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divenuta romana dopo la guerra marsica (fu presa ed incendiata da Silla nell’89 a.C.), costituì nell’orbita politica dell’unificazione dell’Italia attuata da Roma uno dei centri più importanti dell’Hirpinia. Elevata nell’87 a.C. a municipio romano iscritto alla tribù Cornelia, divenne colonia romana ai tempi dell’imperatore Adriano con il nome Aelia Augusta Aeclanum e raggiunse nel II e III secolo d.C. un periodo di fiorente splendore al centro del traffico commerciale (la via Appia attraversava l’intera area urbana con andamento da ovest ad est) che si irradiava lungo la sicura ed agevole rete stradale romana di collegamento fra il Tirreno e l’Adriatico. Resti riferibili all’abitato antico di Aeclanum sono visibili nella località Grotte di Passo di Mirabella dove si ammira ancora il recinto murario della prima metà del I secolo a.C. in opera quasi reticolata. All’interno dello spazio urbano
sono un complesso termale degli inizi del I secolo d.C. con strutture murarie in opus mixtum che evidenziano il tepidarium e il calidarium, l’apodyterium e il frigidarium, una piscina natatoria ed una serie di contrafforti in opera laterizia. Annessi alle terme sono una serie di ambienti di uso pubblico che conservano le murature perimetrali in opera mista quasi nella loro originaria altezza. Nell’area forense è un tholus macelli, di epoca imperiale con pilastrini in opera vittata, da cui si accedeva ad alcune tabernae disposte intorno ad una platea circolare. Ad est del mercato è stato identificato forse il teatro e nella zona centrale del pianoro è il quartiere abitativo, racchiuso da tre strade. Prospiciente una strada basolata si rileva una “casa con peristilio” di epoca imperiale ed un lungo ambiente absidato con paramento in opus mixtum del I sec. d.C. Sempre a N della casa sono una serie di altri ambienti, in alcuni dei quali sono resti di una
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fornace in cocciopesto e vasche di sedimentazione del V-VI secolo d.C.. A pochi metri dal peristilio sono i ruderi di una basilica paleocristiana che aveva forse tre navate ed è preceduta da un fonte battesimale a croce greca. MONTELLA Al Paleolitico inferiore si datano resti di industrie litiche mentre un insediamento capannicolo di età eneolitica (III-II millennio a.C.) è stato individuato agli inizi del secolo scorso in località Fossa della Pila. Resti di un probabile circuito murario in opera poligonale del IV-III secolo a.C. si conservano presso la Sella di Fontigliano. La presenza dell’uomo in età romana è testimoniata nel territorio montellese dalla localizzazione di alcuni stanziamenti rustici e di sepolcreti nelle contrade San Giovanni, Lauriola, Triritoppola, Cannavale, Prati, San Pietro e Santa Croce, Rione Fontana, da cui provengono iscrizioni,
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monete, reperti ceramici, edicole funerarie, materiali architettonici. MONTEMARANO Strutture murarie riferibili a ville rustiche ed il ritrovamento di tesoretti monetali, iscrizioni latine ed aree di frammenti fittili segnalate in alcune località fin dal secolo scorso, attestano una frequentazione stabile della zona fin dall’età romana.
testimoniata dalla scoperta di sepolture tombali e dalla presenza del circuito murario in opera poligonale situato sulla collina Serra dell’Incoronata, dove era probabilmente un oppidum sannitico del IV-III secolo a.C. La documentazione di età romana è rappresentata dal ritrovamento di iscrizioni, edicole funerarie e materiale archeologico nelle campagne della zona a testimonianza dell’esistenza di ville rustiche a produzione schiavistica.
MONTEVERDE La presenza umana nel suo territorio è attestata fin dall’età eneolitica (III-II millennio a.C.), periodo cui si riferiscono industrie fittili e litiche scoperte nelle campagne monteverdesi agli inizi del secolo scorso. Un villaggio con relativo sepolcreto di età arcaica è stato invece localizzato anni fa nelle località Bosco Ricciardi (anforette, patere, brocche oggi al Museo Irpino) e Isca del Barone, mentre l’età sannitica è
MORRA DE SANCTIS L’abitato sorge su di un altopiano situato nelle vicinanze delle sorgenti dei fiumi Ofanto, Sele e Calore, le cui valli costituiscono fin dall’antichità le naturali arterie di comunicazione tra Tirreno e Adriatico. Le prime presenze umane nella zona risalgono all’VIII-VI secolo a.C., periodo cui sono attribuiti i ritrovamenti archeologici della località Piano di Cerasuoli, dove è stata esplorata una necropoli
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con tombe a fossa che hanno restituito ricchi corredi funerari con monili in metallo (bracciali ad arco inflesso, orecchini, fibule), armi (coltelli, cuspidi di lancia) e reperti vascolari (ciotole, olle, anforette a corpo globoso). Allo stesso periodo risale anche la vita di un insediamento all’aperto localizzato nei pressi del nuovo campo sportivo, da cui provengono tegole e frammenti di ceramica d’impasto. Tombe di età arcaica sono state rinvenute nella contrada Fontanelle e nell’area dell’odierna Cappella della Maddalena, mentre ceramiche di provenienza dauna sono segnalate in località Laganzana. Al IV-III secolo a.C. risale un villaggio scoperto in località Piano dei Tivoli, in cui sono state messi in luce un tratto di strada lastricata con basoli e strutture murarie: dal sito provengono terrecotte votive e architettoniche forse pertinenti un edificio sacro del IV secolo a.C. Un altro insediamento della stessa epoca, testimoniato da ambienti con spesse strutture murarie, è stato scoperto ai mar-
