Gli Arcani di nebbia 1. La cartomante

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UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Fanny Caldin

Gli Arcani di nebbia. La cartomante traduzione dal francese di Marina Karam

ISBN 979­12­221­0365­5

Prima edizione italiana aprile 2024

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2028 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl ­ Roma

Titolo dell’edizione originale francese:

Les Arcanes de Brume 1. La Cartomancienne

© 2023 Éditions Robert Laffont, S.A.S. ­ Paris, France

Pubblicato in accordo con Grandi & Associati

Disegni di copertina e interni © Tiffanie Uldry

La poesia di pp. 406­407 è tratta da Charles Baudelaire, I fiori del male, p. 180, traduzione di Antonio Prete, Feltrinelli, 2007.

Il testo è stato leggermente modificato per esigenze narrative.

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traduzione

dal francese di Marina Karam

Ai miei nonni, che mi hanno cullato con storie di rabdomanti, pendolini, predizioni e chiromanzia.

“In questa vicenda, la Provvidenza non nasconde forse un piano segreto che nessuno poteva prevedere?”

13 marzo 1850

Una figura pelle e ossa si faceva largo tra la folla ammassata sulle banchine, lasciando nella sua scia grida di sdegno e cappelli di traverso. Quando gli astanti, spintonati, si voltavano, trattenendo gli insulti, non vedevano altro che cenci rosso scuro e gambe scheletriche filare via a tutta velocità. La fuggiasca, con le braccia tese davanti a sé e pericolosamente piegata in avanti, colpiva in pieno tutto ciò che le ostacolava il passaggio.

Come a un cavallo lanciato al galoppo, il terrore le faceva da paraocchi e non vide il fruttivendolo che, alla sua destra, spingeva il banchetto a rotelle. Il grosso carretto si rovesciò con un fracasso assordante e la vecchia ci finì sopra, in mezzo alle verdure che volavano da ogni parte e che non attutirono affatto la violenta caduta. L’odore amaro della cicoria sotto la testa le invase le narici e le diede la nausea.

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La donna lanciò un’occhiata al fruttivendolo e si accorse che stava gridando: la bocca spalancata gli deformava il viso, era rosso di rabbia e agitava le braccia in tutte le direzioni.

Eppure nessun suono le giungeva alle orecchie che ronzavano. Si rialzò a fatica, sentendo come una raffica di pugnalate alle caviglie, alle ginocchia, ai gomiti, ai fianchi… E, senza prendersi la briga di togliersi la polvere dagli stracci, riprese la sua corsa.

Ogni passo che risuonava sul selciato le irradiava dolore in tutto il corpo. I polmoni le bruciavano così tanto che le sembrava di aspirare un vulcano in eruzione, e tra le labbra inaridite passava a malapena un sottile filo d’aria. Eppure, nonostante la poca energia che le restava, la mendicante continuava a correre.

Non riusciva a togliersi dalla testa quella tiritera: perché perché perché? Non capiva come mai i presagi non l’avessero avvertita del pericolo. Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto accorgersene e poterlo evitare, come le altre volte. A meno che…

Allo stremo delle forze, inciampò sul marciapiede sconnesso e rischiò di crollare, priva ormai della spinta dei muscoli atrofizzati. In un ultimo impulso, raschiò il muro con le unghie per tenersi in piedi. Le gocce di sudore che le grondavano sulla fronte la accecavano, nascondendole l’ombra che le balzò davanti per agguantarla. Quando si sentì afferrare cominciò a dimenarsi, emettendo rantoli spaventosi.

Ma la voce che risuonò non era quella dell’uomo che la inseguiva senza tregua. Era una voce femminile, giovane, allegra, con l’intonazione un po’ roca dei mendicanti e un forte accento marsigliese.

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«Forza, forza, vecchia, non devi correre così se le gambe non ti reggono più, o stramazzerai al suolo».

L’anziana donna, esterrefatta, tentò di parlare, ma dalla sua bocca tremante non usciva più alcun suono. La giovinetta che l’aveva soccorsa capì il turbamento della vecchia e la trascinò in disparte, in un vicolo umido e buio, spazzato da una brezza fredda. Sul muro era appeso un manifesto mezzo staccato che sbatteva nelle correnti d’aria: era così sbiadito da rendere difficile distinguere la sagoma femminile che vi era dipinta. Sotto, spaventato da quell’improvvisa irruzione, un topo filò via squittendo. Zaffate di marciume e di muffa infestavano il vicolo, ancora in attesa di essere scacciate dal sole primaverile.

