Il Biancorosso n.16 - periodico de "La Gazzetta del Mezzogiorno"

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O BIANC ROSSO

il

Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 16 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano

periodico di informazione sportiva de

IL GIOCATORE

STAKANOVISTA BOLZONI

LA STORIA

HA 102 ANNI IL SUPERTIFOSO

IL POSTER

NICOLA ALOISI

LANGELLA

IL PALLINO

DEL GOL



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L’EDITORIALE

di Gaetano Campione

PILASTRO STABILITÀ I

l Bari piace. Non solo in campo, per i risultati ottenuti, per la nona vittoria stagionale ottenuta in campionato. C’è, infatti, chi crede nell’appeal biancorosso e già investe nel brand, ipotizzando un futuro roseo. Prima il gruppo Mazzitelli, poi il gruppo Hagakure si sono recentemente aggiunti agli sponsor del club. Si tratta dei primi tasselli di un percorso di sviluppo senza il quale non si può guardare lontano e puntare in alto. Perché i risultati da soli, a volte, non bastano. La crescita economica e quella sportiva devono coincidere in modo da consolidare la base sulla quale costruire e ridurre gli eventuali colpi legati a risultati negativi o a operazioni di mercato finite male. Il rettangolo di gioco rappresenta il primo livello verso il raggiungimento della vetta. Ma se si vuole andare oltre, fare quel salto di qualità indispensabile per diventare grandi, c’è bisogno di altro. La stabilità economico-finanziaria - l’elemento che è venuto meno nel recente passato - è l’architrave portante del progetto. A questo discorso è legato un altro aspetto non secondario. La creazione di un settore giovanile, serbatoio di talenti per la prima squadra, punto di riferimento per tutte le scelte strategiche della società. Qui si riparte praticamente da zero. C’è da costruire quasi tutto, compreso l’auspicato e atteso

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centro tecnico. Le incertezze di ieri hanno portato a disperdere quel patrimonio di certezze giovanili, emigrato in altri lidi alla ricerca di tranquillità e serenità. Il livello di efficacia del modello biancorosso si misura non solo con i piazzamenti e i risultati, ma anche con le risorse umane. Il bacino di utenza è vasto, le scuole calcio intese come serbatoio sono tantissime. Si potrebbe, ad esempio, riprendere a lavorare da quel progetto di fidelizzazione di alcuni anni fa, attualizzandolo e migliorandolo, perché fa male sentire tante storie di campioncini di casa nostra costretti a giocare altrove. La caccia al talento ha un peso specifico importante nella costruzione del ciclo perfetto, deve diventare la filosofia aziendale di riferimento, insieme con una continuità tecnica e manageriale. Bari vuole tornare a divertirsi. E i De Laurentiis hanno l’opportunità di costruire finalmente un’immagine vincente in un ambiente che vive questa lunga, infinita ossessione. La brace sotto il fuoco calcistico biancorosso arde sempre. L’identità ritrovata, ricostruita poco alla volta, sta dando i suoi frutti. Se la pianificazione manageriale unita alla competitività sul campo porterà ad un modello di calcio sostenibile, in via di consolidamento, finalmente cancelleremo per sempre l’etichetta di “squadra ascensore”, legata alle continue promozioni e retrocessioni del Bari.

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SOMMARIO BOLZONI SPIMI

FOCUS

il Biancorosso anno II n. 16 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81

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Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso

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Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Gianluigi De Vito Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Nicola Lavacca Vito Prigigallo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Giuseppe Corcelli Sergio Scagliola Saverio De Giglio Foto di copertina: A. Scuro Foto poster: A. Scuro

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IL SUPERTIFOSO

18 SPALAZZI

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BARTOLETTI

PINTO

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Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Dedalo Litostampa srl viale Luigi Jacobini, 5 70132 Bari

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A SPASSO COL BARI

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FOCUS

SIBILIA

«IL BARI IN BUONE MANI» «DE LAURENTIIS HA DIMOSTRATO DI ESSERE UN OTTIMO MANAGER IN UN SETTORE, IL CALCIO, CHE NON ERA IL SUO LA PROPRIETÀ HA ILLUSTRATO MOLTO BENE QUALI SIANO LE INTENZIONI E LA ROSA ALLESTITA PER AFFRONTARE IL CAMPIONATO NE È UNA DIMOSTRAZIONE»

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orse avrà avuto l’impressione di trovare il classico elefante in una cristalleria. Probabilmente, il Bari in serie D non sarà sembrato vero nemmeno a lui che pure in questi anni ha visto transitare dalla quarta serie tante nobili decadute. Cosimo Sibilia, però, non si è mai fatto travolgere dagli eventi. Ha lottato per difendere i suoi tornei, tenendo la barra a dritta in un’estate che ha travolto l’intero calcio italiano, dalla B in giù, lasciando ben poche certezze tra gli appassionati. Eppure, il carrozzone della D è partito, con il suo carico di passione che lo definisce il campionato d’Italia. Ed il Bari è saldamente a bordo. Il presidente della Lega nazionale dilettanti, quindi, analizza il movimento a 360 gradi, con un occhio particolare alla nuova era biancorossa. PRESIDENTE SIBILIA, L’INCREDIBILE ESTATE DEL CALCIO ITALIANO HA COINVOLTO DIRETTAMENTE ANCHE LA SERIE D, COSTRETTA A PARTIRE IN NOTEVOLE RITARDO. QUAL È IL SUO PENSIERO SU UN REGOLAMENTO CHE NON HA FUNZIONATO A DOVERE E DA DOVE SI DOVREBBE RIPARTIRE? «Mi permetto di correggerla: non è il regolamento che non ha funzionato, semplicemente non è stato rispettato. Quello che è successo in estate, trascinandosi dolorosamente fino a novembre, ha minato la credibilità del nostro calcio e messo a

