nel 1967 e vive nei Paesi Baschi. Prima di scrivere ha fatto mille mestieri. I suoi pluripremiati romanzi per ragazzi sono tradotti in tutto il mondo. Con Gallucci ha pubblicato gli albi illustrati La furia di Banshee, Fenrìs, Il canto della Felicità e Lo scrigno incantato. Appassionato di fauna selvaggia e di paesaggi incontaminati, quando non scrive esplora montagne, deserti e sponde di oceani lontani.
Jean-François Chabas
Jean-François Chabas è nato a Neuilly-sur-Seine
Nel Reame dei Mille Laghi
una strega mette in atto tutti i suoi malefici per rapire dalla culla il principe ereditario.
I Monti
Gialli lo aspettavano. Laggiù avrebbe incontrato l’Orco, e poi Nara, e l’avrebbe salvata. Il suo era il destino di un cavaliere, ne era certo. Anche lui, come Elgin, possedeva un animo avventuroso. Com’era possibile che fosse rimasto tutto quel tempo segregato a Cairnbaan? Nello stesso insipido villaggio, nella stessa regione dove non succedeva più niente da quindici anni, da quando avevano rapito il principe Irven?
PHELAN
Molti anni dopo Phelan, adolescente esperto nel maneggiare la spada, s’innamora follemente dell’impavida principessa Nara. Ma il cavallo della principessa, imbizzarrito, la trascina sui Monti Gialli, in balia dell’Orco che vi regna. Nessuno è mai uscito vivo da quelle montagne e tuttavia Phelan, indomito, si lancia in soccorso di Nara, accompagnato dal fedele amico Turi. Sul loro cammino incombe però l’ombra di una strega misteriosa…
Jean-François Chabas
LIBRO
Una scrittura avvincente con il respiro epico delle grandi saghe fantasy.
ISBN 978-88-9348-539-5
€ 13,90
1
LIBRO 1
PHELAN
nel 1967 e vive nei Paesi Baschi. Prima di scrivere ha fatto mille mestieri. I suoi pluripremiati romanzi per ragazzi sono tradotti in tutto il mondo. Con Gallucci ha pubblicato gli albi illustrati La furia di Banshee, Fenrìs, Il canto della Felicità e Lo scrigno incantato. Appassionato di fauna selvaggia e di paesaggi incontaminati, quando non scrive esplora montagne, deserti e sponde di oceani lontani.
Jean-François Chabas
Jean-François Chabas è nato a Neuilly-sur-Seine
Nel Reame dei Mille Laghi
una strega mette in atto tutti i suoi malefici per rapire dalla culla il principe ereditario.
I Monti
Gialli lo aspettavano. Laggiù avrebbe incontrato l’Orco, e poi Nara, e l’avrebbe salvata. Il suo era il destino di un cavaliere, ne era certo. Anche lui, come Elgin, possedeva un animo avventuroso. Com’era possibile che fosse rimasto tutto quel tempo segregato a Cairnbaan? Nello stesso insipido villaggio, nella stessa regione dove non succedeva più niente da quindici anni, da quando avevano rapito il principe Irven?
PHELAN
Molti anni dopo Phelan, adolescente esperto nel maneggiare la spada, s’innamora follemente dell’impavida principessa Nara. Ma il cavallo della principessa, imbizzarrito, la trascina sui Monti Gialli, in balia dell’Orco che vi regna. Nessuno è mai uscito vivo da quelle montagne e tuttavia Phelan, indomito, si lancia in soccorso di Nara, accompagnato dal fedele amico Turi. Sul loro cammino incombe però l’ombra di una strega misteriosa…
Jean-François Chabas
LIBRO
Una scrittura avvincente con il respiro epico delle grandi saghe fantasy.
