un’analisi delle caratteristiche della rete ferroviaria regionale evidenzia le sue buone potenzialità (tabella).
Linee FVG Nord est Italia Linee ferroviarie in esercizio (km) 469 3308 16660 Classificazione Linee fondamentali (km) 318 1638 6125 Linee complementari (km) 151 1433 9600 Linee di nodo (km) 237 935 Tipologia Linee a doppio binario (km) 299 1777 7401 Linee a semplice binario (km) 170 1531 9259 Alimentazione Linee elettrificate (km) 384 2664 11908 Linee a doppio binario (km) 299 1876 7423 Linee a semplice binario (km) 85 788 4485 Linee non elettrificate (km) 85 644 4752 Lunghezza complessiva dei binari (km) 768 4465 23441 Linea convenzionale (km) 768 4004 20126 Linea AV (km) 461 1305 Impianti ferroviari Stazioni con servizio viaggiatori 60 427 2281 FVG: caratteristiche della rete ferroviaria (fonte: Uniontrasporti su dati RFI s.p.a.)
La rete a doppio binario rappresenta i 2/3 della rete complessiva mentre quella elettrificata supera l’80%. Da punto di vista della tipologia delle linee, l’intera rete è di tipo convenzionale, non adatta quindi alla circolazione di treni ad alta velocità. Nel confronto con i valori medi della ripartizione geografica di riferimento e con l’Italia, si evidenzia una
qualità della rete ferroviaria regionale sia per quanto riguarda la presenza di reti classificate come fondamentali che per le reti a doppio binario. La suddivisione a livello provinciale rispecchia la distribuzione della popolazione e delle attività industriali. In provincia di Udine si
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si estende il 53% delle linee ferroviarie regionali. Tra le altre province, Pordenone ha una buona estensione di rete che però risulta scadente dal punto di vista della qualità dal momento che più del 67% è a binario singolo non elettrificato. Gli interventi programmati negli ultimi anni sono stati tutti orientati al rafforzamento, al potenziamento della rete in particolare nei collegamenti internazionali verso Austria e Slovenia, e all’implemento di un sistema ferroviario regionale a supporto della mobilità delle persone. Il traffico di passeggeri evidenzia una maggiore domanda nelle aree costiere e nel quadrilatero Venezia, Treviso, Gorizia, Trieste, per i collegamenti a breve-medio raggio, anche se rispetto agli spostamenti complessivi quotidiani il mezzo ferroviario rappresenta circa il 2%, a causa di frequenti disservizi e soppressione di corse programmate.
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I nodi per il trasporto di merci e passeggeri: la rete portuale Il sistema dei porti del Friuli Venezia Giulia costituisce una delle porte d’accesso del Nord Est e dell’Europa Centrale per i traffici marittimi provenienti dall’Estremo Oriente. I porti di Trieste, Monfalcone e Porto Nogaro costituiscono un sistema che nel 2011 ha movimentato complessivamente oltre 50 milioni di tonnellate di merci. Trieste rappresenta il secondo porto di rilevanza nazionale, dopo Genova, ed è il primo nell’Adriatico. Il porto è un hub logistico internazionale che dista meno di 500 km dalle grandi regioni dell’economia italiana (Veneto, Lombardia, Piemonte) e dell’Europa Centrale e Orientale. Il porto è collegato all’autostrada A4 Trieste-Venezia e si trova a pochi chilometri dal valico di Fernetti (TS) e della Casa Rossa (GO), che permettono di raggiungere la Slovenia. Il porto di Monfalcone, che dispone di un’area di circa 300 mila mq, è lo scalo più a nord del Mediterraneo, si affaccia sulla parte interna del Golfo
di Trieste e si trova sulle principali direttrici del traffico commerciale con i Paesi del Centro ed Est Europa. L’area portuale è direttamente collegata alla rete autostradale attraverso l’autostrada A4 Torino– Trieste e i collegamenti ferroviari sono garantiti dalla linea Trieste-Venezia/Udine Tarvisio. Porto Nogaro, porto che ha conosciuto una crescita dei traffici, sulle rive del fiume Corno, è collegato alla rete stradale nazionale tramite la SP80 che si collega all’autostrada A4 Torino-Trieste e alla SS14 della Venezia Giulia. I collegamenti ferroviari sono assicurati dalla linea fondamentale convenzionale Venezia–Trieste.
La rete aeroportuale L’Aeroporto del Friuli Venezia Giulia - Pietro Savorgnan di Brazzà con la sua area complessiva di 242 ha, è lo scalo aeroportuale di riferimento della regione. Generalmente è indicato come “aeroporto di Ronchi dei Legionari”, mentre in ambito IATA (Internacional Air Transport Associaton) è classificato come “aeroporto di Trieste” (TRS) perché fa riferimento al capoluogo regionale. Il bacino di traffico potenziale dell’aeroporto comprende una popolazione di circa 5 milioni di abitanti che oltre alla regione Friuli Venezia Giulia comprende parte del Veneto, ma anche Slovenia, Carinzia e Croazia. L’aeroporto è collegato direttamente all’autostrada A4 Trieste–Venezia e la stazione ferroviaria più vicina è quella di Ronchi del Legionari.
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DENSITA’ ABITATIVE
139 110
306 1117
112
persone per kmq
SEDI UNIVERSITARIE
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Industrie aderenti allâ&#x20AC;&#x2122;AIA
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AREA DI REPERIMENTO PRIORITARIA
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AREA DI RILEVANTE INTERESSE AMBIENTALE
116
BIOTOPI NATURALI
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PARCHI NATURALI REGIONALI
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RISERVE NATURALI REGIONALI
119
SIC
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ZPS
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Autorizzazione integrata ambientale (AIA) L’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) (parte II del D.lgs n. 152/2006) è il provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto imponendo misure tali da evitare oppure ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso. L’autorizzazione integrata ambientale sostituisce: -autorizzazione alle emissioni in atmosfera, fermi restando i profili concernenti aspetti sanitari; -autorizzazione allo scarico; -autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e recupero rifiuti -autorizzazione allo smaltimento degli apparecchi contenenti PCB-PCT -autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivati dal processo di depurazione in agricoltura Parco naturale regionale un sistema territoriale che, per valori naturali, scientifici, storico-culturali e paesaggistici di particolare interesse, è organizzato in modo unitario con le seguenti finalità: 1) conservare, tutelare, restaurare, ripristinare e migliorare l’ambiente naturale e le sue risorse; 2) perseguire uno sviluppo sociale, economico e culturale promuovendo la qualificazione delle condizioni di vita e dì lavoro delle comunità residenti, attraverso attività produttive compatibili con le finalità di cui al numero 1), anche sperimentali, nonchè la riconversione e la valorizzazione delle attività tradizionali esistenti proponendo modelli di sviluppo alternativo in aree marginali; 3) promuovere l’incremento della cultura naturalistica mediante lo sviluppo di attività educative, informative, divulgative, di formazione e di ricerca scientifica anche interdisciplinare; Riserva naturale regionale Un territorio caratterizzato da elevati contenuti naturali ed in cui le finalità di conservazione dei predetti contenuti sono prevalenti rispetto alle altre finalità indicate per
122
il parco naturale regionale. Biotopo naturale un’area di limitata estensione territoriale caratterizzata da emergenze naturalistiche di grande interesse e che corrono il rischio di distruzione e scomparsa. Zone di protezione speciale (Zps) designate ai sensi della direttiva 79/409/Cee, sono costituite da territori idonei per estensione e/o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all’allegato I della direttiva citata, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Aree di reperimento terrestri e marine prioritarie indicate dalle leggi 394/91 e 979/82, che costituiscono aree la cui conservazione attraverso l’istituzione di aree protette è considerata prioritaria. Siti di interesse comunitario (Sic) Aree che contribuiscono in modo significativo a mantenere o ripristinare una delle tipologie di habitat definite nell’allegato 1 della Direttiva Habitat o a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente una delle specie definite nell’allegato 2 della Direttiva stessa e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della biodiversità della regione in cui si trova. Aree di rilevante interesse ambientale le aree di rilevante interesse ambientale da assoggettare a pianificazione particolareggiata ai sensi del comma 4 del l’articolo 18 della legge regionale 19 novembre 1991, n. 52.
123
DISTRETTI PRODUTTIVI
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DISTRETTI PRODUTTIVI La Legge n. 317 del 5/10/1991 si proponeva la finalità di promuovere lo sviluppo, l’innovazione e la competittività delle piccole imprese che, con la crisi, dagli anni ‘70 in poi, avevano risposto con una ottima capacità di adattamento ai cambiamenti sociali ed economici e una maggiore dinamicità sui mercati interni e esteri. In questa legge i distretti industriali sono definiti “aree territoriali locali caratterizzate da una elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento in rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonchè alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese“. La struttura distrettuale si regge sull’equilibrio tra concorrenza e collaborazione delle imprese che lo compongono in quanto un’impresa
di limitate dimensioni non gode dei vantaggi delle grandi economie e si può sfruttare la possibilità di consorziarsi e agire collettivamente. La Legge Regionale 11 novembre 1999 n. 27 individua i distretti quali ambiti “di sviluppo economico-occupazionale” e sedi di “promozione e di coordinamento delle iniziative locali di politica industriale”. La modifica successiva (LR 4 marzo 2005 n.4) allarga la definizione di distretto a “sistema locale formato da imprese variamente specializzate, sia manifatturiere che di servizi, sia artigiane che industriali o che comunque partecipano alla medesima filiera produttiva o a filiere collegate, nonchè dagli attori istituzionali che svolgono un’attività rilevante all’interno del contesto locale“. A partire dal 1999 sono stati riconosciuti i distretti industriali di seguito descritti.
125
Distretto della Sedia
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Aiello del Friuli Buttrio Chiopris-Viscone Corno di Rosazzo Manzano Moimacco Pavia di Udine Premariacco San Giovanni al Natisone San Vito al Torre Trivignano Udinese
126
Distretto del Mobile
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Azzano Decimo Brugnera Budoia Caneva Chions Fontanafredda Pasiano di Pordenone Pravisdomini Sacile
127
Distretto agro-alimentare
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
San Daniele del Friuli Coseano Degnano Forgaria del Friuli Fagagna Ragogna Rive dâ&#x20AC;&#x2122;Arcano
128
Distretto del Coltello
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Arba Cavasso Nuovo Fanna Maniago Meduno Montereale Valcellina Sequals Vajont Vivaro
129
Distretto della pietra piasentina
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Faedis San Leonardo San Pietro al Natisone Torreano
130
Distretto del Caffè
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Monrupino Muggia San Dorligo della Valle Sgonico Trieste
131
Distretto delle Tecnologie Digitali Ditedi
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Reana del Rojale Tavagnacco Udine
132
Riconosciuto ai sensi della LR 27/1999, ridefinito ai sensi della LR 4/2005, comprende:
Distretto della Componentistica e della Termoelettromeccanica
Aviano Azzano Decimo Bertiolo Budoia Casarsa della Delizia Castions di Strada Chions Codroipo Cordenons Fiume Veneto Fontanafredda Palazzolo dello Stella Pocenia Polcenigo Porcia Pordenone Rivignano Roveredo in Piano San Quirino San Vito al Tagliamento Sedegliano Talmassons Teor Varmo Zoppola
133
Distretto della Componentistica e della Termoelettromeccanica e del Mobile
5 comuni: Azzano Decimo, Budoia, Chions, Fontanafredda e Polcenigo, fanno parte del distretto della Componentistica, della Termoelettromeccanica e del Mobile.
134
POPOLAZIONE dei Distretti Produttivi Rispetto al 1996, la popolazione del 2006 è cresciuta del 3.2%, quasi 40000 unitò. Questo incremento è rallentato negli ultimi cinque anni attestandosi al 2%. Nei comuni distrettuali la situazione è simile, ma con molte differenze tra distretti e tra i comuni di uno stesso gruppo. Nel decennio 1996-2006 solamente nel distretto del caffè si è registrato un calo della popolazione (-4.1% in particolare a Trieste e a Sgonico), dovuto all’anzianità della popolazione giuliana. La zona delle Valli del Natisone che ospita il distretto della pietra piasentina ha registrato una crescità bassa annullata negli ultimi anni. Nei distretti del mobile e del coltetto e della componentistica e termoelettromeccanica, tutti in provincia di Pordenone, la popolazione è aumentata più velocemente rispetto al FVG nel complesso, con punte anche del popolazione residente Distretto 1996 2001 2006 var % 06/96 %stranieri Sedia 36391 36721 37428 2,8 5,5 Mobile 78016 82116 89373 14,6 9,4 Agro-alimentare 25427 25822 26282 3,4 3,8 Coltello 25661 26231 27512 7,2 6,5 Caffè 240717 236377 230950 -4,1 5,7 Comp./termoel. 205364 212068 224055 9,1 7,5 Tecnologie dig. 111405 113130 115491 3,7 8,4 Pietra piasentina 8597 8743 8742 1,7 5,5 tutti i distretti 731578 741208 759833 3,9 7 FVG 1177856 1192346 1216016 3,2 6
135
30% a Pravisdomini nell’arco di dieci anni. Si tratta di aree dove è alta l’affluenza di stranieri residenti, spesso attirati proprio dalle opportunità di lavoro che l’industria friulana offre. In generale, nei distretti industriali l’incidenza della popolazione di cittadinanza straniera è superiore di un punto percentuale alla media regionale. Quest’ultima è maggiore nella zona del Pordenonese mentre diminuisce nelle aree montane.
06/96 06/01
FVG
tutti i distretti
Pietra piasentina Tecnologie digitali
Comp./termoelettromec.