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gini del paese, non lontano da piazza Giovanni XXIII. All’età tardo-romana si datano i resti di una villa rurale romana in località Selvapiana. NUSCO Testimonianze di una presenza umana nel territorio nuscano sono costituite da iscrizioni latine di età imperiale, sarcofagi in travertino, edicole funerarie, reperti vascolari e materiali architettonici provenienti dalla località Fontigliano. Nella stessa zona anni fa sono stati anche individuati resti di un esteso e monumentale insediamento rurale sempre di età imperiale romana. A Serra di Nusco sono state ritrovate diverse tombe della tarda età del ferro, dai cui corredi si sono recuperati numerosi reperti di bronzo attribuiti alla corrente culturale di Oliveto-Cairano, tra cui fibule a navicella, pendagli a conchiglietta, saltaleoni, un’armispirale in lamina di provenienza forse trans-adriatica, una serie di bracciali ad arco inflesso, goliere, anelli, una punta di lancia di ferro. ROCCA SAN FELICE L’abitato è situato nei pressi della nota Valle d’Ansanto, dove intorno alla metà del secolo scorso è stato localizzato l’importante santuario della dea Giunone Mefitide, frequentato dal V secolo a.C. al II secolo d.C. Il culto era legato alle caratteristiche naturali del luogo, sede di fenomeni di vulcanesimo e di un laghetto naturale noto per le sue venefiche esalazioni (anidride carbonica e acido solforico). La località costituisce uno dei luoghi più suggestivi dell’Irpinia:
identificato dagli antichi popoli italici e dagli stessi Romani come una delle porte dell’Ade, la zona è stata descritta da Virgilio nell’Eneide e da altri famosi scrittori latini. Scavi compiuti negli anni Cinquanta hanno portato alla scoperta del deposito votivo di quello che viene generalmente considerato come il santuario federale degli Hirpini, ubicato proprio ai margini del laghetto vulcanico. L’imponente mole di materiali allora recuperata e attualmente conservata nella sala V del Museo Irpino di Avellino, costituisce ancor oggi una delle più ricche e interessanti testimonianze della cultura figurativa italica. La zona è stata abitata stabilmente almeno dal V secolo a.C. al IV d.C., come dimostrano iscrizioni, reperti architettonici, rilievi funerari, tesoretti monetali, una serie di terrecotte di età ellenistica e di bronzetti raffiguranti l’Ercole italico (IV-III sec. a.C.), estesi sepolcreti e la grande quantità di materiale archeologico finora recuperato da ville rustiche, tabernae ed altri edifici pubblici legati all’attività del santuario. Esplorata in parte la stipe votiva del tempio, che ha restituito l’eccezionaIe complesso di sculture lignee con figure umane, a forma di erme o pseudoerme, del V secolo a.C. e statuette fittili raffiguranti diverse divinità, tra cui Eracle, Afrodite, Eros, Atena, Era, Artemide e tante offerenti, figure muliebri o guerrieri italici. Le campagne di scavo condotte agli inizi degli anni Settanta dalla Soprintendenza Archeologica di Salerno hanno poi portato all’individuazione, sulle pendici nord-occidentali della collina di Santa Felicita, una cospicua parte del santuario di età tardo-repubblicana.
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SANT’ANDREA DI CONZA Dalle campagne circostanti l’odierno nucleo urbano provengono numerose testimonianze archeologiche di età romana, rappresentate da iscrizioni latine, materiali architettonici, tombe, edicole funerarie, tra cui una stele funeraria con figura femminile con capo velato (oggi al Museo Irpino), ceramiche e tesoretti monetali riferibili alla presenza nella zona di ville rustiche impiantate già nella tarda età repubblicana (I sec. a.C.), con continuità di frequentazione sino al periodo della grave crisi economica che interessò il mondo romano dal III al IV sec. d.C. SANT’ANGELO DEI LOMBARDI Resti di industrie litiche in selce ed in pietra levigata rinvenute agli inizi del secolo scorso nel suo territorio testimoniano una presenza umana nella zona fin dal Paleolitico inferiore. La località venne però abitata con una certa intensità soprattutto a partire dalla tarda era repubblicana (II-I secolo a.C.), quando vi furono stanziate alcune ville rustiche: ritrovamenti di materiali archeologici ed architettonici che provengono da varie contrade ne attestano la presenza. La vita continua anche in epoca tardo-romana e altomedievale: scavi archeologici hanno, infatti, messo in luce una necropoli con 65 sepolture in cassa di muratura e in fosse terragne nell’area interna del castello. Le tombe più antiche appartengono ad un periodo compreso tra IV e V secolo, mentre un altro gruppo di tombe, più folto, ha restituito reperti di età longobarda datati tra VI e VII secolo.
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SAN NICOLA BARONIA Un insediamento dell’età del ferro (IX-VIII secolo a.C.) che ha restituito numerose tombe a fossa con ricchi corredi funerari è stato scoperto nei pressi dell’ambulatorio locale: è la testimonianza più antica della frequentazione da parte di piccoli gruppi umani stabili nella zona. L’età sannitica (IV-III secolo a.C.) e romana sono invece attestate in località Acqua dei Salici, dove era con molta probabilità un villaggio sul cui perimetro fu impiantata in epoca imperiale una grande villa rustica.
SCAMPITELLA Tracce di frequentazione della zona dal Neolitico alla media età del Ferro sono state riscontrate nel suo territorio comunale. Le prime testimonianze di una frequentazione umana più intensa della zona partono dall’età romana e sono rappresentate da ceramiche e materiali architettonici finora recuperati in varie località del paese (Calaggio, Città di Contra), dove vengono segnalate anche estese aree di frammenti fittili riferibili ad insediamenti rurali installati nella zona in età imperiale romana.
