In viaggio con Barlaam numero 04

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Barlaam IN vIaggIo CoN

tra mare, montagna, miti e leggende

Rubbettino

Rivista trimestrale su cultura, storia, tradizioni, arte, paesaggio e ambiente a cura del Gruppo di Azione Locale del Basso Tirreno Reggino

N 4/2015




Indice 3

ARRIVEDERCI DA UNA SPLENDIDA E UNICA TERRA

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di Antonio Alvaro - Presidente G.A.L. BaTiR

La memoria e il racconto...

SULLA COSTA DI CALABRIA LE ISOLE VANNO ALLA DERIVA

di Domenico Zappone

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ULIVI MAESTOSI E OLIO DI QUALITÀ

di Filippo Teramo

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TRA I GRANDI DEL PASSATO VIAGGIO QUASI IMMAGINARIO NEL TERRITORIO DEL GAL BATIR

Prima parte di Santino Salerno

40 SHADES

di Fortunato Cozzupoli e Francesco Vita

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Focus GAL BaTiR

IL GAL BATIR VOLANO DI CONOSCENZA

di Francesco Vita

Direttore responsabile Santino Salerno

13 AL DI QUA DAL MARE.

LE TORRI COSTIERE DELLA COSTA VIOLA

di Eleonora Uccellini

18 LE TERRAZZE SUL MITO di Fortunato Cozzupoli e Francesco Vita

22 PERCORSI di Elisa Morano

24 IL TRACCIOLINO

È UNA FIABA VERA

di Francesco Bevilacqua

28 IL GOJI ITALIANO

PARLA CALABRESE

di Rosario Previtera

32 DELIZIE CALABRESI DELLA

TRADIZIONE NATALIZIA

di Federica Morabito

Coordinatore editoriale Filippo Teramo Coordinatore redazionale Federica Morabito Cura redazionale Maria Teresa D’Agostino hanno collaborato a questo numero: Francesco Bevilacqua, Fortunato Cozzupoli, Federica Morabito, Elisa Morano, Rosario Previtera, Santino Salerno, Filippo Teramo, Eleonora Uccellini, Francesco Vita Traduzioni abstract Sebastiano Iaria Foto di: copertina e pag. 1 G. Fullin; pag. 4 F. Losito; pagg. 5, 6, 7 F. Teramo; pag. 8 archivio famiglia Florio; pag. 9 archivio M. Villari; pagg. 10, 11 archivio S. Salerno; pag. 12 rebstein.wordpress.com; pagg. 13, 14 R. Previtera; pag. 15 F. Losito; pag. 16 G. Fullin; pag. 17 R. Previtera; pagg. 18, 19 R. Caratozzolo; pag. 20 S. Mileto; pag. 21 E. Morano, D. Riefolo; pagg. 22, 23 E. Morano; pag. 24 F. Bevilacqua; pag. 25 M. Gramuglia; pag. 26 F. Bevilacqua, M. Gramuglia; pag. 27 M. Gramuglia; pagg. 28, 29, 30, 31 R. Previtera; pagg. 32, 34 F. Morabito; pag. 33 wikipedia.org; pag. 35 openmag.it; pag. 36 G. Fullin; pag. 37 www. scallatt.it; pagg. 38, 39 D. Riefolo, pagg. 39, 40, 41 G. Fullin; pagg. 42, 44 archivio Gac dello Stretto; pag. 45 G. Fullin; pag. 46 E. Morano; pag. 47, 48 G. Fullin

Copyright Rubbettino Editore S.r.l. Direttore Editoriale - Luigi Franco Redazione - Giuseppe D’Arrò Progetto grafico - Inrete Impaginazione - Cesarina Iiritano Stampa Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore S.r.l. 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) Numero 4 in attesa di registrazione Finito di stampare nel mese di dicembre 2015


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ARRIVEDERCI DA UNA SPLENDIDA E UNICA TERRA di Antonio Alvaro - Presidente G.A.L. BaTiR

Un arrivederci… questo vuol essere il mio editoriale a conclusione di un avvincente “In viaggio con Barlaam”. Un viaggio lungo un anno che intendiamo riprendere nel 2016. Ma il mio editoriale è anche l’occasione per tirare le somme, per fare un bilancio, come spesso avviene alla fine di un percorso, quello tracciato in questo 2015, anno di intensa programmazione, che ha dato molti frutti e che tanti ancora ne darà. Sì, perché il nostro lavoro come Gal non si ferma, bensì prosegue nella direzione dello sviluppo del territorio del Basso Tirreno con una serie di azioni mirate a promuovere, favorire e sostenere processi di crescita e a migliorare la qualità della vita nelle aree rurali. Un’attività che possiamo definire importante per la realizzazione di tantissimi progetti e obiettivi che ci eravamo ambiziosamente prefissati. L’Ecomuseo, il Paesaggio Rurale, il marchio d’area “Tyrrenico”, la costruzione della “Strada dei sapori”, sono solo alcune delle iniziative che sono state realizzate in questo 2015 e che costituiscono le basi, le fondamenta, sulle quali costruire il nostro futuro, il futuro dei nostri amati territori. Ed è proprio da qui che partiamo, dal territorio, dalla cosiddetta programmazione partecipata: tutto nasce dalle reali necessità di questi luoghi, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali. Nessuno conosce i problemi come chi il territorio lo vive quotidianamente ed è sulla base di queste esigenze che mettiamo in campo azioni concrete per l’attuazione del Piano di Sviluppo Locale. Strumenti ed opportunità, sono questi gli elementi chiave che il Gal mette a disposizione delle comunità locali perché si realizzi una, ormai improcrastinabile, crescita culturale ed economica, sfruttando appieno le potenzialità del territorio. Il nostro compito come Gal, dunque, non si esaurisce ma si rinnova giorno per giorno, anno dopo anno,

con una programmazione a lungo termine nel corso della quale dare vita ai progetti, sostenere le nuove aziende consolidando quelle già finanziate. Un acuto lavoro di posizionamento e creazione di infrastrutture specifiche in ambito di servizi e produzione, che una volta portato a compimento creerà ricchezza economica e culturale; una serie di step che vanno messi a punto nelle varie programmazioni. Abbiamo accennato alla realizzazione di obiettivi importanti, tra questi una grande vittoria è rappresentata dal Distretto Agroalimentare di Qualità della Piana di Gioia Tauro dell’Area dello Stretto, uno strumento importante per la futura programmazione e fondamentale per l’effettivo sviluppo del territorio che offre risposte rilevanti nel mondo dell’agricoltura e dell’agroalimentare. Tutto ciò va proiettato verso il futuro, la nuova programmazione rafforza ancor di più lo sviluppo sostenibile per migliorare la qualità della vita. Miglioramento che passa necessariamente attraverso l’innovazione tecnologica; puntiamo, inoltre, sulla diversificazione dell’attività lavorativa creando prodotti competitivi e di qualità. Risulta dunque positivo il bilancio del Gal BaTiR, e lo è anche quello della nostra rivista. Accostiamo, ma non chiudiamo, questa finestra, che abbiamo voluto spalancare per mostrarvi le bellezze e le ricchezze del nostro comprensorio, spaziando dagli itinerari ai prodotti della terra, dalle specialità gastronomiche alle peculiarità artigianali, dalle memorie storiche alle leggende mitologiche; una finestra dalla quale avete potuto osservare il nostro lavoro. Chiudiamo l’anno con l’intento di ricominciare il nostro cammino come Gal ed il nostro percorso, con “In viaggio con Barlaam”, tra mare, montagna, miti e leggende, per raccontarvi ancora di storia, cultura e tradizione della nostra splendida e unica terra.


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ULIVI MAESTOSI E OLIO DI QUALITÀ di Filippo Teramo

Filari di uliveti

Tra terre aspre ed incontami-

nate, gli ulivi millenari dominano la Piana di Gioia Tauro e tendono il loro sguardo al Basso Tirreno e alle leggendarie isole di Eolo. Porta d’accesso al Parco Nazionale d’Aspromonte, San Giorgio Morgeto, sorge alle falde del contrafforte che collega le Serre all’Aspromonte. Tra queste terre aspre ma fertili e dominate da uno sterminato bosco di ulivi, opera l’azienda Olearia San Giorgio, tra le più importanti produttrici di olio di qualità.

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l paesaggio si estende dal Sant’Elia fin quasi a Capo Vaticano; un immenso scenario dominato da una smisurata estensione di ulivi millenari, un mare verde che fa da controcanto all’azzurro del Tirreno che all’orizzonte tende le braccia alle isole Eolie. Siamo a San Giorgio, l’antico e splendido borgo in cui natura, mito e storia s’intrecciano in un unicum indissolubile. Situato alle falde del contrafforte dove le Serre cedono il passo per aprire la porta d’accesso al Parco Nazionale d’Aspromonte, San Giorgio Morgeto, vanta una storia millenaria: “È Castello antichissimo – annota lo storico Girolamo Marafioti nelle sue Croniche et antichità di Calabria - lo fabbricò Morgete figliuolo d’Italo, che perciò fu chiamato Morgeto”. Visibili orme di una nobile vetustà, sono i manufatti del centro storico, le chiese, il convento dove dimorò Tommaso Campanella, la fitta trama di “carrere” che si intrecciano e si slegano nei bagli in cui si ergono modeste ma decorose abitazioni ed antichi palazzi nobiliari. I torrenti Muscarà e Patelli circondano la


5 Domenico Fazari

collina mentre le acque delle fiumare Ierapotamo e Vacale tratteggiano i confini di un territorio che dalla montagna si protrae a valle, in una alternanza di agrumeti e uliveti, fino alla piana di Gioia Tauro e Rosarno. È qui che incontro Domenico Fazari, amministratore delegato dell’azienda “Olearia San Giorgio”, che sin dai primi anni ’90 eredita le redini dell’impresa familiare che nonno Domenico, avvalendosi della collaborazione dei suoi cinque figli (Vincenzo, Giorgio, Giuseppe, Michele e Salvatore) aveva creato negli anni ’40 prendendo in affitto un oliveto ed un piccolo oleificio. “Iniziai a lavorare in azienda appena terminati gli studi superiori. I primi anni ’90 – non avevo neanche trent’anni – costituiscono l’esordio del mio ruolo direttivo come amministratore delegato. Propongo con convinzione agli zii soci di puntare sull’innovazione e sull’alta qualità delle produzioni. Mi danno carta bianca, e così inizia la fase sperimentale con l’introduzione di nuovi cloni olivicoli, delle prime tecnologie, dei nuovi sistemi produttivi, della strategia che ha come obiettivo la qualità e, successivamente, a partire dai primi anni del 2000, la commercializzazione dell’olio fuori dai confini regionali”. Il resto è storia dei giorni nostri e, nell’anno appena concluso, abbiamo raggiunto il traguardo dei settantacinque anni di attività nel campo dell’oli-

vicoltura forti della consapevolezza che serietà, impegno, dedizione al lavoro e lungimiranza sono gli ingredienti giusti per produrre olio di qualità e sfidare il mercato. “Oggi sono in tanti – aggiunge con orgoglio Domenico Fazari – e non solo in Italia, quelli che ci riconoscono di aver lavorato bene”. L’azienda di famiglia si estende per oltre 140 ettari e con le sue venticinquemila piante di ulivo, impiantate tra San Giorgio Morgeto e Cittanova, l’“Olearia San Giorgio” è tra i maggiori produttori in un territorio noto per spiccata vocazione olivicola. “Diamo lavoro a 35 operai di comprovata esperienza e a 5 affiatati operatori dello staff amministrativo/commerciale e logistico. Conserviamo le olive in un moderno reparto, le lavoriamo in un efficiente oleificio, e spediamo il nostro prodotto con corrieri puntuali costituendo una filiera produttiva certificata”. L’“Olearia San Giorgio” negli anni ha anche saputo conciliare i bisogni e le esigenze dell’imprenditorialità con quelle della produzione di qualità e l’attenzione verso i principi della socialità e dell’umanesimo del lavoro. “Vogliamo essere gelosi custodi di antiche tradizioni – afferma Domenico Fazari – che tengono

Spremitura


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Scrollatura

Depurazione acque di vegetazione

alto il culto della vera arte olearia, e vorremmo essere umili profeti della rigenerazione dell’olivicoltura calabrese”. Già, umili profeti. Come nell’ottobre del 2014 quando la lungimiranza dell’“Olearia San Giorgio” crea occasioni di tutela ambientale ma ancor di più produce opportunità di incremento economico per l’industria olearia di qualità. Era il 9 ottobre quando venne presentato il “prototipo” che consente di far uscire da una parte acque reflue con carico inquinante praticamente pari a zero e dall’altra un concentrato di sostanze bioattive. Progetto realizzato grazie ad un “Accordo di Programma Quadro” e al contributo di vari partner come l’Università di Bologna, Istituto per la Tecnologie delle Membrane, il CNR di Rende e l’associazione di produttori olivicoli APOR di Gioia Tauro.