ISBN 978-88-9348-539-5
€ 13,90
1
LIBRO 1
PHELAN
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Jean-François Chabas Le cronache di Zi. Libro I - Phelan traduzione di Maria Baiocchi dello stesso autore: Fenrìs Il canto della felicità La furia di Banshee Lo scrigno incantato ISBN 978-88-9348-539-5 Prima edizione italiana novembre 2018 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2022 2021 2020 2019 2018 © 2018 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale francese: Les Chroniques de Zi. Livre 1 – Phelan © 2018 Éditions Nathan, SEJER - Parigi, Francia Mappa disegnata da Audrey Gaucher
g a l l u c c i e d i t o r e . c o m Opera pubblicata con il sostegno dei Programmi di aiuto alla pubblicazione Casanova dell’Institut Français Italia
Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Jean-Franรงois Chabas
LIBRO I - PHELAN traduzione di Maria Baiocchi
A Nisrine
Terre del Nord
Tirnambana
Mare di Felfelfly Reame dei Mille Laghi Reame delle Tre Onde
N O
E
Foresta Incantata
S oh
Fiume S
Paese dell’Est
Cairnbaan
Monti Gialli
Paese dei Ghiacci
Catena di Tak
Parte
1
L
a strega lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle. La grande pianura era deserta, nessuno l’aveva vista. Allora si addentrò nella foresta. I lembi del suo lungo pastrano rosso s’impigliavano tra i rovi ma lei non ci faceva caso perché era troppo felice: c’era riuscita! Quando arrivò alla Radura dei Sette Elfi, inondata dalla vivida luce di mezzodì, posò su una zolla di morbido muschio verde il pesante sacco di tela che si trascinava in spalla da un bel pezzo. Ne disfece il cordone. E con le dita tese come gli artigli di un rapace, agguantò il piccolo. Era pallido. I capelli chiari, color cenere, ancora morbidi come piume, gli si arricciavano sulla fronte. Nel sonno aggrottò le sopracciglia e le sue labbra piene accennarono un broncio. «Sei così bello» disse la strega. Aveva visto morire le querce, erodersi le pietre, aveva vissuto l’era dei ghiacci e delle grandi eruzioni; errava da sempre per quelle terre dove la durata della vita degli uomini per lei significava poco più di quella di formiche e farfalle. E tuttavia la strega non ricordava di aver visto niente di più splendido di quel bambino. 11
Le cronache di Zi
Volteggiando su se stessa, ebbra di felicità, volle prendere a testimoni i mille abitanti del bosco che, lo sapeva, proprio in quell’istante la stavano osservando. Non trovando le parole, lanciò il suo grido di vittoria, quell’urlo gutturale e stridente che aveva gelato il sangue nelle vene dei suoi innumerevoli nemici. Due giovani corvi che bighellonavano intorno alla fonte non lontano di lì, e che avevano assistito alla scena con interesse, si presero un gran spavento e volarono via, muti, in un fruscio d’ali. Il bambinetto emise un gemito, ma non si svegliò. L’incantesimo lanciatogli dalla strega per farlo dormire a lungo era molto potente. Lo avvicinò a sé e lo annusò. Sapeva di latte, biscotti e fiori d’arancio. E c’era anche… sì, proprio così, un leggero profumo di vaniglia che veniva dai suoi indumenti. Bisognava ripartire, la strada era ancora lunga. La strega amava camminare nella foresta, ma in genere non era intralciata da quel pesante pastrano. Slacciò i fermagli del mantello color carminio e lo lasciò scivolare al suolo. La camicia e i pantaloni di pelle di lupo sottolineavano la magrezza del suo corpo. Rimise il bambino nel sacco, annodò con cura il cordone, si gettò il fardello sulle spalle e abbandonò la radura. La Foresta Incantata era sotto il dominio assoluto della strega. C’erano voluti millenni ma non c’era un sasso né un albero che non fosse pronto a ubbidire ai suoi ordini. C’era stata un’epoca, in tempi remoti – quando ancora gli uomini si contendevano il territorio con le scimmie – in cui la strega, giovane e priva di esperienza, non aveva un rifugio sicuro; un tempo in cui era in balia di coloro che volevano vendicarsi dei suoi malefici. Ma aveva capito che per sopravvivere le serviva una fortezza. 12