SAN SOSSIO BARONIA Alla Cultura Appenninica si riferiscono i reperti ceramici trovati in contrada Civita. Il territorio sossiano era già frequentato stabilmente in età romana, come dimostrano i continui rinvenimenti archeologici che avvengono nelle campagne dell’odierno centro urbano. Un tratto di strada lastricata di epoca imperiale, strutture murarie, iscrizioni latine, tesoretti monetali e reperti vascolari sono stati finora ritrovati in località Civita Alta, mentre sulle colline circostanti la Fiumarella altre estese aree di frammenti fittili attestano la presenza nel luogo di ville rustiche cronologicamente ascrivibili all’età romana. In contrada Turro sono invece i monumentali resti di un ponte romano di cui si conservano i piloni in opera cementizia con parte dei paramenti esterni in opera laterizia. Sempre nella zona le profonde arature hanno portato in superficie una grande quantità di ceramiche, tegole ed oggetti metallici anche dell’età sannitica (IV -III secolo a.C.). SAVIGNANO IRPINO Le più antiche testimonianze di una presenza umana nella zona risalgono al Neolitico antico: si tratta di ritrovamenti di ceramiche sia d’impasto grossolano, con decorazioni impresse con punzoni o ad unghiate, sia d’impasto depurato, decorate con motivi geometrici incisi, provenienti da Monte Castello. L’industria litica è qui formata da lame, troncature e schegge in selce, elementi di falcetto, tranchets campignani, lame e lamelle in ossidiana, punteruoli in osso. Reperti del Bronzo antico sono segnalati in località Ferrara, mentre sempre a Monte Castello è stato messo in luce anche un insediamento della fine del IX - inizi VIII secolo a.C. da cui si sono recuperate ceramiche con decorazione geometrica protodaunia e subgeometrica daunia. All’età tardo-repubblicana (II-I secolo a.C.) ed imperiale romana (I-IV secolo d.C.) sono datate una serie di tombe che hanno restituito materiali archeologici e resti di ville rustiche localizzate nelle contrade Parco, Rasceta, Serra di Casale, Postarza, Piano della Bella, Isca, Scampata e Cave. Da Monte Sant’Angelo e Fontana Mottola provengono reperti ceramici di età eneolitica e sannitica.
ta ad U e ingresso seguito da una specie di vestibolo che delimita un angusto spazio di forma quadrilatera, da cui si accedeva nell’ambiente principale della struttura insediativa. All’interno, oltre a buche di palo e focolari, sono stati trovati alcuni vasi di impasto con all’interno ancora i resti di tre defunti incinerati. La ceramica e l’industria litica recuperata sono state attribuite alla corrente culturale cosiddetta del Gaudo. Resti dell’età del Bronzo sono invece in località Pozzillo. In età romana la zona rientra giurisdizionalmente nel territorio della vicina colonia di Aeclanum (odierna Passo di Mirabella), importante centro commerciale della II Regio Augustea in quanto attraversata dalla via Appia e punto di snodo di almeno altre tre importanti arterie di comunicazione che conducevano in Puglia, in Lucania e nell’avellinese. Iscrizioni incise su lastre marmoree e blocchi di travertino, reperti ceramici, unguentari fusiformi, monete provengono dalle località Trignara, Bosco, San Pietro, Sant’Arcangelo, Pisaro, Isca e San Pietro. TEORA Il suo territorio è stato poco frequentato nell’antichità, anche se in passato sono stati rinvenuti sporadicamente nelle sue campagne materiali archeologici riferibili ad un arco cronologico compreso tra la tarda età del Ferro e l’età romana, quando il luogo rientrava nell’ambito giurisdizionale della città di Compsa (odierna Conza della Campania). TORELLA DEI LOMBARDI Le più antiche testimonianze di una presenza umana nella zona risalgono all’età romana e sono rappresentate per lo più da iscrizioni latine, tombe, tesoretti monetali e strutture murarie riferibili a stanziamenti rustici finora segnalati nelle località San Vito, Braida e Vadi Porretti.
SORBO SERPICO Il suo territorio era già frequentato in età romana, quando la zona rientrava nella pertinenza della vicina città di Abellinum (odierna Atripalda). Reperti archeologici della cultura materiale, tombe e resti di strutture riferibili a ville rustiche di questo periodo e ruderi di un acquedotto di età imperiale che portava l’acqua fino alla piscina limaria della colonia Augusta Abellinatium sono stati localizzati fin dal secolo scorso in diverse contrade del paese. TAURASI Il territorio taurasino è frequentato fin dall’età eneolitica (III millennio a.C.), come attesta il recente ritrovamento in contrada San Martino di un insediamento capannicolo. Qui una campagna di scavi condotta dalla Soprintendenza Archeologica di Salerno ha messo in luce una capanna disposta sull’asse est-ovest, con pian-
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TREVICO Le testimonianze più antiche riguardanti il territorio di Trevico si riferiscono ad un insediamento dell’età del Bronzo (II millennio a.C.) localizzato in località Castello e ad una necropoli dell’età del ferro (IX-VIII secolo a.C.) scoperta in località Fontana Colarossa da dove provengono diversi oggetti d’ornamento personale di bronzo, tra cui armille tubolari, bracciali e fibule a navicella. Non mancano le ceramiche di questo periodo, tra le quali ci sono oinochòai, coppe e anforette. VALLATA Il recupero di materiali archeologici e la scoperta sporadica di strutture murarie ed aree di frammenti fittili localizzate in passato in alcune contrade del paese testimoniano la frequentazione della zona da parte di gruppi umani già a partire dall’età romana.
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VALLESACCARDA La zona è stata stabilmente frequentata da gruppi umani fin dall’età romana, come attestano i rinvenimenti di ville rustiche scoperte recentemente nei pressi dell’odierno centro urbano, di iscrizioni e cippi miliari di epoca imperiale provenienti dalle località Taverna delle Noci e Mattine. VILLAMAINA Ceramiche ed industrie litiche in selce recuperate nella località Santa Paolina e nei pressi delle Terme di San Teodoro attestano la presenza nella zona di insediamenti capannicoli ascrivibili all’età neolitica (V-III millennio a.C.). Ville rustiche ed altre notevoli testimonianze archeologiche rappresentate da aree di frammenti fittili, iscrizioni e materiali architettonici provenienti da edifici romani individuati nelle contrade Formolano, San Paolino, Vertoli e nell’odierno nucleo abitato sono invece riferibili ad un periodo di frequentazione compreso fra I secolo a.C. e II d.C. In quest’epoca, infatti, l’intero territorio villamainese era interessato da una intensa attività di sfruttamento delle risorse agricole in conseguenza dell’abbondanza di manodopera servile costituita in gran parte da orientali. Da una notizia ottocentesca abbiamo testimonianza della localizzazione di un piccolo luogo di culto nei pressi della fontana pubblica di Formulano.
