La cantata dei pastori

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Andrea Perrucci

La cantata dei pastori

Disegni e cura di Andrea Rauch


belfegor:

Dove te ne vai, vecchio infelice? Per vie disastrose... per boschi intricati, popolati da serpenti e ladroni? Tu, un debole vecchio, e una fanciulla camminerete senza difesa? Guarda lĂ un serpente che insidia il parto della tua sposa... Vedi lĂ un leone che si prepara a uccidere te e il neonato... Eccoti accerchiato dai lupi, circondato dalle acque. Dove speri di trovare rifugio? Dove ti salvi? Dove te ne fuggi?

gabriele:

E voi, pastori, svegliatevi dal sonno in cui vi immerse il demonio. Svegliatevi! Alzatevi! La Terra è rinnovata. Gioite, uomini! Ecco: spuntano i fiori, splendono le stelle. Ascoltate come il mondo fa eco al suono argentino delle voci del Cielo!


uG universale Gallucci serie Agile



giuseppe e maria


La cantata dei pastori Rifacimento novecentesco da Andrea Perrucci (1698) Disegni e cura di Andrea Rauch Saggio introduttivo di Alessandro Savorelli Dello stesso curatore e illustratore: Ubu Re Ubu incatenato ISBN 978-88-9348-813-6 Prima edizione novembre 2019 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno    2023    2022    2021    2020    2019 © 2019 Carlo Gallucci editore srl - Roma g a l l u c c i H D. c o m Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it Il bilancio dell’anidride carbonica generata da questo libro è uguale a zero. Le emissioni di CO2 prodotte per la realizzazione del volume, infatti, sono state calcolate da NatureOffice e compensate con progetti di rimboschimento, realizzati anch’essi da NatureOffice e finanziati in proporzione dall’editore. NatureOffice è una società di consulenza che studia e sviluppa strategie sostenibili per la salvaguardia del clima su base volontaria. È attiva in Europa e nel Nord e Sud America. Per saperne di più visita il sito www.natureoffice.com Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


Andrea Perrucci

Il vero lume tra l’Ombre ovvero La spelonca arricchita per la nascita del Verbo umanato ovvero

La cantata dei pastori Dramma in prosa in tre atti

Disegni e cura di Andrea Rauch Saggio introduttivo di Alessandro Savorelli



IL QUINTO VANGELO Alessandro Savorelli

Nel presepe, sulla collina di Betlemme e al margine dei pascoli, il pastorello Benino, il primo personaggio della Cantata dei pastori, dorme. Si risveglia all’improvviso: ha sognato una storia incredibile che si conclude in una grotta sfolgorante di luce, sotto un volo d’angeli, dove un Bambinello meraviglioso giace adagiato nel fieno, vegliato dai genitori, scaldato da un bue e da un asino e cullato da musiche soavi. È la nascita del Redentore, la promessa di una nuova vita per gli uomini di buona volontà. Ma il sogno era al tempo stesso un incubo e vi compariva infatti il Demonio, deciso a impedire con ogni mezzo la nascita del suo nemico, il figlio di Dio. Aveva inseguito, per ucciderli, i genitori del Bambino, Giuseppe e Maria, e solo gli interventi del padre di Benino, il pastore Armenzio, di Cidonio, cacciatore, e del pescatore Ruscellio avevano consentito alla coppia di mettersi in salvo sfuggendo agli agguati infernali. Infine aveva tentato di attirarli – stanchi e affamati – in una taverna: lì, camuffato da oste, avrebbe trasformato le loro anime in polpette. Sempre nel sogno due 7