Phelan
Poiché era in suo potere assoggettare le forze della natura, aveva deciso di utilizzarle. Ogni quercia, ogni olmo, ogni rosa canina la difendeva. Da quando quell’esercito era entrato al suo servizio, nessuno era più riuscito ad avvicinarla per farle male. Ma chi, del resto, sapeva che i boschi celavano il suo antro? La strega era sprezzante, come spesso è chi procede da solo nella vita; vedeva i ragazzi e le ragazze divenire donne e uomini e poi invecchiare e poi morire, ma lei era sempre lì, eterna con i suoi malefici e la sua potenza, inaccessibile alla malattia e ai colpi inferti dagli anni. C’era solo un elemento capace di vincerla: il fuoco. Dalla morsa delle fiamme non sarebbe potuta rinascere. Ai tempi delle guerre delle spade di rame, era stata colpita dal fulmine. Abituata com’era a essere invincibile, aveva constatato, con uno stupore venato di orrore, che sul collo, nel punto in cui la saetta era penetrata nel suo corpo, c’era un solco nero che non guariva mai. Era il marchio del fuoco. Gli umani avrebbero potuto bruciarla per impedirle di nuocere. Sapendolo, li detestava ancora di più. Una buona ragione – oltre al gusto che trovava squisito – per mangiare bambini. La Foresta Incantata le dava di che nutrirsi. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva dovuto cacciare, perché gli alberi, desiderosi di compiacerla, catturavano per lei lepri, fagiani e uccelli che erano il suo cibo abituale. Legavano attorno alle prede radici e rami, e poi chiamavano la loro padrona e sovrana implacabile e allora lunghi gemiti risuonavano tra le fronde. Ma la strega era golosa e niente per lei superava il sapore dei cuccioli d’uomo. Quando partiva a caccia di un bambino, era sempre per un impulso improvviso, un desiderio irresistibile che la stanava dal suo rifugio, dopo anni, a volte dopo decenni dall’ultimo festino. 13
Le cronache di Zi
Il gusto del sangue umano all’improvviso la distraeva dall’attività del momento e allora pronunciava parole nella sua lingua strana, parole che significavano: «Arrivo! Arrivo!» Si precipitava a cercare nei suoi bauli qualche abito con cui passare inosservata per città e villaggi, poi andava verso gli uomini. Nel ventre un gran desiderio di carne umana. Non resistendo più, aprì di nuovo il sacco. Oh, quel bambinetto superava tutti quelli che aveva ghermito. Era incantevole. E se lo avesse mangiato subito? La strega si rimproverò sottovoce. No, certo che no! Che spreco sarebbe stato, dopo tanta fatica. Quello lì non era mica uno qualunque: le era costato una gran fatica. «Figlio di re!» disse. E nella voce c’era la sua abituale ironia, ma anche un po’ di rancore perché aveva rischiato di farsi acchiappare. Decisamente quel pargolo, il principino ereditario, nella sua culla d’oro e velluto, era stato più difficile da rapire del figlio di un accattone che si poteva cogliere come un fiore di campo. Le era presa la voglia di mangiare il principe Irven – il nome significava bianco e gli calzava a pennello – fin dalla prima volta che l’aveva intravisto, quando la regina lo aveva mostrato al popolo dal balcone del castello. La strega quel giorno era alle prese con la figlia di una albergatrice, una bambina rosea e rotondetta, dalle guance piene, che voleva portarsi via dopo il tramonto, perché bastava scalare il muro della stazione di posta e lei in quello era abilissima. Ma la visione del principe aveva spento quell’appetito. Da quel momento in poi solo lui e nessun altro aveva bramato. Ahi! Quanto tempo e quante astuzie! Nessuno nel reame era meglio protetto di quella creatura. La strega non aveva mai dubitato di 14
Phelan
