KRAMPUS. Maschere e cartoline
CittĂ di Bolzano Stadt Bozen Assessorato alla Cultura e alla Convivenza Assessorat fĂźr Kultur und aktives Zusammenleben Museo Civico / Galleria Civica Stadtmuseum /Stadtgalerie a cura di Stefan Demetz e Silvia Spada Pintarelli
m a sch ere e c arto l ine
Assessorato alla Cultura e alla Convivenza Assessorat für Kultur und aktives Zusammenleben
Krampus. maschere e cartoline Bolzano, Galleria Civica e Museo Civico 24 novembre 2012 — 24 febbraio 2013
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Patrizia Trincanato
Herlinde Menardi Direzione mostra e coordinamento generale STEFAN DEMETz, SILVIA SPADA PINTARELLI Segreteria L AURA BENAGLIA , L AURA BOT TESI
Stefan Demetz
Progetto grafico GANESHGRAPHICS, Lana Stampa catalogo TEzzELE BY ESPERIA, Bolzano Progetto di allestimento COSTANTIN CHARAL ABOPOULOS, Trento Realizzazione allestimenti ARTEAM, Trento Ideazione e realizzazione video SARAH TREVISIOL e MAT TEO VEGET TI, Bolzano Traduzioni WOLFTRAUD DE CONCINI MADDALENA RUDARI, DONATELL A TREVISAN Promozione ANTONELL A ARSENI Comunicazione Area Comunicazione Comune di Bolzano ISBN: 9788890804205 www.comune.bolzano.it/cultura
Ringraziamenti Associazione Incontri per lo studio delle tradizioni alpine, Karl Berger, “Bewegtes Leben”– Amt für audiovisuelle Medien, Raimondo Domenig, Philipp Fischer, Tiziana Franco, Freiwillige Feuerwehr Brixen, Marta Ghirardelli, Luca Giarelli, Ursula Grilnauer, Peter Grutsch, Marlene Huber, Karl Innerhofer, Intermedia CinemaVideoproduktion, Heinrich Kostner, Krampusmuseum Suetschach, Eva Kreissl, Dieter Laner, Latscher Tuifl, Giovanna Mangione, Simon Mantinger, Lara Magri, Werner Mezger, Chiara Mezzalira, Josef Moser, Antonella Mott, Museo etnografico di Malborghetto, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina San Michele all’Adige, Thomas Nußbaumer, Moreno Oreti, Philipp Pegger, Walter Pesjak, Wolfgang Pfaundler, Hartmut Prasch, Thomas Sachsalber, Schloss Trautenfels, Irene Spada, Barbara Stocker, David Stocker, Tiroler Volkskunstmuseum Innsbruck, Tanja Tomaselli, Videomante Onlus, Volkskundemuseum Graz, Andreas Walter, Felix Weitgruber, Roman Wiesler. Un particolare ringraziamento alla Società del Museo di Bolzano per aver messo a disposizione la collezione di maschere “Karl Wohlgemuth”, a Stefan Klammsteiner e Lukas Tappeiner per i costumi del Krampus e a Günther Kofler per avere gentilmente messo a disposizione la collezione di cartoline “Gruß vom Krampus” e per i suoi preziosi suggerimenti e consigli.
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Paola Hübler
Paola Hübler
Milena Cossetto
Silvia Spada Pintarelli
← 05 Presentazione ← 07 San Nicolò, Klaubauf, Krampus ← 15 “La maschera è l’emblema dell’arte popolare.” Il fascino delle maschere tirolesi e la loro esposizione al Museo Civico di Bolzano ← 19 Karl Wohlgemuth Una vita dedicata al collezionismo ← 23 La collezione di maschere ← 77 Le cartoline del Krampus La collezione Günther Kofler ← 117 San Nicolò. Brevi note sulla storia e la raffigurazione
Con la mostra “Krampus. Maschere e cartoline” l’Assessorato alla Cultura e alla Convivenza del Comune di Bolzano propone una nuova modalità di lavoro: due mostre – al Museo Civico e alla Galleria Civica – trattano la stessa tematica affrontandone però due aspetti differenti e tra loro autonomi. Questa modalità di lavoro sinergico crea importanti collaborazioni sia dal punto di vista concettuale che da quello operativo, trasformando quella che ormai è una necessità di risparmio in una straordinaria opportunità culturale di qualità. Il lavoro comune e la condivisione degli obiettivi di politica culturale nell’ambito delle diverse competenze degli uffici del mio Assessorato stanno portando in questa, come in altre occasioni, frutti positivi per la Città e le sue cittadine e i suoi cittadini e per questo impegno ringrazio sentitamente le mie collaboratrici e i miei collaboratori. Un altro sincero ringraziamento lo porgo – anche nella mia funzione di presidente del Curatorio del Museo – alla Società del Museo di Bolzano e al suo presidente, dott. Gerald Mair. L’ottima collaborazione con la Società ha permesso, anche negli anni passati, di mostrare ad un più ampio pubblico i tesori del Museo Civico: in questo caso la splendida collezione di maschere popolari di cui la Società del Museo è proprietaria. Infine, a nome della Città di Bolzano, ringrazio sentitamente Günther Kofler di Egna che ha messo a disposizione la sua eccezionale collezione di cartoline postali dedicate al Krampus affinché venissero studiate, pubblicate in questo catalogo ed esposte al pubblico. Un gesto di generosità in cui si coglie tutta la passione e l’entusiamo del vero collezionista. Patrizia Trincanato Assessora alla Cultura e alla Convivenza
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San Nicolò, Klaubauf, Krampus HeRlinde MenaRdi
San Nicolò, popolare santo dell’Avvento e figura centrale di numerose usanze diverse e tra loro contraddittorie, richiama alla mente di molte persone delle nostre zone ricordi dell’infanzia: che gioia si provava nel trovare panpepato, frutta e noci nei cestini o nelle ciotole poste sul davanzale! Com’era febbrile l’attesa dell’incontro con il santo vescovo, che dopo un esame più o meno severo oppure dopo averci ascoltato recitare una poesia, distribuiva i suoi doni. Giungeva in compagnia di una figura sinistra: bastava lo sferragliare delle catene o la minaccia di un colpo di frusta per spingere qualche bambino a nascondersi sotto il tavolo. Poi – trascorsa l’infanzia – ci si divertiva a stuzzicare il Krampus: con piacere misto a paura ci si avvicinava di soppiatto al Krampus o al Klaubauf per poi fuggire a gambe levate non appena si veniva scoperti. In piccoli gruppi questi personaggi cominciavano a farsi vedere in città e nelle campagne, quasi una sorta di avanguardia, nei giorni precedenti la festa del 6 dicembre: erano Krampus, Klaubauf, Kathreineler (a Sautens nel Tirolo del Nord), orsi (a Telfs, sempre nel Tirolo del Nord) e altri personaggi spaventosi. In alcuni luoghi queste figure oscure erano tollerate solo perché in compagnia di san Nicolò, che li teneva a bada. La leggendaria figura di san Nicolò nasce dalla fusione di due personaggi storici: il vescovo Nicola di Myra in Licia (nell’odierna Turchia), vissuto probabilmente nel IV secolo, e l’abate Nicola Sionita, vescovo di Pinara, morto nel 564 in Licia. Da essi si sviluppa la figura unica del vescovo di Myra dal potere miracoloso, a partire da leggende risalenti al VI secolo. Le sue reliquie, che all’epoca venivano venerate a Myra, trasudavano un olio medicamentoso e la fama del santo si diffuse rapidamente nella Chiesa d’Oriente. Persino i pellegrini diretti a Gerusa-
lemme facevano tappa a Myra. Le prime reliquie di san Nicolò, patrono dei marinai e liberatore di quanti erano stati ingiustamente imprigionati, comparvero in Occidente già nella seconda metà dell’VIII secolo. Secondo la tradizione, sotto il coro occidentale del duomo di Bressanone esisteva una cripta dedicata a san Nicolò, risalente al 1050–1065. Il pericolo costituito dall’espansione dell’Islam venne utilizzato nell’XI secolo come pretesto per ‘salvare’ (leggasi ‘rubare’) le ossa del santo. Nel 1087 alcuni mercanti le portarono a Bari, dove egli è tuttora venerato. In Germania furono Colonia e Treviri i primi centri del culto di san Nicolò, che conobbe la sua massima diffusione tra il XIII ed il XVI secolo. Due leggende sui miracoli da lui operati in favore dei fanciulli ne fecero il patrono degli scolari, un benevolo amico dei bambini e un latore di doni: si tratta del miracolo in cui egli resuscitò tre scolari assassinati e della leggenda delle vergini, secondo la quale Nicolò regalò delle sfere d’oro a tre fanciulle per salvarle dall’orrendo destino della prostituzione. Il presente saggio sulla tradizione di san Nicolò e del Krampus prende in considerazione essenzialmente l’area culturale del Tirolo storico. All’usanza popolare legata a san Nicolò di mettere dei doni di notte in piatti, ciotole, cestini, scarpe o calze preparate dai bambini si accenna già in una preghiera per fanciulli risalente al XV secolo e proveniente dall’Abbazia di Tegernsee, e ne parlano anche altri documenti dell’epoca. Per lungo tempo l’uso di fare arrivare realmente il santo in visita alle famiglie, santo che poi interrogava e premiava con doni i bambini, rimase circoscritta ai ceti più elevati. Certo è che furono i monasteri a fungere da iniziatori di queste usanze.
[1] Corteo di san Nicolò ad Oberhofen (Tirolo del nord), 1986
[2] Maschera di Lucifero della Recita di san Nicolò a Reith (Tirolo del nord), 1980
Una fonte importante per le usanze di san Nicolò è rappresentata dalle prediche cattoliche d’epoca barocca. Nel 1693 il frate cappuccino tirolese Heribert von Salurn lodava la nuova consuetudine di regalare, nel giorno di san Nicolò, frutta e cose simili ai bambini che pregavano diligentemente. Grazie a questi doni i fanciulli venivano spronati a dedicarsi con devozione alle pratiche religiose. Al più tardi a partire dalla Controriforma si diffuse l’uso di far distribuire dei doni agli scolari dei monasteri e delle scuole ecclesiastiche da parte di un personaggio vestito da vescovo. In questo modo si perseguivano fini pedagogici e di catechesi. Le scuole dei Gesuiti furono le prime in cui venne coltivata quest’usanza. Si deve quindi desumere che ciò avvenisse anche nella Nikolaihaus di Innsbruck, un convitto per “scolari poveri” istituito nel 1587 dall’arciduca Ferdinando II d’Austria. Una fonte scritta cita la visita di san Nicolò come in uso presso la Corte di Monaco di Baviera nel 1680. Al 1700 circa risalgono altri documenti d’archivio, che collocano queste usanze soprattutto in ambito cittadino. Abraham a Santa Clara (1644–1709), predicatore presso la Corte di Vienna, descrive nell’opera Abrahamisches Gehab dich wohl, ritrovata nel 1729 nel suo lascito, l’usanza delle visite alle famiglie. Nella stessa opera egli riferisce anche di degenerazioni in cui san Nicolò si presenta ubriaco o accompagnato da un gruppo di furfanti composto da angeli, diavoli e diaconi. Nel Settecento la tradizione di san Nicolò come portatore di doni è ormai affermata e l’usanza di riempire scodelle o piattini posti sul davanzale permane fino ad oggi. Sul finire del
[3] Sfilata delle Berchten ad Angerberg, Kleinsöll (Tirolo del nord), anni Settanta del Novecento
l’Ottocento, il vescovo venne sostituito da Gesù Bambino, ma in alcune vallate isolate ciò avvenne solo nel periodo tra le due guerre. Non è per nulla facile ricostruire nei dettagli come si sia arrivati ad avere nello stesso gruppo il santo e i suoi oscuri accompagnatori. Anche il numero dei personaggi mascherati presenti nel corteo varia considerevolmente. Di norma i personaggi principali erano due: san Nicolò e un personaggio terrificante che lo accompagnava. Questa coppia di personaggi contrastanti era la personificazione di Paradiso e Inferno, di Bene e Male, di ricompensa e punizione. Angeli, diaconi, diavoli e Klaubauf [fig.1] ritornano anche tra i personaggi delle Recite di san Nicolò, che si diffusero in Tirolo nel Seicento e che ebbero la Chiesa (soprattutto gli ambienti gesuitici) tra i principali promotori. All’inizio del periodo penitenziale dell’Avvento era, infatti, necessario indicare al popolo la retta via, utilizzando a questo scopo rappresentazioni a tema religioso dalla trama ricca di esempi e contenuti moralizzanti. Il momento culminante di queste rappresentazioni era quello della visita di san Nicolò. La serie di eventi esemplari moralizzanti era destinata agli adulti, la scena dell’arrivo del santo che ammoniva i bambini, li interrogava e consegnava loro dei doni si rivolgeva ai fanciulli. Nel corso degli anni tuttavia questa divenne una scena solo marginale. Dalla metà del XVIII secolo sono disponibili i testi delle rappresentazioni di san Nicolò. Esse erano concepite come “recite da stube” con un impianto drammaturgico “a ciclo continuo”. Il palcoscenico era costituito dalla stube contadina e le scene che affrontavano il tema della lotta tra il bene e il male erano costruite in modo tale
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che gli attori, terminata la personale esibizione, potevano proseguire e cominciare da capo in un’altra casa. Spesso si recitava contemporaneamente – con un differimento temporale – in tre case diverse. Gli attori erano spesso povera gente che, recitando, guadagnava qualche soldo o qualcosa di cui cibarsi. Di ampio respiro era la predica del Principe dell’Inferno, o Lucifero, che tra le altre cose castigava la morale e lo scarso timore di Dio delle giovinette, dei giovani e dei coniugi. Oltre a Lucifero c’erano altri diavoli come Belial, il diavolo dei matrimoni e molti Klaubauf. Lo scopo era quello di far capire allo spettatore come egli dovesse continuamente scegliere tra il bene ed il male. L’efficace dialogo tra il giovane e la morte, un topos dello “Jedermann”1, rendeva ben chiaro come la morte potesse carpire chiunque all’improvviso. La scena dell’Angelo custode incitava alla penitenza e al rifiuto dei peccati affinché l’anima potesse poi giungere in paradiso. Le recite che ancora si rappresentano in Sudtirolo sono composte perlopiù di poche scene esemplari (per esempio in valle Aurina), mentre nel Tirolo del nord, ma anche a Braies, una laterale della val Pusteria, le rappresentazioni si sono trasformate in una rassegna di esempi. A partire dalla fine del Settecento le recite tirolesi di san Nicolò cominciarono a contenere in numero sempre crescente scene comiche e satiriche, per non dire delle allusioni erotiche, discostandosi sempre più dall’iniziale intento religioso-pedagogico. Già nel 1795 le autorità tentarono di proibire tali spettacoli nelle stube (siamo ormai in epoca illuministica), ma i relativi decreti non sempre venivano rispettati, per cui essi continuarono ad essere rappresentati – seppur con interruzioni - fino agli inizi del XX secolo, ad esempio a Sesto, a Casies e a Kartitsch (Tirolo del nord). Oggi le recite tradizionali vengono ancora messe in scena a Reith presso Brixlegg (Alpbach, Tirolo del nord) [fig. 2], ad Alpbach (come rievocazioni) ed a Braies come grandi spettacoli. A San Martino e a Palù, frazioni di San Lorenzo di Sebato in val Pusteria, a Terento e a Pfunds (Tirolo del nord) sono in forma minore. Oltre a queste si trovano singole rievocazioni. In alcune località gli spettacoli vennero successivamente trasferiti all’aperto, aggirando in tal modo il divieto sopra descritto. Grazie a questo spostamento all’esterno le rappresentazioni
vennero in contatto e si fusero con la tradizione delle Perchten, originando nel Tirolo orientale sfilate e cortei di Klaubauf e Krampus. Già nel XVIII secolo, l’epoca d’oro delle Recite di San Nicolò, si ebbero contaminazioni e incorporazioni di elementi esterni. La tradizione della visita nelle case (Einkehr), le recite incentrate su san Nicolò e le preesistenti sfilate invernali come quella delle Perchten sono da intendersi in (stretta) correlazione. Nel passaggio di casa in casa di san Nicolò e dei suoi oscuri accompagnatori (Klaubauf, Habergeiß, Stubenkehrer) confluirono elementi tipici delle sfilate invernali (spesso cortei rumorosi di personaggi mascherati) insieme a forme di rimprovero e di questua così come motivi profani. La sfilata delle Perchten in Tirolo è ben documentata sin dal XVII secolo nell’Unterland nordtirolese e nel Tirolo orientale per via degli atti di violenza che avvenivano in quell’occasione, delle lamentele e dei divieti ad essa collegati. Spesso è difficile fare delle distinzione tra sfilata delle Perchten e corteo di san Nicolò perché in essi – come anche nelle recite – il santo e la sua funzione catechistica e didattica avevano perso centralità. Nei libri di protocollo del Governo di Innsbruck per gli anni 1735–1737 si trovano – per esempio per il territorio di Kitzbühel – numerose annotazioni al riguardo. Il cosiddetto Berchtenlaufen (corteo, corsa o sfilata delle Berchten) [fig. 3] si teneva specialmente alla vigilia della festa di san Nicolò e dell’Epifania e veniva dunque chiamato Corteo delle Berchten o Corteo di san Nicolò. I partecipanti erano “spettri spaventosi” con maschere di diavolo, portavano campanacci e si scatenavano girando per tutta la città fino oltre la mezzanotte. Ciò provocava disturbo e continui litigi, veniva violata la pace domestica. Nell’Ordinamento di Polizia Tirolese (Tiroler Landespolizeiordnung) del 30 gennaio 1795 vengono vietate sia le sfilate che le rappresentazioni incentrate su san Nicolò, ma non gli spettacoli popolari. Si considerano invece come cortei delle Perchten solo quelli in cui non compare la figura del vescovo. San Nicolò – già costretto ad un ruolo marginale – diviene dunque un personaggio importante per legittimare questo tipo di usanza. Il vescovo vicario di Mayrhofen si lamentò il 6 dicembre 1815 del fatto che il “santo venisse sfruttato per permettere eccessi contrari all’ordinamento di polizia e alla religione”.
1 Dramma di Hofmannsthal che ha per tema la morte del ricco.
[4] Corteo di san Nicolò a Prato allo Stelvio, anni Settanta del Novecento (?)
[5] Sfilata dei Krampus a Dobbiaco, 2009
Nel 1816 il Governo di Innsbruck promosse l’effettuazione di un’indagine sulle Recite di san Nicolò. Essa contiene preziose indicazioni sulle usanze legate al nome di questo santo. A questo proposito rimando a quanto esposto da Hans Schuhladen nella sua opera dedicata a questa tematica. Nel distretto di Brunico l’usanza dell’Einkehr, della visita in casa del santo, era conosciuta solo in determinate zone. Il Landgericht di Bressanone negava che venissero messe in scena delle rappresentazioni, ma riferiva che in alcune, peraltro assai poche, case private era uso che alla vigilia del 6 dicembre il santo si presentasse in veste pontificale accompagnato da un cosiddetto Klaubauf. Per il Landgericht di Vipiteno le Recite di san Nicolò erano completamente passate di moda, l’usanza si conservava solo in poche case cittadine. Alle persone mascherate non era comunque più permesso di spaventare i bambini “in modo dannoso per la loro salute”. Il Landgericht di Monguelfo riferiva di “mascherate notturne” in cui compariva san Nicolò accompagnato da un seguito celestiale [fig. 4] e da un Klaubauf. I Tribunali di San Candido e Sillian conoscevano l’usanza dell’Einkehr, in cui San Nicolò vestito da vescovo veniva accolto nelle case. Del suo seguito faceva parte il Wauwau che spaventava i bambini cattivi. Il giudice di Lienz segnalava che le cosiddette rappresentazioni di san Nicolò nella sua zona non erano assolutamente così solenni come in altre zone del Tirolo, dove il santo accompagnato da un numeroso seguito celestiale da una parte e dal Klaubauf con i suoi spaventosi servitori dall’altra rallegrava e intimoriva i bambini. Il pubblico più numeroso era comunque formato dagli adulti.
Nel Tirolo orientale le sfilate di Krampus o Klaubauf – derivate dalla tradizione delle Perchten e dalle Recite di san Nicolò – erano in origine di dimensioni assai più modeste rispetto alle attuali e avevano come palcoscenico solo il paese o la frazione. La forma cambiò nel corso del tempo. Accanto ai Klaubaif (nel Tirolo orientale è questa la forma plurale di Klaubauf) e a san Nicolò comparvero le caratteristiche figure dei questuanti Lotter e Litterin. Oggi queste sfilate sono probabilmente gli eventi più rumorosi e scatenati che si tengono nel periodo d’Avvento. Investono persino i territori vicini, come si può osservare ad esempio nella sfilata dei Krampus introdotta nel 1996 a Dobbiaco [fig. 5] o nei cortei del Tirolo del nord. Contaminazioni di questo tipo sono comuni nelle pratiche tradizionali e, così come succedeva nei secoli passati, si possono osservare di continuo. Nella sua opera Sitten, Bräuche und Meinungen des Tiroler Volkes del 1871, Ignaz von Zingerle parla genericamente di un Klaubauf che gira con san Nicolò e interroga, premia e punisce i bambini, e di un Klaubauf che nelle valli dell’Adige e dell’Inn mette i bambini cattivi nel proprio cesto. Egli menziona i Klaubaufen (Klaubaif) o Staniklausen, che vanno nelle case e recitano poesie in rima (Inzing, Pitztal, Außerfern). Il corteo dei Klaubauf del Tirolo orientale oppure l’usanza di Klosn a Stelvio in val Venosta non vengono citati né da Ignaz von Zingerle né da Ludwig von Hörmann, che nel 1909 nel volume Tiroler Volksleben riferì quanto segue su san Nicolò e i suoi accompagnatori. Il sant’uomo non è invisibile come il Gesù Bambino degli abitanti di città, egli compare in carne ed ossa, magnificente e splendente nel suo mantello da vescovo, con la barba fluente, la mitra ed il pastorale do-
[6] Klosen a Stelvio, 2000
rato, viene preceduto da una sorta di araldo che pulisce la tavola e spazza il pavimento. Pone domande ai bambini sul catechismo, loda i diligenti e li premia con mele, noci e dolci. Ammonisce i riottosi e mostra il personaggio che lo segue, il terrificante Klaubauf. “Quest’ultimo è agghindato in modo adeguato. Lo avviluppano pellicce e catene sferraglianti; sulla testa porta corna di caprone, sulla maschera annerita campeggiano due occhi di brace e dalle fauci pende una lunga lingua rossa come il fuoco. Tra le zampe tiene una frusta enorme […]. In altri luoghi invece si dedica più attenzione al Klaubauf che a san Nicolò, ad esempio in val Venosta. In questa valle i bambini, alla vigilia del 6 dicembre, si recano muniti di campanacci su una collina vicina. Qui saltano a tempo provocando un fracasso infernale e quest’usanza bizzarra viene chiamata “svegliare il Klaubauf (Klaubaufwecken)”: ed in effetti la notte successiva il chiamato compare indossando le vesti infernali sopra descritte”. Sul finire dell’Ottocento si diffuse sempre di più la definizione Krampus. Essa soppiantò il termine Klaubauf, abituale nelle zone delle Alpi orientali. Il Klaubauf si ritrova dunque nel XX secolo solo nel Tirolo orientale settentrionale, nell’Alta Venosta e in alcune recite legate a san Nicolò. La definizione Wau, Wauwau, che nelle fonti documentarie viene utilizzata come sinonimo di Klaubauf e qualche volta di diavolo, è riportata anche nel dizionario dell’isola linguistica tedesca di Luserna nel Trentino. Il termine Wau viene tradotto con Klaubauf, spauracchio per bambini. Nel Corteo di Klosen a Stelvio [fig. 6] le figure grottesche o terrificanti hanno acquistato grande autonomia. Gli eventi sono dominati dagli Zwickesel (asini, detti anche Scheller, perché portano
[7] Krampus a Karrösten (Tirolo del nord), anni Settanta del Novecento
i campanacci, gli Schellen, appunto) con abiti fatti di nastri colorati e maschere di stoffa e dai Klaubauf con vesti di stracci e maschere intagliate nel legno, provviste di corna e dalla espressione demoniaca. La figura del vescovo con il suo seguito vestito di bianco, presumibilmente un ingrediente aggiunto nel XX secolo, appare piuttosto sbiadita, quasi relegata al margine. Forse in origine san Nicolò era il protagonista, ruolo che perse poi nel corso di un processo di laicizzazione. Nelle valli ladine di Gardena, Badia e Livinallongo, oltre agli angeli, sono i malans o malangs ad accompagnare il vescovo, anche se a Livinallongo essi sono un’aggiunta successiva. Nella val di Fassa, dove i bambini scrivono anche lettere a san Nicolò, sono i Krampus a spargere terrore, pur tenuti a bada dal santo. Negli ultimi anni anche a Cortina d’Ampezzo il Vescovo è accompagnato in piazza da molti Krampus. Fino alla metà del Novecento i costumi dei Krampus o Klaubauf erano molto diversi da quelli attuali. Indossavano vecchi stracci oppure abiti cenciosi, l’uso di manti di pelliccia era un’eccezione [fig.7]. In una scultura del Tiroler Volkskunstmuseum di Innsbruck, Lucifero indossa una corazza, la cui parte anteriore è legata a quella posteriore da fibbie con rospi intagliati [fig. 8]. Un altro costume da diavolo è fatto di stoffe scure con fiamme dipinte. I diavoli potevano essere anche nudi dalla cintola in su e sul busto veniva spalmata una mistura di grasso e fuliggine. Il volto era mascherato con pelliccia o stoffa con tagli all’altezza degli occhi. Si sono conservate maschere in legno più o meno artisticamente intagliate, provviste di corna di capro, a volte anche di mucca.
[8] Lucifero, Innsbruck, Tiroler Volkskunstmuseum
Le maschere da diavolo del Museo Civico di Bolzano sono per la maggior parte da ascrivere alle Recite di san Nicolò. Accanto ad esse si trovano anche maschere delle Perchten. Provengono per lo più dalla val Pusteria, dalle sue laterali e dalla zona di Lienz. Anche le maschere conservate al Volkskunstmuseum di Innsbruck sono per la maggior parte maschere da spettacolo, ma potevano essere utilizzate anche per altri scopi. Alcuni religiosi temevano che nel travestirsi da diavolo o da Lucifero le forze demoniache potessero passare all’attore. Si pensava perfino che quest’ultimo potesse essere catturato dal demonio. Per questa ragione i giovani che nelle rappresentazioni sacre della Passione recitavano la parte del diavolo avevano sempre con sé qualcosa di benedetto come un amuleto o uno scapolare e per questa stessa ragione molte maschere vennero distrutte per ordine della Chiesa. In questo senso deve intendersi anche la scelta di travestire il diavolo da cacciatore nelle rappresentazioni di san Nicolò, probabilmente su indicazione dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Le maschere di diavolo esposte nel Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige provengono dalla val di Fiemme. Tra di esse, una maschera nera di fuliggine, con una lingua rossa mobile e lunghe corna di capra asimmetriche. Un’altra invece ha corna molto corte, la bocca deforme e il naso schiacciato ed un’altra ancora ha corna di mucca simmetriche, barba a punta e una capigliatura di spugna. Presumibilmente venivano utilizzate per la festa di san Nicolò del 6 dicembre o della vigilia, dove il Krampus è probabilmente una importazione dai vicini territori ladini o tedeschi. In Trentino il Krampus non è altrimenti conosciuto. Dagli anni Settanta del Novecento in Tirolo il Krampus non accompagna più san Nicolò nelle visite alle famiglie ed è stato bandito dalle scuole materne. L’educazione basata sul terrore non è più conforme ai moderni principi pedagogici.
Attraverso i movimenti cattolici giovanili (Katholische Jungschar) anche i sacerdoti ed i pedagoghi si adoperarono per bandire il Krampus. La discussione interessò la figura stessa di san Nicolò, di cui venne messa in dubbio la validità educativa. In alcune località il personaggio venne reinterpretato e utilizzato per trasmettere i valori della solidarietà, della carità e dei rapporti reciproci improntati al rispetto. Il fine, per quanto nobile, non parrebbe del tutto a misura di bambino. Allo stesso tempo l’evoluzione consumistica dell’Avvento ha fatto sì che san Nicolò, affrancato da ogni vincolo religioso, venisse spesso confuso con Babbo Natale, ma questo fenomeno pare in recessione: oggi si osserva una distinzione consapevole tra questi due personaggi. Se fino al 1980 circa i Krampus, riuniti in gruppetti con altre personaggi spaventosi e ormai staccati da san Nicolò, rendevano alcuni paesi poco sicuri, da quegli anni in poi si è modificata la forma dei loro cortei. Risse e atti di violenza che si verificavano con il pretesto della tradizione spinsero alcuni Comuni a tenere appositi registri dei partecipanti e di conseguenza si giunse alla costituzione di vere e proprie associazioni di Krampus, conferendo così una struttura alle loro azioni. Una nuova tradizione ‘guidata’ si è ampiamente sostituita alla precedente. Sin dagli anni intorno al 1990, ma soprattutto da quelli a cavallo tra i due secoli le usanze legate ai Krampus riscontrano un grande successo: non solo nel Tirolo a nord e sud del Brennero, ma in quasi tutti gli altri Länder austriaci, in Baviera ed anche in Slovenia. I nuovi cortei, arricchiti da spettacoli, fuochi artificiali, nuove maschere e preferibilmente musica heavy metal attirano spettatori da vicino e da lontano. Questi ultimi – separati dai protagonisti – seguono l’azione con eccitazione, gioia ed entusiasmo. In alcune località viene concesso a san Nicolò di aprire o chiudere il corteo: ancora una volta dunque si sfrutta il personaggio per legittimare la tradizione.
