Amendolea / Silenzio Sonoro

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15-01-2016

15:55

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Silvia Destito

Partner

Studio Azzurro Produzioni Studiocharlie

Comune di Condofuri

Quando si intraprende un viaggio si inizia quasi sempre da una mappa geografica. Per capire dov’è il luogo da raggiungere. Per conoscere e ri-conoscere. La si consulta su carta, tenendola vicina ai libri che stai leggendo o attraverso le esplorazioni digitali. Durante il viaggio può accadere di ripiegarla, consultarla saltuariamente o decidere di non tenerne conto...perché, poi, accadono altre cose.

AMENDOLEA / Silenzio Sonoro Monotipi e monotipìe di un luogo Rubbettino

Regione Calabria

Assessorato Agricoltura Foreste e Forestazione

Associazione D’Acquaevento / L’associazione propone una visione d’insieme sul rapporto che intercorre tra sviluppo, valorizzazione del territorio e realizzazione di più punti di incontro e di riferimento tra culture e generazioni differenti. All’interno di questa visione nascono progetti e collaborazioni tra persone e realtà orientate ad innescare una riflessione ed un agire diverso sui temi dell’arte, degli spazi, delle relazioni.

Silvia Destito Silvia Destito / Dalla metà degli anni ‘80 ha sviluppato progetti e materiali visuali atti a creare contesti, esperienze e comunicare messaggi attraverso molteplici linguaggi: grafica, fotografia, illustrazione, allestimenti, video. Da sempre orientata verso tematiche sociali, ambientali, culturali, ha collaborato con case editrici indipendenti come autrice e curatrice di iniziative. È stata vicina agli ambiti dell’associazionismo politico-culturale approfondendo, in seguito, le stesse tematiche in un ambito più istituzionale. Da anni è impegnata a delineare percorsi visivo-narrativi, ispirata dai territori, dal valore della cultura immateriale e dalle affinità con persone e situazioni con le quali è stato possibile intraprendere importanti rapporti di collaborazione.

AMENDOLEA / Silenzio Sonoro Monotipi e monotipìe di un luogo

Rubbettino




Silvia Destito

AMENDOLEA / Silenzio Sonoro Monotipi e monotipĂŹe di un luogo

Rubbettino 3


AMENDOLEA / Silenzio Sonoro è un Laboratorio promosso dal GAL Area Grecanica per la realizzazione di un Programma di Iniziative di Arte Pubblica nei Borghi e nei Centri Storici dell’Area Grecanica, nell’ambito della Misura 413.313 del PSL Néo Avlàci. In collaborazione con Aniti Impresa Sociale Responsabile del Laboratorio Silvia Destito / Associazione D’Acquaevento Ideazione e realizzazione progettuale dei contenuti testuali e visivi Silvia Destito Contributi testuali Leonardo Sangiorgi / Studio Azzurro Produzioni Carla Scorda / Studiocharlie Antonina Spanò / Gal - Grecanica Gruppo di coordinamento Antonia Di Lauro Antonina Spanò Stampato su Fedrigoni Freelife Vellum White con caratteri Bodoni Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta degli autori e dell’editore.

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INDICE

Presentazione Antonina Spanò 6 / 7 Amendulìa Silvia Destito 10 / 13 L’Orizzonte calmo del silenzio Leonardo Sangiorgi 14 / 15 Premesse Carla Scorda 16 / 17

Visibile / Invisibile 20

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Paesaggio / Passaggi 46

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Lavorìo / Prospettive 78

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Ringraziamenti 95 Glossario delle immagini 97 / 99

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PRESENTAZIONE Antonina Spanò / Gal Area Grecanica

Dopo un’attenta riflessione sulle attuali esigenze del territorio, il GAL Area Grecanica ha avviato una serie di attività innovative per promuovere e rilanciare la zona che da secoli rappresenta la culla della minoranza linguistica ellenofona del versante jonico meridionale dell’Aspromonte meridionale: la Calabria Greca. Attività che hanno trovato concretezza e realizzazione grazie alla Misura di Incentivazione di attività turistiche Néo Avlàci. L’Agenzia di Sviluppo scommette sul territorio, punta a valorizzarlo dal punto di vista culturale, storicoartistico, ma anche da quello turistico ed economico. I luoghi che furono fonte d'ispirazione per scrittori e artisti, da Edward Lear, Cornelis Escher, per linguisti come Gerard Rhofls e altri studiosi ancora, oggi possono trasformarsi in luoghi di crescita e di sviluppo. Possono creare opportunità per i giovani più inclini alle nuove tecnologie, in grado di collegare culture geograficamente distribuite da un polo all’altro. Scommette, incanalando in un unico programma, il Parco Culturale della Calabria Greca, su un insieme di progetti pensati per valorizzare peculiarità culturali e creative, promuovere attività di rete e di sistema.

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Idee e progetti, quindi, in grado di valorizzare le risorse, ma anche sostenere il recupero, la difesa e la conservazione del patrimonio culturale locale con obiettivi multipli: fruibilità dei siti e dei monumenti di maggior interesse artistico, storico e religioso; realizzazione di un insieme di itinerari finalizzati alla promozione culturale e turistica dell’area; conoscenza e riappropriazione della memoria storica come risorsa immateriale su cui costruire lo sviluppo socio-economico. Teatri e silenzi sonori, boschi e cantine, biblioteche civiche e virtuali, musei e laboratori artigianali e creativi. Ciascuno, in questo progetto, ha concorso con le proprie vocazioni e specificità a posare le prime pietre di un equilibrio affascinante fra cultura materiale e immateriale, fra luoghi e flussi. I confini geografici di questa grande area intellettuale e fisica al tempo stesso non delimitano un unico luogo, sviluppano, anzi, un’idea ampia di territorialità che si moltiplica in località anche distanti tra loro costituendo una vera e propria mappa geografica che ad ogni latitudine coinvolgerà l’intera Calabria Greca. La particolarità dei luoghi che compongono fisicamente questo mosaico daranno vita a una scenografia diversificata nella quale paesaggio, cultura, arte e storia s’intrecciano idealmente per costruire una casa comune.

