Pop al pomodoro

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Margherita e Rosetta Loy Pop al pomodoro Per le immagini: In copertina: Can of Campbell’s Tomato Soup, 1999 © Envision / Corbis / Contrasto Jasper Johns, Three Flags, 1958. Whitney Museum of American Art, New York © 2015 DeAgostini Picture Library / Scala, Firenze – © Jasper Johns, by SIAE 2015 Tom Wesselmann, Still Life #30, 1963 © 2015. Digital image, The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze © Tom Wesselmann, by SIAE 2015 Roy Lichtenstein, In the Car, 1963 © 2015 Scottish National Gallery of Modern Art, Edinburgh / Bridgeman Images © Estate of Roy Lichtenstein, by SIAE 2015 Roy Lichtenstein, Still Life with Crystal Bowl, 1973. Whitney Museum of American Art, New York © 2015. DeAgostini Picture Library / Scala, Firenze © Estate of Roy Lichtenstein, by SIAE 2015 Andy Warhol, Senza titolo da Marilyn, 1967 © 2015. Digital image, The Museum of Modern Art, NewYork / Scala, Firenze – © The Andy Warhol Foundation for the Visual Art Inc., by SIAE 2015 Edward Hopper, Nighthawks – © 2015 Corbis / Contrasto Andy Warhol, Superman, 1986 © 2015. Foto Fine Art Images / Heritage Images / Scala, Firenze © The Andy Warhol Foundation for the Visual Art Inc., by SIAE 2015 Andy Warhol, 210 Coca-Cola Bottles, 1962. Christie’s Images Limited © 2015. Christie’s Images, London / Scala, Firenze – © The Andy Warhol Foundation for the Visual Art Inc., by SIAE 2015 Andy Warhol, Campbell’s Soup Can (Tomato), 1962. Christie’s Images Limited © 2015. Christie’s Images, London / Scala, Firenze – © The Andy Warhol Foundation for the Visual Art Inc., by SIAE 2015 Rendez-vous With Jeff Koons In New York © 2015 Getty Images Per le immagini di cui non sia stato possibile reperire gli eventuali aventi diritto, l’Editore si dichiara fin d’ora a disposizione.

ISBN 978-88-6145-704-1 Prima edizione settembre 2015 ristampa anno 7 6 5 4 3 2 1 0 2015 2016 2017 2018 2019 © 2015 Carlo Gallucci editore srl - Roma galluccieditore.com Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl da Longo spa (Bolzano) nel mese di agosto 2015

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Margherita e Rosetta Loy

Pop al pomodoro


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Il Pop, Andy e l’aura Quando senti dire “pop”, un suono che somiglia a quello di un palloncino che scoppia, ti sei mai chiesto com’è nato questo termine, e dove è nato, e qual è la sua parola-seme? Eppure è semplice: sono le prime tre sillabe di “popular”. “Popolare”, in lingua inglese.

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A inventarselo è un artista che, quando nasce a Pittsburgh, negli Stati Uniti, il 6 agosto del 1928, si chiama Andrew Warhola. La sua famiglia è originaria della Slovacchia nord-orientale e da lì i suoi genitori sono emigrati in America all’inizio del secolo. Andrew è un bambino pallido e gracile, molto attaccato alla mamma Julia (lo sarà per tutta la vita). È uno scolaro diligente, ma la sua passione è disegnare. Passa tutto il tempo libero a ricopiare su grandi album i personaggi dei suoi fumetti preferiti e a scrivere lettere piene di ammirazione a Shirley Temple, la bambina prodigio di Hollywood con i riccioli e le fossette. Nel 1945 il goffo adolescente Andrew, tormentato dall’acne, è ammesso ai corsi di disegno e decorazione del prestigioso Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh. Dopo essersi brillantemente diplomato è assunto da un grande magazzino della città. “Un’estate lavorai per un uomo meraviglioso, Mr Vollmer, sfogliando ‘Vogue’, ‘Harper’s Bazaar’ e le riviste di moda europee. Prendevo qualcosa come cinquanta centesimi all’ora e il mio lavoro consisteva nel cercare ‘idee’. Non ricordo di averne mai trovate o che me ne sia venuta alcuna. Mr Vollmer era un mio idolo e mi sembrava tanto affascinante perché veniva da New York. Pensavo però che io non ci sarei mai andato. A 18 anni invece, un amico mi ficcò in una borsina di plastica e mi portò a New York”. Nel giugno del 1949 Andrew si trasferisce nella Grande Mela (così è chiamata New York) e comincia a disegnare biglietti di auguri, cartoline, libri per bambini con la tecnica del blotted line, che consiste nel tratteggiare un disegno a inchiostro e, mentre l’inchiostro è ancora umido, imprimerlo su un foglio di carta assorbente. Poi ne fa delle copie che ripete all’infinito colorandole di rosa-nuvola, azzurro-acquarello, verde-uva (anche l’Album da colorare di Andy Warhol è pubblicato da Gallucci). “Andavo in giro tutto il giorno per trovare lavori da fare la notte a casa. Questa era la mia vita negli Anni Cinquanta: biglietti di auguri e acquarelli, e di tanto in tanto qualche lettura di poesia nei caffè. La cosa che più ricordo di quei giorni, a parte le lunghe ore passate a lavorare, sono gli scarafaggi. Ogni appartamento in cui stavo ne era zeppo”. Andrew Warhola ha intanto assunto lo pseudonimo di Andy Warhol. Comincia a collaborare con riviste importanti come “Vogue” e “Glamour”. Gli commissionano soprattutto disegni di scarpe, dove il suo estro spazia come le nuvole nel cielo, e queste scarpe lo rendono in breve tempo famoso e ricco. Tutto sembra normale, ma in realtà non lo è affatto, perché la pubblicità ha le sue regole, e la fantasia e l’estro di Andy non ne hanno alcuna. 8