Caffè
Coltello
Agro-alimentare
Mobile
Sedia 20
136
15
10
5
0
-5
Filiere produttive - F.P.
della Navalmeccanica (ambito territoriale del Monfalconese) comprende filiere specializzate nella cantieristica navale e fa capo a Fincantieri alla quale è legato un ampio indotto di piccole e medie imprese regionali. La filiera ha le potenzialità per divenire un polo di innovazione della cantieristica navale, anche basandosi sull’integrazione degli interventi, sulle attività di ricerca, di formazione di capitale umano e di innovazione, in modo coordinato: tale realtà sta mirando a potenziare lo sviluppo economico dell’area sia a livello regionale che nazionale;
- F.P.
della cantieristica da diporto e dei servizi alla nautica (dimensioni regionali) tali attività si pongono in sinergia con le Università e con alcuni poli di ricerca col duplice risultato di innovare la produzione e sviluppare la formazione nell’ottica di risultare un’eccellenza capace di dialogare con realtà internazionali;
- F.P. della termoelettromeccanica (nel pordenonese) - F.P.
agro-alimentare della Bassa Friulana che comprende attività agroindustriali, agricole, ma anche commerciali, interessa l’ambito territoriale dei Comuni di Aiello, Aquileia, Bagnaria Arsa, Bicinicco, Campolongo al Torre, Carlino, Castions di Strada, Cervignano del Friuli, Fiumicello, Gonars, Latisana, Lignano Sabbiadoro, Marano Lagunare, Muzzana del Turgnano, Palazzolo dello Stella, Palmanova, Porpetto, Precenicco, Ronchis, San Giorgio di Nogaro, Santa Maria La Longa, San Vito al Torre, Tapogliano, Teor, Torviscosa, Trivignano Udinese, Villa Vicentina, Visco
137
Altre industrie - COMPARTO METALMECCANICA - unitĂ operative: metalmeccanica: 3868 industria manifatturiera: 13268 - COMPARTO delle COSTRUZIONI - localizzazioni attive: 17507
Distretti storici e distribuzione delle industrie in FVG
138
d'Aquileia, Carlino, Cervignano del Friuli Comuni Addetti 2500 Superficie (ha) 1200 Aziende 65 Addetti 2500 Aziende 65 Comuni Tolmezzo, Amaro, Villa Santina Superficie (ha) 247 Comuni Tolmezzo, Amaro, Villa Santina Addetti 3000 - C.I.P.A.F.Superficie - Consorzio zona (ha) per lo sviluppo industriale ed economico della 247 Aziende 160 pedemontana Alto Friuli Addetti 3000 Aziende 160 Comuni Osoppo, Buja Superficie (ha) 220 Comuni Osoppo, Buja Addetti 1665 Superficie (ha) 220 Aziende 35 Addetti 1665 Aziende 35 Comuni Udine, Udine, Pozzuolo - Consorzio per lo sviluppo industriale delPavia Friulidicentrale (Udine) del Friuli Superficie (ha) 478 Comuni Udine, Pavia di Udine, Pozzuolo del Friuli Addetti 2900 Superficie (ha) 478 Aziende 115 Addetti 2900 Aziende 115 Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Superficie (ha) 810,5 Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Addetti 8492 Superficie (ha) 810,5 - Consorzio per lo sviluppo industriale della zona dellâ&#x20AC;&#x2122;Aussa-Corno (S. Giorgio di Aziende 519 Nogaro) Addetti 8492 Aziende 519 Comuni Monfalcone, Staranzano San Giorgio di Nogaro, Torviscosa, Terzo Superficie 348 Comuni (ha) d'Aquileia, Carlino, Cervignano del Friuli Comuni Monfalcone, Staranzano Addetti 12401 Superficie (ha) 1200 Superficie (ha) 348 Aziende 146 Addetti 2500 Addetti 12401 Aziende 65 Aziende 146 Comuni San Vito al Tagliamento Superficie 380 Comuni (ha) Tolmezzo, Amaro, Villa Santina 139 Comuni San Vito al Tagliamento Addetti 3300 Superficie (ha) 247 Superficie (ha) 380
I POLI INDUSTRIALI
Addetti 3000 Superficie (ha) 1200 Aziende 65 Aziende 160 Addetti 2500 Aziende 65 Comuni Tolmezzo, Villa Santina - CO.S.IN.T - Consorzio per lo sviluppo industriale di Amaro, Tolmezzo Comuni Osoppo, Buja Superficie (ha) 247 Superficie (ha) 220 Comuni Tolmezzo, Amaro, Villa Santina Addetti 3000 Addetti 1665 Superficie (ha) 247 Aziende 160 Aziende 35 Addetti 3000 Aziende 160 Comuni Osoppo, Buja Comuni Udine, Pavia di Udine, Pozzuolo del Friuli Superficie (ha) 220 Superficie (ha) 478 Comuni Osoppo, Buja Addetti 1665 Addetti 2900 Superficie (ha) 220 Aziende 35 115 Addetti 1665 - E.Z.I.T. - Aziende Ente Zona Industriale Trieste Aziende 35 Comuni Udine, Pavia di Udine, Pozzuolo del Friuli Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Superficie (ha) 478 Superficie (ha) 810,5 Comuni Udine, Pavia di Udine, Pozzuolo del Friuli Addetti 2900 Addetti 8492 Superficie (ha) 478 Aziende 115 Aziende 519 Addetti 2900 Aziende 115 Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Comuni Monfalcone, Staranzano Superficie (ha) 810,5 Superficie (ha) 348 Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Addetti 8492 Addetti Superficie (ha) 810,5 - Consorzio per lo sviluppo industriale del comune di Monfalcone 12401 Aziende 519 Aziende 146 Addetti 8492 Aziende 519 Comuni Monfalcone, Staranzano Comuni (ha) San Vito al Tagliamento Superficie 348 Superficie (ha) 380 Comuni Monfalcone, Staranzano Addetti 12401 Addetti 3300 Superficie 348 Aziende (ha) 146 Aziende 120 Addetti 12401 Aziende 146 Comuni San Vito al Tagliamento Maniago, Montereale Valcellina, Meduno, Claut, Superficie (ha) 380 Comuni San Vito al Tagliamento Cimolais, Erto, Casso Addetti 3300 140 Superficie (ha) 184,7 380 Aziende 120
Aziende 519 Comuni Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle Superficie (ha) 810,5 Comuni Staranzano - Consorzio di sviluppo industriale e artigianale di Monfalcone, Gorizia Addetti 8492 Superficie (ha) 348 Aziende 519 Addetti 12401 Aziende 146 - Consorzio per la zona di sviluppo industriale Ponte Rosso Comuni Monfalcone, Staranzano Superficie (ha) 348 Comuni San Vito al Tagliamento Addetti 12401 Superficie (ha) 380 Aziende 146 Addetti 3300 Aziende 120 Comuni San Vito al Tagliamento Superficie (ha) 380 Maniago, Montereale Valcellina, Meduno, Claut, Addetti 3300 Comuni Cimolais, Erto, Casso - Consorzio per il nucleo di industrializzazione della provincia di Pordenone Aziende 120 Superficie (ha) 184,7 Addetti 3011 Maniago, Montereale Valcellina, Meduno, Claut, Aziende 70 Comuni Cimolais, Erto, Casso Superficie (ha) 184,7 Addetti 3011 Aziende 70
- Consorzio per lo sviluppo industriale economico e sociale dello Spilimberghese
141
Di che cosa si occupano i Consorzi? - la promozione della cultura del distretto intesa come risorsa importante da preservare, come mezzo di educazione e formazione; - la promozione dell’immagine del distretto intesa come risorsa fondamentale per rafforzare all’interno l’identità della comunità distrettuale ed all’esterno il confronto e lo scambio, culturale, commerciale e produttivo; - l’aumento della capacità di innovazione delle imprese; - il potenziamento e l’evoluzione qualitativa degli approcci al mercato delle imprese distrettuali; - l’aggregazione di imprese finalizzata al rafforzamento competitivo e la cooperazione tra imprese in progetti che perseguano il medesimo obiettivo; - la creazione e lo sviluppo di strutture e risorse, come i centri di servizi alle imprese e i marchi collettivi di qualità; - lo sviluppo e la valorizzazione del fattore imprenditoriale e delle altre risorse umane del distretto attraverso attività di istruzione e formazione mirata; - il miglioramento delle condizioni ambientali del distretto; - l’internazionalizzazione delle imprese e la penetrazione in nuovi mercati; - lo stimolo e lo sviluppo di opere o sistemi infrastrutturali e impiantistici; - il coordinamento per il riordino delle politiche territoriali; - il miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro; - il miglioramento della qualità della vita nei contesti distrettuali. - attività di animazione territoriale; - verifica della compatibilità con le finalità della legge e con le linee strategiche del Programma dei progetti di iniziativa pubblica e privata, al fine di ammetterli alle risorse regionali;
142
- attivitĂ di monitoraggio e di studio dei fenomeni rilevanti per il distretto; - adozione del Programma di sviluppo e cura e controllo del suo stato di attuazione; - titolaritĂ dei marchi distrettuali di qualitĂ ; - erogazione di servizi. (Regione FVG)
Distribuzione di industrie in suolo regionale
143
4 km
Duino
Grado
Medea
Romans d’Isonzo
Villesse
Turriaco
Moraro
Duino
S. Dorligo
N 518
N 55
Lucinico
N 351
Doberdo del Lago
S. Lorenzo Isontino
Vermegliano
Gradisca d’Isonzo
Farra d’Isonzo
Sagrado Fogliano
Sgonico
Monrupino
Muggia
Monfalcone
Staranzano
Ronchi dei Leg.
Mariano del Friuli
N 305
Aurisina
N 352
TRIESTE
delimitazioni fisiche delimitazioni territoriali sagome delle città corsi d’acqua SS (strada statale) autostrada SP (strada provinciale) SC (strada comunale) rete ferroviaria
S. Canzian
= = = = = = = = = = zona industriale
0
4 km
0
4 km
Grado
Medea
Romans d’Isonzo
Villesse
Turriaco
Cormons
N 56
Moraro
Mossa
S. Floriano del Collio
GORIZIA
N 518
N 55
Lucinico
N 351
Doberdo del Lago
S. Lorenzo Isontino
Capriva del Friuli
Gradisca d’Isonzo
Farra d’Isonzo
Sagrado Fogliano
Vermegliano
Monfalcone
Staranzano
Ronchi dei Leg.
Mariano del Friuli
N 305
S. Canzian
N 352
0
4 km
Gra
N.552
N.52
Socchieve
Ovaro
N.355
N.552
Socchieve
Ovaro
N.355
Codroipo
Paluzza
N.52
Osoppo
Paularo
Paularo
Venzone
Moggio
N.13
N.646
Aiello del Friuli
Aquileia
N.54
N.13
N.356
N.646
Faedis
N.54
Tarvisio
N.54
N.54
Premariacco
Buttrio
Pradamano
Remanzacco
Cividale del Friuli
N.356
Corno di Rosazzo
N.56
Manzano
S. Giovanni al Natisone
N.351
Trivignano Udinese
Aquileia
N.356
Cividale del Friuli
km
6
Corno di Rosazzo
Fiumicello
Terzo N.14 dâ&#x20AC;&#x2122;Aquileia
Cervignano
Aiello del Friuli
Palmanova
Pavia di Udine
Torviscosa
Bagnaria Arsa
Fiumicello
Terzo N.14 dâ&#x20AC;&#x2122;Aquileia
Cervignano
N.351
Trivignano Udinese
S. Giovanni al Natisone
Manzano
UDINE
Premariacco
Tricesimo
N.356
Faedis Tavagnacco
Torviscosa
Carlino
S. Giorgio di Nogaro
Porpetto
Gonars
Palmanova
Pavia di Udine
Buttrio
Pradamano
Remanzacco
Bagnaria Arsa
N.56
UDINE
Moggio Udinese
Tricesimo
Tavagnacco
GemonaUdinese del Friuli
N.13 Venzone
Gemona del Friuli
N.13
Majano Colloredo
Colloredo
Pasian di Prato
Pozzuolo del Friuli
Pozzuolo del Friuli
Castions di Strada
Carlino
S. Giorgio di Nogaro
Mortegliano
Porpetto
Gonars
Mortegliano
Lignano sabbiadoro
Marano Lagunare
Castions di Strada
N.252
Pasian di Prato
Martignacco
Martignacco
N.14
Talmassons
N.14
Talmassons
N.252
N.464
N.464
Majano
Osoppo
N.463
N.463
N.13
N.13
N.512
Tolmezzo
Paluzza
N.52
Tolmezzo
N.512
Codroipo
Latisana
Latisana Marano Lagunare
Lignano sabbiadoro
0
N.
