ANNA dai cape i ro i
ROMANZO 1
Lucy Maud Montgomerytraduzione di Angela Ricci
Serie PAPERBACK P A P E R B A C K
Lucy Maud Montgomery Anna dai capelli rossi
ROMANZO 1
traduzione dall’inglese di Angela Ricci
Lucy Maud Montgomery
Anna dai capelli rossi
traduzione dall’inglese di Angela Ricci
ISBN 979-12-221-0330-3
Prima edizione giugno 2018
Prima edizione paperback giugno 2024
ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2028 2027 2026 2025 2024
© 2018 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo originale: Anne of Green Gables
Immagine di copertina per gentile concessione di Netflix, Inc.
Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign
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Immagine di copertina utilizzata su autorizzazione di Netflix, Inc.
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Anna dai capelli rossi
Alla memoria di mio padre e mia madre.
L.M.M.
Le buone stelle si congiunsero nel tuo oroscopo, ti fecero di spirito, di fuoco e di rugiada.
ROBERT BROWNINGUna sorpresa per Rachel Lynde
La casa di Rachel Lynde sorgeva esattamente nel punto in cui la strada principale di Avonlea cominciava a scendere in una piccola valle circondata da ontani e fucsie. In mezzo scorreva un torrente che aveva origine lontano da lì, nel bosco intorno alla vecchia casa dei Cuthbert. Il primo tratto, a ridosso della sorgente, aveva fama di essere intricato e impetuoso; vi si nascondevano, simili a tenebrosi segreti, cascate e piscine naturali. Quando però giungeva nella valle di casa Lynde, diventava un fiumiciattolo tranquillo e composto, perché persino un torrente non avrebbe mai osato scivolare di fronte alla porta di Rachel Lynde senza la necessaria dignità e il dovuto decoro. Con ogni probabilità sapeva benissimo che avrebbe trovato la signora Rachel seduta alla finestra a tenere d’occhio tutto ciò che le passava davanti, dai corsi d’acqua ai bambini, e che se avesse notato qualcosa di strano o di poco appropriato non avrebbe avuto pace finché non ne avesse scoperto il perché e il percome. Dentro e fuori Avonlea non è raro incontrare persone che a forza di badare alle faccende altrui finiscono per trascurare le proprie; Rachel Lynde invece era una di quelle industriose creature in grado di gestire sia i propri affari sia quelli di moltissima altra gente. Era una casalinga virtuosa, sbrigava sempre le faccende di casa al momento giusto e nel migliore dei modi, “dirigeva” il circolo del cucito, aiuta-
va a gestire la scuola domenicale ed era una fedelissima sostenitrice della società di mutuo soccorso della parrocchia, nonché dell’associazione missionaria. Eppure, nonostante tutte queste attività, la signora Rachel trovava sempre tempo in abbondanza per starsene seduta ore e ore alla finestra della sua cucina a lavorare a maglia trapunte di cotone – ne aveva già fatte 16, risultato che le casalinghe di Avonlea non mancavano mai di commentare con voce ammirata – e a tenere d’occhio la strada principale che attraversava tutta la valle e si inerpicava su per la ripida collina rossa, sul lato opposto. Poiché la cittadina di Avonlea sorgeva su una piccola penisola triangolare protesa sul golfo di Saint Lawrence, lambita dall’acqua su entrambi i lati, chiunque volesse raggiungerla o lasciarla era costretto a passare per la strada che tagliava le colline, e quindi a sottoporsi all’invisibile giudizio della signora Rachel, ai cui occhi non sfuggiva nulla. Quel pomeriggio, all’inizio di giugno, era seduta al suo solito posto. Il sole caldo e luminoso entrava dalla finestra, il giardino che cresceva sul pendio ai piedi della casa era una distesa di fiori color rosa pallido come il viso di una sposa, e sopra di esso ronzava una miriade di api. Thomas Lynde – un ometto docile che la gente di Avonlea chiamava semplicemente “il marito di Rachel Lynde” – stava seminando le ultime rape della stagione nell’orto dietro il fienile. Alla fattoria di Green Gables, anche Matthew Cuthbert avrebbe dovuto dedicarsi alla semina nel grande campo di terra rossa vicino al torrente. La signora Rachel lo sapeva perché la sera prima l’aveva sentito parlare con Peter Morrison al negozio di William J. Blair, giù a Carmody, e Matthew aveva detto che il pomeriggio seguente si sarebbe occupato di seminare le rape. Ovviamente era stato Peter a chiederglielo, Matthew Cuthbert non era tipo da rivelare di sua spontanea volontà informazioni su qualsivoglia aspetto della sua vita.
Una sorpresa per Rachel Lynde
Eppure eccolo laggiù, Matthew Cuthbert, che alle tre e mezza di pomeriggio di un giorno feriale guidava placidamente il suo calesse in mezzo alla valle e poi su per la collina. Come se non bastasse, indossava una camicia bianca e gli abiti delle grandi occasioni, il che voleva dire senza dubbio che andava fuori Avonlea. Aveva preso il calesse e la cavalla saura, quindi il posto in cui stava andando doveva essere piuttosto lontano. Ma dov’era che stava andando, e per quale motivo?
Se si fosse trattato di un qualsiasi altro abitante di Avonlea, la signora Rachel avrebbe abilmente messo insieme le informazioni che aveva su di lui e formulato in quattro e quattr’otto una risposta plausibile a entrambe le domande. Ma Matthew si allontanava così di rado da casa che il motivo doveva essere qualcosa di urgente e insolito. Era l’uomo più timido sulla faccia della terra e odiava trovarsi in mezzo a sconosciuti, o in generale in qualsiasi posto in cui fosse necessario parlare. Decisamente non capitava tutti i giorni di vederlo guidare il suo calesse vestito di tutto punto e con la camicia bianca. Per quanto la signora Rachel si sforzasse di riflettere, non riuscì a trovare una soluzione all’enigma, cosa che le rovinò tutto il divertimento di quel pomeriggio.
“Farò un salto a Green Gables dopo il tè e mi farò dire da Marilla dov’è andato e perché” concluse infine la rispettabile signora. “Di solito non va in città in questo periodo dell’anno e non va mai a far visita a nessuno; se avesse finito i semi di rapa non si sarebbe vestito tutto elegante e non avrebbe preso il calesse solo per andare a comprarne altri; e non stava nemmeno andando a chiamare un dottore, o avrebbe guidato più velocemente. Ma da ieri sera dev’essere successo qualcosa che gli ha fatto cambiare i suoi piani. Sono davvero perplessa, non c’è che dire, e non avrò un minuto di pace finché non saprò per quale motivo Matthew Cuthbert ha lasciato Avonlea oggi”.