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AMENDULÌA Silvia Destito / curatore artistico del Laboratorio

Partire / Veloci, cielo e mare scorrono, e un azzurro evaporato inonda il treno mentre le agavi spezzano l’orizzonte. Dalla parte opposta, la terra che emerge dal mare ricorda di essere arrivati all’estremità della penisola Italia, tra terra e acque di mutamenti, di passaggio, di approdo, di separazione, di vita e di morte, nel passato come nel presente. Dalla costa, la meta si raggiunge in macchina risalendo l’interno verso i Piani dell’Appennino Meridionale: Amendulìa, Fiumara d’Aspromonte. Da questo luogo si sviluppa un’idea progettuale che ruota attorno ad un ossimoro. Si avvia una fase di osservazione e di ascolto. Si raccolgono i primi frammenti e bagliori di umore di questo territorio. Quando si intraprende un viaggio si inizia quasi sempre da una mappa geografica. Per capire dov’è il luogo da raggiungere. Per conoscere e ri-conoscere. La si consulta su carta, tenendola vicina ai libri che stai leggendo o attraverso le esplorazioni digitali. Durante il viaggio può accadere di ripiegarla, consultarla saltuariamente o decidere di non tenerne conto...perché, poi, accadono altre cose. Si mettono insieme, parole, segni e pensieri. Per misurare le distanze tra i luoghi, la distanza tra l’obiettivo stabilito e la realtà che si incontra. Sui luoghi la mappa si traccia e si ritraccia, disegnata dalla temperatura che il corpo sente fuori e dentro. Sentire è anche vedere ciò che si sottrae al tempo: Amendulìa è albero, serpente, corpo ciclico e metamorfico della natura. Con i suoi solchi, i suoi simboli. Potenza esplosiva in luce o quiete infida sotterranea: tronco, vitale oppure avaro sulla cui chioma, abbarbicate, comunità resistenti si dispongono a corona.

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Le parole e le immagini di queste pagine seguono la cadenza dei passi, delle pause, dell’umidità, della luce, della notte, della tristezza, della rabbia, dell’angoscia, del silenzio, dell’ineluttabile, dell’incanto doloroso. La Natura di questo luogo, a volte, è un ordine sparso di percezioni appese al nostro albero / serpente. A volte è un ammasso del tutto che precipita inglobando corpo e mente. Fino al momento in cui la ciclicità delle cose che assolve tutto pare riassorbire nell’ombra contraddizioni e tumulti rivelando, invece, “il senso del creare”, la “ forma giusta” del sentire; grazie ad uno scarto imprevedibile, al fluire di una visione condivisa, alle concatenazioni casuali, alle mescolanze rese possibili dai linguaggi dell’arte, all’agire quotidiano di questa figura umana presente /assente che, in lotta perenne tra acqua e pietre, fuoriesce dalla sua corporeità quasi a confondersi, sostituirsi alla materia. Gli stati emozionali vissuti, percepiti o da altri raccontati costituiscono, quindi, un intreccio modellabile, mutabile e in divenire. Un camminamento sugli argini dove la dimensione dell’altrove possibile è posta come premessa per una dimensione culturale e laboratoriale aperta a nuove forme di socialità e sensibilità dello sguardo. Ci si sente piccoli in questi luoghi, che sfuggono a se stessi declinando inesorabilmente verso una storia in dissolvenza. Luoghi dai quali si è fuggiti, dai quali si fugge e nei quali, da altri continenti ci si rifugia. C’è quindi bisogno di una tessitura, di una ricucitura sociale nuova e differente, un misto di fibre naturali e generazioni di transito. C’è bisogno di alfabeti comuni. C’è bisogno di amplificare i silenzi e i canti, gli sguardi e il linguaggio del corpo in cammino che, sulle pietre, sono ancora troppo pochi e deboli.

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Monotipi e monotipìe di un luogo

Monotipi / Dal greco monos e typos “unica impronta” . L’artista realizza l’ immagine direttamente su una superficie: una lastra di metallo, di vetro, di acetato, di cartone... utilizzando colori ad olio, acrilici, inchiostri da stampa o inchiostri ad acqua. È una tecnica intermedia tra l'incisione e la pittura. Si aggiunge e si sottrae. Si lavora al negativo e al positivo. Sull’immagine realizzata si posiziona il foglio di carta sul quale si esercita una certa pressione. L’effetto è inatteso, imprevedibile, non corrispondente all’originale. Così come è unico e originale l’esemplare riprodotto. Non rimarrà, infatti, una matrice da cui tirare altre copie. I monotipi riprodotti in alcune pagine sono stati realizzati utilizzando inchiostri e acrilici. A volte densi a volte molto diluiti. Distesi con spatole e pennelli su lastre di vetro e acetato. Pennelli naturali di setole o composti da ciocche di lana inzuppate di acqua o formati da fiori secchi raccolti durante le passeggiate. Utilizzati per dilavare il colore o per graffiarlo e stamparlo, successivamente. Le monotipie di un luogo / Nascono dalla specificità di un luogo per guardare alla particolarità di quel luogo. Non è, dunque, solo una tecnica. Rappresenta, ancor prima, l'approccio possibile che per ogni punto, angolo di osservazione di dettaglio o di visione d’insieme, permette di avviare un’azione interpretativa declinata in altri ambiti delle tecniche artistiche e della tecnologia finalizzate alla realizzazione di opere uniche e originali. Il Silenzio Sonoro è la partitura dalla quale si aprono strade costellate da “impronte uniche”.

