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INTRODUZIONE

Cucina: un linguaggio e uno stile in un viaggio nel tempo

La cucina non è soltanto alimentazione del corpo, ma anche nutrizione dell’anima e soprattutto un linguaggio con i vocaboli dei prodotti e degli ingredienti che sono usati con regole di una grammatica raccolta in ricette e secondo una sintassi dei menù, fino alla retorica dei riti conviviali. Attraverso il suo linguaggio la cucina trasmette valori simbolici, è deposito di tradizioni e d’identità individuale, familiare, di gruppo e sociale. Come ogni linguaggio, ciascuna cucina ha una struttura determinata dai modi di cottura e presentazione dei cibi, dai prodotti di base disponibili e dalle forme in cui sono presentati. Attraverso il linguaggio della cucina si esprimono le abilità dei cuochi e la loro capacità di mettere in luce la qualità degli alimenti, in modo particolare quelli che hanno caratteristiche derivanti dal territorio. La cucina, come il linguaggio, è anche arte e soprattutto espressione di un gusto e buongusto. Il linguaggio della cucina è identitario e come ogni idioma evolve e si modifica divenendo uno specchio della società in cui vive e che, saputo leggere, rivela un inconscio collettivo e come tale va studiato e interpretato.

La cucina è anche uno stile che si configura come portatore di qualità precise che hanno in sé un significato specifico, capace di definire valori di un’intera società diventando segno di appartenenza a un canone di giudizio, di gusto o maniera d’essere. Presenti nella gastronomia e nelle cucine dei diversi ceti sociali, gli stili servono a interpretare i prodotti alimentari tradizionali e le preparazioni culinarie, distinguendoli da modelli alimentari comuni e più ampi. Riconoscere gli stili alimentari di una cucina porta a considerare due dimensioni, una storico-cronologica e un’altra artistico-culturale, perché lo stile è l’espressione di una cultura, nella quale vi sono intense e incontrollabili relazioni, azioni e reazioni tra le diverse componenti della cucina, creando una complessa rete di rapporti. Se la cucina è cultura l’identificazione di uno stile gastronomico e culinario ha lo stesso valore del riconoscimento di uno stile nell’arte di un periodo e anche per la cucina se è stato detto che lo stile è l’uomo, si può affermare che lo stile è la cucina.

Linguaggio e stile sono canali di comunicazione e come tali devono essere considerati, studiati e applicati nell’istruzione impartita nelle scuole di cucina nelle quali, accanto alle tecniche di base e specialistiche, si deve insegnare che se leggere è mangiare, scrivere è cucinare e che se la parola è cibo, la conoscenza è alimentazione, il sapere è sapore, ma soprattutto che è lo stile che identifica e qualifica ogni cucina.

Già nell’autunno del Medioevo e in particolare con il Rinascimento si forma la lingua italiana con il suo stile, e lo stesso avviene per la cucina. Come la nuova lingua, con il Dolce Stil Novo, si manifesta in opere letterarie d’alto valore che poi vanno a influenzare e a formare il linguaggio popolare, lo stesso avviene per l’alta cucina o gastronomia, che ha la sua massima espressione nei banchetti.

