Nota introduttiva
Sir Simon Canterville ha 300 anni e vive tranquillo in una antica magione della campagna inglese: le sue terrificanti apparizioni hanno sempre colpito nel segno spaventando a morte le sue vittime, e lui ne è molto orgoglioso.
Ma un brutto giorno Mr. Hiram B. Otis, ambasciatore degli Stati Uniti d’America, acquista Canterville Chase e da allora tutto cambia.
Deriso da tutti, lo spettro si aggira sconsolato per la villa, non riuscendo a portare a termine una sola impresa.
Solo alla fine riuscirà a trovare l’agognata pace, grazie all’aiuto di Virginia, l’impavida figlia quindicenne dell’ambasciatore.
Hai senso dell’umorismo? Sei un amante del mistero? Questo libro è per te.
Capitolo I
Quando il signor Hiram B. Otis, ambasciatore americano nel Regno Unito, comprò Canterville Chase, tutti gli dissero che stava compiendo una vera sciocchezza, dato che non v’era dubbio che il luogo fosse infestato dagli spettri. Lord Canterville stesso, uomo estremamente corretto e preciso, si era sentito in dovere di informare del fatto in questione il signor Otis, quando quest’ultimo si era presentato per discutere le condizioni d’acquisto.
«Noi stessi abbiamo accantonato ogni intenzione di abitare quella casa – disse Lord Canterville – da quando la mia prozia, la vedova del duca di Bolton, ebbe un attacco di nervi dal quale non si riprese più a causa di due mani scheletriche che le si posarono sulle spalle mentre si stava vestendo per il pranzo. Vorrei precisarle, mister Otis, che il fantasma è stato visto da diversi membri ancora viventi del nostro casato, persino dal reverendo Augustus Dampier, docente al King’s College di Cambridge. Dopo il grave inconveniente capitato alla duchessa, nessuno dei giovani domestici volle rimanere con noi, e persino Lady Canterville non riuscì più a dormire molto, la notte, a causa dei misteriosi rumori che provenivano dal corridoio e dalla biblioteca».
«Caro signore – rispose l’ambasciatore – vorrà dire che comprerò i mobili e il fantasma. Vengo da un paese moderno, dove con il denaro si ottiene tutto ciò che si vuole; con tutti i nostri giovani pronti a dare una scossa al Vecchio Mondo e a soppiantare i vostri attori migliori e le vostre primedonne, io credo che se in Europa esistesse un fantasma, ce lo saremmo portato a casa da un bel pezzo e l’avremmo esposto in uno dei nostri musei o gli avremmo fatto dare spettacolo per le strade».
«Temo che il fantasma esista davvero – disse Lord Canterville sorridendo – benché abbia probabilmente resistito alle proposte dei vostri intraprendenti impresari. È ben conosciuto da tre secoli, dal 1584 in verità, e fa sempre la sua apparizione prima della morte di un membro della nostra famiglia».
«Se è solo per questo, si comporta così anche il medico di famiglia. Ma i fantasmi non esistono: purtroppo suppongo che le leggi naturali non saranno sospese per riguardo all’aristocrazia britannica».
«Voi americani siete molto pratici – rispose Lord Canterville, che non era riuscito a comprendere sufficientemente l’ultima osservazione del signor Otis – e se a lei non dispiace avere in casa un fantasma, va tutto bene. Si ricordi però che l’ho avvisata».
Qualche settimana dopo, la vendita venne conclusa e, al termine della stagione, l’ambasciatore e la sua famiglia si trasferirono a Canterville Chase.
La signora Otis, da ragazza – con il nome di signorina Lucretia R. Tappan, della 53esima strada – era stata una celebre bellezza di New York e adesso era un’avvenente signora di mezz’età, dagli occhi stupendi e dal profilo superbo. Molte signore americane, nel lasciare il paese natale, adottano un atteggiamento da malate croniche, convinte che sia una forma di raffinatezza europea, ma la signora Otis non era caduta in quest’errore. Aveva una magnifica costituzione fisica e possedeva una vitalità straordinaria. In verità, per molti aspetti, era proprio un’inglese, ed era un’eccellente dimostrazione del fatto che noi britannici, al giorno d’oggi, abbiamo realmente tutto in comune con l’America. Tutto tranne la lingua, naturalmente.
Il figlio più vecchio, battezzato Washington dai suoi genitori in un momento di patriottismo che egli non cessò mai di deplorare, era un bel giovane biondo che aveva fatto carriera nella diplomazia americana dirigendo le danze al casinò di Newport per tre anni di seguito; egli era conosciuto anche a Londra come un eccellente ballerino. Le gardenie e i titoli nobiliari erano le sue uniche debolezze. Per il resto era estremamente saggio.
La signorina Virginia E. Otis era una ragazzina di quindici anni, esile e tenera come una cerbiatta, e con una bellissima espressione di libertà nei grandi occhi blu. Era una meravigliosa amazzone e una volta, sul suo pony, aveva sfidato il vecchio Lord Bilton a percorrere due volte il perimetro del parco, vincendo di una lunghezza e mezzo pro-
prio davanti alla statua di Achille, con immensa gioia del giovane duca di Cheshire, che seduta stante le aveva chiesto di sposarlo e quella sera stessa era stato rispedito dai suoi tutori a Eton, in un mare di lacrime.