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forestieri provenienti da Napoli, Razzullo e Sarchiapone, si aggiravano per la campagna in preda a una fame atavica: il primo era uno scrivano giunto in Palestina per lavorare nell’amministrazione del censimento, uomo brutto, con «la faccia di bestia», fannullone e imbroglione; l’altro, non meno sgradevole, era un barbiere pazzo e omicida, un pagliaccio deforme. Alla fine di una serie di disavventure, erano stati assunti da Satana come camerieri nella falsa osteria, dalla quale erano usciti per caso, quando il Diavolo si era dileguato al solo sentir invocare nei loro scongiuri il nome di Dio. Inconsapevoli e imprevedibili strumenti del piano divino, Razzullo e Sarchiapone avevano finito per indicare a Giuseppe e Maria la via del rifugio nella grotta santa. Immaginiamo che Benino, al risveglio, si guardi intorno e che non si renda più conto se ha sognato o no. Che s’avvii per i vicoli di Betlemme, incontrando lavandaie, anziane filatrici, zingare, scorgendo di lontano anche Ruscellio e Cidonio; che s’affretti verso la piazza, tra i banchi del mercato colmi di vivande e le grida degli ambulanti. Che giunga infine alla grotta della Natività dove sosta suo padre Armenzio, insieme a zampognari e pastori con le braccia levate al cielo 8


Il quinto Vangelo

per la meraviglia, di fronte all’evento portentoso. Da una strada laterale stanno arrivando a cavallo tre Magi d’Oriente con un corteo di tamburi e pifferi. In alto, presso il castello di Erode, si odono terribili grida di fanciulli e di madri: i centurioni agli ordini del re vanno cercando i neonati e ne fanno strage, senza pietà. L’incubo continua. La Sacra Famiglia dovrà presto partire per l’Egitto, in fuga. Benino si stropiccia gli occhi. Non ha sognato, dunque. È tutto vero. Né per strada, né davanti alla grotta ha incontrato Razzullo e Sarchiapone. Dove sono finiti? Sono forse ripartiti per Napoli, la città «che al mondo non c’è cosa più bella», come dice Razzullo? Nel presepe non ci sono, ma per due millenni le loro avventure devono essersi tramandate sotto traccia, depositandosi da ultimo, come filtrate da un terreno carsico fatto di miti e storielle, di maschere e buffoni, in un libro apparso nel 1698, il Vero Lume tra l’Ombre ovvero la Spelonca arricchita, per la nascita del Verbo umanato. Autore ne fu Andrea Perrucci (1651-1704), gesuita, drammaturgo e poeta. Della sua non eccelsa produzione letteraria, che annovera anche un Convitato di pietra, riscrittura del mito di Don Giovanni, solo il Vero lume 9


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fu destinato a un’imprevedibile fortuna durata due secoli e mezzo. In tre atti, l’opera narra, a partire dal sogno di Benino, della nascita di Gesù. La riscrive in forma d’avventura e di fiaba, di dramma e di commedia, in un ibrido di oratoria sacra, di linguaggio aulico da teatro di corte e di toni dolciastri di un’arcadia posticcia. E vi mescola per giunta le smorfie di Razzullo, in una versione plebea del dialetto napoletano: lingua colorita, tagliente, ora ironica, ora greve, ora ambigua e triviale. Un «parlar così stravolto e strano», sostiene Benino, scambiandola per un idioma «indiano» e facendo infuriare Razzullo che gli risponde per le rime: «Parlo co le tetélecche ’e m’ave storzellato mamma toia... Và, che puozz’ire co lo cuollo rutto!»1 (Parlo con le ascelle che mi ha storto tua madre! ...Va’, che tu possa romperti il collo!) L’efficacia del testo del Perrucci deriva certamente da questo mélange espressivo, che dà un ritmo particolare al testo, con pause e accelerazioni dettate dalle irruzioni comiche, che fanno l’effetto-sorpresa di un frastuono di temporali nella noiosa calma dei recitativi. Sì che, sulla trama di una delle tante “sacre rappresentazioni” che giravano dal Medioevo in poi, 1

Andrea Perrucci, La cantata dei pastori, testo originale, 1698.