VILLANOVA DEL BATTISTA Le testimonianze archeologiche che attestano una presenza umana nell’antichità sono rappresentate da sporadici ritrovamenti effettuati nella zona a confine con il territorio della vicina Flumeri. ZUNGOLI Il rinvenimento di industrie litiche in selce di età eneolitica (III-II millennio a.C.) avvenuto agli inizi del secolo scorso attesta la presenza nella zona di un insediamento capannicolo preistorico. L’età romana è invece testimoniata dalle continue scoperte in varie località del territorio comunale di materiali archeologici ed architettonici. Un cippo miliare in travertino con iscrizione pubblica in cui si accenna alla viam Herculeam è stato ritrovato nel lontano 1794 durante lavori agricoli eseguiti in contrada Piano dell’Olmo.
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LA STRADA FERRATA AVELLINO - ROCCHETTA SANT’ANTONIO Samantha Mongiello (GAL CILSI – A.G.I.Re.)
LA STORIA “Avellino, 10 ottobre 1893
Il 25 del corrente mese avrà luogo la inaugurazione del primo tronco della strada ferrata da Avellino a Santa Venere, un tronco di ventisette chilometri, che oltre il viadotto di Lapio, annovera due importantissime opere d’arte: la galleria di Salza, di soli settecento metri, ma difficile, per la qualità delle argille, non meno de’ trafori di Ariano, e la galleria di Montefalcione, che si estende, per tremila metri circa, in terreni anch’essi di costosa e non lieve costruzione. La festa inaugurale, a buon diritto, è ansiosamente attesa dalle popolazioni di questo amenissimo circondario. Essa afferma, dopo tanti e tanti anni, un diritto del più alto significato nella storia della viabilità meridionale: l’attuazione, cioè, del voto così fervidamente nutrito e così lungamente atteso di una linea ferroviaria per tutta la valle dell’Ofanto, dalle sue origini,
qui, presso l’Appennino di Nusco, al suo dilagare, di là dall’antico ponte di Massimiano, ne’ piani di Puglia. L’Avellino - Santa Venere è una rivelazione del medio evo in mezzo al mondo moderno. Forse non tutti avranno posto mente a ciò, che una gran valle, come quella dell’Ofanto, fu sempre letteralmente impervia, e quindi impraticabile, dalla più remota antichità a’ giorni nostri; non un tracciato, non un “tratturo” l’ebbe mai percorsa nella sua parte mediana da Conza ad Aquilonia: impervia, e quindi impraticabile, a causa della sua mobilità grande, eccezionale, singolarissima, delle sue rive argillose, che l’hanno resa, e la rendono tuttora, la più inospitale e la più malarica fra tutte quelle delle provincie napoletane. Geograficamente, essa è la strada maestra dell’altipiano irpino a’ porti dell’Adriatico; geologicamente, è l’unica valle della penisola, che non riuscì mai alla mano dell’uomo di volgere e asservire al commercio [...] Così solo si spiega,
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perché unanime e costante, in questo ultimo trentennio, fu sempre l’aspirazione di tutta quanta la provincia di Avellino al compimento di un’opera di tanta importanza, quale è quella della strada ferrata dell’Ofanto […]” 1 Così Giustino Fortunato in “Strade ferrate dell’Ofanto” (1880-1897) descrive “la festa inaugurale” della tratta ferroviaria Avellino - Rocchetta Sant’Antonio. Da questo breve contributo si possono già ricavare una serie di punti di riflessione che danno la dimensione dell’importanza storica ed antropologica di questa linea. Il progetto della ferrovia Ofantina, ovvero della linea ferroviaria Avellino - Ponte S.Venere (così si chiamava originariamente la stazione di Rocchetta Sant’Antonio) nacque con l’esigenza di trovare un punto d’incontro tra le province di Avellino, Foggia, Potenza e di creare una rete viaria nell’Alta Irpinia necessaria per il traffico delle merci. Una commissione parlamentare formata da Francesco De Sanctis (grande sostenitore della strada ferrata), dai deputati della Puglia,
LA STRADA FERRATA AVELLINO – ROCCHETTA SANT’ANTONIO
della Basilicata e da quelli della provincia di Avellino si batté per la ferrovia e nel luglio 1879 ne fu approvata la costruzione tra le linee di terza categoria. Nel 1888 la sua realizzazione fu affidata alla società Strade Ferrate del Mediterraneo che la terminò, per il suo intero percorso, nel 1895. Le condizioni tecniche del tracciato sono proprie di una ferrovia di interesse locale, le modalità di costruzione invece quelle di una linea di primaria importanza. Per venire incontro a molteplici interessi locali, ma soprattutto per assecondare la necessità di trovare una strada che seguisse il corso dei fiumi Calore e Ofanto, così da avere continui rifornimenti d’acqua per le locomotive a vapore, si creò un tracciato in cui la maggior parte delle stazioni risultavano lontanissime dai paesi. Questa linea sembra camminare dritta da una sponda all’altra dei fiumi, passando e ripassando il vario serpeggiare dell’acqua mediante ponti e potenti travate metalliche.