I Fazari, hanno compiuto un triplo salto mortale nel processo di lavorazione dell’olio d’oliva, abbattendo il muro della diffidenza di quanti a torto ritenevano che in quella zona si potesse produrre solo olio lampante. “Certo, la bontà dell’olio è strettamente legata alla qualità delle olive – mi racconta ancora Domenico Fazari – a partire dalla potatura degli alberi, alla concimazione, alla raccolta tempestiva, alla cura nel processo nelle varie fasi di trasformazione, dalla frangitura a tutte le necessarie operazioni per arrivare al prodotto finito”. La maturazione delle olive avviene generalmente a metà ottobre per la cultivar autoctona “Ottobratica” e successivamente per le altre varietà. “L’uomo deve rovinare il meno possibile ciò che la natura dona, nella Piana si può fare extravergine di


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Raccolta delle olive

Among harsh and pristine landscapes, the ancient olive trees overlook the plain of Gioia Tauro gazig at the Low Tyrrhenian and at the legendary islands of Aeolus. Gateway to the National Park of Aspromonte, San Giorgio Morgeto lies at the foot of the spur that connects Serre to Aspromonte. Among these harsh but fertile landscapes dominated by an immense forest of olive trees, is located the olive oil company “San Giorgio” which is one of the most important producers of high quality olive oil.

qualità ma bisogna spogliarsi delle presunzioni e aprirsi al confronto. La sfida sta proprio in questo”, sottolinea Fazari, nel descrivere i numerosi sistemi di raccolta delle olive e che raggruppa in due grandi categorie: la raccolta manuale e quella meccanica. Le olive raccolte vengono trasportate al frantoio e, prima della molitura, vengono lavate per eliminare eventuali corpi estranei che potrebbero incidere negativamente sulla qualità dell’olio. Altre fasi importanti sono la gramolatura e la spremitura: nella prima la pasta di polpa e noccioli d’oliva viene rimescolata per ridurne il volume e per separare l’acqua di vegetazione dall’olio, rompendo le emulsioni di olio e acqua prodotte nel corso della frangitura. Anche in questa fase, particolare attenzione va prestata alla temperatura che deve essere bassa e per tempi non eccessivamente lunghi, in modo tale da rendere il contatto dell’olio con l’aria e con la luce il più breve possibile, pur mantenendo una buona resa di estrazione. La spremitura invece avviene tramite macchine a ciclo continuo,

per centrifugazione e tenendo sotto controllo la temperatura. Con tale sistema è agevolata la velocità di produzione dell’olio e sono accorciati i tempi di lavorazione e di stoccaggio delle olive. Nelle successive operazioni di travaso e di filtratura naturale con cotone idrofilo, la qualità del prodotto finale diventa un traguardo vicino. Un moderno e curato reparto, con cisterne in acciaio inox, è allestito per la fase di stoccaggio dell’olio. La tecnica di conservazione praticata dall’“Olearia San Giorgio” garantisce che l‘olio mantenga inalterate le proprie caratteristiche compositive nel tempo, evitando contatti con due dei più grandi nemici dei grassi: la luce e l’ossigeno; a tal proposito l’azienda morgezia effettua la conservazione sotto azoto inerte. Tra i prodotti dell’azienda meritano di essere menzionati l’“Aspromontano extravergine d’oliva”, l’“Ottobratico”, le “Terre di San Mauro”, l’“Aspromontano vergine”, il “Patè” e non ultimo il “Pandulivo”, panettone all’olio extravergine d’oliva. Ma l’operazione di cui va ancora più orgoglioso Domenico Fazzari è l’“Opera Olei”, progetto nazionale che in un box vede l’assemblaggio di sei bottiglie da 100 ml di olio extravergine d’oliva monocultivar dei più importanti produttori italiani (Frantoi Cutrera con il “Tonda Iblea”, Frantoio Franci con il “Frantoio”; l’Azienda Agricola Quattrociocchi con l’“Itrana”, l’Agraria Riva del Garda con il “Casaliva”; l’Olearia San Giorgio con l’“Ottobratica” e l’Azienda Agricola Viola con il “Moraiolo”). E dopo la terribile annata del 2014, che ha visto la produzione calare del 70% rispetto all’anno precedente, si prevede un super 2015 d’oro nella produzione di olio sia come quantità che come qualità. Oggi, con il crescente turismo sulle vie dell’olio c’è la possibilità di assistere a tutto il ciclo produttivo, dalla raccolta fino alla degustazione. Qualcosa di inebriante. Soprattutto in Calabria, a San Giorgio Morgeto dove il paesaggio agreste è eccezionale e la qualità del pane, per assaggiare la prima spremitura, esalta il prodotto.


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Alba Florio

TRA I GRANDI DEL PASSATO VIAGGIO QUASI IMMAGINARIO NEL TERRITORIO DEL GAL BATIR Prima Parte

di Santino Salerno


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Da Scilla a Melicuccà, pas-

sando per Bagnara, Palmi e Seminara; è questa la prima parte di un viaggio “quasi immaginario” nel territorio del GAL BATIR, tra intellettuali, uomini e donne che, con le loro opere, il loro impegno nei diversi campi del sapere e dell’arte, hanno dato lustro alle rispettive città natali, contribuendo allo sviluppo degli studi letterari, umanistici, artistici, musicali, filosofici e scientifici, animando il dibattito culturale e portando la Calabria nel più ampio contesto nazionale.

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cilla è tutta splendente nella luce del primo mattino mentre dall’alta rocca del mito, si spande sul mare dello Stretto una dolce voce di donna: «Paese foce dei venti, / rivivono in me le tue radici, / pesante il cuore / d’inappagati ritorni, indovina / la primavera delle tue rupi…» Mi guardo intorno ma non vedo nessuno, riconosco i versi di “Paese” della silloge Oltremorte con cui Alba Florio (Scilla 1910-Roma 2011) vinse, nel 1936 il premio nazionale di poesia “Maria Enrica Viola”. Un riconoscimento lusinghiero per la giovane poetessa scillese che, dopo l’iniziale percorso d’ispirazione pascoliana, aprì in Calabria l’itinerario poetico del Novecento e venne accolta nell’aristocratico sodalizio messinese, contiguo alla cultura europea, animato da Salvatore Pugliatti, Salvatore Quasimodo, Luca Pignato e Giovanni Antonio Di Giacomo detto Vann’Antò. Il canto di Alba Florio mi segue lungo il cammino ma sono già in vista di Bagnara, città delle bellissime e infaticabili “femminote”. Anche qua avverto una musica e una voce forte e distesa «… e ti perdi dentro a un cinema / a sognare di andar via …» non posso sbagliarmi, non si può sbagliare … «… gli uomini, …» il registro vocale è inconfondibile «… prima parlano d’amore e poi ti lasciano…» è la voce di Mia Martini (Bagnara 1947-Cardano al Campo

Mia Martini in una foto del 1993


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Messinetti, Répaci e Ungaretti a San Giovanni in Fiore

1995), grande e sfortunata interprete musicale nata qui, in questa città industriosa, davanti a questo mare la cui risacca è come una voce che racconta di fatiche e di storie avventurose e d’intraprendenza. È da qui, da queste spiagge, che tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento partirono i Florio verso la Sicilia conquistando i mercati vinicoli con la produzione del Marsala. Da qui, da Bagnara, partì Vincenzo Fondacaro (Bagnara 1844-1893), capitano della marina mercantile inglese, per affermare il suo primato di avventuroso uomo di mare: «Ho sfidato l’Atlantico da Montevideo a Las Palmas con una piccola imbarcazione a vela di nove metri, il “Leone di Caprera” e due soli compagni di viaggio», racconta. Poi ha un fremito quando rievoca come, ad una nuova impresa, da Buenos Aires a Chicago, l’oceano non gli perdonò l’ardire e le sue acque si aprirono e si richiusero su di lui, novello Ulisse, e sulla intrepida “compagnia picciola” che lo aveva Répaci, Moravia, Pasolini, Piovene

assecondato nell’ardimentoso cimento. Conosciuto ai più con lo pseudonimo di “Rastignac”, Vincenzo Morello (Bagnara 1860-Roma,1933) si avvicina e ascolta ammirato l’intrepido uomo di mare, annuisce; si presenta, vuole dire la sua; gli dico che la sua fama dura ancora, che molti sanno della sua intensa vita di avvocato, di umanista, d’intellettuale a tutto campo, autore di opere letterarie e di diritto, del suo giornalismo al vetriolo come riportano le sue biografie, dov’è scritto che “impugnava la penna come una spada”. «Ho diretto la “Tribuna Illustrata”, “l’Ora” di Palermo e “Il Secolo d’Italia” – dice – ho creduto nelle sorti del Regime e sono stato senatore del Regno» poi si allontana a gran passi verso la Torre che sovrasta il porto di Bagnara. La salita verso Palmi è lunga e devo affrettarmi. Leonida Répaci (Palmi 1898-Marina di Pietrasanta, 1985), ha raccolto a “Villa Pietrosa”, che fu la sua residenza estiva, gli amici di Palmi, uomini e donne. Sono sparsi qua e là sotto gli ulivi e gli svettanti pini toscani che sfidano il cielo. Gli ospiti passeggiano, a gruppi, e parlano tra di loro come confabulassero. Guardano il mare sottostante, lo Stretto, la Costa Viola e le isole Eolie che si stagliano lontane nella curva d’orizzonte. Répaci inutilmente tenta di raccoglierli, di attirare l’attenzione; vuole parlare, ha tante cose da dire sulla sua vita d’uomo, di scrittore, di promotore culturale, di fondatore del Premio Viareggio, d’intellettuale che si è speso nella battaglia per la cultura, la libertà e la democrazia, che ha coniugato come pochi del suo tempo arte e vita in una sintesi operativa esemplare. C’è Antonio Altomonte (Palmi 1934-Roma, 1986), scrittore, saggista e responsabile della pagina culturale del quotidiano “Il Tempo” di Roma; parla con Domenico Zappone (Palmi 1911-1976), giornalista ironico e umorale, uomo di talento ma tormentato dal male di vivere e che inutilmente coltivò spavaldi sogni di gloria. C’è Domenico Antonio Cardone (Palmi 19021986), avvocato e filosofo, che fu candidato al Nobel per la pace nel 1961, e c’è Antonino Lovecchio (Palmi 1898-1976), medico e filosofo; bergsoniano il primo, marxista l’altro, entrambi fondatori di “Ricerche Filosofiche”,