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“Un’usanza antica quasi quanto l’umanità” (“Ein Brauch fast so alt wie die Menschheit”): così intitolava l’inserto del quotidiano Dolomiten il proprio reportage sul corteo dei Krampus di Dobbiaco nel 1999. Leggendolo si scopre che gli stessi ragazzi, che appena dieci anni prima si avvicinavano pieni di paura al manipolo di Krampus per poi fuggire via a gambe levate per non essere catturati, erano riusciti a trasformare un’usanza modesta in un evento di grandi proporzioni: la più grande sfilata dei Krampus dell’Alto Adige, con annesso corteo di san Nicolò. Il corteo dei Krampus viene interpretato ancora una volta come antichissima usanza precristiana, una supposizione per la quale non ci sono fonti. Nel caso concreto ci si riferisce ai linguisti Egon Kühebacher di San Candido e Friedrich Haider, il cui libro Tiroler Brauch im Jahreslauf poggia su concetti romantici ottocenteschi che produssero i loro effetti fino alla seconda metà del secolo seguente. Da molto tempo questo punto di vista si è rivelato errato. I più antichi riferimenti alla sfilata dei Klaubauf risalgono, infatti, solo al XVIII secolo, quelli relativi alle Perchten e alle Recite di san Nicolò al Seicento. Sono soprattutto i gruppi formatisi negli ultimi vent’anni che vogliono richiamare antiche tradizioni e sottolineare radici arcaiche. L’usanza appena introdotta o resuscitata deve avere un aspetto quanto più ‘primitivo’ possibile e possedere caratterizzazioni locali. Ciò è contraddetto dal carattere di ‘grande evento’ tipico delle odierne sfilate dei Krampus. Nell’epoca della globalizzazione e di internet, strumento di cui si servono anche le associazioni di Krampus, queste usanze vengono intese come antipodi all’omologazione e come espressione di identità regionale.
Bibliografia: I. VON ZINGERLE, Sitten, Bräuche und Meinungen des Tiroler Volkes, Innsbruck 1871. L.VON HöRMANN, Tiroler Volksleben, Stuttgart 1909. H. SCHUHLADEN, Zur Geschichte von Perchtenbräuchen im Berchtesgadner Land, in Tirols und Salzburg vom 16. bis zum 19. Jahrhundert, in “Bayerisches Jahrbuch für Volkskunde 1983/84”, pp. 1–29. H. SCHUHLADEN, Die Nikolausspiele des Alpenraums. Ein Beitrag zur Volksschauspielforschung, (Schlern-Schriften 271), Innsbruck 1984. W. MEZGER, St. Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993. K. BERGER, Heidnische Rituale in modernen Zeiten? Eine volkskundliche Skizze über gegenwärtige Tendenzen bei Krampusbräuchen in Tirol, in “Tiroler Heimatblätter 2004”, Heft 7, pp. 120–125. K. BERGER, Dunkle Gestalten zu heiligen Zeiten, in Nikramo: Entlarvt. Ein Buch über Osttirols Krampusbrauch & seine Schnitzer, Lienz 2009 oppure 2010, pp. 10–38.
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“La maschera è l’emblema dell’arte popolare” Il fascino delle maschere tirolesi e la loro esposizione al Museo Civico di Bolzano
S T e fa n d e M e T z
Tra le ricche collezioni conservate al Museo Civico di Bolzano, quella delle maschere storiche è una delle più importanti. Non solo per la qualità e la quantità dei pezzi che la compongono – aspetti che vengono approfonditi nell’intervento di Paola Hübler in questo stesso catalogo – ma anche per la carica suggestiva che contraddistingue gli oggetti esposti: si tratta di manufatti ideali per una presentazione museale. Ma in cosa risiede il fascino che sprigiona dalle maschere? Perché il nostro sguardo viene catturato e affascinato da simulacri misteriosi, non-umani, spaventosi? Perché il belga James Ensor dipinse quasi esclusivamente persone mascherate, e perché la maschera svolge un ruolo centrale anche nell’opera di August Rodin? “Le maschere occultano il volto. Si dice: Quando cade la maschera, si mostra il vero volto. La maschera è infatti un rigido involucro esteriore che come uno scudo di protezione impedisce a chi ci guarda di riconoscerci e di intuire le nostre vere intenzioni. La maschera ci preserva e ci aiuta a mimetizzarci, a ingannare gli altri oppure a prenderli in giro. Solo il volto vero dietro la maschera rivela la nostra vera identità. le maschere nascondono.” (Albert Lutz) Le maschere non si limitano tuttavia ad essere solo mascheramenti e travestimenti. Possono rappresentare anche un ponte verso altre dimensioni. “Indossando una maschera ci si può trasformare completamente in un altro essere: in uno spirito, in un mitico avo, un animale o una vecchia. Nella maschera incontriamo un
essere vero e proprio, effettivo. Il confine tra maschera e mascherato si dissolve, la differenza svanisce: la maschera è il volto, la maschera rivela.” (Albert Lutz) La sostanza esistenziale di cui è fatta la maschera viene così sintetizzata da Ralf Beil: “Poiché la maschera disvela occultando e occulta mostrando, essa tocca le radici dell’umano e della vita stessa.” Ce lo conferma anche l’aneddoto del diavolo collegato a una maschera di Predoi in valle Aurina (cfr. scheda CM 6799 nel testo di P. Hübler), cui Karl Wohlgemuth dedicò un’apposita nota nel registro della sua collezione. Una curiosità a noi tramandata che in ogni caso sottolinea l’effetto magico che le maschere, soprattutto quelle terrorizzanti e malvagie, producono sia sullo spettatore che su chi le indossa. La fortunata circostanza per cui il Museo Civico di Bolzano dispone oggi di una raccolta davvero significativa di ben 66 maschere tirolesi, si deve al fatto che a cavallo tra l’Otto- e il Novecento nei circoli eruditi era andata maturando la consapevolezza delle profonde esperienze esistenziali che il genere umano fa attraverso le maschere, insieme all’apprezzamento per la loro forte espressività estetica, alle misteriose e apparentemente millenarie tradizioni ad esse legate e anche semplicemente alla qualità artistica e artigianale di questi pezzi da collezione. Per il collezionista Karl Wohlgemuth – fu lui che raccolse la maggior parte delle maschere che compongono il patrimonio del Museo Civico
[1 –2] Le vetrine con le maschere nel 2003
di Bolzano – le maschere erano state il motore primo del suo interesse per l’arte popolare tirolese. Lo avevano scosso ed entusiasmato le parole di congedo del noto etnografo berlinese Adolf Bastian, il quale gli aveva dato un incarico che divenne suo obiettivo supremo: “La maschera è l’emblema dell’arte popolare. La sua terra ne abbonda, quindi vada e si metta a cercare!”. Le maschere costituirono sicuramente il maggior successo e il culmine della sua appassionata attività di collezionista. Grande fu la sua soddisfazione quando riuscì ad acquisire i suoi primi pezzi tirolesi, maschere del cosiddetto Pragser Nikolausspiel, una grande Recita di san Nicolò, e le “grottesche” maschere sataniche della rappresentazione della Passione a Sarentino. Ma già dopo poco tempo si accorse che la sua terra d’origine non era la riserva di caccia più adatta per trovare maschere autentiche. “Il vero regno delle maschere, quello che mi permise di procacciarmi centinaia di ‘volti feroci’, fu tuttavia il territorio delle valli a sud dei Tauri.” E così, per quanto riguarda il Tirolo, il collezionista bolzanino spostò il baricentro del suo lavoro su altri oggetti, più fruttuosi.
XXI al secondo piano. La guida illustrata al museo, compilata da Edoardo (Wart) Arslan e stampata solo nel 1942, elenca le maschere in modo sommario e abbastanza casuale verso la fine di una lista di altri oggetti di legno intagliato o dipinto della “ricca collezione d’arte Wohlgemuth di arte popolare”, a cui però non viene dedicata nemmeno una foto nella parte illustrativa di ben 38 pagine. Nel percorso museale riaperto da Nicolò Rasmo dopo la Seconda Guerra Mondiale le maschere rimasero al secondo piano, ma vennero sistemate ed esposte in tre vetrine nella piccola anticamera che precedeva il cosiddetto deposito Wohlgemuth, che già all’epoca di Arslan era stato allestito nel lucernaio dell’ex sala convegni a due piani. Questa angusta collocazione rimase per lo più inalterata fino alla chiusura temporanea del Museo nel 2003 [figg. 1–2] e si trova solo velocemente citata nelle edizioni del 1968 e del 1981 della guida di Rasmo al Museo. Nell’edizione del 1968 la figura 52 ci mostra finalmente una delle maschere: si tratta della maschera con la barba di licheni [cfr. scheda CM 6869] della val Pusteria.
L’attenzione che dedichiamo oggi alle maschere tirolesi e il valore che attribuiamo loro nel contesto del nostro patrimonio museale non è cosa scontata. Fanno parte del Museo Civico da più di un secolo, ma non sempre fu loro riservata l’ammirazione di cui furono inizialmente oggetto da parte di Karl Wohlgemuth e dei suoi illustri consulenti artistici al di là delle Alpi. La raccolta etnografica dell’insegnante Wohlgemuth fu esposta nel nuovo museo già nel 1905–1906. Nel 1909 la Società del Museo acquistò per 18.000 corone i pezzi riferibili alla val d’Isarco e alla val Pusteria, tra cui probabilmente anche il nucleo portante della collezione di maschere trattato dettagliatamente da Wohlgemuth nel suo primo registro. Come e con quale approccio concettuale furono presentate le maschere è cosa purtroppo ignota per la scarsità di fonti a riguardo. Negli anni Trenta – la gestione del Museo era passata, su ordine del regime fascista, al Comune di Bolzano e l’edificio del Museo era stato ampiamente rinnovato con conseguente ricollocazione delle collezioni – le maschere furono per la prima volta poste nella sala
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli ambienti accademici iniziano a dedicare maggiore attenzione alle maschere bolzanine. Vanno citati, in questo senso, soprattutto i lavori di Anton Dörrer (Innsbruck) sull’usanza delle maschere in Tirolo, in cui sono presenti numerosi riferimenti alla collezione del Museo di Bolzano. Di notevole interesse è anche il volume Masken in Mitteleuropa. Volkskundliche Beiträge zur europäischen Maskenforschung (Vienna 1955), dove a pagina 42 Leopold Schmidt, (forse un po’ troppo) criticamente, tratteggia così la figura di Karl Wohlgemuth: “uno di coloro che svendette l’arte popolare tirolese prima della Prima Guerra Mondiale.” La prima monografia dedicata alle maschere bolzanine – che quindi costituisce anche il primo vero riconoscimento pubblico loro tributato – esce solo nel 1957: Mary de Rachewiltz, la figlia di Ezra Pound, residente a Castel Fontana presso Quarazze, pubblica un libretto di formato particolarmente piccolo ma redatto con cura bibliofila e intitolato Maschere tirolesi, cui nel 1960 segue l’edizione tedesca Tiroler Masken. Nonostante la
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quasi totalità delle 25 immagini riprodotte nel libretto fosse riferibile alle maschere del Museo Civico di Bolzano, l’esposizione temporanea organizzata in occasione della stampa del volume tedesco non ebbe luogo a Bolzano (sic!), bensì nel Kurhaus di Merano, dove presumibilmente vennero esposte anche parecchie maschere bolzanine. Le due edizioni del libretto sono diverse sia per contenuto che per immagini: nella versione italiana vengono descritti nel dettaglio il canovaccio e i protagonisti di una Recita di san Nicolò a Gais, che tuttavia non hanno alcun nesso diretto con le maschere raffigurate, di cui nemmeno una proviene da Gais. Il baricentro dell’opera ruota completamente intorno al ruolo delle maschere e quindi alla loro classificazione da un punto di vista etnografico-filologico. Nell’edizione tedesca l’autrice si limita ad un’introduzione generica senza evidenziare origine e nessi di comune appartenenza delle maschere raffigurate. Sono di un certo interesse le fotografie panoramiche delle vetrine del Museo, che documentano la sistemazione operata da Rasmo (qui già descritta), la quale aveva a sua volta trascurato tali aspetti. Verso la fine del Novecento si assiste un po’ ovunque ad una rinascita dell’usanza delle maschere, ovviamente con premesse ed in contesti del tutto nuovi e differenti dal passato. Questo fenomeno porta anche ad un rinnovato interesse per le maschere lignee. A questo particolare tipo di maschere, molto diffuso nell’area alpina, si ricollega indirettamente pure la mostra Maschere, saltari e spaventapasseri, organizzata nel 2001 a Castel Roncolo nei pressi di Bolzano: per indagare, anche attraverso il contributo di esperti del settore, il fenomeno degli spauracchi furono esposte 24 maschere, tutte provenienti dal Museo Civico di Bolzano, nonché altri oggetti riferibili al tema. Nel 2006, infine, a Bari viene allestita un’importante mostra dedicata alla figura di san Nicolò, per la quale gli organizzatori chiedono ed ottengono in prestito dal Museo di Bolzano due maschere della valle Aurina. Nei cataloghi di entrambe le mostre (Castel Roncolo e Bari) si trovano puntuali approfondimenti sui singoli pezzi, di cui viene riportata tutta la documentazione disponibile. Si tratta della prima volta, dopo quasi un secolo di vita della collezione,
che per le maschere viene adottato un criterio di descrizione che rispetta gli standard internazionali diffusi da decenni per gli oggetti messi in mostra. Nel 2009–2010 viene effettuata la catalogazione sistematica dei pezzi secondo gli standard ministeriali che trova un’ulteriore e per ora definitiva integrazione nel presente volume. Infatti, grazie alle annotazioni e ai disegni di Wohlgemuth che egli stesso raccolse in un registro di documentazione – fortunatamente uscito indenne dalle tumultuose vicende che hanno caratterizzato il secolo scorso – oggi disponiamo di tutte le informazioni essenziali sull’uso specifico delle singole maschere e sulla loro provenienza. Sono questi gli aspetti che forniscono alla collezione un valore particolare che va al di là della forza di suggestione e della qualità estetica di singoli pezzi. A differenza di quanto avveniva nel precedente percorso museale, la presente mostra temporanea mette in rilievo anche e soprattutto questi elementi, che sono imprescindibili per una completa comprensione delle maschere conservate al Museo Civico.
Bibliografia: K. M. MAyR (a cura di), K. Wohlgemuth, Selbstbiographie, in “Jahrbuch für Geschichte, Kultur und Kunst 1931-1934”, Bozen 1934, pp. 169-208. E. ARSLAN, Il museo dell’Alto Adige, Roma 1942. M. DE RACHEWILTZ (a cura di), Maschere tirolesi, Milano 1957. N. RASMO, Il Museo Civico di Bolzano. Guida breve, Bolzano 1968 (III ristampa riveduta e corretta, 1981). Maschere, saltari, spaventapasseri. Spauracchi a Castel Roncolo, catalogo della mostra di Castel Roncolo, Bolzano 2001. A. LUTZ, Masken. Gesichter einer anderen Welt, catalogo della mostra del Museum Rietberg, Zürich 2003. M. BACCI (a cura di), San Nicola. Splendori d’arte d’Oriente e d’Occidente, catalogo della mostra di Bari, Pesaro-Milano 2006. MUSEUMSVEREIN BOZEN (a cura di), 125 Jahre Museumsverein Bozen. Ein Stück Südtiroler Zeitgeschichte, Bozen 2007. R. BEIL (a cura di), Masken. Metamorphosen des Gesichts von Rodin bis Picasso, catalogo della mostra di Mathildenhöhe Darmstadt, Ostfildern 2009.
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Karl Wohlgemuth Una vita dedicata al collezionismo
Pa O l a H Ü Bl e R
La raccolta di maschere conservata al Museo Civico di Bolzano comprende 66 oggetti, dei quali ben 58 vennero acquistati da Karl Wohlgemuth all’inizio del XX secolo. Essi provengono per la maggior parte dalle valli orientali dell’Alto Adige e dal Tirolo orientale. La personalità di Wohlgemuth è poco nota sia al pubblico sia agli adetti ai lavori. Nacque a Bolzano nel 1867 dove visse fino al 1914; il padre era commerciante e gestiva un negozio di stoffe sotto i Portici, lo zio aveva fondato una piccola casa editrice che portava il nome di famiglia. In età giovanile Wohlgemuth si era dedicato alla raccolta di minerali e poi di preparati zoologici, inizialmente sotto la guida del suo insegnante, intessendo nel tempo relazioni con appassionati e studiosi del campo. A 22 anni aveva conseguito il diploma di maestro e, nonostante le diverse offerte di lavoro all’estero che ricevette durante la sua vita, preferì rimanere a Bolzano. Morì nel 1933 a Riva del Garda dove si era trasferito qualche anno prima per motivi di salute. Alla fine dell’Ottocento era nata in Germania una nuova disciplina, l’etnologia, distinta tra Völkerkunde, che aveva come oggetto di studio i popoli primitivi extraeuropei, e Volkskunde, il cui campo di indagine erano i fenomeni culturali (usanze, tradizioni, costumi, canti popolari, ecc.) della popolazione rurale europea. All’età di 28 anni Wohlgemuth fece un’esperienza che lui stesso definì determinante per la sua futura attività di collezionista: visitò l’allora neo costituito Museum für Völkerkunde di Lipsia. “Attaccai al chiodo la mia amata zoologia e mi buttai a capofitto sull’etnologia e l’etnografia della mia patria”1 . Wohlgemuth mostrò quindi grande lungimiranza nel tuffarsi con tale passione sullo studio
della cultura dell’uomo. Nei seguenti 15 anni, durante i quali si avventurò in terre lontane, raccolse ben 1600 manufatti soprattutto dei popoli indigeni della Nuova Guinea, Nuova Zelanda, Africa e Giappone, oltre ad abiti, modellini di slitte e canoe degli Eschimesi, strumenti per la difesa e l’offesa di alcune tribù indiane della America settentrionale, mummie, vasellame e armi degli Indios delle foreste del Brasile e del Perù. Questa raccolta esotica, divisa per paese di provenienza, era esposta in una sala del Museo di Bolzano e doveva suscitare non poco stupore nel visitatore di allora. Essa fu venduta nel 1910 per una somma irrisoria al neo costituito Museum für Völkerkunde di Gießen (Germania). L’amarezza di Wohlgemth per il rifiuto della sua città natale di acquisire la raccolta fu grande: “Imballata in 26 casse, la mia raccolta se ne andò a Gießen, a formare il nucleo del Museo di etnologia. L’opera di tutta una vita se ne partì, mentre io rimasi a casa. Forse sarebbe stato meglio se anch’io, allora, l’avessi seguita (…)”2. Invece, per la fortuna dei posteri, la raccolta di oggetti attinenti alle tradizioni popolari della nostra regione, che il collezionista sempre in quegli anni era riuscito ad assemblare durante le sue frequenti escursioni nelle valli dell’Isarco e della Pusteria, aveva trovato unanime interesse presso la Società del Museo di Bolzano che acquistò tra il 1909 e il 1933 circa 4000 oggetti, tra questi anche le preziose maschere. E proprio a proposito delle maschere Wohlgemuth racconta: “Anni fa mi stavo congedando dal direttore del Museum für Völkerkunde di Berlino, prof. dott. Bastian, quando egli si rivolse a me e disse: ‘La maschera è l’emblema dell’arte popolare. La sua terre ne abbonda, quindi vada e si metta a cerchare. E tenendo sempre in mente le parole di commiato del dott. Bastian,
mi dedicai diligentemente alla ricerca delle maschere ed ebbi la fortuna che le prime che trovai erano quelle della recita di san Nicolò di Braies e subito dopo quelle della Passione di Sarentino, con i suoi diavoli grotteschi.” 3 L’interesse dello studioso, in linea con i principi del collezionismo del tempo, era rivolto soprattutto verso quei manufatti rurali della sua regione che, legati ad un’usanza specifica, rivestivano particolare valore estetico, che erano decorati (arte popolare) o che avevano caratterisitiche di rarità o curiosità. La sua raccolta, comunque, non ebbe mai pretese di completezza 4, infatti non comprende manufatti provenienti dalla valle dell’Adige, dalla Venosta e dalle vallate ad esse collaterali. Per quale motivo Wohlgemuth abbia completamente tralasciato di collezionare oggetti provenienti dalle zone occidentali dell’Alto Adige, non lo spiega direttamente; forse il legame affettivo con la terra di origine della madre, Sillian (in alta val Pusteria, Austria), e il fatto che da ragazzo avesse trascorso le vacanze estive in varie località della val d’Isarco e della val Pusteria, aveva fatto nascere in lui la predilezione e anche una certa maggior consuetudine con queste zone. 5 Durante la sua vita lo studioso aveva acquisito vaste conoscenze etnografiche delle quali purtroppo non ha lasciato molte memorie scritte. Uniche eccezioni sono gli accurati inventari degli oggetti da lui raccolti che ne riportano la provenienza, una breve descrizione con a fronte l’immagine (dapprima un disegno e successivamente una foto) e talvolta l’occasione d’uso. Tali scritti sono sopravvissuti alle varie vicende del Museo Civico e rappresentano una fonte d’informazione importantissima per la catalogazione delle raccolte che si è avviata da alcuni anni. Karl Wohlgemuth fu dunque il pioniere nell’ambito del collezionismo e dello studio degli oggetti riferibili alle tradizioni popolari nella nostra regione. Alla sua instancabile passione per questi manufatti dobbiamo la raccolta etnografica conservata al Museo Civico di Bolzano e, in particolare, il nucleo delle maschere esposte in questa mostra temporanea. La passione di una vita ha salvato da un incerto destino questi piccoli tesori ed è grazie a Karl Wohlgemuth se oggi possiamo ammirare nelle loro variegate sembianze i diavoli che tuttora suscitano stupore e talvolta incutono timore in chi li osserva.
1 “Ich hing meine geliebte zoologie an den Nagel und ging mit fliegenden Fahnen zur Völkerkunde und dann zur Volkskunde meiner engeren Heimat über.” M. MAYR (a cura di), Karl Wohlgemuth. Selbstbiographie, in “Jahrbuch für Geschichte, Kultur und Kunst, 1931–1934”, Bozen 1934, p. 194. 2 “In 26 Kisten verpackt, ging sie (die Sammlung) nach Gießen, um dort den Grundstock für ein Museum für Völkerkunde zu bilden. Mein Lebenswerk ging, ich blieb in meiner Heimat zurück. Vielleicht wäre es besser gewesen, ich wäre damals mitgegangen(…)”. Ivi, p. 195. 3 “Es war vor Jahren. Ich verabschiedete mich gerade vom Direktor des Museums für Völkerkunde in Berlin Prof. Dr. Bastian, welcher zu mir noch meinte: ‘Die Krone der Volkskunst ist die Maske. Suchen Sie in Ihrem daran so reichen Lande fleißig darnach!’. Und stets die Abschiedsworte Dr. Bastians im Kopfe, machte ich mich emsig hinter der Maskenforschung her und hatte auch Glück dabei, denn gleich das erste was ich aufforschte, war das prächtige Pragser Nikolausspiel und bald darauf folgten die Reste des Sarntheiner Passionsspiels mit seinen grotesken Teufeln.” Ivi, p. 198. 4 Come spiega lui stesso: “Le mie raccolte non possono e non vogliono avere pretesa di completezza. Rappresentano solo le esperienze e la diligenza di un singolo collezionista”. (“Meine Sammlungen wollen und dürfen nicht Anspruch auf Vollständigkeit erheben. Sie stellen nur die Erfahrungen und den Sammelfleiß eines Einzelnen dar.”) Ivi, p. 197. 5 “Era la bellezza delle Dolomiti, che mi spingeva ad ammirarne ogni cima. Due sono le bellezze del mondo che ho potuto conoscere a fondo: l’alta montagna e il mare, ma alla prima va la mia predilezione.” (“Vornehmlich waren es die Dolomiten, deren Schönheit ich wohl in allen ihren Einzelgruppen genießen konnte. Ich habe auf der Welt zwei Schönheiten kennengelernt: das Hochgebirge und die See. Ich kenne beide gut, aber dem Hochgebirge gebe ich den Vorzug”). Ivi, p. 188.
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Registro di inventario, Bolzano, Museo Civico
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8 6
5 12 2
13 1 14 4
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La collezione delle maschere Pa O l a H Ü Bl e R
1
BADIA [2]
2
BRAIES [7][1]
3
BRIXLEGG [2]
4
C ASTELROT TO [1]
5
LIENZ [2]
6
FAL ZES [2]
7
HALL [1]
8
ISELTAL [3]
9
OBERTILLIACH [3]
10
PRAEGRATEN [4]
11
SANKT JAKOB in Defereggen [2]
12
SANTO STEFANO presso Brunico [1]
13
SARENTINO [3]
14
SELVA di val Gardena [2]
15
TERENTO [1]
16
VAL AURINA : CADIPIETRA [6]
17
VAL AURINA : C AMINATA [1]
18
VAL AURINA : LUTAGO [1]
19
VAL AURINA : SAN GIACOMO [6]
20
VAL AURINA : SAN GIOVANNI [5]
21
VAL AURINA : PREDOI [6] sconosciute [6]
01 | recita di san nicolò al Museo sono conservate 25 maschere per la Recita di san Nicolò provenienti dalla val Pusteria, val di Braies, valle aurina e dal Tirolo orientale. 1
← Val Pusteria
Le 66 maschere che compongono la raccolta del museo civico di Bolzano avevano occasioni d’uso differenti. La maggior parte di questi manufatti si riferisce a recite vere e proprie di contenuto religioso (Recita di san Nicolò, d’Avvento, dei Re Magi e della Passione) o profano (Recita del Dottor Faustus e del Pastore di capre). Altre, invece, erano legate a cortei carnevaleschi (Corteo degli Huttler e Corsa delle Perchten). Inoltre alcune maschere da buffone erano usate durante le feste di matrimonio. Volendo rispettare ed evidenziare la varietà delle occasioni, le maschere vengono presentate distinte per uso e per luogo di provenienza. Dalla cartina alla pagina precedente si può notare, a colpo d’occhio, che il maggior numero di maschere proviene dalla val Pusteria e dalle valli collaterali, mentre risultano completamente assenti le valli dell’Adige e la Venosta.
1 Sulla Recita di san Nicolò si rimanda al saggio di Herlinde Menardi in questo stesso volume.
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maschera di san nicolò per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Santo Stefano presso Brunico, legno intagliato e dipinto. ← CM 6712 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto; sopracciglia, barba e baffi grigi; occhi contornati di rosso; incarnato rosa; bocca rossa.
maschera di diavolo per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Terento (maso Kuenhof), legno intagliato e dipinto, corna di ariete. ← CM 6818 Descrizione: maschera in legno intagliato dall’incarnato biancastro; capelli e barba bipartita di color marrone; bocca rossa; sopracciglia blu con ciglia di setola di maiale. La particolarità di questa maschera risiede nel fatto che in origine era una maschera di san Nicolò, poi trasformata in maschera di diavolo applicando sul capo le corna di un montone.