a
Pasiano
Prata
Porcia
Roveredo
Aviano
Montereale
0 4.5
Brugnera
Fontanafredda
Budoia
Maniago
Azzano Decimo
Chions
Fiume Veneto
PORDENONE
Cordenons
Sacile
S. Quirino
Polcenigo
km
Pasiano
Prata
Porcia
Roveredo
Aviano
Arba
Montereale
Sesto al Reghena
S. Vito al Tagliamento
Morsano
Sesto al Reghena
S. Vito al Tagliamento
Spilimbergo
Cordovado
Morsano
Valvasone
Casarsa della Delizia N.463
S. Giorgio
Spilimbergo
Arba
Cordovado
N.463
della
Chions
Delizia
Azzano DecimoCasarsa
Fiume Veneto
Valvasone
PORDENONE
Cordenons
S. Giorgio
S. Quirino
Maniago
“L’industria ricopre nel Friuli Venezia Giulia un’importanza fondamentale per quanto riguarda le capacità occupazionali e di produzione di reddito. La struttura industriale regionale, a partire dagli anni 60 e 70, risulta oggi ormai ampiamente consolidata in termini dimensionali, settoriali, territoriali. Allo stato attuale la struttura industriale è matura, soggetta a forme di ristrutturazione ma che ha raggiunto una relativa stabilità e che pertanto potrà cambiare più lentamente che in passato.” È con queste parole che il Rapporto Ambientale del nuovo PTR argomenta la necessità di considerare il distretto industriale come un “sistema locale” improntato a logiche di auto-organizzione e a più forti interazioni tra insediamenti residenziali, ambiente, servizi, settori terziari e imprese. A metà degli anni 90 la legislazione nazionale in materia di distretti è un’occasione per riordinare la dispersione delle aree industriali-produttive avvenuto in contrasto con il P.U.R.G. (1978). Esso infatti tra i suoi principi generali indica la volontà di: “- evitare la loro dispersione ( delle zone da destinare ad insediamenti produttivi n.d.r.) nel territorio, in quanto ciò comporterebbe delle diseconomie di scala, un basso grado di efficienza dei servizi forniti alle industrie e alla proliferazione di insediamenti non sempre compatibili con gli altri usi dello stesso, nonché effetti (quali inquinamento, disagi dovuti al traffico pesante indotto, ecc.) controllabili e limitabili solo con opere di notevole costo;” con un modello basato sulla concentrazione di investimenti e aree produttive con zone attrezzate in un numero limitato per promuovere economie di scala con lo sviluppo di una grande rete stradale. In particolare venivano istituiti 12 “agglomerati di interesse regionale” per rafforzare tre polarità: Trieste e Monfalcone con l’industria navale, meccanica e siderurgica), il polo di Pordenone (elettrodomestici e mobili), il sistema udinese (industrie diversificate eccetto la zona della sedia). Obiettivo infatti era quello di “rafforzare la struttura
industriale esistente, tendendo a difenderne gli attuali livelli di occupazione e di produttività” (PURG). Nella fase attuativa del PURG si è subito notato uno scollamento tra il modello concentrato preposto e l’effettivo andamento dello sviluppo industriale regionale: lento infatti il processo di saturazione delle aree previste anche per la parziale realizzazione della rete infrastrutturale che avrebbe dovuto supportare le zone. Ora “la distribuzione delle aree industriali in regione è caratterizzata, in generale, dal fenomeno della diffusione/polverizzazione insediativa: un modello di sviluppo produttivo con uso estensivo del territorio basato sulla diffusione capillare delle aree artigianali/industriali riguardante gran parte dei Comuni regionali di pianura e di collina. Ciò si collega anche alla tipologia del modello produttivo regionale, che si è fondato quasi esclusivamente sul fenomeno spontaneo della piccola impresa concentrata territorialmente e specializzata su alcuni settori manifatturieri tradizionali. Il modello diffuso degli insediamenti produttivi mette in evidenza alcune criticità che riguardano in particolare la concentrazione di attività produttive lungo le direttrici primarie, l’esistenza di aree produttive artigianali/ industriali che presentano un basso grado di saturazione ed i conflitti con gli insediamenti residenziali.” (PTR attuale) Tutto questo è stato causa del PURG, il quale promuoveva solo le scelte fondamentali ed i principi guida, ma che demandava ai piani regolatori comprensoriali la loro definizione progettuale. Quest’ultimi non vennero mai redatti lasciando che i Comuni adeguassero i loro piani regolatori agli standard del PURG e quindi non offrendo adeguate risposte ai problemi di scala sovraccomunale. A ciò si aggiunge il sistema di agevolazione regionale e nazionale che ha riservato, all’inizio degli anni 80, contributi alle imprese localizzate in zip e in aree soggette ai P.I.P. con misure di sostegno non subordinate a vincoli localizzativi. Alla politica di concentrazione regionale, i Comuni mettono in competizione le
le zone industriali o artigianali tra di loro: una scelta che viene dettata da una ricerca di autosufficienza in termini di posti di lavoro che non solo ha contribuito a sprecare il territorio e risorse economiche destinate a opere di infrastrutturazione , ma che non è nemmeno giunta ad attuazione per mancanza di risorse. “Carenze nella programmazione e gestione (accentuate dalla costante mancanza nel FVG di un livello intermedio di pianificazione territoriale provinciale), un eccesso di fiducia nella capacità di attrarre attività economiche attraverso la semplice realizzazione di zone industriali attrezzate, una miopia nei confronti dei reali comportamenti localizzativi dell’imprenditoria possono essere così individuati come le principali cause del rafforzarsi dei processi di diffusione insediativa. Processi che non riesce a modificare nemmeno la circolare regionale n. 3 del 2 luglio 1990, “Criteri per la pianificazione urbanistica comunale degli insediamenti industriali-artigianali”, i cui principali obiettivi, ridurre le diseconomie territoriali prodotte dalla dispersione delle aree produttive, abbattere il loro impatto sull’ambiente attraverso la concentrazione di tali funzioni e la rilocalizzazione delle attività incompatibili, verranno di fatto usati dalle amministrazioni comunali per introdurre nei nuovi piani regolatori previsioni spesso sovradimensionate. ” (Marchigiani) Lo scenario con cui si confrontano gli studi per il nuovo PTRG della metà degli anni ’90 è caratterizzato dalla compresenza di diverse situazioni produttive dove si nota l’addensamento della grande e media industria in contesti urbani e della piccola e media impresa in contesti a bassa densità. Nonostante la diversità, le situazioni condividono la stessa flessione in fatto del peso del settore manifatturiero e dei livelli di occupazione. Una flessione evidenziata anche nel piano di sviluppo di Luciano di Sopra (“Aspetti e problemi urbanistici del Friuli Venezia Giulia”) all’inizio degli anni 60 che proponeva un adeguamento di nuove strutture alla maglia preesistenze della Regione, auspicando ad una creazione di un piano interregionale mai esistito per la
Regione per evitare un “disordine spaziale”. Trieste è passata da essere la più vitale economicamente negli anni 60 a essere la meno industrializzata attualmente, costantemente priva di un tessuto produttivo di grana più minuta sufficientemente dinamico; Udine ha abbandonato la sua caratterizzazione agricola accompagnata da una crescita lenta per un’economia periferica fatta di imprese di piccole dimensioni, specializzate e integrate nell’ambiente sociale e culturale, dovuta a una reazione ritardata alla globalizzazione dei mercati; Pordenone ha sempre mostrato una maggiore vitalità; a Gorizia una contrazione più contenuta si lega allo sviluppo di alcune piccole imprese nel comparto tessile-abbigliamento, alla tenuta dell’industria alimentare e alla ripresa del cantiere a Monfalcone. Ed è con questa valorizzazione delle specificità che il nuovo PTR giudica possibile l’avvio di processi di rilancio della competitività dell’economia regionale per raggiungere dei vantaggi di scala che il singolo soggetto industriale non è in grado di acquisire. “Dalle considerazioni fin qui richiamate traggono senso alcuni importanti provvedimenti legislativi promossi nella seconda metà degli anni 90 e in particolare quelli attinenti al rinnovamento della disciplina dei consorzi e ai distretti industriali. Provvedimenti che, sostenuti da strumenti quale il Programma regionale di politica industriale e da nuovi finanziamenti e competenze, possono essere letti come aperture alla costruzione di procedure di governo, in cui ai livelli regionale e comunale spettano la programmazione economica a grande scala e la pianificazione dell’assetto generale del territorio, mentre a quello intercomunale la valorizzazione delle vocazioni allo sviluppo dei singoli sistemi produttivi locali. Va comunque sottolineato come solo ai Piani territoriali infraregionali di competenza dei consorzi sostanzialmente coincidenti con le zip sia riconosciuta la valenza di strumenti urbanistici, mentre i Programmi di sviluppo dei distretti non possano direttamente incidere sulle scelte territoriali attuate dalla pianificazione
comunale; una puntualizzazione che ancora una volta evidenzia il permanere di una scarsa attenzione al governo delle problematiche spaziali connesse allo sviluppo diffuso della piccola e media impresa. Nello specifico, la l.r. n.3/1999, “Disciplina dei consorzi di sviluppo industriale”, agisce sugli “agglomerati industriali di interesse regionale” già identificati dal Piano del 1978. Trasformati in enti pubblici economici dotati di un Consiglio di amministrazione al cui interno figurano le imprese insediate, tramite la redazione del Piano territoriale infraregionale con valenza di “piano regionale particolareggiato” i consorzi assolvono a compiti relativi non solo all’erogazione di servizi di consulenza per l’innovazione e di supporto alla nascita di nuove attività imprenditoriali, ma anche alla realizzazione di opere di urbanizzazione e infrastrutturazione, alla previsione delle destinazioni d’uso e all’espletamento della valutazione di impatto ambientale (vedi capitolo sui Consorzi). A oggi, tuttavia, hanno terminato l’iter di approvazione solo cinque Piani territoriali infraregionali, riguardanti di Consorzi di Maniago, Udine, Cividale del Friuli, Gorizia e parte di quello di Monfalcone.” (Marchigiani)
P.I.P. Piano degli Insediamenti Produttivi Il Pip è uno strumento attuativo introdotto nel 1971 dalla L.865 ai fini di agevolare, soprattutto nel mezzogiorno, la realizzazione di aree specializzate ad accogliere insediamenti produttivi. Storia: - Prima della LUN (1150/1942) in Italia non esistevano strumenti idonei alla istituzione di zone industriali. - Nel corso della prima metà del XX secolo, una discreta quantità di zone industriali venne realizzata sulla base di Piani Regolatori redatti con “leggi speciali” e Piani speciali delle zone industriali. - Interventi finalizzati a consentire la localizzazione di impianti industriali nella adiacenza di alcune aree urbane, derivanti dalle intenzioni delle
grandi aziende che manifestavano la volontà di insediarsi in ambito urbano. - Lo ZONING della 1150/1942 stabilisce che in sede di formazione di PRG debbano essere individuate le aree da destinare all’insediamento di attività produttive. La realizzazione di tali previsioni dovrà avvenire a seguito della predisposizione di Piani Particolareggiati. - Nel 1967, la legge Ponte perimetra le aree interessate dalla previsione di insediamento di attività produttive come zona omogenea D, assoggettandole a specifici standard edilizi e urbanistici.
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Finalità del PIP: 1) Attuare gli insediamenti di attività produttive previsti nel PRG 2) Regolare l’attività edificatoria nell’area interessata 3) Consentire l’espropriazione delle aree necessarie 4) Due finalità particolari: garantire la disponibilità a basso costo di aree per insediamenti produttivi e promuovere per tali insediamenti una organica pianificazione attuativa Limiti spaziali del Pip: limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune. La dimensione di un Pip non è pertanto prefissata per legge. Validità: 10 anni trascorsi questi le sue previsioni perdono ogni validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e
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specificazione delle previsioni di PRG, ne diventano parte integrante e integrativa. La cogenza: il pip è uno strumento facoltativo; tuttavia è lo strumento attuativo delle previsioni produttive del PRG. Tutti i comuni possono dotarsi di un Pip, previa tuttavia l’espressa autorizzazione della Regione. La Regione, per legge, può negare l’autorizzazione alla redazione del Pip nel caso di zone non correttamente pianificate, localizzate o dimensionate ( così la Regione si riserva la possibilità di governare lo sviluppo industriale del territorio, anche nel caso che sia assente un Piano Territoriale di Coordinamento).
Contenuti: sono uguali a quelli di un Piano Particolareggiato - La rete delle infrastrutture viarie Rete delle vie principali (desunte dal PRG), collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio - Suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non con indicazione della proprietà - La lottizzazione: suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi con relativi indici - La specificazione delle tipologie edilizie Attività produttive la cui localizzazione è finalità di un Pip: - Attività industriali - Artigianali - Commerciali - Turistiche
Gli elaborati del Pip: - Stralcio del PRG vigente e delle relative NTA (norme tecniche di attuazione) - Planimetria della consistenza dello stato di fatto - Progetto di Pip, redatto su mappa catastale con allegati elenchi catastali delle proprietà da espropriare - Tavole della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi - Tipologie edilizie e profili regolatori - Norme tecniche di attuazione - Relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad opera del Pip - Tabella di verifica degli standard con allegata planimetria - Relazione sommaria di spesa
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V.A.S. Valutazione Ambientale Strategica Cos’è? La Valutazione Ambientale Strategica è un processo sistematico di valutazione dell’impatto ambientale applicato a piani e programmi invece che a singoli soggetti. Essa ha l’obiettivo di valutare gli effetti ambientali di politiche, piani e programmi, nazionali, regionali e locali, prima che vengano approvati. Si stimano tutti gli effetti ambientali possibili prodotti nel lungo periodo dall’applicazione delle decisioni prese oggi e di verificare se siano davvero sostenibili. La VAS non è un obbligo amministrativo, ma uno strumento che permette, dando attenzione agli aspetti ambientali e di sostenibilità, di produrre piani e programmi migliori e più efficaci. Norme di riferimento - Comunitaria: introdotta nella Comunità Europea dalla Direttiva 2001/42/CE, entrata in vigore il 21 luglio 2001 - Nazionale: la direttiva comunitaria è stata recepita con la Parte Seconda del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
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- Regionale: art. 4 della L.R. 5 dicembre 2008 n.16, integrato e modificato dalla L.R. 13/2009 Fasi operative: la VAS deve essere avviata dall’Autorità procedente assieme al processo di formazione del piano o programma e prima alla sua approvazione. È un processo che comporta lo svolgimento delle seguenti fasi: - Svolgimento di una verifica di assoggettabilità - Elaborazione del rapporto ambientale - Lo svolgimento delle consultazioni - La valutazione del rapporto ambientale e gli esiti delle consultazioni - Decisione e informazione sulla decisione - Il monitoraggio
Il consumo di suolo in FVG In Friuli Venezia Giulia le superfici artificiali sono incrementate di 3.783 ettari nel periodo 19902000 e di 1.255 ettari nel 2000-2006, occupando territori dediti prevalentemente a superfici agricole e in minor misura ad aree boscate e ambienti semi-naturali.
Variazioni dell’uso del suolo in regione La regione Friuli Venezia Giulia, durante il periodo 1990-2000 e il 2000-2006 (fig. 1), è stata soggetta a cambiamenti dell’uso e della copertura del suolo che coinvolgono principalmente le classi 1, 2 e 3. Più precisamente la classe 1 (superfici artificiali) è incrementata di 3783 ettari nel periodo 1990-2000 e di 1255 ettari nel periodo 2000-2006, occupando territori che precedentemente erano dediti principalmente a superfici agricole (classe 2) ed in minor misura a territori boscati ed ambienti
semi-naturali (classe 3). Gli incrementi per la classe 1 riguardano principalmente le espansioni residenziali, le aree industriali e commerciali (tab. 1-2). La classe ‘aree artificiali’ del database CLC (CLCchanges) comprende: – zone residenziali; – zone industriali, commerciali ed infrastrutturali; – zone estrattive, cantieri, discariche e terreni artefatti e abbandonati; – zone verdi artificiali non agricole.