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poterla afferrare, raccoglie fiori lungo il sentiero che porta alla “Guardiola” assieme ad Ermelinda Oliva (Palmi 1929-2003) i cui versi rarefatti e la parola “scarna e fiorita” tra sospensioni e silenzi esprimono la religiosa tensione verso l’Assoluto. Entrambe sanno che la poesia riflette il mistero del mondo e il dolore della vita nel mistero delle parole. Letterio Di Francia (Palmi 1877- Torino 1940) filologo docente universitario a Torino, Antonino Basile (Palmi 1908-1973) e Vincenzo Saletta (Palmi 1916-Paola, 1986), autori di studi importanti, argomentano di demologia, etnografia, storia e tradizioni popolari, mentre il maestro Francesco Cilea (Palmi 1866-Varazze 1950) chiacchiera sottovoce di composizione musicale con Nicola Antonio Manfroce (Palmi 1791-Napoli 1813), anticipatore geniale della musica melodrammatica italiana che, appena diciottenne, esordì con successo alla presenza del re e della Corte al teatro San Carlo di Napoli. Compiaciuto li ascolta Domenico Ferraro (Palmi Répaci e Renato Guttuso 1923-2015), scrupoloso custode di memorie locali che ha dedicato ad entrambi studi appassionati. Francesco Antonio Répaci (Palmi 1888-Torino prestigiosa rivista che pretese di fare da contro1978), economista allievo di Luigi Einaudi e suo canto alla “Critica”di Benedetto Croce. Discutono successore sulla cattedra di Scienze delle finanze sottovoce, mettendo a confronto le rispettive visioni nell’università di Torino, ascolta Luigi Lacquaniti del mondo; vi si aggiunge Felice Battaglia (Palmi (Palmi 1901-1982) che prospetta ipotesi economi1902-Bologna 1977), filosofo del diritto, docente che innovative per lo sviluppo regionale. Versegdi filosofia morale e rettore dell’Università di Bologiano in dialetto l’avvocato Vincenzo Migliorini gna al cui spiritualismo cristiano, il nichilista Nino (Palmi 1863-1937), osservatore acuto e malinconico Fondacaro (Palmi 1894-1965), avvocato e umanidel mondo popolare e Francesco Salerno (Palmi sta, avaro di preghiera e prigioniero della sua folle 1900-1976), insegnante elementare che credette sapienza, agitando la folta chioma bianca oppone nei valori del socialismo e che ha trasfuso l’ansia di l’approdo nel pensiero di Nietzsche. Maria de giustizia sociale nel sua attività pedagogica e anche Maria (Palmi 1918-1971), poetessa forte e delicata nei suoi versi. Pietro Milone (Palmi 1867-1933), ad un tempo, donna saggia e ingenua, impertinenche fu rilegatore di libri, vaga tenendo in mano il te e tenera che ha appena intravisto la vita senza suo sapido volume di versi “Picci e zannelli”. Mi avvio verso Seminara dove mi viene incontro Santo Gioffré, medico e autore di romanzi storici di grande successo; ha in mano fresco di stampa per i tipi di Rubbettino, Il Gran Capitán e il mistero della Madonna nera. Camminiamo in gran fretta verso il tempio greco bizantino di San Filarete; Santo è incontenibile nel parlarmi della sua Seminara, delle preziose opere d’arte custodite nelle numerose chiese… di come nell’autunZappone e Antonio Talamo nella sede della Gazzetta del Sud no del 1535 la città accolse


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l’imperatore Carlo V, proveniente minara 1741-Napoli 1784), illustri From Scilla to Melicuccà, da Palermo, reduce dalle camrappresentanti dell’Illuminismo through Bagnara, Palmi and pagne d’Africa. Ma ecco spunnapoletano; imprenditore agricolo Seminara. This is the first part tare Barlaam, (1290-Avignone, d’avanguardia ed economista lunof an imaginary journey in the 1348) monaco erudito, che brillò gimirante il primo, dotto giurista e territory of the GAL BATIR nell’attrito dialettico delle dispufilosofo il secondo. Proseguo per remembering intellectuals, te dottrinarie tra chiesa greca e Melicuccà dove Paolo Martino, men and women who have brought prestige to their home chiesa latina; è in compagnia del docente ordinario di Glottologia suo allievo Leonzio Pilato, (XIV towns with their work and all’Università di Roma, autore di commitment in various areas sec.) che tradusse l’Odissea in severi studi di linguistica generale of the world of knowledge. latino; furono loro, i due monaci e di saggi storici, mi guida all’inThey also contributed to calabresi, che, nella colta Firenze, contro con Giuseppe Fantino, the development of literary, ma ignara di greco, portarono la (Melicuccà 1908-1975) studioso humanities, artistic, music, philosophical and scientific lingua di Omero e furono maestri di letteratura italiana e straniera, studies encouraging the cultural narratore, saggista, critico lettea Petrarca e a Boccaccio. Si muodebate and bringing Calabria in vono lenti, indolenti, misteriosi, rario di grande raffinatezza e di the broader national context. quasi rabbuiati; Santo Gioffrè che straordinario acume interpretaben li conosce, consiglia di non tivo. Fantino se ne sta solitario interrompere la loro conversazione. In lontananza come se avesse il mondo “in gran dispitto”. «Se, s’intravedono i fratelli Grimaldi, Domenico (Seminello scrivere – dice con fermezza – ho male imnara 1734-Reggio Cal, 1805) e Fransceantonio (Sepiegato il mio tempo, non chiedo scusa a nessuno, perché non v’è errore più grave di quello che vuol farsi perdonare speculando sull’educazione o sulla debolezza degli altri». Ma Fantino non ha impiegato Lorenzo Calogero male il suo tempo e bastano i suoi Scampoli, tre poderosi volumi di saggi critici per avere la misura dell’intellettuale non provinciale e al passo con il proprio tempo. Paolo Martino mi fu compagno nei lontani anni del liceo, e proprio allora e proprio da lui appresi per la prima volta dell’esistenza, a Melicuccà, del medico poeta Lorenzo Calogero (Melicuccà 1910-1961). A quel tempo, Paolo, aveva fondato e presiedeva un vivace circolo culturale intitolato all’incompreso e sfortunato poeta, i cui versi sono un’esplosione di scie luminose, di immagini folgoranti, di vibrazioni e metafore surreali, capaci di bruciare alla fiamma del loro fuoco estremo. Non c’è modo di ricostruire il senso letterale del testo perché sconfina continuamente ai limiti del delirio e dentro il delirio. Nel 1962, quando uscì il primo volume di poesie pubblicato da Lerici, esplose “il caso Calogero”; la sorpresa fu grande e lo stesso Ungaretti disse: «Lorenzo Calogero ci ha sminuiti tutti». Chiedo a Paolo di far parlare il poeta che, seppure restio, accetta l’invito: «Lo so – dice – chi legge le mie poesie ha l’impressione di entrare nel mondo della follia. Di fatto ci entra. Perché è da quel mondo che vengono le mie parole, i miei versi, dall’abisso e dal caos dove l’uomo sperimenta la dimensione tragica del vivere, il proprio sradicamento; vengono dall’inquietudine e dal dolore che dà alle parole la dimensione oracolare e enigmatica che tanto vi stupisce. Ma non chiamatemi ermetico». Poi si dilegua.


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AL DI QUA DAL MARE. LE TORRI COSTIERE DELLA COSTA VIOLA di Eleonora Uccellini

Villa San Giovanni - Torre Cavallo e il Forte

Si imponeva la necessità di

un capillare sistema territoriale che avesse, al tempo stesso, funzione difensiva e di segnalazione. Nasce così il sistema delle torri costiere di avvistamento che si sviluppa, come una catena ininterrotta, lungo le coste calabresi tirreniche e ioniche interessando anche la Costa Viola con i presidi ancora esistenti, seppur in diverso stato di conservazione, di Torre Cavallo, Torre Rocchi o di Bagnara e Torre di Pietrenere.

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l mare Mediterraneo, è stato, nel corso dei secoli, una grande via di comunicazione che ha permesso scambi e contatti commerciali con i popoli di tutto il bacino, ma è stato anche fonte di preoccupazione per gli abitanti insediati nei centri in prossimità delle coste, a causa degli assalti e delle distruzioni piratesche. Dal mare, infatti, arrivavano, corsari, turchi, saraceni, infedeli, che, veloci e spietati, catturavano uomini da ridurre in schiavitù e da utilizzare come rematori, depredavano le abitazioni, rapivano le donne da rinchiudere negli harem. Le coste calabresi e siciliane, ma anche quelle della Puglia meridionale, furono esposte, a

It was necessary a network which had, at the same time, a defensive and alert role. This is the origin of the coastal watchtowers which develops along Tyrrhenian and Ionian coasts of Calabria like an unbroken chain. These towers are still visible along the Costa Viola in a different state of preservation: Torre Cavallo, Torre Rocchi or of Bagnara and Torre of Pietrenere.


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Bagnara - Torre Rocchi


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Palmi - Torre di Taureana

partire dal XVI secolo, ad attacchi sistematici che costringevano le popolazioni locali, a mettersi in salvo abbandonando momentaneamente case ed averi, al semplice sospetto di un assalto. Personaggi come Khayr al-Din, detto Barbarossa per il colore della lunga barba, Dragut, Cicala, Occhialì, con le loro imbarcazioni raggiungevano velocemente e con relativa facilità, le coste della Calabria, e di notte o alle prime luci dell’alba, coglievano di sorpresa gli inermi abitanti. Esistono, tuttavia, anche storie di “conversione al regno degli infedeli” da parte dei calabresi che, imbarcandosi sui vascelli corsari, tentavano la fortuna in altri luoghi, considerati terre della prosperità e dell’abbondanza; a Costantinopoli esisteva un grosso casale di rinnegati chiamato “Calabria nuova”. Di fronte alle continue minacce d’invasione, si impose, dunque, la necessità di un capillare sistema territoriale che avesse, al tempo stesso, funzione difensiva e di segnalazione. Non solo castelli fortificati dunque, ma presidi da realizzarsi in quei luoghi che permettevano un efficace controllo visivo di ampie porzioni di mare e degli approdi; alle foci dei fiumi e nei pressi delle insenature, dove potevano nascondersi le imbarcazioni nemiche. Nasce così il sistema delle torri costiere di avvistamento che si sviluppò, come una catena ininterrot-

ta, lungo le coste calabresi tirreniche e ioniche. Furono gli Angioini, per primi, che munirono il territorio di presidi fortificati contro gli assalti pirateschi, utilizzando una tipologia di torri a corpo cilindrico erette su una base a tronco di cono, con cordolo di demarcazione e merlatura sommitale. Già nel 1284, Carlo I d’Angiò, aveva disposto che gli uomini di guardia stessero attenti “a sollecitamente avvertire l’avvicinarsi al lido delle navi nemiche e dei ribelli col segno del fumo di giorno e del fuoco di notte e nel modo consueto di indicare il numero delle navi”. L’allarme, infatti, partiva dalle torri con questi sistemi visivi di segnalazione, che si diffondevano velocemente di torre in torre. Dalla primavera all’autunno, cioè nel periodo in cui erano più probabili e frequenti gli attacchi dal mare, le torri erano dotate di un organico fisso. Vi era il Castellano, o Torriere, che aveva autorità non solo sui suoi uomini ma anche su una parte di territorio costiero, il distretto, ed era responsabile dell’approvvigionamento dei viveri, dei rifornimenti, e della manutenzione della torre. Accanto a lui c’erano i guardiani con il compito di accendere il fuoco in caso di allarme, e i cavallari, uomini a cavallo che, tra una torre e l’altra, pattugliavano le coste e avvisavano gli abitanti delle zone più interne dell’eventuale pericolo. Gli Aragonesi, successivamente, proseguirono nell’opera di potenziamento con un programma di ristrutturazioni e di nuove edificazioni dei Castelli calabresi, in particolare di quelli marittimi, anche con lo scopo di mantenere l’ordine interno del Regno. La sistematizzazione del complesso di fortificazioni si realizzò, nell’epoca del Viceregno con Don Pedro de Toledo prima (1538) e poi con l’editto di Parafran de Ribera (1563). Per le nuove edificazioni venne scelta la tipologia delle torri quadrangolari perché ritenute più idonee per il posizionamento dei cannoni e per la possibilità di far fuoco in tutte le direzioni. La realizzazione non avvenne nel rispetto del programma iniziale, per una serie di difficoltà economiche e tecniche; le torri quadrangolari richiedevano, infatti, maggiori costi di edificazione e speciali competenze tecniche rispetto alle svelte torri cilindriche. Per recuperare le risorse economiche il governo gravò di tasse le Università nei cui territori ricadevano le torri in progetto, suscitando numerose lamentele e scarsa collaborazione dalle stesse che ritenevano di non dover sopportare da sole il peso economico per la costruzione dei nuovi edifici o per le ristrutturazioni di quelli esistenti in quanto si trattava di


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una esigenza difensiva a beneficio di tutto il Regno. Sulle coste calabresi, ma anche sull’estrema punta pugliese, sono poche le torri quadrangolari del XVI secolo mentre sono più numerose quelle a pianta circolare dei secoli precedenti che venivano costantemente mantenute efficienti per la loro importanza strategica. Con la riduzione degli attacchi via mare molte torri iniziarono a perdere di importanza e, abbandonate, caddero in rovina per la mancanza di manutenzione; altre, nella seconda metà del XIX secolo, vennero poste in vendita. Nel caso delle torri della Costa Viola, subentrò un uso alternativo delle stesse, ovvero come punto privilegiato di avvistamento per la caccia al pescespada. La Torre Cavallo (XIV secolo) che sorge a Punta Pezzo nel comune di Villa San Giovanni, non è di facile accessibilità, anche per il fatto che è di proprietà privata. Ha base troncoconica a scarpa, cordolo in pietra, ma il corpo cilindrico è crollato per circa la metà. Alla base si appoggia, sul lato sud, un muraglione che faceva parte di una struttura difensiva di fine XVIII inizio XIX secolo da mettere in relazione al periodo murattiano. Gioacchino Murat scriveva infatti all’imperatore che una volta fortificata la costa da Torre Cavallo si sarebbe garantita la sicurezza della navigazione lungo le acque prospicienti. La scelta, anche in epoca posteriore, di questo luogo per realizzare un sistema fortificato ne conferma la posizione strategica di controllo sull’ingresso nord dello Stretto di Messina.

