CARLO E DORIAN SONO CRESCIUTI INSIEME, CONDIVIDENDO TUTTO TRA I BANCHI DI SCUOL A E I L G R U P P O S C O U T D I D O N C H I L O M E T R O.
Ora però è arrivato il momento della separazione: alle medie andranno in due istituti molto diversi e anche parecchio rivali. I nuovi incontri e le pressioni dei genitori mettono a dura prova la loro amicizia, finché si ritrovano avversari sul campo di calcio in un’emozionante partita tra le loro classi. E la posta in gioco è molto più che un semplice trofeo… «Fosse per me farei giocare soprattutto i peggiori, perché alla vostra età far parte di una squadra è più importante che vincere. Ma visto che dobbiamo portare a casa ’sta coppa, cerchiamo di trovare una via di mezzo... Dai, vediamo cosa sapete fare! Questo che ho in mano si chiama pallone: qualcuno di voi lo ha mai visto prima d’oggi?» MARINO BARTOLET TI è uno dei più celebri e amati giornalisti italiani. Ha condotto e spesso ideato trasmissioni televisive storiche come Il processo del lunedì, La Domenica Sportiva, Pressing, Quelli che il calcio. È stato direttore del “Guerin Sportivo” e commentatore di tante edizioni del Giro d’Italia, della Champions League, dei Campionati europei e mondiali di calcio e dei Giochi olimpici.
Consigliato dai ai anni
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UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
La squadra dei sogni
Marino Bartoletti La squadra dei sogni. Il cuore sul prato disegni di Giuseppe Ferrario ISBN 978-88-9348-692-7 Prima edizione maggio 2019 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2023 2022 2021 2020 2019 © 2019 Carlo Gallucci editore srl - Roma In copertina Illustrazione: © Giuseppe Ferrario Art director: Francesca Leoneschi Graphic designer: Pietro Piscitelli / theWorldof DOT
g a l l u c c i e d i t o r e. c o m Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su ic.fsc.org e it.fsc.org Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
disegni di Giuseppe Ferrario
A Lorenzo
Carlo e Dorian
Le vacanze erano quasi finite. Ma erano state vacanze diverse dalle altre. «Mi dispiace, Dorian, che ci abbiano separati. Avevamo fatto tutte le elementari insieme. A che scuola ti hanno iscritto?» «Alla Giorgina Sassi: prima A» «Giorgina Sassi? Perché si chiama così?» «Boh, forse perché è in via Giorgina Sassi. E tu, Carlo, dove sei finito?» «Alla Mellone. Prima A, anch’io» «E si chiama così perché è in via Mellone?» «Non lo so. Però mi hanno detto che questo Mellone faceva il pittore. Come il tuo papà» «Ma no, il mio papà fa il pittore nel senso di imbianchino. Ma adesso… lo sai…» «È ancora in…?» «Sì, è in carcere, ma mi ha giurato che non ha fatto niente. E io gli credo». Dorian Mitrescu e Carlo Gori si conoscevano dal giorno in cui erano nati. Stesso ospedale, stesso 7
reparto, stessa nursery, mamme nella stessa stanza. Una volta, per scherzare, Marta e Floarea se li erano addirittura scambiati per la poppata. Per fortuna non c’era possibilità di errore: Dorian, per quel che si capiva dai primi tre capelli, era biondissimo; Carlo, nero come un carboncino. «Se ci becca Marco!» aveva commentato Marta sorridendo verso la mite compagna d’avventura. Marco era suo marito e non passava, diciamo così, per un campione di ospitalità e di tolleranza: gli stranieri immigrati, in generale, non gli stavano simpatici. Sergiu, il padre di Dorian, non era esattamente un tipo raffinato; per la sua origine, doveva però combattere anche contro troppe, ingiuste prevenzioni nei suoi confronti. Si guadagnava da vivere come poteva, ma col pennello (da imbianchino) in mano era un artista: in due giorni era in grado di ridipingere un intero appartamento. Solo che un po’ di tempo prima, un’abitazione in centro, secondo i Carabinieri non l’aveva solo ripitturata, ma pure svuotata. Benché lui continuasse a gridare disperatamente e inutilmente la propria innocenza.