Pertanto, come programmato, dopo il tè la signora Rachel uscì. La sua meta non era lontana: la grande casa dalla forma irregolare dove vivevano i Cuthbert, circondata da un giardino, era a un chilometro scarso di distanza da quella dei Lynde, sulla stessa strada. A dir la verità il lungo viale di accesso la rendeva parecchio più lontana. Quando aveva costruito quella casa, il padre di Matthew Cuthbert, timido e silenzioso come il figlio, aveva voluto restare il più possibile alla larga dall’abitato, pur senza andare a finire dentro il bosco. Green Gables era stata edificata sul confine estremo dei terreni di sua proprietà, e lì sorgeva ancora, a malapena visibile dalla strada principale sulla quale si affacciavano invece le altre case di Avonlea, più inclini alla socialità. Per Rachel Lynde vivere in un posto così isolato non era neppure degno di essere definito “vivere”. «Al massimo si può dire che risiedano qui» disse imboccando il vialetto erboso segnato dalle ruote del calesse e fiancheggiato da cespugli di rose selvatiche. «Non c’è da meravigliarsi se Matthew e Marilla sono tutti e due un po’ strani, considerando che vivono qui isolati. Gli alberi non devono essere di grande compagnia, certo se lo fossero ne avrebbero in abbondanza. Ma secondo me è molto meglio osservare la gente. A dir la verità pare che loro siano abbastanza contenti, ma immagino che ci siano abituati. Il corpo si abitua a tutto, persino a essere impiccato, diceva quell’irlandese».
Mentre borbottava queste parole, la signora Rachel giunse in fondo al viale e mise piede nel giardino posteriore di Green Gables, uno spazio verdeggiante, ordinato e preciso, con degli imponenti salici da un lato e dei sobri pioppi dall’altro. Non c’era neanche un rametto o un sassolino fuori posto, se ci fosse stato la signora Rachel l’avrebbe di sicuro notato. In cuor suo era convinta che Marilla Cuthbert spazzasse quel giardino con la stessa frequenza con cui spazzava l’interno della casa. Si poteva mangiare per terra senza alcun timore.
Una sorpresa per Rachel Lynde
La signora Rachel bussò prontamente alla porta della cucina ed entrò dopo essere stata invitata. La cucina di Green Gables aveva un aspetto allegro, o meglio l’avrebbe avuto se non fosse stata così scrupolosamente ordinata, al punto da assomigliare quasi a un salotto buono, di quelli che non si usavano mai. Le finestre erano esposte a Est e a Ovest, e da quella che guardava a Ovest, sul giardino, entravano i dolci raggi del sole di giugno. La finestra che affacciava a Est invece, dalla quale si potevano scorgere i ciliegi carichi di fiori bianchi del giardino a sinistra della casa e le betulle snelle e ondeggianti che crescevano lungo la riva del torrente, era incorniciata dal verde di alcune piante rampicanti che si intrecciavano sul muro esterno. Era lì che Marilla Cuthbert si sedeva di solito, le rare volte che le capitava di sedersi, perché provava una certa diffidenza nei confronti del sole, giudicato fin troppo ballerino e irresponsabile per quel mondo che invece andava preso sul serio. Fu lì che la trovò seduta la signora Rachel, a lavorare a maglia con la tavola già apparecchiata alle spalle.
Prima ancora di aver terminato di chiudere con delicatezza la porta, la signora Rachel aveva già notato tutto ciò che si trovava sulla tavola. C’erano tre piatti, il che voleva dire che Marilla si aspettava che Matthew tornasse con qualcuno per il tè; i piatti tuttavia erano quelli di tutti i giorni, la marmellata era di semplici mele selvatiche, e c’era una sola torta, perciò l’ospite che attendeva non doveva essere nessuno di particolarmente importante. Ma allora perché Matthew si era messo la camicia bianca e aveva preso la cavalla saura? La signora Rachel cominciava a essere davvero confusa da quello strano mistero che riguardava la tranquilla e di solito molto poco misteriosa Green Gables.
«Buonasera, Rachel» disse Marilla saltando i convenevoli. «Bella serata, vero? Non ti siedi? A casa state tutti bene?» Nonostante
le loro differenze, o forse proprio per quelle, Marilla Cuthbert e Rachel Lynde erano sempre state legate da un sentimento che, per mancanza di altri termini più adatti, si poteva definire amicizia.
Marilla era una donna alta e snella, dotata di spigoli più che di curve. I suoi capelli neri, da cui facevano capolino alcune ciocche grigie, erano sempre raccolti all’indietro in un piccolo chignon, con due forcine che spuntavano fuori. Aveva l’aria di una donna dalle esperienze limitate e dalla morale rigida, cosa che era, ma c’era qualcosa nella sua bocca che, per quanto accennato, lasciava intuire la presenza di un certo senso dell’umorismo.
«Stiamo tutti bene» disse la signora Rachel. «Ho avuto paura che tu ti fossi sentita male, perché ho visto passare Matthew oggi pomeriggio. Ho pensato che forse stava andando dal dottore».
Marilla incurvò le labbra e assunse un’aria comprensiva. La verità era che si aspettava una visita da parte di Rachel, perché sapeva che vedere Matthew andarsene da Avonlea senza alcun motivo plausibile era più di quanto la curiosità della sua vicina potesse sopportare.
«Oh no, io sto bene, anche se ho avuto un brutto mal di testa ieri» disse. «Matthew è andato a Bright River. Abbiamo adottato un ragazzino di un orfanotrofio della Nuova Scozia, arriva stasera con il treno».
Se Marilla avesse detto che Matthew era andato a Bright River a incontrare un canguro giunto dall’Australia, la signora Rachel non sarebbe stata più sorpresa. Rimase letteralmente senza parole per circa cinque secondi. Era improbabile che Marilla la stesse prendendo in giro, ma non poté evitare di pensarlo.
«Dici sul serio, Marilla?» le chiese una volta ritrovata la voce.
«Sì, certo» disse Marilla, come se prendere in casa ragazzini degli orfanotrofi della Nuova Scozia fosse parte delle abitudini primave-
Una sorpresa per Rachel Lynde
rili di tutte le buone fattorie di Avonlea, invece di essere una novità mai vista prima.
La signora Rachel si sentiva come se il suo cervello avesse appena ricevuto una scarica elettrica. Tutti i suoi pensieri si concludevano con un punto esclamativo. Un ragazzino! Marilla e Matthew Cuthbert, proprio loro, adottavano un ragazzino! Di un orfanotrofio! Beh, voleva dire che il mondo stava decisamente finendo gambe all’aria! Dopo questo, non si sarebbe più sorpresa di niente! Di niente davvero!