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L’indicatore fornisce un quadro del consumo di suolo o impermeabilizzazione, causato dalla presenza e dall’evoluzione temporale delle aree artificiali (impermeabilizzate) nel territorio regionale. Con i dati del progetto CLC, sviluppato con metodologie riconosciute a livello internazionale ed europeo con gli stessi criteri, permette di fare confronti con le altre regioni italiane (fig. 2-3) e con le aree confinanti (fig. 4-6). A causa della cartografia CLC, realizzata a livello europeo a scala 1:100.000 e con una minima unità cartografata pari a 25 ettari (per le banche dati CLC2006, CLC2000 e CLC90) e 5 ettari (per la banca dati dei cambiamenti CLCchange), i dati riportati e riferiti all’urbanizzazione sono una stima per difetto che non tiene conto delle aree che occupano con continuita superfici inferiori a 25 ettari o che abbiano avuto un incremento negli anni inferiore ai 5 ettari come,ad esempio, le aree destinate ad infrastrutture o ad
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insediamento sparse. Comunque è possibile produrre elaborazioni che mettano in evidenza i confronti significativi con le altre regioni italiane e con le aree confinanti. Per quanto riguarda i confronti sullo stato del consumo di suolo tra il Friuli Venezia Giulia e le altre regioni Italiane (fig.3) emerge che la nostra regione, nel 2006, presentava una percentuale di aree artificiali o impermeabilizzate, rispetto alla superficie regionale, piuttosto rilevante per l’Italia (circa 7%), superata solo da Lombardia e Veneto. Mentre (fig. 4) il Friuli Venezia Giulia è la regione italiana con più suolo urbanizzato pro-capite.
1. Variazione di uso/ copertura del suolo intercorse tra il 1990 e il 2006
Cambiamenti (1990) ettari 1- Aree artificiali 2-Aree agricole 3-Aree boscate Tot. Cambiamenti (2000) ettari 1- Aree artificiali 2-Aree agricole 3-Aree boscate Tot.
1- Aree artificiali
2000 ettari 2-Aree agricole
3-Aree boscate 0
3466,38 316,75 3783,13
36,6 36,6
0 96,63 96,63
2006 ettari 1- Aree artificiali 2-Aree agricole 3-Aree boscate 29,06 66,89 1207,25 55,49 47,92 39,36 1255,17 68,42 122,35
Fonti: ARPA FVG
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2. Variazioni regionali in kmq, di uso/copertura del suolo intercorse tra il 2000 e il 2006 Aree Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino Alto Adige Umbria Valle d'Aosta Veneto
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Aree artificiali 9,21 7,58 22,85 19,65 53,37 11,85 35,77 1,67 62,52 19,78 3,87 38,26 33,94 16,38 17,46 40,61 1,85 6,81 0 78,72
agricole Aree boscate e Zone ambienti utilizzate umide Corpi idrici seminaturali -8,31 -1,06 0 0,16 -6,77 -10,46 -1,27 10,91 -12,73 -12,73 -0,41 3,03 -17,99 -1,65 -0,96 0,96 -38,58 -18 -0,1 3,31 -14,63 2,98 0 -0,2 -33,54 -2,29 0 0,07 -1,52 0 0 -0,14 -35,66 -26,04 -0,2 -0,62 -18,94 -0,85 0 0 -3,96 -0,03 -0,84 0,96 -27,37 -7,86 0 -3,03 -30,02 -3,5 -1,99 1,56 -16,55 -10,44 0,18 10,42 -12,01 -7,36 -0,41 2,32 -38,68 -3,26 0,11 1,22 -1,02 -0,83 0 0 -5,85 -0,96 0 0 0 0 0 0 -78 -0,9 0 0,18
3. Superficie in mq delle aree artificiali estratta dal nuovo CLC2006 rispetto alla superficie regionale (%) 12.0 10.0 8.0 6.0 4.0
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4. Superficie in mq delle aree artificiali estratta dal nuovo CLC2006 sul totale della popolazione residente al 1 gennaio 2006 (ISTAT mq/ab) 500 450 400 350 300 250
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200 150 100 50.0 0.0
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5. Estensione percentuale delle aree artificiali, di quelle agricole e delle aree boscate o seminaturali rispetto alla superficie regionale totale. Classi di uso del suolo su superficie regionale (%) 80 70 60 50 %
40 30 20 10 0.0
Friuli Venezia Giulia
Veneto
Artificial surfaces Agricultural areas Forest and seminatural areas
162
Slovenia ovest
Carinzia
6. Estensione percentuale delle aree artificiali, di quelle agricole e delle aree boscate o seminaturali rispetto alla popolazione residente. Classi di uso del suolo/ della popolazione (2006) 140 120 100 80
%
60 40 20 0.0
Friuli Venezia Giulia
Veneto
Slovenia ovest
Carinzia
Artificial surfaces 7. Estensione in ettari delle aree artificiali, di quelle agricole e delle aree boscate Agricultural areas o seminaturali rispetto alla popolazione residente. Classi di uso/popolazione Forest and seminatural areas 2006 (ettari per abitante) 6 5 4 ha 3 2 1 0
Friuli Venezia Giulia
Veneto
Slovenia ovest
Carinzia
163
BUTTRIO (UD)
164
CODROIPO (UD)
165
MANZANO (UD)
166
MONFALCONE (GO)
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PRADAMANO (UD)
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TRIESTE (via Flavia)
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7. LINEE GUIDA PER UN P.I.P.I.A.
1.POSIZIONE
ZONA INDUSTRIALE SEPARATA DA QUELLA RESIDENZIALE (Art.39 PTR) favorire attraverso discipline e incentivi urbanistici la delocalizzazione delle attività produttive presenti all’interno dei centri abitati, ove non compatibili con le funzioni abitative; prescrivere, se possibile, interventi finalizzati a risolvere i conflitti con le zone residenziali e le attrezzature collettive (Art.39 PTR) Favorire la delocalizzazione delle attività produttive presenti all’interno dei centri abitati
ES1_ GARDEN CITY DI EBENEZER HOWARD L’epoca che va dall’800 ai primi decenni del ‘900 si caratterizza per una visione utopistica dell’urbanistica. E. Howard (1850-1928) fu uno dei protagonisti prima con “Tomorrow, a peaceful Path to Real Reform” (1898), poi un “Garden Cities of Tomorrow” (1902) con i quali si propone di decongestionare la città storica, programmando l’espansione con il decentramento della popolazione in città in “città-giardino”. Esse racchiudono i principali vantaggi della città e della campagna, due calamite che devono fondersi in una sola. “Ogni città è immersa nel verde e ha struttura radiocentrica. Al centro della città è
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Città-giardino di Letchworth (1904-20)
posto un giardino di 5 acri e mezzo (2,25 ha), circondato dalle principali attrezzature pubbliche (municipio, teatro, biblioteca, ospedale,…); attorno, disposto in forma circolare, si sviluppa un parco di 58 ha, delimitato da un “crystal palace” che accoglie i negozi e l’esposizione permanente dei prodotti della città. All’esterno, lungo la linea ferroviaria, si trovano le industrie (...)”. “Letchworth, realizzata tra il 1904 e il 1920, ha una struttura radiocentrica deformata dalle preesistenze ed è attraversata, anziché cinta, dalla ferrovia che resta il perno per la localizzazione dell’industria.Qui, ai margini della città viene mantenuta una fascia inedificata che assume il ruolo di green belt. (...)”
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ES2_ CITE’ INDUSTRIELLE DI TONY GARNIER
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Durante lo stesso periodo del concepimento della città-giardino, Tony Garnier sviluppa la “Citè industrielle” (1901-1904). Egli affronta il problema di una grande città industriale di circa 35000 abitanti da costruire in una località definita, definendo i suoi componenti nei particolari costruttivi con l’applicazione della nuova tecnica del calcestruzzo armato. I suoi elementi sono distinti tra di loro; la zona residenziale, l’ospedale e altre attrezzature sanitarie, le strade e la zona industriale, nettamente separata dal resto.
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ES3_ CITTA’ INDUSTRIALE LINEARE DI LE CORBUSIER
Vie di transito delle merci
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Impianti industriali
Autostrada (veloce meccaniche) La città industriale lineare
Abitazione e suoi prolungamenti (circolare a piedi)
2.MISURE
TROVARE LA “MISURA” PIU’ ADATTA PER LA COPERTURA, LE DISTANZE E LE ALTEZZE
ES1_ FLIGHT FORUM DEGLI MVRDV (1997-2005)
Flight Forum è un business park situato vicino all’area aeroportuale di Eindhoven. I 60 ettari che occupa sono destinati allo sviluppo di edifici direzionali e aziendali che godono di una posizione strategica per la vicina uscita dell’autostrada A2. I parchi industriali in Olanda sono generalmente caratterizzati da una bassa densità di edificazione: il 45% del contesto sarebbe stato occupato da edifici e il rimanente 55% da spazi vuoti. Ma gli MVRDV attuano una strategia di “decomposizione” del suolo, eliminano ogni tipo di parcellizzazione, usando il suolo potenzialmente al 100%. Creano delle isole per i nuovi edifici, circondati da continui lotti di parcheggi, che danno vita a una continuità visiva del paesaggio in ogni lotto stradale. Nel progetto vengono definiti pochi dettagli come l’altezza massima degli edifici, 20 metri e l’assenza di fasce di rispetto-pertinenza.
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ES2_ PRG DEL COMUNE DI PORDENONE ZONA D3 - ZONA DEGLI INSEDIAMENTI INDUSTRIALI E ARTIGIANALI ESISTENTI DESTINAZIONI D’USO Artigianale; Industriale; Commerciale; all’ingrosso; Direzionale; Artigianale di servizio; Trasporto di persone e merci; Residenza (…); Servizi ed attrezzature collettive ove previsto nelle singole zone che disciplinano tali servizi. INDICI URBANISTICI ED EDILIZI H = 9,50 m; Q = 40% della Sf. PARCHEGGI STANZIALI E DI RELAZIONE 40% della St, per attività industriali e artigianali, da ricavare sull’area del lotto ovvero in prossimità dell’immobile; DISTANZE DAI CONFINI 10,00 m salvo il caso di costruzione in aderenza o a confine solo tra edifici ricadenti nella medesimazona. DISTANZE TRA FABBRICATI La distanza minima tra pareti finestrate (o parti di pareti finestrate) e pareti di edifici antistanti sarà pari a 10,00 m.
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Veduta aerea della zona industriale di Pordenone (Google Maps)
ES3_ PRG DEL COMUNE DI BOLZANO (Art. 40) Zona D1 zona per insediamenti produttivi In tali zone sono ammessi impianti ed attrezzature per l’attività produttiva, compresi i relativi magazzini e depositi, nonchè altri usi esplicitamente consentiti dalle norme vigenti. a) altezza massima dei fabbricati: 14,50 metri; b) distanza minima dai confini di proprietà: 5 m c) distanza minima tra i fabbricati: 10 m d) copertura: 60%. (Art. 41) Zona D2 zona produttiva di interesse comunale In tali zone sono ammessi impianti ed attrezzature per l’attività produttiva, compresi i relativi magazzini e depositi, nonchè altri usi Veduta aerea della zona industriale di Bolzano (Google Maps) esplicitamente consentiti dalle norme vigenti. a) altezza massima dei fabbric) copertura: 70% cati: 14,50 metri b) distanza minima dai confini (Art.7) di proprietà: 5 m I parcheggi dovranno essere calcolati: b) distanza minima tra i edifici per attività produttive (…) 10 mq di parcheggio fabbricati: 10 m ogni 100 mq di superficie netta
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ES1_ FLIGHT FORUM
ES3_ PRG BOLZANO
ES2_ PRG PORDENONE
COPERTURA
70% (Sf)
20mt
9.5m
14.5m
40% (Sf)
9.5mt
14.5mt
10m
10% (Sf)
40% (St)
PARCHEGGI
10% (Sf)
10m
Distanze tra i confini
10m
10m
0m
Hmax
20m
90% (Sf)
MISURE SCELTE
COPERTURA
Viene scelta questa percentuale perchè è adatta sia per limitare il consumo di suolo con la concentrazione di attività in un perimetro ben definito, sia per assicurare che gli edifici abbiano una certa percentuale di verde che li circonda.
Un edificio più alto necessita meno superficie in pianta. Quindi alzando l’edificio manteniamo le dimensioni richieste lasciando spazio al verde. Non viene scelta l’altezza massima in quanto l’impatto visivo sarebbe maggiore.
Hmax
14.5m
70% (Sf)
14.5mt
10m
I parcheggi, realizzati con elementi prefabbricati alveolari che permettono la permeabilità dell’acqua, sono in quantità tali da fornire un numero minimo per i lavoratori e per coloro che usufruiscono del parco al fine di lasciare più spazio alla natura.
PARCHEGGI
20% (St)
La distanza di 10m è d’obbligo se si vuole mantenere una copertura visiva per il pedone e aggiungere le quinte visive utili per il filtraggio dei rumori e della polvere.
Distanze tra i confini
10m
Alzando l’edificio, si libera spazio al suolo che viene destinato al verde.
Vengono inserite delle quinte arboree e della vegetazione per schermare la vista ai pedoni; la vista umana, che ha una visione verticale compresa tra i 100° e i 120°, trova degli ostacoli per osservare l’edificio che viene posta a 10m dal confine.