Palmi - Torre di Taureana

La Torre di Capo Rocchi (XIV secolo), è oggi inserita come punto di belvedere e di cerniera tra il lungomare e il porticciolo turistico di Bagnara. Ha base troncoconica a scarpa, cordolo in pietra e corpo cilindrico; della merlatura sommitale sono rimasti pochi avanzi, la porta di ingresso si apre, come di consueto sul lato a monte a maggior protezione della stessa. La Torre di Pietrenere (XIV secolo), o Pietre Negre, si trova sul promontorio di Taureana, nell’area di visita del Parco archeologico dei Tauriani “Antonio De Salvo”, ed è in discreto stato di conservazione. Ha base troncoconica, cordolo in pietra e corpo cilindrico con merlatura sommitale quasi interamente conservata. La porta d’ingresso è posta sul lato a monte ed è raggiungibile con una scala a chiocciola in ferro, ma l’accesso non è consentito. La torre era in contatto visivo verso sud con la Torre di San Francesco, da individuarsi in località “Torre” di Palmi, che ospita oggi un belvedere, probabilmente realizzato sui resti dell’edificio a pianta circolare, e verso nord con la Torre di Gioia, che non è stata identificata con sicurezza anche se esiste un toponimo “Torre” tra il fiume Budello e la strada per la marina di Gioia. Queste torri, rappresentano un prezioso patrimonio culturale, testimonianza di un lungo e travagliato periodo della nostra storia, e che oggi s’inseriscono con le loro snelle strutture nell’insieme del paesaggio contribuendo ad alimentare la suggestione che nasce dal mare della Costa Viola.


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Villa San Giovanni - Il Forte di Torre Cavallo


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LE TERRAZZE SUL MITO di Fortunato Cozzupoli e Francesco Vita

Il nome scelto per questa

“Strada delle Colture e delle Culture” è le “Terrazze sul Mito”. Lo Stretto è un luogo identitario, il luogo del Mito, raccontato da Omero nell’Odissea e citato da Virgilio nell’Eneide, di Scilla e Cariddi, un luogo in cui il mutare del paesaggio, tra boschi e scogliere ci stupisce quotidianamente.

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a guida “Le Terrazze sul Mito” fa parte del progetto di cooperazione interterritoriale, proposto dalla Regione Calabria denominato “Strada delle Colture e delle Culture”, e che ha visto la creazione di una serie di itinerari delle aree GAL interessate, dal Pollino alla costa ionica reggina. Il progetto ruota attorno ad un prodotto “vetrina”, tipico da valorizzare scelto da ciascun GAL, e armonizzando l’offerta con gli altri beni dell’area. Attorno al Patrimonio colturale, sono stati individuati e selezionati anche quei beni che contribuiscono a costruire le peculiarità del luogo riguardanti anche il patrimonio immateriale ed il patrimonio naturale. Il GAL BaTiR ha individuato nell’uva zibibbo (o moscato d’Alessandria) il prodotto di punta da promuovere e valorizzare, in quanto altamente rappresentativo del territorio del Basso Tirreno Reggino: tale prodotto è stato, infatti, oggetto di un disciplinare di produzione e del relativo Marchio di Qualità denominato “Ottimo”, promosso nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria LEADER II da parte dell’allora GAL V.A.T.E.


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L’itinerario principale della guida comprende i diversi patrimoni dei comuni di Villa San Giovanni, Scilla, Bagnara Calabra, Seminara e Palmi. Proprio in questo territorio, grazie alla mirabile opera compiuta da contadini-pescatori locali che, attraverso la costruzione di terrazzamenti con muri a secco, hanno sottratto alla montagna lo spazio per gli impianti viticoli, lo zibibbo ha trovato le condizioni ideali per raggiungere nei secoli livelli d’eccellenza in termini di dimensioni dell’acino, croccantezza della polpa e proprietà organolettiche e aromatiche che lo rendono un vitigno unico nel panorama mondiale. Il nome scelto per questa “Strada delle Colture e delle Culture” è, pertanto, Terrazze sul Mito, con evidente evocazione del mare dello Stretto immortalato nei versi omerici e virgiliani, e della Costa Viola, dove Scilla, di fronte a Cariddi, ancora oggi esercita il fascino straordinario di un paesaggio mitologico.

La costruzione di questo percorso è stata intesa come la composizione di un quadro conoscitivo finalizzato alla individuazione, descrizione, interpretazione e rappresentazione dei molteplici e differenti patrimoni presenti nell’area del Basso Tirreno Reggino: dal patrimonio colturale espresso ad esempio con lo zibbibo, al patrimonio culturale espresso dalle “armacie” della Costa Viola, dal patrimonio immateriale espresso dalla “Varia” di Palmi, al patrimonio naturale espresso dalla spiaggia della Tonnara. Partendo dalle individuazioni fatte per lo studio dell’Atlante del Paesaggio del Basso Tirreno Reggino, il percorso è stato realizzato attraverso un impianto metodologico delle informazioni acquisite che consente di evidenziare gli elementi che costituiscono l’identità paesaggistica dell’area, interpretandoli come potenziali risorse per il futuro sviluppo del territorio. Tra i patrimoni individuati a Villa San Giovanni è possibile ammirare le antiche filande, Torre Cavallo, il Castello di Altafiumara e, a ridosso, il maestoso Pilone e la Foresta di Sughera di Monte Scrisi. Quest’ultima, unitamente ai fondali di Pezzo e Cannitello (ove si riscontra la presenza di numerosi relitti), ai fondali di Scilla e al litorale della Costa

The name given to this “Strada delle Colture e delle Culture”is “Terrace on Myth”. The Strait of Messina is an identity place: the place of the Myth told by Homer in the Odyssey and mentioned by Virgil in the Aeneid. The place of Scilla and Cariddi where the changing of the landscape through woods and cliffs, “Armacie” and Mediterranean Sea, it’s surprising.


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Le Grotte di Tremusa a Melia di Scilla

Viola, tra Favazzina e Palmi, costituiscono alcuni tra i numerosi S.I.C. (Siti di Importanza Comunitaria) della provincia di Reggio Calabria. A Scilla, l’imponente Castello Ruffo che dalla “rocca” sovrasta a sud il quartiere di “Marina Grande” e a nord il pittoresco quartiere dei pescatori di

Chianalea; a Melìa di Scilla le Grotte di Trèmusa, particolari strutture carsiche del pliocenico con le volte rivestite di fossili marini e ricche di stalattiti e stalagmiti. A Bagnara Calabra, Torre Rocchi (detta anche Torre Ruggiero) svetta sul porticciolo del quartiere “Marinella”, abitato dai pescatori


21 Bagnara - Il castello Emmarìta e la torre Rocchi

e sovrastato dal Castello Emmarìta. Da Bagnara verso il territorio costiero di Seminara e fino Palmi, suggestive scogliere frastagliate, nascondono spiagge incontaminate come Cala Janculla e numerosi anfratti, come la grotta del Leone, e altre grotte sommerse e semisommerse. Seminara, a vocazione olivicolo-olearia, famosa per le sue coloratissime ceramiche artistiche (maschere, vasi ed anfore), presenta i ruderi del Castello Mezzatesta, la basilica della Madonna dei Poveri (o “Madonna Nera”) e la recente chiesetta in stile bizantino per il rito greco-ortodosso. A Palmi, La Casa della Cultura che ospita il Museo etnografico e del folklore, la pinacoteca “Rèpaci” con opere dei maggiori artisti contemporanei, il Museo “Francesco Cilea” e l’Antiquarium con i reperti dell’antica Taureanum, nella cui area ricade la cinquecentesca Torre di guardia, la Cripta di San Fantino e l’emblematico “scoglio dell’ulivo”. Dal Monte Sant’Elia di Palmi, ove si trova la “Pietra del diavolo”, verso nord si domina il “bosco degli ulivi” della Piana di Gioia Tauro, mentre volgendo lo sguardo a sud si apprezzano le infinite sfumature del mare dello Stretto e della Costa Viola. Zibibbo della Costa Viola


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Costa Viola - La Marinella di Palmi vista dal Tracciolino

IL TRACCIOLINO È UNA FIABA VERA di Francesco Bevilacqua

Sette chilometri di percorso

che consentono di godere di uno dei paesaggi più identitari ed evocativi dell’intero bacino del Mediterraneo: la distesa del Tirreno ad occidente, con all’orizzonte, le sagome azzurrine delle Eolie; in alto, portentose pareti di granito, che nei giorni tempestosi d’inverno colano d’acque rilucenti; in basso, appena sotto il piano di calpestio, la serie infinita di rasule ed armacere, che cesella la ripida pendice; ancora

più in giù, la linea di congiunzione tra la terra e il mare, con un sottile, frastagliato ordito di cale, promontori, spiagge, grotte; a sud l’imponente bastionata della Costa Viola.

D

opo trentacinque anni di viaggi pedestri in Calabria ancora desidero esplorarne i recessi più nascosti. Non mi basterà l’intera vita per conoscerla davvero. Tuttavia ci sono luoghi, in Calabria, dove tornerei all’infinito. Come per ripetuti pellegrinaggi. Come per un rito. Come in un sogno ricorrente. Ho bisogno di avere conferma della mia esistenza dentro di loro. Perché loro esistono dentro di me. Anche quando sono lontano, perso


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Pareti di granito e acque rilucenti

appena sotto il piano di calpestio, la serie infinita nelle nostre artificiose vite cittadine. E ne percepidi rasule (i terrazzamenti a gradoni) ed armacere (i sco il silenzioso richiamo. muretti di pietre a secco per il contenimento delle Uno di questi luoghi si chiama “Tracciolino”. Un scarpate), che cesella la ripida nome da fiaba: Hansel e Gretel 7 kilometres of paths pendice, come un disegno di ed il loro lasciare le briciole o i allow you to enjoy one of Escher; ancora più in giù, la linea di sassolini per ritrovare la via. È the most evocative and congiunzione tra la terra e il mare, un sentiero, infatti, che parte identity landascape of the con un sottile, frastagliato ordito di da Palmi, traversa le scoscese Mediterranean area. In the west there’s the expanse of the cale, promontori, spiagge, grotte, pendici occidentali del Monte Tyrrhenian Sea with the blue ammassi pittoreschi di macigni; a Sant’Elia. Ad una quota tra i silhouettes of Aeolian islands sud l’imponente bastionata della trecento/quattrocento metri, emerging from the horizon. Costa Viola. Intonsa, nella sua quasi a picco sulle smaglianti At the top, shining waters selvaggia impervietà, che precipita acque della Costa Viola. Dopo flow from the extraordinary a mare dai pianalti superiori, preaver toccato varie località, tra granite walls during stormy winter days. Further down, just ludio ai più elevati Piani d’Asprocui l’Acqua dei Cacciatori e un monte. Sfuggente, per chilometri, singolare (per la bassa quota cui below planking level, there’s the endless series of “resule” sino all’abbraccio omerico tra Scilla giace) castagneto, nel comuand “armacere” (“Rasule” are e Cariddi, sullo Stretto di Messina. ne di Seminara, si estingue tra small terraces sustained by Questo vengono ad ammirare i Madonna della Neve e il Vallostone walls called “armacere”) gruppetti di stranieri, che i Palmesi ne dell’Olmo, sul confine con engraving the steep slope; at the bottom, the line of vedono sfilare d’estate, attraverso Bagnara. il centro abitato e provenienti dalla Sette chilometri di percorso che conjuction between land and sea is characterised by coves, consentono di godere di uno dei cliffs, beaches and caves; Costa locale stazione ferroviaria. Scarponi da trekking ai piedi, pantapaesaggi più identitari ed evoca- Viola stands in the south. loncini, zaino e paglietta contro il tivi dell’intero bacino del Medisole, per raggiungere l’attacco del terraneo: la distesa del Tirreno sentiero nei pressi del campo sportivo. E questo ad occidente, con all’orizzonte, nei giorni più nitidi propongono loro, ormai da qualche tempo, anche (soprattutto al tramonto), le sagome azzurrine alcune associazioni locali, con servizi di guida e di delle Eolie come petali di fiori esotici naviganti sui accompagnamento. Utili forme di mediazione culflutti; in alto, portentose pareti di granito, venate turale tra chi giunge qui, al centro del Mediterradi grigio, rosa, cinabro, che nei giorni tempestoneo, dai nord brumosi e freddi dell’Europa settensi d’inverno colano d’acque rilucenti; in basso,