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L’ORIZZONTE CALMO DEL SILENZIO Leonardo Sangiorgi / Studio Azzurro Produzioni

“Non si deve chiedere che cosa significano i miti, perché i miti non significano, operano. Quando, a distanza, ne avvertiamo il senso, i miti si sono già allontanati e il loro posto è stato occupato dai segni che di volta in volta ordinano il nostro modo di vivere e di parlare”. Mi piace pensare a questo frammento di testo tratto dal libro “Paesaggi dell’anima” del filosofo Umberto Galimberti come a una sorta di prezioso indizio, per trovare un modo per accostarsi ad un luogo, ad un territorio e per viverne più profondamente la sua essenza e rintracciarne a partire da esso, la sua anima. In uno scenario come quello presente nel quale siamo pervasi e nutriti di segni che noi stessi produciamo come oggetti residuali di un operato irraggiungibile, mi piace pensare ad una sfida forse irraggiungibile: “É possibile come in un percorso a ritroso, come in una sorta di investigazione sulle tracce dell’anima, partire dai frammenti, dai residui, di un operato e raggiungere la percezione della sua origine, cioè del mito?” L’enunciazione di una sfida procura anche uno stato di ansia, probabilmente perché si usano ancora le parole in quanto segni della ragione, dalla quale è necessario distaccarsi per iniziare questo complesso ma nello stesso tempo emozionante ed emozionale, viaggio di ricerca. In una terra intrisa di richiami continui alla presenza di qualcosa che ci circonda ma che oggi non è più così facilmente percepibile, quasi inafferrabile per le nostre menti, ma ugualmente desiderato come esistente, indipendentemente dal tempo e dallo spazio, proviamo a metterci sulle tracce dell’operato del mito.

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Immersi in esso, producendo noi stessi i frammenti, i residui, da cui partire per la ricerca. A ritroso, come necessita la nostra indagine, ripartiamo da un’opera finita, dal monotipo e dal luogo che l’ha prodotta: il territorio che abbiamo esplorato. Continuiamo l’esperienza fino a quando, la procedura che la realizza non è più un gesto della ragione, una sequenza tecnica precisa e consapevole, ma diventa qualcosa che sembra non appartenerci più, qualcosa che sembra quasi agito o meglio operato da altri. Questo vale per le immagini ma anche per i suoni e le parole. Così, se vogliamo partire anche da frammenti sonori o da semplici testimonianze, è necessario produrne e continuare a produrne. Così, nella continuità e nella ripetizione, del gesto, dell’ascolto e del suono, l’attenzione si sposterà lentamente dal risultato a ciò che l’ha prodotto. Questa sorta di accumulo diventa una scala per risalire dalla ragione ad uno stato più comprensivo di ciò che ci circonda. E a ritroso, abbandonando l’attenzione all’opera per ritornare al luogo, dove per un attimo si è intensificata in una inattesa sospensione, penso a questo momento come il dischiudersi di un passaggio che ci porta dritti verso il nostro obbiettivo. Nella cultura orientale, in particolare quella indiana, a cui la Grecia e poi l’Italia e tutta l’Europa devono molto, per citare sempre le parole di Galimberti ,“ il mito è un certo orizzonte silenzioso che sta al di qua della parola e delle sue possibili interpretazioni, per questo non dischiude una via interpretativa, ma un’esperienza”.

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PREMESSE Carla Scorda / Studiocharlie

Leggere, ascoltare e ragionare sui luoghi, non solo per lavoro, mi ha costretto a fare delle riflessioni per dare coerenza a pensieri, idee e sentimenti che non si accordavano gli uni agli altri e per trovare una serenità che non escluda il coinvolgimento. L’ansia da testimonianza non è uno stato d’animo per me accettabile, nè può essere lo sfondo di qualunque tipo di ricerca o di progetto. La presunta oggettività sa di arbitrarietà. La lotta contro lo stereotipo, che parte dallo stereotipo per prenderne le distanze, è una battaglia persa. L’esaltazione degli aspetti positivi, demandando ad altri attori e ad altri contesti la riflessione su quelli negativi, insinua sospetto. Mi sono convinta del fatto che la cosa più difficile sia trovare delle buone premesse per parlare dei luoghi. Ho l’impressione che ragionare sulle premesse faccia chiarezza sugli strumenti da utilizzare lungo il percorso e contribuisca a delineare obiettivi raggiungibili, forse non assoluti, ma concreti. Credo poi che, alla fine, le premesse diventino esse stesse strumento e obiettivo, nel creare un sottofondo emotivo che dà coerenza all’intero cammino. La nostra mente, carica di esperienze, conoscenze, immagini e ricordi, filtra pesantemente il reale. Chi arriva dall’esterno per conoscere un luogo, non lo conoscerà mai fino in fondo. Chi dall’interno volesse raccontare il proprio territorio, non riuscirà mai a trasmettere nella sua totalità il suo sapere e il suo vissuto. Un visitatore non vedrà mai i luoghi allo stesso modo di un suo abitante, un abitante non vedrà mai i luoghi allo stesso modo di chi è partito ed è tornato, e quest’ultimo non vedrà mai i luoghi come li vede uno straniero che ne è diventato abitante. Ma la consapevolezza della variabilità di punti di vista soggettivi e personali non limita la comprensione, ma, al contrario, ne allarga enormemente i confini, perché introduce una evidenza di complessità là dove la complessità esiste. Dichiara fin dall’inizio una cosa ovvia: che non è possibile guardare ai luoghi in modo semplice, non è possibile selezionare impressioni e informazioni per ricavarne dati che vanno a riempire archivi. È con questa consapevolezza che i luoghi andrebbero raccontati. Ad una semplificazione forzata che raffredda il dialogo, preferisco la ricchezza di pensiero dei singoli che