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dura prova la pazienza di chi le regole le ha sempre seguite. Nonostante questo enorme pasticcio la Serie D è riuscita a limitare i danni con un ritardo ragionevole di due settimane sulla partenza prevista. La priorità era tutelare gli interessi delle nostre società. Detto ciò, è evidente che bisogna intervenire sul sistema per far si che situazioni del genere non accadano più. La nuova governance Figc si è attivata immediatamente sul fronte Giustizia sportiva. Io avrò il compito di coordinare il tavolo di lavoro, composto da un team di esperti, che dovrà attuare le riforme necessarie». IL CAMPIONATO È ORMAI IN CORSO DA DUE MESI. QUAL È LA SUA VALUTAZIONE GENERALE SULLA STAGIONE? «Mai come quest’anno la linea di confine tra dilettantismo e professionismo è stata così sottile. Il livello tecnico del campionato è cresciuto, molte squadre si sono attrezzate per lottare ai vertici e ci sono tanti giovani promettenti da tenere d’occhio. Ecco, tra club storici, graditi ritorni e prime partecipazioni in assoluto in D, abbiamo davvero un bel mix di realtà diverse tra loro che ci accompagneranno per tutto l’anno. Normalmente le squadre raggiungono gli obiettivi solo nelle ultime due giornate, credo che questa stagione sarà in linea con quelle passate. Mi piace, infine, sottoline30 novembre 2018 anno II n. 16


are il rinnovato impegno della LND e del Dipartimento Interregionale con la settima edizione di “Giovani D Valore”, un progetto mirato alla valorizzazione dei talenti, con un occhio di riguardo alla sostenibilità economica dei club, che mette sul piatto mezzo milione di euro». SEMPRE PIÙ SPESSO FALLISCONO CLUB IN CATEGORIE SUPERIORI E LA LEGA NAZIONALE DILETTANTI SI RITROVA IN EREDITÀ PIAZZE DI GRANDE NOME. CHE COSA PENSA IN PROPOSITO E QUALI DIFFICOLTÀ VI TROVATE AD AFFRONTARE? «Purtroppo è una conseguenza diretta di un sistema che non può più reggere su queste basi. Troppi club in ginocchio negli ultimi anni, insieme a tutte le componenti stiamo ragionando su delle ipotesi per mettere fine a questa crisi. L’introduzione del semi-professionismo è una misura che può andare in quella direzione. Indubbiamente la presenza di società storiche arricchisce il prestigio dei campionati LND, mi auguro che per loro sia un’occasione per riscattarsi e per rianimare i sogni dei tifosi». CHE COSA HA PENSATO QUANDO HA REALIZZATO CHE ANCHE IL BARI SAREBBE RIPARTITO DALLA D? «Il mio pensiero vale per tutte le piazze prestigiose che abbiamo quest’anno tra i dilettanti. Premesso che dispiace per i tifosi 30 novembre 2018 anno II n. 16

IL PRESIDENTE DELLA LND ANALIZZA IL MOVIMENTO A 360° CON UN OCCHIO PARTICOLARE AI BIANCOROSSI

del Bari abituati a ben altri palcoscenici, questa esperienza può essere un’occasione di rilancio e per ricompattare l’amore della città per questa maglia». CHE COSA HA COMPORTATO ACCOGLIERE UNA PIAZZA CHE NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI HA PRODOTTO NUMERI DI PUBBLICO TRA LE PRIME 5-6 REALTÀ ITALIANE? «Il Dipartimento Interregionale ha lavorato molto bene in tal senso, senza tifosi il calcio non avrebbe il valore che gli viene riconosciuto. Per la Lega Nazionale Dilettanti è importante che lo spettacolo sugli spalti possa svolgersi sempre in un clima sereno e di festa. Vedere un pubblico così numeroso riempire gli stadi è davvero emozionante». PENSA CHE LA RINASCITA CON TALE PROPRIETÀ POSSA ESSERE UN BENE PER BARI OPPURE UN LIMITE DATI I VINCOLI REGOLAMENTARI? «De Laurentiis ha dimostrato di essere un ottimo manager in un settore, il calcio, che non era il suo. Il club è in buone mani, la proprietà ha illustrato molto bene quali siano le sue intenzioni e la rosa allestita per affrontare il campionato ne è una dimostrazione». PENSA CHE VERRÀ A VEDERE UNA PARTITA AL SAN NICOLA QUEST’ANNO? «Se dovesse presentarsi l’occasione lo farò molto volentieri».

