Note di catechismo per ignoranti colti

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Pierre Riches

Note di

catechismo ignoranti colti

per

introduzione di

Giorgio Manganelli


“Queste note sono una semplice, semplicissima, grossolana esposizione dei ragionamenti (razionali, intuitivi, esperienziali) che mi hanno portato ad accettare il cattolicesimo come risposta alla domanda: ‘La vita ha un senso?’ (domanda che mi ponevo già a 12 anni). La sera prima del mio battesimo, avevo 23 anni, il padrino mi chiese: ‘Ma ci credi davvero?’ Risposi: ‘Se non è vero, è così ben trovato…’ e fino ad oggi, anche se ci credo, non saprei dire se è vero, ma non ho trovato nulla di ‘meglio trovato’, neanche il Buddha”.


uG universale Gallucci


Pierre Riches Note di catechismo per ignoranti colti ISBN 978-88-6145-988-5 Prima edizione gennaio 1982 Prima edizione nella collana uG Gallucci marzo 2016 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2020 2019 2018 2017 2016 © 2016 Carlo Gallucci editore srl Roma L’editore ringrazia Lietta Manganelli per l’autorizzazione a pubblicare il testo di Giorgio Manganelli.

galluccieditore.com

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Pierre Riches

Note di catechismo per ignoranti colti Introduzione di Giorgio Manganelli



Per J., J., Michael F. e J., in gratitude for love.


L’Autore ringrazia la Rothko Chapel per il suo aiuto.


Introduzione

È lecito chiedersi perché mai questo singolare catechismo per “ignoranti colti”, cattolico ortodosso, venga preceduto da una nota di un “malsano miscredente”, se mi è consentito manipo­lare una citazione del testo. In primo luogo, direi, perché ap­punto si tratta di un testo ortodosso, scritto da un prete, parroco e canonico, e che tuttavia non si lascia definire da nessuna di queste denominazioni. Quando Pierre Riches mi disse, assai peritosamente – giacché egli ama l’understatement – di aver in animo di scrivere un catechismo per “ignoranti colti”, aggiun­gendo, quasi imbarazzato, che si sarebbe trattato di un testo “ortodosso”, io provai una segreta ilarità. Pensai – ma allora non glielo dissi – che da lui non solo mi aspettavo, ma esigevo un testo ortodosso; giacché offrire una immagine vitale, eccitan­te, perfino lieta di ciò che giudicavo l’ossame ortodosso mi sem­brava impresa senza paragone più straordinaria, più avventuro­sa che non provarsi in un esperimento eterodosso; qualcosa che esigeva sottigliezza, e una miscela di saggezza, matematica e follia. Credo che Pierre Riches sia riuscito a tanto con un’arte deli­cata, sommessa e paziente: ha miniaturizzato l’universo, ma all’interno di questo universo ingannevolmente maneg7


gevole tut­te le distanze sono rimaste rigorosamente intatte, in scala; un universo minuscolo e totale, come è minuscola e totale l’ostia della comunione agli occhi del cristiano. Ne è venuto un cate­chismo leggero, coerente e divagante, insaporito da una calcola­ta “stultitia”, un parlar dimesso e mite, a tratti subitamente in­quietante. Dunque, può esserci un modo di vivere l’ortodossia che ha da dirci qualcosa, comunque ci sentiamo collocati. L’impresa non è frequente, ma io posso ricordare di avere amato scrittori ortodossi impensabili se non come tali: dal delizioso Chesterton, sfrenato e “fedele” – in tutti i sensi – al cardinale Newman, la cui Apologia pro vita sua è un esempio di grande prosa, patetica e cerimoniale, ed insieme un libro di una inquie­tante intelligenza psicologica; ma ho avuto in uggia l’ortodos­sia sciovinista di Belloc e quella molto “italiana” di Bargellini. Ma c’è dell’altro: non mi interessano i concetti; una affer­mazione come «Dio esiste» non mi dice nulla, se ne sta inerte come una disposizione legale; ma la proposizione «Dio non esiste», che è l’affermazione di una negazione, mi tocca perché, al di là dell’enunciato, avverto qualcosa che chiamerei un gesto linguistico. L’ateismo è sicuramente nel centro, il teismo deve conquistarselo. Io non posso vivere, tradurre, leggere un con­cetto, ma posso ben farlo con un gesto. E molti gesti possono disegnare una danza cerimoniale. In questo libro, concettualmente denso, mi interessano i gesti con cui tali concetti ven­gono toccati, colti, stretti, 8