riuscire a rapire Irven, ma per quel trionfo era dovuto passare un anno intero. Mai prima per agguantare un bambino aveva dovuto ricorrere alla magia. Si rifiutava di fare appello ai suoi poteri occulti – che considerava sacri – per una cosa così irrisoria come rubare un piccolo a quegli umani ottusi, così facili da raggirare e così deboli fisicamente. Non avevano immaginazione. Così, quando non erano capaci di un gesto audace, credevano che nessuno dei loro simili potesse compierlo. Ma se è vero che la strega assomigliava agli umani, era però ben più forte di loro. Sfondare una porta con un calcio, scardinare un’imposta, saltare una muraglia senza prendere lo slancio, niente di tutto ciò le aveva mai fatto battere più forte il cuore. Superava gli ostacoli creati dai suoi nemici con una sorta di indifferenza. Più grossi erano gli sbarramenti e più allegramente li sfidava. Povere quelle creature che pensavano di proteggersi dal male dietro qualche tavola di legno... Ma quando si era messa a caccia di Irven, la strega aveva capito quasi subito che quella era tutta un’altra storia. La difficoltà non stava nelle mura o nelle sbarre. A rendere ardua la sua impresa, sarebbe stato il numero delle guardie. Il bebè era protetto da un vero e proprio esercito. Figlio unico dei sovrani, principe destinato al trono: bastava questo a esporlo ai complotti ed era dagli altri umani che andava protetto. Se lo dividevano due nutrici. Due guardie armate con tanto di cotta di maglia di ferro non lasciavano mai la camera del lattante. Uno con un’ascia da guerra, l’altro con una spada a doppia lama. Nel lungo corridoio attiguo stazionava un intero plotone. La finestra della camera dove dormiva Irven era stata coperta da una griglia di sbarre d’acciaio, spesse come il pugno di un uomo e la strega avrebbe di 15
Le cronache di Zi
sicuro potuto romperle, ma a che pro? Se fosse penetrata là a quel modo, sarebbe ovviamente stata vista dalle nutrici e dalle guardie. La strega aveva parlato con tanta gente per raccogliere tutte quelle informazioni. Senza dubbio uno degli aspetti più sgradevoli della sua avventura, perché lei amava la solitudine. “Il bambino” pensava, per non perdere le staffe. “Ne vale la pena...” Se c’era una cosa che proprio non desiderava, era farsi sorprendere mentre cercava di sottrarre il principe. Alle streghe viene inculcato il gusto del mistero e dei malefici segreti. Maledetti loro, quel re e quella regina che la obbligavano a inventare strategie complicate. Non avrebbero potuto, come chiunque altro, lasciarsi mangiare il figlio senza fare tante storie? Ma non importava, quel bianco lattante meritava tutti i suoi sforzi: avrebbe dovuto architettare una metamorfosi. Impresa delicata e dolorosa perché la sua pelle avrebbe dovuto lacerarsi per far posto al nuovo guscio, e poi lacerarsi di nuovo quando fosse tornata a essere quella che era prima della magia. Prima di tutto – poiché, per una regola del mondo oscuro, non poteva prendere altro che le sembianze di un essere umano già esistente – aveva scelto la sua vittima. Doveva essere qualcuno di cui si fidavano. Le nutrici, che vivevano costantemente con Irven, sarebbero state perfette, ma non si allontanavano mai dal castello. E così pure le due guardie armate. Al contrario, il capitano del plotone, in quel piccolo gruppo di soldati scelti, era il punto debole. La strega aveva un sesto senso per le fragilità umane, le fiutava. Sapeva, e non si sbagliava mai, quando un uomo vacillava, e aveva sempre utilizzato la cosa a suo vantaggio. Si diceva che il capitano amasse bere ma che, poiché quel vizio era malvisto al castello, a volte, nottetempo, andasse ad abbeverarsi alla taverna Il Merlo Rosso. 16
Phelan