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IL GIOCATORE

BOLZONI ATTRAZIONE FATALE FINALMENTE ASSIEME NEL MOMENTO IN CUI AVEVANO PIÙ BISOGNO L’UNO DELL’ALTRO: IL GIOCATORE DI UN CAMPO IN CUI SENTIRSI PROTAGONISTA, IL BARI DI CHI LO FACESSE SENTIRE SOLO DI PASSAGGIO IN QUESTA SERIE D Filippo Luigi Fasano

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loro nomi si erano rincorsi puntuali, ad ogni sessione di mercato. Il Bari e Francesco Bolzoni si erano addirittura promessi, a gennaio 2017. Poi il Novara non volle liberarlo e dal Verona arrivò Greco. Alla fine di quel campionato, niente playoff. E la stagione dopo, assieme ai sogni di promozione, svanì pure la serie B. Ma non l’attrazione fra il 29enne centrocampista di San Colombano al Lambro e la maglia biancorossa. Eccoli finalmente assieme, proprio nel momento in cui avevano più bisogno l’uno dell’altro: Bolzoni di un campo in cui sentirsi protagonista, il Bari di chi lo facesse sentire solo di passaggio, in questo anno zero di serie D. «Con l’Ascoli sembrava fatta, poi è saltato tutto – ricorda il diretto interessato – Altre proposte? Qualche abbocco in C, avrei dovuto aspettare l’esito dei ripescaggi. Ma io non avevo più voglia di restare a casa: volevo solo allenarmi e giocare» Insomma, la chiamata del Bari è capitata a fagiolo. «La prima telefonata è arrivata il 20 agosto: “Come la prenderesti un’offerta da noi?” Ed eccomi qui». In D è un debuttante. Che effetto le fa? «Mi sto divertendo, pensavo fosse più semplice. E invece qualche difficoltà c’è sempre: squadre organizzate, giocatori bravi. Una bella esperienza, sinora».

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Dilettanti, ma smaniosi di non sfigurare, contro il Bari. «Mi colpisce lo spirito di chi gioca contro di noi. Gente che lo fa gratis, o quasi. A volte su campi improbabili ma mettendoci sempre tanto entusiasmo». Gioca a schermo della difesa, pur non essendo né un regista, né un incontrista puro. «A centrocampo devi saper far tutto. Se mi mettono a far la mezzala, mi inserisco, vado in avanti. Davanti alla difesa, cerco di fare il regista. Più completo sei, meglio è.» E se la posizione dipendesse da lei? «Mezzala o centrale in una mediana a due. Altrimenti non riesco a sfruttare tutta la mia fisicità». Qual è stato lo snodo della sua carriera? «La rottura del tendine d’Achille (a Palermo, nel maggio 2015, nda), senza dubbio. E aver avuto per un anno solo Antonio Conte in panchina». Spieghi meglio. «Era a Siena l’anno della promozione, in B. Mi ha plasmato, mi ha dato tantissimo. Poi lui è andato alla Juve, io sono rimasto in Toscana. Fosse stato il mio allenatore per due stagioni di fila, avrei svoltato». Capitano dell’Inter Primavera vittoriosa al Viareggio, esordio in Champions a 18 anni. Qualche rimpianto anche in nerazzurro? «È ovvio che cominciare così genera grandi aspettative. La mia sfortuna? Quella di incrociare Mourinho. Chiariamo: la persona vale tanto, l’allenatore ancor di più. Ma servivano giocatori pronti, non c’era spazio per i giovani: doveva vincere per forza. Ed io ho perso un anno». A lanciarla a San Siro fu Mancini. E l’uomo giusto per rilanciare la nazionale? «Parla poco ma fa i fatti. È carismatico, ha la capacità di farsi seguire. Anche lui mi ha dato tanto, quando all’Inter son passato in prima squadra». In azzurro c’è stato anche lei, compiendo tutta la trafila delle nazionali giovanili. «Certo, sin dall’under 15. Rimpianti per non aver fatto il salto in nazionale maggiore? Ci mancherebbe, è il sogno di tutti. Il ricordo più bello? La qualificazione all’europeo under 21 dopo aver vinto 3-1 in Israele, a Tel Aviv». Dopo un grave infortunio, comincia una seconda carriera. Fino a che punto vuole arrampicarsi? «Sono in una società che punta ad arrivare in alto. Spero di seguirne l’ascesa, fino al massimo possibile. Il sogno? Riconquistare 30 novembre 2018 anno II n. 16

«I TIFOSI? SENTIRE 13MILA PERSONE CANTARE L’INNO ALLA PRIMA IN CASA MI HA MESSO I BRIVIDI»

la serie A con la maglia del Bari. Ma non è facile». Che categoria pensa di meritare? Si comprerebbe al Fantacalcio? «No, neppure nei miei anni migliori (sorride, nda). L’anno scorso ho fatto bene in B, mi considero un buon giocatore per la categoria». Nuova squadra, nuovi compagni. Con chi ha legato di più? «Con Hamlili e Feola. Ma è davvero un bel gruppo, in generale». Un biancorosso che non si è ancora messo in evidenza e su cui punterebbe. «Liguori. È forte, anche se in attacco siamo in tanti e non ha ancora trovato spazio. Ma è un giovane pronto, può darci una mano». Che Bari sta conoscendo? «Si mangia benissimo, il clima è bello. Città e provincia ancora da scoprire: non son stato molto in giro». Dopo gli anni a Palermo, di nuovo al Sud. «Sono contentissimo di essere tornato. La stagione peggiore, paradossalmente, l’ho vissuta a mezz’ora da casa. In Sicilia, invece, sono stato benissimo, mi sembra di rivivere quel periodo. Qui si sta davvero bene». L’obiettivo del Bari è vincere il campionato. Il suo? «Giocare tante partite, aiutare i compagni con qualche gol. Per tornare fra i professionisti il più velocemente possibile». E la fascia di capitano? «C’è Brienza, c’è Di Cesare. Fra i veterani, sono il più giovane. Fra un paio d’anni vedremo». Chiosa dedicata a Luigi De Laurentiis e al pubblico. «Il presidente è una persona che infonde tranquillità e serenità. I tifosi? Sentire tredicimila persone cantare l’inno alla prima in casa mi ha messo i brividi».