← Val di Braies
Il Museo conserva cinque maschere e un mantello utilizzati per la Recita di san Nicolò a Braies (valle laterale della val Pusteria), una delle recite più importanti e articolate che si tenevano in Alto Adige. Secondo Wohlgemth questa recita fu importata in val di Braies agli inizi del Settecento dai minatori (Knappen) della valle dell’Inn e pare sia stata rappresentata per l’ultima volta nel 1879 1. Le maschere sono in legno intagliato e dipinto, e rappresentano Lucifero, il Diavolo, il Klaubauf (Babau, due maschere) e la Morte. Il Museo conserva inoltre il mantello del Kehraus, una specie di veste con sonagli (Schellenkleid), in tessuto di lino, addobbata con diavoli e serpenti di tela rossa. Fungono da sonagli gusci di lumache e di noci applicati come pendenti che, urtandosi tra di loro, provocavano un rumore sordo 2. Oltre alle maschere, riporta sempre Wohlgemuth, veniva utilizzata nella stessa occasione rituale anche una pelliccia d’orso, lacerata, e in seguito probabilmente eliminata per il cattivo stato di conservazione. Essa apparteneva all’ultimo orso della zona, che pare sia stato ucciso nel 1813. Narra infatti Wohlgemuth che un contadino gli gettò in testa la pelliccia dall’alto del sottotetto della sua casa esclamando: “Ecco qui la pelliccia dell’ultimo orso della val di Braies”. In quel frangente egli venne a sapere che fu usata dapprima dal personaggio che impersonava il diavolo e in seguito dai cacciatori della zona per avvicinarsi di soppiatto alle prede 3. Sulla recita di Braies Wohlgemuth aveva raccolto anche ulteriori informazioni e il testo in versi che purtroppo è ora introvabile.
maschera di lucifero per la recita di san nicolò, sec. XVIII?, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto, corna di ariete, stoffa e paglia, cuoio. ← CM 6670 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto di rosso e giallo-oro su base nera; occhi a mandorla contornati di rosso e giallo-oro; naso largo e schiacciato; baffi formati da uno spessore di cuoio; bocca forata con mento mobile, contornata da labbra rosse, sei denti superiori color giallo-oro e due denti appuntiti inferiori ai lati della lingua; guance dipinte di rosso; al posto delle orecchie due corna di ariete striate di nero e rivolte in avanti; due corna di ariete striate di nero anche superiormente che si attorcigliano lateralmente; internamente provvisto di tre cuscinetti, due riempiti di paglia all’altezza delle guance e uno piccolo sul mento per appoggiare più comodamente la maschera al viso; triangolo di cuoio per fissare la stessa all’altezza della fronte. Come si evince dal disegno del registro di Wohlgemuth, originariamente c’era anche un pezzo di stoffa scuro attaccato al collo, non ritrovato.
26|27 1 Wohlgemth ricorda che ritrovò le maschere per la Recita di san Nicolò grazie al suo amico Johann Appenbichler, oriundo della val di Braies e insegnante a Villa Ottone. K. M. MAYR, (a cura di), Karl Wohlgemuth. Selbstbiographie, in “Jahrbuch für Geschichte, Kultur und Kunst” 1931–1934, Bozen 1934, p. 169–208, in partic. p. 198. Sulla Recita di Braies e più in generale sulla tematica, cfr. H. SCHUL ADEN, Die Nikolausspiele des Alpenraumes. Ein Beitrag zur Volksschauspielforschung, (Schlern-Schriften 271), Innsbruck 1984. 2 Wohlgemuth scrive testualmente nel registro delle collezioni che il Museo conserva a p. 208: “Altes Nikolausspiel von Prags im Pustertale, vor ca. 200 Jahren von Inntaler Knappen in Prags eingeführt, 5 Masken mit Bärenmantel und Schneckenhäuselkittl. Das ganze Reimspiel nebst Daten über das Spiel ist dabei. Das alte Pragser-Nikolausspiel wurde 1879 das letzte Mal aufgeführt.” 3 Nella sua autobiografia Wohlgemut narra la circostanza del ritrovamento della pelliccia: “Einmal warf mir ein Bauer vom Dachboden seines Hauses ein altes Bärenfell auf den Kopf mit den Worten ‘Da hast den letzten Bären der 1813 im Pragsertal geschossen worden ist!’. Dieses Bärenfell diente lange Jahre als ‘Teufelshaut’ beim dortigen Nikolausspiel.” Ivi, p. 207.
maschera di diavolo per la recita di san nicolò, sec. XVIII?, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto, stoffa, pelliccia e metallo. ← CM 6684 Descrizione: maschera di diavolo in legno intagliato, ricavato da una scodella e dipinto di rosso e bianco su base nera; occhi a mandorla contornati di rosso; naso pronunciato con narici rosse; baffi e barbetta in stoffa nera e pelliccia grigia; bocca forata con labbra dipinte di rosso e denti bianchi intagliati; due corna di legno nere intagliate e rivolte verso l’esterno; barretta di metallo fissata sulla fronte e ricurva verso l’interno; internamente all’altezza delle guance due spessori di legno foderati di stoffa e un pezzo di stoffa sul mento servono per appoggiare più comodamente la maschera al viso.
← Val di Braies
maschera di Klaubauf (Babau) per la recita di san nicolò, sec. XVIII?, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto e corna di ariete. ← CM 6686 Descrizione: maschera di diavolo in legno intagliato e dipinto di rosso e bianco su base nera; occhi a mandorla contornati di rosso e bianco; naso largo e schiacciato; bocca forata con mento mobile, contornata da labbra rosse, cinque denti superiori color bianco e due denti inferiori appuntiti ai lati della lingua; guance dipinte di rosso; due corna di ariete striate di nero e rivolte verso l’alto; internamente meccanismo per muovere il mento tirando una corda. Originariamente c’era anche un pezzo di stoffa attaccato al collo, non ritrovato, come si evince dal disegno del registro di Wohlgemuth.
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maschera da Klaubauf (Babau) per la recita di san nicolò, sec. XVIII?, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto e corna di ariete. ← CM 6696 Descrizione: maschera di diavolo per la Recita di san Nicolò in legno intagliato e dipinto di rosso e giallo-oro su base nera; occhi a mandorla, accentuati verso l’alto, contornati di rosso e giallo-oro; naso largo e schiacciato; bocca forata con mento mobile, contornata da labbra rosse, sei denti superiori e sei inferiori bianchi; guance dipinte di rosso; al posto delle orecchie due corna nere di ariete attorcigliate su se stesse e rivolte verso l’alto; due corna nere di ariete anche superiormente; internamente all’altezza delle guance due cuscinetti di cuoio per appoggiare più comodamente la maschera al viso. Originariamente c’era anche un pezzo di stoffa scuro attaccato al collo, non ritrovato, come si evince dal disegno del registro di Wohlgemuth.
� Val di Braies
maschera della morte per la recita di san nicolò, sec. XVIII?, proveniente da Braies, legno intagliato dipinto e stoa. � CM 6697 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto di bianco a foggia di teschio; aperture per le orbite e per il naso; due ossa mascellari e mandibola; sulle arcate dentarie, che non corrispondono al morso umano, mancano diversi denti; sul retro tela di lino a copertura della parte posteriore della testa.
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maschera di diavolo per la recita di san nicolò (copia), sec. XIX, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto. ← CM 6847 Descrizione: maschera di diavolo in legno intagliato, ricavata da un secchio del latte e dipinta di rosso e giallo su base nera; occhi a mandorla rivolti verso il basso e contornati di giallo e rosso; naso ad uncino; nell’apertura della bocca, con labbra rosse, undici denti in legno storti; sulla fronte due piccole corna di legno nere intagliate e rivolte verso l’esterno.
maschera di diavolo per la recita di san nicolò (copia), sec. XIX, proveniente da Braies, legno intagliato e dipinto, corna di capra. ← CM 6954 Descrizione: maschera di diavolo in legno intagliato, dipinta di nero, corna di capra, fronte rugosa, occhi grandi tondi contornati di giallo e rosso, naso deforme con grosse verruche, bocca storta a smorfia con sette denti uncinati, mento appuntito.
� Val di Braies
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mantello del Kehraus per la recita di san nicolò, sec. XVIII–XIX, proveniente da Braies, lino, loden, gusci di lumache e di noci. ← SM 1556
← Valle Aurina
Al Museo sono conservate nove maschere provenienti dalla valle Aurina, risalenti probabilmente alla seconda metà del XIX secolo, quattro usate per la Recita di san Nicolò a Cadipietra e cinque provenienti da Predoi. Per una di queste, la Portatrice di doni, Wohlgemuth spiega che si tratta di una maschera usata nel Corteo e non nella Recita di San Nicolò: ciò vale probabilmente anche per le altre quattro, anche se manca un’affermazione esplicita in tal senso.
maschera di lucifero per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Cadipietra, maso Bacher), legno intagliato e dipinto, corna di capretto, capelli e paglia. ← CM 6782 Descrizione: maschera in legno intagliato di colore scuro; corna di capretto; capelli veri misti a paglia sulla fronte; barbetta intagliata; due orecchie lunghe in legno inserite lateralmente.
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maschera di diavolo per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Cadipietra), legno intagliato e dipinto in nero, corna di camoscio e di capra, sul retro cinghie in cuoio per legare la maschera alla testa. ← CM 6783 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta di color nero; corna di camoscio e di capra; orecchie tonde; occhi contornati di bianco; bocca rossa con labbro inferiore più grosso e denti bianchi; barbetta intagliata; sul retro cinghie di cuoio.
maschera di buffone per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Cadipietra, edificio scolastico), legno intagliato e dipinto. ← CM 6785 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta con incarnato roseo; baffi all’insù marroni; sopracciglia marroni; bocca rossa e denti bianchi.
maschera di giovane pastore per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Cadipietra), legno intagliato e dipinto, cuoio. ← CM 6786 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta con incarnato roseo; guance accentuate di colore rosso; sopracciglia marroni; bocca rossa; sul retro cinghia di cuoio.
← Valle Aurina
maschera di spirito delle montagne per la recita o il corteo di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6798 Descrizione: maschera in legno intagliato molto grossolanamente; dipinta di nero solo nella zona della barba; naso spezzato.
maschera di diavolo per la recita o il corteo di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6799 Descrizione: maschera di diavolo in legno intagliato dipinta di nero; sulla fronte due piccole corna e sui lati due orecchie a punta rivolte verso l’esterno; sopracciglia; occhi contornati di bianco; grosso naso con due prominenze; bocca ampia dalle labbra dipinte di rosso con due denti lunghi e due più corti. Nel registro Wohlgemuth a p. 214 è riportata la seguente notizia curiosa: dopo la recita, mentre i personaggi mascherati tornavano da San Giacomo a Predoi, all’attore che aveva impersonificato il diavolo apparve proprio il diavolo in persona che gli fece i complimenti per la sua ottima recita.
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maschera di contadina/portatrice di doni per il corteo di san nicolò, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6800 Descrizione: maschera di donna in legno intagliato; incarnato di color roseo con guance più accentuate; capelli marroni; bocca rossa.
maschera di stregone/buffone per la recita o il corteo di san nicolò (?), sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6801 Descrizione: maschera di uomo con baffi neri all’insù; sopracciglia nere; bocca rossa; incarnato rosa; una ferita sulla guancia sinistra; il naso rotto e il mento molto prominenti.
maschera di strega/buffone per la recita o il corteo di san nicolò (?), sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6805 Descrizione: maschera di strega o di buffone; viso verde; sopracciglia scure, grosso naso; bocca rosa con un dente; rughe profonde sulla fronte e sulle guance; due verruche ai lati.
← Valle del Lesach (Tirolo orientale)
Wohlgemuth spiega che le tre maschere provenienti da Obertilliach nella valle del Lesach venivano utilizzate sia in occasione della festa di san Nicolò sia in occasione del rito dell’Avvento, la Klöcklnacht (vedi scheda relativa).
maschera di uomo barbuto per la recita di san nicolò e per la Klöcklnacht, sec. XIX, proveniente da Obertilliach (maso Kuenzhof), legno intagliato e dipinto. ← CM 6713 Descrizione: maschera intagliata a sgorbia in modo molto grossolano e dipinta di nero, blu, rosa, bianco e rosso; barba, baffi e capelli intagliati a sgorbia e dipinti di nero; bocca rossa; sopracciglia blu; incarnato bianco e rosa; all’interno lettere intagliate: Px P.
maschera di uomo con baffi per la recita di san nicolò e per la Klöcklnacht, sec. XIX, proveniente da Obertilliach (Rodarm, Leitahof?), legno intagliato e dipinto. ← CM 6731 Descrizione: maschera con sopracciglia e baffi neri arricciati all’insù, barba nera; bocca rossa e capelli marroni.
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maschera di uomo con baffi per la recita di san nicolò e per la Klöcklnacht, sec. XIX, proveniente da Obertilliach, legno intagliato e dipinto. ← CM 6732 Descrizione: maschera di uomo con baffi neri arricciati all’insù; incarnato rosa con guance accentuate; bocca rossa.
← Prägraten (Tirolo orientale)
Wohlgemuth segnala quattro maschere usate per la Recita di san Nicolò nel Tirolo orientale, a Prägraten nella Virgental.
maschera di lucifero per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Prägraten, legno intagliato e dipinto, carta, stoffa, pelo di capra. ← CM 6849 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto di nero e marrone; sulla fronte puntale di legno che serviva da supporto al corno scomparso; bocca spalancata; all’interno della bocca carta dipinta di rosso su stoffa; denti intagliati e dipinti di bianco: quattro denti più lunghi dipartono dalla mandibola inferiore e tre da quella superiore; grandi occhi dipinti di rosso, bianco e nero e sotto gli occhi due aperture per permettere di vedere a chi indossa la maschera; naso di grosse dimensioni con punta a forma di testa di uccello; la maschera è contornata da pelle di pecora; coda di pecora fissata sulla fronte.
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maschera di principe delle tenebre per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Prägraten, legno intagliato e dipinto, corna, pelle, stoffa e lana. ← CM 6871 Descrizione: maschera del Principe delle tenebre in legno intagliato e dipinto di rosso e nero, sulla fronte è fissata la parte superiore del cranio di una mucca con corna e orecchie; sopracciglia intagliate e dipinte di nero così come i baffi sottili rivolti all’insù e la barbetta; grosso naso; la bocca con labbra rosse e gonfie mostra due file di denti; il mento mobile è realizzato come pezzo separato fissato alla testa con due cinghie di cuoio inchiodate; le parti inferiore e posteriore sono realizzate in stoffa, pelle e lana grezza.
maschera di Klaubauf (Babau) per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Prägraten, legno intagliato e dipinto. ← CM 6855 Descrizione: maschera di uomo con espressione truce, in legno intagliato e dipinto di marrone; sul bordo della maschera sono presenti cinque chiodi piccoli e due più grossi e alcuni fori per applicare una stoffa o una pelliccia che doveva coprire la parte posteriore della testa.
maschera di Verstellter (simulatore) per la recita di san nicolò, sec. XIX, proveniente da Prägraten, legno intagliato e dipinto. ← CM 6851 Descrizione: maschera demoniaca in legno intagliato e dipinto di nero; naso all’insù e piegato da una parte; piccole corna; orecchie che partono ai lati delle orbite; occhi contornati di bianco; tre denti sopra e sotto.
02 | KlÖcKlnacht
(Rito d’avvento)
Durante il periodo dell’Avvento, nei tre giovedì precedenti il Natale, era diffusa in Tirolo l’usanza dell’Anklöpfen (bussare). Il rito era probabilmente di origine pagana: bussando alla porta si cercava di interrogare il futuro. Ad esso fu successivamente dato significato religioso e venne collegato, in senso metaforico, all’infruttuosa ricerca di un ricovero per la notte da parte di Giuseppe e Maria, giunti da Nazareth a Betlemme. Bambini e giovani, talvolta mascherati, si recavano di maso in maso, portando l’annuncio della nascita di Gesù e l’augurio di un buon anno, recitando versi o cantando, e ricevendone in cambio vitto o piccoli doni. Le modalità di svolgimento di questa usanza potevano essere anche molto diverse tra loro, ma il senso comune era comunque preannunciare l’avvento di Gesù. Oltre alla maschera CM 6869 di cui è certo l’uso per la Klöcklnacht, al Museo Civico si conservano altre tre maschere di uomo barbuto o con baffi provenienti dalla valle del Lesach nel Tirolo orientale [CM 6713, CM 6731, CM 6732] che erano usate contestualmente anche per la Recita di san Nicolò e che sono state pertanto presentate nella scheda relativa. L’utilizzo di stesse maschere in occasioni e recite diverse era fatto abituale.
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maschera di vecchio per il rito della Klöcklnacht, sec. XIX, proveniente da Selva di Val Gardena, legno intagliato e dipinto, stoffa e licheni. ← CM 6869 Descrizione: maschera di uomo barbuto in legno intagliato con grosso naso storto e bocca aperta a smorfia; incarnato bianco. La lunga barba di licheni incollati su stoffa rende quest’oggetto unico nel suo genere e gli conferisce un aspetto molto realistico. Anche per le sopracciglia furono usati licheni, alcuni resti sono ancora visibili.
02.1 | c anzone dell’ aV Vento Klöckllied “Auf Weihnachten Glückswünsche”
La canzone in versi dei Klöckler, scritta nel XIX secolo su due foglietti fronte e retro, è stata trovata da Wohlgemuth a Falzes. Veniva cantata da giovani mascherati (maskierte Klöcklbuben) durante l’Avvento. I versi inziano richiamando l’attenzione dei contadini e annuciano il motivo della visita: augurare ogni bene. Nella seconda strofa si chiede di donare il proprio cuore a Dio e si prelude all’imminente arrivo di Gesù Bambino. Nelle successive tre strofe seguono auguri per il contadino, la contadina, il servo e la serva. La canzone finisce con l’auspicio di vivere devotamente, a lungo e in salute e, al termine della vita, di raggiungere il regno della felicità, il paradiso.
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1. O grüß euch Gott alle im Hause,
3. Wohl auch für das leibliche Leben,
5. Den Knechten, den wünschen wir eben,
Den Baur und die Bäurin voraus.
Wir herzlich guts wünschen euch All.
Auch Kraft zu den härteren Stand.
Jetz laßt grad a bißl a Pause
Den Baurn viel Glück und auch Segen,
Ein braven Knecht den ganzen Lohn gebn,
Jhr werd uns zwar lachen ley aus.
In Haus und in Feld und in Stall.
Wird Gott, den koa Baur ist im Stand.
Es ist heut a heilige Klöcklnacht
Die Korn-Truhen alle voll,
Der Kuchlerin und der Felderin
Die aucht Gott gemacht,
Das gefällt ihm wohl,
Wünschn wir frohen Sin,
Der als gut gemacht.
Auch fürs Nächsten Wohl.
Daß sie kön brav Spinn,
Wir haben so vin altn Leutn ghört,
A schiene Zöhrung a darnöbn
Und vieleicht bald ein braven Mann,
Euch nur nicht verstört
Kann er sich aufhöbn
Der versorgen kann,
nur hört.
Froh zu Läbn.
Sie alsdann.
Guts zu wünschen heut
Kühe und Gaiß und Görn,
Doch wenn sie s verschuld,
Habnmir uns vereint
Sollen sich vermehrn,
Wünschen wir Gedult,
Eure gute Freund
Milch und Rahm und Butter
Solln sich halt ergöbn,
die wir immer seynd,
zu Kave und Zucker,
Zum altn Gitschnlöbn,
Ja es geht uns gwiß von Herzn herauf,
die Kälber sollen Oxen werden,
Es ist ihnen schon a koa Schand,
Paßt nur fleißig auf
groß und faiß und schweer,
Weil in ganzen Land,
loßt recht auf.
Zu Speiß für Herrn.
Z’wenig Mann.
2.
4.
6.
Das beste was mann kann erdenken,
Der Bäurin der wünschen wir öben,
Jetz hättn wir das Liedl bald z’Ende,
Ist wahrlich für Seel und für Leib;
Soll neben dem Baurn gut stehn.
Und unsern ainfältigen Wunsch.
Wenn mann das Herz ganz Gott thut schenken,
Sie wird ihm versüßen das Löbn,
Wir waschn halt unsere Hände,
Und so wird s Hauswesen gut gehn.
Verzeiht die Ungschicklichkeit uns.
Drum wünschen wir voll Herzens Freud,
Oft a Bratwürstl kannt sie obar zupfn,
Jetz fallt mir ein noch Unterdessen,
Auf die Weihnachtzeit
Und ain armen Tropfn,
Hätt ichs bald vergessen,
ein ganz neues Kleid,
Gut das Maul verstopfn.
Wär mir leid gewessen,
Von Gottes, und auch von Nächstenlieb,
Die armen Leut sagen dann vergelts euch Gott,
Gesund lebn sollt ihr all mitsamm,
Warm und stark und schön,
Ihr schenkt uns in der Noth,
Wohl, und christlich fromm
Soll es stehn.
Woll oft a Brod.
Und recht lang.
Unser Frau wird kemm,
Und die Hennlen soll,
Und wann s Leben weicht,
wie nach Wethlehem,
Eyrn legen toll,
Wünschn wir uns und euch,
Daß er bey uns auch gerne bleib.
Wird bei Jedermann
Und das Habicht Thier,
Ewig Freudenreich,
freundlich klopfen an,
Kaine kriegen nie,
s schöne Himmelreich,
Das Jesus Kindlein bringt sie mit,
Sie wir dann fast die ganze Wochn,
Wo wir dann alle uns erfreun,
Nur verstoßt es nicht,
Gute Mrenlen kochn,
und Gott benedeyn
Es bringt Fried.
Daß zu lachn
Dankbar seyn.
03 | recita dei re maGi
← Valle di Defereggen (Tirolo orientale)
La sera del 6 gennaio (Gömnachtabend o Gebnachtabend, cioè sera dei doni) si rappresentava la Recita dei tre Re Magi. In essa si narrava la vicenda dei noti saggi che, guidati dalla stella cometa, giungevano dall’Oriente al cospetto del Bambin Gesù, recandogli oro, incenso e mirra, preziosi doni destinati a chi è di nascita regale. Nella recita popolare i diavoli tentavano di portare i magi sulla cattiva strada e suggerivano a re Erode di uccidere il Bambino. Attualmente permane molto diffuso l’uso, agli inizi di gennaio, secondo il quale bambini vestiti da magi si recano di casa in casa, dove cantano o recitano versi e portano incenso e gessetti, raccogliendo in cambio offerte per beneficenza. Con l’incenso e con l’acqua santa la famiglia benedice gli ambienti della casa e con i gessetti traccia sulla porta principale le iniziali dei re magi C(aspar) + M(elchior) + B(althasar) o, a seconda delle interpretazioni, le iniziali di “Christus Mansionem Benedicat” e l’anno di riferimento.
maschera di diavolo per la recita dei re magi, sec. XIX, proveniente dalla valle di Defereggen (St. Jakob), legno intagliato e dipinto. ← CM 6743 Descrizione: grande maschera in legno, dipinta di nero rosso e oro; due corna e due orecchie verso l’alto; naso molto lungo tra baffi; la bocca aperta mostra tre piccoli denti e tre denti lunghi appuntiti; mento molto accentuato.
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maschera di diavolo per la recita dei re magi, sec. XIX, proveniente dalla valle di Defereggen (St. Jakob), legno intagliato e dipinto. â†? CM 6742 Descrizione: grande maschera in legno, dipinta di nero e rosso; dietro la corona dorata spuntano due corna; orecchie rosse ai lati; naso molto lungo tra bafďŹ ; la bocca semiaperta mostra tre piccoli denti e quattro denti lunghi appuntiti; mento con barba stilizzata a rotolo.
← Valle Aurina
maschera di diavolo per la recita dei re magi, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giovanni), legno intagliato e dipinto, vetro, stoffa, corna bovine. ← CM 6761 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta di nero; sulla fronte due corna e sui lati inserite due orecchie da mucca rivolte verso l’esterno, con tracce di pittura chiara; sopracciglia chiare; occhi contornati di bianco, all’interno sui fori orbitali applicati due piccoli dischetti in vetro; naso lunghissimo; bocca ampia dalle labbra gonfie e dipinte di rosso; due lunghi denti partono dalla mandibola inferiore, spingono verso l’alto comprimendo al centro il labbro superiore; altri due denti lunghi scendono dalla mandibola superiore; sul retro frammenti di una stoffa nera utilizzata per coprire la testa.
maschera di contadina che raccoglie i doni per la recita dei re magi, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giovanni), legno intagliato e dipinto. ← CM 6760 Descrizione: maschera da donna in legno intagliato; incarnato roseo con guance più accentuate; capelli marroni; bocca rossa.
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maschera di buone per la recita dei re magi, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giovanni, sig. NÜckler), legno intagliato e dipinto. � CM 6779 Descrizione: maschera in legno intagliato; incarnato dal colorito roseo; guance prominenti; naso lungo; bocca rossa con due denti.
04 | corteo deGli HUT TLER (Corteo di carnevale)
← Valle dell’Inn (Tirolo del Nord)
Nella valle dell’Inn, nel Tirolo settentrionale, durante il periodo di carnevale si rappresentava e si rappresenta tuttora il Mullerlaufen, chiamato da Wohlgemuth Huttlerspiel (recita degli Huttler). Non era una recita vera e propria, ma piuttosto un corteo di vari personaggi tra i quali gli Huttler (maschere con vestiti di cenci colorati come quelli dei pagliacci), streghe e altri figuranti che percorrevano le vie del paese, entravano nelle osterie o nelle case private, schioccavano le fruste, saltavono sui tavoli o battevano i piedi a ritmo, facendo un baccano infernale, e davano pacche sulla schiena agli spettatori. Si tratta di un rito propiziatorio per ottenere un buon raccolto, per favorire la fertilità, secondo un uso carnevalesco diffuso con molte varianti in tutta Europa.
maschera di bracconiere per il corteo degli huttler, sec. XIX, proveniente da Brixlegg, legno intagliato e dipinto, cuoio, crine di cavallo. ← CM 6819 Descrizione: maschera di uomo gigantesco in legno intagliato e dipinto di rosso mattone; grosso naso con verruca; capelli, barba e baffi di crine di cavallo; denti bianchi; cinghia di cuoio sulla sommità del capo e chiusura di cuoio sul retro che si allaccia con bottone. Nel registro di Wohlgemuth la maschera presenta un cappello con piuma, oggi scomparso.
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maschera di tiroler michl (buffone) per il corteo degli huttler, sec. XIX, proveniente da Brixlegg, legno intagliato e dipinto, stoffa, cuoio, capelli. ← CM 6820 Descrizione: maschera di uomo gigantesco in legno intagliato e dipinto; incarnato naturale; bocca rossa; sopracciglia marroni; denti bianchi; sul capo, sollevato da una cinghia di cuoio, un berretto fatto con una calza marrone, contornato da una stoffa gialla dalla quale sbucano ciuffetti di capelli; sul retro chiusura in cuoio.
maschera di tuxer (abitante della valle di tux, prototipo di contadino) per il corteo degli huttler, sec. XIX, proveniente da Hall, legno intagliato e dipinto. ← CM 6846 Descrizione: maschera di uomo con baffi in legno intagliato e dipinto; incarnato naturale con guance più accentuate; baffi e sopracciglia nere, denti bianchi.
05 | recita dell a pa ssione Con il termine Recita della Passione si designa la rappresentazione drammatizzata degli avvenimenti dolorosi che colpirono Gesù nella Settimana Santa fino alla morte in croce e alla resurrezione la Domenica di Pasqua. Normalmente il sacro dramma iniziava con l’ingresso trionfale del Nazareno a Gerusalemme. Documentate e diffuse sin dal medioevo, queste recite, originariamente in latino, si svolgevano nella chiesa parrocchiale, per spostarsi poi in luoghi aperti dato il moltiplicarsi delle scene e l’introduzione di episodi nuovi, come la lotta tra il bene e il male (angeli/diavoli), particolarmente cara al gusto popolare. Le maschere diaboliche incitavano a compiere atti ingiusti o malvagi; comparivano, ad esempio, per spingere Giuda al suicidio e trascinarne l’anima all’inferno. A Bolzano la prima notizia di uno spettacolo sacro di questo tipo risale al 1474 e riguarda il pagamento di quattro candele usate dagli angeli nella scena della Resurrezione. Particolarmente importanti furono le manifestazioni pasquali del 1495 e quella del 1514, allestita dal drammaturgo Vigil Raber 1.
1 M. BERTOLDI, Lungo la Via del Brennero. Viaggio nello spettacolo dal Tardo Medioevo al Rinascimento, Firenze 2007, in partic. pp. 56–63 e pp. 107–115. 2 Dal registro di K. Wohlgemuth, pp. 207–208.
← Sarentino
Le uniche maschere pervenute a noi riguardanti la Recita della Passione in val Sarentina sono la maschera del Diavolo, quella di Lucifero e quella dello Stregone (Hexenmeister) risalenti al XVIII secolo. A tal proposito Wohlgemuth annota che la recita avveniva a cielo aperto e vi accorreva tutta la popolazione 2. Essa fu rappresentata l’ultima volta nel 1809. Proibita durante la dominazione francese, non fu in seguito più riproposta. La particolarità di queste maschere risiede nel fatto che il volto dipinto è cosparso da piccolissime schegge di vetro che conferiscono un aspetto di brillantezza inusuale. Nella maschera del Diavolo la lucentezza è aumentata dal fatto che non fu realizzata in legno, come la maggior parte delle maschere conservate al Museo, bensì in lamiera di metallo.
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maschera di stregone per la recita della passione, sec. XVIII?, proveniente da Sarentino, legno intagliato e dipinto, vetro e stoffa.
maschera di lucifero per la recita della passione, sec. XVIII?, proveniente da Sarentino, legno intagliato e dipinto, vetro e stoffa.