Rannicchiata nella curva di un vicolo buio che portava a quel luogo di sbornie, lei era rimasta a spiare, come fanno i ragni. Non aveva freddo, ma si annoiava; allora meditava sulle cosce del bianco principino, e sul modo di prepararle. Nel corso della quarta notte, aveva sentito un uomo canticchiare, e aveva riconosciuto il farsetto di velluto blu del capitano. Poiché era solo e la strada a quell’ora di notte era deserta, l’avrebbe potuto abbordare. Ma aveva preferito aspettare che fosse ubriaco. Sarebbe stato più facile e più divertente. Quando il capitano era uscito dal Merlo Rosso, già i primi chiarori dell’alba affievolivano la luce delle stelle. Adesso cantava a squarciagola; un altro figuro, compagno di gozzoviglie, gli faceva eco in canone. «Messeri!» aveva esclamato la strega, emergendo dall’ombra per esporre alla luce della lanterna il volto dagli zigomi pronunciati. «È ora di dire addio alla vita; avete esaurito sulla Terra le vostre spregevoli ore…» Il capitano e il suo compare, un omone rosso e col naso pieno di fori come un’enorme fragola, avevano fatto un passo indietro. Avevano sbattuto le palpebre increduli, poi il capitano aveva detto: «Non sei mica brutta, in fede mia. Saresti perfino piuttosto bella, figliola» «Molto bella» aveva rincarato il suo tirapiedi. «Piuttosto che minacciarci, faresti bene a darmi un bacio». E aveva allargato le braccia dondolandosi per acchiappare la strega. L’idea di essere abbracciata da un maschio umano le sembrava così ripugnante che, quando aveva lanciato il suo incantesimo, l’aveva fatto con molta più potenza del necessario. L’omone si era illuminato dall’interno come se gli avessero acceso dentro un fuoco 17
Le cronache di Zi
d’artificio. I pochi capelli rimastigli sul cranio luccicante si erano arricciati fino a divenire crespi, poi erano caduti, ridotti a un mucchio di polvere nera. «Oh…» aveva mormorato, come se si fosse ricordato di qualche cosa, ma in verità non doveva essere altro che un riflesso, poiché era già passato a miglior vita. Si era accasciato. Il capitano aveva estratto dal fodero la lunga spada che portava al fianco. «Strega!» Nel suo tono, collera e spavento. «Fine deduzione» aveva risposto la figlia delle tenebre. «Dammi il tuo corpo, capitano. Ne ho bisogno» «Il mio… mio corpo?» In lontananza, un gallo aveva cantato. La città stava per rianimarsi, il tempo stringeva. Quando era saltata addosso al capitano, la strega era rimasta sorpresa dalla rapidità del movimento della sua preda. L’estremità della spada le si era piantata nel ventre, l’aveva sentita farsi strada nel groviglio degli intestini. Il capitano aveva affondato ancora il ferro, tanto che la punta era sbucata in fondo alla schiena della strega. Lei aveva afferrato l’avversario per le spalle e si era chinata per sussurrargli all’orecchio: «È così che si uccide una donna, immagino. Ma tu mi hai chiamata con il mio giusto nome, allora sai bene che non sono una donna e che con quella spada non mi puoi fare niente...» Mentre lo fissava con il suo strano sguardo, aveva visto negli occhi del capitano il terrore che provavano tutti gli umani quando la affrontavano. Attirando a sé il suo nemico, si era infilzata la grande spada fino all’elsa. 18
Phelan
«Per la lepre nera, mi fondo in te» aveva detto. Conosceva quella frase in mille lingue. Il capitano l’aveva guardata senza capire. Si sforzava di ritirare la lama dal ventre della strega per colpirla di nuovo, quando il sortilegio aveva cominciato a fare effetto. La mano dell’uomo era andata a incollarsi su quella dell’avversario, e lei aveva cominciato a dissolversi. Se il dolore era grande per la strega, che comunque c’era abituata, era insopportabile per un essere umano. Appena il capitano aveva aperto la bocca per urlare, la strega l’aveva abbattuto con una testata. Se era necessario che la vittima fosse viva, non era detto che dovesse essere cosciente. Nel silenzio complice della natura, la strega si sarebbe divertita a sentir sbraitare la persona a cui aveva rubato la pelle, ma qui, in città, e con la mira di catturare il principe ereditario, non si poteva permettere quel piacere. Per accelerare l’effetto del sortilegio, si era sdraiata tutta intera sull’uomo