Gianni Antonucci, lo storico del Bari calcio, ha festeggiato i 90 anni. Lo ha fatto con tanto di torta biancorossa: e non poteva essere diversamente per il giornalista che conosce tutti, ma proprio tutto, dei galletti. A lui gli auguri di tutta la redazione.

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IL PERSONAGGIO

VITTORIO SPIMI

LO STOPPER INTOCCABILE LO VOLEVA LA LAZIO SI FECE AVANTI LA SAMPDORIA LO OSSERVÒ LA JUVENTUS MA PER DE PALO ERA INCEDIBILE È UNO DEI FEDELISSIMI BIANCOROSSI (IL SESTO DI SEMPRE) CON 251 PRESENZE IN SETTE CAMPIONATI

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Nicola Lavacca

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n difensore combattente di razza che ha lasciato il segno nel Bari degli anni ’70. Vittorio Spimi è uno dei «fedelissimi» biancorossi: con 251 presenze collezionate in sette campionati è il sesto di sempre (in seguito raggiunto da Antonio Bellavista). Faceva lo stopper, secondo i canoni del calcio di allora. Marcatore arcigno e deciso ma allo stesso tempo corretto e leale. Oggi, alla veneranda età di 75 anni, dopo innumerevoli stagioni vissute sul rettangolo verde come calciatore e allenatore, dedica tempo e momenti gioiosi ai nipoti nella sua Riccione, oltre a fare sport in sella all’inseparabile bici. Il Bari gli è rimasto nel cuore, quasi fosse una seconda casa. Quel cuore un po’ infranto per via della inaspettata caduta di società e squadra in serie D. «È stata una notizia che mi ha amareggiato molto – dice con un pizzico di emozione -. Stentavo a crederci. Ci sono rimasto doppiamente male perché anche il Cesena, dove sono stato 4 anni, ha conosciuto la stessa sorte. Ma, per il mio Bari ho avvertito

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IL PERSONAGGIO

una sensazione diversa in virtù del grande affetto che ho per la città e per l’ambiente biancorosso. Il fallimento è stato davvero una brutta cosa. Il mio pensiero è andato soprattutto ai tifosi che non meritavano un’onta del genere. E mi è venuta spontanea una riflessione sull’indimenticabile professor De Palo, il presidente galantuomo. Con dedizione e impegno massimale riuscì a mantenere il Bari sulla cresta dell’onda per tantissimo tempo». I ricordi della esaltante esperienza barese affiorano nella sua mente. «I sette campionati disputati con quella maglia gloriosa sono stati unici, fondamentali per la mia carriera di calciatore. Mi viene un groppo in gola soltanto a parlarne. L’esordio in A contro la Roma (stagione ‘69-’70, successo per 1-0 ndr) al cospetto di uno stadio della Vittoria gremito da 45mila spettatori, l’entusiasmo dei tifosi, il grande affetto e la stima che la gente aveva per me. Tutte cose importanti e irripetibili. Se potessi tornare indietro ripeterei mille volte quella fantastica parentesi della mia vita». Aveva 26 anni quando approdò al Bari che si apprestava a disputare la serie A. «Fu il tecnico Toneatto, che l’anno prima era stato uno degli artefici della promozione, a consigliare il mio acquisto al presidente De Palo – racconta Spimi -. L’allenatore era l’istrionico Oronzo Pugliese che mi diede subito una chançe. Inizialmente pensavo di dover fare la riserva. Invece, con spirito di sacrificio ed un pizzico di fortuna divenni subito titolare giocando tutte le trenta partite di A. L’unico rammarico, non aver centrato la salvezza». Tuttavia fu una stagione ugualmente intensa per l’irriducibile marcatore romagnolo che successivamente diventò anche il capitano dei biancorossi. «Me la cavai bene con attaccanti del calibro di Mazzola, Boninsegna, De Paoli e tanti altri. Le mie quotazioni lievitarono. Mi voleva la Lazio, poi si fece avanti anche la Sampdoria, vennero a vedermi persino gli osservatori della Juventus. Ma, il presidente De Palo non volle cedermi. Per lui ero intoccabile». Vittorio Spimi fu un punto di riferimento della formazione biancorossa per altri quattro campionati di B e due di serie C. Appese le scarpe al chiodo sulla soglia dei 40 anni. Poi, la lunga carriera di allenatore nel calcio professionistico di C2 (ben 13 anni) e anche in serie D dove ha guidato Forlì, Urbino, Riccione e Cattolica. Questa sua conoscenza del microcosmo dilettantistico gli consente di dare alcune indicazioni al Bari di oggi. «Vedo con piacere che la squadra di Cor30 novembre 2018 anno II n. 16

«IL BARI IN QUESTA SERIE D È BEN OLTRE LA MEDIA E LO STA DIMOSTRANDO SUL CAMPO»

nacchini è meritatamente al primo posto – dice Spimi -. La serie D non è mai facile da affrontare perché l’aspetto agonistico a volte è preponderante, specie nei gironi meridionali. L’importante è avere una conoscenza approfondita dei valori tecnici che esprime quel campionato e disporre di una rosa ben assortita, con alcuni giocatori di categoria. Il Bari è ben oltre la media e lo sta dimostrando sul campo. Non bisogna, però, mai mollare. Mi auguro che al più presto esca dall’orbita dei dilettanti in modo da tornare sui livelli più consoni al blasone di una piazza storica del calcio italiano. In cuor mio spero che il vessillo biancorosso torni a risplendere in serie A. Lo meritano la città e i suoi impareggiabili tifosi».