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Il quinto Vangelo

finiscono per prevalere i guizzi, gli acuti e il crescendo della Commedia dell’arte, che fa inevitabilmente retrocedere la macchina convenzionale della prosa barocca a un irrilevante intermezzo, dal quale si è impazienti d’evadere. Perrucci del resto, nel trattato Dell’arte rappresentativa, premeditata e all’improvviso, teorizzò l’uso del comico, purché non osceno, a sostegno del teatro edificante. Incerto, si direbbe, tra l’attrazione di quel «grottesco palcoscenico dell’Opera dei pupi», il magmatico immaginario popolare napoletano – come osserva Roberto De Simone – e una castigata autocensura. Il successo dell’opera fu strepitoso, anche a causa di molteplici riscritture. Il Vero lume, ormai diventato più semplicemente La cantata dei pastori, si trasformò infatti ad opera di guitti e attori dilettanti, in un canovaccio aperto alle manipolazioni della “recita a soggetto”: l’opera del Perrucci finì per uscirne contaminata, a mezza via fra il teatro di strada, l’arte dei saltimbanchi e dei giullari e le recite delle marionette. Nella notte di Natale, tra Otto e Novecento, la Cantata fu un appuntamento classico dei teatrini nel ventre di Napoli. Una serie di vivide testimonianze di attori e spettatori ne riferiscono i modi: le applaudi11


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tissime esibizioni acrobatiche dei demoni, i costumi improbabili di una fantascienza ante litteram e, soprattutto – autentico fulcro dello spettacolo – i lazzi che animavano i dialoghi di Razzullo e della sua “spalla”, Sarchiapone (che manca nell’opera originale), spiritello spuntato da un semimondo magico, di sconcertante sconcezza e d’irresistibile attrazione per il popolo dei “bassi”. Né bastavano le buffonate, le allusioni, i doppi sensi, le scurrilità, talora ai limiti, e oltre, del sacrilego – che, come rammenta Benedetto Croce, indussero le autorità a interdire la recita alla fine dell’Ottocento – poiché lo spettacolo viveva non del solo testo, ma del botta e risposta fra gli attori e il pubblico, che non lesinava loro contumelie e parolacce, aspettandosene, per un surplus di risate, adeguate repliche. Anticipando i tempi, la Cantata tenne della farsa, dell’avanspettacolo e del varietà (vi s’aggiungevano anche intermezzi musicali, coi successi del momento), il tutto dominato dalla tecnica dell’improvvisazione, con esiti d’irrefrenabile ilarità e liberatoria licenziosità, più carnevalesca che natalizia. Il baccanale, ricorda Croce, si placava solo nel finale, alla nascita del Salvatore, quando, cessati «grida» e «bestemmie», gli «sguaiati atteggiamenti» si componevano in «rispettosa compunzione». 12


Il quinto Vangelo

Eppure, come ricorda uno degli interpreti, Egidio Cappella, nato nel 1899, «tutte quelle fesserie» che nel libro del Perrucci non c’erano, avevano un ruolo decisivo: «San Giuseppe, la Madonna? La Cantata senza Sarchiapone e Razzullo e tutte le diavolerie... non rappresenta proprio niente»! Non ultima ricaduta della Cantata, questa sorta di diffuso e apocrifo “Quinto Vangelo” dei bassifondi, è – per osmosi o contraccolpo – l’effetto che ebbe su quello straordinario prodotto del folklore che è il presepe napoletano: curiosità divulgata dal Natale in casa Cupiello di De Filippo, e divenuta oggi materiale di consumo nei vicoli di San Gregorio Armeno, che l’ostentano per più mesi al turismo di massa. Senza la Cantata non si capisce gran parte di quel presepe. Giacché Napoli è una Betlemme vista attraverso gli occhi trasognati di Benino, che dorme tra il muschio e il sughero là in alto, e quelli ammiccanti di Razzullo e Sarchiapone. Napoletano il paesaggio, lo “scoglio” – come si chiama nel gergo dei pastorari – che degrada a mare nell’intrico di scale e scalelle; napoletani i personaggi che vi si aggirano, ora per via di studiati anacronismi (il pazzariello, Pulcinella, il carabiniere, l’uomo della Smorfia, i venditori delle 13


