She Shakespeare 3_issuu

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Judith venne chiamata sul palcoscenico e si godette il trionfo, e gli applausi, e le lodi incondizionate della sovrana che la incoronava re dei drammaturghi di Londra. Finse che tutto andasse bene, perché in quel momento lei era William Shakespeare, e non aveva altra scelta che fare buon viso a cattivo gioco. Nessuno immaginava che sotto quegli abiti c’era un corpo femminile: se si fosse rivelata avrebbe dato scandalo, creato riprovazione e al posto degli elogi avrebbe ricevuto solamente disprezzo.

Il mondo non era ancora pronto per Judith Shakespeare, e chissà per quanto tempo non lo sarebbe stato.

YOUNG

Eliselle

She-Shakespeare. Della stessa sostanza dei sogni disegni di Arianna Farricella

della stessa serie:

She-Shakespeare

She-Shakespeare. Il mondo è un palcoscenico

ISBN 979-12-221-0810-0

Prima edizione febbraio 2025

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2029 2028 2027 2026 2025

© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Pubblicato in accordo con Tiziana Marzano|Agente Letterario Gallucci e il logo g sono marchi registrati

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Eliselle She-Shakespeare

Della stessa sostanza dei sogni

disegni di Arianna Farricella

william trionfa

Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e la nostra breve vita è racchiusa nel tempo di un sonno.

William Shakespeare, La tempesta

Un mattino nel cuore dell’Inghilterra 1593

Judith aprì gli occhi. Ma restò accoccolata tra le coperte, ad ascoltare i suoni dell’alba, in attesa che il resto della casa si svegliasse. In quel silenzio irreale poteva udire il fruscio gentile degli alberi, quasi un bisbiglio scambiato tra le foglie, e il gorgogliare dell’acqua del vicino ruscello, che correva limpido tra sassi e radici sporgenti.

Il mondo prendeva vita a poco a poco, proprio come accadeva con ogni nuova storia, quando lei cominciava a scriverla su un foglio bianco, parola dopo parola. Così alle orecchie le arrivò prima il canto melodioso degli uccelli, che salutavano i timidi raggi del sole, poi quello del gallo, che come una sentinella annunciava il lavoro quotidiano. Da lontano giunse il muggito sommesso del bestiame nelle stalle, quindi il nitrito dei cavalli, che parevano già pronti alla lunga giornata di fatiche. Infine, le parve di sentire le

ruote pesanti di un carro gemere sui ciottoli irregolari della strada, segno che i mercanti da ogni parte del Warwickshire si avviavano già verso il centro del villaggio di Henley-in-Arden.

Era di nuovo giorno di mercato? Le sembrava impossibile.

Non si era ancora abituata a quella vita, nonostante fosse passato un anno da quando aveva lasciato Londra e i suoi vicoli sudici, chiassosi e colorati, ma inesorabilmente invasi dalla peste.

Ripensò all’ultima volta in cui aveva visto Shoreditch e si era esibita al Theatre, al grande successo che si era guadagnata con I due gentiluomini di Verona e in seguito con La bisbetica domata, Riccardo III e l’Enrico VI: ora le sembrava tutto così lontano, avvolto dalle morbide onde del ricordo. Non era stato solo un sogno, no, aveva vissuto davvero quella vita. Aveva scelto di andarsene via dal cuore dell’Inghilterra, rinunciando alla famiglia e a un’esistenza priva di sussulti. Finché…

«Judith, sei sveglia? Dobbiamo preparare le stoffe!»

La voce di zia Anne, accompagnata da un paio di tocchi alla porta, la riscosse da quei pensieri. La grande casa di Anne Arden era stata ampliata per fare spazio ai figli di Judith – Susanna, Judith e Hamnet –, cresciuti lì, lontani da lei, per permetterle di corona-

re il sogno di calcare il palcoscenico. Anne aveva accolto anche Lucrezia Farnese, la cara amica che era stata per i piccoli come una seconda madre. E, da quando Judith era tornata, pure Evans Edgeworth viveva con loro. Le stava accanto come un buon marito e un buon padre, sebbene non fosse né l’uno né l’altro. Era l’unica sregolatezza che si era concessa.

