La casa nella prateria ∅. Nei Grandi Boschi del Wisconsin

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C’era una volta, tanti anni fa, una bambina che viveva nei Grandi Boschi del Wisconsin, in una casettina grigia tutta fatta di tronchi d’albero. Intorno alla casa c’erano gli immensi alberi scuri dei Grandi Boschi, e più in là c’erano altri alberi, e più in là altri alberi ancora. Se camminavi per un giorno intero verso nord, o anche per una settimana, o addirittura per un mese, non trovavi altro che boschi. Nessuna casa. Nessuna strada. Solo alberi. E gli animali selvatici che ci abitavano in mezzo. A est e a ovest della casetta c’erano miglia e miglia di boschi, e qua e là, lungo il margine dei boschi, qualche altra casetta, anche quella fatta di tronchi. Ma erano poche e sparse e la bambina non le aveva mai viste.

Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.

All’inizio di tutto Laura Ingalls ha quattro anni e con i suoi vive ancora in una piccola casa di legno, ai margini dei Grandi Boschi del Wisconsin. C’è sempre tanto da fare per tutti ma la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le allegre note del violino di papà riuniscono la famiglia felice intorno al fuoco.

Mary era più grande di Laura e aveva una bambola di pezza che si chiamava Nettie. Laura aveva solo una pannocchia avvolta in un fazzoletto, ma come bambola andava bene lo stesso. Si chiamava Susan. Non era colpa di Susan, se era solo una pannocchia. A volte Mary imprestava Nettie a Laura, ma solo quando Susan non se ne accorgeva.

“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera

“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa

La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno

“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini”

5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo

“tm” bianco

Francesca De Sanctis, l’Unità

traduzione di

Immagine di copertina: © Lee Avison / Arcangel Images e Brina Blum / unsplash Illustrazioni e lettering: Pemberley Pond Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign

Paola Mazzarelli

“tm” bianco


C’era una volta, tanti anni fa, una bambina che viveva nei Grandi Boschi del Wisconsin, in una casettina grigia tutta fatta di tronchi d’albero. Intorno alla casa c’erano gli immensi alberi scuri dei Grandi Boschi, e più in là c’erano altri alberi, e più in là altri alberi ancora. Se camminavi per un giorno intero verso nord, o anche per una settimana, o addirittura per un mese, non trovavi altro che boschi. Nessuna casa. Nessuna strada. Solo alberi. E gli animali selvatici che ci abitavano in mezzo. A est e a ovest della casetta c’erano miglia e miglia di boschi, e qua e là, lungo il margine dei boschi, qualche altra casetta, anche quella fatta di tronchi. Ma erano poche e sparse e la bambina non le aveva mai viste.

Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.

All’inizio di tutto Laura Ingalls ha quattro anni e con i suoi vive ancora in una piccola casa di legno, ai margini dei Grandi Boschi del Wisconsin. C’è sempre tanto da fare per tutti ma la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le allegre note del violino di papà riuniscono la famiglia felice intorno al fuoco.

Mary era più grande di Laura e aveva una bambola di pezza che si chiamava Nettie. Laura aveva solo una pannocchia avvolta in un fazzoletto, ma come bambola andava bene lo stesso. Si chiamava Susan. Non era colpa di Susan, se era solo una pannocchia. A volte Mary imprestava Nettie a Laura, ma solo quando Susan non se ne accorgeva.

