Sulla rotta di una mappa misteriosa, alla ricerca del leggendario forziere di Capitan Flint. L’avventura più amata della letteratura per ragazzi rivive nelle splendide tavole di Roberto Innocenti.
Stevenson - Innocenti
L’Isola del Tesoro
Un racconto per immagini della storia del giovane Jim, del pirata Long John Silver, della goletta Hispaniola e degli altri protagonisti del celebre romanzo di Stevenson, ridotto con passione e competenza da Andrea Rauch per questa inedita versione illustrata. L’Isola del Tesoro
I romanzi di Robert Luis Stevenson (Edimburgo, 1850-Isole Samoa, 1894) sono annoverati tra i classici della letteratura universale. L’Isola del Tesoro è il suo testo per ragazzi più famoso. Le suggestive atmosfere del romanzo hanno ispirato Roberto Innocenti (Firenze, 1940), uno tra i più grandi illustratori al mondo, unico disegnatore italiano ad aver vinto il Premio Ibby Andersen. Ma il libro non esisterebbe senza la passione di Andrea Rauch (Siena, 1948), un maestro della grafica, al quale si deve la riduzione del testo, il coinvolgimento di Roberto e la realizzazione del volume.
Consigliato dai ai anni
6 99
Robert Louis StevensonwRoberto Innocenti
L’Isola del Tesoro
Roberto Innocenti L’Isola del Tesoro dal romanzo di Robert Luis Stevenson testo di Andrea Rauch
ISBN 978-88-6145-791-1 Prima edizione gennaio 2015 ristampa 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2019 2018 2017 2016 2015 © 2015 Carlo Gallucci editore srl Per le illustrazioni: © 2013 Roberto Innocenti Per il testo: © 2013 Andrea Rauch Stampato per conto di Gallucci editore srl presso Longo spa (Bolzano) nel mese di gennaio 2015 galluccieditore.com
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Roberto Innocenti
L’Isola del Tesoro dal romanzo di Robert Louis Stevenson testo di Andrea Rauch
Sono passati molti anni da allora, ma ho ancora davanti agli occhi la mappa dell’Isola del Tesoro: l’Albero di Trinchetto, la Collina del Cannocchiale, l’Isolotto dello Scheletro… Nulla al mondo potrebbe costringermi a tornare là, e i miei più paurosi incubi sono quando sento i cavalloni tuonare lungo la costa, o quando par che mi risuoni in testa la stridula voce del pappagallo di Long John Silver che intona la sua cantilena: “Pezzi da otto, pezzi da otto…” Ah, quasi dimenticavo… Il mio nome è Jim Hawkins e al tempo della nostra ricerca del tesoro nascosto dal pirata Flint ero appena un ragazzo. Avevo infatti da poco compiuto il mio quattordicesimo anno e aiutavo mio padre e mia madre nelle faccende della nostra locanda sulla costa del Monte Nero, all’insegna dell’Ammiraglio Benbow.
Quindici se ne stavano sul morto… Il diavolo a nessuno ha fatto torto, Gonfi di rum li ha rispediti in porto. Yò, hò, hò e una bottiglia di rum!
Billy Bones
B
illy Bones, il Capitano, come tutti noi prendemmo subito a chiamarlo, era alto, di corporatura forte e con un codino unto che gli ricadeva sopra un sudicio pastrano blu. Aveva le mani rugose e coperte di cicatrici, con le unghie rotte e nere; sulla guancia sinistra era visibile, d’un bianco livido e sporco, il taglio profondo di un vecchio colpo di sciabola. Arrivò nella nostra locanda, all’Ammiraglio Benbow, in una mattina di fine ottobre. Il Capitano era un uomo taciturno. Passava la sua giornata passeggiando nei pressi della baia, o su per la collina. Portava sempre con sé un cannocchiale da marina, e per tutta la sera se ne stava in un angolo della sala comune, accanto al fuoco, a bere bicchieri su bicchieri di rum. Se qualcuno gli rivolgeva la parola evitava di rispondere. Dava un’occhiata veloce, accigliata, e sbuffava come una sirena nella nebbia, sicché, tanto noi che gli avventori, imparammo ben presto a lasciarlo in pace.
Ogni giorno chiedeva se in giro si fosse notata qualche faccia nuova. Capimmo presto che voleva evitare ogni incontro. Io dovevo stare con gli occhi bene aperti e avvertirlo se, lungo la strada, si fosse visto “un marinaio con una gamba sola”.
La macchia nera
I
l “marinaio con la gamba sola” non lo vidi mai, anche se per molto tempo visitò tutti i miei incubi. Verso le tre di un pomeriggio nebbioso, mentre ancora fantasticavo su quel misterioso marinaio, scorsi sulla strada un mendicante che si avvicinava con passo lento. Di certo era cieco, poiché batteva il selciato, davanti a sé, con un bastone. Gli porsi la mano e lui la serrò di scatto come una morsa. Ne fui talmente impaurito che cercai di svincolarmi, ma il cieco mi strinse a sé con uno strattone e mi ordinò di condurlo subito dal Capitano. Mi affrettai a ubbidire. Il Capitano era seduto al suo solito tavolo; alzò la fronte e rimase con gli occhi sbarrati e fissi. Il cieco gli fece scivolare qualcosa nella mano. «Ecco fatto!» Svelto attraversò la sala e saltò nella strada. Il Capitano dette un’occhiata a quello che il cieco gli aveva messo in mano. «La macchia nera. Sono condannato!» e scattò in piedi. Ma subito barcollò, si portò una mano alla gola, rimase in bilico un attimo e poi, con uno strano rantolo sibilante, cadde lungo disteso con la faccia sul pavimento.