«E come può esservi venuto in mente di fare una cosa del genere?» chiese con evidente disapprovazione.
Tutto era stato fatto senza chiedere il suo consiglio, pertanto non poteva che disapprovarlo.
«Beh, ci pensavamo da un po’... da tutto l’inverno, a dir la verità» rispose Marilla. «Il giorno prima di Natale è venuta a trovarci la moglie di Alexander Spencer e ha detto che in primavera avrebbe adottato una bambina dell’orfanotrofio di Hopeton. Sua cugina vive lì e la signora Spencer sapeva tutto in proposito. Da allora io e Matthew abbiamo cominciato a parlarne. Pensavamo di prendere un ragazzo. Matthew sta invecchiando, sai – ormai ha sessant’anni – e non ha più le energie di una volta. Il cuore gli dà un bel po’ di problemi. E sai bene anche quanto sia diventato difficile assumere dei braccianti. Ci sono soltanto quegli stupidi ragazzini francesi, e non appena riesci a far capire loro come funziona qui e a insegnargli qualcosa, quelli se ne vanno a lavorare alla fabbrica di aragoste in scatola, oppure partono per gli Stati Uniti. All’inizio Matthew ha pensato di fare richiesta per uno di quei bambini che mandano dall’Inghilterra, ma io mi sono opposta. “Magari saranno pure bravi ragazzi, non dico di no, ma non voglio rischiare di mettermi in casa un delinquentello dei vicoli di Londra” gli ho detto. “Almeno che
sia qualcuno di qui. Farlo stare da noi sarà comunque un rischio, chiunque sia, ma mi sentirei più sicura e dormirei certamente meglio se ci fosse un ragazzo canadese sotto il nostro tetto”. Perciò alla fine abbiamo deciso di chiedere alla signora Spencer di sceglierne uno per noi quando sarebbe andata a prendere la sua bambina. Abbiamo saputo che aveva intenzione di andare la scorsa settimana, perciò le abbiamo fatto dire dalla famiglia di Richard Spencer, che sta a Carmody, di portarci un ragazzino sveglio di dieci o undici anni. Abbiamo stabilito che fosse l’età migliore, è abbastanza grande da rendersi utile con qualche faccenda e abbastanza giovane per poterlo istruire come si deve. Gli daremo un buon tetto sopra la testa e lo faremo andare a scuola. Oggi abbiamo ricevuto un telegramma dalla signora Spencer – ce l’ha portato il postino dalla stazione – in cui diceva che sarebbero arrivati oggi pomeriggio con il treno delle cinque e mezza. Perciò Matthew è andato a prendere il ragazzo a Bright River. La signora Spencer lo farà scendere là, lei ovviamente prosegue per la stazione di White Sands».
La signora Rachel si vantava di dire sempre ciò che pensava, perciò si apprestò a farlo anche questa volta, dopo aver riflettuto su quella stupefacente notizia.
«Dunque, Marilla, senza stare a girarci intorno ti dirò che secondo me state facendo una pazzia, vi state assumendo un bel rischio. Non avete idea di chi vi sia toccato in sorte. State accogliendo in casa vostra un ragazzino sconosciuto di cui non sapete assolutamente nulla, né sul suo carattere, né sui suoi genitori, né su come potrebbe diventare. Giusto una settimana fa leggevo sul giornale di questa coppia, marito e moglie, che abitavano nella parte occidentale dell’isola e avevano adottato un bambino dall’orfanotrofio, e quello di notte ha dato fuoco alla casa – l’ha fatto di proposito, Marilla – e li ha quasi bruciati vivi nel loro letto. Ho sentito anche di un altro
Una sorpresa per Rachel Lynde
caso, un ragazzino adottato che succhiava le uova, non riuscivano a togliergli quel vizio. Se mi avessi chiesto un consiglio, Marilla – cosa che non hai fatto – ti avrei detto di non pensare nemmeno di fare una cosa del genere, per carità».
Marilla non parve né offesa né agitata da quel parere non richiesto. Continuò tranquillamente il suo lavoro a maglia.
«Non nego che ci sia un fondo di verità in quel che dici, Rachel. Io stessa mi sono fatta parecchi scrupoli. Ma Matthew era determinato. Quando l’ho capito, ho ceduto. È così raro che Matthew si fissi su qualcosa, che quando lo fa mi sento sempre in dovere di assecondarlo. E per quanto riguarda i rischi, qualsiasi cosa si faccia a questo mondo ne comporta. E comunque è rischioso anche avere dei figli propri, non sempre vengono su bene. La Nuova Scozia in fondo è a poca distanza dalla nostra isola, non è come prenderci un ragazzino inglese o americano. Non potrà essere poi così diverso da noi»
«Beh, spero che vada tutto bene» disse la signora Rachel con un tono che lasciava chiaramente trapelare i suoi dubbi. «Ma non dite che non vi avevo avvisati se per caso dovesse dare fuoco a Green Gables, o avvelenare il pozzo con la stricnina. Ho sentito di un caso, nel New Brunswick, in cui un bambino dell’orfanotrofio ha fatto esattamente questo e tutta la famiglia è morta tra atroci dolori. Credo però che si trattasse di una ragazzina»
«Beh, non stiamo adottando una ragazzina» disse Marilla, come se avvelenare i pozzi fosse una prerogativa esclusivamente femminile, e non ci si dovesse preoccupare di niente del genere nel caso di un maschio. «Non mi sognerei mai di mettermi a crescere una bambina. Mi meraviglia che la moglie di Alexander Spencer l’abbia fatto. Ma quella non esiterebbe ad adottare l’intero orfanotrofio se per caso le venisse in mente di farlo».
Alla signora Rachel sarebbe piaciuto molto rimanere finché Matthew non fosse tornato con l’orfanello, ma dopo aver calcolato che ci sarebbero volute almeno due ore buone prima che arrivasse, stabilì che fosse meglio proseguire lungo la strada fino alla casa di Robert Bell per riferire la notizia. Di sicuro avrebbe suscitato grande scalpore, e la signora Rachel adorava suscitare scalpore. Perciò se ne andò, con un certo sollievo da parte di Marilla, che aveva visto i propri dubbi e le proprie paure riaccendersi, alimentati dal pessimismo dell’amica.