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3.COLLABORAZIONE
I COMUNI LIMITROFI INVECE DI COMPETERE TRA DI LORO ISTITUENDO CIASCUNO UNA PROPRIA “ZONA D” DOVREBBERO ACCORPARSI IN UN’UNICA ZONA PRODUTTIVA
(Art.39 PTR) il contenimento dell’espansione, dovendo contrastare previsioni che possano non favorire il preminente obiettivo di sviluppo e riconcentrazione dell’attività produttiva nei poli indicati all’art.38 (Art.39 PRT) L’aggregazione delle attività artigianali e industriali, nonché il loro dimensionamento a livello sovra comunale, al fine di perseguire una migliore organizzazione sul territorio degli ambiti produttivi (Art.39 PTR) il contenimento dell’espansione, dovendo contrastare previsioni che possano non favorire il preminente obiettivo di sviluppo e riconcentrazione dell’attività produttiva nei poli indicati all’art.38
ES1_ PROGETTO TERRITORIALE SVIZZERA “Il Progetto territoriale Svizzera costituisce una base di riferimento e un aiuto decisionale per lo sviluppo del territorio svizzero. È il primo documento strategico che gode del consenso dei rappresentanti di Confederazione, Cantoni, città e Comuni per quanto riguarda gli obiettivi fondamentali e le strategie da perseguire da tutti e tre i livelli istituzionali. Il Progetto territoriale dovrà servire da guida alle autorità di tutti i livelli istituzionali, per la pianificazione degli insediamenti e delle infrastrutture dei trasporti e dell’energia, per gestire lo sviluppo del paesaggio e altre attività d’incidenza territoriale. Il Progetto territoriale Svizzera non è giuridicamente vincolante, ma fa perno sulla collaborazione volontaria tra autorità e privati allo scopo di sviluppare gli insediamenti e le loro infrastrutture in
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modo ordinato, attento ad un uso parsimonioso del suolo ed economicamente sostenibile, affinché le generazioni future possano disporre di insediamenti attrattivi, di paesaggi diversificati e di un’economia solida. Tutte le parti coinvolte nello sviluppo territoriale, dai Comuni alla Confederazione passando per i Cantoni, devono unire le forze. Avvalendosi di tre strategie nazionali, il Progetto territoriale indica i passi che le autorità devono intraprendere per migliorare la collaborazione, valorizzare gli insediamenti e i paesaggi, nonché armonizzare lo sviluppo territoriale, i trasporti e l’energia. Poiché oggigiorno molti svizzeri, per motivi legati al luogo di domicilio, al posto di lavoro, alle attività del tempo libero e agli acquisti oltrepassano ogni giorno i confini comunali, cantonali e a volte anche nazionali, il Progetto territoriale Svizzera propone che si pianifichi e si agisca in aree d’intervento sovraregionali. (…)”
STRATEGIA1
- Collaborare in spazi funzionali (vedi industrie)
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4.ATTENZIONE ALL’AMBIENTE SI TRATTA DI SALVAGUARDARE LA NATURA, CONSERVARE I SUOLI AGRICOLI E SCEGLIERE UNA VEGETAZIONE ADATTA AL TERRITORIO. ES1_ PROGETTO TERRITORIALE SVIZZERA STRATEGIA2
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- Conservare i paesaggi rurali tradizionali e rafforzare l’agricoltura - Integrare il paesaggio nella pianificazione territoriale - Lasciare spazio alla biodiversità
ES2_ UNITA’ DI LAVORO secondo LE CORBUSIER Secondo Le Corbusier nella sua opera “Maniera di pensare l’urbanistica“, nella città industriale, separata ai limiti della città, devono esserci “le nuove zone verdi del lavoro, i laboratori verdi, le fabbriche verdi (...) iniziativa che introdurrà il paesaggio fra gli elementi costitutivi dell’unità di lavoro“
Unità di lavoro - immagine tratta da “Maniera di pensare l’urbanistica“ Plan Voisin, 1925
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ES3_ ZHONGSHAN SHIPYARD PARK DI KONGJIAN YU (2009) Seguendo la teoria del “Big Foot Urbanism” secondo il quale l’ambiente deve vivere in simbiosi alla città, in contrasto con il “Little Foot Urbanism” che favorisce l’estetica e l’urbanizzazione, Kongjan Yu nel suo progetto Zhongshan Shipyard Park a Zhongshan City (Guangdong Province, China) pensa a valorizzare l’ordinario e riciclare l’esistente. Gli esseri umani, abituati a costruire, distruggere e ricostruire, sovrautilizzano i beni sia naturali che artificiali e oggi ci troviamo sull’orlo di una crisi. Il parco si trova su un’area dove c’era un cantiere navale risalente agli anni ’50 fallito nel 1999. La vegetazione originale e gli habitat naturali sono stati mantenuti, solo le piante autoctone sono state reintrodotte in tutta l’area di progetto. Questo luogo così diventa attrattivo per attività dimostrano come la natura possa sposarsi con il paesaggio urbano.
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ES4_ SHANGHAI HOUTAN PARK DI KONGJIAN YU (2010)
Realizzato nell’area abbandonata di un sito industriale dismesso, l’Houtan Park è un paesaggio vivente rigenerativo. Le zone umide del parco, le strutture e i materiali industriali ricollocati e l’agricoltura urbana sono le parti integranti di un sistema strategico di rivitalizzazione che mira a trasformare l’area in un luogo esteticamente e ambientalmente piacevole. Il principale obiettivo è la ricollocazione dell’ambiente degradato attraverso la creazione di un habitat lungo la riva e di una zona umida. Vengono introdotte cascate e terrazze per rimuovere le sostenze nocive del fiume Huangpu la cui acqua è altamente inquinata. Le coltivazioni e la vegetazione della zona umida sono stati selezionati con l’obiettivo di creare una fattoria urbana che permettesse alla popolazione di percepire i cambiamenti stagionali. I materiali industriali del sito sono riproposti sotto forma di installazioni artistiche, di pavimentazioni dei percorsi lungo il fiume e di ripari per i fruitori.
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ES5_ALMERE FLORIADE 2022 DEGLI MVRDV (2012-2022)
Il comune di Almere, nell’area metropolitana di Amsterdam, sta facendo fronte alla crescita esplosiva della popolazione. L’obiettivo è quello di creare un piano urbanistico che creasse una simbiosi tra città e paesaggio, possibile soluzione per la rapida crescita di consumo di risorse. L’Almere Floriade, uno degli organizzatori del piano, parte dal principio di integrare nella nostra vita piante e alberi, aumentando tra paesaggio urbano la varietà di specie del mondo naturale. L’area ha la potenzialità di diventare ciò che vuole, ma soprattutto per diventare luogo di ricerca e industria, campi nei quali i Paesi Bassi hanno una importanza rilevante.
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ES6_DOSSO DI MASCHERAMENTO IMPIANTO ENI EST DI MEUCCI E BROGNOLI (2010) Eni ha dato il via, presso il proprio sito di raffinazione di Sannazzaro de’ Brugundi (PV), alla realizzazione dell’impianto che consentirà la prima applicazione su scala industriale della tecnologia Est (Eni Slurry Technology), creata per la conversione dei residui petroliferi pesanti in prodotti pregiati, benzina e gasolio. Questa tecnologia, la prima in Italia nel settore della raffinazione petrolifera, ha permesso di realizzare il più grande progetto industriale attualmente in corso che ha anche ottenuto l’autorizzazione di compatibilità ambientale VIA AIA. È stata questa l’occasione per definire un “sistema di Opere di compensazione e mitigazione ambientale” a scala territoriale. Uno degli interventi ambientali è il “Dosso modulare” per il mascheramento dell’impianto Eni Est. Il dosso si snoda lungo il perimetro per circa un chilometro dove sono inseriti dei piani inclinati dove sono messe a dimora specie arboree autoctone: un volume vegetale in contrapposizione a quello industriale dei serbatoi. Nel sistema delle “opere di valorizzazione ambientale”, inseriamo questi interventi: - Il “Bosco Eni”, un’area di 15 ettari nel quale vengono piantumati piccole piante forestali e piccoli arbusti. - Un’”area umida” al fine di aumentare la biodiversità - Su un’estensione di circa 3 ettari schiusi con fasce arboree e arbustive, si realizzeranno campi di colza, lino girasole e ricino. Tutto questo realizzato per perseguire l’obiettivo di sostentamento al contesto ambientale all’insediamento industriale. Nel sistema delle “opere di compensazione ambientale” si realizzerà un parco pubblico il cui impianto arboreo è strutturato sulla base degli alberi presenti, implementando le specie esistenti, passerelle di collegamento e un sovrappasso ferroviario per collegarsi alla pista ciclabile.
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ES7_RIQUALIFICAZIONE DELLA ZONA INDUSTRIALE PRODUTTIVA DI PADOVA
“L’azienda Zip è proiettata allo sviluppo futuro dell’economia padovana. Il Consorzio, insomma, resta uno strumento di attuazione di politiche industriali (e quindi di sviluppo economico) che concretizza i suoi obiettivi anche attraverso la gestione integrata del territorio al servizio delle imprese, dei soci e dell’economia pubblica e privata. La sfida che ha colto è quella di rispondere a una richiesta di sviluppo sostenibile – in termini ambientali, economici e sociali – capace di soddisfare le esigenze delle imprese e dei lavoratori. In base a una recente indagine sulle necessità insediative nella zona industriale di Padova e alle conferme annuali delle richieste di assegnazione, risulta tuttora elevata la domanda di insediamenti nel comprensorio o, comunque, nelle sue immediate vicinanze. Forte anche la richiesta di una maggiore offerta di servizi strutturali e infrastrutturali. Il Piano di Sviluppo di Zip diventa così un Piano di Sostenibilità in cui i vantaggi ambientali e sociali finiscono per superare quelli economici. In sintesi Zip deve: • generare valore = sostenibilità economica • distribuirlo = sostenibilità sociale • fare ciò proteggendo ed “esaltando” l’ambiente = sostenibilità ambientale” dal sito della Zip di Padova
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ES_TERRE DI CANOSSA E CAMPEGINE DI CZSTUDIO ASSOCIATI (2011) Si tratta di un progetto paesaggistico, coordinato tra le nuove attività da insediare nell’ambito territoriale, per valorizzare la parte a nord dell’area con una fascia alberata considerata come un filtro con le aree agricole adiacenti. La sua funzione è quella di filtrare e depurare le acque meteoriche . Il progetto sviluppa il tema dell’integrazione delle volumetrie di progetto con la sistemazione degli spazi aperti, della viabilità e dei parcheggi con il tema dell’illuminazione.
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5.RECUPERO AREE DISMESSE SI PROPONE DI RECUPERARE GLI INSEDIAMENTI DISMESSI CHE DEVONO SODDISFARE I NUOVI BISOGNI Il PTR scrive: - Si propone che non vengano previste nuove aree per altri insediamenti produttivi, preferendo le industrie dismesse, con la motivazione di salvaguardia del suolo. - Gli insediamenti dismessi vanno recuperati e concorrono prioritariamente al soddisfacimento dei nuovi fabbisogni ES1_ QUARTIERE DI JONCTION A GINEVRA DEGLI “ARCHITETTI RUSCI E ARIGANELLO” (2010) La città e il Cantone di Ginevra sono i pionieri dell’ecoquartiere, ex sede dei Servizi industriali. L’obiettivo è creare un ecoquartiere di 2.5 ettari che sia un modello sul piano ambientale, sulla gestione della mobilità e della sua qualità del punto di vista urbanistico, ambientale e architettonico. Il progetto propone una varietà di servizi e riserva particolare cura alle relazioni tra le costruzioni e gli spazi pubblici. È stato promosso un bando di concorso (vinto da “Architetti Rusci e Ariganello”) e un processo partecipativo che fanno parte dello sviluppo del progetto per valorizzarne tutte le potenzialità.
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ES2_ QUARTIERE ECOPARC A NEUCHÂTEL DI OLIVIER NEUHAUS E EMMANUEL REY (2011) Al fine di densificare il territorio e combattere il consumo di suolo, il progetto Ecopac prevede la realizzazione di un nuovo quartiere in un’area ferroviaria di 4 ettari il cui perimetro include la sede dell’Ufficio federale di statistica, antichi stabili industriali riconvertiti e nuovi edifici destinati a lavoro, negozi di vicinato e formazione. L’architettura con la sua volumetria che riprende la forma della stazione ferroviaria, si rifà all’atmosfera dello spazio anche con zone ampie ispirate ai loft. Il Progetto, che limita il consumo energetico, sceglie accuratamente i materiali ed è molto attento ai comfort degli abitanti, si è meritato il Premio ASPANSO 2007.
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ES3_ MALLEY – RICONVERTIRE UN’AREA DISMESSA IN CITTÀ (2007-2011)
La piana di Malley, situata nei Comuni di Losanna, Prilly e Renens, una zona industriale dismessa, viene riconvertita in uno spazio di vita. Una pianificazione di sviluppo intercomunale consentirà a quest’area di 80 ettari di superficie di accogliere 8000 abitanti e posti di lavoro supplementari, seguendo i principi dello sviluppo sostenibile e della Società a 2000 Watt. La popolazione è stata coinvolta nel processo per sviluppare un’identità condivisa con altri enti responsabili del progetto. Il progetto supera i limiti comunale per lo sviluppo del quartiere sostenibile e per questa visione dinamica ha ricevuto il premio Wakker, conferito da Heimatschutz Svizzera.
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6.ENERGIA
OGNI ZONA INDUSTRIALE DEVE OSPITARE UNA ZONA DESTINATA ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA PER DIVENTARE UNO SPAZIO SOSTENIBILE
ES1_PRG DI TAVAGNACCO (UD) Il PRG afferma: “Nel PIP deve essere prevista l’individuazione di superfici da riservare all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica di competenza statale o comunque di potenza superiore ai 50 MW termini o equipollenti, in attuazione delle previsioni della pianificazione regionale di settore.”
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ES2_PROGETTO TERRITORIALE SVIZZERA STRATEGIA3
- Garantire un approvigionamento energetico efficace
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ES3_TEGEL FIELDS DEGLI MVRDV (2009)
Gli MVRDV hanno individuato nell’ex area dell’aeroporto di Berlino, Tegel, un’opportunità per attivare la capitale come centro commerciale e di produzione. Il concetto di “Tegel Fields” prevede una strategia per rendere l’area sostenibile. L’area, oltre a tutti i servizi, infatti può anche essere utilizzata per ospitare un impianto di energia tramite turbine eoliche per alimentare il business park per pareggiare il consumo di almeno 10 anni. Tra le strategie: 1. la scelta dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, tra cui eolico, fotovoltaico, geotermico, biomasse unite in un sistema di distribuzione decentralizzato per il parco commerciale. 2. La pianificazione efficiente, la gestione e il graduale sviluppo in modo da ridurre al minimo i rifiuti e massimizzare l’efficienza energetica, per esempio attraverso l’uso di veicoli elettrici in loco, nonché pedonali e piste ciclabili. Fornendo spazio verde e servizi pubblici, Tegel Fields spera di essere un nuovo centro direzionale che i residenti sono felici di avere nel loro territorio.