← CM 6700 Descrizione: maschera di stregone in legno intagliato e dipinto di nero, bianco e rosso, cosparsa da piccole schegge di vetro; occhi tondeggianti; naso adunco, storto e a punta; bocca semiaperta con denti, due inferiori più lunghi; orecchie schiacciate; ai lati due triangoli di stoffa per legare la maschera al viso.
← CM 6711 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto di giallo-oro, nero, rosso, bianco e verde, cosparsa da piccole schegge di vetro; grosse sopracciglia; occhi contornati di bianco e rosso; grosso naso che si trasforma sulla punta in un becco; bocca con labbro superiore di forma leonina; denti intagliati e dipinti di bianco; sul labbro inferiore spunta una lingua di stoffa rossa; lunghe orecchie appuntite; due corna intagliate e dipinte di nero. Wohlgemth annota correttamente che questa maschera, rispetto alle altre, si rifà a un’iconografia classica rinascimentale.
maschera di diavolo per la recita della passione, sec. XVIII?, proveniente da Sarentino, lamiera dipinta e vetro. ← CM 6709 Descrizione: maschera di diavolo in lamiera dipinta di nero, rosso e verde cosparsa da piccole schegge di vetro; occhi tondi contornati di bianco; naso adunco; bocca smisurata con denti; un orecchio e un corno.
Nella casa del sagrestano a San Valentino (presso Siusi) Karl Wohlgemth ritrovò la corona di spine che il personaggio di Gesù indossava per la Recita del Venerdì Santo (Karfreitagsspiel). Aveva anche ritrovato la parte superiore del bastone del pastore che purtroppo non è più presente nella collezione del Museo. All’epoca, il sagrestano raccontò a Wohlgemuth che la recita era stata eseguita l’ultima volta più di cent’anni prima; considerando che è passato un altro secolo dal ritrovamento, si può desumere che la corona di spine fu utilizzata in ultimo a cavallo tra il Sette- e l’Ottocento. In quell’occasione fu proprio il nonno del sagrestano a impersonare Gesù. Per questa rappresentazione esistevano anche due casse di costumi che nel corso del tempo “sono finite nella stufa”; gli attori non usavano maschere 3.
← Castelrotto
3 Dal registro di K. Wohlgemuth, pp. 221–222.
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corona di spine per la recita del Venerdì santo, fine sec. XVIII, proveniente da Castelrotto, rami spinosi intrecciati. ← SM 1538
06.1 | corsa delle perchten
← Tirolo orientale
Nell’arco alpino si svolgevano e in taluni luoghi si svolgono tuttora, le corse delle Perchten (Perchtenlauf), figure mitologiche femminili forse di origine celtica. Le corse mascherate chiassose sono documentate a partire dal XVI secolo, avvenivano tra dicembre e gennaio ed erano considerate di buon auspicio per l’anno nuovo da parte della popolazione. Alle belle Perchten che si muovevano di giorno erano contrapposte quelle brutte che avevano sembianze demoniache e entravano in azione la notte creando spesso grande trambusto. L’accessorio immancabile era il campanaccio con il quale si faceva un baccano infernale per scacciare il buio, l’inverno. A Oberlienz la corsa delle Perchten avveniva tra il 20 e il 25 gennaio ed è documentata dalle cronache comunali fino al 1902.
maschera di larva per la corsa delle perchten, sec. XIX, proveniente da Oberlienz (presso Lienz), legno intagliato e dipinto. ← CM 6808 Descrizione: maschera di uomo con baffi in legno intagliato e dipinto di bianco e rosso; labbra rosse; bocca storta con quattro denti, occhi contornati di rosso; baffi asimmetrici; sopracciglia unite tra loro; naso con grosse narici. Nel registro di Wohlgemuth la maschera presentava un copricapo ora scomparso.
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maschera di larva per la corsa delle perchten, sec. XIX, proveniente da DÜlsach (presso Lienz), legno intagliato e dipinto, corna di mucca. � CM 6809 Descrizione: maschera in legno intagliato ridipinto di marrone; corna di mucca.
06 | matrimonio
Fino all’Ottocento i matrimoni avvenivano soprattutto nel periodo di carnevale (Fasnacht). La coppia che aveva intenzione di sposarsi doveva chiedere l’approvazione del Comune che verificava se ci fossero le condizioni economiche per il formarsi di una nuova famiglia. Tale diritto derivava al Comune dal fatto che fino a metà del Novecento aveva l’obbligo di sostenere gli indigenti. Riti prima, durante e dopo il matrimonio scandivano i tempi di quello che era considerato l’avvenimento più importante della vita di una persona: non dovevano mancare i momenti di comicità, ad esempio gli sbarramenti (Klause) al corteo della sposa, il ratto della sposa, il furto del letto nuziale che veniva restituito solo il giorno successivo. Ad animare le feste di matrimonio durante il pranzo nuziale era uso che intervenisse un buffone mascherato (Maschgera) che narrava episodi divertenti, pieni di doppi sensi, della vita degli sposi. Wohlgemuth spiega che durante la festa il buffone declamava versi scherzosi, prendendosi gioco degli invitati.
maschera di buffone per le feste di matrimonio, sec. XIX, proveniente da Badia, legno intagliato e dipinto. ← CM 6806 Descrizione: maschera di vecchio/buffone in legno intagliato e dipinto di rosso scuro; grosso naso; rughe profonde e lineamenti accentuati.
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maschera di buffone per le feste di matrimonio, sec. XIX, proveniente da Badia, legno intagliato e dipinto. ← CM 6807 Descrizione: maschera rozzamente intagliata, incarnato rosa; grosso naso, rughe profonde e lineamenti accentuati.
maschera di buffone per le feste di matrimonio, sec. XIX, proveniente da Issengo (presso Falzes), legno intagliato e dipinto, canapa. ← CM 6872 Descrizione: piccola maschera in legno intagliato e dipinto di bianco rosato; sopracciglia nere; barba in fibra di canapa.
07 | recita del dot tor Faustus e del pa store di capre
← Valle Aurina (San Giacomo)
La rappresentazione teatrale relativa al personaggio storico del dottor Faustus ha una lunga tradizione nel teatro popolare tedesco già a partire dal XVII secolo; la varie versioni si adattavano al gusto imperante del tempo. Il Faust sudtirolese è un personaggio molto concreto: non ricerca la verità, non si strugge per la sua fervente vita interiore e spirituale come il personaggio di Goehte, ma si caratterizza come un uomo che ambisce ad ottenere cose materiali. Nella scena della croce, ad esempio, non presente nel Faust di Goethe, cerca di ottenere dal diavolo la croce di Gesù. A causa della sua bramosia è trascinato dal diavolo all’inferno. In valle Aurina si è conservato il manoscritto di tale recita che viene tuttora rappresentata. Wohlgemuth identifica questo gruppo di maschere come appartenenti alla recita del “Dottor Faustus” e alla recita del “Pastore di capre”. Non si è riuscito a rintracciare il testo teatrale di quest’ultima.
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maschera di strega per le recite del dottor Faustus e del pastore di capre, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo), legno intagliato e dipinto. � CM 6744 Descrizione: maschera di vecchia in legno intagliato e dipinto color carne; naso grosso; tre denti.
maschera di strega per le recite del dottor Faustus e del pastore di capre, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo, Sig. Oberhollenzer?), legno intagliato e dipinto. � CM 6752 Descrizione: maschera di vecchia in legno intagliato e dipinto di colore biancastro; bocca rossa; guance rosse; naso grosso. Sul viso della maschera erano incollate piume che la coprivano completamente.
maschera di giovane contadina/compagna della strega per le recite del dottor Faustus e del pastore di capre, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo, Sig. Oberhollenzer?), legno intagliato e dipinto. � CM 6753 Descrizione: maschera di donna in legno intagliato; incarnato rosato; labbra rosse.
� Valle Aurina (San Giacomo)
maschera di pastore di capre per la recita del pastore di capre, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo, Sig. Oberhollenzer?), legno intagliato e dipinto. � CM 6754 Descrizione: maschera maschile in legno intagliato; barba biforcata e sopracciglia marroni; labbra rosse; guance rosate.
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maschera del dottor Faustus per la recita del dottor Faustus, sec. XVIII?, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo, Sig. Oberhollenzer?), legno intagliato e dipinto. � CM 6756 Descrizione: maschera maschile in legno, barba nera intagliata molto accuratamente a riccioli; incarnato chiaro; guance rosate.
maschera di tuxer (abitante della valle di tux, contadino) per le recite del dottor Faustus e del pastore di capre, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giacomo), legno intagliato e dipinto. â†? CM 6758 Descrizione: maschera maschile in legno intagliato; incarnato di color bianco; capelli e bafďŹ lunghi marron chiaro; naso a punta; labbro inferiore e mento sporgenti; denti bianchi.
08 | ma schere di uso iGnoto delle seguenti maschere non è stato possibile individuare con certezza l’occasione d’uso per carenza o contradditorietà delle indicazioni fornite da Karl Wohlgemuth, mentre è indicata la zona di provenienza.
maschera di spirito, sec. XX, proveniente dalla valle dell’Isel, legno intagliato.
1 L’etichetta incollata all’interno della maschera riporta: “Schöne Perchte original nachgeschnitzt, Iseltal bei Lienz”. Il registro Wohlgemuth II, tavola 30, reca invece la spiegazione “Nikolausspiel, Belzebub, groteske Maske aus Holz mit Fellbesatz (26 cm lang)”.
← CM 6861 Descrizione: maschera con espressione truce in legno intagliato, priva di cromia. Su questa maschera Wohlgemuth riporta informazioni contraddittorie. All’interno della stessa sull’etichetta originale è indicato trattasi di una maschera “bella”, proveniente dalla valle dell’Isel presso Lienz (Tirolo orientale), intagliata copiando un manufatto originale. Tale maschera è però identica ad un’altra che lo stesso studioso indica rappresentare Belzebù, utilizzata per la Recita di san Nicolò. Vista l’espressione fortemente caratterizzata, non pare possa trattarsi di una maschera “bella”, termine con il quale si indicano le maschere che raffigurano il volto umano composto e sereno 1.
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maschera di contadino, sec. XIX, proveniente da Issengo (presso Falzes), legno intagliato e dipinto. ← CM 6733 Descrizione: maschera di uomo barbuto in legno intagliato e dipinto con sopracciglia e baffi neri; bocca rossa e capelli neri.
maschera di uomo con baffi, sec. XVIII?, proveniente dalla val Gardena (Selva), legno intagliato e dipinto. ← CM 6738 Descrizione: maschera di uomo barbuto con sopracciglia, capelli, baffi neri e barba prominente nera; bocca rossa con denti bianchi; guance rotonde e rosse; dipinta in modo molto grossolano. Di questa maschera si conosce esattamente il possessore, un certo Vinzent Demetz abitante a “Col de la Pel” in val Gardena. Acquisita da Wohlgemuth nel 1906.
maschera di uccello/gallo, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Caminata), legno intagliato e dipinto. � CM 6734 Descrizione: mezza maschera con lungo naso che ricorda un becco, in legno intagliato e dipinto di rosso mattone; occhi contornati di bianco e sopracciglia nere.
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maschera di contadino, sec. XVIII?, proveniente dalla valle Aurina (Lutago), legno intagliato e dipinto. � CM 6739 Descrizione: maschera di uomo in legno intagliato e dipinto, incarnato di color naturale; guance rosate; labbra rosse; occhi bianchi; sopracciglia e capelli marrone chiaro.
maschera di vecchia/strega, sec. XVIII?, proveniente dalla valle Aurina (San Giovanni), legno intagliato e dipinto. � CM 6741 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto, incarnato di color rosa; bocca rossa e sopracciglia marrone chiaro.
maschera di diavolo, fine sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (San Giovanni), legno intagliato e dipinto. ← CM 6839 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta di nero; sulla fronte due corna rivolte in avanti; un orecchio asinino rivolto verso l’esterno con tracce di pittura rossa, l’altro manca; occhi contornati di bianco; grosso naso; bocca con due denti appuntiti che, dalla mandibola inferiore, si incrociano con altri due denti appuntiti della mandibola superiore, Nel registro di Wohlgemuth è riportata la notizia che, pur essendo un pezzo molto originale, non è antico ma di fattura recente.
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maschera di diavolo, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Predoi), legno intagliato e dipinto. ← CM 6821 Descrizione: maschera in legno intagliato dipinta di nero con pennellate di giallo lungo le rughe della fronte; sulla testa due corna; orecchie asinine; occhi contornati di bianco e giallo-oro; sopracciglia gialle; grosso e lungo naso storto bitorzoluto; bocca ampia dalle labbra dipinte di rosso con radi denti. Nel registro di Wohlgemuth è riportato che questa maschera fu acquistata da un merciaio, tale “Honer”, nel 1906.
maschera di diavolo, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina (Cadipietra), legno intagliato e dipinto, corna di camoscio. ← CM 6848 Descrizione: maschera di diavolo intagliata e dipinta di nero; grandi occhi contornati di bianco; naso grosso; baffi grigi intagliati che raggiungono il bordo della maschera; labbra rosse e due file di denti bianchi; sopracciglia intagliate e dipinte di color grigio; corna di camoscio.
maschera di diavolo, sec. XIX, proveniente dalla valle Aurina, legno intagliato e dipinto, corna. ← CM 6876 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto di nero; rughe e bocca accentuati con color giallo; tre denti; occhi contornati di rosso; corna; naso storto e bitorzoluto.
maschera di bella perchta (schÜne perchte), sec. XX, proveniente dalla valle dell’Isel (Tirolo orientale), legno intagliato. � CM 6862 Descrizione: maschera di volto umano con espressione seria e accigliata, in legno intagliato, priva di cromia.
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maschera di Verstellter (simulatore), sec. XIX, proveniente dalla valle dell’Isel (Tirolo orientale), legno intagliato. ← CM 6863 Descrizione: maschera demoniaca con espressione beffarda, in legno intagliato; due piccole corna sulla fronte; bocca ghignante con sette denti, priva di cromia. L’etichetta di Wohlgemth incollata all’interno della maschera riporta “Schöne Perchte” ovvero maschera bella (o di spirito bello). Tale iscrizione è in contraddizione con l’aspetto della maschera che assomiglia molto al Verstellter (CM 6851), usato nella Recita di san Nicolò di Prägraten nel Tirolo orientale.
08.1 | ma schere di uso e proVenienz a iGnote
maschera di uomo barbuto, sec. XIX, legno intagliato e dipinto. ← CM 6870 Descrizione: maschera intagliata con sgorbia grossa; dipinta grossolanamente con pennellate verdi, viola, gialle e rosa; ciuffo di capelli sulla fronte; sopracciglia folte, baffi e barba secondo la moda introdotta dall’imperatore Francesco Giuseppe, ovvero con mento glabro e basettoni lunghi a scopettone.
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maschera di uomo barbuto, sec. XIX, legno intagliato e dipinto. ← CM 6873 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto; incarnato di color naturale scuro; fronte con rughe; occhi e bocca contornati di arancione; capelli e sopracciglia grigi; barba e baffi grigio scuro.
maschera di uomo barbuto, sec. XIX, legno intagliato e dipinto. ← CM 6874 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto; incarnato di color giallo; barba e baffi intagliati e dipinti di marrone chiaro; sopracciglia dipinte in marrone chiaro; bocca e occhi contornati di rosso.
maschera di uomo barbuto, sec. XIX, legno intagliato. ← CM 6875 Descrizione: maschera molto espressiva in legno intagliato; accentuazione delle rughe; bocca semiaperta con due denti; barba a pizzetto biforcata; priva di cromia.
maschera di donna, sec. XIX, legno intagliato e dipinto. � CM 6853 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto; incarnato naturale; bocca rossa; sopracciglia marroni; due piccoli fori sopra il labbro superiore.
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maschera di donna, sec. XIX, legno intagliato e dipinto. � CM 6854 Descrizione: maschera in legno intagliato e dipinto, incarnato naturale con guance piÚ accentuate; bocca rossa; sopracciglia marroni.
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Le cartoline del Krampus La collezione Günther Kofler
Milena COSSeT TO
un racconto Tra i lontani ricordi della mia infanzia un po’ vagabonda riemergono come lampi nel buio alcune immagini forti e nitide: sono legate ai riti prenatalizi, alle tradizioni familiari dell’Avvento, alla attesa dei doni e dei personaggi “magici” che avrebbero visitato e abitato le notti più fredde e più buie dell’inverno. San Nicolò mi appare in un ricordo “svizzero” (avevo 5 anni e mi trovavo per cure in una clinica vicino a Zurigo). Tutti noi bambini, provenienti da molti paesi d’Europa, eravamo in una grande sala, in attesa del vescovo buono e dei doni promessi. Molti di noi tremavano di paura, me lo ricordo bene. Non ci si capiva a parole (lingue e linguaggi erano profondamente diversi e talvolta incomprensibili in quella sofferente Babele infantile), ma gli sguardi e le emozioni erano comuni. Un suono, quasi un fruscio, vibrava nella sala: “Krampus? … Teufel? … Klaubauf? … Knecht Ruprecht? … Perchten? …”. Non capivo. Nelle mie prime esperienze infantili l’immagine di san Nicolò (Sankt Nikolaus) si trovava nella pagina di un libriccino illustrato di storie natalizie per bambini, scritto in gotico tedesco, eredità del mondo asburgico da cui proveniva la mia famiglia. Era un nonno, un vescovo amico dei bambini, che portava con sé piccoli doni, i biscotti di panpepato, le noci, qualche caramella, frutta d’inverno, mele, un mandarino – prezioso come le mele d’oro delle fiabe e della leggenda – sapeva tutto di ognuno, i guai e le marachelle che aveva combinato, le buone azioni, le gentilezze, la generosità e i gesti di amicizia verso gli altri. Veniva da lontano, molto lontano, ma conosceva ogni paese, ogni città, ogni bambino e ogni bambina. Non era necessario interrogare, chiedere spiegazioni, perché sapeva rimproverare nel modo giusto, ma soprattutto sapeva capire, perdonare, incoraggiare [fig. 1].
Con lui anche quando si sbagliava, si poteva ricominciare. Con gli adulti aveva poco a che fare. Nei libri san Nicolò aveva con sé una slitta (se c’era la neve) o un asinello carico di doni e un aiutante, che portava spesso un libro che conteneva la storia di ogni bambino o bambina e le raccomandazioni per il futuro. Qualche volta san Nicolò si faceva vedere, raccontavano gli anziani di casa, ma quando aveva troppa fretta e molto “lavoro da sbrigare”, allora lasciava traccia di sé con i suoi doni appoggiati sul davanzale della finestra, in una scarpa, in una calza o in casa, accanto al fuoco. Nelle immagini colorate dei libri era vestito con tessuti simili a quelli del principe di Cenerentola o di Biancaneve. Aveva una folta e lunga barba bianca, portava il bastone dorato e il copricapo da vescovo (il pastorale e la mitra). Per il santo amico dei bambini in molte case si lasciavano sul davanzale della finestra o davanti alla porta d’ingresso un bicchierino con un po’ di grappa (per aiutarlo ad affrontare il freddo delle notti d’inverno) e un piatto con un po’ di sale per l’asinello (un tempo il sale era prezioso e gli asini ne andavano ghiotti). Qualcuno mi aveva raccontato che san Nicolò era l’unico capace di tenere lontano dalle case il Krampus, il diavolaccio che prendeva i bambini cattivi, quelli che combinavano sempre guai o litigavano con gli altri o disobbedivano sempre agli adulti, li metteva in un sacco e li portava via… Insomma quello che da tanti era chiamato “l’uomo nero”, il “Babau”, con cui si minacciavano i discoli più impertinenti. Io non ci credevo, ma quella volta in Svizzera ero sola, senza adulti conosciuti a proteggermi, insieme a tutti quei bambini sconosciuti e spaventati e la paura aveva preso anche me. Improvvisamente si spense la luce, si sentì un fruscio, poi uno sferragliare di catene
[1]
e strani versi animaleschi. La paura divenne terrore… Ed entrò san Nicolò con un lungo vestito più rosso che bianco, seguito da un giovane angelo che teneva in mano un grande libro. Noi continuavamo ad avere paura, qualcuno batteva addirittura i denti. Dietro alla porta si sentiva ancora rumore, qualcuno si muoveva là dietro. “Sono i Teufel”, dicevano i bambini più grandi. San Nicolò diede a ciascuno di noi un sacchettino di carta crespo rossa, chiuso con un nastrino dorato. Conteneva dolcetti e frutta, profumava di cannella e chiodi di garofano, di mandarino, mele e noccioline. Era qualcosa che “sapeva di casa” e per dei bambini malati, soli e lontani dai propri cari, quel dono era un tesoro. Poi un canto di ringraziamento e san Nicolò scomparve, a luci spente. Rimasero i sacchetti, il profumo dei dolci, i “sapori di casa” e l’inquietudine di non sapere dove fossero finiti gli invisibili e minacciosi Krampus. Poi ancora un’immagine di qualche anno dopo. A Trieste la sera del 5 dicembre in casa mia c’era un’euforia febbrile: sarebbe arrivato san Nicolò quella notte? La mamma era scettica: mio fratello ed io eravamo stati due ragazzini troppo disubbidienti, litigiosi, disordinati e … a quelle parole davanti agli occhi di ognuno di noi era cresciuta la montagna segreta fatta delle nostre personali mancanze, meschinità, bricconate, bugie e piccoli sotterfugi, inutili litigi, imprudenze e maleducazioni, invidie e rancori… quante “colpe” e troppo piccolo sembrava al confronto il mucchietto delle nostre buone azioni. Mentre silenziosi stavamo riflettendo sull’anno trascorso, la mamma sentenziò: “Mi sa che arriverà solo il Krampus!”. “Il Krampus? A Trieste non ci sono i Krampus! Neanche alla ‘Fiera di san Nicolò’ abbiamo visto dei Krampus, ti ricordi?” esclamammo noi in coro, con la voce arrochita dalla paura. “E poi non siamo stati così cattivi: il Krampus non ci può portare via! E tu cosa farai senza di noi?” si affrettò a dire mio fratello alla mamma, con un tono piuttosto preoccupato. Nelle sue parole erano racchiusi i frammenti dei racconti di nostra madre sulla sua infanzia trascorsa in val Pusteria: “Il 5 dicembre, la vigilia di san Nicolò, i Krampus si aggiravano nella notte per le strade innevate e buie del paese a ‘caccia dei bambini disubbidienti’. I loro passi erano segnati dal rumore dei campanacci appesi alle caviglie e alle cinture, avevano grandi fruste, gli occhi fiammeggiavano, le vesti erano fatte di pelli di capra
puzzolenti, i volti sembravano neri come la pece, le mani erano grandi, pelose, viscide come grasso animale o nere di fuliggine. I volti erano orribili, avevano corna e catene e lanciavano urla terrificanti. Mettevano i bambini nel sacco e li portavano via, per sempre. Il paese era nelle loro mani, solo i bambini più coraggiosi li sfidavano per le vie, li stuzzicavano e poi scappavano a nascondersi. Ma quando li sentivi salire su per le scale… Se san Nicolò arrivava in tempo, riusciva a mandarli via, altrimenti…”. Un silenzio sospeso e uno sguardo severo interrompevano sempre l’episodio, lasciandoci immaginare le cose più atroci. E anche se a Trieste di Krampus non se ne erano mai visti, con mio fratello pensammo fosse meglio non rischiare. Così decidemmo di preparare una serie di cartelli con parole, rime, pensieri (oggi diremmo slogan), disegni e immagini fatte da noi, per festeggiare l’arrivo di san Nicolò e scoraggiare la presenza di qualsiasi tipo di Toifl (diavolaccio). Fu una serata straordinaria, la ricordo ancora oggi a più di cinquant’anni di distanza: nella mia memoria si mescolano i colori dei pastelli cera con i profumi dei biscotti di Natale appena sfornati in cucina, lo scintillio dei “brillantini” incollati sui fogli di carta con l’aroma dell’infuso di rosa canina e poi il lungo lavoro di addobbo delle pareti che dalla porta d’ingresso portavano fino al soggiorno. Abitavamo in un austero stabile di sei piani, con un’ampia scala e tre appartamenti per piano. Si affacciava sul golfo di Trieste e dalla grande porta finestra del soggiorno con lo sguardo si dominava tutta l’insenatura. Non c’erano davanzali esterni, quindi san Nicolò sarebbe arrivato passando dalla scala principale. Allora, non appagati dall’addobbo interno all’appartamento, decorammo anche il nostro pianerottolo, mettendo qualche disegno perfino sulle porte dei vicini. Esausti andammo a dormire con la convinta certezza che il Krampus sarebbe stato lontano, perché san Nicolò lo avrebbe tenuto a bada. Niente bicchierino di grappa o di vino e niente sale, perché abitando al quinto piano era meglio che il santo fosse sobrio per salire in sicurezza su per le scale con il suo sacco in spalla; sicuramente l’asino sarebbe rimasto per strada, davanti al portone. Al mattino, dopo una notte trascorsa a sognare la lotta tra san Nicolò e il Krampus, al nostro risveglio trovammo i consueti doni: sacchettini di carta crespo rossa con leccornie di ogni tipo e qualche pezzettino di car-
bone (di zucchero) dono di un Krampus ravveduto. Però, uscendo di casa per andare a scuola, davanti alla porta trovammo un’enorme frusta fatta di rami di salice, tutta “fiorita” di fiocchi di carta crespo rossa e nera, piena di dolci monete di cioccolato, di carbone di zucchero, di caramelle e cioccolatini… Sembrava quasi un albero di Natale. C’era una misteriosa cartolina rossa, indirizzata a me e a mio fratello, con stampata un’immagine a rilievo e la scritta “Gruß vom Krampus” (“Saluti dal Krampus”), tracciata con una grafia antica. Anche nostra madre rimase molto stupita e, a distanza di molti anni, ancora nessuno di noi è riuscito a scoprire il vero autore di quel dono [fig. 2]. L’ultimo ricordo risale agli anni Sessanta del Novecento a San Candido (Innichen), in val Pusteria. La notte tra il 5 e il 6 dicembre le vie del paese erano affollate di Krampus; scorrazzavano per il paese con schiamazzi, nella baraonda di suoni di campanacci, urla e versi bestiali, fruste e catene che sbattevano qui e là, terrore di ragazzini e ragazzine e anche di giovani donne, spesso le prede più ambite dei Toifl del paese. Solo qualche gruppetto di giovani coraggiosi si avvicinava ai Krampus, provocandoli, sfidandoli e poi gli intrepidi scappavano a gambe levate e si rifugiavano in un nascondiglio sicuro. Le scene per le strade però non sembravano un gioco scherzoso, un rito pacifico di “iniziazione”, la rappresentazione simbolica dell’eterna lotta tra bene e male, il risveglio delle forze nascoste della natura addormentata: i “fumi alcolici” avevano stimolato l’aggressività dei personaggi mascherati e reso pericolose e irrefrenabili le loro “prodezze”. Neppure il piccolo St. Nikolaus riusciva a fermarli. Erano anni difficili, quelli: la tensione era molto forte, c’erano stati gli attentati ai tralicci, le forze dell’ordine erano distribuite in modo capillare nei paesi, con compiti di sorveglianza speciale contro il terrorismo degli estremisti tirolesi, la diffidenza reciproca e l’inimicizia ereditaria caratterizzavano ogni momento della vita sociale in Alto Adige. Ogni tipo di mascheramento era stato vietato a garanzia dell’ordine pubblico. I Krampus non potevano più circolare liberamente, indipendentemente dalle loro azioni e dai loro eccessi. Così vidi un Krampus arrestato da due carabinieri. Questo episodio mi catapultò bruscamente fuori dall’infanzia [fig. 3]. Da una quindicina d’anni a Dobbiaco (Toblach) si tiene annualmente tra il 5 e l’8 dicembre la sfilata dei Krampus (Krampuslauf): è una delle
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più grandi manifestazioni dell’arco alpino. Le varie associazioni di Krampus sfilano alla luce di fiaccole e fuochi infernali, nel corteo – in una posizione molto marginale – c’è anche san Nicolò. Molteplici sono i mascheramenti dei Krampus, delle Perchten, dei Klaubauf a cui si aggiungono nuove maschere, legate alle saghe nordiche o al genere fantasy (“Il Signore degli anelli”, ad esempio) e interpretano e ripropongono (a scopo prevalentemente turistico) riti e tradizioni legati a St. Nikolaus e al Krampus come momenti separati e talvolta contrapposti.1 Dei riti prenatalizi e della “magia dell’infanzia” sono rimasti solo un’antica cartolina con i saluti del Krampus e una fotografia ingiallita di un Krampus davanti a due carabinieri in divisa. Di qui ha preso spunto la mia ricerca sul modo in cui nel corso di quasi cent’anni le diverse generazioni, epoche storiche, ambienti sociali e culturali hanno “salvato” e “ricreato” l’immagine del Krampus, i suoi diversi significati, la sua funzione socio-culturale e il suo rapporto con l’immagine di san Nicolò.
