STORIE DI CUCINA
CUCINE ANTICHE RADICI
Dalle origini alla cucina medievale
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Giovanni Ballarini
CUCINE ANTICHE RADICI
Dalle origini alla cucina medievale
Giovanni Ballarini
CUCINE ANTICHE RADICI
Dalle origini alla cucina medievale
©2021 Edizioni Plan – Loreto (AN), Italy
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Giovanni BallariniCucine antiche radici
Impaginazione: Andersen
Foto: Getty, archivio Eli-La Spiga-Plan Edizioni
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ISBN 978-88-6444-165-8
Tecnostampa – Pigini Group Printing Division – Loreto – Trevi 21.83.277.0
Questo libro è una narrazione antropologica di dati ottenuti dalle più disparate fonti e per una lunga serie di stimoli, occasioni, incontri, discorsi e discussioni in luoghi e tempi così dilatati e con un gran numero di persone che posso solo ringraziare collettivamente.
Cucina: una narrazione alla ricerca delle nostre radici
Perché mangiamo pane e salame, o il pasto più importante è di solito la cena? Quando sono state inventate le lasagne o dolci quali le frappe di carnevale? Tante sono le domande che ci possiamo porre su piatti e ricette di una cucina che riteniamo nostra, ma è veramente tale o è soltanto il lascito di una lunga, quasi infinita serie di generazioni che ci hanno preceduto e che con la cucina vivono ancora in noi? Una opinione, anzi una certezza quest’ultima di chi si è accinto a raccogliere in queste pagine testimonianze di un passato che è ancora presente e vivo e che dà forza alle tradizioni. Non per niente Johan Huizinga (Autunno del Medioevo) afferma: “nel passato cerchiamo sempre le origini del nuovo e vogliamo sapere in che modo sorsero i pensieri e le espressioni di una vita che si affermò pienamente in tempi successivi. Ogni epoca desta in noi maggior interesse, quando vi troviamo una promessa del futuro. Vecchie forme di cultura muoiono nel medesimo tempo e nel medesimo luogo in cui crescono e si sviluppano le nuove”.
Mai come oggi, in un cambiamento di era, e quando la cucina in tutto il mondo occidentale, nonostante lo sfavillio delle tecniche e la bellezza delle rappresentazioni, è allo sbando, nave senza nocchiero in gran tempesta, è necessario conoscere un millenario passato raccogliendo i brandelli che ci sono rimasti e contestualizzandoli, in un viaggio nel tempo, in narrazioni capaci di dare significato al presente e non soltanto, come troppo spesso avviene, in collezioni di curiosità se non in ricerca quasi morbosa di stranezze, che a ben vedere mai sono tali. I racconti ragionati di cucina sono un cammino nella ricerca di un’identità in parte perduta, ma anche un viaggio nell’eterno ritorno dell’identico. Solo conoscendo il proprio passato è possibile costruire un futuro e quanto più ci si spinge nel passato tanto più si può prevedere il futuro, è stato detto, e questo vale anche per la cucina, per la quale bisogna partire dagli inizi.
Quella che segue non è una storia nel senso comunemente inteso, ma una narrazione, uno storytelling, un’interpretazione soggettiva di fatti che riguardano la cucina e una raccolta di frammenti di un lungo viaggio attraverso i tempi, durante i quali la nostra umanità, unica sulla faccia di questa terra, ha creato un linguaggio del cibo trasformandolo in un’espressione culturale. Interpretazione di un cammino e frammenti di un percorso soggettivo da parte di chi scrive che lasciano tanto, tantissimo spazio vuoto, come in un album di viaggio dove sono raccolti fotografie, filmati, cartoline, menù di ristoranti, conti d’albergo, ritagli di giornale, qualche foglia o conchiglia, che documentano singoli, puntuali e brevissimi istanti di un lungo trascorso che solo la memoria può tentare di ricostruire.
