In famiglia 1. Il lungo viaggio di Perrine

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UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Hector Malot

In famiglia. Il lungo viaggio di Perrine

traduzione dal francese di Marina Karam

dello stesso autore:

Remì. Senza famiglia

Remì a Londra

ISBN 978-88-3624-921-3

Prima edizione marzo 2023

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2027 2026 2025 2024 2023

© 2023 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Titolo originale: En famille

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Hector Malot In famiglia

Il lungo viaggio di Perrine VOLUME 1

traduzione dal francese di Marina Karam

Come spesso capita il sabato verso le tre, gli accessi alla porta di Bercy erano affollati e sul lungofiume, disposti in quattro file, i veicoli si accalcavano uno dietro l’altro: barrocci carichi di barili, vagoni di carbone o di materiali, carretti di fieno o di paglia; tutti quanti in attesa del controllo doganale sotto un limpido e caldo sole di giugno, impazienti di entrare a Parigi alla vigilia della domenica.

Tra quei veicoli, e abbastanza lontano dalla barriera, ce n’era uno dall’aspetto bizzarro con un che di miseramente comico, una sorta di carrozzone da giostraio, ancora più semplice, formato da una leggera struttura coperta da una spessa tela, con il tetto di cartone bitumato, il tutto poggiato su quattro ruote basse.

In passato la tela doveva essere stata blu, ma era così stinta, sporca e consumata che si potevano fare solo delle ipotesi, così come bisognava accontentarsi di approssimazioni se si volevano decifrare le scritte sbiadite che ne ricoprivano i quattro lati. Una, in caratteri greci, lasciava ormai intravedere soltanto l’inizio di una parola: photog; quella sotto sembrava essere in tedesco: graphie; un’altra in italiano: FIA; infine la più recente in francese: PHOTOGRAPHIE, che era evidentemente la traduzione di tutte le altre, indicando così, come una cartina stradale, i vari Paesi attraverso i quali il povero

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In famiglia. Il lungo viaggio di Perrine

trabiccolo aveva girovagato prima di entrare in Francia e finalmente arrivare alle porte di Parigi.

Possibile che l’asino che lo trainava l’avesse portato fin lì da tanto lontano?

A prima vista poteva sorgere il dubbio, tanto quell’asino era magro, esausto e sfinito. Ma a un esame più attento si notava che quella spossatezza era soltanto il risultato di fatiche a lungo sopportate nella miseria. In realtà era un animale robusto, piuttosto alto, più del nostro asino europeo, slanciato, dal pelo grigio cenere e con il ventre chiaro, anche se sporco a causa della polvere delle strade. Strisce nere trasversali segnavano le sue sottili zampe dagli zoccoli rigati e, per quanto fosse stanco, teneva la testa alta con aria volitiva, determinata e maliziosa. La sua bardatura era degna del carrozzone, rattoppata con cordicelle di vari colori, alcune grandi e altre piccole, trovate per caso, ma che sparivano sotto le canne e i rami fioriti tagliati lungo il sentiero che lo riparavano dal sole e dalle mosche.

Accanto a lui, seduta sul bordo del marciapiede, una ragazzina di undici o dodici anni lo osservava.

Aveva tratti particolari: un po’ insoliti ma per niente duri, in un evidente miscuglio di etnie. Nonostante il contrasto tra capelli chiari e carnagione ambrata, il volto lasciava trasparire una fine dolcezza accentuata dagli occhi neri, allungati, astuti e seri. Anche la bocca era seria. Il corpo, nell’abbandono del riposo, aveva la stessa grazia del viso, delicato e nervoso allo stesso tempo. Le spalle erano flessuose, con una linea minuta e sfuggente sotto una misera giacca squadrata di colore indefinibile, che forse un tempo era stata nera. Le gambe energiche e sode, in una misera gonna ampia e sbrindellata. Tuttavia, la povertà dell’esistenza nulla toglieva alla fierezza dell’atteggiamento di colei che la indossava.

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Poiché l’asino si trovava dietro un’alta e larga balla di fieno, sarebbe stato facile tenerlo d’occhio se non si fosse divertito di tanto in tanto a strappare un ciuffo di quell’erba secca, che tirava con discrezione e cautela, da animale intelligente che sa benissimo di essere in difetto.

«Palikare, la pianti?»