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trionale, in cerca di quel Sud che per molti nordici, come dice Pedrag Matvejevic, è un destino. Il toponimo “Tracciolino” non è presente sulle carte corografiche dell’Istituto Geografico Militare. Né è citato nel dizionario toponomastico del famoso glottologo tedesco Gerhard Rohlfs. Mentre ne è tratteggiato il segno convenzionale sui quadranti interessati (Palmi, Bagnara e Sant’Eufemia d’Aspromonte) dell’edizione in scala 1:25.000 delle carte medesime, redatte negli anni Cinquanta del secolo scorso. Quando ancora gli antichi sentieri di Calabria non si erano persi per la perdita delle antiche attività agro-silvo-pastorali, l’emigrazione, l’abbandono, il non uso, la mancanza di manutenzione. E l’origine del nome potrebbe essere proprio la labile “traccia” sul terreno del sentiero. Benché da qui siano passate intere generazioni di pastori e contadini. I primi per portare le capre al pascolo brado sui pendii erbosi. I secondi per coltivare i terrazzamenti, specialmente a vigneti, non molto diversi da quelli, più famosi, delle Cinque Terre in Liguria. Non vi è un altro solo tratto di costa, in Calabria, che possa paragonarsi a ciò che sta tra Palmi e Ba-

Costa Viola, sentiero del Tracciolino

gnara (con in mezzo una larga striscia del comune di Seminara). Ed è singolare che proprio qui, dove non solo la terra emersa è straordinaria, ma altrettanto lo sono i fondali, ricchi di gorgonie, coralli e mille altre specie acquatiche, non sia ancora stata istituita una, pur ripetutamente auspicata, Riserva Marina. Questi luoghi sono salvi grazie alla loro conformazione geomorfologica: nessuno qui avrebbe potuto costruire case, strade, ferrovie (la ferrovia passa, infatti, nelle viscere della terra). Il Tracciolino è un sacrario della bellezza ma anche della precarietà. Tutto qui è instabile, provvisorio. Tutto sembra in perenne scivolamento verso il mare. Eppure tutto è pervaso da un misterioso senso di antico, di immutabile. Il Tracciolino è la metafora stessa della Calabria tellurica, incubica: una regione mitica ma anche catastrofica (e non solo per effetto della natura). Il sentiero non è l’unico della zona, ovviamente. Un tempo qui vi era un reticolato di camminamenti che salivano, scendevano, zigzagavano sulla pendice. Qualcosa di questa sorta di labirinto della mobilità storica è riportato anche sulle carte citate. Molto altro si può scoprire esplorando a piedi il territorio. Molto ancora è ormai quasi perso, restituito alla vegetazione più intricata. Un sentiero, in particolare, si dirama da poco dopo l’imbocco e sale sul Monte Sant’Elia (m. 579), esso stesso immaginifico balcone sul mare. Ed è possibile effettuare anche un anello completo, che unisce i due tratti attraverso i Piani della Corona. Mentre è stata di recente ritrovata la prosecuzione del Tracciolino sino a Bagnara. Un gruppo di appassionati di


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Bagnara, infatti, ha percorso un tracciato che parte da Contrada Gramà e raggiunge località Ceramida, ricongiungendosi infine alla Sorgente dell’Olmo. L’idea di molti è quella di recuperare, attraverso progetti mirati di restauro rispettoso e rigoroso, l’intera rete sentieristica della zona, che da sola potrebbe costituire un formidabile richiamo per tutti quei turisti in cerca di autenticità, memoria, tradizioni, bellezza. Quei turisti che, a me piace dire, desiderano farsi anche abitanti dei luoghi. Un antico sentiero, però, è come una rovina archeologica. Restaurarlo è roba da storici, archeologi, poeti, non solo da geometri, architetti, agronomi. Si rifarebbe l’impiantito di una piccola chiesa bizantina con delle mattonelle? Si ricostruirebbe il muro sberciato di un castello? Un antico sentiero non è una strada vanitosa. Che si vuol rifare il look. Perché tutti l’ammirino e vi passeggino sopra. Un antico sentiero non vuole essere allargato e appianato. Non vuole selciati se non li aveva. Non vuole piani di calpestio in pietre se non c’erano prima. Non vuole muretti di contenimento. Non vuole staccionate e ringhiere. Non vuole lampioncini o altre strane forme di illuminazione. Un antico sentiero è come un anziano che coltiva il suo bell’orto aulente. Ha bisogno di cure e di amore. Di vedere ogni giorno figli e nipoti. Di ricevere la visita di amici affettuosi. Di raccontare loro storie. Di insegnare loro come si sta al mondo. Un antico sentiero vuole compagnia discreta. Bisogna andare a trovarlo rigorosamente a piedi. Lentamente. Faticando. Sudando. Ansimando. Sentire la terra sotto i piedi, fermarsi ad

Uno scorcio dal Tracciolino

ammirare il paesaggio, osservare un fiore, alzare il capo verso un albero, cogliere un frutto, provare sentimenti di gratitudine. Un antico sentiero è lì da secoli. Un antico sentiero è una narrazione vivente. Il Tracciolino è una fiaba vera. Vista suggestiva dal Tracciolino


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IL GOJI ITALIANO PARLA CALABRESE di Rosario Previtera

Bacche di Goji

La filiera del Goji Italiano®

si realizza attraverso la Rete di Imprese “Lykion” a partire dalla Piana di Gioia Tauro con i primi impianti subito produttivi a Taurianova, Palmi, Melicucco, Maropati, Rosarno, per

poi giungere nella locride reggina. Le rosse bacche di Goji vengono consumate come snack energizzante ed al contempo rilassante, oltre ad essere capaci di interrompere il senso di appetito e per questo aiutano a dimagrire.


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20 ai 100 euro/kg, a seconda della selezione, della qualità e del packaging del prodotto disidratato, ma arte dalla provincia di Reggio Calabria, l’innosi tratta sempre dello stesso prodotto proveniente vativa filiera agricola ad alto reddito tramite la rete dalla Cina e dunque purtroppo carico di conserdi imprese “LYKION” che lancia le vanti e di solfiti atti a preservare bacche di Goji “made in Italy” con ® The chain of Goji Italiano is le preziose bacche da muffe e il brand “Goji Italiano”. Le ormai carried out through “Lykion” parassiti. Da qui l’idea di provare famose Bacche di Goji, da alcuni Company network, starting a coltivare il Lycium barbarum nel anni, impazzano sul mercato (sofrom the Piana di Gioia sud Italia, dopo numerosi tentativi, prattutto on-line), grazie alle loro Tauro with plants located in non sempre andati a buon fine, caratteristiche nutraceutiche ed Taurianova, Palmi, Melicucco, nelle zone dell’Italia settentrionale alle incredibili peculiarità salutisti- Maropati, Rosarno and finally Locri. The red Goji berries are (dalla Toscana al Trentino). Dopo che quasi miracolose. Le bacche consumed as both energizing alcuni anni di sperimentazione del Lycium barbarum contengono and relaxing snacks. They are nella sibaritide e la selezione la più alta quantità di antiossidanti also an appetite suppressant accurata tra 42 ecotipi di Lycium al mondo, per questo il Ministero helping weight loss. barbarum (che si differenzia dal della Salute italiano, già dal 2012, Lycium chinense il quale presenta ha annoverato il Lycium tra le bacche più piccole, amare e con minori proprietà piante antiossidanti, diventando così la principale nutraceutuiche) e grazie al lavoro incessante dell’abarriera ai nefasti radicali liberi che determinano gronomo cosentino Mimmo Adduci dell’ARSSA, si le più gravi malattie croniche del nostro secolo. è capito che la pianta ben si sviluppa nei nostri climi Le bacche di Goji, inoltre, hanno importantissimi effetti sulla riduzione del colesterolo cattivo, sulla regolazione della pressione arteriosa, posseggono grandi capacità antinfiammatorie, di miglioramento delle difese immunitarie, di capacità antitumorale. Ulteriori studi clinici dimostrano che essiccate o fresche, fanno bene agli occhi e alla vista, ai polmoni e al fegato, all’apparato digerente e respiratorio, all’apparato riproduttore femminile, ai muscoli, oltre a determinare la riduzione dei problemi prostatici e dello stress. Inoltre, i polisaccaridi specifici del Lycium barbarum fanno sì che le sue bacche possano essere consumate anche dai diabetici. Infine, l’effetto “viagra naturale” (in quanto le bacche hanno capacità vasodilatatoria ed energizzante, ma non euforizzante) determina ulteriori interessi dal punto di vista della farmacopea unitamente a quelli legati alla cosmetica: il Goji fa bene alla pelle, alla crescita dei capelli, alle unghie, ecc. Le rosse bacche di Goji Crema Chantilly di Bacche di Goji vengono consumate come snack energizzante ed al contempo rilassante, oltre ad essere capaci di interrompere il senso di appetito e per questo aiutano a dimagrire. Le proprietà di questa leggendaria solanacea sono ancora tante. Il Lycium barbarum appartiene alla stessa famiglia del pomodoro, della patata, della melanzana; in Cina ed in Tibet, in particolare, si coltiva e si consuma da almeno 2000 anni ed è conosciuta, per ovvi motivi, come la “pianta della longevità”, la “pianta della salute”, la “pianta della felicità”, la “pianta della fertilità”. Fino ad ora le bacche di Goji sono giunte sul mercato europeo e statunitense esclusivamente dalla Cina sotto forma di bacche essiccate, succhi e derivati diversi. Con una forbice di prezzo al consumatore che va dai Confettura di Bacche di Goji


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Il gusto delle Bacche di Goji Italiano… Le bacche fresche, da consumare quotidianamente a colazione, ricordano la ciliegia, la mora, l’uva, l’amarena e sul finale lasciano un pregiato amarostico. E se consumate con tutto il peduncolo, anche esso ricco di sostanze salutari, sentiamo il fresco-erbaceo e sul finale un delicatissimo leggero piccantello. La bacca essiccata, da consumare come snack, ricorda il dattero, l’uva passa, il pinolo e a tratti la liquirizia. La bacca fresca frullata col ghiaccio nel “Goji smoothie” (100 gr. di bacche col picciolo e uno o due cubetti di ghiaccio) dà il meglio di sé: i sentori esotici di mango e papaya si sposano con quelli di carota, di fresco ed erbacei. Il gelato (a base acqua) e la granita di Goji, ottimi anche per i Vegani, sono incredibilmente “multi gusto”: il fresco-erbaceo iniziale e la ciliegia cedono il passo a mora, papaya, carota, uva, caki, ficodindia, sorbo. Il “Gojito”, ovvero l’infuso alcolico di bacche fresche, assomiglia ad un ottimo amaro alle erbe, pochissimo dolce, con sentori e profumi di amarena! Le confetture, le creme e gli altri prodotti ottenuti dalle Bacche di Goji fresche “made in Italy” sono tutti da scoprire. Nelle pietanze le bacche fresche sostituiscono o si affiancano ai pomodorini. E gli chef del territorio scoprono via via abbinamenti sempre più originali ed interessanti. In tutti casi si tratta di un incomparabile e gustosa fonte di antiossidanti naturali.

e trae grande beneficio da alti livelli di insolazione e dalle alte temperature. A conferma di quanto detto, si consideri che gli impianti di Goji messi a dimora presso l’azienda pilota di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, a metà giugno 2015, da settem-