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ES4_ DREISPITZ A BASILEA DI AXEL SCHUBERT (2013-2053) L’area di Dreispitz a Basilea e a Munchenstein, zona artigianale e industriale, verrà trasformata in un quartiere urbano di utilizzazione mista per le imprese di servizi, le attività artigianali e industriali, gli abitanti, le attività culturali e quelle di svago. I suoi 50 ettari di superficie e la posizione geografica (tra il Cantone di Basilea-Città e il Comune di Munchenstein nel Cantone di Basilea-Campagna) fanno di questa area un polo di sviluppo strategico per l’agglomerato di Basilea. Le potenzialità di crescita futura sono state riprese in un accordo urbanistico sottoscritto dalla Fondazione Christoph Merian (l’unica proprietaria dei terreni) e dagli enti territoriali. Da oggi fino al 2053, la maggior parte dei fondi è stato istituita per un diritto di superficie a favore di un centinaio di beneficiari. La zona pensata come un quartiere ecosostenibile tiene ovviamente conto di dettagliate prescrizioni in materia di energia e costruzioni.
Urban Study_Basel_Herzog de Meuron (2001-2002)
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6.PARCHI INDUSTRIALI OGNI ZONA INDUSTRIALE DOVREBBE OSPITARE DELLE ATTREZZATURE E DEI SERVIZI DI MODO CHE I RESIDENTI POSSANO USUFRUIRE DI UNO SPAZIO CHE NON E’ SOLO DESTINATO AL LAVORO MA ANCHE AD ALTRE ATTIVITA’. SI TRATTA DI RIVITALIZZARE LE ZONE INDUSTRIALI.
ES1_ DREISPITZ A BASILEA DI AXEL SCHUBERT (2013-2053) L’area del Dreispitz prevede anche una zona degli ex magazzini che è destinata all’arte, 10% della superficie totale dell’area, alla Scuola superiore di belle arti e di design, per il quale è già stato adottato un piano di quartiere. Questo piano prevede una serie di obiettivi strettamente connessi alla nozione di quartiere sostenibile (cioè sviluppo di spazi verdi e pubblici, utilizzazione urbana e a misura d’uomo), senza dimenticare le dettagliate prescrizioni in materia di energia e costruzioni.
ES2_TEGEL FIELDS DEGLI MVRDV (2009) Il concetto di “Tegel Fields” per rendere l’area sostenibile prevede un particolare uso del suolo. L’area per non intaccare il terreno ospita infatti strutture temporanee oltre a edifici permanenti destinati a expo e centri servizi ai quali vengono integrate foreste e aree parco. Al centro dell’aeroporto, l’enorme pista fornisce un unico quadro spaziale di tipo rurale in contrasto con il resto della città. L’enorme pista viene conservata e lasciata libera da edifici, fornendo un grande spazio pubblico per lo sport e il tempo libero. E’ così che gli MVRDV hanno rivitalizzato la zona industriale della capitale tedesca.
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ES3_ FLIGHT FORUM DEGLI MVRDV (1997-2005)
L’area viene resa più piacevole e attiva dall’inserimento di attrezzature sportive e da un’area ristoro di modo che Flight Park possa essere un sistema funzionante in tutti i punti di vista e in tutte le ore del giorno.
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ES4_PAPENDORP BUSINESS PARK (Utrecht) DEI WEST8 (1999) West 8 ha sviluppato una strategia per il landscaping del business park Papendorp, dando un forte carattere verde. Oltre a tutti gli edifici per il business park, il progetto immagina anche 1500 abitazioni e impianti sportivi. Grandi giardini dâ&#x20AC;&#x2122;erba e quercie si legano ai singoli edifici dando un panorama di diverse parti del parco. Marciapiedi e due grandi viali sono la cornice per la vita urbana da sviluppare negli anni a venire. Tutti i parcheggi sono sotterranei e coperti da colline erbose. In questo modo lâ&#x20AC;&#x2122;intera area mantiene il suo carattere verde e al contempo beneficia della posizione strategica del parco commerciale tra due autostrade principali.
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ES5_ AREE INDUSTRIALI, REGGIO EMILIA DEI MADE ASSOCIATI (2009)
Il gruppo MADE associati ha affrontato una ricerca sulle modifiche territoriali alla grande scala che ha come oggetto l’area industriale e artigianale Poviglio-Boretto nella provincia di Reggio Emilia. Partendo dalla qualità dei luoghi, il progetto affronta il tema dell’insediamento produttivo che si ridisegna con dei riferimenti di valenza paesaggistica. Le aree industriali sono scelte per esser parte della città e di dialogare con essa, formando un tassello di paesaggo che si guarda ma da cui si è guardati. Il fine è quello di costruire una riflessione progettata in materia di qualità degli insediamenti, un luogo che produce socialità, che costituisce un servizio pubblico in termini di tempo libero, che fornisce un uso collettivo degli spazi, che controlla processi energetici e si sostiene con principi ecologici.
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7.SELEZIONE DI IMPRESE NEL P.I.P. VERRANNO FAVORITE QUELLE IMPRESE CHE HANNO CERTI REQUISITI IN MATERIA AMBIENTALE E SVOLGANO ATTIVITA’ DI RICERCA E INNOVAZIONE Il PTR scrive: - Consentire l’insediamento industriale nelle aree di interesse ambientale e paesaggistico, per le attività che risultino in grado di integrarsi con le risorse esistenti e di rispettare i principi di tutela naturalistica delle direttive comunitarie; - Programmare e localizzare le strutture per la raccolta ed il trattamento dei rifiuti industriali; - L’incentivazione della certificazione di ecogestione delle imprese e dei territori interessati; la tutela e lo sviluppo di specifiche produzioni di filiera e di poli di ricerca per favorire l’attività non inquinanti; - Definire limiti di accettabilità e di sostenibilità ambientale delle unità produttive fra cui la distanza minima tra insediamenti produttivi - Prevedere criteri localizzativi, per la compatibilità degli insediamenti soggetti al rischio di incidente rilevante
ES1_TERRE DI CANOSSA E CAMPEGINE DI CZSTUDIO ASSOCIATI (2011) Il progetto tratta anche il tema ambientale con i seguenti punti da considerare per il suo sviluppo: - contenimento delle emissioni climalteranti - contenimento e riciclo degli scarti - produzione di energia da fonti rinnovabili in quota parte dei consumi con finalità prevalente di autoconsumo - gestione, depurazione e riciclo di acque reflue e meteoriche - gestione degli eccessi idrici
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I manufatti sono disposti tenendo in conto dei principi insediativi: - valorizzazione e disposizione delle architettura riservate alle funzioni di pregio in relazione al tracciato storico della viabilitĂ esistente e alla relazione con il casello autostradale - valorizzazione delle coperture dei nuovi manufatti attraverso la realizzazione di manti vegetali od impianti solari e/o fotovoltaici.
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ALTRI ESEMPI PARCO DORA (TO) (2007-2011) Parco Dora Spina rappresenta uno degli interventi di trasformazione urbana più rilevanti degli ultimi anni, caratterizzati da un profilo di eccellenza urbanistica ed ambientale. Tale ambito è il punto del lavoro di un gruppo multidisciplinare competente nella trasformazione paesaggistica di brownfields (aree industriali dismesse), selezionato con un bando internazionale. Il parco, che totalmente misura 358.000 mq, sorge sulle aree occupate fino agli anni Novanta dai grandi stabilimenti produttivi della Fiat e della Michelin e integra ambiti naturalistici a preesistenze industriali, diventando il cuore della trasformazione di Spina 3. Il parco è suddiviso in cinque principali aree, ognuna con caratteristiche peculiari e vocazioni di diverso tipo che conservano il nome: Vitali, Ingest, Valdocco (corrispondenti ai tre lotti delle Ferriere Fiat), Michelin e Mortara. I temi perseguiti dal progetto riguardano tre principali aspetti: l’integrazione visiva e funzionale del parco con il fiume, la metamorfosi estetica e funzionale delle preesistenze industriali conservate, la connessione urbana. Nel Parco convivono spazi dedicati all’archeologia industriale che ci rimandano alla storia recente della città con aree verdi, pensati nel loro insieme con un “nuovo polmone verde”, e spazi liberamente fruibili dai cittadini; gli interventi adottati sono certamente caratterizzati da quell’innovazione e dalla applicazione di tecnologie che ci ricordano Torino e il suo carattere industriale. Ogni comparto integra ambienti naturalistici e preesistenze industriali come la torre di raffreddamento della Michelin. Il progetto ha vinto The International Architecture Award, uno fra i più importanti riconoscimenti nell’ambito della pianificazione urbana con particolare attenzione al valore della “buona progettazione”, l’innovazione, l’uso di nuovi materiali e l’attenzione all’impatto ambientale. Aggiudicatari: Servizi Tecnologie Sistemi S.p.a. (Capogruppo), Latz+Partner (Paesaggio), Studio Cappato (Strutture), Gerd Pfarrè Design (Illuminazione), Ugo Marano (Progetto Artistico), Studio Pession Associato (Archeologia Industriale)
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LANDSCHAFTSPARK DUISBURG NORD (1991-1999) DI PETER LATZ Il parco di Duisburg-Nord - realizzato nella vasta area di un antico stabilimento per la produzione della ghisa e dell’acciaio, collocato nel distretto della Ruhr in Germania - rappresenta uno dei più importanti esempi contemporanei di riconversione in parco pubblico di un’area industriale dismessa. La risoluzione di diverse problematiche quali: la reinterpretazione delle strutture industriali preesistenti, la depurazione del corso d’acqua e
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e del suolo fortemente contaminati, la necessità di realizzare un luogo per lo svago, la didattica e adatto ad ospitare svariati eventi sociali, hanno valso al parco di Duisburg-Nord il primo premio alla Biennale del paesaggio di Barcellona del 1999, quale migliore realizzazione europea di progetto del verde. Il Parco Ferroviario (Bahnpark): La rete ferroviaria è stata mantenuta e integrata al suolo e della vegetazione del nuovo parco. Qui si dispiegano numerose passeggiate e percorsi che in certi tratti mutano di livello e si collegano a ponti e passerelle pedonali sopraelevati, che offrono ai visitatori dei punti panoramici del parco. Il Parco Acquatico: L’antico corso del fiume Emscher che passa per il parco, un tempo recintato a causa dell’alta tossicità delle sue acque, è stato purificato. Oggi vi confluiscono le abbondanti acque meteoriche raccolte in tutto il parco, convogliate lungo dei percorsi in cui filtri di sabbia e ghiaia e sponde ricche di vegetazione, che contribuiscono alla loro depurazione e ossigenazione. I Giardini Simbolici: L’area degli antichi depositi realizzati per lo stoccaggio del minerale grezzo, è costituita da un susseguirsi di vani separati da spessi muraglioni in calcestruzzo forati messi in comunicazione dove si riproduce il rituale del “giardino segreto”. Qui la popolazione si occupa sia della coltivazione delle piante, sia della sperimentazione formale e artistica di questi hortus conclusus post-industriali. L’Area Ricreativa: Nella zona dell’antico stabilimento della fornace, le imponenti strutture industriali, sono state re-inventate per nuovi usi e funzioni. Le ampie ciminiere sono ora utilizzate da gruppi di arrampicata e free-climbing. Le ampie spianate accolgono oggi manifestazioni come la “Cowperplatz”, un’ampia piazza piantumata secondo una griglia regolare e la “Piazza Metallica”. Questi ambiti sono ricongiunti da luoghi interstiziali come gli spazi di vegetazione e l’area incolta lasciata in spontanea trasformazione o utilizzata per orti urbani e attività sportive. Il parco ha innescato un processo di rinascita ecologica: diversi tipi di piante e animali da tempo segnalati come specie minacciate nella Westfalia del nord, hanno fatto la loro ricomparsa nella zona.
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8. MODELLO REDAZIONE DI UN P.I.P.I.A.
Il P.I.P deve contenere i seguenti elaborati: a) Stralcio del PRG o del piano di fabbricazione con individuazione della zona oggetto del piano di intervento b) Stralcio delle norme attuative relative alla zona di riferimento, particolarmente utili nel caso in cui anticipa i principi generali ai quali si deve attenere l’assetto della zona c) Stralcio del Piano Particolareggiato, se obbligatorio dal quale risulti che lo studio del PIP è stato preceduto da una specifica programmazione dell’intervento e i tempi di attuazione d) Planimetria dello stato di fatto indicante l’uso del suolo e la consistenza edilizia della zona, redatta nella stessa scala del progetto e con una differenziazione tra edifici da conservare e da demolire e) Elaborati di progetto del PIP, elaborati su mappa catastale, che contengono tutte le indicazioni per dare un assetto organico alla zona ed alle zone contigue. Il progetto deve prevedere: - Il sistema infrastrutturale dell’area (rete viaria, rete fognarie, reti tecnologiche); - La previsione degli spazi pubblici, la localizzazione ed il proporziona mento dei servizi pubblici; - La ripartizione delle aree edificabili in lotti; - I parametri plano volumetrici da rispettare (il rapporto di copertura, distacchi stradali e dai confini dei lotti, altezze dei corpi di fabbrica, residenze di servizio); - Raccordi con la viabilità esterna; - I sistemi di trattamento e di depurazione speciale di acque di natura industriale;
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- La fascia verde necessaria per la difesa dall’inquinamento dell’aria; - Le norme tecniche di attuazione; - Il piano parcellare e l’elenco delle ditte da espropriare - Il piano finanziario per l’attuazione del piano f) Piano delle aree fabbricabili, che indica con l’eventuale tipologia edilizia i parametri edificatori e gli obblighi concernenti l’uso dei singoli lotti. (questo elaborato deve essere predisposto nella stessa scala del progetto e contenere la lottizzazione delle aree oggetto di intervento suddivise tra aree in concessione ed aree in diritto di superficie g) Tavola da cui risultino le norme attuative specifiche del PIP h) Sezioni tipo delle strade e tipi eventuali di alberature in scala non inferiore a 200 i) Elenco catastale delle proprietà da espropriare (con indicazione dei nomi delle ditte intestatarie nelle aree del PIP, il foglio ed in numero di mappa, la superficie catastale e i redditi. In allegato una planimetria desunta dalle mappe catastali in cui vengono messe in evidenza le aree da espropriare). j) Relazione sommaria di spesa per l’acquisizione delle aree, per le sistemazioni generali e per le opere di urbanizzazione. In questo scritto il Comune deve indicare in conformità alla relazione tecnica, l’entità della spesa per l’attuazione del piano ed in particolare per l’acquisizione delle aree, per le opere di urbanizzazione ed i mezzi per farvi fronte. In particolare, si osserva che la delibera di approvazione di un PIP non deve contenere una puntuale relazione finanziaria, ma è sufficiente una previsione di larga massima, che tenga conto degli esborsi anticipati dal Comune, che poi saranno recuperati a carico delle imprese assegnatarie. (la mancanza di un attendibile previsione di spesa costituisce motivo di illegittimità del piano per gli insediamenti produttivi)
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k) Relazione tecnica illustrativa del progetto di un PIP in cui vengono specificate le esigenze che hanno determinato lo studio del piano, i criteri di impostazione del progetto e i tempi di realizzazione delle opere l) Stralcio dei piani territoriali regionali o comunali ove adottati, dai quali desumere la previsione anche sommaria e programmatica della zona di insediamenti produttivi oggetto del piano m) Stralcio eventuale del piano per lo sviluppo economico del quale risultino le linee di sviluppo, le prioritĂ di intervento ed i criteri di incentivazione alle attivitĂ produttive che fungono tutti da supporto per la proposta di PIP.