E subito lui abbassava la testa come un reo confesso, ma una volta mangiato il fieno, ammiccando e agitando le orecchie, ricominciava con una foga che esprimeva tutta la sua fame.

A un certo punto, dopo che la ragazzina aveva rimproverato l’animale per la quarta o quinta volta, dalla roulotte arrivò una voce che chiamava:

«Perrine!»

Lei si alzò all’istante, per poi sollevare una tenda ed entrare nella roulotte, dove una donna giaceva su un materasso così sottile da sembrare incollato al pavimento.

«Hai bisogno di me, mamma?»

«Cosa sta facendo Palikare?»

«Sta mangiando il fieno del carro davanti a noi»

«Dobbiamo farlo smettere»

«Ma ha fame»

«La fame non ci dà il diritto di prendere ciò che non ci appartiene. Cosa risponderesti al conducente di quel carro, se si arrabbiasse?»

«Lo terrò più vicino»

«Non stiamo per entrare a Parigi?»

«Dobbiamo aspettare per la dogana»

«Ancora per molto?»

«Ti senti peggio?»

«Non preoccuparti, l’aria di chiuso mi dà un senso di soffocamento, ma non è niente» disse la donna con voce affannosa, più ansimante che scandita.

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Capitolo 1

In famiglia. Il lungo viaggio di Perrine

Erano le parole di una madre che vuole rassicurare la figlia; in realtà, era in uno stato pietoso, senza fiato, senza forze, senza più vita e, pur non superando i ventisei o ventisette anni, si trovava all’ultimo stadio della cachessia. Nonostante tutto, erano evidenti i resti di un’ammirevole bellezza: il volto di un ovale perfetto, con occhi dolci e profondi come quelli della figlia ma inaspriti dall’afflato della malattia.

«Vuoi che ti prenda qualcosa?» chiese Perrine.

«E cosa?»

«Ci sono delle botteghe, posso comprarti un limone. Torno subito»

«No. Conserviamoli, i soldi, ne abbiamo così pochi! Torna da Palikare e vedi che non rubi il fieno»

«Non è facile»

«Almeno stacci attenta».

Perrine tornò dall’asino e, quando cominciarono a muoversi, lo trattenne in modo da farlo rimanere lontano dal carro con il fieno, quanto bastava perché non ci potesse arrivare.

All’inizio l’asino si ribellò e cercò di andare avanti lo stesso, ma lei gli parlò dolcemente, lo accarezzò, lo baciò sul naso; allora lui abbassò le lunghe orecchie con evidente soddisfazione e rimase tranquillo.

Non dovendo più preoccuparsi dell’animale, Perrine poté divertirsi a osservare ciò che le accadeva intorno: il viavai dei battelli e dei rimorchiatori sul fiume; lo scarico delle chiatte per mezzo di gru girevoli che estendevano i lunghi bracci di ferro sopra di esse e prendevano, come con una mano, il carico per rovesciarlo nei vagoni se si trattava di pietre, sabbia o carbone, o per allinearlo lungo la banchina quando si trattava di barili; il movimento dei treni sul ponte della circonvallazione ferroviaria, le cui arcate impedivano la vista di Parigi che si poteva scorgere in una coltre di nebbia nera; infine,

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vicino a lei, sotto i suoi occhi, il lavoro dei funzionari della dogana, che infilzavano con lunghe lance le balle di paglia nei carretti o si arrampicavano sui barili caricati sui barrocci, li bucavano con un foratoio e raccoglievano in una piccola tazza d’argento il vino che ne fuoriusciva, assaggiandone qualche goccia e sputandolo subito.

Era tutto curioso e nuovo, e Perrine era così interessata che il tempo passava senza che se ne rendesse conto.

Un ragazzino di circa dodici anni con l’aria da clown, che di certo apparteneva a una carovana di giostrai le cui carrozze erano in coda, le stava girando attorno da dieci minuti buoni, senza che lei lo notasse, e infine si decise a rivolgerle la parola:

«Che bell’asino!»

Lei non rispose.

«È un asino del nostro paese? Mi stupirebbe un bel po’».

Perrine lo aveva guardato e, visto che in fondo sembrava un bravo ragazzo, gli rispose:

«Viene dalla Grecia»

«Dalla Grecia!»

«Per questo si chiama Palikare»

«Ah, ecco perché!»