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sanno di amalgamare le loro percezioni al loro vissuto, che sanno di interpretare attraverso il loro sentire quanto visto e quanto ascoltato. Chi vuole dare dei luoghi una rappresentazione “oggettiva”, solo apparentemente può scomparire dietro a descrizioni, immagini, dati e analisi, mentre ne altera comunque e inevitabilmente i contenuti. Ascoltare chi ci racconta in modo personale la sua visione dei luoghi, che sia osservatore o abitante, ci dice qualcosa dei luoghi e ci dice qualcosa di se stesso, ci coinvolge, spingendo anche noi a reinterpretare le parole attraverso la nostra esperienza. E allora il racconto non è un semplice trasferimento di conoscenze da catalogare, ma diventa scambio e ti invita a ragionare su quello che stai ascoltando, produce associazioni di idee, suggerisce progettualità, e ti fa appropriare di un frammento di quel luogo. Una cosa del tutto simile avviene molto prima, mentre si cerca di decifrare un luogo e di tradurlo con il proprio linguaggio: ci sono persone che si incontrano e che si scambiano un mondo di saperi e sensazioni che va molto al di là delle parole dette e delle voci ascoltate. Il territorio è lo sfondo, la ragione e il destinatario di questi incontri. Incontri tra uomini, tra viaggiatori, tra testimoni, tra comunità, tra popoli, hanno fatto la storia dei territori fino al nostro presente, fino ai nostri incontri. Questa molteplicità di collisioni e di fusioni, in una prospettiva temporale ampia, dà senso al racconto di un luogo, trasmette la consapevolezza di trovarsi in un momento preciso di un cambiamento costante, che coinvolge i territori e gli individui, e la cui direzione non è già fatalmente predefinita. Il territorio trasforma i pensieri ed i pensieri trasformano il territorio. Pensieri parziali possono danneggiare i luoghi e impoverire le vite. Pensieri consapevoli guardano lontano, perché visualizzano un percorso, non sprecano le potenzialità di luoghi e uomini, arricchiscono l’orizzonte. Sono i pensieri di chi racconta e di chi ascolta, di chi attraversa i luoghi e di chi li abita, di chi torna e di chi arriva da lontano, di chi usa i territori e di chi li contempla, di chi li governa, di chi li studia e di chi li progetta. Tutti questi pensieri, nel loro insieme e nelle loro singolarità, possono essere parziali o consapevoli.

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Studio Azzurro / Nel 1982 Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi danno vita ad un’esperienza che nel corso degli anni esplora le possibilità poetiche ed espressive delle nuove culture tecnologiche; a loro si aggiunge, nel 1995, Stefano Roveda. Attraverso la realizzazione di videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, disegnano un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline e formano un gruppo di lavoro aperto a differenti contributi e importanti collaborazioni. La ricerca artistica, all’inizio, si orienta verso la realizzazione di videoambientazioni, in cui viene sperimentata l’integrazione tra immagine elettronica e ambiente fisico. Opere come Il Nuotatore (1984) e Vedute (1985), in cui ricorrono gli elementi della figura umana e della natura, vengono progettate in funzione del contesto spaziale e sociale che dovrà accoglierle. Nel 1995 si delinea un nuovo interesse per le questioni dell’interattività e del multimediale, con la realizzazione di lavori definiti ambienti sensibili, tra cui Tavoli (1995) e Coro (1995). Si tratta di ambienti in cui la tecnologia si fonde con la narrazione e con lo spazio. Nel 2002, viene presentata, a Castel S. Elmo a Napoli e al Mori Art Museum di Tokyo, Meditazioni Mediterraneo, una mostra composta da cinque “paesaggi instabili”, installazioni interattive sul tema dell’identità mediterranea. Quest’opera segna l’inizio di un nuova necessità di confronto con il territorio e la sua identità, che fa convergere le sperimentazioni precedenti verso la progettazione di percorsi museali multimediali. Questo confronto con i valori della memoria e dei luoghi, influenza notevolmente anche il percorso artistico, facendo nascere un nuovo ciclo di opere, chiamato Portatori di storie. Le prime opere di questo progetto, vengono presentate a Casablanca, con Sensible Map, alla Biennale Internazionale di Santa Fe, con La quarta scala e all’Expo Universale di Shanghai 2010, con Sensitive City. 18


Carla Scorda / È nata a Catanzaro e vive a Milano. Nel 2002, insieme a Gabriele Rigamonti e Vittorio Turla, fonda Studiocharlie. Lo studio si occupa di design e di grafica e progetta per diverse aziende tra cui Boffi, Vittorio Bonacina, Lanificio Leo, Atipico. Nel 2004 riceve la Menzione d’Onore al XX Compasso d’Oro ADI per il carattere tipografico Csuni; nel 2015 Studiocharlie e Lanificio Leo, di Soveria Mannelli, Catanzaro, ricevono l'Attestato di Qualità Progetto Committenza dall'AIAP, Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva, per i dieci anni del tessuto Punto Pecora. Nel corso degli anni Studiocharlie ha collaborato con alcune istituzioni per la realizzazione di pubblicazioni, eventi, siti web, tra cui: AESS, Archivio di Etnografia e Storia Sociale; Intangible Search, Inventario del Patrimonio Immateriale delle Regioni Alpine; Associazione Santa Crus di Cerveno, Brescia; Distretto Culturale di Valle Camonica; Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia; Gruppo Istituzionale di Coordinamento del sito UNESCO N.94; Archivio del Patrimonio Immateriale di Valle Camonica; Sistema dei Musei di Valle Camonica.

www.silviadestito.it/estremita www.studioazzurro.com www.studiocharlie.org 19


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Il ponte senza nome La cassetta di Friedrich Abitare Baluginìo delle parole

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Cosa raccontano le pietre L’acqua scorre sopra...l’acqua scorre sotto Silenzio sonoro Disordine apparente

VISIBILE / INVISIBILE

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Il ponte senza nome / Appare in lontananza. Enorme greto di massi bianchi, medi, grandi, enormi. AmendulÏa o Amendolea, il divenire risucchiato all’interno. Sospensione del tempo aggrumato, un quadro senza cornice, nel quale entrare oppure da osservare, a distanza. Poi un ponte la attraversa e ancora, in salita, una strada che si inoltra e ti inoltra.