Andy capisce subito di vivere in un tempo in cui tutto spinge a “consumare” sempre più in fretta per produrre ricchezza. Così, con un’intuizione repentina, afferra l’essenzialità dell’oggetto in offerta e, invece di consumarlo per poi buttarlo via, lo colora e lo ingigantisce, lo replica e lo resuscita in tante versioni diverse, facendolo balzare fuori dalla sua banalità per farlo assurgere a simbolo dell’Arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Possono essere i fiori disegnati dalla mano di un bambino, o la più famosa delle attrici, Marilyn Monroe, in tante tinte e sfumature diverse. Ma anche una banana o una lattina di Coca Cola; una gigantesca scatola di popcorn; un barattolo di zuppa di pomodoro Campbell o un personaggio dei fumetti. Andy è un genio che non conosce e non accetta regole. Chissà quale profondo piacere gli dà questa dissacrazione che non rispetta neanche la bandiera americana, né lui stesso, Warhol, che si rappresenta con i capelli ritti in testa come uno schizzato. Andy è anche un artista generoso, disposto a condividere i suoi spazi con gli altri. Nel 1963, ormai al culmine della ricchezza e della fama, si trasferisce in un ampio loft (i loft sono grandi spazi non divisi da tramezzi) al 231 Est della Quarantasettesima strada, in quella che un tempo era una fabbrica di cappelli, sulla cui facciata campeggia ancora il nome della ditta produttrice: “Factory”. Warhol riveste le pareti interne del loft con grandi fogli di carta stagnola e la Silver Factory diventa ben presto il suo luogo di elezione, trasformandosi in poco tempo in un’officina di lavoro collettivo per gli artisti dell’avanguardia newyorkese. Più Andy Warhol diventa famoso e ricco, più la Factory si conferma un simbolo della creatività artistica americana, dove nuove opere prendono vita a ciclo continuo. Gli amici, e gli amici degli amici, vanno e vengono a qualsiasi ora del giorno e della notte. Nel 1975 l’artista scrive La filosofia di Andy Warhol (Da A a B e viceversa) e negli Anni Ottanta compare in diversi programmi televisivi da lui prodotti. Affascinato dai grandi artisti italiani del Rinascimento, s’impossessa, sempre a modo suo, dell’Ultima cena di Leonardo e della Nascita di Venere di Botticelli (ma anche dei quadri di Paolo Uccello e Piero della Francesca). Muore a New York a 59 anni, il 22 febbraio 1987. Nella primavera del 1988, secondo le sue ultime volontà, 10mila oggetti a lui appartenuti vanno all’asta per finanziare la Andy Warhol Foundation con l’obiettivo esplicito di “favorire lo sviluppo delle arti visive”. In occasione di una delle sue ultime mostre Andy dichiara: “Alcune aziende erano recentemente interessate all’acquisto della mia aura. Non volevano i miei prodotti. Continuavano a dirmi: ‘vogliamo la tua aura’. Non sono mai riuscito a capire cosa volessero. Ma sarebbero stati disposti a pagare un mucchio di soldi per averla. Ho pensato allora che se qualcuno era disposto a pagarla tanto, avrei dovuto provare a immaginarmi cosa fosse…” Fantastico! Rosetta Loy

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Una sera, un artista: - Che ne dici se ci fermiamo a mangiare qualcosa, cara?

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- Ma sĂŹ... Stavo giusto pensando a un bel cesto di

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