Si scelse di coprire il percorso attraversando i comuni di Taurasi, Castelfranci e Montemarano, vista la produzione di vino pregiato, e proseguire poi su Cassano Irpino, Montella, Bagnoli, Nusco e Lioni, attratti dal commercio di legname e castagne. Originariamente le stazioni o fermate di questa tratta erano 31 più i due capolinea. Oggi questo treno ferma solo in 15 stazioni. Per il resto porte chiuse, vecchie lavagne senza più orari, muri senza più orologi. LE STAZIONI DELLA TRATTA Avellino - Salza Irpina (soppressa alla fine del 2003) - Parolise (soppressa negli anni ’60) Montefalcione (soppressa ) - Arianello - Percianti (soppressa alla fine degli anni ’90) - Montemiletto (soppressa alla fine degli anni ’90, ma riattivata nel settembre 2007) - Lapio (soppressa alla fine degli anni ’90) - Taurasi (soppressa alla fine degli anni ’90) - Luogosano - San Mango sul Calore - Paternopoli (soppressa) - Castelvetere
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(soppressa alla fine degli anni ’90) - Castefranci Montemarano - Cassano Irpino - Montella - Bagnoli Irpino - Nusco - Campi di Nusco - Sant’Angelo dei Lombardi (soppressa alla fine degli anni ’90) - Lioni - Lioni Valle delle Viti (soppressa alla fine degli anni ’90) - Morra De Sanctis - Teora - Sanzano - Occhino (soppressa alla fine degli anni ’90) - Conza - Andretta - Cairano - Cairano (soppressa nel 1982 in conseguenza dell’apertura della variante di Conza) - Calitri - Pescopagano Ruvo - Rapone - San Fele - San Tommaso del Piano (soppressa alla fine degli anni ’90) - Monticchio (soppressa alla fine degli anni ’90) Aquilonia (soppressa alla fine degli anni ’90) Monteverde (soppressa alla fine degli anni ’90) Pisciolo (soppressa alla fine degli anni ’90) Rocchetta Sant’Antonio - Lacedonia. “…questo tracciato corrisponde perfettamente ai voti espressi dalla rappresentanza provinciale di Avellino, poiché esso tocca a Taurasi il circondario di Ariano, serve i numerosi comuni che
LA STRADA FERRATA AVELLINO – ROCCHETTA SANT’ANTONIO
stanno sopra Atripalda, percorre tutta l’alta valle del Calore e quella dell’Ofanto, e si accosta, quanto è possibile, a Sant’Angelo dei Lombardi; sicché essa attraversa o avvicina, entro un raggio di 10 chilometri, 59 comuni, di una popolazione complessiva di abitanti 189,888”. 2 In realtà questa linea non conobbe mai un traffico di grandi proporzioni. Solo dopo il 1 settembre 1933, data in cui le locomotive a vapore furono sostituite con le prime “Littorine”, le ALn 56, le corse giornaliere aumentarono da tre a cinque. Bisognerà invece aspettare gli anni ’70 per vedere le ALn 668 serie 1800, modello che ancora oggi presta servizio sulla linea. Nel corso degli anni ’50 la linea ferroviaria ha avuto il suo periodo di maggiore sviluppo. Utilizzata sia per il trasporto merci - soprattutto vino e legname - che per il trasporto passeggeri, contava ben otto corse giornaliere nei giorni feriali e sette nei festivi, con l’ultimo servizio serale limitato a Conza, dove c’era anche un deposito locomotive.
Nel 1980 anche la linea Avellino - Rocchetta Sant’Antonio pagò il suo tributo al terremoto del 23 novembre. Stazioni danneggiate, abbattute, piazzali popolati da roulotte e da tende. E per la popolazione colpita, vagoni ospedale in marcia lungo la linea semidistrutta. L’attuale stazione Conza - Andretta comprende anche quella di Cairano. Venne costruita alla fine degli anni 70 a seguito dello spostamento più a monte della linea ferroviaria nel tratto che lambiva il lago di Conza. In quegli anni, infatti, venne realizzata la grossa diga a sbarramento del fiume Ofanto che fece innalzare il livello delle acque fino a sommergere la linea ferroviaria. La variante di Conza fu completata nel 1982, anno in cui fu ripristinata anche la stazione di Avellino e inaugurata quella nuova di Conza Andretta - Cairano. Questa stazione era costituita da un edificio a due piani con annessi rimessa locomotive e dor-
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mitorio del personale: “la rimessa era destinata all’ultimo treno in orario che giungeva a tarda sera a Conza per ripartire all’alba; nell’attiguo dormitorio trovavano posto i ferrovieri giunti con tale treno. Tutto il complesso venne però utilizzato per pochi anni. Di quegli anni sono i treni merci Avellino - S.Angelo dei Lombardi, il merci raccoglitore che percorreva la linea in 7 ore. Un primo raccordo in linea con complessi industriali esisteva a Pisciolo, dove venne creata una fermata appositamente per il raccordo con le locali industrie estrattive, oggi dismesso. Altri due raccordi vennero creati invece negli anni ‘80 con le zone industriali di Taurasi e Luogosano, ma anch’essi ebbero vita breve, sebbene siano ancora esistenti ed abbastanza efficienti allo stato attuale. Gli anni ‘90 si aprirono con un aumento del numero dei treni: ben 7 coppie giornaliere. Esisteva anche un collegamento speciale nei mesi invernali tra Bari e Bagnoli Irpino per consentire di raggiun-
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gere la località sciistica di Lago Laceno” 3. Le prime zone industriali tra Nusco e Lioni avrebbero potuto essere collegate alla ferrovia, ma non è stato fatto. Si è preferito utilizzare il trasporto su gomma che ha reso più lento il traffico e certamente più costoso il movimento delle merci. I binari a scartamento ridotto attualmente in uso sono certamente inadeguati per poter ipotizzare un possibile sviluppo commerciale della tratta, la cui fattibilità è stata invece ampiamente documentata. Alcune corse furono sostituite da autobus, fino ad arrivare ad oggi con solo una coppia di treni che percorrono l’intera linea, mentre altri due coprono il percorso Avellino - Lioni, che risulta essere quello più frequentato soprattutto da studenti. Il servizio poi è interrotto nei giorni festivi e durante il periodo estivo. DATI TECNICI 4 LUNGHEZZA: 119 Km.