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La cassetta di Friedrich / Si oltrepassa in quei luoghi dove la natura trasfigura, inghiotte o cancella nomi e forme. Acqua che rotola sassi, vento che fende montagne, luce che accende e spegne colori. I confini percepiti, improvvisamente, precipitano o si esaltano tra dissolvenza e definizione. Fuori e dentro il quadro, le evocazioni sono infinite.

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Abitare / Cespugli, massi, cavità. Spogliate in estate, le euphorbie tinteggiano le rocce sabbiose, come coralli terrestri. I venti eolici carichi di gelsomino e agrumi bucano la materia per qualche utile riparo. Le cavità più basse, alla base delle formazioni rocciose, diventano stanze per capre e caprette che, risalendo dalla fiumara, durante la caligine e al tramonto, si accovacciano per il riposo. Poche le persone che si intravedono tra rami e sentieri o in transito sul ponte senza nome. All’inizio di quest’ultimo, prima di oltrepassare Amendulìa, ci si raggruppa attorno una fontana pubblica. Prevale il suono di due flussi d’acqua. A turno, scambiando qualche parola, vengono riempite le bottiglie. Il ciclista mi offre il suo buongiorno, mentre bevo e chiedo qualche indicazione. Racconta che ogni mattina parte dal suo paese e scende sulla costa, a circa quindici chilometri, per tenersi in allenamento, dice. Alla mia richiesta, volge lo sguardo indicando la direzione da seguire...aggiungendo di fare attenzione per via delle due o tre curve crollate lungo il tratto della strada che porta al paese che devo raggiungere.

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Baluginìo delle parole / Quando sorge il sole o arriva la sera è possibile percepire le altre anime che ancora abitano questi luoghi. Di questo scoglio piazzato al centro dell’alveo, la Rocca del Lupo, gli anziani hanno da sempre raccontato che una volta la sua sagoma rassomigliava alla testa dell’animale. È scomparso il lupo in Aspromonte e anche la sua immagine bisogna cercarla nel crepuscolo che apre le bocche delle sue montagne. Ogni traccia invisibile o visibile è l’avvio di nuove storie mescolate ai racconti della tradizione: astrofanghia, l’albero fluido ramifica misterioso capovolgendo i confini della narrazione. Qui aleggiano mostruose Narade dai verdi capelli, che in altri territori della mitologia greca vagano come Nereidi, creature benevole. Un Cariddi spiaggiato in un tempo congelato osserva legnoso la rocca, forma di lupo mutante, ascolta il sussurro di parole che solo gli anziani osano rammentare. Non conosciamo altri nomi di figure mitologiche...la trasmissione orale di questi racconti popolari avveniva perlopiù al rientro dai campi, quando le luci e le ombre creavano la suggestione ideale per inventare storie che si perdevano il giorno dopo... M. ha uno sguardo azzurro e trasparente come il mare. Vive da anni in uno dei paesi “abbarbicati”a monte del fiume, conversando con i pochi abitanti in lingua grecanica, prendendosi cura di molte cose e dove l’inverno, quando piove, l’unico suono che arriva è quello dei sassi che rotolano giù a valle, a nutrire il serpente di pietra.

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Cosa raccontano le pietre / Il sole è già alto. Prima di incamminarci P. controlla che negli zaini ci sia acqua e cibo. Il letto del fiume è abbacinante, con le caviglie serrate da pesanti scarponi, si cammina tra sassi di tutte le dimensioni. Ci si ferma quando lo sguardo ha necessità di conferme, di spaziare lontano, verso le anse che si inoltrano tra i monti. Si riprende a camminare tra solchi e dislivelli di pietre bianche e arcaiche, punteggiate di quarzo, ferro. Lo smarrimento temporale e di luminanza produce sovrapposizioni di scenari lontani...di mare che si allunga nella foce, di fiume antico forse navigabile.

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L’acqua scorre sopra...l’acqua scorre sotto. Esili rivoli estivi diramano come leggeri capillari tagliando le pietre da una sponda all’altra. “si può morire in un metro d’acqua…” la piena della fiumara non corrisponde all’immagine di un alveo gonfio di acqua. Non il volume, ma la velocità genera potenza e morte. Si attraversa ignari ciò che sopra può apparire superabile. Sotto, l’acqua veloce smuove massi, spezza briglie e ossa. Il cammino è interrotto. Chi vorrebbe aiutare comprende che nessun attraversamento è possibile.

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Silenzio sonoro / Si cammina, sotto il sole, come immersi in un miraggio. Amendulìa offre le sue rocce verticali per rientrare nell’ombra, una sosta senza abbaglio, il momento dell’ascolto. Scorre un fiume di sonorità. Nasida, isola. Ai margini, lembi di terra di forma tondeggiante, allungate, regolari. Coltivate a frutteti e orti. Naside abbandonate e naside resistenti. Lo spazio pare avvilupparsi. Vento e foglie di pioppo si rincorrono a ritmo spezzato, raggiunto da tuoni improvvisi. L’urgenza sessuale delle cicale rende vibrante l’aria. L’acqua scorre senza apparente modifiche di frequenza sonora. Tutto insieme è un urlo di natura che carica di silenzio l’anima.