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IL SUPERTIFOSO

«PRESIDENTE

PRENDE UN CAFFÈ CON ME?» Nani Campione

«

Caro presidente De Laurentiis, dopo il pranzo della signora Francesca, le manca il caffè. Se lo vuole buono, fatto come una volta, con passione e tradizione, venga a casa mia. Non si pentirà». Muzio Massarelli ha 102 anni. Ci riceve come se fosse un perfetto gentleman inglese: camicia, cravatta, giacca da camera. Vive da solo a Modugno, da quando un anno fa è scomparsa la moglie. Sul Bari, di ieri e di oggi, è informatissimo. Snocciola formazioni, giocatori, partite. Segue le vicende dei biancorossi sulle pagine de La Gazzetta del Mezzogiorno, sfoglia le pagine del magazine Il Biancorosso e non perde una puntata della trasmissione domenicale di Telenorba. Per un anno è stato tesserato del Bari. Apre un incredibile album fotografico e punta il dito su un’immagine: «Stagione 1934-1935. Ecco, io sono quello, il secondo da destra. Mi chiamavano “il balilla” perché ero il più giovane. Mi allenava l’ungherese Andràs Kut-

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«IL CALCIO DI OGGI? TROPPI PASSAGGI E POCHI TIRI IN PORTA AI MIEI TEMPI PALLA A TERRA E PEDALARE»

tik che alla settima giornata di campionato sostituì l’austriaco Engelbert Koenig. Giocavo mezz’ala sinistra, ma ero ambidestro. Correvo avanti e indietro dal centrocampo in poi e scalpitavo per entrare in prima squadra». Ricordi, altre foto, personaggi del passato. Nel 1934 il Bari gioca l’ultima partita al Campo degli sport. Prima di passare al della Vittoria «Il nuovo tempio della giovinezza e della forza», come titola il quotidiano barese. La maglia del Bari di Massarelli è bianco con i bordi rossi. Il campionato è quello della serie B divisa in due gironi. Come andò a finire? «La squadra del presidente Giovanni Tomasicchio vince il girone orientale con 37 punti, uno in più sul Modena. Si va agli spareggi. L’avversario è il Genoa. 1-0 in casa per il Bari, 4-0 per i liguri al ritorno, proclamati campioni della serie B e promossi». L’avventura del “motorino” Muzio, dura solo un anno: «Problemi di crescita. Avvenne tutto troppo in fretta. Muscoli e cartila30 novembre 2018 anno II n. 16


L’INVITO A DE LAURENTIIS DI MUZIO MASSARELLI, 102 ANNI, TESSERATO PER IL BARI NEL 1934 E SEMPRE GRANDE TIFOSO DEL GALLETTO IRRIDUCIBILE Muzio Massarelli sfoglia l’album dei ricordi. Nella pagina accanto, col nipote Francesco

gini si allungavano, diventavano fragili. Un problema. E fui costretto a lasciare». La formazione dell’epoca? «I più bravi erano Ferrero, Marchionneschi, Caldarulo, Paradiso. In porta, Cubi». Meglio il calcio di ieri o quello di oggi? «Oggi non capisco quelle ragnatele costruite da passaggi infiniti. Si tira sempre meno in porta. Da fuori area quasi mai. Ai miei tempi, palla a terra e pedalare. E appena potevi, dovevi tirare nello specchio della porta avversaria». La passione per il Bari? «È sempre viva. A 13 anni stravedevo per Faele Costantino. Fu venduto alla Roma nel 1930 per 100mila lire, se non ricordo male. Una cifra pazzesca all’epoca. Da allora mi piace seguire anche un po’ i giallorossi. Anche se il cuore batte forte solo per i galletti». Il giocatore più forte? «Non ho dubbi: Orsi. Ala sinistra velocissima, dribbling ubriacanti. Era un argen30 novembre 2018 anno II n. 16