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MODELLO DI UN PIANO DI INSEDIAMENTO PRODUTTIVO INTEGRATO CON L’AMBIENTE Premessa Il modello PIPIA che verrà di seguito descritto ha la finalità di essere uno strumento al quale il progettista fa direttamente riferimento in coerenza con il nuovo PTR, la legge regionale n.5 del 2007 e in particolare la normativa sugli ambiti industriali-artigianali (art.38-39), avendo particolare attenzione al tema dell’ambiente e del paesaggio. Il PIPIA, in qualità di piano attuativo, deve entrare nel particolare introducendo tutti quegli elementi che non sono contenuti nello strumento generale, con la possibilità di variarne le sue previsioni. A causa della mancanza di approvazione regionale (legge 47/85 art.24) salvo che le aree e gli ambiti territoriali non siano individuati dalle Regioni come di interesse regionale, i PP (quindi anche i PIP), vigenti il giorno successivo alla pubblicazione, hanno anche l’enorme potere di condizionare la pianificazione non sempre positivamente. Quadro di riferimento attuale - Lo stato di fatto Obiettivi del PTR (l.r. n.5, 2007): Art. 7 (Funzioni e obiettivi della pianificazione)
1. La pianificazione territoriale e urbanistica si informa ai seguenti obiettivi generali: a) promuovere un ordinato sviluppo del territorio, dei tessuti urbani e del sistema produttivo; b) assicurare che i processi di trasformazione siano compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e con l’identità culturale del territorio;
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c) migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti urbani; d) ridurre la pressione degli insediamenti sui sistemi naturali e ambientali anche attraverso opportuni interventi di riduzione e mitigazione degli impatti; e) promuovere il miglioramento della qualità ambientale, architettonica e sociale del territorio urbano, attraverso interventi di riqualificazione del tessuto esistente; f) contenere il consumo di nuovo territorio subordinandone l’uso all’attenta valutazione delle soluzioni alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti o dalla loro riorganizzazione e riqualificazione.
Art. 8 (Finalità strategiche del PTR)
1. Il PTR persegue le seguenti finalità strategiche: a) la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale, storico e la riqualificazione urbana e ambientale; b) le migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitività del sistema regionale; c) le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della regione nella prospettiva di rafforzamento del policentrismo e di integrazione dei diversi sistemi territoriali; d) la coesione sociale della comunità, nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del Friuli Venezia Giulia con i territori contermini; e) il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, degli ecosistemi e in generale l’innalzamento della qualità ambientale; f) le migliori condizioni per il contenimento del consumo dell’energia e del suolo, anche con lo scopo di mantenere la più estesa fruizione a scopi agricoli e forestali, nonché per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative; g) la sicurezza rispetto ai rischi correlati all’utilizzo del territorio.
Obiettivi del PIP: - reperire ed attrezzare aree destinate alle attività produttive, attraverso lo strumento espropriativo, garantendone così una disponibilità a prezzo basso
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- promuovere e favorire l’espansione industriale nel territorio comunale attraverso la cessione alle imprese dei terreni espropriati - armonizzare l’insediamento produttivo con il restante tessuto urbano, in considerazione delle zone industriali già esistenti e di quelle di nuova costituzione - promuovere l’iniziativa privata, affinchè la stessa sia realizzata secondo criteri di ordine pubblicistico volti a premiare o comunque incentivare le iniziative più meritevoli, senza creare ingiustificati privilegi che possano alterare la libertà di impresa NORME GENERALI e NORME TECNICHE D’ATTUAZIONE Destinazioni d’uso: esse sono tassativamente elencate dall’art. 27 e possono essere: industriali, artigianali, commerciali e turistiche. I PIP quindi possono essere monofunzionali o polifunzionali e in tal caso la prima verifica demandata al Comune riguarda proprio la compatibilità delle diverse attività produttive e la loro coesistenza operativa. Il PIP comprende anche gli edifici per uffici. Comprende anche aree di riserva per futuri insediamenti ottenute attraverso la non utilizzazione di tutte le aree ricomprese in zona “D”, oppure prevedendo per tali aree solo le opere di urbanizzazione primaria che rendono le stesse immediatamente disponibili per soddisfare futuri richieste di insediamenti produttivi. Insediamenti industriali inutilizzati - Si propone che non vengano previste nuove aree per altri insediamenti produttivi, preferendo le industrie dismesse, con la motivazione di salvaguardia del suolo. - (Art. 39) Gli insediamenti inutilizzati devono essere censiti, riportando il
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- (Art. 39) Gli insediamenti inutilizzati devono essere censiti, riportando il dimensionamento ed il grado di saturazione - Gli insediamenti dismessi vanno recuperati e concorrono prioritariamente al soddisfacimento dei nuovi fabbisogni Lotti: I lotti potranno essere suddivisi, come pure accorpati, con l’obiettivo di uniformarsi alle esigenze del mercato. Il PTR promuove: - (Art.38) la disincentivazione delle localizzazioni di insediamenti isolati che possano produrre diseconomie nella funzionalità del sistema viabilistico regionale, inducendo eccessiva mobilità; -> I Comuni limitrofi invece di competere tra di loro istituendo ciascuno una propria “zona D” dovrebbero accorparsi in un’unica zona produttiva -> Aumentare il grado di saturazione dei lotti - (Art.38) la localizzazione degli insediamenti industriali secondo criteri in grado di evitare le incompatibilità e i rischi di incidente rilevante - (Art.38) la rilocalizzazione delle attività produttive ubicate in ambiti residenziali o in aree incompatibili sotto il profilo paesaggistico-ambientale - (Art.39) il contenimento dell’espansione, dovendo contrastare previsioni che possano non favorire il preminente obiettivo di sviluppo e riconcentrazione dell’attività produttiva nei poli indicati all’art.38 - (Art.39) L’aggregazione delle attività artigianali e industriali, nonché il loro dimensionamento a livello sovra comunale, al fine di perseguire una migliore organizzazione sul territorio degli ambiti produttivi - (Art.39) favorire attraverso discipline e incentivi urbanistici la delocalizzazione delle attività produttive presenti all’interno dei centri abitati, ove
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non compatibili con le funzioni abitative; prescrivere, se possibile, interventi finalizzati a risolvere i conflitti con le zone residenziali e le attrezzature collettive - Riconvertire ad altri usi le superfici industriali da tempo inattuate - Favorire la delocalizzazione delle attività produttive presenti all’interno dei centri abitati Il PTR inoltre indica quale obiettivo prioritario la necessità di evitare la dispersione delle localizzazioni industriali, puntando piuttosto sulla formazione di economie di agglomerazione (…) ciò per ottimizzare i tempi e i costi delle fasi produttive e, di conseguenza, ottenere risparmi economici per le singole imprese, contenendo il consumo di suolo e contrastando la concorrenza fra le aree programmatiche e le zone produttive locali. Dimensionamento L’art. 27 non pone limite all’estensione del piano per insediamenti produttivi. Il dimensionamento delle aree richiede quindi una congrua motivazione che tenga conto delle necessità produttive da soddisfare nella situazione locale di riferimento, delle concrete possibilità di sviluppo produttivo e delle eventuali istanze di insediamento presentate dagli operatori economici. Accessi ai lotti: avverrà esclusivamente dalla strada di lottizzazione, con dimensioni che potranno variare in relazione alle specifiche esigenze d’uso, da ml. 7,00 a ml.12,00. Recinzioni: Le recinzioni saranno costituite da quinte arboree dall’altezza di 2.20m. In corrispondenza degli accessi carrai la recinzione dovrà essere arretrata di
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almeno 5,00 m e, nelle immediate vicinanze, dovrà essere prevista un’area interna al lotto ma esterna alla recinzione, di dimensioni minime 1,50 x 2,50 ml per la collocazione del cassonetto. Distanze: - Distanza minima dal filo di strada (cioè area occupata dalla carreggiata e dai marciapiedi) pari a 10m per la viabilità - Distanza minima dai confini pari a 10m - Distanza minima imposta per i parcheggi di relazione (interni ai lotti) è di 6m Indici urbanistici e edilizi: - Elementi che individuano i mc. massimi edificabili, sono il rapporto di copertura 70% del lotto (St) - Altezza massima pari a 14.5 m, esclusi i volumi tecnici - Aree per parcheggi: 20% (St) Tipologie edilizie e loro materiali: Le strutture edilizie saranno: - Prefabbricate (elementi orizzontali e verticali portanti in C.A.V. coibentati) - Tradizionali (indicativamente strutture portanti in cemento armato o muratura in laterizio; solai in laterocemento; muri di tamponamento e contropareti in laterizio; isolamenti in poliuretano espanso; serramenti in alluminio) Residenza È ammessa la costruzione di al max 1 alloggio per unità immobiliare, per il titolare o addetti alla sorveglianza con una superficie complessiva max. di 120 mq.
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Piani interrati e seminterrati È ammessa la realizzazione di un piano parzialmente o totalmente interrato da destinare ad attività di deposito, con l’esclusione di attività produttive o commerciali. La superficie del piano interrato potrà superare al massimo del 30% la SQ sovrastante. Strade La rete viaria quasi sempre gioca un ruolo determinante nella localizzazione delle aree produttive artigianali-industriali; inoltre non poche di queste aree presentano un basso grado di saturazione, hanno strutture in stato di non utilizzo e talvolta corrispondono addirittura ad aree attrezzate prive di insediamenti. Le norme d’attuazione del PTR prescrivono: - (Art.38) definire azioni dirette al miglioramento della interconnessione strutturale con le attività produttive dell’indotto specificatamente individuate, con collegamenti adeguati a perfezionare la viabilità principale di servizio agli insediamenti stessi (…) - (Art.39) prevedere per gli ampliamenti degli ambiti esistenti, specifiche indagini atte a dimostrare l’adeguatezza dei collegamenti con la rete di trasporto principale (viabilistica e ferroviaria), con quella energetica e di smaltimento, con infrastrutture speciali (quali, ad esempio, quelle portuali o logistiche) e con altri siti produttivi; Nuova viabilità: - Carreggiata 8.00m con marciapiede su entrambi i lati di larghezza 1.50m - Strada interna di distribuzione: 8.00m con marciapiede su entrambi i lati
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larghezza 1.50m Le carreggiate avranno le seguenti caratteristiche:
- larghezza totale di 11,00 ml, costituita da 8,00 ml di carreggiata, marciapiede su entrambi i lati da 1,50 ml. Le carreggiate stradali avranno le seguenti caratteristiche: - spessore del sottofondo stradale non inferiore a cm 55 di ghiaia di cava tout-venant; - pendenza trasversale 2,5%; - pavimentazione con conglomerato bituminoso tipo binder semiaperto dello spessore compatto di cm 8 e soprastante tappeto di usura dello spessore compatto di cm 3; - cunette laterali della larghezza di cm 20, in mattonelle d’asfalto (dim cm 20x10x2).
I marciapiedi verranno realizzati con i seguenti criteri:
- rialzo minimo rispetto alla strada di cm 13÷14; - spessore del sottofondo non inferiore a cm 30 di ghiaia di cava tout-venant; - pendenza trasversale 2,5%; - cordolo di contenimento in pietra artificiale (martellinata e cordellinata sulla faccia esterna) delle dimensioni di cm 15x25 con bordo arrotondato, su zoccolo di calcestruzzo; - pavimentazione in cls colorato con finitura antisdrucciolo e la delimitazione a grandi riquadri. - delimitazione del marciapiede verso le aree con urbanizzazioni non ancora realizzate (e quindi prive di recinzione in adiacenza al marciapiede) con cordonatina in cls, liscia, dim cm 6÷8 x 25.
Area dei servizi tecnologici (St) Viene riservata un’area per manufatti connessi con le reti tecnologiche (es. cabina e.n.e.l., volumi tecnici per la rete telefonica, idrica e del gas metano). Parcheggi interni ai lotti Le aree di parcheggio andranno pavimentate con materiali che permettano la permeabilità dell’acqua (per es. elementi prefabbricati alveolari in calcestruzzo). Sistemazione aree libere dei lotti Le aree scoperte andranno opportunamente sistemate con la pavimentazione delle zone destinate alla sosta dei mezzi pesanti e alla movimentazione delle merci.