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Disordine apparente / Tra l’esile ragnatela d’acqua, qui e là un ponte di sassi o un’asse di legno sospesa. L’eco del transito giornaliero arriva da lontano. Campanacci e voci smorzate di richiamo. Lo sguardo rallentato può intravedere le forme del lavoro: geometrie alternate risalgono a triangolo dalle pendici ricamando sentieri che congiungono montagne e comunità. Altrove, mosaici a secco di pietre precipitate incorniciano il terreno friabile... Un cannucciato fitto ripara dal caldo e filtra i raggi solari. L’umidità dell’aria esalta e diffonde l’aroma di cannella e garofano che evapora subito a dispetto della lentezza con cui P. srotola il pacchetto, scoprendo la mattonella dorata. ...è un dolce tipico...si chiama stomatico, mia madre lo prepara ogni settimana...come se non potesse farne a meno: farina, zucchero caramellato e spezie.

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PAESAGGIO

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PASSAGGI

Corpo a corpo Sconfinamenti ProssimitĂ Memoria presente Case sonore Scavare il ricordo

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Corpo a corpo / Giardini spontanei a macchia di artemisie, rovi, fichi d’india, mirto, gelsomino, lentisco. Manto avvolgente e guardingo di vulnerabili coltivazioni uniche e possibili, solo in questi lembi di terra. Alta, forse dieci metri, la sponda di cemento armato sotto il livello del letto fluviale a schermare il pericolo delle piene.

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Sconfinamenti / U. raggiunge il piccolo tavolo rivolto al fiume. Al centro dell’alveo, la Rocca del Lupo si staglia cangiante nelle ombre. La minuscola casa aggrappata su una delle pareti sembra osservare noi osservatori. Siamo nel cuore di una nasida resistente. Attorno, storie antiche di bergamotto, case di pietra, essenze profumate, mulini, uliveti, orti, natura selvatica. Ancora acqua e lavoro. La conversazione è dilatata. ...la fiumara per me è pioggia costante, l’alluvione, la devastazione. Nei miei occhi di bambino, una percezione di paesaggio buio...le donne come un fiume, in processione, vestite di nero, sotto la pioggia, zuppe d’acqua...in pochi potevano permettersi gli ombrelli, neri anche quelli. Nei miei occhi...durante la piena, era possibile vedere intere porzioni di montagna staccate e trasportate...gruppi di pioppi in piedi che scivolavano veloci sull’acqua. Lo sguardo è rapito dal bianco del fiume, mentre immagino il buio raccontato. U. rientra nell’antica casa ritornando poi con qualcosa in mano: ho ritrovato i miei quaderni della scuola elementare. Ho riletto come l’angoscia del pericolo governasse la quotidianità. Anche a scuola, dalla finestra, si osservava il cielo, temendo la pioggia...Sfoglia le pagine, ed è come affacciarsi alla finestra, giorno dopo giorno. Anche ora cade la pioggia.

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Prossimità / Tra fronde chiaroscure, case di asinelli e mangiatoie per riposare, si rivelano i dettagli. Le erbe aromatiche, appena raccolte, gonfiano le bianche federe di cotone appese ad una balconata di ferro. Serviranno per l’inverno, per profumare le pietanze. Qualcuno è intento a smielare i favi. Miele di bergamotto o di quercia o di erica. Qualcuno è fermo ad osservare come varia la luce del giorno. Qualcuno è pronto a risalire per valli e gole. Qualcuno è pronto ad offrire un bicchiere di vino. Qualcuno è pronto ad offrire un caffè caldo. Gli alberi di fico, segnalano la prospettiva centrale che abbraccia il mare tra i due punti di fuga rocciosi. Raggruppati come un faro arboreo dal quale si osserva l’umore del tempo che in questo luogo ha sbalzi repentini. Anche il cibo scandisce tempi, opportunità. Sguardi esterni e sguardi interni. Persone che arrivano da altre distanze, persone che non si sono mai mosse. In questo scambio si ricompongono, si sperano altre forme di lavoro, di esistenza, di piedi che vanno su e giù per sentieri, di mani che vanno su e giù sulle cose, sopra e sotto come l’acqua del fiume. A curare piccoli ritagli di realtà “a parte”.

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Memoria presente / U. parla di L., una di quelle donne capaci di richiamare tutti i bambini della vallata e di incantarli con storie fantastiche e misteriose. Donne grandi, rotonde come figure mitiche. Una Grande Madre che racchiude in sè potere affabulatorio, dolcezza, odore di pane e di terra e di cui si sente sempre la mancanza. Lungo il sentiero di pietra gli oggetti ancora parlano. In una sequenza a scalare, tre contenitori di rame rimangono come sentinelle veglianti sulle fasi di un ciclo stagionale che ritorna ai perimetri della nasida coltivata a bergamotto. Addossata alla sponda di cemento che trattiene l’alveo, una parete lignea di fitti e dritti rami decorticati, pronti come“braccia di sostegnoâ€?, nel caso gli alberi carichi avessero bisogno di essere sostenuti. Poi la raccolta e le trasformazioni sapienti diventano nutrimento per il corpo e per la mente.

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Case sonore / Parlano i sassi che uno sull’altro, sono diventati pareti respiranti. Calce, terracotta, canne, ginestra...fibra di memoria intrecciata a sipario, a ordito, spartito di sonata per parole e gesti. Una partitura delle cose inattacabile dal presente corrosivo... Le porte si aprono e si chiudono. Si arriva, si parte. Incontri di comunità piccole. Il cielo della sera, dopo l’indaco crepuscolare è profondamente nero, costellato da una dilatata via lattea. Rimane Amendulìa ad attrarre nel suo pallore lunare e indicare la direzione. In lontananza un fioco bagliore di lampadina. Alziamo le voci, al di sopra del frinire esaltato dei grilli. È difficile distinguere anche il proprio corpo. Si ride, ci si riconosce. N. fa parte di un gruppo di donne camminatrici venute dal nord. Certe sere, non viene sonno e allora viene voglia di arrendendosi allo spaesamento di questa mappa del cielo che cade addosso. Parliamo di musica guardando in su, sottovoce.