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il Krampus dalle tradizioni locali alla cartolina illustrata Tracce dei riti, usi e costumi legati alla tradizione di san Nicolò e dei suoi diversi accompagnatori (Krampus, Kramperl, Klaubauf, Perchten, Knecht Ruprecht, ecc.) sono ancora oggi diffuse in un’area molto vasta, che si estende in modo particolare a tutto l’arco alpino centro-orientale, all’Austria, alla Slovenia, all’Ungheria, di fatto all’antica Mitteleuropa, e anche alla Baviera per raggiungere infine la Selva Nera, l’Alsazia, e l’intero continente europeo fino a fondere l’immagine di san Nicolò con quella del Babbo Natale della società dei consumi. Eppure anche queste attuali “pseudo tradizioni” di carattere commerciale ereditano e celano una fitta stratificazione d’immagini e significati, sopravvissuti allo scorrere del tempo attraverso un costante processo di intreccio e sedimentazione culturale. Studi recenti, ad esempio, hanno evidenziato le varianti delle tradizioni legate a san Nicolò e ai suoi diversi accompagnatori nei territori di lingua tedesca 2, in particolare le aree austro-tedescosvizzere [fig. 4], cogliendo proprio la complessità del fenomeno e della sua diffusione, intrecciando letture e interpretazioni antropologico-storicosociali, religioso-simbolico-culturali, psicoanalitiche e storico-artistiche.3
[4]
L’iconografia e le caratteristiche del Nikolausumzug (Corteo di San Nicolò), del Krampuslauf (Corsa dei Krampus) e del Nikolausspiel (rappresentazioni di teatro popolare itinerante nelle case di montagna incentrate sulla figura di san Nicolò e sui suoi accompagnatori) sono molteplici e ricche di varianti e di particolari locali. 4 Solo a partire dai primi decenni dell’Ottocento il processo di secolarizzazione dei riti di san Nicolò e la diffusione della pedagogia “borghese”, la “scoperta” dell’infanzia e dei diritti dei bambini, spinsero la tradizione a riconoscere e rispettare l’importanza della sensibilità dei piccoli e a ridimensionare l’abbinamento ubbidienza-premio, disubbidienza-punizione, scindendo il binomio St. Nikolaus e Krampus e potenziando l’autonomia reciproca delle due figure. Nel corso di due secoli, però, le trasformazioni sociali prodotte dalla progressiva industrializzazione, dall’emigrazione in città, dallo spopolamento di campagne e vallate, hanno relegato le antiche tradizioni alle zone marginali, per “reinventarle” dopo gli anni Settanta per i turisti, mentre hanno fuso sempre più l’immagine di san Nicolò con quella di Babbo Natale, trasformando il rito del “donare ai più piccoli” nella corsa sfrenata agli acquisti, che “consuma” ogni oggetto svuotandolo del suo significato simbolico, della sua “aura”, del suo valore sociale e culturale. Come affermava già nel 1935 il filosofo e saggista berlinese Walter Benjamin lo sviluppo della riproducibilità tecnica ha frantumato l’urna di cristallo che rendeva uniche le immagini, le opere d’arte, la pittura, la scultura, gli stessi prodotti artigianali (i legni intarsiati, i vasi di ceramica, gli stucchi, i ferri battuti) e ha reso “invisibile” il lavoro che creava una nuova e irripetibile realtà: le tracce dell’impronta delle dita del vasaio nella creta, l’idea che alita vita in un’immagine e la colloca in una costellazione “in bilico” tra il “qui ed ora” ed il futuro. 5 Anche la stampa, una delle principali forme di tecnologia per la riproduzione, non può sfuggire alla sedimentazione, all’intreccio, agli incontri tra mondi, lingue, culture e immaginari diversi. In modo particolare la cartolina illustrata, prodotto industriale della fine del XIX secolo, racchiude in uno scrigno la storia non ancora scritta del percorso di secolarizzazione della figura di St. Nikolaus e del suo accompagnatore, il Krampus. Tra XIX e XX secolo, infatti, l’immagine satanico-diabolica rappresentata dal Krampus e dal-
le sue varianti conquista una sua esplicita autonomia. La notte del 5 dicembre è dominata dal Krampuslauf, dalla corsa dei diavoli per le strade e nei vicoli, dal rumore assordante dei campanacci che portano alla cintura di vesti fatte con pelli di capra, dallo sferragliare delle loro catene trascinate a terra, dal tintinnio dei sonagli appesi alle caviglie e dalle urla che rimbalzano di casa in casa, lungo le scale e nelle piazze. Stanno nascosti dietro i muri o gli alberi e spuntano all’improvviso a gettare il terrore tra bambini e ragazze. Sempre pronti a sporcare di carbone, di grasso o di pece e a “rapire” le giovani e i bambini più intrepidi, decisi a sfidare i mostri nelle strade. Il 6 dicembre è invece la sera di St. Nikolaus, che passa di casa in casa, talvolta accompagnato dagli angeli, talvolta ancora da un Krampus certamente più “addomesticato” di quelli che avevano dominato la notte precedente e molto meno aggressivo di quelli che avevano segnato l’infanzia delle generazioni dei primi del Novecento. I doni del Nikolaus sono mele, noci, biscotti, dolcetti, raramente sono giocattoli; il Krampus ai bambini più disobbedienti porta carbone e qualche minacciosa frustata. Sigillo della visita del Krampus è una cartolina: con immagini impreziosite da tecniche sempre più raffinate, dai disegni di illustratori e artisti di fama internazionale, dalla carta o dal cartoncino più ricercato, con tecniche di stampa all’avanguardia, le case editrici di mezza Europa diffondono migliaia di copie di cartoline illustrate con i saluti e le raccomandazioni nelle diverse lingue del Krampus e anche del Nikolaus in occasione del 5 e del 6 dicembre (in tedesco, ungherese, ceco, slovacco, sloveno, polacco, rumeno): Gruss vom Krampus (“Saluti dal Krampus”), Für Böse: Krampus und die Rute, für Brave: Nikolaus der Gute (“Per i cattivi: il Krampus e la frusta, per i bravi: il buon san Nicolò”) Wirst brav sein! (“Sii buono!”), Brav sein! (“Fare il bravo!”). Le cartoline illustrate dedicate al Krampus sono testimonianze preziose proprio del processo di trasformazione dell’immaginario fantastico, della funzione rituale nei nuovi contesti storicosociali, della stessa idea d’infanzia, non più considerata ingenua età dell’innocenza, ma età della sperimentazione e dell’avventura. La figura diabolica, Lucifero, rimane tale solo la notte del 31 dicembre (fino alla nascita dell’anno nuovo), perché a lui sono destinati i “pesi dell’anno vecchio”; anche durante il Carnevale il diavolo ha un posto di primo piano nelle diverse tradizioni; il 5 dicembre, invece – abbandonate le false spo-
glie dell’aristocratico, del nobile, del seduttore – l’incarnazione del “Male” assume le forme del “bestiale”, dell’immondo, dell’ingannatore, del profittatore, del tentatore, del satiro, maturando nello stesso tempo un profilo caricaturale dai toni ironici e autoironici, con cui esplicita la sua critica sociale. Scompare di scena il buon Nikolaus e lascia il posto a un orribile diavolaccio non molto astuto, convinto però di essere molto furbo… Le sue diavolerie vanno di pari passo con lo sviluppo della scienza e della tecnica, la sua figura si adatta alle nuove ideologie e ai nuovi poteri, le sue “conquiste” si spostano dal mondo dell’educazione a quello dell’eros. Così in cartolina l’immagine satanica stempera e prende le forme della caricatura. “Gruß vom Krampus“ (“Saluti dal Krampus”) si legge sulle cartoline spedite in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e il 1950; seguono raccomandazioni, auguri, saluti, talvolta frasi d’amore, nell’illusione che il “Male” possa essere domato una volta per sempre e trasformato in uno scherzo, grazie al progresso e alla modernità. Ma di questa illusione la storia recente porta con sé solo una flebile e opaca traccia [fig. 5].
il Krampus in cartolina: la collezione di Günther Kofler Collezionare cartoline illustrate è una passione piuttosto recente e abbastanza diffusa: la scoperta delle cartoline da parte delle masse popolari sancisce la loro grande “fortuna” alla fine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento come strumento di agile comunicazione, abbastanza economico, esteticamente gratificante e facilmente utilizzabile. Il collezionismo vede quindi nella raccolta e conservazione delle cartoline illustrate un’attività piuttosto semplice (le cartoline stampate sono tante, di molti tipi e con molteplici soggetti), ma nello stesso tempo sono vere e proprie opere d’arte, gli illustratori (e le illustratrici) si cimentano sempre in nuovi soggetti, stili, tecniche, affiancati dalle innovazioni tecnico-scientifiche introdotte da poco nell’arte della stampa e infine sono un buon investimento per i collezionisti. Negli anni Venti del Novecento il collezionismo delle cartoline illustrate conosce una profonda crisi. Si perdono così supporti e iniziative di sostegno (fiere, mercati, scambi, cataloghi ecc.) e quando negli anni Sessanta ricomincia a diffondersi la passione per il collezionismo in questo settore, la ricerca diventa sempre più complessa, anche perché le vicende belliche avevano distrutto case editrici, tipologie specifi-
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che di carta, la carta da stampa era diventata costosissima e preziosa; la guerra aveva disperso gli illustratori, i disegnatori, i tipografi, ma anche i fotografi d’arte, rapidamente sostituiti da reporter. La cartolina illustrata nel corso di cento anni ha vissuto momenti di gloria e fasi di repentina caduta, oggi restano solo i collezionisti, protagonisti e testimoni di una nuova stagione di “salvataggio” delle cartoline, piccole e fragili opere d’arte d’uso quotidiano, in cui vita e arte si mescolano, intrecciano, compenetrano e si sedimentano con leggerezza. Günther Kofler è un appassionato collezionista di Egna (Bolzano) a lui dobbiamo la preziosa raccolta di cartoline del Krampus a cui abbiamo attinto per questa mostra 6. Fin da bambino, racconta, era innamorato delle “cose vecchie”, degli oggetti antichi, un po’ misteriosi, di cui cercava sempre di ricostruire storia e usi, mentre suo padre preferiva occuparsi di “cose moderne”, più pratiche e funzionali. Da piccolo si fermava a lungo a osservare nella cartoleria del paese le cartoline illustrate, affascinato dai disegni, dai colori, dalle storie che raccontavano, sia quelle augurali, dedicate al Natale, alla Pasqua, ai compleanni e all’anno nuovo, quelle dedicate a St. Nikolaus e quelle del Krampus, sia quelle legate alle immagini antiche di paesi e di città. Nel corso degli anni ha cominciato la sua collezione di cartoline con quelle di carattere topografico e solo in un secondo momento ha “scoperto” le cartoline dedicate ai Krampus e al St. Nikolaus. È stata una folgorazione, anche perché nel corso degli anni la tipologia dei soggetti rappresentati, delle rappresentazioni del Krampus, si è trasformata non solo in relazione alla sensibilità dell’epoca e degli ambienti sociali di provenienza degli illustratori o dei fruitori, ma anche in relazione alle tecniche di produzione e stampa, alla tipologia di carta usata e alla cartotecnica. Oggi possiede su questo tema circa 4000 esemplari, datati tra la fine dell’Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento, provenienti soprattutto dall’area austriaca e dall’antico Impero Asburgico (Austria, Ungheria, Cechia, Slovacchia, Boemia ecc.), ma anche dalla Baviera, dalla Polonia e dalla Romania [fig. 6]. I suoi preziosi “tesori” sono il frutto di un’accurata e puntigliosa ricerca e di uno studio raffinato intorno alla produzione e alla ricezione di questi piccoli capolavori. Come scriveva il filosofo berlinese Walter Benjamin, nel suo saggio del 1935 Eduard Fuchs. Il collezionista e lo storico, la rappresentazione storica e l’apprezzamento devono diventare un’unica e
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medesima cosa e devono essere superati insieme grazie “a una scienza della storia che non abbia più come oggetto un groviglio di puri dati di fatto, bensì quel gruppo definito di fili che rappresenta la trama di un passato nell’ordito del presente. (Sarebbe errato voler identificare questa trama col mero nesso di causa ed effetto. Piuttosto, questa trama è tutta di genere dialettico, ed è possibile che per secoli siano andati perduti certi fili che il corso attuale della storia riprende di colpo e quasi inavvertitamente). L’oggetto storico, sottratto alla pura fatticità, non richiede alcun apprezzamento. Esso non propone infatti vaghe analogie con l’attualità, bensì si costituisce col preciso compito dialettico che l’attualità è chiamata ad assolvere”. 7 Inoltre Benjamin pone l’accento sul fatto che “La considerazione della tecnica riproduttiva permette di capire, come nessun altro campo d’indagine, l’importanza decisiva della ricezione; essa consente così di rettificare entro certi limiti il processo di reificazione che l’opera d’arte subisce. Lo studio dell’arte di massa porta a una revisione del concetto di genio; rispetto all’ispirazione che concorre al divenire dell’opera d’arte, esso suggerisce di non trascurare il momento dell’esecuzione, che sola le permette di diventare feconda. Finalmente l’interpretazione iconografica si dimostra indispensabile non soltanto per lo studio della ricezione e dell’arte di massa; essa è atta a neutralizzare in specie gli abusi a cui ogni formalismo ben presto induce”.8 Gli studi più recenti sulle cartoline fanno risalire al 1861 la produzione della prima cartolina postale in America (senza immagini e con il francobollo stampato); in Austria la prima Correspondenz-Karte venne diffusa il 1 ottobre 1869 e nel 1870 nell’area tedesca vennero acquistate più di due milioni di cartoline. La prima cartolina augurale (con stampati gli auguri natalizi) fu prodotta in Inghilterra tra il 1870 e il 1873. 9 Probabilmente la prima cartolina illustrata fu pubblicata nel 1872 da J. H. Locher a Zurigo; Franz Rorich, di Norimberga, vi mise l’immagine di un paesaggio svizzero. Il litografo Zrenner di Monaco avviò l’edizione di una serie di cartoline illustrate e per molti anni le cartoline furono considerate una sua “invenzione”. Poi fu la Germania ad avere il primato della produzione commerciale. Sicuramente furono però l’invenzione e la diffusione della cromolitografia (con la rotativa) e la fotografia a segnare la fortuna delle cartoline illustrate. 10
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Alla nascita della cartolina artistica contribuirono soprattutto artisti e illustratori che avevano preso parte ai movimenti culturali di fine secolo: molti rappresentanti della Secessione si avvicinarono ai nuovi orizzonti dell’arte grafica, soprattutto le donne che – all’epoca – non avevano accesso, proprio in quanto donne, all’Accademia d’arte o a studi superiori di carattere artistico e avevano dovuto perciò “ripiegare” verso l’arte applicata e l’artigianato artistico contribuendo alla svolta estetica degli arredi d’interni (soprattutto le stanze dove in famiglia si trascorrevano la maggior parte delle giornate), i tessuti, i giocattoli, i gioielli ecc. La “mania” delle cartoline postali raggiunse il culmine in Germania nel 1903, in Inghilterra nel 1905 e in America nel 1908. Solo a Parigi nel 1899 esistevano più di 3000 tipologie diverse di cartoline illustrate. A Francoforte nel 1900 una delle più importanti fabbriche di cartoline illustrate in Europa aveva più di 1200 dipendenti e produceva quotidianamente fino a 100 nuove serie e nuovi soggetti. Anche il collezionismo divenne una vera e propria mania collettiva: nel 1897 in Germania esistevano circa 60 fabbriche di album per la raccolta di cartoline. Per tutti ricevere e conservare cartoline illustrate rappresentò una crescita del prestigio personale e sociale e la corrispondenza attraverso le cartoline illustrate fu una nuova opportunità per “scoprire e vedere” luoghi e paesi fino ad allora solo immaginati o sognati, alberghi e centri di soggiorno e cura (terme, hotel, caffè, rifugi, parchi e giardini). Città, ferrovie e funivie cominciarono a pubblicizzare le loro offerte proprio tramite l’edizione di specifiche cartoline, da cui presero spunto quelle che annunciavano e propagandavano esposizioni, mostre, occasioni ed eventi speciali e quelle con funzioni di annuncio o di invito ecc. Il turismo, allora agli albori, ebbe un forte impulso proprio grazie alla diffusione delle cartoline illustrate [fig. 7]. Le grandi storiche raccolte si trovano in alcuni musei specializzati: la più importante (500.000 pezzi) è conservata presso l’Altonaer Museum di Amburgo che dal 1965 è sede della mostra permanente sulla storia culturale e artistica della cartolina postale; il Museo parigino di Arte e Tradizione Popolare ha un fondo di 120.000 pezzi. In America c’è il primo (e probabilmente unico al mondo) Museo della cartolina, a Canaan nel Connecticut. Anche il Metropolitan Museum di New york e la Biblioteca della Loyola
Marymount University di Los Angeles hanno delle ricchissime collezioni di cartoline illustrate. Presso la Biblioteca Nazionale di Parigi è conservata la collezione di 3000 esemplari di cartoline storico-artistiche del poeta francese Paul Eluard, uno dei principali esponenti del movimento surrealista. Le cartoline della collezione Kofler in mostra sono proposte in sette gruppi tematici: San Nicolò e il Krampus; L’infanzia e il Krampus; Doni e oggetti; Il Krampus e le sue forme; Diavolerie moderne; Il Krampus politico; Eros e seduzione. Coprono un arco di tempo che va dal 1899 al 1950 e alcune sono “viaggiate”, quindi contengono messaggi e comunicazioni, timbri, date, francobolli; altre sono intonse. Alcune portano la firma o la sigla dell’illustratore, altre sono anonime; alcune riportano i dati della casa editrice o della tipografia, altre solo il numero di serie. Alcuni illustratori sono affermati e apprezzati, non solo per aver ideato e realizzato serie di cartoline illustrate, ma per attività artistiche più “prestigiose”. Tra questi vanno segnalati i viennesi E. S. Döcker, H. Schubert, E. M. Kantner, P. Ebner, M. Liebenwein, H. Bllederv, D. Ph. Eichsen, I. Streyc, e gli austriaci C. Ledermann jr, B. Koziny, A. Hartmann, A. F. Deposé, E. Kutzer, M. Kistler, Luise Hoff, Mela Koehler, Karl Weiser, Matouschek, Wanda Rehberg, Feiertag e molti altri ancora, tutti poco studiati e scarsamente valorizzati [fig. 8]. Le cartoline provengono da diverse zone della Germania, dell’Austria, dell’Ungheria, Boemia, Galizia, Cechia, Slovacchia, Slovenia, Romania e sono state acquistate nei mercatini, tramite siti specializzati in Internet, con scambi tra collezionisti o da antiquari o direttamente nelle cartolerie, ritrovate come scarti di magazzino 11. Ogni cartolina cela una o più storie. Non ci sarà spazio a sufficienza per raccontarle tutte, ma per chi visiterà con attenzione la mostra, questo viaggio diventerà un’esperienza unica e irripetibile. Sarà come passare con leggerezza tra i fili della storia, intrecciati nell’ordito della vita quotidiana, pronti per una nuova avventura che intreccia, mescola, sedimenta e intesse i colori dell’arazzo di cui siamo i tessitori.
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san nicolò e il Krampus Questa sezione offre una carrellata dei diversi modi con cui gli illustratori hanno proposto nel corso di cinquant’anni la relazione tra san Nicolò e il Krampus. Una cartolina, presumibilmente dei primi del Novecento, presenta un austero san Nicolò con mitra e pastorale che, in un paesaggio invernale, cammina deciso verso la sua meta: il piccolo paese innevato posto ai piedi del poggio su cui è il buon vescovo. Porta un grande mantello e sulle spalle ha un sacco, legato con una corda. È un po’ rappezzato e da qualche scucitura fuoriescono bamboline o burattini, che fanno intuire la presenza di doni. Le scarpe di san Nicolò hanno più la foggia di pantofole di panno a quadretti e richiamano il bordo del mantello. Alle spalle di Nikolaus, nascosto tra il sacco e il mantello spunta il Krampus. È accucciato, sporgono solo la sua frusta di salice e la lunga lingua rossa. Ha il volto contratto e gli occhi sporgenti. Tra i due prevale san Nicolò: è più grande, in primo piano e il Krampus si nasconde dietro di lui. È ancora una fase, questa, in cui il santo è in grado di domare e tenere a bada il male, il diavolo, rappresentato dal mostro che gli sta accucciato dietro la schiena [fig. 9]. Un’altra immagine propone una cartolina-annuncio: sta arrivando san Nicolò con il Krampus, presto saranno davanti alla tua porta, caro bambino, se sarai stato bravo riceverai dei doni, se sarai stato cattivo subirai una terribile punizione. L’immagine, datata 5 dicembre 1900, rappresenta un paesaggio invernale: le bambine e i più piccoli accolgono con gioia san Nicolò, i più grandi – maschi – piangono disperati vedendo il Krampus. San Nicolò, nelle vesti del santo buono, sorride e saluta i bimbi benedicendoli. Ha il pastorale in mano, porta la mitra, ha un mantello con il bordo di pelliccia. Al braccio porta una specie di guinzaglio con cui tiene legato il Krampus che gli cammina accanto. Questi ha le caratteristiche tipiche del diavolo: una zampa da cavallo e una da essere umano, una lunga coda, il corpo peloso, le orecchie appuntite, le corna sulla testa, una grande lingua rossa, una barbetta da capra gli copre il viso. In spalla ha un sacco di stoffa da cui spuntano gambe e braccia di bambini. Uno dei piccoli prigionieri piange disperato. In terra c’è la cesta di san Nicolò con i doni: giocattoli di legno e piccole mele rosse. Il Nikolaus è ancora capace di tenere a bada la furia distruttiva del Krampus [fig. 10].
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Invece in un’altra cartolina, datata 1918, il santo vescovo e il Krampus si separano ad un bivio: da una parte va Nikolaus, con il suo sacco pesante sulla spalla, lo sguardo triste, il volto affaticato, accompagnato da tre angioletti carichi di doni… Alle sue spalle il Krampus, nero, peloso, con in in mano un forcone e una catena, accompagnato da due diavoletti pelosi, va nella direzione opposta: “Bene” e “Male” hanno preso strade diverse. Siamo all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Il Krampus nelle illustrazioni assume sempre nuove sembianze: è un caprone peloso con in mano una campanella, al seguito del corteo di san Nicolò che incontra due bambini e un cagnolino in preghiera (anni Venti); è un diavolo acquattato dietro le spalle del Nikolaus (1938); tra le mani ha la gerla in cui metterà i bambini cattivi che porterà con sé. Attende il momento propizio per compiere il suo misfatto, ma teme la potenza del vescovo, la cui santità è sottolineata dalla grande aureola che circonda il suo capo. In molte raffigurazioni il paesaggio invernale è collocato su uno sfondo rosso fuoco. Negli anni Trenta gran parte delle cartoline del Krampus furono stampate su un cartoncino leggero e rosso, per compensare con il colore la fragilità della carta in piena crisi economica, nel periodo che prepara la Seconda Guerra Mondiale. Da Brno, in Cechia, proviene la cartolina [fig. 11]
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che probabilmente risale all’immediato primo dopoguerra e raffigura una scena d’interni: il Nikolaus e il Krampus sono entrati in una stube 12 e si avvicinano a due bambini che, terrorizzati, si sono rifugiati sulla panca accanto alla grande stufa a ole e li guardano con sgomento. Il gatto di casa si pone in atteggiamento aggressivo verso il Krampus che in una mano ha un forcone e sembra puntarlo verso il gatto, mentre con l’altra mano stringe un frustino da cocchiere. San Nicolò è rappresentato di spalle, nell’atto di donare un frutto ai bambini, ma i due piccoli sembrano vedere solo il mostro che sta avanzando minaccioso dietro di lui. Si tratta di un’esplicita critica alla “pedagogia della paura” che aveva caratterizzato tutto l’Ottocento europeo e di cui anche la coppia Nikolaus-Krampus era stata protagonista indiscussa fino ai primi decenni del Novecento, quando aveva cominciato a manifestare profondi segni di crisi. A suo modo l’anonimo illustratore sottolinea la crudeltà e l’inefficacia educativa di una strategia relazionale basata sulle minacce e sulla paura. Due cartoline a sfondo rosso degli anni Venti-Trenta mettono in risalto la funzione di tutela e protezione dei bambini da parte di san Nicolò, davanti alle minacce e alle violenze del Krampus, ora diventato più grande, più forte, con sembianze sataniche ed animalesche (la grande coda, la gamba con lo zoccolo da cavallo, le corna, il corpo peloso, la sicurezza nel gesto e nello sguardo). L’illustratore
viennese E. Döcker jun.13 nella serie di cartoline intitolata “Nicolo” e datata 1901 [fig. 12] svela i ‘segreti’ e i retroscena del connubio tra Nikolaus e il Krampus: li ritrae a confabulare tra loro, a organizzare il loro travestimento, a bere insieme dopo la “rappresentazione”, a condividere la strada. È come se Döcker volesse svelare l’artificio teatrale del mascheramento, per mettere in luce il modo in cui gli “attori” si prendono gioco dell’infanzia e dell’ingenuità delle fanciulle. Ma il “gioco delle parti” rende più gioioso l’incontro. L’artista ha uno stile narrativo legato al folclore locale, da cui probabilmente non sono estranee le tradizioni del Nikolausspiel (le rappresentazioni itineranti della lotta tra “Bene e Male”, che hanno sempre tra i vari interpreti il vescovo buono e santo e l’indomabile Krampus) e ricostruisce, nelle serie di cartoline, vicende legate alla vita quotidiana del mondo rurale e alpino tra Ottocento e Novecento. In altri esempi, come in alcune cartoline con la scritta augurale in polacco, risalenti al primo decennio del Novecento, muta il contesto e le funzioni dei personaggi. Le immagini propongono infatti un Satana in giacchetta rossa trasformato nel servo di san Nicolò: trascina la slitta con a bordo il santo e i doni per i bambini, ma ha anche un piccolo abete decorato, come un albero di Natale, indizio di una progressiva fusione tra le figure del santo vescovo Nicolò e dell’immaginario Babbo Natale. In un’altra san Nicolò cammina nella neve, preceduto da
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un angioletto con in mano un piccolo abete natalizio e un giocattolo. Li segue un diavolo nudo, simile ad uno schiavo d’altri tempi, che sulle spalle trasporta uno scatolone carico di giocattoli [figg. 13–14]. In un’altra cartolina, che risale ai primi decenni del 1900 e riproduce il dipinto Sankt Nikolaus dell’austriaco Ernst Payer (1862–1937), l’artista propone invece una sorta di lotta tra san Giorgio e il drago interpretati da san Nicolò e da ciò che resta del Krampus, privato della sua frusta e delle mele: è un’orribile bestia, un diavolo peloso con gli artigli, la rossa e lunghissima lingua e due enormi corna, ma ormai è domato dalla forza del Nikolaus. Un’altra tendenza presente nelle immagini delle cartoline che rappresentano la coppia san Nicolò-Krampus fin dai primi del Novecento (nelle illustrazioni di Eduard Döcker jun. ad esempio) è il progressivo ridimensionamento dei due personaggi, non solo sul piano pedagogico, ma anche etico e culturale, fino a farli diventare dei giocattoli, dei pupazzetti o addirittura delle caricature, liberando così l’infanzia dalla paura [fig. 15], indirizzandola invece verso la consapevolezza delle proprie scelte, nel distinguere tra “Bene e Male”, riconoscendo comunque la compresenza in ogni essere umano di entrambi. La condivisione e il rispetto delle regole del vivere civile, della giustizia sociale, la partecipazione di tutti alle scelte per il “bene comune” sono gli unici
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rimedi possibili contro l’ingiustizia, la sopraffazione e la guerra [fig. 16].
infanzia e Krampus Il Krampus aveva un compito preciso: portare via i “bambini cattivi” e punire severamente i disubbidienti e i poco studiosi, quelli disordinati e irrispettosi, quelli capricciosi o ingordi, quelli maneschi e violenti, quelli che fanno ancora la pipì nel letto… Insomma tutte le mancanze, le fragilità, le ribellioni finivano nella gerla del diavolo. Il Krampus anche se non portava via fisicamente i bambini, sicuramente li spaventava al punto da costringerli a comportarsi bene. È la “pedagogia della paura” che vede nei piccoli degli esseri adulti, ma non completi, non cresciuti e quindi ancora da “plasmare”, con “le buone o con le cattive”. È l’educazione fatta a suon di botte, perché quelle fragili vite “vanno raddrizzate, prima che si rovinino definitivamente”. Nel 1960 sono gli studi dello storico Philippe Ariès, che pubblica a Parigi Padri e figli nella Europa medioevale e moderna 14, a consentire un salto di qualità nell’approccio alle problematiche educative. Ariès prende in esame il “sentimento dell’infanzia” nell’Europa medievale e moderna, cioè l’atteggiamento che assumono gli adulti nei confronti del bambino. Attraverso l’analisi di fonti iconografiche, artistiche e letterarie, costumi e tradizioni, arriva alla conclusione che l’attenzione all’infanzia è un fenomeno
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recente. Nel medioevo o in età moderna non esisteva una definizione riconosciuta d’infanzia come età che dava significati alla vita; questa consapevolezza nasce nel corso del Settecento. I bambini prima erano concepiti come adulti in miniatura, non come esseri speciali. Nei primi due anni di vita non erano neppure considerati e spesso non avevano un nome, dato l’alto tasso di mortalità infantile. Una volta raggiunto il minimo livello di autonomia erano subito inseriti nel mondo degli adulti e cominciavano a lavorare senza alcuna tutela. Nessuno si poneva il problema di proteggere e sostenere l’infanzia. L’idea a cui era giunto Ariès, che l’infanzia fosse una “scoperta recente”, aprì un dibattito molto vivace e diede la spinta ad una ricerca storica più accurata e più attenta alla complessità dei problemi educativi, culturali e sociali nel campo della vita quotidiana e delle consuetudini dei costumi familiari che avevano connotato lo sviluppo dell’infanzia negli ultimi due secoli. Anche il Krampus ha un ruolo in questo processo: attraverso la sua immagine in cartolina, dall’immaginario degli illustratori e dalle loro tecniche, riusciamo a cogliere i contesti nei quali l’infanzia è stata riconosciuta per le sue peculiari caratteristiche e ha potuto trovare risposte educative a “bisogni in conoscenza” e nella relazione con il mondo degli adulti.