STAZIONI E FERMATE TOTALI: 31 più i capolinea. STAZIONI E FERMATE IN USO: 13 più i capolinea. STAZIONI SEDE DI INCROCI: 10 (Salza Irpina, Montemiletto, Paternopoli, Montemarano, Montella, Nusco, Conza-Andretta-Cairano, Calitri-Pescopagano, Monticchio, Monteverde). STAZIONI PRESENZIATE: 1 (Lioni). PONTI: 30 metallici (lunghezza totale m. 2174) dei quali 12 in ferro e 18 in acciaio. GALLERIE: 19 di cui una lunga m.2595, un’altra di m.1302, altre quattro tra i m.500 e 1000. ALTITUDINE MINIMA: 217 m. (Capolinea di Rocchetta Sant’Antonio-Lacedonia). ALTITUDINE MASSIMA: 672 m. (Stazione di Nusco). FIUMI ATTRAVERSATI: Sabato, torrente Salzola, Calore (attraversato ben 9 volte dalla ferrovia), Ofanto. PRESTAZIONE MASSIMA: 280 t. TIPOLOGIA DELLA LINEA: Binario unico non elettrificato. TRENI IN SERVIZIO: ALn 668 serie 1800. MASSIMO CARICO ASSIALE: 16 t/asse. LUNGHEZZA MASSIMA CONVOGLI: 275 m.
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I PROTAGONISTI Da alcuni documenti conservati nell’Archivio di Stato di Avellino emerge il quadro di un’umanità in movimento, un continuo moto migratorio che porta in terre isolate ingegneri, tecnici, impiegati e soprattutto operai, “…. ‘più di mille di diverse contrade d’Italia’, in cerca di lavoro e sopravvivenza lungo valli e pendii dai quali gli stessi abitanti fuggono per cercare altrove condizioni per una vita migliore.”5 Erano coloro che da ogni dove giungevano in Irpinia a cercare lavoro nei cantieri della ferrovia. L’arrivo di una moltitudine così importante di operai da tutta l’Italia in queste terre isolate, non abituate ad accogliere “gli stranieri”, visti spesso come una minaccia all’abitudinaria quiete di questi luoghi, ha segnato un incontro “forzato” tra linguaggi, culture, saperi e tecniche. Il rapporto tra queste realtà non è sempre stato indolore, anzi ha spesso creato malumori e pregiudizi tra le popolazioni autoctone, come testi-
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moniano i passi seguenti: “Ieri giorno festivo, Calitri sembrava un campo invaso da nemici, facce equivoche da mane a sera. Le risse scatenate da codesti operai in giro per il paese in festa, armati di roncole, rasoi e coltelli spaventano i cittadini esposti a pericoli senza che vi sia chi li garantisca”: così scriveva il Sindaco di Calitri al Prefetto di Avellino nel 1893. Tra i protagonisti delle storie di vita che si svolgevano lungo la tratta, una delle figure emblematiche è stata quella del corriere, il cui compito era, molto spesso, quello di barattare prodotti locali irpini in cambio di merci acquistate in città (Avellino e Napoli). “…Gerardo de Zonza, Pietro de Sciola, Antonio de Perchecchia. Così li chiamavamo affettuosamente. Erano i corrieri, coloro che andavano e venivano da Napoli e Avellino per conto di chi dal Paese non poteva allontanarsi. Li ricordo con dignitose valigie di fibra, piene di pacchetti vari, coscienti ed orgogliosi dei loro ruoli. La sera
rientrando sarebbero andati di casa in casa a fare le consegne…”. 6 Oltre ai ferrovieri, altre figure pittoresche popolavano i treni di questa linea, come Concetta, che tutti i lunedì prendeva il treno alla stazione di Bagnoli Irpino con in testa il suo cesto carico di ricotta e tartufi. Non possiamo infine dimenticare che la Littorina era conosciuta anche come il treno del vino. I produttori di Taurasi, Montemarano, Castelfranci, Luogosano e San Mango sul Calore utilizzavano la tratta per diffondere fuori provincia il pregiato nettare di Aglianico. Ma la tratta Avellino - Rocchetta Sant’Antonio ha significato soprattutto emigrazione. Per tutti gli anni ’50 e i primi anni ’60 il treno è stato il compagno di viaggio per moltissimi irpini che hanno lasciato i propri paesi di origine in cerca di un futuro migliore, verso l’industrializzato nord o verso le Americhe. Giorno dopo giorno, presso le stazioni della linea ferroviaria si ripetevano le
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scene di addii degli emigranti che, con le loro valigie di cartone, raggiungevano il capolinea a Rocchetta Sant’Antonio in attesa della coincidenza per Foggia e da lì verso nuove mete. UNA PROPOSTA DI RIVITALIZZAZIONE “…prima del turismo, c’era il viaggiare, attività intrapresa appunto da coloro che sono conosciuti come “viaggiatori”. Essi visitavano con la stessa curiosità e lo stesso timore reverenziale che animano gli adolescenti quando, con la complicità della nonna, viene loro dato modo di rovistare nei cassetti della scrivania del nonno, un arcipelago, con un passato alle spalle, esperienze, ricordi, il mondo dei “grandi” che, nell’immaginario dei bambini, ha sempre qualcosa di misterioso. I viaggiatori cercavano di capire i caratterizzanti trascorsi della vicenda umana vissuta nel territorio e provavano ad immedesimarsi nella corrente, gustavano la poesia dell’ambiente, nella più ampia accezione del termine, lo legge-
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vano attraverso gli occhi e i volti e le parole delle donne, degli uomini, dei ragazzi incontrati nelle campagne, nelle strade, nelle piazze, nelle case, trattenendosi con loro, magari sedendo al loro desco è […] la prossima conquista di chi vorrà fare turismo starà proprio nel recupero dello spirito che animava i viaggiatori, pur senza anacronistiche e ridicole rinunce, anzi utilizzando con intelligenza i mezzi e i sussidi moderni”. 7 La bellezza dell’Irpinia non ha accrediti eclatanti, è di quelle che si scoprono man mano, che vengono fuori alla distanza. È un territorio che va scoperto lentamente, senza fretta, con la curiosità ingenua di chi si avvicina per la prima volta, dove è possibile fermarsi e ritirarsi a riflettere in silenzio ascoltando la voce della natura. Ed è tra questi luoghi che si snoda l’antico asse ferroviario, percorrendo la valle dell’Ofanto e collegando