La sua vita scorreva ormai sin troppo tranquilla, lungo una strada piana e senza scossoni. Nessun dramma, nessuna commedia, nessuna tragedia, nessuna emozione da raccontare. Tutt’al più scriveva qualche poesia quando le veniva l’ispirazione. Sotto pelle, però, fremeva.

«Arrivo, zia, un attimo e scendo».

Judith si alzò e si stiracchiò per bene, guardando il lato vuoto del letto. Evans si faceva in quattro per tirare avanti l’attività della sua famiglia, e spesso doveva tornare a Stratford-upon-Avon e rimanerci per settimane.

Le aveva proposto più volte di tornare a Stratford insieme a lui, l’avrebbe sposata e l’avrebbe resa una donna “onesta”. Lei però aveva rimandato e rimandato, senza dargli una risposta definitiva.

Che mondo era mai quello, in cui una donna si definiva “onesta” solo per il fatto che un uomo decideva di portarla all’altare. Di certo il matrimonio avrebbe

messo fine alle dicerie che giravano sul suo conto sin da quando – appena dodicenne – era stata al centro dell’enorme scandalo che aveva scosso il suo paese, perché l’avevano scoperta a frequentare la scuola nei panni di William. Già, perché l’istruzione era esclusiva dei maschi, e proibita alle donne. Ma lei onesta lo era già, nella misura in cui aveva potuto esserlo: sì, doveva ammettere che travestirsi da uomo non faceva di lei un esempio di trasparenza, ma quello stratagemma le aveva permesso di seguire le sue aspirazioni autentiche. Studiare. Recitare. Scrivere.

Aveva aggirato le regole, e se n’era assunta in pieno i rischi. Quante volte il cuore le era finito in gola per la paura d’essere scoperta, e quante accortezze aveva dovuto escogitare per essere certa che nessuno venisse a conoscenza del suo segreto. Ora che indossava di nuovo i suoi abiti femminili, le mancavano moltissimo i pantaloni e il farsetto, che trovava di gran lunga più comodi, ma soprattutto sentiva quanto le mancasse seguire le sue autentiche aspirazioni, creare opere e recitarle, per sentirsi viva.

Scese di sotto e salutò Anne con un bacio sulla guancia. La colazione era pronta sul tavolo della cucina, il burro era fresco e il latte caldo, mancava solo la birra. Afferrò un pezzo di pane dal cestino. «Buongiorno, piccola».

Judith si mise a ridere. «Ho quasi trent’anni, zia, te lo dimentichi sempre»

«Non lo dimentico affatto, mia cara, ma da quando sei tornata la mia mente sta recuperando un po’ di ricordi. Di tanto in tanto ti rivedo ancora bambina, mentre provi il tuo primo vestito da maschietto e la parrucca che nascondeva i tuoi bei capelli lunghi, e ripenso a dove ti ha portato quest’avventura. Voglio che tu sappia che sono fiera di te».

Anne la strinse in un abbraccio, e Judith cercò di nascondere l’amarezza affondando il viso nella sua spalla.

«C’è qualcosa che ti turba».

Le parole della zia la colsero impreparata. La sua non era una domanda.

«Ma no, che dici?» rispose subito, di pancia, senza pensare al tono. La replica uscì incerta e per nulla convincente.

«Lo so. Lo sento. Lo vedo».

Un soffio improvviso di vento, entrato da una finestra socchiusa, fece ondeggiare il fuoco nel camino e gemere i cardini della porta. Judith guardò negli occhi Anne Arden e vi trovò comprensione, tenerezza e compassione, da sempre le qualità speciali della zia. Sfiorava i sessant’anni, ma il suo volto era ancora raggiante, grazie all’amore di cui si era circondata. Vive-

va insieme a Thomas Jenkins, il vecchio maestro di Judith, che aveva accolto i figli di Anne come fossero i propri. Adesso i più grandi avevano preso la loro strada, era rimasta solo Isabel ad aiutare la madre con la tenuta e gli affari di famiglia.

Judith si chiese come sarebbe stata la sua vita, se a suo tempo avesse fatto le stesse scelte e gli stessi passi della zia: non sarebbe stata messa all’indice, né costretta a fuggire e sarebbe potuta restare a Stratford per sempre.

Per sempre. Scosse la testa.

«Ben alzate, donne!» Jenkins irruppe in cucina e restò bloccato sulla soglia, guardandole. «Ho interrotto qualcosa?» chiese imbarazzato.