ARBITRO, ALLENATORE TRA I DILETTANTI, PROFESSORE DI EDUCAZIONE FISICA E UN LIBRO DI RICORDI INFINITO

tino naturalizzato italiano. La Juventus lo acquistò e lui guadagnava 8mila lire al mese quando Costantino riceveva 3.500 lire. Più una Fiat 509, l’autista, una villa». Il calcio l’ha sempre affascinata? «Sono stato nel comitato regionale pugliese quando il presidente era Giosuè Poli. Sono diventato arbitro. E ho ottenuto anche il patentino di allenatore dilettante. Sa chi furono i miei esaminatori?». Lo dica… «Giovanni Ferrari, la mezzala della Juventus e della Nazionale e John Charles, il centravanti gallese, il “Gigante buono”». La chiamano il professore. Perché? «Ho insegnato educazione fisica per una vita, alla scuola “Dante Alighieri” di Modugno dal 1949 al 1984. Che bel periodo. L’altra mia passione è sempre stata la pesca. D’estate a Palese mi trasformavo in un cacciatore di pelose». Ha un desiderio? «Certo. Mangiare i ricci in riva al mare. Per me non è facile come una volta. Ma se il presidente De Laurentiis, al posto del caffè, volesse assaggiare i ricci di mare, per me andrebbe bene lo stesso». L’ultima partita vista allo stadio? «Al della Vittoria. Un Bari-Roma caratterizzato più dalle bottiglie di birra tirate in campo che dal gioco». Al Sannicola non c’è mai stato? «No. L’ho amirato solo in tv. Alla mia età ho bisogno di qualcuno che mi accompagni. Da solo non ci posso andare». La domenica di Muzio: ragù e partita del Bari? «Sulla partita del Bari non ci sono dubbi. La televisione mi fa compagnia e mi aiuta. Il ragù e la braciola mi danno qualche problema ai denti. Stavolta, crespelle con ricotta e carne». Chi le prepara? «Me le porta un nipote, Francesco Massarelli. Sa, ha giocato a calcio anche lui». Ed eccolo, il nipote Ciccio, ottant’anni superati da un pezzo, una delle colonne del Molfetta che disputò la serie C, alla fine degli anni Cinquanta. «Giocavo come ala destra. Dovevo andare alla Lazio. Il Molfetta voleva 16 milioni di lire, la Lazio ne voleva dare 10 e non si fece più niente. Ho continuato a tirare calci al pallone fino a 37 anni». Il Bari? «Rappresentava il sogno di tutti. Indimenticabile un Milan-Bari 0-2 con doppietta di Cavone. Oggi mi consolo seguendo mio nipote, 15 anni e mezzo. Si chiama come me. Dopo lo sfascio societario biancorosso dell’ultimo anno è emigrato a Lecce. Dicono che sia bravo come lo zio».

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RESISTENZA Eccellente: su e giù per la fascia destra con costanza per 90’

DESTRO Il piede è discretamente educato: preciso in appoggio, da migliorare il cross

SINISTRO Lo usa poco, non è il laterale che ama rientrare per sfruttare il mancino

RUOLO

VELOCITÀ

18 -20 16 20 019 2018-2

D)

A(

) BARI (D

BI OL

Altra dote di rilievo. Il passo è notevole, sia palla al piede, sia nel ripiegamento

terzino destro

presenze

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gol

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6

presenze

gol

0

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IL POSTER

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Nicola

ALOISI Data di nascita: 30-6-1999 (19 anni) Luogo di nascita: Ascoli Piceno Altezza: 181 centimetri Peso forma: 65 kg

PRESTANZA FISICA Slanciato, longilineo: il fisico è perfetto per un terzino moderno

COLPO DI TESTA Se la cava grazie alla buona altezza, ma è un fondamentale da perfezionare

MARCATURA Si applica, ma è il particolare sul quale deve crescere per ambire ad una carriera da professionista

PERSONALITÀ Pur avendo appena 19 anni, si è proposto con il piglio giusto in una grande piazza

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L’INTERVISTA

DI PAOLA «ASPETTO DI TORNARE IN ALTO» «SPERO CHE NEL FUTURO IL BARI SAPPIA TROVARE UNO STATUS CHE RICOMPENSI I TIFOSI DELLA PASSIONE CHE RISERVANO AL CLUB»

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Michele De Feudis

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Sono innanzitutto innamorato dello sport. Sono stato campione di scherma da giovane, in una Bari che esprimeva in quel mondo tanti atleti di livello nazionale. Non sono mai stato uno sportivo da poltrona, ho praticato sci nautico, corsa, tennis. Ma il calcio è qualcosa di assolutamente particolare. Basta guardare una sfida come Olanda-Germania per accorgersene: i giovani orange hanno segnato due gol negli ultimi minuti. Con il pallone nulla è scontato». Domenico Di Paola, manager illustre della Puglia, racconta così la sua passione per il calcio, sedotto dall’imprevedibile unicità di uno sport che è romanzo di una Nazione. Ingegnere, stava per entrare nella società del Bari calcio rifondato. Partiamo dai colori biancorossi… «Nella mia famiglia nasciamo con il Bari nel cuore. Soprattutto al Sud, lo stadio era ed è un momento di aggregazione famigliare e giovanile». La sua famiglia e il Bari: un connubio antico. «Ho vissuto questa relazione intensa, avendo avuto come moglie la figlia di Aurelio Gironda, personaggio famoso anche nel campo sportivo. Abbiamo trascorso tanti periodi belli con mio suocero». Andavate insieme allo stadio? «Sì. Per me è indelebile il Bari dei baresi, quello di Enrico Catuzzi. Avevamo calciatori fantastici come Nicola Caricola e Aldo Serena. È stato l’unico periodo della mia vita in cui ho seguito il Bari in trasferta. ne valeva la pena. Ero anche a Pisa quando Maurizio Iorio sbagliò un gol fatto». Cosa ha conservato della sua avventura questa estate con la cordata di imprenditori baresi pronti a salvare il club? «Siamo stati determinanti nel dare il via al nuovo corso del Bari. Con la nostra cordata. Il sindaco Antonio Decaro mi ha sollecitato, in seguito alla mia pubblica disponibilità, a dare una mano alla rinascita. Non c’erano all’orizzonte Lotito e De Laurentiis. Abbiamo svolto un ruolo essenziale, lanciando una ciambella di salvataggio ad una città che non sapeva come non far morire il calcio. Se fosse stato assegnato a noi il titolo sportivo, sarebbe stata una responsabilità grandissima. Poi mi sono dimesso da consigliere comunale, proprio per evitare conflitti di interesse». La forza della vostra proposta? «Parto dal presupposto che il calcio non è l’elemento più aggregante di una metropoli europea. Ma qui era qualcosa di più di un 30 novembre 2018 anno II n. 16