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Scavare il ricordo / Appena tagliato, il tronco di gelso nero andrà portato in segheria. Se ne ricaveranno delle assi di lunghezza differente. Da cinquanta a trenta centimetri, tre e due di spessore. Dovranno bollire per quattro cinque ore e poi posizionate nella forma. P. è un pastore che accompagnava il nonno, pastore anche lui. Osservava gesti che oggi permangono. Nella sua casa, anche laboratorio, tavoli di legno e attrezzi indispensabili. Collari ricamati per capre e pecore e, quando si toccano, allegro scampanio dissonante.

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L’elencazione delle fasi di lavoro continua mentre da un tavolo all’altro si sposta un attrezzo da lavoro di ferro dall’aspetto pesante. Continua A. la moglie di P. ....dopo la bollitura si prende il legno e si mette in questa forma che chiamiamo “votaturi”. Quando il legno è piegato si lega con uno spago o un fil di ferro per mantenere la forma. Poi le forme si immergono in acqua fredda. Dopo mezz’ora si distendono su un tavolo ad asciugare per due giorni e successivamente con una matita si disegnano delle forme...foglie, quadrati... Poi si incidono con la una punta di un coltellino. La lama affilata è incastrata in un manico di legno intagliato a mano. Un tassello di naturale contrasto, un pezzo di canna di fiume, funge da tappo. Il piccolo coltello scava altri utensili da lavoro. Ricama capinte, tipici bastoni da passeggio. Rende glabri i rami di pero trasformandoli in scultorei paioli per girare, girare, girare siero e ricotta. L’accumulo di ricordi fuoriesce attraverso la ripetizione di un gesto sicuro, nodoso, che conosce e riscava la materia per riprodurre la forma dell’esperienza personale. Nel mese di novembre si tagliano i rami di castagno per “arrostire” le capinte. Il legno va posto sulla brace e appena “spara”, va piegato e legato. P. ha un sorriso largo, sincero e un po’ timido mentre mi fa dono della sua ultima capinta.

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Accordatura agripastorale / Le misure dei collari sono pensate per i diversi animali. Caprette, capre, caproni, agnelli, pecore e montoni. Diverse le circonferenze. Ad ogni collare è legato, con un laccio di cuoio, un campanaccio. I campancci di P. provengono dalla provincia di Cosenza. È la qualità dei campanacci a determinare quella del suono e anche l’accordatura. Piccole martellature avvolgono il metallo. Le ammaccature determinano il cambiamento tonale, la variazione sequenziale del suono. Quando il gregge sarà libero al pascolo, ma non visibile agli occhi del pastore, le differenze sonore sapranno orientare anche visivamente e “rintracciare” gli spostamenti dei singoli animali. Dovrebbe venire la mattina del sabato santo per vedere quanto è bello! dice A. Quel giorno, le greggi vestite a nuovo, scendono al fiume. Ogni esemplare sfoggia la sua collana sonante con intaglio antico. Per chi ha i collari più belli è un giorno importante.

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Transumanza generazionale / P. possiede due greggi. Uno di capre e uno di pecore. Pascolano su zone separate, sui versanti laterali della fiumara. Il letto di pietre si attraversa in jeep. Con il figlio di P. risaliamo uno dalle pendici per raggiungere le pecore e poi le capre dalle lunga corna ritorte. Le capre aspromontane. No, non saprebbe fare le stesse cose del padre. Non ho sufficiente pazienza nell’osservare ed imparare. Non lo ritiene interessante, aggiunge, mentre staccata una fronda di ulivo la rivolge, reggendola con la mano verso una capra che inizia a ruminare tranquilla. L’altra mano accarezza la testa dell’animale. Ăˆ bravo con lo smartphon che non lascia mai nemmeno quando conduce la jeep sul fiume bianco. Ad A. piace occuparsi delle greggi senza avere ricordi di ricami.

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LAVORÃŒO

PROSPETTIVE

_ La luce della notte _ Inquadrature e Temperature

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Chiudi il tuo occhio fisico al fine di vedere il tuo quadro con l’occhio dello spirito. Poi dai alla luce ciò che hai visto durante la notte, affinchè la tua visione agisca su altri esseri dall’esterno verso l’interno. Caspar David Friedrich / 1774-1840

“Lo studio di Fredrich era completamente spoglio [...]. Null’altro che il cavalletto, una sedia e un tavolo, sul quale era appesa, per tutta decorazione, una riga a T che nessuno capiva a che dovesse tanto onore. Persino la cassetta dei colori, la cui presenza sarebbe stata più che comprensibile, e le bottiglie dell’olio e gli stracci erano relegati nella stanza accanto, perché Friedrich riteneva che tutti gli oggetti esteriori disturbassero il mondo delle immagini interiori. Jean Paul Kügelgen

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La luce della notte / Le passeggiate hanno inquadrato un territorio nel quale, entrando, era possibile infilare nella sacca qualche sasso, qualche fiore, qualche legno, qualche oggetto e dal quale, uscendo, era possibile riflettere sull’eccesso, sulla sospensione e sull’assenza delle cose. Dal faro arboreo di fico non si intercettano frequenze radio elettromagnetiche ma si possono ancora inventare francobolli e cartoline. Taccuini, matita e penna per ritracciare dintorni e contorni. G. arriva da Napoli, ingegnere elettronico, docente universitario. Da due anni torna nello stesso posto, la nasida dove non c’è campo, dove non c’è segnale, dove non c’è segno di tutto ciò che gli possa ricordare che il suo lavoro è anche quello di guardare ai ponti dell’etere. “Questa luce dà evidenza alle forme della realtà...i suoni, alla verità delle cose”. Anche G. ama sedersi sotto il faro di fico, dove non è raggiungibile, a leggere i suoi libri di storia e archeologia.