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Il Krampus, in una cartolina datata 1919 [fig. 17], affianca il Nikolaus e mentre il vescovo buono distribuisce piccole mele rosse ai bambini che stanno intorno a lui, alle sue spalle un gigantesco Krampus peloso e cornuto, con la lunga lingua rossa spianata, infila nel sacco a testa in giù i monelli irrecuperabili. Una bimba preoccupata guarda il Krampus mangiando la mela ricevuta in dono da san Nicolò. In una cartolina particolare dei primi del Novecento (la tecnica usata è la fotografia e la scena intreccia la tecnica del ritocco fotografico con quello dell’illustrazione), il Krampus dal volto umano è travestito da diavolo (con lunga coda e corna appuntite), porta sulle spalle una gerla di legno nella quale è sistemato un bambino con in mano una bambola. Si agita e sembra chiedere aiuto. In terra c’è un sacco di stoffa da cui spunta un bambino, quasi uno gnomo [fig. 18]. San Nicolò sembra chiedere conto di quei “rapimenti” e il Krampus ascolta con gli occhi rivolti a terra. Poco lontano, sullo sfondo, davanti alla casa un gruppo di bambini segue la situazione. La tecnica fotografica rende molto efficace la scena e il Krampus appare nella sua dimensione più umana che bestiale. In una serie di cartoline datate tra il 1900 e il 1920 appare tutta
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la crudeltà del Krampus: san Nicolò non c’è e la violenza, il sadismo, la collera gratuita del diavolo esercitano una forte pressione emotiva. Tutte le scene sono dominate dalla paura. Vi è la “deportazione” dei bambini, c’è un neonato, una bambina piccola, due ragazzini incatenati e trascinati da un Krampus dai tratti bestiali, coadiuvato da piccoli diavoli fieri delle loro gesta [fig. 19]. Oppure il Krampus selvaggio che scorazza per il paese innevato, quello che entra nelle case e trascina in catene due bambini in abiti borghesi, quelli che picchiano, catturano, frustano maschi e femmine per le strade e per i campi. Sono diavoli feroci, senza pietà e senza freni. Poi quello che tira le orecchie al bambino vestito da marinaretto e quello che, mentre una bimba piange disperata nella gerla, si fa forse commuovere dalla piccola in ginocchio che supplica pietà: ma è un Krampus che “cura i dettagli”: peloso, lunga coda, uno zoccolo da cavallo al posto di un piede, corna da caprone, lunga lingua rosso fuoco, frusta e catene nelle mani. C’è poi un giovane Krampus che corre veloce: ha ben due gambe da cavallo, munite di zoccoli e trasporta nella gerla una giovinetta bionda, con i capelli scarmigliati, piangente e supplicante. In mano il diavolo stringe catena e frusta. Ha uno sguardo soddi-
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sfatto per la “preda”. Senza freni, senza regole, senza argini, senza “valori” sociali condivisi, “il Male” si scatena come un torrente in piena. Non c’è sforzo umano capace di fermarlo. E le vittime sono ancora gli innocenti, i piccoli, i fragili, i deboli, gli indifesi. Poi qualcosa cambia: i bambini non sono più così passivi e i Krampus che entrano anche nelle case delle famiglie benestanti devono affrontare la loro resistenza, perché i bambini cercano di chiudere la porta, provano a “trattare”. Ma non hanno molte possibilità di riuscita. Le cartoline dedicate alla scuola (principale istituzione destinata all’infanzia) sono terribili: in una datata 1900 [fig. 20] il diavolo con le ali da pipistrello prende a frustate il fondo-schiena dello scolaro ignorante, che non sa fare le addizioni, è disordinato, ha la cartella sporca e rovinata. La scuola diventa il terreno privilegiato per le azioni del Krampus: appare travestito da maestro e minaccia chi non si comporta bene di punizioni terribili; insegna le operazioni aritmetiche sbagliate; usa la frusta e altre “punizioni corporali” per castigare i pigri, gli svogliati, i discoli, quelli che copiano, che imbrogliano, che chiacchierano, che sono distratti e non s’impegnano nello studio [fig. 21]. I modelli educativi
del XIX secolo, che perdurano nelle scuole fino agli anni Sessanta del Novecento, nelle cartoline illustrate diventano il terreno privilegiato della azione del Krampus, nelle vesti d’insegnante. C’è però anche in questo gruppo di cartoline la riscossa dell’infanzia: i bambini cominciano a prendersi gioco del Krampus, a nascondersi, a creargli inciampi e difficoltà, a sfidarlo, forti dall’essere nella propria casa [fig. 22]. Anche questa volta il diavolo, senza la compagnia di san Nicolò si “ridimensiona” e diventa vittima dei bambini [fig. 23], oppure giocattolo [fig. 24, fig. 26], oggetto di cura e perfino di “seduzione” [fig. 25].
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doni e oggetti Alcune serie di cartoline illustrate dedicate a san Nicolò e al Krampus raffigurano i doni e gli oggetti che nell’immaginario collettivo rappresentano gli elementi caratterizzanti i due personaggi. Il santo vescovo Nicolò appare con il pastorale dorato, la mitra, un grande mantello che lo ripara dal freddo, la slitta o l’asinello e il sacco o le ceste con i doni per i bambini: dolci, frutta, mele, piccoli giochi di legno ed è sempre inserito in un paesaggio innevato [fig. 27]. Nikolaus distribuisce personalmente i suoi doni, nelle case o per la strada, oppure li infila nelle scarpe che i bambini preparano belle pulite e lucidate davanti alla porta, oppure sul davanzale della finestra o accanto al fuoco. Nella cartolina che riproduce il quadro di Theodor Breidwiser Nikolobescherung, che risale al primo decennio del Novecento, i doni sono depositati sul davanzale e si tratta di frutta di stagione e di frutta secca. Dagli sguardi dei bambini non emerge gioia piena, quanto piuttosto stupore, sorpresa, emozione e la timidezza di chi non è abituato a ricevere doni [fig. 28]. E le piccole mele rosse che affascinano i bambini ricordano la leggenda delle sfere d’oro che san Nicola donò alle giovani ragazze povere perché potessero avere una dote con la quale sposarsi e salvarsi così dalla miseria e dalla prostituzione. Una cartolina del 1913 con la fotografia di san Nicolò, due bambine e un cesto di mele è probabilmente una trasposizione in chiave moderna dell’antica leggenda e utilizza
i nuovi mezzi tecnici a disposizione per rendere la scena più realistica e “familiare”: la fotografia, il ritocco e la cromolitografia [fig. 29]. Le cartoline illustrate raccontano che i doni di san Nicolò arrivano in ogni paese, in ogni città, in ogni casa dove ci sono dei bambini, in quelle dei contadini più poveri e in quelle dei borghesi e dei benestanti cittadini. Nei primi vent’anni del Novecento i doni sono soprattutto piccoli dolci e frutta (d’inverno considerata molto preziosa e fonte di desiderio per i bambini del mondo mitteleuropeo, non ancora attraversato dalle grandi vie di comunicazione). Ricordo un episodio degli anni Sessanta: una pluriclasse di un paesino allora sperduto di una valle del Trentino inviò una lettera ad un potente politico locale, raccontando che nessuno di loro aveva mai visto un pompelmo e chiedendogli di poterne assaggiare almeno uno. La risposta fu pronta e immediata: al paesino giunse – a nome del politico influente – un intero camion di pompelmi, per la gioia di bambini e dei paesani. Non si trattava certo del dono di san Nicolò, ma la vicenda – che fece gridare allo scandalo le testate di tutti i giornali dell’epoca che avevano interpretato l’episodio come una ghiotta occasione di propaganda elettorale per il politico locale – a noi fa comprendere quanto nei primi decenni del Novecento il dono di una piccola mela rossa potesse rappresentare un regalo prezioso per i bambini che vivevano in montagna o nelle campagne ghiacciate e solcate da venti polari.
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Le cartoline illustrate di quegli anni presentano dunque una rassegna dei doni per i bambini della prima metà del XX secolo: mele, noci, frutta secca, qualche biscotto, il panpepato, qualche caramella di zucchero, forse un pezzetto di cioccolato, una trottola di legno, un burattino, una bambolina di pezza, un piccolo tamburo. I doni sono infilati nelle scarpe senza essere incartati (la carta era un bene molto costoso), ma negli anni Trenta fiocchi, scatole e carta rossa cominciano a fare la loro comparsa nelle case dei più facoltosi: alla gioia per il dono ricevuto si sommava anche la sorpresa e lo svelamento. Scartare i doni era quasi più emozionante della vista dell’oggetto nascosto. Il “tempo dell’attesa” aveva trovato realizzazione in un nuovo rito simbolico, che aveva intrecciato l’attesa con lo svelamento e la ricerca con la sorpresa; il gioco magico del vedere e non vedere e si concludeva infine con l’atto dello “scartare”, del separare la carta dall’oggetto, dello “spogliare l’oggetto da ogni mascheramento” per coglierne l’essenzialità [fig. 30]. In questo quadro l’immagine di san Nicolò si mescola con quella del Babbo Natale e anche la sua rappresentazione grafica a partire dagli anni Trenta subisce la prima influenza dell’industria d’avanguardia: i fumetti e i cartoons, i film d’animazione americani, i personaggi di Walt Disney [fig. 31].
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Ma anche il Krampus comincia a portare dei doni: nel corso dei primi decenni del Novecento la figura che accompagnava san Nicolò diventa sempre più autonoma e tra la paura, lo scherzo e l’ironia si costruisce un personaggio che fa da alter ego al Nikolaus. Al Krampus e alle sue bravate si possono quindi dedicare intere serie di cartoline illustrate, disegnate, ma anche costruite con intarsi, rilievi, applicazioni in stoffa, paglia, carta ecc. Hanno come soggetto le varie forme e caratterizzazioni del Krampus, ma anche i suoi oggetti di corredo (fruste, catene, forconi, campanacci, pellicce ecc.) e i suoi doni, frutta, carbone di zucchero, caramelle, panpepato. In mostra proponiamo una piccola rassegna di quelle edite nei primi trent’anni del Novecento [figg. 32–35]. Il Krampus viene così liberato dal suo ruolo di “carnefice”, per abitare, ridimensionato, negli spazi domestici, come un essere inquietante, minaccioso, talvolta simpatico e divertente, talvolta irritante. Non è più una questione legata solo all’educazione dei bambini, ma comincia a riguardare anche gli adulti. Forse è in gioco la morale collettiva. Sono gli anni Trenta, qualcosa in Europa sta cambiando e si prepara una nuova guerra. È la consapevolezza collettiva che “il Male” abita in noi e che forse possiamo contenerlo chiuso tra le mura delle nostre case? “Freud docet”.
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il Krampus e le sue forme Le prime cartoline che raffigurano il diavolo con le ali da pipistrello, le zampe posteriori con lo zoccolo da cavallo, le corna e la barbetta da caprone, le orecchie appuntite, lo sguardo penetrante e aggressivo, il forcone in mano e figure diaboliche più stilizzate o arcane, sono dedicate al capodanno ed in particolare alla svolta di secolo: “… hol das alte Jahr …” (“porta via l’anno vecchio”) “… hol die schlechten Zeiten …” (“porta via questi brutti tempi”) dicono le cartoline datate 1901 e 1913. Un modo per mandare al diavolo l’anno vecchio 15 [fig. 36]. Contemporaneamente appaiono le cartoline da inviare ai bambini con i saluti del Krampus, la cui figura è rappresentata in modi diversi, molto spesso è stilizzata in nero su sfondo rosso,
con orecchie aguzze, corna, barba da capro, frusta in mano, oppure colorata con prevalenza del binomio rosso e nero [figg. 37–38]. Il nome Krampus, secondo le fonti di Roland Girtler, deriverebbe dall’antico Kramp che ha un significato analogo a Kralle (artiglio), modo in cui venivano definite le sue lunghe unghie aguzze.16
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Gli illustratori nel corso di più di mezzo secolo hanno dato vesti e volti al Krampus, attingendo alle diverse tradizioni di luoghi, di riti, di funzioni, di leggende e storie locali. La collezione di Günther Kofler ci permette uno sguardo ampio sul Krampus nelle vesti di “satiro” o del mostro che apre le porte dell’inferno [fig. 39], del buffone di corte, maestro dei “giochi” [fig. 40], nei panni del mefistofelico personaggio in frac, seduttore e ladro d’anime, oggetto di tanta letteratura [fig. 41] e ancora tante altre figure mostruose che l’arte della cartolina illustrata rende con tecniche raffinate (carta a rilievo, colorazioni speciali, intarsi e applicazioni in stoffa su carta stampata, una sorta di patchwork ante litteram) [figg. 42–44]. Intorno agli anni Trenta si diffonde uno stile di rappresentazione del Krampus come “SuperKrampus”: a torso nudo vola a cavalcioni di una “super-frusta”, è muscoloso, ha un fisico perfetto e un volto trionfante, imbraccia un forcone stilizzato. La rima scritta sulla cartolina sottolinea questa percezione di onnipotenza e dice:
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“Der Krampus bringt mit schönem Gruß, das, was man für Dich haben muß” (“Il Krampus con un bel saluto ti porta tutto ciò che deve avere per te”) [fig. 45]. Degli anni Quaranta sono invece le raffigurazioni dei Krampus come “popolo” organizzato, diligente, combattivo e operoso. In prima fila ci sono anche le donne. Il tratto richiama i disegni dei fumetti: ecco la parodia di una formicaKrampus, con gonnellina, forcone, scarpette a punta da giullare o da gnomo, colletto e polsini di stile seicentesco, due lunghissime corna e un’enorme lingua spianata [fig. 46]. Ed ecco apparire la donna-Krampus, relegata nei primi decenni del Novecento a poche immagini ironiche sulla potenza seduttiva e malefica della donna, simmetricamente contrapposta al diavolo vestito alla moda e con il cilindro per cappello che rapisce tre belle fanciulle, in due cartoline dei primi decenni del Novecento. Il Krampus, una volta divenuto autonomo rispetto al Nikolaus (in quella che molti studiosi hanno definito la fase di laicizzazione della tradizione)
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comincia a farsi strada nel mondo dei grandi, entra nei “giochi” degli adulti e si affaccia al palcoscenico di Eros [figg. 47–48]. Si disegnano e stampano cartoline per le “schlimmen-Mädchen” (“le cattive ragazze”) dove le giovani diventano Krampus in abiti da sera maschili [fig. 49] e nascono anche cartoline che ironicamente presentano “Der Krampus u. seine Schwiegermutter, gemalt von Max u. Moritz.” (“Il Krampus e sua suocera, dipinti da Max e Moritz”). Anche per il diavolaccio non c’è più rispetto [fig. 50].
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diavolerie moderne Il Krampus nelle cartoline illustrate è rappresentato sempre alla ricerca di nuove avventure, per appagare il suo innato desiderio di “impossessarsi” dell’anima (e del corpo) delle sue vittime, soprattutto se adulte. La tecnologia, che alla svolta di secolo era considerata con entusiasmo e un po’ di diffidenza, diventa uno strumento prezioso per questi obiettivi e un terreno privilegiato nel quale sperimentare la sua strategia distruttiva. Ecco allora il diavolaccio che si trasforma in un diavoletto dispettoso alle prese con le avventure sugli sci di Nikolaus [fig. 51]. Poi il Krampus si impegna a trascinare un bravo borghese sulla slitta; porta un gruppo di fanciulle in slitta verso un burrone [fig. 52] e poi usa la bicicletta, il tandem con Nikolaus, guida le prime autovetture via via sempre più moderne, la motocicletta, il Sidecar [fig. 53], poi approda agli aerei [fig. 54] e con questi va a fare la guerra come il “Barone Rosso” [fig. 55] o bombarda la terra con le fruste [fig. 56], guida il dirigibile per imprigionare belle fanciulle, va sulla luna a bordo di un missile, usa il telefono, la radio [fig. 57], si occupa di parole crociate, cuoce i cuori e li spiana con il matterello come si fa con la pasta [fig. 58] e alla fine si occupa di economia e bilanci… ed è proprio una catastrofe: la crisi è garantita [fig. 59].
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il Krampus politico Una serie di cartoline viennesi dedicate al Krampus ironizzano sul militarismo austrotedesco, sulla guerra, sulle rivoluzioni e sui rivoluzionari, sui borghesi e sui proletari, sulle ideologie e la lotta di classe che tanta parte hanno avuto nella prima metà del Novecento. La collezione Kofler conserva alcune “perle”: L. Kainzbauer disegna la cartolina con uno straordinario rappresentante della “Armee-Krampus” (“Armata dei Krampus”) in alta uniforme [fig. 60], mentre l’illustratore che si firma con la sigla “Hatz.” affida a un terribile diavolo con i pantaloni di pelle alla moda tirolese e con ali da pipistrello il trasporto su una sorta di lettiga dei nemici dell’Austria (un soldato in divisa scozzese, un francese e un russo, sotto i tre c’è un cinese) e trascina in catene un bersagliere italiano, probabilmente colpevole del tradimento dell’alleanza con l’impero asburgico. La cartolina, infatti, è datata 1915, data di entrata in guerra dell’Italia.
I saluti del Krampus sono accompagnati dalla scritta “Ihr kommt mir nicht mehr aus” (“Non vi mollo più”). In una cartolina della stessa serie un Krampus gigante con la divisa da bolscevico, armato di scimitarra, catena, cartuccera e frusta, minaccia i piccoli nemici (un turco, un prussiano e un soldato dell’armata dello Zar russo) che gli ballano intorno e gli fanno gli sberleffi. La cartolina non è datata, ma probabilmente è posteriore alla rivoluzione sovietica del 1917 [fig. 61]. Sempre Kainzbauer firma la cartolina in cui è rappresentato il Krampus proletario: una scarpa sfondata, il berretto stile bolscevico, un randello in tasca e una catena in mano, la giacca è piena di toppe, ha il fazzoletto rosso al collo, viene guardato con riprovazione dal capitalista che passa alle sue spalle, vestito con un mantello dalla fodera di pelliccia, il cappello a cilindro, l’ombrello in mano, scarpe lucide e di gran classe [fig. 62].
Ma la rabbia del Krampus politico colpisce anche i borghesi: ben vestiti e rispettabili, donne con la stola di pelliccia, giocatori di tennis dei club più riservati, giovani “viziosi”. Il mondo sta andando a rotoli e il Krampus partecipa attivamente e con piacere a questo processo di decomposizione della società [figg. 63–65].
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eros e seduzione Fin dai primi anni del Novecento le cartoline del Krampus, soprattutto quelle edite in area asburgica, non hanno solo i bambini come destinatari. Nel clima culturale dell’epoca, segnato da una nuova attenzione ai temi dell’eros e della seduzione, vengono prodotte infatti delle serie di cartoline in cui il Krampus è seduttore e oggetto di seduzione; gli stereotipi sul mondo femminile sono oggetto di satira e spesso si trasformano in caricature del perbenismo e del falso moralismo dei benpensanti. Molti degli autori delle cartoline del Krampus (illustratori e grafici) sono parte attiva dei movimenti artistici e culturali dell’epoca e sono coinvolti, più o meno direttamente, nel percorso di innovazione e sperimentazione che segna soprattutto i due decenni tra Ottocento e Novecento a Vienna, a Parigi e a Berlino. Artisti dell’architettura come Otto Wagner, Josef Hoffmann, Adolf Loos diedero nuova luce a Vienna; pittori e musicisti, architetti e poeti, giornalisti ed altri intellettuali si incontravano al Café Griensteidl, al Café Central o al Café Museum e discutevano d’arte, di musica, di letteratura, di politica. Nel 1890 il Café Griensteidl era il punto d’incontro della cerchia di letterati “Jung Wien” raccoltasi intorno ad Hermann Bahr. Karl Kraus, anche lui ospite fisso al Griensteidl, era molto critico nei confronti del “modernismo letterario antinaturalistico” e polemizzava con i giovani letterati dalle pagine della sua rivista “Die Fackel”, strettamente collegata con “Der Brenner”, una rivista analoga pubblicata a Innsbruck e diretta da Ludwig von Ficker, nelle cui pagine trovarono spazio anche i versi del poeta Georg Trakl. Contribuirono al risveglio culturale anche Peter Altenberg, lo scrittore della vita quotidiana, grandi musicisti innovatori come Mahler, Berg, Webern e Wellesz, Schönberg, gli artisti della Secessione Gustav Klimt, Kolo Moser, Josef Hoffmann e Joseph Maria Olbrich, lo stesso Otto Wagner, Egon Schiele ed Oskar Kokoschka, per citarne solo alcuni. Sigmund Freud nel 1896 usò per la prima volta
il concetto di psicanalisi, nel 1899 uscì la sua Interpretazione dei sogni che egli datò 1900. Il fatto che Freud considerasse la sessualità l’origine di numerose azioni e desideri, contrariava e scandalizzava molti dei suoi contemporanei, soprattutto se si considera il fatto che agli inizi del Novecento nei rapporti matrimoniali vigeva una sorta di doppia morale e tutto ciò che aveva a che fare con la sessualità era visto come un tabù, circondato da timori e misteri. Anche lo scrittore Arthur Schnitzler e il filosofo Otto Weininger affrontarono i temi della sessualità, della seduzione, dell’adulterio, della doppia morale che caratterizzava la società di allora e cominciarono a percepire e a riflettere sul crescente antisemitismo della società viennese. E da qui prese spunto una riflessione nuova sulla donna, sul suo ruolo sociale, sul rapporto tra “sesso e carattere”, sui diritti, i doveri, le “pari opportunità” per le donne. Le battaglie per l’emancipazione femminile coinvolsero anche il grande impero asburgico. Otto Weininger, morto suicida a soli 23 anni, nel suo studio Sesso e carattere pubblicato nel 1903, cercò di fondare una “filosofia dei sessi, considerando il sesso maschile come momento costruttivo del buono, del bello, del vero, dell’oggettivo, e quello femminile come momento opposto; ogni aspetto della vita conterrebbe i due elementi, in un perenne oscillare tra l’uno e l’altro”. La teoria di Weininger, che egli tentò di estendere ai più svariati campi della vita (psicologici, sociologici, filosofici, morali) è caratterizzata da un misoginismo radicale, che lo porta tra l’altro a sostenere che il compito fondamentale dell’uomo è condurre la donna, totalmente inconsapevole di sé, al livello della coscienza. Weininger afferma quindi l’esistenza di due “tipi ideali” di donna contrapposti: la donna “prostituta” e la donna “madre”.17 Lo studio di Weininger ebbe un’eco molto vasta nella cultura mitteleuropea, perché ebbe il merito di portare alla luce il “non detto” presente nella mentalità comune.
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La collezione di Günther Kofler ha il pregio di poter documentare, proprio attraverso le immagini e le storie rappresentate nelle diverse serie di cartoline, la permanenza e le trasformazioni degli stereotipi culturali nei confronti della donna. Gli illustratori costruiscono situazioni in cui il Krampus è ora seduttore, ora sedotto; ora aggressore, ora vittima della forza seduttiva della donna; ora amante focoso, ora burlone impertinente. Ma soprattutto propongono un mosaico di immagini che forniscono elementi per ricostruire le specifiche tradizioni locali, la loro fortuna e “durata nel tempo” e svelano nel corso di cinquant’anni come e in che modo sono mutate sensibilità, mentalità e morale nella società europea [fig. 66]. Le cartoline della serie “Nicolo” firmate da Eduard Döcker propongono alcune scene di vita contadina nei primi anni del Novecento: il Krampus è uno spasimante della giovane contadina, sola nella sua casa di campagna e, sotto lo sguardo un po’ complice di Nikolaus che osserva la scena dalla finestra, entra in casa, la spaventa, si fa riconoscere, la conquista e tutto finisce davanti a un bicchiere di vino e un piatto di dolci. Sorridenti i due giovani senza maschera siedono al tavolo della stube, allegra la ragazza li accudisce [figg. 67–69].
In un altro esempio il Krampus è inserito in una tradizione cara alla nostre valli, il cosiddetto Fensterln, molto simile alla pratica della “fuitina” siciliana: il giovane innamorato accede alla camera della fanciulla consenziente attraverso la finestrella (Fensterle, appunto). Per riuscirci però deve avere una lunga scala, appoggiarla al muro esterno della costruzione, poiché di solito la camera delle ragazze è posta in alto nel maso. Non è quindi necessario fuggire di casa, come in Sicilia, tuttavia l’impresa non sempre è semplice. Però la notte del 5 dicembre il giovane spasimante travestito da Krampus e mescolato a tutti gli altri può approfittare della situazione per raggiungere il suo scopo… sempre che la finestrella sia stata aperta dalla ragazza [fig. 70]. Alcune cartoline presentano il Krampus che nello stesso tempo spaventa e attira le donne; poi le varie tecniche di conquista del diavolaccio, nei panni del provetto sciatore in perfetta tenuta sportiva, dalla quale però fuoriescono i segni distintivi del suo essere diabolico (la coda, le corna, le orecchie appuntite, la barbetta da capro, la frusta), nei panni dell’innamorato romantico e sentimentale, in quelli dell’amante focoso e appassionato, distinto e affascinante, sentimentale e talvolta patetico, sensuale e provocante, moralista e tentatore, capace di esercitare la
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seduzione dell’orribile e del diverso (evocando il tema de “La Bella e la Bestia”) [fig. 71], diventando dispettoso e geloso, capace di disturbare le coppie, di provocare dissapori e litigi… “Quando il diavolo ci mette lo zampino…”. Ma sono anche i luoghi comuni sulla donna a caratterizzare le cartoline del Krampus di ogni epoca: negli anni Venti del Novecento la minaccia per le zitelle è di finire all’inferno se rimangono nubili troppo a lungo così, invece di un uomo, in casa si fa entrare un Krampus [fig. 72]. “E poi” dicono le madri alle giovani in cerca di marito “a guardarsi troppo allo specchio spunta il diavolo” [fig. 73]. Il rischio per gli uomini è che l’emancipazione femminile trasformi le donne in Krampus, con conseguenze terribili per la convivenza in famiglia [figg. 74–76]. Oppure la storia può finire con un definitivo rovesciamento dei ruoli: per la donna emancipata il Krampus può ridursi a un giocattolo [fig. 77], di cui magari prendersi cura e accudirlo come un cucciolo [fig. 78] e contemporaneamente, però, avventurarsi a sperimentare “relazioni pericolose” [fig. 79]. Però la saggezza popolare, che nasce dall’esperienza concreta, dice anche che “Non è tutt’oro quello che luccica”, ovvero che “dietro a una bella copertina spunta quasi sempre un diavolo, un Krampus” [fig. 80].