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specialità del luogo), ora a causa d’equivoci non del tutto chiariti, che affondano le radici in un patchwork remoto di miti, usanze e fiabe. Tali sono la vecchietta che fila (la parca?), una zingara con un neonato in fasce (che si vuole la madre del Protomartire, santo Stefano), Cicci Bacco, il dio pagano dei piaceri del corpo, col suo carro carico di botti di vino, la cui grotta tentatrice sta accanto a quella del Redentore, a ricordarci la sorte sempre in bilico delle anime. Se tutto questo è vero, la struttura portante del presepe è sostenuta tuttavia dalla trama della Cantata. A partire dalla figura di Benino, s’è detto, di Ruscellio e Cidonio, che armeggiano per via coi loro attrezzi (la lenza e – va da sé – il fucile, aggiornamento dell’arco di cui parlava il Perrucci), di Armenzio – forse il “buon pastore” che guida i suoi colleghi alla grotta? – giù giù fino all’osteria dove Satana ha mancato clamorosamente il suo tranello finale, atto a stravolgere la storia del mondo e i piani della Provvidenza. Lo scorgiamo, l’inviato delle Tenebre, mentre occhieggia i tavoli dei clienti dal retro della cucina, giusto accanto alla grotta divina, dunque sul periglioso confine della luce e della verità, dell’ombra e della menzogna. E dalla Cantata proviene il messaggio di quel 14


Il quinto Vangelo

Quinto Vangelo. Non l’intrigo fra i Magi ed Erode su cui si dilunga san Matteo (nel presepe napoletano i Magi stanno abbastanza in disparte), né solo la buona novella recata ai bonari pastori di san Luca, ma una lettura decisamente manichea, un’ontologia della lotta tra potenze opposte – Bene e Male – narrativamente mescolata a un’antropologia della fiaba, come una serie di “prove” che l’eroe deve affrontare, non senza interventi di magia (o miracolo) in vista del traguardo della vittoria sulle tenebre e della redenzione. Ed è una redenzione per tutti, anche per gli ultimi, e persino per la canaglia impersonata dallo “scrivano” e dal “barbiere pazzo” (che nel presepe non ci sono, o se ci sono, sono ben camuffati, forse per un sussulto di decenza...) Un’umanità sofferente, che grida alla fine, con le parole di Razzullo: E io, afflitto e sventurato, ora benedico i pericoli attraversati, e tutte le disgrazie sofferte: perché ho visto che per mezzo di questi travagli alla fine si trova Dio.2 Ivi.

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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl da Longo spa (Bolzano) nel mese di novembre 2019


Andrea Perrucci (Palermo, 1651 - Napoli, 1704) è stato poeta, drammaturgo e librettista. Conosciuto come teorizzatore della Commedia dell’Arte (suo il trattato Dell’arte rappresentativa, premeditata e all’improvviso), deve la celebrità al dramma sacro Il vero lume tra l’ombre, pubblicato nel 1698 e divenuto popolare col nome La cantata dei pastori. Rimaneggiata e riscritta nel corso dei secoli dai molti teatranti che l’hanno rappresentata, la Cantata è nota al grande pubblico grazie all’interpretazione di Peppe Barra, che per quarant’anni l’ha portata in scena a Napoli durante le feste natalizie. Andrea Rauch (Siena, 1948) è un maestro della grafica. Per Gallucci ha scritto e ideato numerosi libri per l’infanzia, tra i quali una versione per bambini de L’Isola del Tesoro, con i disegni di Roberto Innocenti, e la riscrittura in prima persona di Pinocchio. Le mie avventure, illustrata da Scarabottolo. La passione per il teatro e per la provocazione lo hanno avvicinato, oltre che alla Cantata, ai testi di Alfred Jarry, presenti in queste edizioni con le sue versioni di Ubu Re e di Ubu incatenato.


Il viaggio a Betlemme di Giuseppe e Maria, le insidie del diavolo Belfegor, il trionfale splendore della Natività sotto lo sguardo stupito dei pastorelli… Da oltre tre secoli La cantata dei pastori riempie i teatri di Napoli con il suo potente amalgama di fiaba e avventure, dramma e comicità. Il racconto aulico della nascita di Gesù si intreccia con i lazzi e le smorfie di due maschere napoletane, Razzullo e Sarchiapone, che con la loro lingua colorita e tagliente incarnano la vera anima popolare dell’opera.


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