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Inquadrature e temperature / L’inquadratura come relazione tra spazio fisico e mentale; in ciò che si include, si sfoca, si ascolta, si tralascia nei vari piani...Nei movimenti del corpo vedente che sente il rapporto tra le materie che generano calore e freddo, che percepisce la realtà fisica di questo scambio molecolare di cui è parte. La luce rimbalza sulla materia delle cose determinando trasformazioni fisiche che la mente, gli occhi traducono: colore, riflesso, riflessione, di corpo in corpo. Materie che inquadrano forme di memoria - oltre ogni consapevole o inconsapevole rappresentazione - , termometri di significati, sentimenti e sgretolamento.

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RINGRAZIAMENTI

Come affermato nell’introduzione sui Monotipi, questo lavoro, che si presenta come una partitura, non avrebbe potuto prendere forma senza la musicalità delle persone che ne rappresentano il corpo polifonico. Un ringraziamento va a tutte le voci di cui non conosciamo il nome...come il signore che mi ha fermato per strada incuriosito dalla copertina del libro che tenevo in mano. Notevole spunto, a suo dire, per suggerirmi di andare a visitare una chiesetta semiabbandonata nella direzione di Palizzi..., il barista che offre il caffè, appena conosce le motivazioni della mia presenza da quelle parti, il ciclista preoccupato, il cantautore delle acque, il contadino spaesato e altri ancora. Un ringraziamento per le voci che hanno un nome, come Giuseppe Battaglia, architetto e guida escursionistica; Ugo Sergi, ideatore insieme alla sua famiglia e collaboratori di una nasida dell’anima; Alfonso Picone Chiodo, escursionista e scrittore; Pietro Cilione, pastore intagliatore, sua moglie Angela e tutta la sua gentilissima e allegra famiglia; Andrea Laurenzano, spola verde dei sentieri; Domenico Nucera, protettore di luoghi invisibili; Giovanni Maisano, contadino e custode dei riti che guardano ad Oriente; Mario Anthamatten, pastore di alpeggi svizzeri; Giovanni Leone, ingegnere elettronico e viaggiatore; Aldo Rizzo, guida del Parco Nazionale dell’Aspromonte, messo alla prova da resistentissime e simpaticissime camminatrici quali Annamaria Varisco, Paola Leoni, Marcella Pedretti, Nadia Fornasiero, Dina Malagamba, Liliana Sartori, Annamariagrazia Mattavelli, Tullia Resasco. Voci, variegate, di sonorità contemporanee.

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GLOSSARIO DELLE IMMAGINI

Tessiture / Monotipi Elettronico Acrilico su acetato Stampa su carta

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Vie dell’Acqua / Monotipi Inchiostro ad acqua su acetato e vetro Stampa su carta

Motivi Tradizionali composizione tratta da un particolare inciso su un collare di capra in legno e una conocchia intagliata nella parte terminale. Museo Calabrese di Etnografia”Raffaele Corso”. Palmi - Reggio Calabria

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Geografie / Monotipi Inchiostro ad acqua su acetato e vetro Stampa su carta

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Massi / Monotipi Inchiostro ad acqua su acetato Stampa su carta

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Questo volume è stato stampato da Rubbettino print su carta ecologica certificata FSC® che garantisce la produzione secondo precisi criteri sociali di ecosostenibilità, nel totale rispetto del patrimonio boschivo. FSC® (Forest Stewardship Council) promuove e certifica i sistemi di gestione forestali responsabili considerando gli aspetti ecologici, sociali ed economici. Stampato in Italia nel mese di gennaio 2016 per conto di Rubbettino Editore srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) www.rubbettinoprint.it 100


COPERTINA B:Layout 1

15-01-2016

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Silvia Destito

Partner

Studio Azzurro Produzioni Studiocharlie

Comune di Condofuri

Quando si intraprende un viaggio si inizia quasi sempre da una mappa geografica. Per capire dov’è il luogo da raggiungere. Per conoscere e ri-conoscere. La si consulta su carta, tenendola vicina ai libri che stai leggendo o attraverso le esplorazioni digitali. Durante il viaggio può accadere di ripiegarla, consultarla saltuariamente o decidere di non tenerne conto...perché, poi, accadono altre cose.

AMENDOLEA / Silenzio Sonoro Monotipi e monotipìe di un luogo Rubbettino

Regione Calabria

Assessorato Agricoltura Foreste e Forestazione

Associazione D’Acquaevento / L’associazione propone una visione d’insieme sul rapporto che intercorre tra sviluppo, valorizzazione del territorio e realizzazione di più punti di incontro e di riferimento tra culture e generazioni differenti. All’interno di questa visione nascono progetti e collaborazioni tra persone e realtà orientate ad innescare una riflessione ed un agire diverso sui temi dell’arte, degli spazi, delle relazioni.

Silvia Destito Silvia Destito / Dalla metà degli anni ‘80 ha sviluppato progetti e materiali visuali atti a creare contesti, esperienze e comunicare messaggi attraverso molteplici linguaggi: grafica, fotografia, illustrazione, allestimenti, video. Da sempre orientata verso tematiche sociali, ambientali, culturali, ha collaborato con case editrici indipendenti come autrice e curatrice di iniziative. È stata vicina agli ambiti dell’associazionismo politico-culturale approfondendo, in seguito, le stesse tematiche in un ambito più istituzionale. Da anni è impegnata a delineare percorsi visivo-narrativi, ispirata dai territori, dal valore della cultura immateriale e dalle affinità con persone e situazioni con le quali è stato possibile intraprendere importanti rapporti di collaborazione.

AMENDOLEA / Silenzio Sonoro Monotipi e monotipìe di un luogo

Rubbettino


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