Dopo Virginia c’erano i gemelli, spesso chiamati “stelle e strisce” per via dei segni della frusta che spiccavano sulla loro pelle. Erano ragazzi simpatici e, con l’onorevole ambasciatore, i soli autentici repubblicani della famiglia.
Siccome Canterville Chase si trova a sette miglia da Ascot, la stazione ferroviaria più vicina, il signor Otis aveva telefonato perché li prelevasse un’auto familiare, sulla quale tutti quanti salirono allegramente. Era una dolce serata di luglio, e l’aria era resa fragrante dal profumo dei pini. Di quando in quando si sentiva un colombo selvatico compiacersi del suo grazioso tubare e s’intravedeva, nel folto delle felci fruscianti, il petto bruno del fagiano. Piccoli scoiattoli li spiavano curiosi dall’alto dei faggi e i conigli saltellavano nel sottobosco e sui poggi boscosi, con la loro coda bianca sollevata in aria.
Appena gli Otis entrarono nel viale di Canterville Chase, comunque, il cielo divenne improvvisamente nuvoloso, una curiosa immobilità trattenne l’atmosfera, un grosso stormo di corvi passò silenziosamente sulle loro teste e, prima che essi raggiungessero la casa, grandi gocce di pioggia presero a cadere. In piedi, sulle scale, c’era una vecchia donna a riceverli, con un dignitoso abito di seta nero e una cuffia e un grembiule bianchi.
Era la signora Umney, la governante, che la signora Otis aveva acconsentito a mantenere nel suo ruolo in seguito alle richieste insistenti di Lady Canterville. Costei si produsse in un profondo inchino, mentre scendevano, e li accolse gentilmente con l’antica formula: «Vi do il benvenuto a Canterville Chase».
Seguendola, passarono attraverso lo splendido atrio d’ingresso in stile Tudor fino alla biblioteca, una lunga, bassa stanza rivestita in quercia nera, all’estremità della quale si trovava una grande vetrata policroma. Qui trovarono il tè già pronto per loro e, dopo essersi tolti il mantello, sedettero e cominciarono a guardarsi intorno, mentre la signora Umney li serviva.
Improvvisamente lo sguardo della signora Otis cadde su una macchia rosso opaco sul pavimento, proprio accanto al caminetto e, non capendo di cosa si trattasse, disse alla signora Umney: «Credo che laggiù sia stato versato qualcosa».
«Sì, signora – replicò la vecchia governante a bassa voce, – vi è stato versato del sangue».
«Che orrore! – gridò la signora Otis – Non voglio vedere macchie di sangue in salotto. Deve essere pulita immediatamente».
L’anziana donna sorrise e rispose con la stessa voce bassa: «È il sangue di Lady Eleanore de Canterville, che fu uccisa in quel punto preciso dal marito, sir Simon de Canterville, nel 1575. Sir Simon le sopravvisse nove anni e sparì, improvvisamente, in circostanze alquanto misteriose. Il
suo corpo non fu mai ritrovato, ma il suo spirito peccatore infesta ancora ininterrottamente la tenuta. La macchia di sangue è stata molto ammirata dai turisti e da molti altri, e non può essere cancellata».
«Questa è un’assurdità! – gridò Washington Otis – l’impareggiabile “Super-smacchiatore e Detergente Pinkerton” la farà sparire in pochissimo tempo» e, prima che la governante terrorizzata potesse interferire, il giovane s’era piegato sulle ginocchia e aveva preso a strofinare rapidamente il pavimento con un bastoncino che ricordava un cosmetico nero.
Di lì a poco non si vedeva più alcuna traccia di sangue.
«Sapevo che Pinkerton ce l’avrebbe fatta» esclamò trionfante, mentre volgeva con soddisfazione lo sguardo d’intorno; ma non ebbe il tempo di pronunciare queste parole che un terribile lampo illuminò la stanza scura, il rumore del tuono li fece balzare tutti in piedi e la signora Umney cadde a terra svenuta.
«Che clima mostruoso – disse con calma l’ambasciatore americano, accendendosi un lungo sigaro – credo che il vecchio paese sia talmente sovrappopolato da non aver abbastanza tempo decente per tutti. Io sono sempre stato dell’opinione che l’emigrazione sia la sola possibilità per l’Inghilterra».
«Mio caro Hiram – esclamò la signora Otis, – che possiamo fare con una donna che sviene?».
«La puniamo come chi rompe le stoviglie – rispose l’ambasciatore, – così non sverrà più».
Un attimo dopo la signora Umney rinvenne. Non c’era dubbio, comunque, che la vecchia fosse rimasta sconvolta e, con tono austero, avvertì il signor Otis di guardarsi da una sventura che sarebbe certamente accaduta in quella casa.
«Ho visto tante cose strane con questi miei occhi, signore – lo avvertì la donna – cose tali da far drizzare i capelli a qualsiasi cristiano, e ho trascorso molte e molte notti senza poter chiudere occhio per i fatti tremendi che avvengono in questa casa».
Il signor Otis e sua moglie cercarono di tranquillizzare quell’anima buona, assicurandole che essi non temevano i fantasmi, ma la vecchia, dopo aver invocato la benedizione della Provvidenza sui nuovi padroni e aver contrattato un adeguamento del salario, si rifugiò in camera sua.