tema di interesse collettivo, e perciò ho dato una disponibilità insieme ad altri. La nostra programmazione a mio avviso era migliore di quella che poi ha vinto il bando. È stato bello anche scrivere una pagina di impegno civile e imprenditoriale con i miei colleghi baresi per il Bari calcio. Non è frequente questo spirito e questa generosità». Cosa c’è ora nel futuro del Bari? «Mi interessa che prima o poi i giochi divengano più reali. Sono un sub-tifoso: dopo il Bari, seguo anche l’Atalanta. Non mi interessa arrivare in Champions. Mi interessa la squadra vera, dopo il Purgatorio è utile tornare in alto». I traguardi ambiziosi sono un suo punto fermo. «Ho rilevato imprese in stati disastrosi, e le ho portate ai massimi livelli in Europa. Penso ad Aeroporti di Puglia. Noi baresi non siamo sempre in C o D. Abbiamo aeroporti di A, imprese di A… Non ci facciamo pubblicità. Spero che nel futuro il Bari sappia trovare uno status che ricompensi i tifosi della passione che riservano al club». Sui De Laurentiis che hanno preso la società, che idea si è fatto? «Resta aperto il problema dello stadio. Nella proposta De Laurentiis non si parla dell’impianto. È un costo notevole per l’amministrazione comunale. Poi vorrei tornare al modello Atalanta…». Prego. «Ci sono attività che non sono classifica30 novembre 2018 anno II n. 16

«RESTA APERTA LA QUESTIONE DELLO STADIO: ORMAI È SUPERDECADUTO DOVREBBERO SISTEMARLO IN FRETTA»

bili come attività di impresa: il calcio deve essere una attività fortemente connotata dalla proprietà locale. Non si può trattare come una cosa che segue la globalizzazione del mondo. A Bergamo c’è il presidente Percassi: ex giocatore, bergamasco, una potenza economica. Auspico un forte profilo identitario per il Bari in futuro». Il suo giocatore preferito? «Un reparto intero: Caricola, De Trizio, Armenise. Poi Giovanni Loseto. Ho amato molto Maurizio Iorio: un bomber straordinario. Recentemente Giovanni Loseto mi ha fatto vedere sul suo smartphone uno scorcio della vittoria del Bari a Torino con la Juve in Coppa Italia. Che tempi…». Una trasferta memorabile con Aurelio Gironda? «A Taranto per il derby: c’è una foto con lui e mia moglie Valentina che serbo nel cuore. Aurelio Gironda ha avuto un grande ruolo nella storia del Bari. È morto per il Bari. Viaggiò stressandosi tra Bari, Corfù, Roma e Bruxelles per difendere il club in tribunale. E pagò la stanchezza di quegli itinerari. Non ha mai chiesto compensi per le cause nelle quali ha rappresentato gli interessi del Bari. Un esempio di passione disinteressata». Ha già visto i ragazzi di Giovanni Cornacchini in una gara di Serie D? «Manco da parecchio dallo stadio San Nicola. Lo stadio ormai è super-decaduto. Dovrebbero intervenire in fretta, prima che sia troppo tardi…».

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IL CALCIO COL BAFFO

BARTOLETTI

E IL DERBY BARI-NAPOLI

GIORNALISTA Marino Bartoletti ha presentato al Barion il suo ultimo libro che è già un successo

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Filippo Luigi Fasano

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on 70 anni da compiere il prossimo gennaio e 50 tondi tondi di giornalismo, lui sì che potrebbe farsi chiamare «storyteller». Una etichetta che Marino Bartoletti si scrolla subito di dosso, con il pudore di chi sa, dopo dieci Olimpiadi e altrettanti Mondiali di calcio vissuti da inviato, che la scena resta dei campioni e non di chi li racconta. Al massimo un bracconiere, di storie, come gli han suggerito una volta. Storie di sport e di musica narrate in mille vesti diverse. Da direttore del Guerin Sportivo, da autore e conduttore televisivo, persino da selezionatore delle canzoni di Sanremo. Ma sempre con lo stesso garbo, quella «giusta distanza» che è il metro esatto del suo rispetto per le umane debolezze. Ecco perché il baffo è uno ma ciascuno lo ricorda in modo diverso, alle presentazioni del libro Bar Toletti 2. Così ho digerito Facebook, la seconda raccolta dei pensieri di Marino pubblicati su Facebook. Anche a Bari, presso il Circolo Canottieri Barion, in un evento a cura dell’associazione culturale Porta d’Oriente. Un dondolio fra imprese e anniversari, canzoni e riflessioni, bici e pallone, preceduto dai cinque minuti che seguono. Ci ha messo un po’, a sbarcare sui social. Ma poi è riuscito a farsi apprezzare anche lì. «La gente ha gradito. Molti che mi hanno seguito su Facebook hanno poi acquistato il libro. È uscito il primo, poi il secondo. E inconsciamente sto preparando anche il terzo». Proviamo ad anticiparlo, in salsa locale. Che post dedicherebbe ad Antonio Cassano? «Un post arrabbiato, perché non si butta via così, un talento. È come se Caravaggio avesse perso il pennello. Certamente ha fatto tanto, ma tanto avrebbe potuto fare per sé e per questo Paese, calcisticamente parlando. Lui è contento così, noi un po’ meno. Con questa penuria di fuoriclasse, avrebbe potuto fare di più». Bari rimanda anche ad un altro Antonio, Matarrese. «È stato un grande presidente federale, Tonino. Con lui l’Italia è arrivata terza e seconda consecutivamente, al Mondiale. Forse meritando almeno un titolo, nel 1990, quando abbiamo visto la nazionale più bella. Quella allenata da Vicini, con Baggio e tanti altri campioni. Dispiace che Matarrese sia fuori dal calcio che conta. Eppure ha freschezza mentale ed entusiasmo. Doti difficili da sostituire ancora oggi». Con Matarrese alla guida della Federcalcio, il San Nicola ha ospitato persino una 30 novembre 2018 anno II n. 16