«Oh no, Thomas, stavamo giusto per mettere in tavola la birra» disse Judith staccandosi dalla zia.

«Ah, siamo tutti mattinieri, vedo» disse Lucrezia, spumeggiante e vivace come al solito. Sembrava avere sempre l’argento vivo addosso, e non aveva perso l’abitudine tutta italiana di elargire baci e abbracci a profusione, dimentica del tutto delle sue nobili origini. Aveva optato per una vita più modesta, ma più autentica: la corte di Parma non le mancava, e nemmeno le sue etichette e i suoi formulari. Era ancora alla ricerca del vero amore, ma Judith era certa che prima o poi, con la sua determinazione, l’avrebbe trovato.

«I ragazzi?»

«Dormono ancora» rispose prontamente Lucrezia. La sua camera da letto era proprio accanto a quella di Susanna, Judith e Hamnet: la più grande aveva ormai dieci anni, mentre i due gemelli otto. Della loro educazione si occupava Jenkins, con grande piacere e orgoglio.

Mancava solo Evans: sarebbe tornato l’indomani portando notizie da Stratford. Judith era ansiosa di sapere come stavano i suoi genitori, i suoi fratelli e soprattutto il piccolo Edmund, che era nato quando lei si trovava nel Lancashire e viveva presso la famiglia Hoghton. Si era rifugiata laggiù dopo il lungo peregrinare con gli attori Rosencrantz e Guildenstern per le campagne inglesi, a recitare plays di ogni genere. Aveva trovato in sir Hoghton un mentore che le aveva dato l’opportunità di studiare e imparare tanto, poi, però, a causa delle persecuzioni contro i cattolici era stata costretta a fuggire per salvarsi la vita.

Quante storie si era persa, quante persone aveva lasciato indietro. Eppure altre ne aveva incontrate, come Lucrezia, che era diventata una sua fedele amica quando Judith era fuggita in Italia, e l’aveva aiutata a ritrovare la parte femminile di sé nascosta forzatamente sotto abiti maschili. In Italia Judith aveva in-

contrato anche l’amore di Francesco, che era durato un battito d’ali: aveva partorito i suoi figli.

La vita aveva la strana capacità di togliere e di dare allo stesso tempo.

Le avevano detto e ripetuto che mai e poi mai i frutti andavano colti acerbi, ma Judith non poteva più accontentarsi e aspettare che maturassero. Immersa in quell’esistenza tranquilla, si sentiva bruciare. Non si riconosceva più: non era fatta per stare ferma a osservare i cicli delle stagioni. Al contrario, sentiva il desiderio di piegarli, rimodellarli, riscriverli. Le mani le prudevano, le gambe fremevano, e qualcosa continuava ad agitarsi dentro di lei come un temporale all’orizzonte, pronto a scuotere ogni cosa.

Elisa Guidelli, in arte Eliselle, vive nel modenese. È laureata in Storia medievale e lavora come storyteller e organizzatrice di eventi letterari. Tra le sue passioni il primo posto spetta alla lettura, subito seguita dalla scrittura, dal cinema e dalle serie tv. Ama soprattutto i romanzi storici. Con Gallucci ha già pubblicato She-Shakespeare e She-Shakespeare. Il mondo è un palcoscenico, i primi due volumi della trilogia dedicata a Judith-William.

Arianna Farricella è modenese di nascita e bolognese d’adozione. Ha imparato a leggere con i fumetti, poi ha cominciato a disegnarne lei stessa e a illustrare le storie, trasformando la sua passione in un mestiere.

Immagine di copertina: © Arianna Farricella
Della stessa serie:

Londra, 1593. Judith Shakespeare è riuscita a ottenere i primi successi sul palcoscenico, ma nella città sconvolta dalla peste, con i teatri chiusi per paura del contagio, non c’è futuro per lei. Se vuole arrivare un giorno a scrivere drammi e commedie per la regina Elisabetta, non le resta che accettare l’aiuto dell’impresario Lord Strange. Tutti i sogni hanno un prezzo, però: per realizzare il suo, Judith dovrà recitare ancora la parte di William, nascondendo la propria identità sotto abiti maschili…

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e la nostra breve vita è racchiusa nel tempo di un sonno”.

William Shakespeare La Tempesta

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