svenuto stendendosi al suolo sopra di lui. Aveva piazzato la guancia contro la barba pungente del capitano, e aveva sentito che tutto si stava compiendo secondo i suoi piani. Sotto i muscoli tesi, sotto i nervi e le ossa, aveva sentito cedere il corpo dell’uomo, che si dissolveva per entrare in lei. Ogni poro della sua pelle si era aperto per accogliere la sua nuova sembianza. E lei si era sforzata di non irrigidirsi perché in passato aveva notato che la cosa non faceva che acuire il dolore della lacerazione. Un cane aveva abbaiato. Un’imposta in una strada adiacente s’era aperta, cigolando. Poi, compiuta la magia, la strega si era tolta i vestiti, ormai troppo piccoli per il suo nuovo corpo, e aveva infilato quelli del capitano. Puzzavano di vino e di sudore. L’omone, a due passi da lei, ormai era ridotto in cenere. Quanto al disgraziato soldato, non gli restava, come forma di vita, altro che 19
nel 1967 e vive nei Paesi Baschi. Prima di scrivere ha fatto mille mestieri. I suoi pluripremiati romanzi per ragazzi sono tradotti in tutto il mondo. Con Gallucci ha pubblicato gli albi illustrati La furia di Banshee, Fenrìs, Il canto della Felicità e Lo scrigno incantato. Appassionato di fauna selvaggia e di paesaggi incontaminati, quando non scrive esplora montagne, deserti e sponde di oceani lontani.
Jean-François Chabas
Jean-François Chabas è nato a Neuilly-sur-Seine
Nel Reame dei Mille Laghi
una strega mette in atto tutti i suoi malefici per rapire dalla culla il principe ereditario.
I Monti
Gialli lo aspettavano. Laggiù avrebbe incontrato l’Orco, e poi Nara, e l’avrebbe salvata. Il suo era il destino di un cavaliere, ne era certo. Anche lui, come Elgin, possedeva un animo avventuroso. Com’era possibile che fosse rimasto tutto quel tempo segregato a Cairnbaan? Nello stesso insipido villaggio, nella stessa regione dove non succedeva più niente da quindici anni, da quando avevano rapito il principe Irven?
PHELAN
Molti anni dopo Phelan, adolescente esperto nel maneggiare la spada, s’innamora follemente dell’impavida principessa Nara. Ma il cavallo della principessa, imbizzarrito, la trascina sui Monti Gialli, in balia dell’Orco che vi regna. Nessuno è mai uscito vivo da quelle montagne e tuttavia Phelan, indomito, si lancia in soccorso di Nara, accompagnato dal fedele amico Turi. Sul loro cammino incombe però l’ombra di una strega misteriosa…
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nel 1967 e vive nei Paesi Baschi. Prima di scrivere ha fatto mille mestieri. I suoi pluripremiati romanzi per ragazzi sono tradotti in tutto il mondo. Con Gallucci ha pubblicato gli albi illustrati La furia di Banshee, Fenrìs, Il canto della Felicità e Lo scrigno incantato. Appassionato di fauna selvaggia e di paesaggi incontaminati, quando non scrive esplora montagne, deserti e sponde di oceani lontani.
Nel Reame dei Mille Laghi
una strega mette in atto tutti i suoi malefici per rapire dalla culla il principe ereditario.
I Monti
Gialli lo aspettavano. Laggiù avrebbe incontrato l’Orco, e poi Nara, e l’avrebbe salvata. Il suo era il destino di un cavaliere, ne era certo. Anche lui, come Elgin, possedeva un animo avventuroso. Com’era possibile che fosse rimasto tutto quel tempo segregato a Cairnbaan? Nello stesso insipido villaggio, nella stessa regione dove non succedeva più niente da quindici anni, da quando avevano rapito il principe Irven?
PHELAN
Molti anni dopo Phelan, adolescente esperto nel maneggiare la spada, s’innamora follemente dell’impavida principessa Nara. Ma il cavallo della principessa, imbizzarrito, la trascina sui Monti Gialli, in balia dell’Orco che vi regna. Nessuno è mai uscito vivo da quelle montagne e tuttavia Phelan, indomito, si lancia in soccorso di Nara, accompagnato dal fedele amico Turi. Sul loro cammino incombe però l’ombra di una strega misteriosa…
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