«Ma guarda un po’, tra tutte le cose che potevano essere!» sbottò la signora Rachel una volta uscita sul vialetto. «Mi pare quasi di sognare. Beh, mi dispiace per quel povero ragazzino. Matthew e Marilla non sanno nulla di bambini e si aspetteranno che sia saggio e sicuro di sé quanto suo nonno, sempre che l’abbia avuto un nonno, il che non è affatto certo. In ogni caso è stupefacente immaginare un bambino a Green Gables, non ce ne sono mai stati in quella casa, Matthew e Marilla erano già grandi quando è stato costruito il nuovo edificio, sempre che siano mai stati bambini, il che è difficile da credere quando li si guarda. Non vorrei proprio essere nei panni di quell’orfano. Però provo compassione per lui, ecco».
Così parlò la signora Rachel, confessando ciò che aveva nel cuore ai cespugli di rose selvatiche. Ma se in quel momento avesse potuto vedere chi c’era in attesa alla stazione di Bright River, la sua compassione sarebbe stata ancora più profonda e sentita.
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
I 12 chilometri fino a Bright River furono una gradevole passeggiata per Matthew Cuthbert e la cavalla saura. La strada era graziosa, si snodava tra accoglienti fattorie attraversando ogni tanto qualche boschetto di abeti profumati o una valle in cui le susine selvatiche spuntavano fuori dai loro boccioli vellutati. L’aria era addolcita dalla fragranza dei meli che crescevano nei frutteti e i prati si stendevano a perdita d’occhio fino all’orizzonte di un viola perlato, mentre
gli uccellini cantavano come se fosse l’unico giorno d’estate dell’anno.
Matthew si godette il viaggio a modo suo, fatta eccezione per quando era obbligato a salutare con un cenno del capo le signore che incontrava. Sull’Isola del Principe Edoardo bisognava salutare tutti quelli che si incontravano per strada, che li si conoscesse o no. Matthew era terrorizzato da tutte le donne a parte Marilla e la signora Rachel, aveva sempre l’inquietante sensazione che quelle creature misteriose stessero ridendo segretamente di lui. E forse aveva ragione a pensarla così, perché era un personaggio dall’aspetto curioso e goffo, con i capelli grigio ferro che gli sfioravano le spalle cadenti e una barba folta castano chiaro che portava da quando aveva
vent’anni. A dir la verità, a vent’anni non era molto diverso da come era adesso a sessanta, a parte i capelli ingrigiti.
Quando Matthew raggiunse Bright River non trovò traccia del treno. Pensò di essere arrivato troppo presto, perciò legò il cavallo nel cortile del piccolo hotel della cittadina ed entrò nell’edificio della stazione. La lunga banchina era quasi deserta, l’unica creatura presente era una ragazzina seduta su un mucchio di pietre proprio in fondo. Non appena Matthew capì che era una ragazza le passò accanto il più velocemente possibile, senza neanche guardarla. Se l’avesse fatto avrebbe di certo notato la tensione che la irrigidiva e l’espressione sul suo volto, tipica di chi sta aspettando qualcosa. La ragazzina in effetti era seduta lì ad aspettare qualcosa, o qualcuno, e poiché non aveva altro da fare, se ne stava seduta ad aspettare con tutte le sue forze.
Matthew trovò il capostazione che stava chiudendo a chiave la biglietteria prima di andarsene a casa per cena e gli chiese se il treno delle cinque e mezza era in arrivo.
«Il treno delle cinque e mezza è arrivato ed è ripartito circa mezz’ora fa» rispose quello bruscamente «ma hanno fatto scendere una passeggera per lei, una ragazzina. È lì seduta su un mucchio di pietre. Le avevo detto di andare nella sala d’aspetto delle signore, ma lei mi ha informato tutta seria che preferiva stare all’aperto. “C’è più spazio per l’immaginazione” ha detto. Mi sembra davvero una ragazzina particolare»
«Non sto aspettando una ragazzina» disse Matthew senza scomporsi «ma un ragazzo. Dovrebbe essere qui. La signora Spencer doveva accompagnarlo dalla Nuova Scozia».
Il capostazione fischiò.
«Credo ci sia stato un errore» disse. «La signora Spencer è scesa dal treno con una ragazzina e me l’ha affidata. Ha detto che lei e sua
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
sorella avevate adottato un’orfana e che sareste venuti a prenderla. Non so altro, e non ho altri orfani nascosti chissà dove»
«Non capisco» disse Matthew sconcertato. Avrebbe voluto che ci fosse lì Marilla per prendere in mano la situazione.
«Beh, farebbe meglio a chiedere alla ragazzina» disse sbrigativo il capostazione. «Penso proprio che sarà in grado di spiegarvi tutto… ha una bella lingua lunga, questo è sicuro. Forse non avevano ragazzi che andassero bene per le vostre esigenze».
Detto questo, poiché era parecchio affamato, se ne andò via, e allo sfortunato Matthew non rimase altro che fare qualcosa che temeva quasi quanto entrare nella gabbia di un leone: andare da una ragazzina, una strana ragazzina orfana, e chiederle come mai non era un ragazzo. Si voltò con spirito affranto e si incamminò a passo lento sulla banchina.
La ragazzina l’aveva guardato fin da quando l’aveva visto passare e anche adesso aveva gli occhi fissi su di lui. Matthew invece non la stava guardando affatto, ma anche se l’avesse fatto non avrebbe notato veramente il suo aspetto. Un osservatore comune invece avrebbe visto questo: una bambina di circa 11 anni, con indosso un abitino di flanella tra il giallastro e il grigio, molto corto, molto stretto e molto brutto. Sulla testa aveva un berretto alla marinara color marrone sbiadito e lungo la schiena le scendevano due trecce folte di un rosso acceso. Il visetto della bambina era pallido, smagrito e coperto di lentiggini, la bocca era grande e così anche gli occhi, che a seconda della luce sembravano verdi oppure grigi.
Questo era ciò che avrebbe visto un osservatore comune, mentre un osservatore acuto avrebbe notato anche il mento appuntito e pronunciato, la vivacità e l’energia nascoste in quegli occhi grandi, la dolcezza e l’espressività della bocca e la fronte ampia e intelligen-
te: in breve, il nostro acuto osservatore avrebbe facilmente potuto concludere che nel corpo di quella ragazzina sperduta, dalla quale il timido Matthew Cuthbert era così ridicolmente intimorito, abitava un’anima davvero fuori dal comune.
A Matthew fu tuttavia risparmiato l’imbarazzo di dover parlare per primo, perché non appena la bambina lo vide avvicinarsi si alzò in piedi, afferrò con una mano sottile e abbronzata il manico di una vecchia borsa da viaggio un po’ malconcia e gli porse l’altra.