Nell’antichità, solo in alcuni periodi di grande ricchezza come in taluni imperi asiatici, nella Grecia ellenistica e nella Roma imperiale, vi sono scritti di cucina e gastronomia, mentre in altri periodi del passato, quando l’argomento è considerato di scarso interesse, gli scritti che la riguardano sono inesistenti o pochi. Con l’avvento del Cristianesimo la buona tavola diviene un’oziosa perdita di tempo e nella letteratura gastronomica si registra un vuoto dalla caduta dell’impero romano sino all’anno Mille: le poche indicazioni riguardano l’aspetto morale del cibo, i digiuni e le astensioni nei giorni di magro o l’aspetto dietetico relativo a quali cibi assumere o evitare per restare in salute e curarsi. Solo attorno al 1100 nei monasteri compaiono alcuni ricettari, il primo dei quali risulta essere quello della badessa Ildegarda di Bingen (1098-1179), famosa per cultura, morale e per i suoi manuali di medicina. Per questo periodo ricostruire ricette è molto complesso, se non quasi impossibile, per la mancanza di uniformità dei pesi e delle unità di misura. La cucina inizia a essere trattata con cura e metodo e riscuote un interesse particolare solo nel 1400 e nel 1500, anche se in questo periodo e nei secoli successivi l’analfabetismo è la norma per la maggior parte della popolazione e per molti cuochi e pasticceri. Per questo i testi che trattano di cucina e di pasticceria in nostro possesso sono scritti da persone colte, benestanti o ricche, trattano una cucina per ricchi, mentre le tradizioni di cucina delle popolazioni sopravvivono passando da cuoco o cuoca al suo successore. In questi periodi, inoltre, cene e banchetti sono occasioni nelle quali si ostenta la ricchezza e la potenza del signore, con decine di portate, e la servitù mangia ciò che è avanzato. Come ancora oggi base della formazione umanistica sono il linguaggio e gli stili che, nati con il Rinascimento, si sviluppano con il Barocco e l’Illuminismo e giungono a formare la borghesia, lo stesso avviene per la cucina. Per questo, mai come oggi è necessario tornare alla buona cucina trasmessa da un apprendimento basato sull’esempio e soprattutto recuperare e mantenere attuale l’esperienza di secoli passati, raccogliendo le esperienze che ci sono rimaste e, in un viaggio nel tempo, raccoglierle in racconti capaci di dare significato al presente e non soltanto, come troppo spesso avviene, in collezioni di curiosità se non ricerca quasi morbosa di stranezze, che a ben vedere mai sono tali. Narrazioni ragionate di cucina sono un cammino nella ricerca di un’identità in parte perduta, ma è anche un viaggio nell’eterno ritorno dell’identico. Solo conoscendo il proprio passato è possibile costruire un futuro, è stato detto, e questo vale anche per la cucina.

Chi si accinge a leggere questo libro deve avere presente che non è una storia della cucina, ma una sua narrazione antropologica che riguarda alcuni degli infiniti aspetti che la cucina ha assunto in un periodo di alcuni secoli, che vanno dall’inizio del 1500 alla fine del 1800, segnati da due eventi epocali. Il primo l’apertura dell’Europa al mondo e la perdita della centralità del Mediterraneo, il secondo il crollo di sistemi autocratici con i loro stili di vita. Per l’estrema complessità, arbitraria è stata la scelta dei fatti, degli episodi, dei miti e dei racconti e per questo la presente è solo una delle tante se non infinite, altre possibili narrazioni della cucina e della gastronomia che nel periodo rinascimentale, barocco e dell’Illuminismo portano allo sviluppo della borghesia e delle sue cucine. Un racconto questo, inoltre, di cucine di chi ha vinto lasciando scritti e documenti, e non delle innu- merevoli folle di vinti che sono scomparsi senza lasciare tracce, se non le labili memorie della loro fame e delle anonime invenzioni di cui sono intessute le cucine tradizionali.

Nella presente narrazione si sono dovuti affrontare, cercando di superarli, i limiti artificiali dei tempi che non hanno precisi riferimenti con la vita di cui la cucina è intessuta, perché i fenomeni culinari e gastronomici hanno una vita autonoma rispetto ai tempi cronologici. Si è cercato di superare il problema posizionando il racconto di singoli eventi quando questi assumono la maggiore evidenza.

In questa raccolta di notizie di diversa origine e ricavata da scritti personali, voluta è la mancanza di una bibliografia, spesso soltanto espressione vanitosa dell’autore, superflua per lo specialista e inutile per il comune lettore che, se vuole approfondire qualche specifico argomento, ha a disposizione un vastissimo e efficiente sistema bibliografico informatizzato.

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