Menu italiano con Bacche di Goji

bre fino a novembre, hanno dato ottimi risultati: in soli tre mesi, le piantine, inizialmente alte pochi centimetri, hanno superato i 2 m di altezza producendo le prime bacche. La filiera del Goji Italiano® si realizza attraverso la Rete di Imprese “Lykion” a partire dalla Piana di Gioia Tauro con i primi impianti subito produttivi a Taurianova, Palmi, Melicucco, Maropati, Rosarno, per poi giungere nella locride reggina ed ancora in Sicilia, Basilicata, Sardegna e Puglia. E parliamo di innovazione di prodotto e di management visto che le Reti di Imprese costituiscono la novità giuridica italiana dal punto di vista dell’associazionismo imprenditoriale alternativo alle cooperative, ai consorzi, alle società. Una Rete che annovera non solo aziende agricole ma imprese di altri settori e complementari al vasto progetto del “Goji Italiano”. Ristorazione, catering, turismo rurale, trasformazione agroalimentare, imprese di consulenza e tante altre le tipologie di aziende coinvolte. La Rete di Imprese “LYKION” garantisce ai propri associati l’assistenza tecnica, i servizi necessari e la commercializzazione del prodotto oltre ad aver siglato importanti partnership con enti di ricerca, istituti di credito, grandi aziende di trasformazione. Ma l’innovazione si sostanzia anche nell’obiettivo “agricentrico” della Rete: la maggiore remunerazione lungo la filiera deve risultare quella relativa alla componente agricola. La produzione di bacche fresche appena conclusasi, destinata alla GDO locale, alla trasformazione ma anche alla promozione e ricerca, ha consentito all’agricoltore di percepire ben 20 euro/kg. Un ricavo tale da confermare la definizione di “coltura da alto reddito”, così come è avvenuto già per le piante officinali, per lo zafferano, per i kiwi della prima ora negli anni ’80. E la filiera continua a crescere. Ciò grazie alla bontà del prodotto Goji “made in Italy” (certificato Vegan, Mun-Marchio Unico Nazionale, Biologico) privo di conservanti e coltivato in biologico e pertanto molto apprezzato dal mercato, ma anche grazie al grande interesse da parte degli imprenditori agricoli sempre più numerosi e grazie alla possente azione di marketing che ha visto il brand “Goji Italiano”, le bacche fresche e i derivati (la confettura, le bacche disidratate, il gelato, la granita, gli smoothies, le creme, l’infuso alcolico “Gojito”, le varie pietanze proposte dagli chef) protagonisti di eventi locali, regionali ed anche di livello nazionale come l’EXPO 2015 e Golosaria Milano 2015, a cui si aggiungono i servizi di trasmissioni televisive, di riviste di settore ed il web-marketing. Dunque una filiera completa e competitiva per una nuova agricoltura che regali ai consumatori benessere, salute ed energia “made in Italy”. Anzi “made in Calabria”.


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Filari di Bacche di Goji


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DELIZIE CALABRESI DELLA TRADIZIONE NATALIZIA di Federica Morabito

Particolare albero di natale


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Il calore della famiglia riunita

attorno alla tavola per condividere le gioie e i cibi tipici della festività più attesa dell’anno, risveglia e rinvigorisce i sentimenti di bontà. Non c’è che dire, a Natale siamo tutti più buoni, è risaputo, ma c’è un’altra “bontà” e riguarda i piatti della nostra tradizione.

N

Maccheroni fatti a mano

on c’è festa che si rispetti che, secondo tradizione, non si celebri attorno a una tavola imbandita. E in tema di tradizioni, il Natale è la festa aromatizzato con spezie territoriali, anch’esse per eccellenza; momento nel quale odori, sapori e appartenenti al paniere del Mediterraneo, come suggestioni di tempi antichi, rinnovano emozioni finocchietto selvatico, timo, rosmarino, peperoned evocano sensazioni dimenticate. Il calore della cino; la culatta viene lievemente affumicata con famiglia riunita attorno alla tavola per condividel’impiego del legno di alberi di castagno e ulivo. E re le gioie e i cibi tipici della festività più attesa poi, ancora, il dolcissimo Canolo crudo e il Culadell’anno, risveglia e rinvigorisce i sentimenti di tello aspromontano, stagionato, con note aromatibontà. Non c’è che dire, a Natale che delle erbe spontanee di area siamo tutti più buoni, è risaputo, The warmth of the family ga- mediterranea. In una giornata di ma c’è un’altra “bontà” e riguarda thered around the table sha- festa non c’è tavola che si rispetti ring joys and typical foods of che non sia provvista di formaggi i piatti della nostra tradizione. the most awaited feast day of “Abbiamo vissuto un periodo di the year which awakens and da servire come antipasto o dopo abbandono delle nostre antiche strengthens the feelings of la seconda portata e, anch’essi, usanze – osserva lo Chef Enzo goodness. No doubt about it, provenienti dalle zone aspromonwe are “good” people at Chri- tane: il caprino e gli apprezzatissiCannatà – ma oggi è in atto un vero e proprio ritorno al passato, stmas, you know, but there is mi pecorini. another “goodness” concerning Olive schiacciate, melanzane, inteso come rivalorizzazione di the dishes of our tradition. cibi del nostro territorio che posgiardiniere, pomodori secchi, seggono caratteristiche peculiari semplici o ripieni di capperi, di dovute a due elementi fondamentali: la posizione tonno o di pesce stocco, e conservati sottolio, geografica di provenienza e il clima”. forse costituiscono i prodotti che meglio identifiSeguiteci allora tra i prodotti e i sapori… partendo cano il territorio del Gal Batir, conserve che spesso dall’antipasto. Cannatà ci spiega che nell’area del troviamo sotto l’albero in ricchi cesti scintillanti, o Basso Tirreno è presente un paniere che identifica che spediamo ai parenti lontani. pienamente le tipicità a livello mondiale. Si tratta E dopo questa “introduzione” al pranzo vero e dei celeberrimi salumi quali Nduja e Soppressata proprio, arriva il primo piatto, la portata principale. che, in testa a tutti, si attestano sul mercato nazioLo Chef, in un ideale menù natalizio che rispetti le nale con grande successo. Questi due insaccati, più antiche tradizioni, propone i maccheroni fatti in ormai quasi un simbolo per la Calabria, li troviamo casa, conditi con il ragù di capra. I maccheroni, oggi a tavola nelle giornate di festa insieme alla Culatta. realizzati avvolgendo l’impasto su un ferretto lungo e Questo salume, proveniente dalla coscia di maiale, sottile, un tempo venivano lavorati dalle nostre nonne matura appeso come il prosciutto crudo, e viene con gli steli lisci e resistenti di una pianta, la Disa, dal


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Dolce con sacra famiglia


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nome dialettale, gutumu. Questo tipo di pasta, rivela al morso, un interno sodo e calloso, e s’impregna del sugo realizzato con la carne di capra, che diviene, a sua volta, il secondo piatto. La capra, vera e propria vocazione del territorio, veniva macellata dagli antichi allevatori proprio in occasione delle festività o per il pranzo domenicale. Ed eccoci al contorno: finocchi o insalata di arance, immancabili, queste ultime, in considerazione del fatto che una buona percentuale della produzione nazionale si concentra proprio nel sud della Calabria, insieme a limoni e bergamotti. Dall’antipasto al primo, dal secondo al contorno, il tutto rigorosamente condito con olio extravergine di oliva, del quale siamo rinomati produttori. Una vera e propria eccellenza, l’olio d’oliva extravergine del Basso Tirreno, è presente nei migliori ristoranti stellati, non solo italiani ma anche in altri paesi e soprattutto in Germania. Eccoci alla frutta: il melone giallo e i fichi d’india, sempre secondo tradizione, anche se oggi sulle tavole troviamo di tutto ed anche di più, senza il benché minimo rispetto per le care vecchie stagioni. E poi via libera anche al kiwi (quello calabrese è considerato tra i migliori al mondo) e all’annone. A questo punto la pancia è piena e il palato è soddisfatto, ma il momento più “dolce” della festa deve ancora arrivare. Dunque il dessert! E se l’origine di uno dei simboli del Natale, qual è il

panettone, non appartiene alla nostra tradizione, i pasticceri reggini sono riusciti a dare un’impronta nettamente nostrana ad un dolce tipicamente settentrionale grazie all’uso di prodotti tipici quali il bergamotto, fichi e noci. Da segnalare un prodotto unico, il torrone Igp di Bagnara, un orgoglio tutto reggino realizzato attraverso una lavorazione artigianale esclusiva, unico torrone ad aver ottenuto il prestigioso marchio europeo. E proseguiamo con le classiche susumelle, morbidi biscotti glassati al cioccolato e farciti con canditi, nella versione classica, che però vengono eliminati per adattarsi ai gusti più “giovani”. Poi mostaccioli o nzuddhi, preparati con farina e miele che, considerati simbolo di buon augurio venivano preparati, in tempi ormai andati, per le occasioni più solenni, come fidanzamenti ufficiali, e tutt’oggi presenti nei festeggiamenti in onore dei Santi, ad adornare le bancarelle con le loro tipiche forme a ghirigori a immagine di cavalieri, pesci o cestini. Concludiamo con una vera e propria delizia: i fichi essiccati nel periodo estivo e riproposti in inverno anche ripieni di scorzetta d’arancia o di mandorle, o ricoperti di cioccolato bianco e nero. Il pranzo è terminato, ma se qualcuno non dovesse essere ancora soddisfatto può sempre proseguire sgranocchiando noci, noccioline e mandorle davanti al caminetto, per tutto il pomeriggio, in attesa… della cena.

Tavola nataliza


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La memoria e il racconto…

SULLA COSTA DI CALABRIA LE ISOLE VANNO ALLA DERIVA* di Domenico Zappone

Palmi - Tonnara, Scoglio dell’Ulivo

C

hi adesso scenda dal Nord, a Sant’Eufemia Lametia incontrerà l’alba. Il treno si scrolla la fuliggine e la polvere di tante ore di corsa affannosa nella notte e fischia allegro, come per dare la sveglia ai viaggiatori intorpiditi. Per i corridoi un via vai di persone con asciugamani e spazzolini. La gente, salutandosi, si chiede il consueto “Dove siamo?” e si fa alle vetrate, per orientarsi. Viaggiatore che scendi dal Nord, quest’articolo è per te. Superata la piana di Sant’Eufemia, ti verrà incontro Tropea con le sue terrazze a fiori e agavi. Guarda allora verso il mare e non meravigliarti di nulla. Non ti stupire se vedrai le isole1, disancorate dalle loro profondità di macigno, muoversi lentamente dalla linea azzurra dell’orizzonte e venirti

incontro, sospinte dal vento come le nuvole2. Vedrai un mare mai immaginato o visto, sempre più nuovo e mutevole, man mano che il sole dilaga pel cielo riverniciato di fresco per la tua gioia. E non chiederti in questo paesaggio stregato, ricco di inganni e di sortilegi, chi mai fossero quelle donne vestite di rosso e turchino nel verde della pianura da poco superata, indugianti in gesti calmi ed eguali, personaggi favolosi di un antico mito3. Non è stato un inganno, né abbaglio. Così come non è stregoneria o delirio questo veleggiare placido delle isole ad un misterioso appello della costiera. So bene. Questa storia delle isole vaganti pei mari è vecchia, ormai logora e frusta, ma non si tratta di una bubbola di poeti. In certi punti della terra ed in certe ore bruciate, le isole si muovono davve-


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ro, lasciano incautamente la loro zona, emigrano. S’avventa incontro al treno la campagna coi suoi ulivi giganteschi. […] Lanciano dal tronco enorme, rugoso, che due uomini non riescono ad abbracciare, solcato di ferite, spesso adunghiato dal fulmine, aspro di nocchi e nodi, braccia da giganti, e hanno chioma compatta e folta, pur se argentea di vecchiezza. Il vento che scende a precipizio dalla Sila o dall’Aspromonte vi s’impiglia come in una rete, disperato geme per districarsene. Bisogna ascoltarlo il vento quando ruzza con gli ulivi ed urla da far tremare il cielo. Ora che il treno s’affaccia alle colline dirupate di Nicotera, tutte a macigni neri, davanti al golfo disseminalo di paeselli in corsa, sembra proprio che il mare voglia rovesciarsi4, invadere la spiaggia, è una grande pianura inclinata invasa da un furioso fiume, su cui galleggiano le isole alla deriva. Nicotera è tutta sulla spiaggia, circondata, di bianche sabbie; filari di canne delimitano l’abitato, e tra strada e strada ci sono le barche. Non c’è anima

viva. Grava sulle cose e gli uomini un’ aria sospesa. S’attende che da un attimo all’altro il mare rovesci le isole come immani cetacei. Tutto questo però non avviene. Superata infatti Rosarno col suo rosso cocuzzolo affiorante da una selva di ulivi e sugheri, le isole cominciano ad allontanarsi dalla spiaggia con un moto lento ed eguale, così come prima era stato precipitoso e folle. Si fanno sempre più piccole, lontane. Ora la piana di aranci le nasconde5. Quando il treno s’avvicina verso Gioia e quindi verso Palmi, sono già tornate al natural sito, si dispongono in fila come per una parata navale. Qui la costa strapiomba in precipizi bianchi e neri, macchiati qua e là di gialli fiori assurdi. A contatto dell’onda, gli scogli conservano l’incanto, l’orrore della creazione. È un mondo che ricorda il diluvio. All’alba del mondo precipitarono da queste coste macigni e lapilli. Il mare ne é pieno. Si vedono a pelo d’acqua grassi e piatti come squali. Non lasciarti