Ma nonostante quel sorriso da saputello, lui non era affatto sicuro di aver capito perché mai un asino proveniente dalla Grecia potesse chiamarsi Palikare.

«È lontana, la Grecia?» chiese.

«Molto lontana»

«Più lontana della… Cina?»

«No, ma molto, molto lontana»

«Quindi venite dalla Grecia?»

«Da più lontano ancora»

«Dalla Cina?»

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Capitolo 1

In famiglia. Il lungo viaggio di Perrine

«No, è Palikare che viene dalla Grecia»

«Andate alla festa agli Invalides?»

«No»

«E dove, allora?»

«A Parigi»

«Dove parcheggerete la vostra roulotte?»

«Ad Auxerre ci hanno detto che c’erano posti liberi sui viali lungo le mura».

Il ragazzino si diede due forti pacche sulle cosce abbassando la testa.

«I viali lungo le mura, perbacco!»

«Non ci sono posti?»

«Sì»

«E allora?»

«Ma non per voi. Sono pericolose, le mura. Nella vostra roulotte ci sono uomini? Gente ben messa, che non ha paura di una coltellata? Di darne e riceverne, intendo»

«Siamo solo io e mia madre, e mia madre è malata»

«Ci tieni al tuo asino?»

«Certo»

«Be’, domani ti ruberanno l’asino, tanto per cominciare, per non parlare del resto. E non sarà affatto bello. Parola di Trippa»

«Davvero?»

«Perdinci se è vero. Non sei mai stata a Parigi?»

«Mai»

«Si vede. Quindi sono quei babbei di Auxerre che ti hanno detto che si poteva parcheggiare lì? Perché non vai da Grano di sale?»

«Non so chi sia Grano di sale»

«È il proprietario del Campo Guillot, che è recintato da palizzate chiuse di notte. Non avete nulla da temere, tutti sanno che Grano

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di sale non ci mette niente a prendere a fucilate chiunque cerchi di entrare nottetempo»

«Costa parecchio?»

«D’inverno sì, quando tutti tornano a Parigi, ma sono sicuro che al momento non vi farebbe pagare più di quaranta soldi a settimana, e il vostro asino troverebbe di che nutrirsi là nel campo, soprattutto se gli piacciono i cardi»

«Credo proprio di sì!»

«Si sentirà a suo agio, e poi Grano di sale non è cattivo»

«Grano di sale è il suo vero nome?»

«Lo chiamano così perché ha sempre sete. È un ex straccivendolo che ha fatto un sacco di soldi vendendo stracci vecchi, mestiere che ha abbandonato solo quando si è schiacciato un braccio, perché con un braccio solo non è facile frugare nei cassonetti. Allora ha cominciato ad affittare il suo terreno, d’inverno come rimessa per le roulotte, d’estate a chi ne avesse bisogno. Inoltre, ha un’altra attività: vende cuccioli di cane»

«Il Campo Guillot è lontano da qui?»

«No, è a Charonne; ma scommetto che non conosci nemmeno Charonne!»

«Non sono mai stata a Parigi»

«Be’, è laggiù» disse, allungando il braccio davanti a sé in direzione nord. «Dopo la barriera, girate subito a destra e seguite il boulevard lungo le mura per una mezz’oretta; una volta attraversato il cours de Vincennes, che è un ampio viale, girate a sinistra e chiedete: tutti conoscono il Campo Guillot»

«Ti ringrazio. Ne parlerò con la mamma. Anzi, se resti con Palikare per due minuti, vado a parlarle subito»

«Volentieri. Gli chiederò di insegnarmi il greco»

«Per favore, cerca di non fargli prendere il fieno».

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Capitolo 1

In famiglia. Il lungo viaggio di Perrine

Perrine salì sulla roulotte e ripeté alla madre ciò che il giovane clown le aveva appena detto.

«Se le cose stanno così, non c’è da esitare, dobbiamo andare a Charonne. Ma riuscirai a trovare la strada in una città come Parigi?»

«Pare che sia molto facile».

Prima di uscire, Perrine tornò a chinarsi sulla madre:

«Tante carrozze hanno dei teloni con su scritto: “Fabbriche di Maraucourt” e, più in basso: “Vulfran Paindavoine”. La stessa scritta compare anche sui teloni che coprono i fusti di vino disposti sul lungofiume»

«Non c’è nulla di strano»

«Strano è vederli ripetuti così spesso, questi nomi».

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