“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera

“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa

La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno

“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini”

5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo

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Francesca De Sanctis, l’Unità

traduzione di

Immagine di copertina: © Lee Avison / Arcangel Images e Brina Blum / unsplash Illustrazioni e lettering: Pemberley Pond Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign

Paola Mazzarelli

“tm” bianco


UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni


Laura Ingalls Wilder Nei Grandi Boschi del Wisconsin traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli ISBN 978-88-3624-110-1 Seconda edizione italiana agosto 2021 ristampa 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2025 2024 2023 2022 2021 © 2018 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale: Little House in the Big Woods Testo © 1932, 1960 Little House Heritage Trust La presente edizione è pubblicata in accordo con HarperCollins Publishers - New York, Usa

Gallucci e il logo

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Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


Laura Ingalls Wilder

Nei Grandi Boschi del Wisconsin La casa nella prateria

traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli



Nei Grandi Boschi del Wisconsin




Nota del traduttore Papà Ingalls suona con il violino canzoni della seconda metà dell’Ottocento, per la maggior parte ancora note oggi. Si tratta per lo più di ballate scozzesi e irlandesi, canzoni western, canti di minatori e di cercatori d’oro, marce militari, filastrocche. A volte modifica leggermente le parole per adattarle al contesto in cui canta. In altri casi, della stessa canzone esistono versioni diverse. Anche nella traduzione si è cercato di adattare le parole al contesto, se necessario staccandosi dall’originale. Se vuoi ascoltarle, le trovi su You-Tube digitando i titoli originali elencati qui di seguito. Pagg. 25-26: Yankee Doodle Pag. 43: Money Musk, The Red Heifer, The Devil’s Dream, Pagg. 43, 49: Arkansas Traveler Pag. 44: Darling Nellie Gray Pag. 54: Rock of Ages Pag. 54: Am I a Soldier of the Cross Pagg. 55-56: Pop! Goes the Weasel Pag. 56: Uncle Ned

Pag. 65: Kitty Wells Pag. 71: Captain Jinks Pag. 78: Buffalo Gals Pag. 79: Irish Washerwoman Pag. 93: Home, Sweet Home Pagg. 101-102: Old Grimes Pag. 123: Oh! Susanna Pag. 124: Auld Lang Syne


La casetta nei Grandi Boschi

C’era una volta, tanti anni fa, una bambina che viveva nei Grandi Boschi del Wisconsin, in una casettina grigia tutta fatta di tronchi d’albero. Intorno alla casa c’erano gli immensi alberi scuri dei Grandi Boschi, e più in là c’erano altri alberi, e più in là altri alberi ancora. Se camminavi per un giorno intero verso nord, o anche per una settimana, o addirittura per un mese, non trovavi altro che boschi. Nessuna casa. Nessuna strada. Solo alberi. E gli animali selvatici che ci abitavano in mezzo. Nel folto dei boschi c’erano lupi e orsi e giganteschi gatti selvatici. Lungo il corso dei fiumi vivevano topi muschiati, visoni e lontre. Le volpi popolavano gli anfratti delle alture. E dappertutto vagavano i cervi. A est e a ovest della casetta c’erano miglia e miglia di boschi, e qua e là, lungo il margine dei boschi, qualche altra casetta, anche quella fatta di tronchi. Ma erano poche e sparse e la bambina non le aveva mai viste. Per lei esisteva solo la casetta dove abitava con il suo papà e la sua mamma, sua sorella Mary e Carrie, la sorellina neonata. Davanti alla casa passava una carrareccia che con un paio di curve si infilava nel bosco dove vivevano gli animali selvatici. Ma la bambina non sapeva 9