Vecchio treno


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prendere dall’orrore, uomo del nord. Guarda piuttosto il mare ascoltane la voce, pur tra gli strepiti del treno. In questi siti Omero collocò le Sirene. Attenzione. Ora verrà una breve galleria6. Guarda giù, adesso verso la costa. È qua che c’è uno scoglio unico al mondo, uno scoglio grande come un’isola. che porta in cima come un vessillo una nera pianta di olivo selvatico7. È una cosa portentosa. La pianta ha le sue profonde radici conficcate nella roccia viva. Un uccello lasciò cadere in un lontanissimo giorno un piccolissimo seme. Questo riuscì a vivere, resistendo ai venti ed alle onde, lottò con l’ostilità della roccia fino a spremerle umori e succhi. Spinse poi la sua prima radice tra una connessura e l’altra del macigno. Visse. Oggi è una pianta unica al mondo, nutrita di mare e di roccia. I venti le scuotono le chiome, gliele fanno ancora più sconvolte le onde, ma niente può distruggerle, né gli elementi, né gli uomini. Questi si astengono dal recar molestia alla pianta, si guardano anche dallo strappare un ramoscello o dal catturare un nido. […] Del resto, è quasi impossibile ascenderne la cima. La roccia è tutta scheggiata e tagliente come cocci di vetro. La nera pianta si difende così. E gli uomini la temono. Forse in remotissimi anni le isole dello Stromboli, che ora sono tornate all’orizzonte e se e stanno quiete quiete, si spinsero fin su questa costa, ed una di esse, la più piccola e, perciò, la più temeraria, fu incatenata alla spiaggia da un malefizio. È l’isoletta con l’ulivo selvatico. Le isole sorelle, ogni mattina, richiamate dalle grida della prigioniera,

Scogli a pelo d’acqua

appena è giorno e si rinnovella la pena, si spingono pel mare, decise a riportarla via. Vanno errando, disperate e belle, per la meraviglia di chi scende dal nord e non crede ai suoi occhi, verso la terra delle arance e dell’olio, ma non

Veduta panoramica la Costa Viola e le Isole Eolie


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Aranceti

si azzardano, esperte come sono, di spingersi fin sulla riva per paura delle insidie del fondo e delle Sirene. Esse però, le Isole, che conoscono tutti i misteriosi anfratti di questa costa, ignorano l’angolo più tranquillo ed appartato dove la

prigioniera è tenuta incatenata. Deluse, quando il giorno è alto veleggiano per tornarsene sulla sbiadita linea dell’orizzonte mentre la prigioniera impazzita, vedendole allontanare, scuote la chioma selvaggia popolata di uccelli e di gridi. Note * [Il Risorgimento, 14 luglio 1953 Ora in, Domenico Zappone, Le maschere del Saracino, a cura di Santino Salerno, Rubbettino 2014]. 1. La Sicilia e le isole Eolie. 2. È chiaramente un effetto ottico dovuto allo spostamento del treno prima, lungo la linea curva di costa nel Golfo di Lametia, e poi, superata Vibo, nel Golfo di Gioia Tauro. 3. La pianura è quella di S. Eufemia Lametia e le donne sono quelle di Nicastro che indossano i variopinti costumi tradizionali. 4. È sempre una suggestione creata per effetto dell’inclinazione del treno in corsa. 5. È la distesa di agrumeti di San Ferdinando che oggi non ci sono più perché al loro posto c’è l’invaso del porto di Gioia Tauro e parte dell’area ad esso circostante. 6. Si tratta del traforo di Trachini, sovrastato dal promontorio del Malopasso, tra le stazioni di Taureana e Palmi. 7. È lo scoglio dell’“Ulivo” o “Ulivarella” che chiude la spiaggia della Tonnara, verso sud, prima che inizi il tratto roccioso della Costa Viola.


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SHADES

di Fortunato Cozzupoli e Francesco Vita

L’obiettivo generale del

Il porto di Bagnara

progetto di cooperazione SHADES è quello di mettere in evidenza il contributo dei GAC europei al mainstreaming della gestione integrata delle zone costiere. Lo scopo del GAC dello Stretto, nell’in-


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Pescato della Costa Viola

traprendere un percorso di cooperazione con altri Gruppi di Azione Costiera, è concentrato a rafforzare i processi di sviluppo locale sostenibile per lo scambio di know-how e buone prassi e per realizzare azioni congiunte.

I

l progetto di cooperazione transnazionale SHADES (Sustainable and Holistic Approaches to Development in European Seabords) è stato pianificato, coordinato ed implementato dal Gruppo di Azione Costiera “dello Stretto” (capofila), e rientra nell’ambito del Piano di Sviluppo Locale finanziato dal Fondo Europeo per la Pesca (FEP) 2007-2013 Asse IV “Sviluppo sostenibile delle zone di pesca”. Rafforzare i processi di sviluppo locale sostenibile, questo lo scopo del GAC dello Stretto nell’intraprendere un percorso di cooperazione con altri Gruppi di Azione Costiera per lo scambio di know-


42 The overall objective of the cooperation È noto che il concentrarsi how e buone prassi e per project SHADES is to point out the delle attività antropiche realizzare azioni congiuncontribution of European CAG (Coastal presso le zone costiere te. Action Groups) to the integrated management generi fattori di rischio che Alla luce anche di espeand development of coastal areas. The aim minano la carryingcapacirienze pregresse, il GAC of CAG of the Strait, starting an iter of ty1 delle stesse, portando dello Stretto ha scelto cooperation together with other Coastal quindi di attivare la Misura Action Groups, is to strengthen the process ad una serie di esternalità of sustainable local development for 4.4 (Regione Calabria, negative quali, solo per 2011) del bando regionale exchanging best practice, knowledge and citarne alcune, l’inquinaknow-how through joint actions. di attuazione dell’Asse mento, il depauperamento prioritario IV, con l’obietdelle risorse ittiche, i fenotivo di permettere ai territori costieri interessati ed meni di erosione costiera e molti altri. agli attori locali di acquisire nuove idee e metodoè nata così l’esigenza, a livello mondiale ed anlogie per migliorare lo sviluppo integrato dei propri che in ambito europeo, di dotarsi di un approccio territori, ampliare gli orizzonti e mettere a fuoco gestionale, indicato dagli studi e dalla letteratura nuove soluzioni e metodi, condividere competenze specifica con il termine di Integrated Coastal Mae risorse, facilitare la circolazione delle informazionagement (ICM) o anche Gestione Integrata delle ni e delle conoscenze, ottenendo quindi benefici Zone Costiere (GIZC); si tratta di uno strumento materiali ed immateriali a livello economico, sociale di pianificazione/gestione non più esclusivamente ed ambientale. settoriale, ma che tiene conto della multifunzionalità L’attenzione ad una gestione sostenibile delle risordelle zone costiere; strumento che però, al momense è andata crescendo negli ultimi decenni e trae le to, non risulta ancora regolamentato da opportune sue ragioni nella consapevolezza, a livello mondiapolitiche e norme a livello europeo. le, del progressivo depauperamento delle stesse La scelta della Gestione Integrata delle Zone Co(UNEP, 1972; UNCED, 1992; WCED, 1987). stiere (GIZC)2, quale tema del progetto di coopeMaggiore attenzione si è resa necessaria nei conrazione SHADES, nasce quindi dalla diffusa confronti di quelle aree “sensibili” (Montebello, 2004) sapevolezza, sia a livello europeo che globale, del quali le zone costiere, luogo di conflitto di diverse fabbisogno delle aree costiere di: tipologie di uses e users (Vallega, 2001; 2003), “Gestione”: le aree costiere necessitano di essere quindi “iperluogo” e punto di incontro di molteplici “gestite”, mettendo a sistema le risorse endogefattori di pressione (Boscolo, 2011). Tali conflitti ne in un’ottica di lungo periodo, così come vuole nascono dalle caratteristiche intrinseche della zona lo sviluppo sostenibile. Le zone costiere sono costiera che la rendono una multirisorsa, grazie alla infatti sistemi molto complessi, sia da un punto compresenza di componenti sociali, ambientali ed di vista naturalistico, in quanto punto di inconeconomici. Le coste sono, infatti, luogo di preferentro di due ecosistemi, quello terrestre e quello za per l’insediamento urbano, per le attività economarino, sia dal un punto di vista delle attività miche (quali ad esempio il settore ittico, turistico e antropiche: le zone costiere sono infatti il luogo dei trasporti), nonché punto di incontro di diversi di preferenza per attività economiche, produttisistemi naturali che le rendono un ecosistema unico ve, di residenza, per la logistica e per la fruizione ma al contempo fragile per la sua bassa resilienza. turistica. Queste ricchezze e complessità offrono

Meeting Shades a Silute in Lituania

Meeting Shades a Reggio


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notevoli opportunità per supportare lo sviluppo economico e sociale. Ma ciò significa anche che esiste una grande competizione per l’accesso (e talvolta per l’uso esclusivo) delle risorse costiere (Siirila, 2012), a causa di una grande varietà di fruitori di tali territori (Vallega, 2001). “Integrazione”: le diverse forze che caratterizzano un territorio devono e possono integrarsi per sviluppare sinergie; i diversi gruppi sociali ed economici fruitori delle zone costiere devono godere di eguali opportunità di accesso alle risorse, senza inficiare la possibilità di altri attori di utilizzare le stesse risorse in maniera efficace (Siirila, 2012). Tuttavia, le zone costiere sono interessate da numerosi strumenti legislativi e di pianificazione, ma spesso in maniera disarmonica, se non addirittura in contrasto tra di loro. In tal senso, l’integrazione diventa una necessità, che riguarda non solo le “funzioni” di un territorio, ma anche gli attori che in esso operano: di fondamentale importanza è la partecipazione degli attori locali alla pianificazione dello sviluppo, come sottolineato dalla stessa Unione Europea attraverso la promozione del Community-Led Local Development nel periodo di programmazione 2014-2020, quale mainstreaming dell’approccio LEADER. “Strumenti di pianificazione ad hoc”: numerose normative e strumenti di pianificazione si sono susseguiti nelle aree costiere, talvolta sovrapponendosi, anche in maniera contraddittoria. È pertanto necessario armonizzare questi strumenti per ottenere risultati efficaci per la fruizione degli ambienti costieri e la valorizzazione delle risorse, salvaguardandone l’integrità e garantirne l’utilizzo alle generazioni future. Partendo da tale assunzione, gli obiettivi operativi che il progetto SHADES si prefigge sono principalmente due: • la condivisione di know-how e buone prassi tra i partner di progetto attraverso lo svolgimento di visite studio presso i territori dei GAC del partenariato; • la raccolta ed analisi critica delle esperienze dei GAC europei, con particolare riguardo a quelle iniziative che si sono rivelate innovative e che hanno messo in pratica i principi ispiratori della GIZC come enunciati nei documenti europei come la COM (2000) 547 def. ed il Protocollo di Madrid sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere (21 gennaio 2008). L’obiettivo generale del progetto di cooperazione SHADES è quello di mettere in evidenza il contributo dei GAC europei al mainstreaming della

gestione integrata delle zone costiere. In particolare, questo progetto vuole raccogliere quelle politiche di gestione e quelle strategie di sviluppo integrato implementate in progetti di successo, che hanno saputo cioè cogliere ed integrare i desideri delle diverse tipologie di attori locali, e raggiunto finalità non solo economiche, ma anche ambientali e sociali di lungo periodo, così come espresso nella definizione di sviluppo sostenibile più ampiamente accettata (WCED, 1987). Le attività del progetto di cooperazione SHADES posso essere distinte in tre tipologie: attività di presviluppo finalizzate alla redazione ed approvazione dello stesso da parte delle autorità competenti; le attività comuni, che hanno interessato l’intero partenariato di cooperazione; le attività locali che hanno riguardato le azioni implementate nei progetti locali dei singoli partner. Le attività di pre-sviluppo si sono svolte contemporaneamente alla stesura del PSL del GAC dello Stretto (2011-2012) e sono state sviluppate secondo i seguenti step: • l’analisi territoriale svolta dal gruppo tecnicoscientifico ha messo in evidenza il fabbisogno di cooperazione del territorio; • l’autorità regionale ha proposto la partecipazione di tutti i GAC calabresi al partenariato di SHADES; • la scelta della tematica di SHADES è stata corroborata dalla presenza di studi specifici sulla tematica della GIZC e sulla sua evoluzione in Europa, in Italia ed in Calabria (Iofrida, 2012); • il direttivo dei GAC e di GAC Calabria ha espresso parere favorevole allo svolgimento delle attività di cooperazione; • la proposta di cooperazione è stata rivolta a numerosi GAC europei sia attraverso contatti diretti (telefonici ed epistolari), sia tramite la pubblicazione dell’annuncio sull’apposito sito di Farnet (https://webgate.ec.europa.eu/fpfis/cms/ farnet/cooperation-project-integrated-coastalmanagement). Le attività comuni sono consistite in: Attività 1 – Visite Studio per lo scambio di esperienze e buone prassi. 1.1 Predisposizione del materiale per lo scambio di esperienze tra i partner (presentazione dei territori, raccolta di eventuali buone prassi) 1.2 Su tematiche a scelta del partner ospitante: attuazione della GIZC, buone prassi assimilabili alla GIZC, turismo sostenibile, consumo sostenibile, produzione sostenibile ed altre. Destinatari: partner di progetto, attori locali del-