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1 Cfr. in questo stesso volume il saggio di H. Menardi. Per ulteriori approfondimenti cfr. W. MEzGER, Sankt Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993; O. KOENIG, Klaubauf – Krampus – Nikolaus. Maschenbrauch in Tirol und Salzburg, Wien 1983. 2 MEzGER, Sankt Nikolaus …, cit., fig. 62, p. 162. 3 Per la complessità dell’argomento e la molteplicità delle interpretazioni cfr. MEzGER, Sankt Nikolaus …, cit., e KOENIG, Klaubauf …, cit., pp. 5–23. 4 Cfr. a questo proposito H. SCHUHL ADEN, Die Nikolausspiele des Alpenraumes, (Schlern-Schriften 271), Innsbruck 1984. 5 Cfr. W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 2000. 6 Si tratta di una selezione di 243 cartoline, gestita in modo tematico secondo le principali linee teoriche che caratterizzano il più recente dibatttito storicoartistico e antropologico-culturale. Attraverso le cartoline illustrate in mostra si possono leggere i tratti salienti della società europea tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, con i suoi problemi, il suo immaginario, le sue aspirazioni e il suo mutare nel corso del tempo. 7 W. BENJAMIN, Eduard Fuchs. Il collezionista e lo storico, in ID., L’opera d’arte … cit., p. 93. 8 Ivi, p. 94. 9 Cfr. W. TILL, Alte Postkarten, Augsburg 2006. 10 Per approfondire gli aspetti legati alle tecniche tipografiche cfr. TILL, Alte Postkarten, cit., pp. 27–31. 11 La datazione delle cartoline che sono prive di indicazioni editoriali o manoscritte è un’operazione complessa. Possono aiutare alcune note storico-tipografiche: fino al 1900 circa (non in tutti i paesi nello stesso anno, però) lo spazio per l’indirizzo del destinatario si trovava sul retro della cartolina illustrata, mentre sul fronte, accanto all’immagine, le note manoscritte avevano uno spazio molto limitato. A partire dal 1903–1905 (ma non in tutti i paesi contemporaneamente) sul retro della cartolina accanto all’indirizzo del destinatario venne riservato un piccolo spazio per le note manoscritte. Dopo il 1930–1935 la grafica del retro della cartolina collocò una linea di demarcazione che suddivideva in parti quasi uguali lo spazio per l’indirizzo e quello per le comunicazioni personali.
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12 Stube è chiamata la stanza in cui la famiglia trascorre gran parte delle giornate invernali, in quanto spesso nelle case contadine di montagna era l’unica ad essere riscaldata dalla grande stufa a ole. La costruzione delle stufe in ceramica ad ole avviene con mattoni refrattari che costituiscono la struttura della stufa, dove l’anima è rappresentata dal vano di combustione su cui viene posizionata la legna da bruciare. L’intera struttura, esternamente, viene rivestita con le ole, particolari ceramiche refrattarie in grado di resistere ad alte temperature e di trattenere per le loro caratteristiche il calore prodotto dal processo di combustione, che lentamente viene propagato nell’ambiente, continuandolo a riscaldare anche quando la stufa è in fase di spegnimento. 13 Eduard S. Döcker jun., illustratore, pittore, artista, grafico pubblicitario vive e opera a Vienna tra il 1860 e il 1920, collaboratore della prestigiosa Kunstverlag Rafael Neuber dove tra l’altro crea una serie di cartoline che illustrano testi dello scrittore e poeta Ludwig Ganghofer e crea una serie dedicate alle storie del Nikolaus. Non vi sono studi specifici sulle sue opere, né una biografia documentata. 14 P. ARIèS, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Bari 1968. 15 Per uno studio approfondito sull’iconografia del diavolo cfr. M. COSSET TO, S. SPADA PINTARELLI (a cura di), Il Male. Il Diavolo. Der Toifl. Krampus, “STORIA E – dossier”, dicembre 2010. 16 Cfr. R. GIRTLER, Gruß vom Krampus. Auferstehung einer teuflischer Kultfigur, Wien-München 2001. 17 Cfr. O. WEININGER, Sesso e carattere, Padova 1992; C. MAGRIS CL AUDIO, Opere, vol. 1, Milano 2012; ID., Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, Torino 2009.
1 divided Back: Tipo di cartolina in uso – nei vari stati – dopo il 1902/1907 e fino ai giorni nostri, con una linea verticale che divide il verso in due parti: quella di destra riservata all’indirizzo ed al francobollo, quella di sinistra per le comunicazioni del mittente.
2 Undivided Back: Tipo di cartolina, in uso fino al 1902/1907, con un lato riservato esclusivamente all’indirizzo ed al francobollo. In queste cartoline il messaggio del mittente andava scritto sul lato opposto in appositi spazi bianchi lasciati attorno all’illustrazione.
[8] Gruß vom Krampus, illustratore Pauli Ebner, edita da August Rökl, Vienna Nr. 1441, Austria, divided back, viaggiata, timbro postale del 3 dicembre 1927. [9] San Nicolò e il Krampus, Vànocni a novorocni pranì vseho dobra! Národnì obetina ve prospech, illustratore anonimo, Ustrednì Matice Skolské, Boemia (Impero austro-ungarico), divided back, non viaggiata, 1900–1918. [10] Annuncio dell’arrivo di san Nicolò e del Krampus, illustrazione firmata (firma dell’illustratore), Verlag u. Eigenthum v. G. Rüger & Co – Wien V/I 1900, Nr. 528, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, 1900. Nikolo mit Krampus hier / Kommt nun auch zu Deiner Thür’. Bist Du brav, beschenkt er Dich, / Schlimme straft er fürchterlich! Curiosità: la cartolina è indirizzata a Miss Carla Gnecchi, via Filodramatici N. 10, Milano, Italy. [11] San Nicolò e il Krampus con il forcone nella stube davanti a bambini terrorizzati, illustratore M. Gardavské, Edizioni di Vydal J. Procházka, Brno (Moravia, Impero austro-ungarico), divided back, non viaggiata, 1910–1918.
[1] Gruss vom Nikolo, illustratore anonimo, Wanda Rehberg-Karte Nr. 22/37, Tschauner & Fortes Wien VIII, Austria, divided back 1, non viaggiata, 1920–1930. [2] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, divided back, non viaggiata, 1900–1920. Curiosità: La cartolina postale è riservata inizialmente al solo uso interno nello Stato di emissione. La circolazione internazionale è ammessa dal 1 luglio 1875, quando entra in vigore il Trattato dell’Unione Postale Generale, che era stato firmato da 22 paesi a Berna il 9 ottobre 1874. Al Congresso mondiale tenutosi a Parigi nel 1878 cambia il suo nome in “Unione Postale Universale” (U.P.U.). Con la diffusione della cartolina illustrata, di produzione privata e senza il francobollo prestampato, nella grafica viene inserita la traduzione nelle diverse lingue europee di “Cartolina Postale”: Carte Postale, Postkarte, Levelezó-Lap, Dopisnice, Post Card, Cartolina Postale, Brefkort, Briefkaart, Brevkort, Tarjeta postal, Carto postal, Union postale universelle. [3] Il Krampus e due carabinieri, fotografia, San Candido (Bolzano), 5 dicembre 1964, collezione privata. [4] Cartina delle zone di diffusione della tradizione di San Nicolò, in W. MEzGER., Sanct Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993, fig. 62, p. 162. [5] Der Krampus hat Dich schon erschaut, Drum wirts am 6. Du verhaut, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, editore con sigla SB 6186, Printed in Germany, divided back, non viaggiata, anni Quaranta. [6] Krampus con catena in mano, Üdvö zlet a kramusztól, illustratore anonimo, goffrata (figura a rilievo), stampata su fondo rosso, siglata a stampa K. A. Ph., Ungheria, divided back, viaggiata, 5 dicembre 1917. [7] Annuncio dell’arrivo di Krampus e di San Nicolò, Krampus voranzeige! Ich komme am …/ Nikolausvoranzeige! Ich komme am …, illustratore anonimo, Druck V. Regel & Krug. Leipzig – R. Hans Nachbargauer, Wien – Währing 18/1, Nr. 1738, Impero austro-ungarico, undivided back 2, viaggiata, 1914.
[12] San Nicolò e il Krampus chiacchierano lungo la via, illustratore E. Döcker jun., Verlag von Rafael Neuber, Wien VII, “Nicolo” Serie, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, data apposta a mano 26/4/1901. Curiosità: proviene da Fiume ed è indirizzata a Anna Bohinec Leibach (Lubiana). [13] San Nicolò sulla slitta trainata dal Krampus, Pozdrowienia od sw. Nikolaja, siglata dall’illustratore, stampata in Galizia, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1918. Curiosità: Il Regno di Galizia e Lodomeria, o semplicemente Galizia, fu la più grande, la più popolata e la più settentrionale delle province dell’Impero austro-ungarico dal 1772 al 1918, con Leopoli come capitale. La scritta è in polacco. [14] San Nicolò preceduto da un angioletto e seguito da un Krampus che trasporta un pesante pacco pieno di doni, Pozdrowienia od sw. Nikolaja, siglata dall’illustratore, stampata in Galizia, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1918. [15] Un piccolo san Nicolò, un piccolo angelo e un Krampus nero, Pozdrav od Mikuláse!, sigla di stampa LP 246, Croazia, divided back, viaggiata, timbro postale del 3/12/1928. [16] Venditrice di dolci e di giocattoli che rappresentano san Nicolò e il Krampus, illustratore E. Döcker jun., Kunstverlag Rafael Neuber, Wien VII., serie 45, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, datata a mano 1/12/1900. [17] Gruss vom Nikolo, illustrazione non firmata, sigla editore H. H. i. W. Nr. 1608, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, 1919. [18] San Nicolò e il Krampus con bambina nella gerla, recto: foto ritoccata con firma dell’autore e dedica a penna, sigla editore B. K. W. I., No 2017/2, Impero austro-ungarico, undivided back, non viaggiata, inizi Novecento. [19] Krampus che portano via i bambini in catene, nel sacco, in spalla, illustratore anonimo, editore B. K. W. I. 3139-1, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, 1910–1920. [20] Gruss vom Krampus, firma dell’illustratore illeggibile, Druck & Postkarteverlag Wien, 2209, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, data apposta a mano 5/12/1900.
[21] Krampus con le ali da pipistrello e Pierino Porcospino (Struwwelpeter), illustratore Ludwig Kainzbauer, sigla editore H. H. W. Nr. 295, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, data del timbro postale dicembre 1909. Curiosità: Pierino Porcospino o Der Struwwelpeter è il nome di un libro illustrato per bambini di Heinrich Hoffmann. Il libro venne pubblicato anche in Italia grazie alla traduzione di Gaetano Negri, ma rimase assai più noto nei paesi più a Nord. è una raccolta di dieci filastrocche che raccontano le vicende di altrettanti personaggi. [22] Un Krampus rincorre in una casa elegante due bambini più divertiti che spaventati, Üdvözlet a Krampusztól, illustratore anonimo, siglata dall’editore, Series 1407.2, Budapest, Ungheria, Impero austroungarico, divided back, viaggiata, 5/12/1909. [23] Un bambino frusta un pupazzo a forma di Krampus, illustratore: firma illeggibile, Pantophot, Nr. 22-201, Vienna, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [24] San Nicolò, il Krampus e due bambini che giocano con un pupazzo a forma di Krampus, cartolina pubblicitaria della Associazione “Deutscher Schul-Verein”. Illustratore anonimo. Recto siglato “Deutscher Schul-Verein”, Deutsche Schulverein Karte Nr. 186 – Kunstdruckerei von Josef Eberle, Wien, Austria, divided back, non viaggiata, datata a mano 4/12/1920. Curiosità: Motto dell’Associazione delle scuole tedesche: “Dovere di un bravo giovane tedesco è iscriversi alla associazione”. Costo annuale dell’iscrizione 2 corone (K). [25] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, sigla editore Erika Nr. 3871-4 Dessin, Impero austro-ungarico, goffrata (disegno a rilievo), divided back, viaggiata, data del timbro postale 1909. [26] Un bambino abbraccia un grande pupazzo a forma di Krampus a cui abbaia un cagnolino, illustratore Karl Feiertag (Recto: firmato e siglato FK), editore B. K. W. I. 2902-1, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [27] Gruss vom Nikolo, illustratore anonimo, sigla editore SB 3118 H printed in Germany, goffrata (parti a rilievo), divided back, viaggiata, data timbro postale 5/12/1911. [28] Nikolobescherung, Theodor Breidwiser pinx., della serie Wiener Kunst, printed in Austria, B. K. W. I. Nr. 1321, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [29] Gruss vom Nikolo!, illustratore anonimo, sigla editore: M. B. N., Impero austro-ungarico, goffrata, divided back, viaggiata, data del timbro postale 3/12/1913. [30] Gruß vom Nikolo, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore C. H. E. VIII 2. 2506-35, Austria, divided back, viaggiata, data del tibro postale 5/12/1930. [31] Gruß vom Nikolo, illustratore sigla “S”, stampata su fondo rosso, Serie Nr. 18/12, verso: sigla LWKW, divided back, non viaggiata, stampata su carta molto sottile, probabile datazione anni Quaranta del Novecento. [32] Was dir der Krampus bringt, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, edizioni Strehschneider, Graz – Druck Wagner, Innsbruck, Nr. 1006, Austria, divided back, viaggiata, data timbro postale 4/12/22. [33] Gruß vom Krampus, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore C. H. W. VIII 2. 2507-26, provenienza Germania, divided back, viaggiata, data timbro postale 4/12/1933. [34] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, 1904.
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[35] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore LWKW. Nr. 18/11, Austria, divided back, non viaggiata, stampata su carta molto sottile, anni Quaranta del Novecento. [36] Satana con forcone, ali da pipistrello e zoccoli da cavallo, illustratore Paul Fink, Chemnitz. Nr. 2073. Postkarte, Impero austro-ungarico; undivided back, viaggiata, data del timbro postale 1913.
[52] Brav sein!, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla C. H. W. VIII2. 2506-25, Austria, divided back, viaggiata, datata 3/12/1930. [53] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, sigla editore B & R 8996, divided back, non viaggiata, anni Trenta/Quaranta del Novecento.
[37] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore BR 7960, goffrata, carta lavorata, divided back, non viaggiata, 1900–1920.
[54] Krampus su un aereo dalle ali di pipistello, Üdvözlet a Krampusztól, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, goffrata (a rilievo), Ungheria, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, timbro postale del 5 dicembre 1913.
[38] Wirst brav sein!, illustratore anonimo, sigla editore B & R.; francobollo Deutschösterreich da 2 Kronen, goffrata, divided back, scritta ma non viaggiata, 1900–1920.
[55] Achtung! Der Krampus landet!, illustratore sigla AK e firma indecifrabile, sigla editore B. K. W. I. 2580-2, printed in Austria, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, illustrazione datata 1919.
[39] Krampus tra le fiamme con il forcone, illustratore anonimo, provenienza Ungheria, Impero austroungarico, destinazione Vienna, undivided back, viaggiata, francobollo stampato, recto: 27/11/1899.
[56] Gruss vom Krampus, illustratore anonimo, goffrata, sigla editore SB special Nr. 5101, Austria, divided back, viaggiata, data del timbro postale 4 dicembre 1913.
[40] Gruss vom Krampus, cartonata, con inserti in velluto, feltro, carta stagnola d’oro e d’argento, goffrata (parti stampate a rilievo), verso: Photochemie, Berlin N. 113, Serie Nr. 1908, datata 4/12/1918, divided back, viaggiata e affrancata con francobollo dell’Impero d’Austria.
[57] Beim Radio der Krampus sitzt/Auf seine Pflicht er ganz vergisst., illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, editore: C. H. W. VIII 2. 2500/25, Vienna, Austria, divided back, viaggiata, 1925.
[41] Satana in frac, illustratore anonimo, sigla editore: B. K. W. I. 2840/II, stampata su fondo rosso, cartonata, goffrata, printed in Austria, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata e affrancata, datata 5/12/1911. [42] Wärst brav gwesen!, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, Impero austro-ungarico, goffrata, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [43] Warum hast’ nit g’folgt!, illustratore anonimo, cartonata, stampata su fondo rosso, applicazioni in panno, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, datata 1914. [44] Diavolo in bottiglia, illustratore anonimo, “Union Postale Universelle. Carte Postale”, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [45] Der Krampus bringt / mit schönem Gruß, / Das, was man für Dich haben muß, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, edizioni Strohschneider Graz, Nr. 1056, Austria, divided back, non viaggiata, 1920–1930. [46] Gruß vom Krampuß, illustrazione siglata, stampata su fondo rosso, sigla editore LWKW, Nr. 9088, Austria, divided back, non viaggiata, anni Trenta del Novecento. [47] Donna-Krampus con gerla carica di uomini con cappello (uomo d’affari, marinaio, militare …), disegno/foto in B/N, illustratore anonimo, edizioni B. K. L. 2564-1, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, affrancata, timbro postale non leggibile, primi del Novecento. [48] Uomo d’affari-Krampus, con la catena e sulle spalle tre belle fanciulle, disegno/foto, illustratore anonimo, undivided back, viaggiata, affrancata, data timbro postale 6/12/1912. [49] Für die schlimmen Mädchen, illustratore anonimo, undivided back, Impero austro-ungarico, data del timbro postale 1909. [50] Der Krampus u. Seine Schwiegermutter gemalt von Max u. Moritz, illustratore anonimo, sigla B. K. W. I. 2566-9, Impero austro-ungarico, undivided back, non viaggiata, 1900–1907. [51] San Nicolò sugli sci affiancato da un piccolo Krampus, illustratore E. Kutzer, sigla editore B. K. W. I. 3236-4, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1907–1920.
[58] Hätt’st gfolgt!, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore C. H. W. VIII 2 2500-27, Austria, divided back, viaggiata, datata 5/12/1925. [59] Il Krampus alle prese con la contabilità, “Das ‘Soll’ ist voll und das ‘Haben’ leer, / Das ist ganz modern ohne Zweifel; / Wer kümmert sich heut um den Saldo mehr? / Zum Schluss holt doch alles der Teufel”, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore C. H. W. VIII 2. 2505-17, divided back, non viaggiata, datata 10/12/1934. [60] Der Armee-Krampus, illustratore Ludwig Kainzbauer, sigla editore H. H. W. Nr. 247/1, Impero austroungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [61] Il Krampus vestito da russo con spada e frusta, intorno piccoli soldati prussiani, austriaci, turchi, sigla illustratore C. B., Chromo Lith. Kunstanstalt Georg Wagrandl, Wien XIII 7., Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, 1918–1919. [62] Der Proletarier-Krampus, illustratore Ludwig Kainzbauer, sigla editore H. H. W. Nr. 247/4, Impero austro-ungarico, divided back, non viaggiata, anni Venti del Novecento. [63] Il Krampus minaccia una coppia borghese, sigla illustratore TG, sigla editore L. P., Austria, divided back, non viaggiata, datata 1922.
[68] Il Krampus sorridente entra nella stube dove una giovane lo aspetta, illustratore E. Döcker jun., Verlag von Rafael Neuber, Wien VII. Serie 45, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, datata 12/12/1900. [69] San Nicolò e il Krampus nella stube tra vino e castagne, illustratore E. Döcker jun., Verlag von Rafael Neuber, Wien VII., Serie 45, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, timbro postale su francobollo 5/12/1900. [70] Gruß vom Krampuß, sigla illustratore H., sigla editore FU S. 113/II, printed in Austria, Impero austroungarico, divided back, non viaggiata, 1900–1920. [71] Una bella fanciulla in sottoveste bacia un Krampus dall’aspetto bestiale, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, Austria, divided back, non viaggiata, anni Trenta del Novecento. [72] Liebe Mädchen, illustratore A. Broz (Alexander Brož), sigla editore S. W. F., Impero austro-ungarico, undivided back, non viaggiata, primi del Novecento. Liebe Mädchen merkt euch das / Jetzt kommt an der Satanas Er wird die zur Hölle treiben / Die zur lange ledig bleiben Und die krieg’n statt einen Mann / Meistens einen Krampus dann. [73] Il diavolo spunta dallo specchio, illustratore anonimo, stampa su fondo rosso, Polonia Nr. 23, divided back, non viaggiata, anni Venti-Trenta del Novecento. [74] Hurra erwischt / Mit Luft – Sie drischt!, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore C. H. W. VIII 2. 2502-4, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, timbro postale 1908. [75] Donna Krampus e uomo sottomesso, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore: C. H. W. VIII 2. 2506-28, divided back, non viaggiata, 1920–1930. “Was Du hier auf den Bilde siehst, / Das ist natürlich ein Märchen; Denn heut ist der Mann noch obenauf / Selbst wenn er am Kopf hat kein Härchen; Und wenn Du das aber wirklich glaubst, / Dann zahlst du zur Straf ’ einen Schampus, Ein Weiberl, das nicht den Pantoffel schwingt, / Das hat nicht eimal – der Krampus! [76] Gruß vom Krampuß, “Der Herr ist im Hause das Oberhaupt, /Wenn er das tut, was ihm die Frau erlaubt”, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore: C. H. W. VIII 2. 2505-5, divided back, viaggiata, datata a mano 4/12/1932.
[64] Il Krampus trascina con sé due giocatori di tennis, illustratore anonimo, Impero austro-ungarico, divided back, viaggiata, 1910–1920.
[77] Giovane donna con un Krampus giocattolo, illustratore anonimo, verso: “Postkarte” tradotto in 16 lingue, undivided back, viaggiata, datata a mano 5/12/1902.
[65] Il Krampus con catena e forcone rincorre un borghese, illustratore anonimo, sigla editore B. K. W. I. 2586-3, Austria, divided back, viaggiata, data timbro postale 1925.
[78] Donna elegante con stola di pelliccia tiene in braccio un Krampus giocattolo, illustratore Th. zasche, editore M. Munk Wien, Nr. 1086, divided back, non viaggiata, 1910–1920.
[66] Giovane donna corteggiata da san Nicolò e dal Krampus, illustratore H. Schubert, sigla editore J. W., Serie 10 “Nicolo”, Nr. 3, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, data del timbro postale 1903.
[79] Gruß vom Nikolaus, illustratore sigla O. W. 1911, editore W. R. B. & Co, Vienne Serie Nr. 22/36, made in Austria, divided back, viaggiata, 1911. Curiosità: parte dalla scuola militare di Pola per le reclute arruolate in Marina, il 2/11/1915 ed è indirizzata a Kispest in Ungheria, Impero austro-ungarico.
[67] Il Krampus insidia una giovane donna in casa e san Nicolò osserva dalla finestra la scena, illustratore E. Döcker jun., Verlag von Rafael Neuber, Wien VII. “Nicolo” Serie, Impero austro-ungarico, undivided back, viaggiata, datata a mano 4/12/1899. Curiosità: proviene da Neunkirchen ed è indirizzata a Wien, in un giorno è arrivata a destinazione.
[80] Gruß vom Krampuß, illustratore anonimo, stampata su fondo rosso, sigla editore: C. H. W. VIII 2. 2508-17, recto: “Das Deckblatt selbst dem Kenner beweist / Nicht des Inhaltes Wert, ohne Zweifel; / In einer schönen Umhüllung zumeist / Stekt drinnen ein rechter Teufel.” Verso: divided back, non viaggiata, anni 1930–1940.
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San Nicolò Brevi note sulla storia e raffigurazione
S i lv i a S P a d a P i n T a R e l l i
Come, quando e perché san Nicola da Bari assume il ruolo di portatore di doni ai bambini, accompagnato da una figura diabolica che cambia aspetto e denominazione a seconda del tempo e del luogo ma che ora conosciamo come Krampus 1, sono domande cui è difficile dare una risposta certa, univoca e convincente. Molte sono le ipotesi che sono state formulate al proposito 2, più o meno documentate se non, in alcuni casi, addirittura strampalate 3. Si ha l’impressione che la ricerca dell’origine di questa tradizione rispecchi, più fortemente che in altri casi, l’inclinazione culturale del tempo in cui viene formulata. Ne è esempio la teoria di Jakob Grimm del 1835, ripresa nel 1853 da Karl Weinhold e poi ripetuta da molti altri per tutto il Novecento, che riconduce gli usi del 5 e 6 dicembre a culti preistorici invernali, pagani e germanici, in cui la figura di san Nicolò comparirebbe in tempi relativamente recenti per l’ingerenza della Chiesa che ne vorrebbe assumere il controllo. Teoria affascinante che rispecchia però il clima di pieno romanticismo e la temperie nazionalistica in cui viene formulata. L’ipotesi attualmente più accreditata, che vede nascere questa tradizione negli ambienti delle scuole ecclesiastiche, è riportata da Herlinde Menardi in questo stesso volume: rimando al suo testo per gli approfondimenti. Nel mio saggio mi occuperò, invece, del san Nicolò “ufficiale”, del suo culto, delle sue leggende e della loro rappresentazione, in particolare in Alto Adige e a Bolzano 4, rifacendomi ad alcuni esempi paradigmatici, in particolar relativi al rapporto col demonio testimoniato nelle sue leggende, pur senza pretesa di completezza. San Nicolò – San Nicola da Bari – è un santo straordinariamente complesso. La sua vita e i miracoli da lui compiuti, la
raffigurazione della sua immagine e delle sue leggende, la diffusione del suo culto e la relativa ricezione nell’Oriente bizantino e nell’Occidente europeo, il suo “ingresso” nel mondo del folklore e della tradizione popolare ma anche la sua presenza in molti testi teatrali e nella letteratura per l’infanzia, sono solo alcuni degli elementi di interesse sorti nel tempo intorno alla sua figura, interesse che ha portato al formarsi di un’imponente bibliografia a lui dedicata ma anche a renderlo un santo molto noto, molto diffuso e ancor’oggi molto “quotidiano”. La figura di san Nicola da Bari, in realtà, nasce dalla fusione di due personaggi storici: san Nicola, vescovo di Myra 5, vissuto verso la metà del IV secolo, e san Nicola, abate del monastero di Santa Sion (località non distante da Myra stessa) e vescovo di Pinara, vissuto dal 480 circa al 564. Già nel corso del VI secolo i due santi appaiono nelle fonti e compare, ad esempio, un primo racconto che narra la Praxis de stratelatis, cioè l’intervento a favore di tre generali ingiustamente condannati a morte che il santo riesce a salvare apparendo in sogno ai loro persecutori e minacciandoli di terribili punizioni se non li avessero liberati. I tre generali ricorrono al santo perché erano stati in precedenza testimoni di un suo intervento miracoloso nei confronti di tre loro soldati, anch’essi ingiustamente accusati. Questo miracolo sarà uno dei prediletti della tradizione agiografica orientale. Verso il 710, invece, viene composta da Michele Archimandrita la Vita di san Nicola, che sarà la base per tutte le successive Vite dedicate al santo, mentre nel X secolo con la Vita compilata la fusione dei due santi e dei relativi miracoli in un unico san Nicola accompagnato da un corposissimo numero di eventi miracolosi, effettuati in vita e dopo la morte, diviene definitiva.
I testi a lui dedicati si susseguono: un posto di particolare rilievo gli viene riservato anche nella Leggenda aurea, la raccolta agiografica composta nella seconda metà del Duecento dal domenicano Jacopo da Varagine che diviene il testo fondamentale di riferimento per la successiva creazione di opere d’arte in Europa. Questa grande produzione letteraria è lo specchio dell’impetuosa diffusione del culto tributato a san Nicola: in tutto l’Oriente bizantino fino alla Russia, dove è addirittura assimilato a Dio e considerato la quarta persona della Santissima Trinità; in tutto l’Occidente europeo dove il culto è inizialmente propiziato dalla principessa Teofano di Costantinopoli, andata in sposa nel 972 ad Ottone II, imperatore del Sacro romano impero germanico; quindi sostenuto dagli ordini monastico-cavallereschi, quali gli ospedalieri di San Giovanni in Gerusalemme e sicuramente ampliato in seguito alla traslazione delle sue reliquie da Myra a Bari, nel 1087. La città pugliese era dal 1071 in mano ai Normanni: anche per loro tramite il culto si diffonde in Europa centro-settentrionale. La traslazione delle reliquie – un vero e proprio furto – viene compiuta da un gruppo di baresi (62 o 63) che partono verso la metà di marzo e ritornano in Puglia, con il prezioso bottino, tra il 20 aprile e il 9 maggio del 1087. Si rende “necessaria” dopo lo Scisma d’Oriente, che nel 1054 aveva diviso in due la chiesa cristiana, per non lasciare in mano agli ortodossi il venerato corpo del santo, e “urgente” per battere sul tempo i veneziani che stavano preparandosi a compiere la stessa impresa. Non va neppure dimenticato che il possesso di reliquie aveva una forte ricaduta economica sulle località che le conservavano, attirando folle di pellegrini. Il corpo di san Nicola, trasportato a Bari, si conserva tuttora nella basilica a lui dedicata.
[1] San Nicolò, icona bizantina a mosaico, IX–X sec., Aachen-Burtscheid, parrocchiale di San Giovanni Battista
[2] Leonardo da Bressanone, San Nicolò, 1459, Tesido, chiesa di San Giorgio
Proprio l’importanza delle reliquie è uno dei motivi principali della capillare diffusione del culto. Ormai tende a sfuggire alla nostra moderna sensibilità l’importanza che i resti dei santi rivestivano per la devozione popolare a causa del loro valore taumaturgico e consolatorio anche se, a ben guardare, il culto delle reliquie non è scomparso né nella chiesa romana, né – soprattutto – da quella ortodossa e permane ben saldo anche in altre religioni quali, ad esempio, il buddhismo e l’islamismo.6 Il corpo di san Nicola possedeva, inoltre, una particolarità. Subito dopo la morte, da esso esce un liquido, un olio miracoloso (myron, mirra o manna) che i pellegrini potevano raccogliere con una spugna e utilizzare soprattutto come rimedio contro le tempeste e i fortunali. L’essudazione di liquidi miracolosi oppure l’emanazione di profumi paradisiaci (da cui il detto “morire in odore di santità”) o l’incorrutibilità dei corpi dopo la morte, sono eventi che fanno accorrere i fedeli – e che la religione accuratamente gestisce – perché superano la linea di demarcazione che separa la vita e la morte e offrono una speranza concreta, per il presente e per il futuro. 7 Oltre a ciò, la popolarità di san Nicola dipende anche dal gran numero di patronati a lui connessi, a loro volta dipendenti dalla moltitudine di miracoli che gli vengono attribuiti.