Nei Grandi Boschi del Wisconsin

dove portava quella strada, né cosa c’era dove finiva. La bambina si chiamava Laura. Il papà era Pa, la mamma, Ma. Era così che i bambini chiamavano il papà e la mamma a quei tempi e in quel luogo. Di notte, quando capitava che si svegliasse, Laura dal sul letto – che di giorno stava infilato sotto quello dei suoi genitori – non sentiva altro rumore che il mormorio degli alberi tra loro. Qualche volta, lontano, ululava un lupo. E dopo un po’ l’ululato si ripeteva, questa volta più vicino. Era un verso che metteva paura. Laura sapeva che i lupi potevano divorare le bambine piccole. Ma lei era al sicuro, nella solida casetta di tronchi. Sopra la porta era appeso il fucile di papà e davanti alla porta faceva la guardia Jack, il loro bulldog. «Dormi, Laura. Jack non lascerà entrare i lupi» diceva papà. Lei si raggomitolava sotto le coperte, accanto a Mary, e si addormentava. Una notte papà l’aveva presa dal letto e l’aveva portata alla finestra, per farle vedere i lupi. Ce n’erano due, seduti davanti alla casa. Sembravano due cani irsuti. Avevano alzato il muso appuntito verso la luna e avevano cominciato a ululare. Jack si era messo ad andare avanti e indietro davanti alla porta, ringhiando. Gli si era rizzato il pelo sulla schiena e aveva scoperto i forti denti aguzzi. I lupi ululavano, ma non potevano entrare. Com’era confortevole, quella loro casetta di tronchi! Di sopra c’era una grande soffitta, dove era bello giocare quando la pioggia tamburellava sul tetto. Di sotto c’era una piccola camera da letto e una stanza grande. La camera da letto aveva una finestra, che si chiudeva con un’imposta di legno. La stanza grande aveva due finestre con i vetri e due porte, una davanti e una che dava sul retro. Tutt’intorno alla casa correva uno robusto steccato di pali di legno, per tenere fuori orsi e cervi. Nello spiazzo davanti a casa c’erano due belle querce. Tutte le 10


La casetta nei Grandi Boschi

mattine, appena sveglia, Laura correva a guardar fuori dalla finestra. Un giorno vide due cervi morti appesi lassù in alto, tra i rami delle querce. Papà era andato a caccia il giorno prima e Laura si era già addormentata quando era tornato con la selvaggina. Aveva appeso i cervi ai rami delle querce, perché fossero fuori dalla portata dei lupi. Quel giorno ebbero carne fresca a pranzo. Era così buona che a Laura sarebbe piaciuto mangiarne tutti i giorni. Ma quasi tutta la carne che papà portava a casa andava salata e affumicata, per conservarla per l’inverno. L’inverno era alle porte. Le giornate si facevano sempre più corte e nottetempo il ghiaccio si arrampicava sui vetri delle finestre. Presto sarebbe nevicato. La casa sarebbe stata quasi sepolta dalla neve e laghi e fiumi sarebbero ghiacciati. Nelle gelide giornate invernali non sempre papà riusciva a portare a casa della selvaggina, quando andava a caccia. Gli orsi se ne stavano rintanati nelle loro tane e passavano l’inverno dormendo. Anche gli scoiattoli dormivano, nel cavo degli alberi, tutti arrotolati su se stessi, con la coda sul muso. Cervi e lepri erano più paurosi del solito e non si facevano vedere. E se anche papà avesse preso un cervo, sarebbe stato un animale magro e misero, non grasso e carnoso come erano i cervi in autunno. Poteva capitare che papà stesse fuori tutto il giorno, da solo, nei boschi pieni di neve, e tornasse a casa a mani vuote. Perciò bisognava immagazzinare nella casetta quanto più cibo possibile prima che arrivasse l’inverno. Papà scuoiò i cervi, salò la pelle e la mise ad asciugare ben tesa. Così sarebbe diventata morbida e in futuro avrebbero potuto usarla per farne qualcosa. Poi tagliò la carne a pezzi, ci sparse sopra del sale e la mise su un’asse. 11