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Don Chilometro
Nella piccola cittĂ parecchie cose erano cambiate: tanti sapori, tanti colori. Ma molte erano anche rimaste uguali: si parlava ancora in dialetto ed era buffo vedere nella piazza principale i venditori dalla pelle scura che attiravano le frequentatrici del mercato con modi di dire locali, inevitabile premessa a una risata e soprattutto a un acquisto. Dorian e Carlo erano cresciuti in quella piazza; o meglio, nel gruppo scout della basilica di San Rivaldo, dove era parroco don Francesco Rocci. Anche a lui spiaceva veder separare nella vita scolastica quei due ragazzi legati come fratelli: ÂŤTanto vi incontrerete comunque tutti i giorni e sarete piĂš amici di primaÂť. Ma si accorgeva di essere poco convincente, persino con se stesso. Don Francesco era un prete strano: amava la montagna e, quando poteva, gli piaceva andarci a camminare e isolarsi. Con gli scarponi usurati, addirittura con le vecchie giacche a vento consumate. Persino il vescovo lo aveva richiamato per invitarlo 9
a “vestire un po’ meglio”. «Io sono prete dentro» amava dire. «Non fermatevi a guardare cosa mi butto addosso. Forse anche Gesù oggi preferirebbe stare in jeans». Si diceva che avesse girato il mondo; e senz’altro era vero, perché papa Giovanni Paolo II, quando giunse in città ormai vecchio, lo aveva voluto vicino a sé sul grande altare dove aveva celebrato la messa. Nessuno sapeva della loro amicizia, dato che don Francesco non ne aveva mai parlato, ma quella confidenza con un pontefice così importante aveva fatto cadere anche le ultime barriere di diffidenza su quelle che molti parrocchiani ritenevano stravaganze non sempre comprensibili, seppur innocenti. Lo chiamavano “don Chilometro”, per i suoi due metri di ex, promettente, giocatore di pallacanestro. Inutile dire quanto fosse amato: il suo spirito un po’ ribelle passava in secondo piano davanti alla sua generosità nei confronti di tutti e alla serietà con cui interpretava la sua missione. I ragazzi sapevano che lui sarebbe stato sempre una presenza insostituibile; e questo confortava anche i genitori. Nessuno di loro però poteva immaginare che l’anno scolastico sarebbe stato caratterizzato da un 10
evento incredibile che non si sarebbe svolto all’interno di un istituto, ma nientemeno che su un campo di calcio.
I baffoni del preside
Il preside della Sassi era un uomo coi baffoni bianchi, vicino alla pensione, ma ancora aperto alle curiosità del mondo. Lui, che la scuola l’aveva frequentata quando ancora c’erano i calamai con l’inchiostro e le grandi stufe alimentate a legna, era stato il primo in città a trovare i fondi per munire il suo istituto di laboratori – scientifici, linguistici e informatici – dove si potesse apprendere non solo studiando sui libri. Borghesi, Mario Borghesi – così si chiamava – era un “innovatore coi baffi”, e non solo per il suo aspetto. La sua non era una scuola, ma una famiglia allargata, o meglio, un’allegra tribù; dove si andava al di là dei ruoli e dei programmi per far spazio ai percorsi di apprendimento più disparati. In teoria non avrebbe neanche avuto bisogno di fare gli open days: i suoi ex alunni, padri e madri, avrebbero portato lì i loro figli anche se la scuola fosse stata chiusa. Sapeva come incantare i ragazzi, ma soprattutto sapeva come incantare i professori. 12
La vera “nuova Italia”, secondo lui, si faceva alle medie, «perché prima i ragazzi sono troppo piccoli e dopo… si innamorano e non ti ascoltano più. È dagli undici ai quattordici anni che si possono veramente coltivare le attitudini e l’intelligenza. Se vogliono cantare, cantino; se vogliono suonare, suonino; se vogliono cucinare, cucinino; se vogliono giocare a Fortnite e imparare come si balla la floss dance, la ballino; se vogliono fare sport, lo facciano. Se vogliono anche studiare, meglio! Non ho mai visto una poesia di Pascoli o Carducci cambiare la vita di un ragazzino. Una gita scolastica, sì! E forse anche una canzone di Tiziano Ferro o di Jovanotti. E persino una partita seguita o giocata assieme: non importa se come protagonisti sul campo o come sostenitori. Purché come fratelli!» «Quel preside ha visto troppe volte L’attimo fuggente!» aveva sentenziato Marco Gori quando aveva saputo che la moglie avrebbe voluto iscrivere Carlo alla Sassi. «Ma sì, quel film con un professore strano che fa salire gli studenti sui banchi!» E aveva concluso: «Noi scegliamo la Mellone. Non è più distante e soprattutto lì i ragazzi li fanno studiare, non li portano al cinema spacciando Zootropolis per una lezione di educazione civica. Il con13
cetto di fratellanza è una bella cosa, ma va coltivato e trasmesso con prudenza e serietà». Marta voleva bene a Marco, che aveva conosciuto sui banchi del liceo. Ma negli ultimi tempi lui era un po’ cambiato: sembrava distratto dalla politica, a cui si era molto appassionato, e dalle sue ambizioni. Con Carlo – che pure adorava – a volte era un po’ meno dolce che in passato. E anche Carlo a volte sembrava aver paura di prenderlo per mano, quasi temesse che il suo papà non gliela stringesse forte come aveva sempre fatto. «E poi, Marta, se vuoi saperla tutta, sono anche contento che nostro figlio non frequenti più certi amici con cui in futuro avrà sempre meno da spartire. Che ne sappiamo come saranno gli “altri” quando cresceranno? Conoscerà ragazzi nuovi, frequenterà nuovi ambienti. Chi ha avuto brutti esempi in casa potrebbe anche crescere con la stessa indole!» Marta aveva abbassato il capo, paziente e delusa. Le sembrava così triste vedere Carlo allontanarsi dall’amico del cuore, di cui, evidentemente, Marco stava parlando.