San Nicola è, tra il resto, protettore dei sospettati, dei perseguitati, dei prigionieri (miracolo degli stratelati), delle vergini, degli amanti e di chi si vuole sposare (miracolo della dotazione delle fanciulle povere), dei marinai, dei commercianti ambulanti e dei pescatori (miracolo della tempesta in mare), dei commercianti per via di mare, dei panettieri (miracolo della moltiplicazione del grano), dei farmacisti, degli speziali, dei venditori d’olio e dei fabbricanti di candele (miracolo della distruzione dell’olio di Diana), dei banchieri e prestatori di denaro (miracolo della punizione e del perdono di un truffatore), dei bambini (miracolo del risveglio di un ragazzo morto), degli scolari, dei clerici vaganti, degli osti, dei macellai (miracolo della resurrezione degli scolari uccisi)8 e di altri ancora. Una notevole produzione di immagini supporta la diffusione del suo culto. Nell’arte bizantina il mezzo prediletto sono soprattutto le icone. Le più antiche sono quelle del monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, risalenti al VII–VIII secolo, mentre il tipo iconografico “dai tratti un po’ più allungati, con un cranio sporgente e tondeggiante, stempiato, con un solo ricciolo al centro del capo e una barba bianca dal preciso profilo arrotondato”9 si fissa nell’XI secolo e diventa caratteristica dei successivi ritratti orientali del santo [fig. 1].
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[3] San Nicolò neonato rifiuta il latte, San Lorenzo di Sebato, cripta della abbazia di Sonnenburg
Con la traslazione delle reliquie si diffonde enormemente anche in Occidente la produzione di immagini devozionali cui si affiancano ben presto cicli narrativi. All’importante ciclo della cappella di Sant’Eldrado alla Novalesa, della fine del XI secolo, seguono in tutta Europa molti altri esempi, che si intensificano nel corso del Trecento e del Quattrocento, ma perdurano fino al Sei- e Settecento, anche quando il culto ufficiale va scemando. L’immagine del santo viene occidentalizzata: san Nicola compare nelle vesti di un vescovo latino, barbuto, con mitra e pastorale [fig. 2]. Rispetto alle rappresentazioni d’ambito bizantino, dove gli episodi più diffusi erano quelli che sottolinevano la sua capacità di intervento miracoloso e risolutorio, in Occidente si evidenziano piuttosto gli aspetti di umanità e di partecipazione. In Alto Adige ci sono circa 40 chiese dedicate a san Nicolò, di cui 20 sono parrocchiali: un numero molto elevato, superato solo dall’intitolazione alla Vergine Maria, per cui si può facilmente immaginare la grande produzione di opere d’arte che ne consegue. San Nicolò è rappresentato singolarmente o abbinato ad uno o più santi, e può comparire anche tra i Quattordici Santi Ausiliatori, che venivano invocati per portare soccorso in situazioni particolari, soprattutto in caso di malattia. Tutte le tipolo-
gie sono documentate: dipinti su tela e su muro, rilievi e statue a tutto tondo in pietra e in legno, altari lignei a portelle, ma anche vetrate istoriate (parrocchiale di Parcines, 1908), decorazione di campane (San Nicolò in val d’Ultimo 1764, Terento 1605, San Lorenzo di Sebato 1612), tessuti ricamati. Nella bella stola dell’abbazia di Montemaria a Burgusio del 1160 ca., ad esempio, compare insieme ad altre quindici figure singole di santi, rappresentati sotto arcata e accompagnati dal nome scritto in maiuscolo. A san Nicola erano dedicati, secondo tradizione, la cripta del duomo di Bressanone (1050– 1065 ca.), ora scomparsa, e un altare nella cripta dell’abbazia di Sonneburg dove, con ogni probabilità, erano conservate sue reliquie. Degli affreschi che decoravano l’ambiente, si conserva – nella lunetta nord – la rappresentazione del rifiuto del santo neonato di poppare il latte materno di mercoledì e di venerdì [fig. 3], in ottemperanza alla prescrizione del digiuno vigente in quei giorni. La scena, dipinta agli inizi del Duecento da un ottimo artista tardoromanico, si segnala per essere una delle più antiche raffigurazioni di questa particolare iconografia che nasce in Occidente, senza esempi nel mondo bizantino.
[4] San Nicolò, Merano, parrocchiale di San Nicolò
[5] Bolzano, chiesa di San Nicolò, cartolina del 1940 ca.
Nel corso del Trecento, il fervore costruttivo che porta localmente all’edificazioni di grandi chiese gotiche decorate di statue lapidee, ci lascia una bellissima immagine del santo all’esterno del duomo di Merano, edificio a lui intitolato. La statua a grandezza naturale, in arenaria con tracce di policromia, mostra il vescovo sorridente e benedicente, con mitra e pastorale, ed è quasi un prototipo del “classico” san Nicolò [fig. 4]. Anche a Bolzano vi era una chiesa a lui dedicata, posta a sud della parrocchiale [fig. 5]. Consacrata nel 1180 e pertanto di origine medievale, venne gravemente danneggiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e quindi totalmente demolita negli anni Sessanta del Novecento. Va così perso 10, tra il resto, l’affresco sulla volta della navata, dipinto da Carl Henrici tra il 1765 e il 1770 circa, che raffigurava San Nicolò che intercede per i naviganti 11. La scelta di rappresentare questa scena, legata al miracolo del salvataggio dei marinai durante una tempesta, è collegata all’ubicazione della chiesa nelle vicinanze del fiume Isarco che scorreva a quei tempi più a nord rispetto al corso attuale. Il patrocinio di san Nicolò doveva dunque proteggere la città dalle numerose alluvioni che tormentavano la conca bolzanina prima della sistemazione idrografica sette-ottocentesca.
[6] Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
A poca distanza, nella chiesa dei Domenicani, le storie del santo trovano una collocazione di prestigio nel ciclo dipinto nel 1329 nella cappella di San Giovanni [fig. 6]. Gli affreschi sono opera di due pittori giotteschi, di ambito veronese: i riferimenti ai dipinti della cappella degli Scrovegni a Padova sono evidenti. Il ciclo comprende storie di san Giovanni Battista e di san Giovanni Evangelista, storie della Vergine e storie, appunto, di san Nicolò, quest’ultime dipinte sul lato sinistro dell’altare. Gli affreschi di cappella San Giovanni sono stati oggetto di molti studi approfonditi che hanno permesso di consolidare le conoscenze in merito: la datazione al 1329 appare oramai assestata, così come l’orientamento stilistico.12 Si sa anche che la cappella fu fatta costruire agli inizi del Trecento da Bambo de’ Rossi, ricco banchiere esule da Firenze al servizio dei Conti di Tirolo, per ospitare le tombe di famiglia. Bambo vi viene sepolto nel 1318, seguito nel 1324 dal figlio Vannino. Il figlio di questi, Boccione 13, appaltatore del dazio a Bolzano e uomo di fiducia di Margherita Maultasch, ne commissionò la completa affrescatura. La scelta di far eseguire ai pittori le Storie della Vergine è motivata dalla particolare devozione riservata dall’Ordine dei Domenicani alla Madonna, mentre il doppio ciclo di san Giovanni
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[7] Secondo maestro dei Domenicani, San Nicolò placa la tempesta in mare, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
si ricollega facilmente alla memoria di Vannino e al patronato della città di Firenze. Per molto tempo si è creduto che anche la scelta del ciclo di san Nicolò fosse legata ad un membro della famiglia dè Rossi con questo nome, ma le approfondite ricerche genealogiche di Gustav Pfeifer hanno totalmente escluso questa ipotesi 14. È molto probabile, invece, che il posto di rilievo riservato alle Storie di san Nicolò nella cappella bolzanina sia da collegare con il ruolo di intermediario nell’aldilà riconosciuto al santo, tanto che le sue immagini e i suoi cicli si trovano spesso in quegli ambienti laterali in cui si officiavano le liturgie funebri.15 Questo sarebbe proprio il caso di cappella San Giovanni, costruita tra il coro della chiesa e la sacrestia per ospitare le tombe dè Rossi/Botsch. L’ipotesi può trovare ulteriore conferma nel fatto che, poco dopo la metà del Trecento, sempre nella chiesa dei Domenicani ma sul lato orientale in prossimità dell’ingresso, la stessa famiglia si fa costruire un’altra, più grande, cappella funebre, dedicata in esclusiva a san Nicola. Per affrescarla fu chiamato Guariento, pittore padovano di grande fama, ed è facile immaginare che contenesse un vasto ciclo dedicato al santo titolare. Non ne sappiamo nulla dato che la cappella viene demolita nel 1820, dopo che il convento era stato soppresso dall’imperatore Giuseppe II nel 1785.16
[8] Secondo maestro dei Domenicani, San Nicolò dota le fanciulle povere, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
Il ciclo di cappella San Giovanni si svolge su tre registri sovrapposti con due scene ognuno. Partendo dall’alto abbiamo San Nicolò placa la tempesta in mare, San Nicolò dota le fanciulle povere, Miracolo della liberazione del coppiere, Miracolo dei tre soldati, Morte del santo, Esequie del santo. Le storie raffigurate sono una scelta tratta dalla Leggenda aurea con l’eccezione del Miracolo dei tre soldati che non compare in questo testo. Il primo miracolo rimanda alla collocazione della chiesa, anch’essa – come quella di San Nicolò già ricordata – in zona potenzialmente alluvionale [fig. 7]; il secondo è uno dei prediletti nell’agiografia occidentale perché sottolinea l’umanità e anche l’umiltà di san Nicolò che, giungendo di notte per non farsi riconoscere, dona tre palle d’oro a tre fanciulle povere, per le quali il padre non poteva pagare la dote, scongiurando così la necessità di prostituirsi 17 [fig. 8]. Questo miracolo è così apprezzato che le tre palle d’oro diventano il simbolo identificativo del santo nelle sue raffigurazioni singole.
[9] Secondo maestro dei Domenicani, Miracolo della liberazione del coppiere, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
[10] Secondo maestro dei Domenicani, Miracolo dei tre soldati, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
Anche nel Miracolo della liberazione del coppiere sono le doti umane di san Nicolò ad essere messe in evidenza e la sua prontezza nell’intervenire per soccorrere gli uomini nella loro quotidiana sofferenza. Un fanciullo di nome Adeodato, figlio di un uomo molto devoto a san Nicolò, era stato rapito dalla tribù degli Agareni e costretto a servire come coppiere il loro re. Per intercessione del santo, un vento impetuoso “rapì a volo il giovane e lo depose davanti alla porta della chiesa di S. Nicola dove i suoi genitori stavano celebrando la festa solenne: e grande fu la gioia di tutti”18. Il “vento impetuoso” è qui reso con la rappresentazione del santo che giunge in volo dall’alto [fig. 9]. La scena successiva, quella mancante nella Leggenda aurea, è abbastanza particolare perchè rappresenta solo la prima parte della Praxis de stratelatis, il più antico miracolo – come abbiamo visto – attribuito al santo. La Praxis è ampiamente diffusa soprattutto in ambito orientale, probabilmente perché ambientata proprio a Myra; la scelta di inserirla, almeno parzialmente, nel ciclo di cappella San Giovanni mostra la conoscenza da parte dell’artista di altre fonti letterarie oltre all’opera di Jacopo da Varagine o, piuttosto, di rappresentazioni iconografiche relative a san Nicolò. La versione “corta” della storia è raffigurata, infatti, anche nella cappella di san Nicola nella basilica inferiore di
Assisi, dipinta verso il 1308–1310 da maestri di ambito giottesco, e verrà ripetuta anche successivamente 19. Il santo viene raffigurato nell’atto di bloccare la spada del carnefice che sta per decapitare il primo dei tre soldati che, giunti a Myra al seguito dei generali Nepoziano, Urso ed Erpilione, vengono calunniati e condannati a morte dal corrotto governatore Eustazio [fig 10]. Il ciclo bolzanino si va concludendo con la raffigurazione di san Nicolò sul letto di morte, circondato dai discepoli, e con la sua anima trasportata dagli angeli in cielo dove Gesù l’attende benedicente [fig. 11]; nell’ultima scena, in parte perduta, sono raffigurate le esequie ufficiali del santo, già deposto nella sua tomba marmorea, alla presenza dei dignitari ecclesiastici [fig. 12]. Il gruppo di fedeli imploranti sulla destra, tra cui spicca una donna scarmigliata con le mani protese, è invece da metter in relazione con il prodigio dell’essudazione dell’olio miracoloso che fa prontamente accorrere folle di malati e sofferenti [fig. 13]. Il rilievo dato a queste due scene di morte, cui nella Leggenda aurea in realtà sono dedicate solo poche righe, e la loro posizione in basso, vicino all’altare ma anche alle tombe dei committenti, rafforzano l’ipotesi che l’inserimento di san Nicolò nel ciclo di cappella San Giovanni sia, come detto, in diretta relazione con la destinazione funeraria della cappella stessa.
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[11] Secondo maestro dei Domenicani, Morte di san Nicolò, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
[12] Secondo maestro dei Domenicani, Esequie di san Nicolò, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
[13] Secondo maestro dei Domenicani, Esequie di san Nicolò, particolare, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
[14] Secondo maestro dei Domenicani, San Nicolò placa la tempesta in mare, particolare, Bolzano, chiesa dei Domenicani, cappella di San Giovanni
[15] Cleran, chiesa di San Nicolò, abside
Tornando ora alla prima scena, possiamo notare che sulle vele gonfiate dal vento della nave in preda al mare tempestoso compaiono due piccoli diavoli alati [fig. 14]. Sono la personificazione delle forze del male che san Nicolò, posto di fronte a loro in atto di benedire, sconfigge con il suo intervento salvifico. In cappella san Giovanni non ci sono altri riferimenti di questo tipo ma le storie del santo lo vedono spesso contrapposto al demonio. A Plakoma, città della Licia, gli abitanti del villaggio gli chiedono aiuto per abbattere un cipresso infestato da diavoli che causavano la morte di chi si avvicinava: san Nicolò accorre armato di un’ascia e risolve il problema. In alcuni varianti è Artemide, l’antica dea pagana delle selve, ad essere scacciata dal proprio tempio. E cerca vendetta: travestita da religiosa, consegna ai pellegrini in viaggio verso Myra un liquido diabolico, dicendo che si tratta di olio per alimentare le lampade che ardono intorno alla tomba del santo. Durante il viaggio, Nicola appare e convince uno dei pellegrini a disfarsi del liquido che, gettato in mare, incendia le onde e genera un fumo nauseabondo.
[16] Pittore della cerchia di Leonardo da Bressanone, Distruzione del tempio di Diana, Cleran, chiesa di San Nicolò
Ad Arnabanda, invece, allontana un demone dall’unica sorgente del villaggio e infine resuscita il figlio di un suo devoto, rapito e strangolato da un diavolo travestito da pellegrino in cerca di elemosina. La raffigurazione di queste scene demoniache non è molto diffusa: due di esse compaiono però nell’abside della chiesa di Cleran, nei pressi di Bressanone, che accoglie un ciclo molto articolato, composto da ben dodici episodi 20 [fig. 15]. Trattandosi di un’opera eseguita verso il 1470–1480 ca. da un pittore strettamente dipendente da maestro Leonardo da Bressanone, è ricca di dettagli, minuziosa nella descrizione degli avvenimenti accompagnati da scritte esplicative, fantasiosa nelle ambientazioni paesaggistiche ed architettoniche. Lo stile di maestro Leonardo, infatti, è molto didascalico e narrativo, desideroso di spiegare ai fedeli gli accadimenti sacri, descrivendo ed illustrando tutto con precisione ma anche con semplicità. Dalle volte dell’abside di San Nicolò a Cleran emergono così due magnifiche figure di diavoli. La prima appare nella leggenda della cacciata e della distruzione del tempio di Artemide [fig. 16]. Come detto, si tratta di una variante della cacciata dei demoni dal cipresso di Plakoma. A Cleran la raffigurazione è di grande efficacia: sulla sinistra è dipinto il tempio, la cui facciata
è affiancata da torri, al centro il diavolo indicato con il nome Diana (versione latina per Artemide; così compare anche nella Leggenda Aurea), sulla destra il santo, anch’esso identificato col nome, e alle sue spalle un gruppo di seguaci. Dal portale del tempio si snoda un grande cartiglio con la scritta “dianas, du böser geist, fleuch aus diesem haus im nahm ihus” (Diana, spirito maligno, vattene da questa casa in nome di Gesù) che raggiunge il volto del santo. La raffigurazione è molto interessante, principalmente sotto due aspetti: per scacciare il demone, san Nicola protende in avanti il pastorale come in un gesto d’esorcismo; il demone/Diana rispecchia in pieno l’iconografia quattrocentesca del diavolo: corna ricurve, zanne sporgenti, volto deforme, ali da chirottero, mani e piedi con artigli. In corrispondenza del ginocchio e del sedere compaiono altri due volti muniti di zanne. La moltiplicazione delle ‘facce’ del demonio è anch’essa comune nell’iconografia quattrocentesca, in particolare in ambito gotico nordico; richiama la sua ambiguità e il suo ruolo di tentatore e sottolinea gli aspetti bestiali della natura umana.21 Una scimitarra con una grande elsa e il fodero riccamente ornato completa la figura [fig. 17]. Che il diavolo abbia a che fare con il Turco, è cosa nota.
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[17] Pittore della cerchia di Leonardo da Bressanone, Distruzione del tempio di Diana, particolare con il demone Diana, Cleran, chiesa di San Nicolò
[18] Pittore della cerchia di Leonardo da Bressanone, San Nicolò resuscita il fanciullo rapito dal diavolo, Cleran, chiesa di San Nicolò
La figura si ripete identica nella scena del fanciullo resuscitato dopo che il diavolo lo aveva rapito e strangolato. Qui il demonio artiglia il malcapitato alla gola, ma l’intervento del santo è, ancora una volta, risolutore [fig. 18]. Negli affreschi di Cleran risulta evidente sia la trasformazione dell’antica divinità dei boschi in creatura infernale, avvenuta già nel corso del primo medioevo, sia il rapporto diretto tra il diavolo e san Nicolò. Alcuni studiosi ritengono che proprio da storie e immagini come queste nasca la tradizione di far accompagnare san Nicolò portatore di doni da un demone spaventoso ma soggiogato dal santo. San Nicolò protegge i fanciulli, impedisce che vengano rapiti e portati sulla cattiva strada, ma il diavolo/Krampus è lì a ricordare che il male è sempre presente, sconfitto ma non domo. Rappresentare tutto ciò in un Nikolausspiel o nel corteo di san Nicolò acquista un profondo significato simbolico e didattico. Nel ciclo di Cleran manca, invece, la scena dell’oste che uccide i tre scolari e li mette in salamoia, cioè la leggenda nata in Francia, la cui prima testimonianza scritta compare già agli inizi del XI secolo nel Liber Sancti Godehardi 22, che, secondo parte della critica potrebbe aver conferito al santo il ruolo di protettore dei bambini e, insieme con il dono dell’oro alle fanciulle povere, affidatogli il compito di distribuire i doni.
Questa storia truculenta, diffusissima in tutta l’Europa centro-settentrionale, non incontra eguale fortuna nei territori alpini, anche perché assente nella Leggenda Aurea. Jacopo da Varagine la tralascia probabilmente di proposito in quanto, come lui stesso afferma, evita di inserire nella sua raccolta episodi che appaiano eccessivamente fantasiosi alla sua sensibilità. Per numero di scene raffigurate e per l’ubicazione privilegiata intorno e sopra l’altare maggiore della chiesa, gli affreschi di Cleran sono la più importante (non l’unica)23 testimonianza del ruolo riconosciuto a san Nicolò in queste zone nel XV secolo, ma l’immagine del santo incontra, come detto, anche successivamente “fortuna” rappresentativa senza soluzione di continuità, almeno fino a tutto il XVIII secolo. Oggi, dopo la severa revisione del culto dei santi operata dal Concilio Vaticano II, san Nicolò è declassato a santo “facoltativo”. Pertanto, seguendo le disposizioni dell’articolo 220 della Liturgia delle ore che raccomanda che “Per stabilire se convenga o no celebrare una memoria facoltativa nell’Ufficio con il popolo o in comune, si tenga conto del bene comune o di una vera devozione dell’assemblea stessa e non del solo presidente”, noi abbiamo ritenuto di interpretare il desiderio di tutti ricordando, anche se brevemente, la secolare storia di san Nicolò da Bari.
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L’oscuro personaggio che accompagna san Nicolò quando si reca di casa in casa a portare doni ai bambini la sera del 5 dicembre, vigilia della sua festa, è conosciuto, a seconda del momento e del contesto, con nomi diversi: oltre a Krampus, può essere Klaubauf, Knecht Ruprecht, Schwarze Peter, Belzebock, Bartel, Semper, Hans Muff, Hans Trapp ecc. cfr. W. MEZGER, Sankt Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993, p. 155 e il saggio di H. Menardi in questo stesso volume. 2 Le principali teorie formulate al proposito sono riassunte nel lavoro di Mezger, citato alla nota precedente, da p. 43 a p. 58. 3 Una teoria recente è quella di K. SCHUNERT, Vom Weltenrichter zum Weihnachtsmann. Neue Erkentnisse zur Identität der Nikolaus-Brauchgestält und zur Entstehung des Gnabenbräuches, Oldenburg 2005 che propone una derivazione piuttosto ardita di san Nicolò portatore di doni dall’iconografia medievale del Cristo dell’Apocalisse. 4 Oltre al già citato studio di Mezger, ricchissimo di informazioni e spunti di riflessione, mi sono attenuta per il mio studio all’articolato catalogo a cura di M. BACCI, San Nicola. Splendori d’arte d’Oriente e d’Occidente, Italia 2006, uscito in occasione della mostra organizzata al Castello Svevo di Bari. A questi due testi e al relativo apparato bibliografico rimando per gli approfondimenti a carattere generale. L’argomento è, infatti, estremamente complesso e la mia trattazione forzatamente sintetica e riassuntiva. 5 La città di Myra si trova in Licia, nell’attuale Turchia. 6 Sulla complessa tematica delle reliquie, accanto allo studio di C. FREEMAN, Sacre reliquie, Torino 2012, anche l’approccio leggero ma documentato di P. MANSEAU, La bottega delle reliquie. Viaggio tra i corpi sacri del mondo, Roma 2011 può risultare ricco di spunti interessanti. 7 Sull’argomento rimane fondamentale P. CAMPORESI, La carne impassibile, Milano 1983. 8 MEZGER, Sankt…, cit., pp. 59–102, presenta i vari miracoli e illustra i patronati ad essi connessi. 9 BACCI, San Nicola…, cit., p. 61.
10 Si conserva invece l’altare maggiore della chiesa, posto ora sopra l’ingresso della cappella delle Grazie nel duomo di Bolzano, opera dell’intagliatore pusterese Josef Konrad Wieser, della prima metà del Settecento. Cfr. A. BACCHI, L. GIACOMELLI, Altaristi e scultori nella Bolzano del Settecento, in Bolzano 1700–1800. La città e le arti, catalogo della mostra di Bolzano, Cinisello Balsamo 2004, pp. 139–153, fig. 22. 11 Una fotografia si conserva nella Fondazione N. Rasmo-A. von Zallinger di Bolzano ed è riprodotta in M. BOTTERI, Carl Henrici: un pittore, una città, in Bolzano 1700–1800…, cit., p. 203, fig. 12. 12 Sul Trecento a Bolzano cfr. A. DE MARCHI, T. FRANCO, S. SPADA PINTARELLI (a cura di), Trecento. Pittori gotici a Bolzano, catalogo della mostra di Bolzano, Trento 2000; Atlante. Trecento. Pittori gotici a Bolzano, Trento 2002; A. DE MARCHI, T. FRANCO, S. SPADA PINTARELLI (a cura di), Trecento. Pittori gotici a Bolzano, atti del convegno (Bolzano, 19 ottobre 2002), Trento 2006. 13 I de’ Rossi acquisiscono localmente il cognome Botsch proprio dalla corruzione del nome Boccione. 14 G. PFEIFER, „Neuer“ Adel im Bozen des 14. Jahrhunderts Botsch von Florenz und Nikolaus Vintler, “Pro civitate Austriae”, N. F., VI (2001).
15 A. M. LIDOV, “Il dio russo”. Culto e iconografia di san Nicola nell’antica Russia, in BACCI, San Nicola…, cit., pp. 77–88, in partic. p. 83. 16 In realtà, dopo la demolizione, alcuni affreschi – ma nessuno dedicato a san Nicola – rimangono sopra le volte della chiesa e sulla controfacciata della cappella, ma tutto viene poi completamente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Sull’argomento si veda T. FRANCO, Cappella di San Nicolò e prima campata sinistra, in Atlante. Trecento. Pittori gotici a Bolzano, Trento 2002, pp. 111–134. 17 Anche in Alto Adige è questo il miracolo più rappresentato; segnaliamo, almeno, la grande scena raffigurata nella chiesa di San Giorgio a Scena, della fine del Trecento. 18 J. DA VARAGINE, Leggenda aurea, Firenze 1985, 2 voll., I, p. 30. 19 Ad esempio nella cappella Galletti a Vittorio Veneto (1460–1470 ca.). 20 Compaiono a Cleran: San Nicolò neonato rifiuta il latte materno il mercoledì e il venerdì; Dotazione delle fanciulle povere; San Nicolò dona i suoi beni ai poveri; Elezione a vescovo; Miracolo del grano; Cacciata di Artemide; Liberazione di tre prigionieri e Salvataggio di tre condannati a morte (Praxis de stratelatis); Leggenda del cristiano truffatore; San Nicolò resuscita il fanciullo strangolato dal diavolo; San Nicolò placa la tempesta in mare; Morte del santo. Cfr. E. THEIL, St. Nikolaus in Klerant bei Brixen, Bozen 1971; L. ANDERGASSEN, Südtirol. Kunst vor Ort, Bozen 2002, p. 181; Kirchen und Kapellen der Pfarreien St. Andrä und Afers, Passau 2005. 21 Sull’iconografia del diavolo cfr. M. COSSETTO, S. SPADA PINTARELLI (a cura di), Il Male, il Diavolo, der Toifl, Krampus, dossier della rivista Storiae, anno 8, dicembre 2010. 22 Scritto ad Hildesheim e ora conservato al British Museum di Londra; sull’intricata questione del rapporto fra la leggenda dei tre fanciulli uccisi dall’oste e le tradizioni di san Nicolò rimando al testo di MEZGER, in particolare alle pp. 95–128. 23 Tra le raffigurazioni quattrocentesche del santo che si incontrano in Alto Adige voglio ricordare almeno le quattro storie sull’arco trionfale della chiesa di Valdurna dei primi anni del Quattrocento in cui la Dotazione delle fanciulle povere riprende alla lettera l’analoga scena di cappella San Giovanni a Bolzano, i dipinti in San Nicolò a Roja dello stesso periodo, gli affreschi in San Nicolò a Stegona attribuiti a Giovanni da Brunico, di poco più tardi, e una bella raffigurazione del santo a Tesido, nella chiesa di San Giorgio, opera di Leonardo da Bressanone (1460 ca.). Ancora entro il Trecento si data, invece, l’affresco in San Giorgio a Scenna. Molte anche le sculture lignee di pregio, come il busto di Hans Harder nella parrocchiale di Vipiteno e un san Nicolò nell’altare a portelle di Trechiese, attribuito ad Hans Klocker.
Referenze fotografiche Menardi 1–4, 6–7 Wolfgang Pfaundler, Innsbruck 5 Emanuela Diodà, Bolzano 8 Tiroler Volkskunstmuseum, Innsbruck Demetz Remo Pedrotti, Bolzano Hübler/Wohlgemuth Immagine tratta da K. Mayr (a cura di), Karl Wohlgemuth. Selbstbiographie, in “Jahrbuch für Geschichte, Kultur und Kunst, 1931–1934”, Bozen 1934. Hübler/maschere Museo Civico di Bolzano, Christian Prantl Cossetto Scansioni a cura di Lanaepro, Lana 3 collezione privata. 4 da W. Mezger., Sankt Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993 Spada Pintarelli 1–2 da W. Mezger., Sankt Nikolaus. Zwischen Kult und Klamauk, Ostfildern 1993 3 da H. Stampfer, T. Steppan, Affreschi romanici in Tirolo e Trentino, Milano 2008 6–14 M. Pintarelli, Bolzano 15–18 Foto Ochsenreiter, Bolzano