Nei Grandi Boschi del Wisconsin

In fondo al cortile c’era un grosso tronco d’albero, cavo per tutta la lunghezza, che papà aveva portato dal bosco. All’interno, fin dove era riuscito ad arrivare da una parte e dall’altra, aveva piantato dei chiodi. Poi lo aveva rizzato in piedi, ci aveva messo sopra un tettuccio e aveva tagliato una porticina in basso, vicino alla base. La porticina, con la corteccia all’esterno, l’aveva fissata con cardini fatti di strisce di cuoio, in modo che si potesse aprire e chiudere. Dopo che i pezzi di cervo furono rimasti all’aria cosparsi di sale per qualche giorno, papà fece un buco in ognuno di essi e ci passò dentro un pezzo di corda. Poi li appese ai chiodi dentro il tronco cavo. Alcuni li fece passare dalla porticina in basso. Ma quando non riuscì più ad arrivare ai chiodi, prese una scala, la appoggiò contro il tronco, ci si arrampicò sopra, tolse il tettuccio e appese gli altri pezzi di carne calandoli dall’alto. Poi mise il tettuccio al suo posto, scese dalla scala e disse a Laura: «Vai al ceppo dove spacco la legna e portami un po’ di quei trucioli di noce che trovi lì intorno. Mi raccomando, solo quelli bianchi e ben puliti, che sono quelli di legno fresco». Laura tornò con il grembiule pieno di bei trucioli freschi, che profumavano di buono. Nel frattempo papà aveva acceso un fuocherello di licheni e cortecce dentro il tronco. Con grande cura, a poco a poco, ci mise sopra i trucioli che gli aveva portato Laura. Invece di prendere subito fuoco, i trucioli cominciarono a fumare, fino a riempire tutto il tronco di un fumo denso, che faceva tossire. Papà chiuse la porticina e un po’ di fumo venne fuori dalle fessure e anche da sotto il tettuccio, ma la maggior parte rimase intrappolata dentro il tronco. «Non c’è niente di meglio del buon fumo di noce per affumicare la selvaggina» disse papà. «Quella carne si conserverà alla perfezione ovunque, con qualunque tempo». 12


La casetta nei Grandi Boschi

Poi prese il fucile, si gettò l’ascia sulla spalla e se ne andò nella radura che stava disboscando. Laura e mamma curarono il fuoco per diversi giorni. Quando il fumo smetteva di filtrare dalle fessure della porticina, Laura andava a prendere una grembiulata di trucioli e mamma li metteva sul fuoco che ardeva piano piano sotto la carne. In quei giorni c’era sempre un leggero odore di fumo intorno alla casa e quando si apriva la porticina veniva fuori un buon profumo di carne affumicata. Alla fine papà disse che la carne era stata esposta al fumo abbastanza a lungo. Lasciò spegnere il fuoco e tirò fuori dal tronco tutti i pezzi affumicati. Mamma li avvolse nella carta a uno a uno e li appese nel sottotetto, per conservarli al fresco e all’asciutto. Una mattina papà partì prima dell’alba col carro. Quella sera tornò col carro pieno zeppo di pesci. Ce n’erano alcuni grandi come Laura. Era andato a pescarli con la rete nel lago Pepin. Mamma preparò dei bei filetti, bianchi e carnosi, senza neanche una lisca, per Mary e Laura. Com’era buono il pesce appena pescato! Tutto quello che non mangiarono quel giorno, fu salato e messo nei barili per l’inverno. Papà aveva un maiale, che scorrazzava nei boschi nutrendosi di ghiande, bacche e radici. Verso la fine dell’autunno lo prese e lo chiuse dentro un recinto, per farlo ingrassare ben bene. Lo avrebbe macellato quando la temperatura fosse scesa abbastanza da conservare la carne congelata. Una notte Laura fu svegliata dagli strilli del maiale. Papà era saltato giù dal letto, aveva preso il fucile ed era corso fuori. Poco dopo sentirono uno sparo, poi un altro. Che cos’era successo? Nel buio, papà aveva visto la sagoma di un grosso orso in piedi vicino al recinto: aveva infilato una zampa tra i tronchi e stava cercando di artigliare il maiale, che correva qua e 13