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Furio il prepotente
Con l’avvicinarsi del primo giorno di scuola, Carlo e Dorian non sapevano se frequentarsi ancora di più per attenuare la tristezza di perdersi o se cominciare a vedersi un po’ meno per abituarsi a stare lontani. Venivano da anni di mattinate sullo stesso banco, di compiti fatti assieme, di campi estivi che li avevano uniti, nei divertimenti come nelle prime piccole sofferenze. Un giorno, nel campetto di calcio della parrocchia, Carlo venne spinto a terra e quasi picchiato da un ragazzo, Furio, che aveva attaccato briga con la scusa di un piccolo furto che – secondo lui – aveva subito nel suo armadietto. «Dove hai preso quelle card dei calciatori? Sono proprio quelle che mi mancano!» Carlo non c’entrava nulla e gli spiegò che di figurine ne aveva tantissime e che poteva essere solo una coincidenza. Ma Furio, violento e poco riflessivo, non volle sentire ragione e lo aggredì con una rabbia insolita per un undicenne. Dorian, che ave15
va assistito alla scena, in un primo tempo cercò di fare da paciere, poi, vista la prepotenza di quel ragazzo, si fece forza dei suoi acerbi, ma già solidi muscoli irrobustiti in palestra, frapponendosi fra lui e l’amico spaventato. E, visto che non bastava, gli strinse i polsi talmente forte da immobilizzarlo. La piccola rissa stava per finire male quando accorse don Rocci che fece valere la sua stazza e separò i contendenti, mentre Furio, minaccioso, avrebbe voluto proseguire. «Ma come puoi accusare un tuo amico di una cosa così grave, senza avere uno straccio di prova?» gli disse don Francesco cercando di far ricorso a tutta la sua pazienza. «Sei sicuro di aver controllato bene se quelle card non le hai messe da qualche parte senza ricordartene?» Furio fece un gesto di insofferenza, poi controvoglia rovistò nello zaino con più attenzione e si accorse che le figurine incriminate erano nella tasca interna. Ma non volle dare la soddisfazione né a don Rocci né ai due “rivali”. Un po’ vigliaccamente finse di non aver trovato nulla per non avere la seccatura di chiedere scusa e si rivolse a Dorian con aria di sfida: «Prima o poi me la pagherai. Così imparerai a farti gli affari tuoi!» Purtroppo era fatto così. 16
«Grazie, Dorian» disse Carlo all’amico mettendogli una mano sulla spalla. «Ma grazie di cosa? Ho fatto quello che anche tu avresti fatto e farai sempre per me». E batterono il cinque.
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Lito Terrazzi (Firenze) nel mese di maggio 2019
CARLO E DORIAN SONO CRESCIUTI INSIEME, CONDIVIDENDO TUTTO TRA I BANCHI DI SCUOL A E I L G R U P P O S C O U T D I D O N C H I L O M E T R O.
Ora però è arrivato il momento della separazione: alle medie andranno in due istituti molto diversi e anche parecchio rivali. I nuovi incontri e le pressioni dei genitori mettono a dura prova la loro amicizia, finché si ritrovano avversari sul campo di calcio in un’emozionante partita tra le loro classi. E la posta in gioco è molto più che un semplice trofeo… «Fosse per me farei giocare soprattutto i peggiori, perché alla vostra età far parte di una squadra è più importante che vincere. Ma visto che dobbiamo portare a casa ’sta coppa, cerchiamo di trovare una via di mezzo... Dai, vediamo cosa sapete fare! Questo che ho in mano si chiama pallone: qualcuno di voi lo ha mai visto prima d’oggi?» MARINO BARTOLET TI è uno dei più celebri e amati giornalisti italiani. Ha condotto e spesso ideato trasmissioni televisive storiche come Il processo del lunedì, La Domenica Sportiva, Pressing, Quelli che il calcio. È stato direttore del “Guerin Sportivo” e commentatore di tante edizioni del Giro d’Italia, della Champions League, dei Campionati europei e mondiali di calcio e dei Giochi olimpici.
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