«Lei è il signor Matthew Cuthbert di Green Gables, vero?» gli chiese con una vocina singolarmente nitida e dolce. «Sono molto felice di vederla, cominciavo a temere che non venisse più a prendermi e stavo immaginando tutti gli ostacoli che poteva aver trovato sulla via. Avevo anche deciso che se non fosse arrivato nessuno prima del calar del sole mi sarei arrampicata su quel grosso ciliegio selvatico in fondo alla strada, dove c’è la curva, e avrei passato la notte lì. Sono sicura che non avrei avuto per niente paura e credo che dormire al chiaro di luna sopra un ciliegio selvatico carico di boccioli bianchi debba essere davvero bellissimo, lei non trova? Con un po’ di immaginazione è come abitare in un palazzo di marmo bianco. Comunque se non avesse fatto in tempo oggi ero sicura che sarebbe venuto a prendermi domattina».
Con un certo imbarazzo Matthew aveva stretto quella manina pelle e ossa, mentre cercava di decidere cosa fare. Come faceva a dire a quella bambina dagli occhi scintillanti che c’era stato un errore? No, l’avrebbe portata a casa e ci avrebbe pensato Marilla a dirglielo. In ogni caso non poteva lasciarla lì da sola a Bright River, perciò poteva tranquillamente rimandare domande e spiegazioni a quando sarebbero tornati sani e salvi a Green Gables.
«Mi dispiace essere arrivato così tardi» disse timidamente. «Vieni, il cavallo ci aspetta in cortile. Dammi la borsa»
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
«Oh, posso portarla io» rispose la bambina in tono allegro. «Non è molto pesante. Dentro c’è tutto quello che possiedo, ma è leggera lo stesso. E se non lo stringi in un certo modo il manico si stacca, quindi è meglio se la tengo io che conosco il trucco. È una sacca molto molto vecchia. Oh, sono proprio contenta che lei sia arrivato, anche se sarebbe stato bello dormire su un ciliegio selvatico. Dobbiamo fare un bel po’ di strada, vero? La signora Spencer mi ha detto che sono 12 chilometri. Ma sono contenta, mi piace andare in calesse. È davvero meraviglioso venire a vivere da voi e avere una casa. Non l’ho mai avuta veramente, una casa mia. L’orfanotrofio era terribile. Ci sono rimasta solo quattro mesi, ma mi è bastato. Non credo che lei sia mai stato un orfano in un orfanotrofio, perciò non può capire com’è davvero vivere lì, ma è peggio di quel che immagina. La signora Spencer diceva che ero cattiva a dire così, però non era mia intenzione. È davvero facile essere cattivi senza volerlo, sa? Loro erano buoni, vede, intendo le persone dell’orfanotrofio, ma in un orfanotrofio non ci sono molti spunti per l’immaginazione, a parte gli altri orfani. Era molto interessante fantasticare su di loro, pensare che la ragazza seduta accanto a me magari era la figlia di un conte blasonato, sottratta ai genitori quando era neonata da una crudele infermiera, morta prima di poter confessare il misfatto. Di solito me ne stavo sveglia di notte a immaginare cose del genere, perché di giorno non avevo tempo. Credo sia per questo che sono così magra; perché lo sono, vero? Magra intendo. Non ho nemmeno un filo di ciccia sulle ossa. Ma mi diverto a immaginarmi graziosa e paffuta, magari con delle fossette sui gomiti».
A quel punto la compagna di viaggio di Matthew si interruppe, un po’ perché era senza fiato e un po’ perché erano arrivati al calesse. Non disse più una parola finché non lasciarono il villaggio e cominciarono a scendere lungo una collinetta ripida, dove il sentie-
ro era stato scavato così in profondità nel terreno soffice che il terrapieno ai lati, dove crescevano ciliegi selvatici in fiore e sottili betulle bianche, si trovava diversi centimetri più in alto delle loro teste.
La bambina allungò una mano e spezzò il ramo di un susino che aveva sfiorato la fiancata del calesse.
«Non è bellissimo? A cosa la fa pensare quell’albero che sporge dal terrapieno, tutto bianco e fronzuto?» chiese.
«Beh, non saprei» disse Matthew.
«Ma come? A una sposa, è ovvio. Una sposa vestita di bianco con un adorabile velo opaco. A dir la verità, non ho mai visto una sposa, ma riesco a immaginare benissimo come deve essere. Io non credo che lo sarò mai, una sposa. Sono così poco graziosa che nessuno mi vorrà mai, a parte magari qualche missionario itinerante. Immagino che i missionari itineranti non possano essere troppo schizzinosi. In ogni caso spero di avere almeno un abito bianco, un giorno. Dal punto di vista materiale è la migliore benedizione che si possa ricevere su questa terra. Adoro i bei vestiti. Non ricordo di averne mai posseduto neanche uno, ma è una buona ragione per continuare a sperare, giusto? E poi posso sempre usare l’immaginazione e fare finta di indossare abiti meravigliosi. Questa mattina, quando sono andata via dall’orfanotrofio, mi vergognavo tantissimo perché ho dovuto per forza indossare questo vecchio e orribile vestito di flanella. Tutti gli orfani sono vestiti così, sa? Lo scorso inverno un merciaio di Hopeton ha donato all’orfanotrofio un rotolo di flanella da quasi trecento metri. Qualcuno dice che l’ha fatto perché non riusciva a venderlo, io preferisco credere che sia stata la sua bontà d’animo a ispirarlo, non trova che sia meglio pensarla così? Quando siamo saliti sul treno avevo l’impressione che tutti mi guardassero e mi compatissero. Allora ho messo in moto la fantasia e ho immaginato di indossare uno splendido abito di seta azzurra, il più bello di
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
tutti – quando si usa l’immaginazione, tanto vale pensare in grande – e poi un ampio cappello decorato con fiori e piume, un orologio d’oro e i guanti e gli stivaletti. Mi ha fatto subito sentire meglio, più allegra, e allora mi sono goduta il viaggio fino all’isola. Sul traghetto non ho avuto per niente la nausea. Nemmeno la signora Spencer l’ha avuta, anche se di solito le capita. Ha detto che non ha avuto tempo di stare male, perché era troppo impegnata ad assicurarsi che io non cadessi in acqua. Ha detto anche che non ha mai incontrato nessuno a cui piacesse curiosare in giro tanto quanto a me. Ma se è servito a non farle venire la nausea, allora ho fatto bene ad andarmene in giro a curiosare, non trova? E poi volevo vedere tutto quello che c’è da vedere su un traghetto, perché non so se avrò mai l’opportunità di salirci di nuovo. Oh, guarda quanti ciliegi in fiore! Quest’isola è piena di boccioli. Mi piace già tantissimo, sono davvero contenta di venire a vivere qui. Ho sempre sentito dire che l’Isola del Principe Edoardo è il posto più bello del mondo e spesso immaginavo di venirci a vivere, ma non avrei mai pensato che sarebbe successo veramente. È una cosa meravigliosa quando le fantasie diventano realtà, no? Queste strade tutte rosse sono così allegre. Quando siamo saliti sul treno a Charlottetown le ho viste per la prima volta sfrecciare dal finestrino e ho chiesto alla signora Spencer perché erano rosse, lei ha detto che non lo sapeva e mi ha chiesto di avere pietà di lei e smettere di farle domande. Ha detto che gliene avevo fatte già almeno un migliaio e credo che avesse ragione, ma come si fa a scoprire le cose se non domandando? E comunque, come mai le strade sono tutte rosse?»