Nei Grandi Boschi del Wisconsin

là spaventato, strillando. Lui aveva sparato, ma tra il buio e la fretta l’aveva mancato e l’orso era riuscito a fuggire nel bosco. Che disdetta, che non l’avesse preso! A Laura piaceva la carne di orso. Papà era un po’ avvilito, ma disse: «Comunque, ho salvato il prosciutto». Dietro alla casa c’era un bell’orto, che avevano coltivato tutta l’estate. Era troppo vicino perché i cervi si azzardassero a saltare lo steccato di giorno; di notte ci pensava Jack a tenerli lontani. Qualche volta, al mattino, trovavano le impronte di un cervo tra i cavoli e le carote, ma c’erano anche i segni delle zampe di Jack, a indicare che il cervo doveva essere scappato via subito. Ora patate, carote, barbabietole, rape e cavoli erano tutti immagazzinati in cantina, perché ormai di notte gelava. Le cipolle le avevano intrecciate l’una all’altra in lunghi cordoni che avevano appeso nel sottotetto, accanto alle ghirlande di peperoncini infilati su una cordicella. Negli angoli erano ammucchiate le zucche, gialle, arancioni o verdi, a seconda della qualità. I barilotti di pesce salato erano al loro posto nella dispensa, sotto gli scaffali dov’erano messe a stagionare le forme di formaggio. Un giorno, dal bosco arrivò zio Henry a cavallo. Era venuto ad aiutare papà a macellare il maiale. Papà aveva provveduto ad affilare bene il coltellaccio da macellaio di mamma e zio Henry aveva portato quello di zia Polly. Papà e zio Henry fecero un grosso falò accanto al recinto del maiale e ci misero a scaldare un pentolone d’acqua. Quando l’acqua cominciò a bollire, si prepararono a uccidere il maiale. Laura invece scappò a nascondere la testa sotto le coperte, tappandosi le orecchie con le dita, perché non voleva sentire gli strilli della povera bestia, anche se papà aveva detto: «Non gli facciamo male, Laura. È una cosa rapida». Ma lei non voleva sentire lo stesso. 14


La casetta nei Grandi Boschi

Attese un momento, poi si tolse piano piano un dito da un orecchio. Non si sentiva niente. Il maiale aveva smesso di strillare. Da quel momento in avanti quella giornata fu un grande divertimento. C’erano tante cose da fare e da vedere. Zio Henry e papà erano allegri, a cena ci sarebbero state costine arrosto e papà aveva detto che lei e Mary avrebbero avuto la coda. E anche la vescica per giocare. Dopo che lo ebbero ucciso, papà e zio Henry immersero il maiale più volte nell’acqua bollente, per ammorbidire la pelle. Poi lo stesero su una tavola e col coltello raschiarono via tutte le setole. Dopodiché lo appesero a un albero, lo sventrarono e lo lasciarono là a raffreddare. Quando la carcassa fu ben raffreddata, la tagliarono a pezzi: cosce e spalle, fianchi, costine e pancia. Misero da parte anche il cuore, il fegato e la lingua. La testa l’avrebbero fatta in cassetta. E in una pentola vennero raccolti tutti i ritagli, per farne salsicce. I tagli di carne furono disposti su una tavola nel ripostiglio dietro casa e cosparsi di sale. Cosce e spalle vennero messi in salamoia, per essere poi affumicati, come la selvaggina. «Non c’è niente di meglio che la carne di maiale trattata con il fumo di noce» disse papà. Stava soffiando dentro la vescica, per gonfiarla. Ne venne fuori un palloncino bianco, che chiuse all’imboccatura con un cordino. Mary e Laura scoprirono che potevano lanciarlo in aria e farlo volare dall’una all’altra dandogli un colpo con la mano, oppure farlo saltellare per terra e prenderlo a calci come una palla. Ma più divertente ancora che giocare con la vescica fu arrostire la coda. Quando papà l’ebbe pulita e spellata ben bene ed ebbe infilato un bastone appuntito nell’estremità più larga, mamma aprì lo sportello della stufa e fece cadere un mucchietto di carboni accesi nel 15