Cimentarsi in una narrazione della cucina, soprattutto di quella dei nostri antichi antenati, significa in primo luogo affrontare il problema delle fonti. Nell’antichità, solo in
alcuni periodi di grande ricchezza (come in taluni imperi asiatici, nella Grecia ellenistica e nella Roma imperiale) vi sono scritti di cucina e gastronomia. In altri periodi del passato, quando l’argomento è considerato di scarso interesse, gli scritti che la riguardano sono pochi o del tutto inesistenti. Con l’avvento del Cristianesimo, la buona tavola diviene un’oziosa perdita di tempo e nella letteratura gastronomica vi è un vuoto dalla caduta dell’impero romano sino all’anno Mille. Le poche indicazioni riguardano l’aspetto morale del cibo, legato ai digiuni e alle astensioni nei giorni di magro, o l’aspetto dietetico, considerando ad esempio quali cibi assumere o evitare per restare in salute e curarsi. Solo attorno al 1100 nei monasteri compaiono alcuni ricettari, il primo dei quali risulta essere quello della badessa Ildegarda di Bingen (1098-1179), molto famosa per cultura e per i suoi manuali di medicina. Per questo periodo ricostruire ricette è molto complesso se non quasi impossibile, a causa della mancanza di uniformità dei pesi e delle unità di misura. Andare indietro nei millenni per riannodare le fila di una storia da raccontare, cercando una continuità che presenta ampi vuoti e le cui tracce sono in parte nebulose, è un’impresa che diviene quasi impossibile per la cucina delle innumerevoli folle di vinti che sono passate e scomparse senza lasciare scritti e documenti, se non labili e incerte tracce di memorie della loro fame nelle anonime invenzioni delle quali sono intessute le cucine tradizionali. “Tebe dalle sette porte, chi la costruì? Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? Una vittoria ogni pagina. Chi cucinò la cena della vittoria?” Domande che Bertolt Brecht pone nel suo Tebe dalle sette porte, e che devono far riflettere su chi inventò il brodo, la polenta ma anche la pasta, con le sue lasagne e tagliatelle e i ragù, e l’infinita serie delle grandi preparazioni tradizionali piene di saggezze.
Dopo Marc Bloch e Henri Pirenne, la cucina non è solo narrazione e frammenti di reminiscenze, perché ogni generazione deve riscrivere la propria storia e raccogliere le proprie memorie che possono perpetuarsi in narrazioni se il cibo, le sue trasformazioni e, in una parola, il proprio mangiare è considerato, come deve essere, lo specchio di una società, grande o piccola. Per questo, come rileva anche Anna Martellotti, oggi bisogna affrontare la storia del cibo come quella di un linguaggio, di un sistema di comunicazione e di un codice attraverso il quale trova espressione la cultura di un popolo e quindi anche come mezzo di affermazione e di rafforzamento di un’identità culturale. Ogni storia, frammento di storia o ogni narrazione della cucina non ha come proprio oggetto solo la descrizione di una pratica del cucinare, ma anche i suoi rapporti con l’etnologia, la sociologia, l’economia, le arti e l’antropologia che non sono sovrastrutture accessorie o ingombranti ma determinanti per ricostruire il significato della cucina nelle sue circostanze e nei suoi aspetti, abitudini e costumi e per tentare di comprendere i cambiamenti di una cucina nel tempo mutevole, sfuggente, sottoposta a mutamenti sotto sollecitazioni di varia natura.
Venendo alla presente narrazione e ai frammenti di cucina raccolti lungo un viaggio nei tempi lontani del passato, sono necessarie alcune precisazioni partendo dall’orientamento che ha guidato la loro collezione ed esposizione indirizzata al vasto pubblico che si occupa di cucina, un gruppo sociale variegato e multiforme, abituato al giornalismo
e ancor più all’informazione televisiva priva di bibliografia. Una condizione ben diversa da quella che chi scrive ha seguito nella sua pubblicazione specialistica La creazione della cucina (Milano, 2005).
Inoltre in questa narrazione non si è ritenuto sufficiente considerare soltanto le cucine che nel corso dei tempi vi sono state in Italia, ma anche come queste cucine hanno partecipato ai grandi movimenti che hanno percorso quelle di aree sempre più vaste. In quest’orientamento un posto di maggiore rilievo hanno le cucine ellenico-romane nel grande quadro del Mediterraneo, le cucine medievali che si sviluppano nel contesto dell’Europa e, come premessa e accompagnamento, non potevano mancare brevi cenni sull’origine e preistoria della cucina.