La ragazza fece sedere quel fardello contro il muro, senza preoccuparsi della sporcizia circostante né del selciato appiccicoso, e si soffermò a esaminarlo: un corpo rachitico coperto di stracci, la pelle incartapecorita e segnata dal sole provenzale, l’aria esausta e sgomenta di coloro cui la vita non ha risparmiato nulla. Nessun dubbio: anche la vecchia dormiva all’addiaccio.

Eppure non l’aveva mai incontrata prima. D’altronde non poteva certo dire di conoscere tutti i mendicanti di Marsiglia – la città era troppo grande e troppo povera – e, soprattutto, lei dagli altri cercava di stare alla larga. Per mesi era riuscita a non dare nell’occhio, e non si era più unita a loro davanti al grande falò. La maggior parte dei poveracci, la sera, andava dietro i magazzini abbandonati, nel cortile, attorno al braciere: ci si occupava dei più piccoli, dei malati, dei vecchi, talvolta si condividevano le misere provviste… Ma era anche l’occasione per rubare, persino per picchiare i più deboli. E questo lei non poteva sopportarlo.

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Inoltre, si era accorta che il loro comportamento nei suoi confronti era cambiato rispetto all’anno precedente. Soprattutto i loro sguardi, da quando il suo corpo aveva timidamente lasciato l’infanzia… Py aveva fiutato un pericolo, aveva sempre avuto intuito per quelle cose. Quindi, essendo indipendente di natura, ci aveva messo ben poco a scomparire dalla loro quotidianità. Chissà, magari la vecchia era arrivata dopo la sua partenza.

Di norma, la ragazza non si sarebbe affrettata a soccorrere un altro miserabile. Ma quella vegliarda aveva qualcosa di diverso. Era come se la stesse chiamando. E come se lei si guardasse in uno specchio che rifletteva una tremenda immagine del futuro. E, in ogni caso, la donna era troppo male in arnese per crearle fastidi…

Sembrava sopraffatta dal terrore, e forse i suoi tremiti non erano dovuti solo a quella corsa sfrenata. La ragazza osservava stupita quella donna intenta a riprendere fiato e lucidità, quando udì un gran fracasso nel viale che avevano appena lasciato.

Immaginando che la vegliarda non avesse intenzione di scappare, la ragazza si alzò per sporgersi dall’angolo del muro e capire cosa avesse provocato un tale baccano. Abbagliata dal forte sole che inondava la strada – mentre il piccolo passaggio in cui si trovavano era completamente in ombra –riuscì a distinguere soltanto una selva di sagome sfocate.

Le banchine erano affollate, come ogni mattina, e si sentivano i pescatori che, a squarciagola, vendevano il loro pesce crudo e puzzolente, offuscando la presenza degli altri ambulanti. Dietro di loro, l’azzurro Mediterraneo lasciava che quel piccolo braccio di mare si infiltrasse pigramente nel porto e

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soffiasse il suo alito salmastro di alghe, misto a spruzzi d’acqua. Sulla giovane mendicante tutto questo esercitava non solo fascino ma anche diffidenza, un po’ come una zia lontana, senz’altro elegante e raffinata ma anche bisbetica e imprevedibile. La gente che passava non lo notava nemmeno più, quel lurido ristagno d’acqua costellato di barche.

Poi un uomo alto, ben piantato e impaziente, si avvicinò a grandi passi, e la sua sagoma si stagliò in controluce davanti alla ragazza.

«Dov’è finita?»

Aveva la voce di un toro infuriato e sbuffante. A causa dell’intensa luce, la ragazza non riusciva a distinguere i lineamenti del suo viso, che sembrava ampio e squadrato, come tutto il resto.

«Chi?» rispose con una smorfia, dato che il sole le faceva lacrimare gli occhi.

«La vecchia che correva!»

L’uomo stava già perdendo la pazienza. L’aggressività che cercava di contenere rendeva aspre le sue consonanti, facendolo sputacchiare. Alla ragazza non piacque quel tono di disprezzo: un conto era la collera, ma il disprezzo proprio non lo tollerava. Inoltre, quell’accento non era marsigliese.