Nei Grandi Boschi del Wisconsin

catino del forno. Poi Laura e Mary fecero a turno a tenere la coda sopra le braci. La coda sibilava e sfrigolava e ogni tanto una goccia di grasso cadeva sulle braci e prendeva fuoco. Mamma ci aveva messo sopra anche un po’ di sale. Faceva un gran caldo lì accanto alla stufa e le mani e la faccia bruciavano. Laura si scottò anche un dito, ma era troppo eccitata per badarci. Era così divertente, quel gioco, che nessuna delle due avrebbe mai voluto smettere quando toccava all’altra. Ma dovevano fare a turno. Alla fine, la coda fu cotta a puntino. Era diventata tutta marrone. E che buon profumo mandava! La portarono fuori per farla raffreddare, ma non riuscirono ad aspettare abbastanza a lungo e ne vollero assaggiare subito un pezzetto. Così si bruciarono la lingua. Se la rosicchiarono tutta, fino agli ossicini, che dettero a Jack. E quella fu la fine della coda del maiale. Non ce ne sarebbe stata un’altra fino all’anno successivo. Dopo pranzo zio Henry tornò a casa e papà andò, come sempre, a lavorare nel bosco. Per Laura, Mary e mamma, invece, le incombenze dell’uccisione del maiale erano appena cominciate. Mamma aveva ancora tante cosa da fare e Laura e Mary la aiutarono. Quel pomeriggio, e anche per tutto il giorno seguente, mamma si dedicò a raffinare lo strutto in grandi pentole di ghisa sulla stufa. Laura e Mary avevano il compito di andare a prendere la legna e di badare al fuoco, che doveva restare acceso, senza però divampare troppo, altrimenti lo strutto si sarebbe bruciato. I pentoloni dovevano bollire piano piano, ma non si doveva mai vedere del fumo. Ogni tanto mamma pescava i ciccioli con la schiumarola, li metteva in un panno, li strizzava bene per recuperare tutto il grasso che avevano intorno, poi li metteva da parte. Li avrebbe usati per insaporire le focacce di mais. 16


La casetta nei Grandi Boschi

I ciccioli erano una vera squisitezza, ma Mary e Laura ebbero il permesso di assaggiarne solo uno o due. Mamma disse che erano troppo grassi per il loro piccolo stomaco. Mamma ebbe anche da pulire e raschiare bene la testa del maiale, che poi mise a bollire finché ogni minimo pezzetto di carne si staccò dalle ossa. Raccolse la carne in una ciotola di legno, la tagliuzzò col coltello, la insaporì con sale, pepe e spezie, ci versò sopra il brodo di cottura e la mise in un tegame. Quando si fosse ben raffreddata, si sarebbe potuta tagliare a fette. Quella era la testa in cassetta. Tutti i ritagli, grassi e magri, che erano avanzati dalla macellazione li batté a lungo con la lama del coltello, finché furono ben tritati. Poi ci aggiunse sale, pepe e foglie secche di salvia dell’orto, mescolò a lungo e ne fece delle palle che ripose in un contenitore nel ripostiglio freddo, per conservarle congelate. Quelle erano le salsicce. Quando tutto il maiale fu acconciato a dovere, nel ripostiglio c’erano salsicce e testa in cassetta, oltre ad alcuni grossi vasi di strutto e a un barile di carne di maiale salata; le spalle e le cosce affumicate erano appese nel sottotetto. Ora la casetta era piena zeppa di buone cose da mangiare che avevano messo via per l’inverno: ce n’erano nel sottotetto e in cantina, nella dispensa e nel ripostiglio freddo, che fungeva da ghiacciaia. Laura e Mary dovevano giocare in casa, ormai, perché fuori faceva freddo e gli alberi perdevano le foglie. Il fuoco nella stufa non si spegnava mai. La sera papà rincalzava bene con la cenere i carboni ancora accesi, perché non si spegnessero fino al mattino dopo. A loro due piaceva giocare nel sottotetto. Le grosse zucche, tonde e colorate, fungevano da sedie e tavolini. In alto dondolavano le trecce di cipolle e le ghirlande di peperoncini. E i prosciutti e i pezzi di selvaggina affumicati, e tutti i mazzi di erbe secche – quelle profumate che servivano per cucinare e quelle amare che si usava17