Il Capitano era morto e il cieco sarebbe tornato, e certamente non da solo. Ci restava poco tempo, ma mia madre era ben decisa ad avere da Billy Bones, anche se morto, quello che ancora le spettava.
C Assalto alla locanda
ontrollai le tasche del Capitano, una dopo l’altra. Alcuni spiccioli, un ditale, un po’ di filo di refe, due grossi aghi, un rotolo di tabacco da mordere, una bussola tascabile, un coltello dal manico curvo e un acciarino: nient’altro. «Forse al collo!» Strappai la camicia e lì, attaccata a un pezzo di spago incatramato, trovammo la chiave del baule di Billy Bones, che non era stato mai spostato dal giorno del suo arrivo. «Dammi la chiave» disse mia madre, e malgrado la serratura fosse dura, aprì il baule in un batter d’occhio. Un forte odore di tabacco si sprigionò dall’interno. C’era un abito completo e un vecchio cappotto da marinaio sbiancato dalla salsedine. In fondo al baule un pacchetto avvolto in tela cerata, che pareva contenere delle carte, e un sacchetto che, mosso, rispose con un tintinnìo d’oro. «Prenderò solo ciò che mi spetta» disse mia madre. In quel momento un rumore mi fece saltare il cuore in gola: il picchiettìo del bastone del cieco sulla strada dura dal gelo. «Porto via ciò che ho già preso» fece mia madre. «E questo, per arrotondare il conto» aggiunsi io, arraffando il plico di tela cerata.
S
enza perder tempo aprimmo la porta e fuggimmo via. Sentivamo il rumore dei passi e, voltandoci indietro, vedemmo una luce che si avvicinava velocemente. La curiosità vinse in me la paura. Tornai indietro fino a un cespuglio di ginestre, da dove potevo controllare tutta la strada. Avevo appena raggiunto quel nascondiglio quando i nostri nemici arrivarono correndo con furia disordinata. «Dentro! Dentro!» urlava il cieco, maledicendo i compagni per la loro lentezza. Un silenzio, un grido di sorpresa, e infine come un tuono dall’interno della locanda. «Bill è morto!» «Uno di voi lo frughi» gridò il cieco «dannati poltroni, e gli altri su, a cercare il baule». Sentii lo strepitìo dei passi su per la nostra vecchia scala. «Hanno già aperto il baule» «C’è, la carta di Flint?» ruggì il cieco. «Non la troviamo in nessun posto» replicò l’uomo. «Anche Bill è stato frugato» disse il filibustiere ch’era rimasto a cercare sul corpo del Capitano. «Non c’è nulla».
Si udì allora uno scalpitare di cavalli lanciati al galoppo. I filibustieri girarono subito la schiena e se la squagliarono correndo chi giù lungo la spiaggia, chi su per la collina; in un minuto, eccetto il cieco, sulla strada non rimase nessuno.
La mappa di Flint
I
l cieco, lasciato solo, si mise a correre sbattendo qua e là come una mosca impazzita. Finì per cadere e uno dei cavalieri che arrivava di gran carriera lo investì in pieno e lo lasciò morto a terra. Allora si fermarono tutti e io mi feci riconoscere. Il Sovrintendente, data un’occhiata al gran disastro all’interno della locanda, mi chiese: «Ma cosa diavolo cercavano? Del denaro forse?» «No, signore» risposi. «Credo di avere io ciò che volevano, e, a dire il vero, desidererei metterlo al sicuro» «Possiamo consegnarlo subito al Cavaliere, se vi pare». Ci recammo al Castello e io vidi il Cavalier Trelawney per la prima volta. Quando ebbe rotto i sigilli e osservato la carta cerata non seppe trattenere un moto di stupore. Era la pianta d’un’isola con tre croci in inchiostro rosso: due nella parte Nord, una a Sud-Ovest. Accanto all’ultima croce si leggevano poche parole: “Qui il grosso del tesoro”. «Il tesoro di Capitan Flint!» esclamò il Cavaliere. «L’oro del più feroce pirata che abbia mai solcato i mari!»
Sulla rotta di una mappa misteriosa, alla ricerca del leggendario forziere di Capitan Flint. L’avventura più amata della letteratura per ragazzi rivive nelle splendide tavole di Roberto Innocenti.
Stevenson - Innocenti
L’Isola del Tesoro
Un racconto per immagini della storia del giovane Jim, del pirata Long John Silver, della goletta Hispaniola e degli altri protagonisti del celebre romanzo di Stevenson, ridotto con passione e competenza da Andrea Rauch per questa inedita versione illustrata. L’Isola del Tesoro
I romanzi di Robert Luis Stevenson (Edimburgo, 1850-Isole Samoa, 1894) sono annoverati tra i classici della letteratura universale. L’Isola del Tesoro è il suo testo per ragazzi più famoso. Le suggestive atmosfere del romanzo hanno ispirato Roberto Innocenti (Firenze, 1940), uno tra i più grandi illustratori al mondo, unico disegnatore italiano ad aver vinto il Premio Ibby Andersen. Ma il libro non esisterebbe senza la passione di Andrea Rauch (Siena, 1948), un maestro della grafica, al quale si deve la riduzione del testo, il coinvolgimento di Roberto e la realizzazione del volume.
Consigliato dai ai anni
6 99
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L’Isola del Tesoro