«Ah sì!» Scoppiò in una grossa risata, che fece durare un po’ più del necessario. «L’ho vista che se la squagliava. Per la sua età filava come un fulmine, se stai qui ancora un po’ a cincischiare te la perderai. È andata da quella parte».

Il colosso girò subito sui tacchi e si precipitò nella direzione indicata dalla ragazza, verso la cittadella di Saint­Nicolas, verso i nuovi quartieri della città, ricchi e puliti, dove lei non si spingeva mai.

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Dopo avere lanciato una rapida occhiata al vicolo per assicurarsi che la fuggitiva fosse ancora lì, nascosta dietro di lei, la ragazza rimase appoggiata nella stessa posizione contro il muro impiastrato di sale marino. Con un sorriso leggermente tirato ad attraversarle il volto, restò in attesa, casomai l’uomo fosse tornato dopo essersi reso conto della bugia.

Tempo un istante, e una voce tanto esile quanto il suo involucro la distolse dai pensieri:

«Grazie, fanciulla. Senza di te, non so cosa avrei fatto…»

«Non ringraziare me, è il Sole che ti ha salvato! E gliel’abbiamo data a bere, a quello sconosciuto» ribatté con un sorriso scherzoso.

«Più che altro ringrazio la Provvidenza per averti messo sulla mia strada!»

La vegliarda parve strozzarsi su quell’ultima parola, come quando d’un tratto tutto diventa chiaro, e i suoi occhi, già iniettati di sangue e umidi di lacrime, brillarono di un sinistro bagliore. Scoppiò in una risata amara.

«Ecco, ci siamo!» si sgolò all’improvviso, facendo trasalire la ragazza, e parlò a se stessa, o forse al cielo, contro il quale brandì il pugno emaciato.

«Ci siamo! Non sono più buona a nulla! Ho capito benissimo, sì, sono un po’ suonata ma non ancora rimbambita! Non sono nemmeno morta e già mi trovi una sostituta! Ah! Maledetta Provvidenza! Anche tu vuoi sbarazzarti della mia vecchia pelle raggrinzita per trovartene una fresca e bella! Ah! Avrei dovuto sospettare che c’eri tu, dietro a tutto questo! Mi hai mandato in malora! Maledetta Provvidenza! Aaargh!»

Il suo discorso vendicativo fu interrotto da un terribile attacco di tosse, che le raschiò la gola come se volesse strappar­

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gliela. La ragazza pensò che la vecchia le sarebbe morta tra le braccia, nel bel mezzo di quello sporco vicolo. Ma dopo un attimo e dopo svariati respiri lunghi e sibilanti, la tosse si placò e la litania riprese daccapo.

Nel chiedersi se quella donna indigente fosse completamente pazza, la giovane la osservava bofonchiare, tossire, sputare, borbottare, tossire di nuovo fino a scollarsi la pleura, sospirare per poi assopirsi. Nel frattempo le erano venute in mente un sacco di domande, e approfittò di un momento di silenzio per chiedere:

«Chi sei?»

La voce squarciò dolcemente il velo di torpore che aveva cominciato ad avvolgere lo spirito della vecchia, desiderosa di lasciarsi andare: il limbo del sonno già la chiamava e le si stavano sfilacciando i pensieri. Ma la voce insistette, ripeté la domanda, con un’inflessione seducente a dispetto della giovane età, come se nella ragazza sonnecchiasse una grande forza di persuasione. Poi due mani cominciarono a scuotere senza riguardi la vecchia per strapparla alle braccia di Morfeo e lei aprì gli occhi a malincuore, le palpebre pesanti, affrontando lo sguardo penetrante che la fissava. Le iridi della ragazza erano così chiare che la donna non sapeva se fossero azzurre o verdi, tanto sembravano trasparenti.

«Chi sei?» ripeté la giovane, scandendo con insistenza ogni parola.