«Beh, non saprei» disse Matthew.
«Bene, devo scoprirlo prima o poi. Non è bellissimo pensare a tutte le cose che ci sono ancora da scoprire? Mi fa sentire felice di essere viva in questo mondo così interessante. Non sarebbe così
interessante se sapessimo già tutto, non trova? Non ci rimarrebbe più nulla da immaginare. Sto parlando troppo? Mi dicono sempre tutti che parlo troppo. Preferisce che stia zitta? Basta che me lo dica. Sono capace di stare in silenzio, se mi impegno, anche se è difficile». Con sua grande sorpresa, Matthew si stava divertendo. Alla maggior parte dei taciturni, come lui, piacciono le persone loquaci, soprattutto se sono disposte a parlare da sole, senza pretendere che si uniscano alla conversazione. Però non avrebbe mai immaginato di apprezzare così tanto la compagnia di una ragazzina. Aveva già le sue difficoltà con le donne, ma le ragazzine di solito erano ancora peggio. Detestava il modo in cui si aggiravano furtivamente quando lui era nei paraggi, lanciandogli qualche occhiata impaurita, con l’aria di pensare che lui potesse inghiottirle in un sol boccone se solo avessero osato aprire bocca. Le ragazzine di buona famiglia di Avonlea erano tutte così. Quella streghetta con i capelli rossi e le lentiggini invece era molto diversa, e sebbene la mente calma e riflessiva di Matthew facesse fatica a tenere il passo con i suoi ragionamenti frenetici, lui pensò che tutto sommato quel chiacchiericcio gli piaceva. Perciò, con la timidezza che lo contraddistingueva, disse: «Oh, parla pure quanto vuoi. Non mi dà fastidio»
«Oh, meno male. Io e lei andremo molto d’accordo, ne sono sicura. È così bello poter parlare quando se ne ha voglia, e non sentirsi dire che i bambini bisogna solo vederli e non sentirli. Me l’hanno detto almeno un milione di volte. E poi la gente ride di me perché dice che uso dei paroloni. Ma se uno ha delle idee grandiose, deve per forza usare dei paroloni per esprimerle, non è così?»
«Mi sembra ragionevole» rispose Matthew.
«La signora Spencer dice che ho la lingua troppo sciolta, ma non è vero, io la sento ben salda a un’estremità. Ha detto anche che casa vostra si chiama Green Gables. Le ho fatto un sacco di domande su
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
com’è. Mi ha raccontato che è tutta circondata dagli alberi e io sono stata felicissima di saperlo. Adoro gli alberi. Vicino all’orfanotrofio non ce n’erano quasi per niente, a parte un paio di alberelli rinsecchiti con delle gabbiette bianche per gli uccelli appese ai rami. Sembravano orfani anche loro, quando li guardavo mi veniva sempre da piangere. Gli dicevo: “Poverini! Se solo foste in una grande foresta, con tanti altri alberi tutto intorno, e le radici coperte di muschio e campanule, e un torrente che scorre poco lontano e gli uccellini che cinguettano tra i vostri rami! Allora sì che potreste crescere felici, vero? Qui invece non potete. So esattamente come vi sentite, alberelli”. Mi è dispiaciuto salutarli questa mattina, mi ci ero affezionata. Capita, vero? C’è per caso un torrente vicino a Green Gables? Ho dimenticato di chiederlo alla signora Spencer»
«Beh, sì, ce n’è uno che scorre proprio davanti alla casa»
«Che bello! Ho sempre sognato di vivere vicino a un torrente. Non avrei mai immaginato che sarebbe successo davvero! Non capita spesso che i sogni diventino realtà, no? Non sarebbe bellissimo se lo facessero sempre? Adesso però mi sento felice, quasi felicissima. Non posso essere felice del tutto perché… ecco, che colore è questo, secondo lei?»
Mentre parlava si portò una delle lunghe trecce scintillanti davanti alla spalla e la mise sotto gli occhi di Matthew. Lui non era solito esprimere giudizi sul colore dei capelli delle signore, ma in quel caso non c’erano molti dubbi.
«È rosso, giusto?» rispose.
La ragazzina lasciò ricadere la treccia con un sospiro che pareva emergere dal profondo ed esprimere tutta la tristezza di questo mondo.
«Già, è rosso» disse con voce rassegnata. «Ora capisce perché non potrò mai essere del tutto felice. Chi ha i capelli rossi non può
esserlo fino in fondo. Le altre cose non mi danno così fastidio, intendo le lentiggini e gli occhi verdi e il fatto che sono magrolina. Per quelle mi basta l’immaginazione. Posso immaginare di avere una bella carnagione rosata e degli adorabili occhi viola acceso. Ma non riesco a immaginare di non avere i capelli rossi, anche se faccio del mio meglio. Comincio a pensare: “Adesso i miei capelli sono neri, neri come l’ala di un corvo”, ma so che in realtà sono rossi e mi si spezza il cuore. Sarà la tragedia della mia vita, lo so. Una volta ho letto la storia di una ragazza che aveva avuto una vita tragica, però non aveva i capelli rossi. Aveva una chioma bionda dorata che scendeva ondulata dalla sua fronte di alabastro. Cos’è una fronte di alabastro? Non sono mai riuscita a scoprirlo. Lei sa dirmelo, per caso?»
«Ehm, temo di no» disse Matthew, che cominciava a essere un po’ confuso. Si era sentito allo stesso modo da piccolo, una volta, quando un altro bambino lo aveva trascinato in un girotondo durante un picnic.
«Beh, qualsiasi cosa sia dev’essere davvero graziosa, perché quella ragazza era bella come una dea. Ha mai provato a immaginare come ci si deve sentire a essere così belli?»