Nei Grandi Boschi del Wisconsin

no come medicine – davano alla stanza un buon odore di fumo e di erba. Fuori urlava il vento, e tutto era freddo e brullo. Ma lassù in mezzo alle zucche Laura e Mary giocavano alla famiglia e tutto era quieto e caldo. Mary era più grande di Laura e aveva una bambola di pezza che si chiamava Nettie. Laura aveva solo una pannocchia avvolta in un fazzoletto, ma come bambola andava bene lo stesso. Si chiamava Susan. Non era colpa di Susan, se era solo una pannocchia. A volte Mary imprestava Nettie a Laura, ma solo quando Susan non se ne accorgeva. Il momento più bello, però, era la sera. Dopo cena papà portava dentro le trappole per ingrassarle al calore del fuoco. Le lucidava finché brillavano e ingrassava cardini e molle delle tagliole con una penna intinta nel grasso d’orso. C’erano trappole piccole e medie, e anche trappole grandi per gli orsi, con denti così robusti che avrebbero potuto spezzare la gamba di una persona che ci fosse finita dentro. Così diceva papà. Mentre ingrassava le trappole, papà scherzava con loro e raccontava piccole storie buffe. Quando aveva finito, suonava il violino. Le porte e le finestre erano tutte ben chiuse e le fessure tappate con gli stracci, per non fare entrare il freddo. Ma Black Susan, la gatta, poteva andare e venire come voleva perché c’era una gattaiola nella parte bassa della porta. Ci passava sempre velocissima, per non farsi pizzicare la coda quando lo sportellino si richiudeva di scatto. Una sera, mentre stava ingrassando le trappole, vedendo entrare Black Susan, papà disse: «C’era una volta un uomo che aveva un gatto grosso e un gatto piccolo». Laura e Mary corsero ad appoggiarsi alle sue ginocchia per ascoltare il resto della storia. 18


La casetta nei Grandi Boschi

«Aveva due gatti» ripeté papà. «Un gatto grande e un gatto piccolo. Perciò fece una gattaiola grande nella porta, per il gatto grande. E poi fece una gattaiola piccola, per il gatto piccolo». Poi tacque. «Perché il gatto piccolo non poteva…» cominciò a dire Mary. «Perché quello grande non lo lasciava» la interruppe Laura. «Laura, non si interrompe una persona che parla. È da maleducati» disse papà. «Ma vedo che avete tutte e due più cervello di quell’uomo, che aveva fatto due gattaiole nella porta». Mise via le trappole, tirò fuori il violino dalla sua custodia e cominciò a suonare. E quello era il momento più bello della giornata.

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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di agosto 2021


C’era una volta, tanti anni fa, una bambina che viveva nei Grandi Boschi del Wisconsin, in una casettina grigia tutta fatta di tronchi d’albero. Intorno alla casa c’erano gli immensi alberi scuri dei Grandi Boschi, e più in là c’erano altri alberi, e più in là altri alberi ancora. Se camminavi per un giorno intero verso nord, o anche per una settimana, o addirittura per un mese, non trovavi altro che boschi. Nessuna casa. Nessuna strada. Solo alberi. E gli animali selvatici che ci abitavano in mezzo. A est e a ovest della casetta c’erano miglia e miglia di boschi, e qua e là, lungo il margine dei boschi, qualche altra casetta, anche quella fatta di tronchi. Ma erano poche e sparse e la bambina non le aveva mai viste.

Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.

All’inizio di tutto Laura Ingalls ha quattro anni e con i suoi vive ancora in una piccola casa di legno, ai margini dei Grandi Boschi del Wisconsin. C’è sempre tanto da fare per tutti ma la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le allegre note del violino di papà riuniscono la famiglia felice intorno al fuoco.