La vecchia sospirò:

«Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere se mi nascondi in un posto tranquillo e, se possibile, più pulito di questo polveroso vicolo cieco. Ma dovrai darmi una mano a muovermi, ragazzina, sono tutta ammaccata»

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«Oh, poverina…»

Dopo essersi fatta passare il braccio della donna attorno alle spalle, la giovinetta si portò quel carico per le strade ombreggiate e tortuose della città vecchia. A quei tempi, nessuno prestava molta attenzione a due pezzenti stremate, forse ubriache, che si trascinavano in quel labirinto maleodorante. Delle persone che incrociarono, le due donne videro soltanto i cappelli, come se quella gente volesse evitare a tutti i costi di posare gli occhi sugli edifici grigiastri, sui negozi abbandonati o sul brulicare dei passanti. Dovevano anche stare attente a dove mettevano i piedi, se volevano evitare le pozzanghere dal fetore acido e le immondizie sparse sui marciapiedi. Alla fine arrivarono senza intoppi sul pendio di una delle colline che circondavano Marsiglia, nel quartiere del Panier, e si fermarono perché la vecchia malandata potesse riprendere fiato prima di salire verso quella che la più giovane chiamava “la Fontana Alta”.

Per una strana disposizione architettonica, una scala dai gradini logori e storti – troppo stretta per percorrerla affiancate, e così lunga che durante la salita la vecchia dovette fermarsi due volte per respirare e tossire – era chiusa in una morsa tra due edifici scalcinati. Dopo un angolo retto che ne nascondeva la vista, conduceva a una piazzetta rallegrata da una piccola fontana abbastanza grottesca e delimitata dalle facciate cieche di tre edifici. La scala sembrava riservata agli appartamenti, e alla fine i suoi innumerevoli gradini non portavano da nessuna parte, per cui ben pochi si arrischiavano ad avventurarsi fin lì per uno spettacolo così scadente.

Infatti, se in passato la fontana era stata bella, adesso era tutta malconcia e coperta di muschio. Sul piedistallo, intem­

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perie e atti vandalici avevano eroso le parole un tempo scolpite nella pietra, ormai illeggibili. In cima, un Cupido dal volto spaccato teneva tra le dita un’anfora anch’essa rotta, da cui sgorgava un minuscolo getto d’acqua limpida. La vasca che la raccoglieva era quasi vuota, verdastra e striata di crepe.

Alla ragazza era capitato qualche volta di trovarci appartata una coppia di innamorati alla ricerca di un posto dove sbaciucchiarsi al riparo dai ficcanaso, un cane randagio che lappava l’acqua gelida oppure qualche bambino che giocava, ma ben pochi conoscevano quell’angolino. E lei lo proteggeva con tenacia da altri mendicanti che avrebbero potuto venire a rubarle il suo rifugio. Ne aveva già sorpresi alcuni che la seguivano la sera, quando tornava dalla sua questua, e li aveva seminati dopo lunghi giri. Non aveva intenzione di condividere quel posto, non ora che aveva finalmente trovato un luogo in cui si sentiva al sicuro.

Le sembrava di ricordare che, molto tempo prima, era stata aiutata e protetta da persone dai volti adesso sfocati, quando era soltanto una bambina abbandonata. Ma le aveva perse tutte – morte, arrestate, partite – e dimenticate tutte… Nessuno più si preoccupava della sua sorte. Poteva contare solo su se stessa.

Ripensando a quel lontano passato, aiutò la vecchia a sdraiarsi per terra, dall’altra parte della fontana, in modo che se anche qualcuno fosse venuto a curiosare nei paraggi, avrebbe dovuto fare il giro della vasca per vederla.

«Ah» borbottò la vecchia per il dolore «mi vuoi davvero morta, ragazzina. Ma devo ammettere che sei piena di risorse e che qui hai trovato uno degli scrigni segreti della città»

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Se le ascolti con l’anima, le carte risponderanno a tutte le tue domande.

Se le guardi con il cuore, ti mostreranno il tuo Destino.

Dono o maledizione?

Marsiglia, 1850

Pytha, una giovane mendicante, sa di poter contare solo su se stessa. Un giorno, entra in possesso di un insolito mazzo di carte che risveglia in lei poteri misteriosi e un’energica consapevolezza: quelle carte sono sue e deve proteggerle a tutti i costi. Quando le tocca, si ritrova di colpo in un mondo di nebbia; quando prova a leggerle, figure d’ombra sembrano guidarla nel futuro e fin dentro i segreti del suo passato.

Ma il viaggio non sarà semplice: la magia delle carte attira l’avidità di molti, e il Caso, con i suoi tranelli, rischia di stravolgere il Destino.

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