«No, a dir la verità non ci ho mai provato» ammise Matthew con sincerità.
«Io sì, spesso. Se potesse scegliere, vorrebbe essere bello come un dio, più intelligente di tutti o buono come un angelo?»
«Ecco, non saprei esattamente»
«Nemmeno io. Non riesco mai a decidere. Ma in fondo non cambia nulla, perché è molto improbabile che io diventi una di queste tre cose. Di sicuro non sarò mai buona come un angelo. La signora Spencer dice… Oh! Signor Cuthbert! Signor Cuthbert!! Signor Cuthbert!!!»
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
Non era questo che aveva detto la signora Spencer, né la ragazzina era caduta dal calesse, e non si trattava nemmeno di Matthew che aveva fatto qualcosa di strano. Semplicemente, dopo aver percorso una curva della strada, avevano imboccato “il Viale”.
Il Viale, così lo chiamava la gente di Newbridge, era un tratto di strada lungo circa quattrocento metri, sopra il quale si incurvavano, a formare una serie di arcate, gli ampi rami di due filari di meli, piantati anni e anni prima da un vecchio contadino un po’ eccentrico. Guardando in alto si vedeva quindi una lunga tettoia di bianchi boccioli in fiore. Al di sotto dei rami l’aria era immersa nella luce violetta del tramonto e in lontananza ancora si intravedeva un barlume del sole calante, che rendeva il cielo simile al rosone di una cattedrale in fondo alla navata.
Tutta quella bellezza aveva ammutolito la bambina. Si appoggiò allo schienale del calesse, intrecciò in grembo le dita sottili e sollevò il volto per ammirare lo splendore candido sopra di lei. Rimase immobile e silenziosa anche quando riemersero dal Viale e cominciarono a scendere il lungo pendio che portava a Newbridge. Sempre con un’espressione rapita in volto, scrutava il tramonto a occidente, e dava l’impressione di osservare chissà quali splendide visioni che si susseguivano su quello sfondo scintillante. Attraversarono sempre in silenzio Newbridge, un vivace villaggio dove furono accolti dall’abbaiare dei cani, dai fischi dei ragazzini e dalle occhiate dei curiosi affacciati alle finestre. Percorsero altri quattro chilometri, e ancora la bambina non aveva aperto bocca. A quanto pareva era capace di restare in silenzio con la stessa caparbietà con la quale era capace di parlare ininterrottamente.
«Sarai stanca e affamata» si azzardò a dire infine Matthew, pensando che potesse essere la ragione di quel prolungato silenzio. «Ma non manca molto ormai, poco più di un chilometro».
Con un sospiro la ragazzina riemerse dai suoi sogni a occhi aperti e lo guardò con l’espressione trasognata di un’anima che ha vagato lontano, lungo percorsi indicati dalle stelle.
«Oh, signor Cuthbert» sussurrò. «Quel posto dove siamo passati, quel posto tutto bianco. Cos’era?»
«Dunque, immagino che tu intenda il Viale» disse Matthew dopo qualche istante di profonda riflessione. «È molto carino, vero?»
«Carino? Beh, carino non mi sembra proprio la parola appropriata da usare. E neanche bello. Non rendono abbastanza. Era… era meraviglioso. Meraviglioso. È la prima volta in vita mia che vedo qualcosa del genere, qualcosa che nemmeno la fantasia potrebbe rendere migliore. Mi sono sentita completamente appagata qui». Si portò una mano al cuore. «Mi ha fatto quasi male, ma era uno strano dolore piacevole. Lei ha mai provato un dolore così, signor Cuthbert?»
«Beh, ecco, non ricordo»
«A me succede un sacco di volte, tutte le volte che vedo qualcosa di bello. Però non dovrebbero chiamare quel posto così adorabile “il Viale”. È un nome che non significa niente. Dovrebbero chiamarlo… Vediamo. Dovrebbero chiamarlo “la Bianca Strada delle Delizie”. Non lo trova un nome fantasioso? Quando il nome di un posto o di una persona non mi piace ne invento uno nuovo e poi uso sempre quello. All’orfanotrofio c’era una bambina che si chiamava Hepzibah Jenkins, ma io la pensavo sempre come Rosalia DeVere. Non posso impedire alla gente di chiamare quel posto il Viale, ma io lo chiamerò sempre la Bianca Strada delle Delizie. Davvero manca solo un chilometro per arrivare a casa? Un po’ sono contenta e un po’ mi dispiace. Mi dispiace perché questo viaggio è stato bellissimo, e quando le cose bellissime finiscono mi dispiace sempre. Magari poi arriverà qualcosa di ancora più bello, ma non puoi mai saperlo.
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
E spesso poi non è affatto così, o almeno questa è stata la mia esperienza finora. Però mi piace l’idea di “andare a casa”. Non ricordo di averne mai avuta una e pensare che “sto andando a casa” mi dà di nuovo quella sensazione di dolore piacevole. Oh, ma che bello qui!» Erano arrivati in cima a una collina. Sotto di loro c’era un laghetto, che per via della sua forma oblunga e tortuosa assomigliava quasi a un torrente. Circa a metà era attraversato da un ponticello, e da lì fino all’estremità più lontana, dove una cintura di dune sabbiose color ambra lo separava dalle acque scure del golfo, l’acqua era un tripudio di sfumature cangianti, dal viola delicato dei crochi, al rosa, a un leggiadro verde, e a tante altre per le quali non esisteva nemmeno un nome in grado di descriverle. Dall’altro lato del ponte il laghetto incontrava un macchione di conifere e aceri, con le loro ampie fronde che si riflettevano nelle acque scure e appena increspate. Qua e là un susino selvatico si protendeva dalla riva simile a una fanciulla vestita di bianco che si sporgeva in punta di piedi per ammirare il proprio riflesso. Dall’acquitrino ai margini del laghetto, infine, giungeva nitido il gracidio dolce e un po’ lamentoso delle rane. Sull’altra sponda si intravedeva una casetta grigia circondata da un frutteto di meli bianchi. Sebbene non fosse ancora calato del tutto il buio, da una delle finestre brillava già una luce.
«Questo è il laghetto dei Barry» disse Matthew.
«Non mi piace neanche questo nome. Lo chiamerò – vediamo un po’ – il Lago Lucente. Sì, direi che è il nome perfetto. Lo so perché ho sentito un brivido di eccitazione, lo sento sempre quando azzecco il nome giusto per qualcosa. A lei cos’è che dà i brividi?»
Matthew ci pensò un po’ su.
«Beh, per esempio mi dà i brividi quando con la vanga tiro su quelle brutte larve bianche che vivono tra le radici dei cetrioli. Sono disgustose».