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Le aree rimanenti dovranno essere sistemate a verde. VEGETAZIONE Verde di pertinenza dei lotti edificabili: Queste aree, delimitate da cordonate, saranno seminate a prato, alberate e arbustate, in modo da creare delle quinte vegetali con funzione schermante con la piantumazione di una siepe e filari di alberi scelti tra le essenze autoctone. Il resto dell’area sarà coltivato a verde con piantumazioni di alberi e arbusti scelti tra le essenze autoctone. Verde alberato interno ai lotti: barriere erboree Il verde interno al lotto edificabile forma delle quinte vegetali con piantumazione schermante localizzate prospicienti la viabilità esistente e di previsione. Queste fasce verdi sono obbligatorie per la loro funzione schermante, antirumore e antipolvere. Le zone di verde alberato saranno delimitate da cordonate, seminate a prato e caratterizzate da una siepe e da retrostanti filari di alberi (uno ogni 6,00 ml di sviluppo del confine) alternati ad arbusti (un gruppo ogni 150 mq di superficie di verde alberato del lotto). Le essenze da utilizzare sono quelle indicate dall’abaco dendrologico. AMBIENTE Il PTR con il suo nuovo “Codice dei beni culturali e del paesaggio” offre l’opportunità di considerare il paesaggio, non come un vincolo, ma come una risorsa, anche economica da valorizzare. Perché la riconoscibilità e la qualità paesaggistica dei territori influenzano direttamente la qualità di vita di chi li abita, la loro appetibilità economica, anche nei luoghi più sviluppati, e l’opportunità di
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alcune zone marginali. Il Decreto consente di inserire azioni di tutela paesaggistica e ambientale, ritenendo che la valorizzazione rappresenti una grande opportunità per lo sviluppo socio-economico locale che si attua attraverso: la tutela dei paesaggi eccellenti e noti; l’attenta gestione paesistica delle trasformazioni territoriali; l’individuazione di interventi di recupero e di riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate. Quindi con questa nuova politica regionale viene promosso sì lo sviluppo produttivo, ma anche il miglioramento della qualità ambientale e della gestione dei servizi destinati alle imprese insediate. L’ambiente quindi viene considerato un elemento importante da tenere in conto, in quanto fra le criticità che connotano gli insediamenti industriali possono essere indicati: - Le emissioni in atmosfera; - Il disturbo, il rumore (inquinamento acustico); - I conflitti fra industria e residenza (interazione con gli insediamenti abitativi, scarsa sicurezza tra la persone e transiti di mezzi pesanti); - Il consumo di risorse (naturali, energetiche…) spesso non quantificato; - I rischi verso la qualità delle acque di falda; - Produzione di rifiuti; - La concentrazione di attività produttive lungo le direttrici della viabilità. Così il territorio regionale ha orientato il settore a rivedere i modelli di produzione per concorrere a risparmi energetici e riduzione degli impatti (legge regionale n.4 n.26 del 2005). La strategia seguita è quella che la Comunità Europea ha intrapreso a partire
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dall’inizio degli anni ’90 che pone ai primi posti l’obiettivo della prevenzione del rischio industriale, da attuare sia con moderne forme coercitive basate su specifiche norme di settore, sia mediante la promozione delle politiche di adesione volontaria alla qualità ambientale delle imprese, delle organizzazioni e dei prodotti. Per quanto riguarda le norme generali di tutela del rischio ambientale particolare importanza è quella rivestita dalla direttiva comunitaria “IPPC – Integrated Pollution Prevention and Control” (96/61/CE) e dalle direttive “Seveso I”, “Seveso II” e “Seveso III” (1982/501/CE, 1996/82/CE e 2003/105/CE). La direttiva “IPPC” ha l’obiettivo di prevenire e ridurre l’inquinamento dovuto all’industria, intervenendo alla fonte delle attività inquinanti e garantendo una gestione razionale delle risorse naturali (“compatibilità ambientale” attraverso un processo di coordinamento delle autorità competenti e il controllo delle emissioni nell’ambiente). Con questa direttiva viene introdotta l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), già citata. In quest’ambito, i processi produttivi devono dimostrare di garantire il rispetto delle cosiddette “MTD” (Migliori Tecniche Disponibili), interpretate nella sfera delle tecnologie di processo, della progettazione, gestione, manutenzione e dismissione degli impianti. La serie di direttive “Seveso”nasce nel 1976 quando l’incidente di Seveso (MB) fece emergere la necessità di una specifica e rigorosa regolamentazione degli aspetti legati alla sicurezza degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. A partire dagli anni 90 si è affermata la consapevolezza che la protezione dell’ambiente non possa prescindere dal coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e in particolare dall’attivazione di nuove forme di collaborazione. In questo quadro ha assunto un ruolo centrale il miglioramento della qualità ambientale delle imprese , delle organizzazioni e dei prodotti. I principali riferimenti di questo obiettivo sono i Regolamenti europei EMAS e Ecolabel e dagli standard
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internazionali della serie ISO 14000. EMAS (regolamento CEE 1836/936) ed Ecolabel (regolamento CEE 880/92) sono degli strumenti di adesione volontaria tesi a favorire una migliore gestione delle risorse, la responsabilizzazione diretta nei riguardi dell’ambiente e a promuovere l’informazione al pubblico sul miglioramento delle prestazioni ambientali di processi e prodotti. Dopo i primi cinque anni di forte valenza di questi strumenti, l’obiettivo chiave del Sesto Programma di Azione Ambientale (2000-2006) e della Politica Integrata di Prodotto (IPP) può essere identificato nello sviluppo e nel consolidamento di un insieme di provvedimenti che, facendo leva su una produzione rispettosa dell’ambiente e su un consumo ecologicamente consapevole, possano portare nel medio/lungo periodo alla creazione del “mercato verde”. Per quanto riguarda i PIP, il PTR fornisce le seguenti “linee guida”, che serviranno anche come criterio per scegliere le imprese che dovranno insediarsi: - Introdurre aree per impianti tecnologici per il recupero e la riutilizzazione delle risorse impiegate nei cicli produttivi; - Consentire l’insediamento industriale nelle aree di interesse ambientale e paesaggistico, per le attività che risultino in grado di integrarsi con le risorse esistenti e di rispettare i principi di tutela naturalistica delle direttive comunitarie; - Programmare e localizzare le strutture per la raccolta ed il trattamento dei rifiuti industriali; - L’incentivazione della certificazione di ecogestione delle imprese e dei territori interessati; la tutela e lo sviluppo di specifiche produzioni di filiera e di poli di ricerca per favorire l’attività non inquinanti; - Definire limiti di accettabilità e di sostenibilità ambientale delle unità produttive fra cui la distanza minima tra insediamenti produttivi - Prevedere criteri localizzativi, per la compatibilità degli insediamenti soggetti al rischio di incidente rilevante al fine di: accertare se vi siano i requisiti
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per mantenere in loco gli insediamenti esistenti, ovvero prescrivere le modifiche tecniche e gli adeguamenti territoriali necessari; disciplinare i nuovi interventi o infrastrutture nell’intorno di insediamenti esistenti (viabilità, luoghi pubblici..) evitando l’aggravio del rischio e conseguenza di incidenti rilevanti; verificare condizioni di ammissibilità per nuovi insediamenti con particolare riguardo alla definizione di adeguate fasce di rispetto circostanti ai nuovi manufatti. RICERCA E INNOVAZIONE Verranno favorite all’insediamento nel PIP le imprese: - Agglomerazioni nel settore produttivo, con particolare impulso alle esigenze di sviluppo dell’innovazione e della ricerca; - Che prevedono l’inserimento di funzioni complementari a quella produttiva e di filiera quali: attività di ricerca e di innovazione, centri di monitoraggio, di servizio alle imprese e alla persone, attività terziarie e espositive. - Che valorizzano attività specializzate nel campo della ricerca e dell’innovazione, che rappresentano tipicità per il comparto produttivo regionale. Quest’ultime, se complementari a quelle di produzione e non inquinanti, possono esser collocate anche in non specificatamente destinati all’artigianato o all’industria. ENERGIA In ogni PIP deve essere prevista l’individuazione di superfici da riservare all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica di competenza statale o comunque di potenza superiore ai 50 MW termini o equipollenti, in attuazione delle previsioni della pianificazione regionale di settore. PARCHI INDUSTRIALI: “Rivivere le aree industriali” È preferibile che venga inserito in ogni PIPIA un cosiddetto “parco industriale”. E’
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preferibile che esso: - si integri al paesaggio - contenga attrezzature di diverso carattere (sportivo, ricreativo,…) - contenga orti urbani - preveda infrastrutture riservate a pedoni e biciclette - debba essere facilmente accessibile con auto - conservi i terreni a uso agricolo - favorisca un mercato a km 0 - non debba essere costruito, per non consumare il suolo (favorendo delle strutture non permanenti) SCELTA DELLE IMPRESE Le imprese che verranno a insediarsi nel PIPIA dovranno avere certi requisiti, pena l’ingresso con riserva all’insediamento (pagamento di una mora/adeguamento ai requisiti fino al raggiungimento del minimo dei punti richiesti). Viene stilato un elenco di requisiti che, sommati, costituiscono punteggio minimo che le imprese devono avere e che concorreranno a stilare una classifica, utile ai fini dell’insediamento. Le imprese ammesse con riserva devono, entro 5 anni, adeguare i propri requisiti agli standard minimi, pena il pagamento di una mora annuale. La mora varia a seconda dei punti che mancano al raggiungimento dei requisiti. Le imprese, invece, che ottengono il punteggio pieno verranno favorite con delle agevolazioni (quali uno sconto nel costo del terreno e la precedenza nelle procedure di insediamento) Questo “rating ecologico e ambientale” favorisce le imprese che hanno:
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-
IPPC – Integrated Pollution Prevention and Control -> AIA
2 pt.
provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto imponendo misure tali da evitare oppure ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
-
Normative Seveso (se imprese a rischio di incidente rilevante)
1 pt.
impone agli stati membri di identificare i propri siti a rischio ponendo un accento sulle sostanze pericolose di cui viene stilata una lista, su piani d’emergenza e al controllo dell’urbanizzazione.
- Applicazione delle BAT (“Best Available Technique” o migliori tecniche disponibili) 2pt.
tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso, sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito del pertinente comparto industriale.
-
Adesione a EMAS
1 pt.
EMAS è uno strumento volontario creato dalla Comunità Europea al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni (aziende, enti pubblici, ecc.) per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni sulla propria gestione ambientale.
-
Adesione a ISO14000
1 pt.
ISO 14000 identifica una serie di standard internazionali relativi alla gestione ambientale delle organizzazioni, stabiliti dall’Organizzazione Internazionale di Standardizzazione (ISO).
-
Adesione a Ecolabel
0.5 pt.
Ecolabel è un marchio europeo usato per certificare il ridotto impatto ambientale dei prodotti o dei servizi offerti dalle aziende che ne hanno ottenuto l’utilizzo.
- Impianti per il recupero e la riutilizzazione delle risorse impiegate nei cicli produttivi 2 pt.
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- Struttura di raccolta e di trattamento dei rifiuti 1 pt. - Iniziative di ricerca e di innovazione 0.5 pt. - Impianti di energia verde (fotovoltaico, eolico,…) 2 pt. - Depurazione acque reflue e il riuso delle acque depurate per usi agricoli e industriali 1 pt. Per un totale di punti 14 e con un minimo di punti pari a 7, pena l’ingresso con riserva al PIPIA. EFFETTI: ESPROPRIAZIONE E GESTIONE DELLE AREE Il PIP (e il PIPIA) si fonda sulla espropriazione delle aree, la loro urbanizzazione e la successiva cessione in proprietà o in diritto di superficie ai privati. Le spese sostenute dall’Ente pubblico per il PIP sono a carico dei singoli acquirenti, dal quale il Comune può ripetere pro quota le somme anticipate e può agevolarne i costi per le imprese che raggiungono il punteggio massimo. L’approvazione del PIP equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti. La legge prevede l’esproprio generalizzato ed obbligatorio di tutte le aree incluse nel piano. L’espropriazione non deve necessariamente avvenire uno actu, ma può essere disposta per tranches previste dai programmi pluriennali. Il Comune dà corso alla procedura espropriativa entro il termine di efficacia del piano. La gestione delle aree espropriate è affidata al Comune che la cede a proprietari privati in proprietà, ovvero concedendo un diritto di superficie. La cessione delle aree in proprietà non può superare il 50% del totale delle aree. Per la realizzazione di interventi (servizi o impianti) pubblicila concessione in diritto di superficie va operata a tempo indeterminato, mentre nei confronti di soggetti privati può avere
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una durata non inferiore a 60 e non superiore a 99 anni. La cessione in superficie oppure in proprietà è accompagnata da una convenzione che stabilisce: - Il costo dell’area, ragguagliato al costo di acquisizione per il Comune dagli oneri di urbanizzazione (tenendo conto della posizione del “rating ecologico e ambientale” e quindi di un possibile sconto per le imprese con il punteggio massimo); - L’obbligo di dar corso all’iniziativa produttiva programmata; - Le sanzioni per l’inosservanza degli obblighi imposti; - Le eventuali more per il non adeguamento agli standard minimi da parte delle imprese entrate con riserva.
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{VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE} SCELTA DI SPECIE VEGETALI IN BASE A: - ORIGINE AUTOCTONA DELLE STESSE, SFAVORENDO SPECIE “DANNOSE” (ES.PINO MARITTIMO) - FIORITURA VARIA E COSTANTE DURANTE TUTTO IL PERIODO DELL’ANNO - VARI TIPI DI OMBRA IN BASE ALLE ESIGENZE DI OGNUNO
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{VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE}
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{VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE} {VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE}
FIORITURA COSTANTE DURANTE TUTTO L’ANNO:
FIORITURA COSTANTE DURANTE TUTTO L’ANNO:
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{VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE} Vari tipi di ombra e quindi di specie in base alle diverse esigenze di ognuno:
LIVELLI DI OMBREGGIATURA:
-
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BIBLIOGRAFIA Andrea Poggio e Maria Berrini, Green Life, Guida alla vita nelle città di domani, edizioni Ambiente, 2010 Colin Ward, Dopo l’automobile, per un nuovo modello di mobilità, Elèuthera, 1991, 2010 Stefano Boeri, L’Anticittà, Laterza, 2011 Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica, Editori Laterza, 1997 Richard Ingersoll, Sprawltown, Meltemi, 2004 Roberto Camagni, Maria Cristina Gibelli, Paolo Rigamonti, I costi collettivi della città dispersa, Alinea editrice, 2002 A cura di Aldo Bonomi e Alberto Abruzzese, La città infinita, Bruno Mondadori, 2004 G. Dupuy, Automobile e Città, Il Saggiatore, 1997 A cura di Maria Cristina Gibelli e Edoardo Salzano, No sprawl, Alinea Editrice, 2006 Luca Mercalli e Chiara Sasso, Le mucche non mangiano cemento, viaggio tra gli ultimi pastori di Valsusa e l’avanzata del calcestruzzo, SMS, 2004 Rem Koolhaas, Junkspace, Quotlibet, 2001 Rem Koolhaas, Delirious New York, Electa, 2001 Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica, Editori Laterza, 1946 Eugenio Turri, La megalopoli padana, biblioteca Marsilio, 2000 Francoise Choay, La città.Utopie e realtà, Piccola Biblioteca Einaudi, 1965
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