Avellino con i paesi della Media e Alta Valle del Calore e con la sua provincia più orientale. Frequentata ormai da soli due treni, per lo più vuoti, la linea è stata compresa nell’elenco dei “rami secchi” delle Ferrovie dello Stato. L’idea progettuale consiste nel riutilizzo di questa tratta ferroviaria, con la piena consapevolezza che “I rami secchi possono non solo rinverdire, ma anche portare frutti, se una intelligente e sagace politica di utilizzo del treno (unico mezzo attualmente ecologico) permetterà di valorizzare zone turistiche (…anche commerciali e industriali) poco conosciute, ma certamente meritevoli di attenzione da parte di chi vuole immergersi nel verde ancora pulito, per difenderlo e non per inquinarlo, ovviamente; la linea ferrata citata offre agli occhi del visitatore un paesaggio meraviglioso, appena
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sfiorato e cucito dalla cerniera marrone delle rotaie che, dolcemente, costeggiano le rive ed i pioppi del Calore e dell’Ofanto, si insinua nel verde intenso e profumato per aprire e ricomporre un’armonia di colori”.8 Rivitalizzare questa tratta ferroviaria non è un progetto anacronistico e nostalgico, ma è il tentativo di cercare possibilità per nuove funzioni compatibili con le necessità e le attuali opportunità, affinché né la storia né la memoria siano cancellate, ma vengano rese protagoniste per uno sviluppo sostenibile del territorio. Uno studio condotto con la supervisione della Prof.ssa Maria Gabriella D’Autilia e del Prof. Lello Mazzacane del Dipartimento di Sociologia dell’Università Federico II di Napoli e con il sostegno dell’Agenzia di sviluppo del GAL (A.G.I.Re, Agenzia per la Gestione e l’Implemen-
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tazione di Reti), propone un’idea progettuale di rivitalizzazione e rifunzionalizzazione, prioritariamente in chiave turistica, della linea ferroviaria Avellino - Rocchetta Sant’Antonio. Lo studio, realizzato attraverso il metodo della ricerca-azione da chi scrive e da Ilde Masillo (stagiste presso il GAL CILSI – A.G.I.Re.), individua e sperimenta otto macropercorsi di valorizzazione territoriale lungo la tratta: 1) archeologia, monumenti e personaggi storici; 2) architettura religiosa; 3) dialetti architettonici; 4) itinerario dei musei; 5) arti e mestieri; 6) risorse paesaggistiche e ambientali; 7) cultura del cibo; 8) riti, leggende e tradizioni popolari. Lo studio evidenzia, inoltre, alcuni esempi di buone prassi sull’uso turistico della tratta: 1994-95 “Il treno della neve” (Comunità Montana Terminio-Cervialto, Comune di Bagnoli Irpino, FFSS, Regione Puglia); 1995 “Il centenario” (Comuni della tratta, dopolavoro ferroviario di Lioni, Cassa di Mutualità di Teora, ITC Sant’Angelo dei Lombardi); 2001 “Viaggio sentimentale in treno” (CRESM e Comuni del Parco Letterario
F. De Sanctis); 2007 “Treni d’Irpinia” (Regione Campania, GAL Verde Irpinia, Provincia di Avellino, Comunità Montane Alta Irpinia e Terminio Cervialto, Comuni ed associazioni culturali). A valle di questo e di altri studi (es. CRESM – Provincia di Avellino, 1996), delle sperimentazioni sopra citate, delle attività di animazione territoriale svolte da A.G.I.Re., è stata avviata la costituzione di una rete costituita da attori pubblici e privati, interessati a vario titolo alla valorizzazione della storica tratta ferroviaria, con l’obiettivo di dar vita ad un percorso progettuale partecipato, con pari dignità, dai soggetti responsabili dell’attuazione di progetti di sviluppo nell’area interessata (PSL, PIT, PIR, Patti, Contratti d’Area, ecc.). Si pensa alla elaborazione ed attuazione di un progetto integrato di sviluppo locale che, riconsiderando il rapporto della ferrovia con il suo territorio, interviene sull’adeguamento infrastrutturale della tratta, sul miglioramento del servizio e sugli elementi di connessione con le risorse culturali, ambientali, artistiche, sociali ed economiche.
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NOTE 1
Giustino Fortunato, ‘10 Ottobre 1893’ in “Le strade ferrate dell’Ofanto” (1880-97), Firenze, Vallecchi Editore, 1927, pp. 180-181. 2 Giustino Fortunato, cit., p. 299. 3 Serafino Vinciguerra, Salvatore Marano, “Le strade ferrate. L’Avellino - Rocchetta Sant’Antonio. La storia”, in www.lestradeferrate.it 4 Fonte: Serafino Vinciguerra, Salvatore Marano, cit. 5 Gaetana Aufiero, “Amarcord: Avellino - Rocchetta Santa Venere. Una strada ferrata ‘ben più efficace dell’alfabeto’”, in “Irpinia Illustrata” n.4 (11), Cava dei Tirreni, Sellino Editore, 2003, pp 4-33. 6 N.Iorlano, V.Palmieri, “Passato Prossimo. Scene di vita lionese”, Lioni, 1974. 7 Giovanni Garavaglia, prefazione a “Monografia di Avellino e la sua Provincia”, Clementi Editore, 2002. 8 Liceo Scientifico Statale “P.S.Mancini” di Avellino, “Conoscere l’Irpinia”. Dal progetto didattico di riscoperta del territorio attraverso percorsi monumentali, curato dalla Prof.ssa Anna Andreoli, Ariano Irpino, 2004.