legati, dedotti; e qualcosa che sta alle spalle del gesto, come la coscienza mitologica che sta alle spalle della danza sacra. Credo di riconoscere una esperienza interio­re, mentale, fantastica, mitica e tuttavia tangibile cui possiamo accedere, qualunque sia la nostra provenienza. In primo luogo l’esperienza dell’inferno. Una oscura piaga infera contrassegna la sapienza dell’homo. Siamo tutti dei pendolari degli inferi. E quando questo mite, ironico, cauto canonico ci suggerisce non essere affatto impensabile che l’inferno sia vuoto, ci tra­ smette un trauma insieme psicologico e mitico, la proposta di un esilio e insieme una idea del centro. Forse si può andare oltre, in una lettura che può essere let­terale o allegorica; il discorso sulla teologia del venerdì santo e sulla teologia della Pasqua ci ricorda che a tutti noi, da sem­pre, è stato offerto un irreparabile venerdì delle tenebre, e che tuttavia la nostra vita è “perseguitata” dal mito catastrofico della resurrezione. Due significati abitano la nostra vita, ren­dendola invivibile e viva. La descrizione che della Trinità ci offre Sant’Agostino è una stupenda “storia della luce”, una arcaica epifania del centro del mondo. Infine, andando oltre le intenzioni di Pierre Riches, si può intravedere una ulteriore lettura, secondo la quale Dio, il cui modo di esistenza ci è inaccessibile, sia, dal punto di vista intellettuale, inesistente, ma esistente affettivamente; donde quella conoscenza nelle tenebre, malgrado le tenebre e in forza delle tenebre, lungo l’itinerario dell’amore, che è 9


al centro di uno dei grandi libri del medioevo inglese, The Cloud of Unknowing, un libro di cui qui si parla, e che una volta Pierre Riches ebbe a confrontare con un altro testo che è a lui, ed a me, estremamente caro, il cinese Tao-të-ching. Perché, infine, si può leggere questo libro al di là dei con­cetti, oltrepassando il luogo dei gesti, secondo il Tao – «la Via che ha nome non è la Via». Il Tuo-të-ching, uno dei libri senza fondo della storia scritta dell’uomo, sfiora ciò che non può essere toccato, parla del silenzio, e pone al centro un inaf­ferrabile, inabitabile, insieme distaccato e amoroso altrove. Nella nostra terra di bianchi padroni di tutto eccetto che di sé, qui dove si professa l’ortodossia “reale”, Pierre Riches mi pare un missionario proveniente dal Terzo, o dal Quarto, Mon­do; è insieme chiaro ed enigmatico; nel luogo da cui mental­mente proviene, prossimo e lontano, si professa una ortodossia “irreale”, e il cristiano riconosce da sempre il suo volto, i suoi gesti, nella Via che non ha nome. Giorgio Manganelli

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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Print on Web a Isola del Liri (Fr) nel mese di marzo 2016



Pierre Riches è nato nel 1927 ad Alessandria d’Egitto. Di famiglia ebrea, si è convertito al cristianesimo a 23 anni. Ha poi frequentato il seminario, è diventato sacerdote e quindi teologo. Durante il Concilio Vaticano II è stato consigliere del cardinale Eugène Tisserant. Ha studiato a Cambridge con Ludwig Wittgenstein ed ha insegnato in varie università nel mondo, dagli Stati Uniti al Pakistan. È stato amico e consigliere spirituale di scrittori come William Burroughs, Giorgio Manganelli, Pier Vittorio Tondelli ed Elsa Morante, che scelse il titolo per queste note. Con Gallucci ha pubblicato i libri per bambini Pietro e David.



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