Nel viaggio a ritroso nei tempi e raccogliendo frammenti di storie della cucina si è cercato di evitare alcune tendenze e derive che, pur legittime per alcuni aspetti, a parere di chi scrive e in un più ampio quadro generale sono devianti. Tra queste non bisogna attribuire ad altre culture, soprattutto del passato, concetti e idee della nostra cultura e del presente, come la tendenza a interpretare in chiave prevalentemente o esclusivamente igienica scelte e procedimenti culinari del passato. Inoltre non bisogna dimenticare o sottovalutare i valori, anche simbolici, che la cucina e la gastronomia attribuiscono ai cibi e alle loro trasformazioni. Questi usi compaiono, scompaiono, si sostituiscono e mutano nelle diverse culture e soprattutto assumono significati diversi. È improponibile in un pranzo ufficiale odierno che in segno d’amicizia si beva nella stessa coppa o con le mani sia offerto un boccone di carne. Altra fonte di equivoci è dimenticare l’insegnamento di Roland Barthes, secondo cui il cibo, la cucina e la gastronomia sono sistemi di comunicazione che, come ogni linguaggio, soffrono di problemi di interpretazione e di traduzione, non solo tra epoche diverse ma anche tra classi sociali differenti, anche nel quadro degli analfabetismi funzionali che sempre più interessano la cucina. Non bisogna infine dimenticare che la cucina è un mare immenso del quale non abbiamo mappe precise e carte nautiche complete e che ogni storia o narrazione, anche la presente, ne considera una parte che è soltanto minimale, avendo al più l’obiettivo di stimolare la curiosità di chi la leggerà a divenire esploratori, come quelli che nel passato furono spinti a inoltrarsi nelle terrae incognitae e nei territori che sulle mappe erano definiti con la frase hic sunt leones
Chi si accinge a leggere questo libro deve avere presente che non è una storia della cucina, ma una sua narrazione antropologica che riguarda alcuni degli infiniti aspetti che la cucina ha assunto in ogni cultura e in ogni età. Arbitraria è stata la scelta dei fatti, degli episodi, dei miti e dei racconti e per questo la presente è solo una delle tante se non infinite, altre possibili narrazioni. Un racconto questo, inoltre, di cucine di chi ha vinto lasciando scritti e documenti e non delle innumerevoli folle di vinti che sono scomparsi senza lasciare tracce se non le labili memorie della loro fame e delle anonime invenzioni di cui sono intessute le cucine tradizionali. Nella presente narrazione si sono dovuti affrontare, cercando di superarli, i limiti artificiali di tempi, ere, periodi e secoli che non hanno precisi riferimenti con la vita di cui la cucina è intessuta, quando non divengono fonte
di equivoci come quelli di un mitico anno Mille o di un buio Medioevo e di tante altre leggende. I fenomeni culinari e gastronomici hanno una vita autonoma rispetto ai tempi cronologici e si è cercato di superare il problema posizionando il racconto di singoli eventi quando questi assumono la maggiore evidenza. In questa raccolta di notizie di diversa origine e ricavata da scritti personali voluta è la mancanza di una bibliografia, spesso soltanto espressione vanitosa dell’autore, superflua per lo specialista e inutile per il comune lettore che, se vuole approfondire qualche specifico argomento, ha a disposizione un vastissimo ed efficiente sistema bibliografico informatizzato.
Chi avrà voglia di leggere questa narrazione non deve aspettarsi una descrizione della cucina rigidamente cronologica e didatticamente puntuale. Lo stesso vale per gli argomenti presi in considerazione e per gli episodi riferiti, piccole schegge di quell’immenso se non infinito mondo della cucina e della gastronomia. Le pagine che seguono sono una narrazione che ha l’ambizione di far entrare il lettore nella dimensione umana e nel ribollimento di idee e di critiche che sono il fertile terreno nel quale, nel corso dei millenni e dei secoli, le cucine e le gastronomie si sono sviluppate ed evolute nelle culture umane.
Mai come oggi, quando stiamo vivendo un rapido e tumultuoso cambiamento di era, ci rifugiamo nel cibo, nella cucina cerchiamo certezze, nel passato vogliamo conoscere le origini del nuovo per sapere in che modo si svilupparono costumi alimentari e gastronomie che si affermarono pienamente in tempi successivi. Ogni epoca desta in noi maggiore interesse quando vi troviamo una promessa del futuro.
I racconti ragionati di cucina sono oggi un cammino nella ricerca di un’identità in parte perduta, ma anche un viaggio nell’eterno ritorno dell’identico. Solo conoscendo il proprio passato è possibile costruire un futuro e per questo è necessaria una narrazione, un’interpretazione di fatti che riguardano la cucina, una raccolta di frammenti del lungo viaggio attraverso i tempi per scoprire come la nostra umanità, unica sulla faccia di questa terra, abbia creato un linguaggio del cibo trasformandolo in espressione culturale.
Quindi non solo una storia ma anche una geografia, e soprattutto una narrazione antropologica di alcuni degli infiniti aspetti che la cucina e la gastronomia hanno assunto nei molti secoli della storia umana.
Giovanni Ballarini dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottore Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno - Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014. Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie Nella sua ricerca si è interessato di storia, zooantropologia e alimentazione dell’uomo, con particolare attenzione agli aspetti antropologici. In quest’ultimo settore, anche con lo pseudonimo di John B. Dancer ha pubblicato oltre novecento articoli e quarantanove libri. Ha svolto e mantiene un’intensa attività di divulgazione, collaborando con quotidiani e riviste anche on line, partecipando a trasmissioni televisive. Con Edizioni Plan ha pubblicato Cultura e Gastronomia tra Tecnica e Arte - Prefazione di Gualtiero Marchesi (2012).