Mary era più grande di Laura e aveva una bambola di pezza che si chiamava Nettie. Laura aveva solo una pannocchia avvolta in un fazzoletto, ma come bambola andava bene lo stesso. Si chiamava Susan. Non era colpa di Susan, se era solo una pannocchia. A volte Mary imprestava Nettie a Laura, ma solo quando Susan non se ne accorgeva.

“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera

“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa

La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno

“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini”

5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo

“tm” bianco

Francesca De Sanctis, l’Unità

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Immagine di copertina: © Lee Avison / Arcangel Images e Brina Blum / unsplash Illustrazioni e lettering: Pemberley Pond Progetto grafico: Camille Barrios / ushadesign

Paola Mazzarelli

“tm” bianco


C’era una volta, tanti anni fa, una bambina che viveva nei Grandi Boschi del Wisconsin, in una casettina grigia tutta fatta di tronchi d’albero. Intorno alla casa c’erano gli immensi alberi scuri dei Grandi Boschi, e più in là c’erano altri alberi, e più in là altri alberi ancora. Se camminavi per un giorno intero verso nord, o anche per una settimana, o addirittura per un mese, non trovavi altro che boschi. Nessuna casa. Nessuna strada. Solo alberi. E gli animali selvatici che ci abitavano in mezzo. A est e a ovest della casetta c’erano miglia e miglia di boschi, e qua e là, lungo il margine dei boschi, qualche altra casetta, anche quella fatta di tronchi. Ma erano poche e sparse e la bambina non le aveva mai viste.

Laura Elizabeth Ingalls Wilder (Pepin, 1867 - Mansfield, 1957) aveva appena quattro anni quando suo padre decise di lasciare il Wisconsin per cominciare una nuova vita nei territori messi a disposizione dei coloni dal governo americano. Fu solo il primo dei numerosi spostamenti che la famiglia dovette affrontare in quegli anni. Studentessa brillante, nonostante i lunghi soggiorni in zone isolate e prive di scuole, Laura riuscì a coronare il sogno di dedicarsi all’insegnamento. Dalle sue memorie sviluppò la saga letteraria Little House, che ebbe un grandissimo successo. Dal terzo dei nove volumi scritti dalla Ingalls, prese avvio l’omonima serie televisiva, che in Italia è andata in onda innumerevoli volte ed è amatissima, come ovunque nel mondo.

All’inizio di tutto Laura Ingalls ha quattro anni e con i suoi vive ancora in una piccola casa di legno, ai margini dei Grandi Boschi del Wisconsin. C’è sempre tanto da fare per tutti ma la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le allegre note del violino di papà riuniscono la famiglia felice intorno al fuoco.

Mary era più grande di Laura e aveva una bambola di pezza che si chiamava Nettie. Laura aveva solo una pannocchia avvolta in un fazzoletto, ma come bambola andava bene lo stesso. Si chiamava Susan. Non era colpa di Susan, se era solo una pannocchia. A volte Mary imprestava Nettie a Laura, ma solo quando Susan non se ne accorgeva.

“Oggi il lettore italiano sembra chiedere alla letteratura qualcosa di diverso: paesaggi rurali, piccole città e fattorie isolate. È l’altra America, che in Italia arrivò per la prima volta con un telefilm degli anni Settanta decisamente iconico: La casa nella prateria” Vanni Santoni, la Lettura - Corriere della Sera

“La Ingalls è perfetta nel raccontare la meraviglia dell’erba che vibra nel vento, la vita spartana in armonia con la natura, le vicissitudini, le battaglie, le malattie, la solidarietà” Bruno Ventavoli, ttL - La Stampa

La serie completa: 1. La casa nella prateria 2. Sulle rive del Plum Creek 3. Sulle sponde del Silver Lake 4. Il lungo inverno

“Alla fine ogni episodio diventa una magnifica avventura dove sono i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà a far superare le difficoltà, e dove prevalgono i gesti semplici e genuini”

5. Piccola città del West 6. Gli anni d’oro 7. I primi quattro anni Nei Grandi Boschi del Wisconsin La storia di Almanzo

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