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le aree coinvolte che parteciperanno alle visite studio. Responsabilità del GAC capofila: coordinamento delle attività comuni, raccolta del materiale di condivisione, predisposizione dei report delle visite studio, monitoraggio, rendicontazione delle attività a proprio carico. Attività 2 – Realizzazione di un volume sulla gestione integrata delle zone costiere attraverso le esperienze dei GAC europei. 2.1 Selezione di un esperto per la redazione del volume. 2.2 Raccolta ed elaborazione dei contenuti delle linee guida. 2.3 Disseminazione: organizzazione di convegni informativi, stampa (inglese ed italiano) e diffusione del volume. Destinatari: Partner di progetto, un esperto in materia di sviluppo sostenibile, attori locali delle aree coinvolte, pubblico più vasto possibile che parteciperà ai convegni. Responsabilità del GAC capofila: coordinamento delle attività comuni, raccolta del materiale di condivisione, predisposizione dei report delle visite studio, monitoraggio, rendicontazione delle attività a proprio carico. Il progetto locale del GAC dello Stretto ha previsto: La realizzazione del Sistema integrato della conoscenza per la gestione delle Aree Costiere del GAC dello Stretto. A.0 Attività di coordinamento e gestione tecnica. A.1 Raccolta e catalogazione delle evidenze locali per tematica di interesse e tipologia, con il coinvolgimento degli attori locali. A.2 Selezione di un esperto in web design per la realizzazione del sito. Meeting Shades a Sada in Spagna

A.3 Costruzione della mappa interattiva con le informazioni raccolte. A.4 Promozione della mappa interattiva: pubblicazione di un articolo su testata giornalistica, diffusione sui social network. Destinatari: Attori locali, pubblici e privati coinvolti nella raccolta delle evidenze; turisti e fruitori in generale del territorio del GAC dello Stretto. I partner La ricerca dei partner è stata effettuata attraverso le piattaforme informatiche dedicate messe a punto dall’unità europea di animazione del Farnet. Tra i numerosi contatti ricevuti grazie all’interesse suscitato dal progetto, solo i partner la cui disponibilità di fondi e le cui tempistiche gestionali ed organizzative si mostravano compatibili con quelle del capofila hanno potuto integrarsi nel partenariato. Il partenariato definitivo di SHADES è quindi composto da sei partner calabresi, ovvero il GAC dello Stretto (capofila), GAC Bormas, GAC CostiHera, GAC PerTi, GAC Medio Ionio, GAC Costa degli Dei;due partner lituani, il GAC Šilutėsžuvininkystės vietosveiklosgrupė ed il GAC Taurageszuvininkyste svietosveiklosgrupe;un partner associato spagnolo, il GAC Golfo Artabro; un partner associato polacco, il GAC PradolinaŁeby. Note 1. Per carryingcapacity si intende “la pressione antropica sopportabile dalle risorse costiere senza accusare perdite delle proprie caratteristiche strutturali e senza dismissioni delle proprie funzioni” (Boscolo, 2011:57). 2. Integrated Coastal Management (ICM), o anche Integrated Coastal Zone Management (ICZM).


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FOCUS

IL GAL BATIR VOLANO DI CONOSCENZA di Francesco Vita

Panoramica dell’area del Galbatir

I progetti realizzati dal GAL BaTiR

in questi anni puntano a ridurre le differenze di conoscenze dei patrimoni, cercando di creare i presupposti per poter trasferire le informazioni del territorio sul territorio stesso. Chi più gestisce le informazioni, più può decidere come utilizzarle e a chi inviarle, come indirizzare lo sviluppo di un settore economico rispetto ad un altro. The projects carried out by GAL BaTiR during these years aimed at reducing the differences in knowledge among different heritages, trying to create the conditions for transferring informations of the territory on the same territory. Who manages more informations can also decide how to use them by contributing to the development of an economic sector despite another.

I

l Gruppo tecnico del GAL BaTiR ha iniziato nel corso degli ultimi anni un processo di costruzione che mira alla conoscenza sistematica e sistemica dei patrimoni: processo che ha intrapreso da tempo in molteplici progetti avviati e alcuni già conclusi. Un processo di conoscenza, costruito attraverso una metodologia definita e che ha permesso di individuare e selezionare tutti quei patrimoni che contribuiscono a costruire la cultura di ogni luogo: dal Patrimonio Culturale a quello Colturale, dall’Immateriale a quello Naturale, per concludere con quello Aziendale. Questo processo, per essere efficace, utilizza strumenti di innovazione tecnologica, come i Sistemi informativi Territoriali. Negli ultimissimi anni si è avuta una evoluzione rispetto alle difficoltà diffuse di utilizzo delle nuove tecnologie, infatti si è passati dal digital divide allo slogan verso l’inclusione. Castells, considerato uno dei più importanti pensatori dell’era Internet, ci avverte che l’informazione presente su Internet sta divenendo in poco tempo ricchezza: chi più gestisce queste informazioni, più può decidere come utilizzarle e a chi inviarle, come indirizzare lo sviluppo di un settore economico rispetto ad un altro. I progetti che sono stati realizzati dal Gal Batir in questi anni puntano


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Vicolo di Chianaela

a ridurre queste differenze di conoscenze, cercando di creare i presupposti per poter trasferire le informazioni del territorio sul territorio stesso, questo è fondato sulla produzione di conoscenza e sul trattamento dell’informazione come fonti essenziali di potere e di ricchezza; sulla struttura in reti d’informazione delle attività dominanti, e sull’utilizzo delle tecnologie d’informazione, basate sui microchip, come mezzo essenziale di organizzazione di tutte le attività. In sintesi chi ha la conoscenza è al potere e chi ha le informazioni, “naviga in un oceano di incertezze con qualche arcipelago di certezze” (Morin)1. La variabile tempo è fondamentale per poter spiegare questo processo che è iniziato con il XIX secolo. Il progresso scientifico che la nostra società ha sperimentato durante il secolo scorso è stato caratterizzato da ritmi e velocità che spesso hanno modificato il tempo come mai era successo prima di allora. Questo processo temporale, caratterizzato fino ad allora da una sincronia con la natura, si è spezzato in due parallele categorie. I tempi di reazione alle trasformazioni dovute all’azione dell’uomo da parte del sistema “Natu-

ra” sono diversi rispetto ai tempi dei mutamenti umani: si spezza così il meccanismo coevolutivo, e si pongono di fronte dinamiche accelerate (tempi storici) con elementi che rispetto a quella velocità temporale, si sono dimostrati rigidi (tempi biologici) (Tiezzi, 1982)2. L’equilibrio dell’evoluzione da armonico si spezza, si creano divisioni tra i due sistemi e questo meccanismo si ripercuote anche sulle categorie di lettura dell’epoca in cui si vive. Ad accelerare ancora di più questo diacronismo sono i tempi della tecnologia che immettono nel mondo meccanismi e strumenti che sono avanti rispetto alle descrizioni scientifiche del mondo nei diversi campi del sapere. Succede che scoperte fatte ai primi del secolo vengono solo oggi applicate con successo perché i tempi per assimilare e, quindi, fare propri questi meccanismi sono complessi e ampi e hanno bisogno di processi e sperimentazioni tali da esigere tempi lunghi. Questo processo di differenziazione tra i tempi dell’uomo e tempi Tecnologici, sembra essere similare per diversi aspetti a quello precedentemente descritto tra Tempi Storici e Tempi Biologici. L’uomo non riesce a stare dietro alle sue creazioni e ne perde il controllo, o meglio, non ne coglie l’utilità al momento della creazione. Oggi ci troviamo di fronte ad un flusso di informazioni direttamente proporzionale al numero di innovazioni tecnologiche, non passa giorno senza che qualcuno operi un cambiamento, piccolo o radicale che sia, su qualche software open source3. È necessario ripensare la Società dell’Informazione affinché si possa evolvere in Società della Conoscenza. Il problema è che la conoscenza, il Knowledge caro agli anglosassoni, nel nostro tempo è un concetto che si sgretola facilmente, che ha vita breve a meno che non avvenga un continuo rinnovamento ottenuto attraverso scambi e trasformazioni. Oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie, esistono nuove forme di conoscenza e nuovi modi di trasmettere la conoscenza. Per poter operare il passaggio dalla società dell’informazione alla società della conoscenza è necessario un salto di paradigma, andare oltre la conoscenza esplicita rappresentata dal web e dalle informazioni che questo contiene. Per poter operare questa trasformazione è necessario trovare una nuova terminologia: le parole vecchie portano il fardello dei significati stabiliti. Bisogna avere una visione rivoluzionaria e una strategia da esploratori, “mantenendo aperte tutte le opzioni di direzione e cercando di individuare i sentieri di migrazione più sicuri”4. Questo è uno dei presupposti che il gruppo tecnico-scientifico del GAL BaTiR si pone


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ogni volta che deve iniziare a ideare un progetto. Prendendo come spunto gli studi di Nelson, Morris e Lefreve,5 cerchiamo di capire qual è il processo per arrivare alla conoscenza. Possiamo considerare la conoscenza come un anello intermedio in cui in un estremo ci sono i dati e all’estremo opposto la saggezza (Vedi fig. 1). Questa definizione di conoscenza mette in risalto i concetti di applicazione, esperienza, comunità e contesto, rivelando l’importanza che viene data ai passi della pratica, della condivisione e dell’ambiente. Oggi, grazie alla tecnologia abbiamo nuove applicazioni e nuovi meccanismi che permettono una nuova possibilità di conoscenza. Non bastano più esperienza, interazione e intuizione, per raggiungere la conoscenza, i processi si complessificano e le variabili in gioco sono molteplici. Alle tre azioni fondamentali bisogna aggiungere la collaborazione, il sapere condiviso e trasmesso, l’innovazione. Non sono più i canali tradizionali quelli che possono alimentare la conoscenza, ne sono necessari nuovi ed innovativi. Il primo elemento per l’acqui-

Scogliera a Chianalea

sizione della conoscenza è il dato che può essere assimilato solo se si sopperisce alle difficoltà di una gran parte dei cittadini di accedere e utilizzare le nuove tecnologie. Questa è una delle sfide che il GAL BaTiR ha accettato e su cui sta lavorando e intende lavorare: il progetto dell’Atlante del Basso Tirreno Reggino, la creazione della guida “Le terrazze sul Mito”, la progettazione e creazione dell’App Guida al Basso Tirreno Reggino, sono i primi esempi che puntano a creare conoscenza. Questi progetti sono la base per poter operare in futuro affinché questa conoscenza possa essere maggiormente pervasiva e condivisa sul territorio e sulle azioni che lo vedono protagonista. Note 1. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001 2. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici. Vent’anni dopo, Donzelli Editore, 2001. 3. Si pensi all’open source, dove ognuno può modificare il codice sorgente e migliorare le prestazioni, o aggiungere una nuova funzionalità al software in questione. 4. F. Paganelli e F. Sorrentino, L’intelligenza distribuita, Erickson editore, 2006. 5. D. Norris, J. Mason, P. Lefreve, Trasforming e-Knowledge: a revolution in the sharing of knowledge, Ann Arbor (USA), The Society for College e University Planning, 2003.




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N 4/2015


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