«Oh, in realtà credo che sia un altro genere di brivido. Lei che ne pensa? Non so cosa possano avere in comune le larve e i laghetti dalle acque lucenti, lei ha qualche idea? Ma perché la gente lo chiama il laghetto dei Barry?»
«Credo sia perché il signor Barry abita in quella casa laggiù, si chiama Orchard Slope. Se non fosse per quel grosso cespuglio là in fondo riusciresti già a vedere Green Gables, ma dobbiamo attraversare il ponte e seguire la strada, ci vuole ancora mezzo chilometro»
«Il signor Barry per caso ha delle figlie piccole? Cioè, non proprio piccole piccole, ma della mia età»
«Ne ha una di circa 11 anni, si chiama Diana»
«Oh!» esclamò la ragazzina con un gran sospiro. «Che nome delizioso!»
«Beh, non saprei, ha qualcosa di pagano alle mie orecchie. Mi piacciono di più i nomi normali come Jane o Mary, ma quando è nata la bambina in casa alloggiava un maestro di scuola e hanno fatto scegliere a lui il nome. E lui l’ha chiamata Diana»
«Magari ci fosse stato nei paraggi un maestro come quello quando sono nata io. Oh, eccoci al ponte. Adesso chiudo gli occhi, ho sempre paura quando mi capita di attraversare un ponte. Non riesco a evitare di immaginare che proprio quando sono a metà strada si spezzi sotto di me, come uno stuzzicadenti. Perciò chiudo gli occhi. Però poi li riapro sempre quando mi sembra di essere arrivata a metà, perché se effettivamente il ponte si spezza in due lo vorrei vedere. Che bel rumore fa il calesse qui sopra! Mi è sempre piaciuto il rumore delle ruote sui ponti. Non è meraviglioso che ci siano così tante cose belle a questo mondo? Ecco, siamo passati. Devo voltarmi un momento. Buonanotte Lago Lucente! Dico sempre buonanotte alle cose che mi sono care, proprio come alle persone, credo che gli faccia piacere. Mi sembrava quasi che l’acqua mi sorridesse».
Una sorpresa per Matthew Cuthbert
Salirono sulla collina successiva e quando svoltarono una curva
Matthew disse: «Siamo vicinissimi a casa adesso. Green Gables è…»
«Oh, non me lo dica» lo interruppe lei senza fiato, afferrando il braccio che Matthew stava levando in aria e chiudendo gli occhi per non vedere in che direzione lo stesse puntando. «Mi lasci fare un tentativo, sono sicura di indovinare».
Riaprì gli occhi e si guardò intorno. Erano sulla cima di una collina. Il sole ormai era calato, ma il paesaggio era ancora visibile alla luce soffusa del crepuscolo. A Ovest la sagoma scura del campanile di una chiesa si levava contro il cielo color arancio, ai loro piedi si stendeva una piccola vallata e sull’altro versante si inerpicava un pendio dolce, punteggiato di graziose fattorie. Gli occhi della bambina passavano dall’una all’altra, entusiasti e pensierosi. Infine indugiarono su una fattoria un po’ distante, sulla sinistra, lontana dalla strada, che sorgeva tra biancheggianti alberi in fiore, appena visibili nel crepuscolo che avvolgeva la foresta circostante. Sopra la casetta, nel cielo immacolato a Sud-Ovest, una grande stella bianca come un cristallo brillava di una luce protettiva e colma di speranza.
«È quella, vero?» disse la bambina, indicando con il dito.
Matthew tirò compiaciuto le redini della cavalla saura.
«Accidenti, hai indovinato davvero! Ma immagino che la signora Spencer te l’abbia descritta, per questo l’hai riconosciuta»
«No, non me l’ha descritta, davvero. Mi ha detto qualcosa, ma la sua descrizione poteva andare bene per quasi tutte le altre fattorie. Non sapevo proprio che aspetto avesse, ma appena l’ho vista ho sentito che era casa mia. Oh, mi sembra di sognare. Credo di avere il braccio pieno di lividi dal gomito in su per tutte le volte che mi sono data dei pizzicotti oggi. Ogni tanto provavo una sensazione orribile, avevo paura che fosse tutto un sogno, e quando capitava mi davo un pizzicotto per assicurarmi che fosse tutto vero, anche se poi mi sono
resa conto che se invece era un sogno, allora era meglio continuare a sognare più a lungo che potevo, così ho smesso con i pizzicotti. Ma è tutto vero, siamo quasi a casa!»
La bambina sospirò con aria rapita e rimase di nuovo in silenzio. Matthew si sentiva a disagio. Era felice al pensiero che sarebbe stata Marilla, e non lui, a dire a quell’orfanella che ad aspettarla non c’era la casa che desiderava tanto. Oltrepassarono la vallata dei Lynde. Era già piuttosto buio, ma non così tanto da impedire alla signora Rachel di vederli passare davanti alla sua finestra e salire su per la collina lungo la strada che conduceva a Green Gables. Quando arrivarono a casa Matthew cominciò a temere il momento della rivelazione con un’intensità che non riusciva a comprendere. Non aveva paura dei problemi che quel malinteso avrebbe causato a lui o a Marilla, ma della delusione della bambina. Immaginò la luce vivace dei suoi occhi che si spegneva e provò la sgradevole sensazione di essere sul punto di uccidere qualcuno, o qualcosa. Era più o meno lo stesso sentimento che provava quando doveva macellare un agnello, o un vitellino, o un’altra creatura innocente.
Il giardino era buio quando vi entrarono e le foglie dei pioppi frusciavano setose tutto intorno a loro.
«Senta come parlano gli alberi nel sonno» bisbigliò la ragazzina mentre Matthew l’aiutava a scendere dal calesse. «Chissà che bei sogni che stanno facendo!»
Poi, stringendo il manico della borsa da viaggio che conteneva “tutto ciò che possedeva”, lo seguì dentro casa.
Matthew e Marilla conducono una vita abitudinaria nel paciÞco paesino di Avonlea.
Ormai anziani, decidono di adottare un orfano che li aiuti a mandare avanti la fattoria.
Ma invece del ragazzo promesso dallÕorfanotroÞo, a casa Cuthbert arriva Anna, una bambina dotata di una inesauribile immaginazione che Þnirˆ per conquistare tutti.
ÒDentro di me devono esserci tante Anna diverse, a volte penso che sia per questo che sono una persona cos“ difÞcile.
Se fossi unÕAnna sola sarebbe tutto molto pi facile, ma anche molto meno interessanteÓ.