ESPERIENZE DI USO TURISTICO DELLA FERROVIA AVELLINO - ROCCHETTA S. ANTONIO
La “proposta di rivitalizzazione” contenuta nell’intervento che precede, si fonda anche sulla positiva valutazione di esperimenti già realizzati negli anni scorsi, a partire dal 1994 e in particolare dalle celebrazioni per il centenario della nascita della strada ferrata. Le ultime due iniziative sono state quella del 2001 denominata “Un Viaggio Elettorale, un Viaggio Sentimentale”, che era anche l’evento inaugurale delle attività del Parco Letterario Francesco De Sanctis 1, e quella del 2007 denominata “Treni d’Irpinia”. Il primo agosto 2001 sono stati percorsi, a bordo di un treno d’epoca, alcuni itinerari desanctisiani, con soste e momenti di drammatizzazione, brevi visite guidate ed una festa finale alla stazione ferroviaria di Morra De Sanctis. I partecipanti (viaggiatori con prenotazione) erano 250 ma il totale delle presenze è stato stimato in circa un migliaio di persone. I momenti di drammatizzazione prevedevano la presenza di un attore, una cantastorie, un banditore, un musicante, una banda musicale. Riportiamo qui il programma-copione del Viaggio.
PRIMA PARTE: VIAGGIO AVELLINO - MORRA DE SANCTIS • Ore 14.30 stazione ferroviaria di Avellino Il banditore annuncia l’orario di partenza del treno, le guide distribuiscono copie dei quotidiani che annunciano il viaggio inaugurale, la cantastorie dà inizio alla narrazione: Francesco De Sanctis ci ha lasciato il racconto di un viaggio elettorale. Il suo racconto sarà la nostra guida lungo la strada che ci porta a Morra, e poi a Conza e a Calitri. Era il 28 luglio 1837 quando Ciccillo, ventenne innamorato di Giacomo Leopardi, giungeva ad Avellino, proveniente da Napoli e diretto a Morra, per sfuggire al colera, “questo ignoto e sinistro morbo (che) dopo di avere spaventato mezza Europa, piombò sopra Napoli come un flagello”; “lettere mi venivano dal babbo, da mamma e da zio, atterriti dalle voci del colera che giungevano in paese, e mi chiamavano, e me ripugnante sgridavano e incalzavano”. Ed era un giorno di gennaio del 1875 quando il
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Professore giungeva ad Avellino, ultima tappa del viaggio elettorale, “ultimo scopo del mio viaggio, la capitale”. etc. • Ore 15.00 partenza. • Ore 17.00 arrivo alla stazione di Morra De Sanctis. Il banditore annuncia la merenda: taralli e dolci, vino e caffè, per i viaggiatori provenienti da Avellino e per quelli che iniziano qui il viaggio. La cantastorie legge alcuni brani del Viaggio desanctisiano dedicati a Morra: “Dunque una costa in pendio avvallata è Morra. Ed è tutto un bel vedere, posto tra due valloni. A dritta è il vallone stretto e profondo di Sant’Angiolo, sul quale premono le spalle selvose di alte vette, e colassù vedi Sant’Angiolo, e Nusco, e qualche punta di Montella, e in qua folti boschi che ti rubano la vista di Lioni. A sinistra è la valle dell’Isca, impetuoso torrente che va a congiungersi coll’Ofanto, e sopravi ignudi e ripidi monti, quasi un anfiteatro che dalla vicina Guardia si stende fino a Teora, e ti mostra nel mezzo
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il Formicoso, quel prato boscoso dietro di cui indovini Bisaccia, e ti mostra Andretta, e il castello di Cairano, avanguardia di Conza, e Sant’Andrea. etc. Il banditore annuncia la partenza del treno. SECONDA PARTE: VIAGGIO MORRA DE SANCTIS - CALITRI E RITORNO • Ore 17,30 partenza in direzione Rocchetta Sant’Antonio. La musica accompagna i viaggiatori, i musicanti occupano il primo vagone. • Ore 17,45 fermata lungo il fiume Ofanto, presso il lago di Conza. La cantastorie scende dal treno, il banditore richiama l’attenzione dei viaggiatori ai finestrini, la cantastorie descrive e racconta. Qui siamo nei pressi del fiume Ofanto e del lago artificiale di Conza, visibile dal treno. La cantastorie legge un testo tratto da un giornale stampato in occasione dell’inaugurazione della ferrovia, il 27 ottobre 1895. I musicanti si trasferiscono nella seconda carrozza.
• Ore 18,00 il treno riparte. • Ore 18,15 arrivo alla stazione di Calitri. Il banditore annuncia la prosecuzione del viaggio fino al centro storico (pochi minuti in autobus). • Ore 18,30: centro storico di Calitri. La cantastorie racconta del rapporto difficile tra il De Sanctis e questo paese, ricordando i brani più significativi tratti sempre da Un viaggio elettorale. Ascoltate, ascoltate cosa scrive De Sanctis di Calitri, la nebbiosa! “La strada era una fangaia; ci si vedeva poco, e un freddo acuto mi metteva i brividi. A sinistra era una specie di torrione oscuro, che pareva mi volesse bombardare; a destra una fitta nebbia involveva tutto; l’aria era nevosa, e il cielo grigio tristamente monotono. Salii a una gentile piazzetta, e passando sotto gli sguardi curiosi di molte donne ferme lì sulle botteghe, volsi a mancina in una specie di grotta sudicia che voleva essere un porticato, e giunsi in casa Tozzoli. (…)
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Non conoscevo le cose, ma quelle strade erano impresentabili, e dànno del paese una cattiva impressione a chi vi giunge nuovo; le strade sono pel paese quello che il vestire è per l’uomo.” Entra in scena l’attore che interpreta il personaggio dell’Autore e parlando in prima persona, affacciato ad un balcone, chiarisce e spiega i motivi di quel suo rancore, ricordando però soprattutto la bella accoglienza ricevuta dai bambini del paese, che erano uguali ai bambini di Morra, coi quali condividevano i giochi. Ricorda la sua infanzia a Morra. Evocati, entrano in scena bambini che giocano “alla lotta, al salto sulla schiena” ecc., dopodiché si mescolano al pubblico, invitandolo a seguirli nei vicoli del centro storico. Anche i musicanti li seguono. Il cantastorie, vagamente contrariato, ricorda ai presenti che dopo mezz’ora si riparte, l’attore rientra in casa e richiude il balcone, il banditore sottolinea l’orario della partenza.