Chi è

«CASSANO? NON SI BUTTA VIA COSÌ UN TALENTO È COME SE CARAVAGGIO AVESSE PERSO IL PENNELLO» finale di Coppa dei Campioni. Mai, però, una gara del Bari in una competizione europea. «Se dico Bari penso alla mia prima collezione di figurine, nel ‘59. C’era Magnanini in porta, c’erano De Bellis e De Robertis. I primi di tanti giocatori che mi sono rimasti nel cuore, al punto da chiedermi come mai Bari non abbia ottenuto più di qualche buon piazzamento in serie A. Che l’Europa calcistica abbia solo sfiorato una «capitale» così, è davvero un delitto sportivo». Adesso il Bari è sceso fra i dilettanti, ma c’è una proprietà forte. Come giudica l’impatto dei De Laurentiis sul mondo del calcio? «Ha fatto storia, non c’è dubbio. Ciò che è stato fatto per Napoli e per il Napoli è il percorso ideale che un presidente dovrebbe 30 novembre 2018 anno II n. 16

Ha diretto il Guerin Sportivo in due periodi diversi, ha condotto trasmissioni di successo come Il Processo del Lunedì, Pressing e La Domenica Sportiva, ha ideato Quelli che il calcio. Basterebbe questo tweet per dare la misura della multiforme carriera di Marino Bartoletti, uno dei volti televisivi più popolari a cavallo fra Novanta e Duemila. Una fama legata anche ad una eccellente cultura della musica, suffragata dalla presenza costante al Festival di Sanremo, e non solo nel ruolo di opinionista. Negli ultimi anni, lo sbarco sui social con il suo personale zibaldone, dove la forza evocatrice del giornalismo «tradizionale» si fa largo a colpi di post. Riflessioni che nell’estate 2017 saranno raccolte nel libro Bar Toletti. Così ho sfidato Facebook (Minerva Edizioni). È successo di vendite, tanto che un anno dopo viene pubblicato anche Bartoletti 2. Così ho digerito Facebook. Lo schermo che torna a farsi pagina, fra realtà e disincanto: potenza di Marino, personaggio fuori tempo e fuori misura.

regalare a una squadra e ad una città. C’è sicuramente passione, ma c’è pure altrettanta imprenditorialità. Dopo Maradona era arrivata la C, mentre ora si gioca stabilmente in Europa: il merito di De Laurentiis è indiscusso». Bari rivorrebbe la A prima possibile ma l’attuale assetto della multiproprietà non lo consentirebbe... «Se De Laurentiis decide di fare una cosa, la fa bene. Non foss’altro per ambizione personale. E allora dico che a breve si vedrà un derby fra Bari e Napoli».

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AMARCORD

SPALAZZI

IMAGICO L GATTO FAMOSO PER I SUOI INTERVENTI ACROBATICI SPETTACOLARI. NEL BARI HA TOTALIZZATO 123 PRESENZE, 30 DELLE QUALI IN SERIE A

Gianni Antonucci

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a lunga storia del Bari non difetta di nomi di bravi portieri. Dopo Cubi, Ricciardi, Costagliola, Moro, Magnanini, ecco Giuseppe Spalazzi, detto “Bibi”. Arrivava al Bari nell’estate 1968 con lo scambio di Mujesan al Bologna e 5 calciatori bolognesi, compreso il portiere già ribattezzato nel calcio italiano “Kamikaze” per i suoi interventi spericolati, nella squadra biancorossa. Spalazzi s’inseriva alla perfezione fra gli illustri “numeri uno” che hanno scritto la storia della società barese. Aveva cominciato col Piacenza, la squadra della sua provincia, giocando in C ed in D, più da riserva che da titolare (in tutto 9 partire in 3 stagioni ma aveva soltanto 18 anni, pochi per un portiere). A vent’anni passava al Bologna che da poco aveva vinto lo scudetto. Ed in quel campionato, a 22 anni, esordiva in A in una domenica piuttosto negativa per la squadra bolognese costretta a subire ben 5 gol sul campo del Torino. Era il 23 maggio 1965 e per Spalazzi fu un debutto tremendo, nonostante il Bologna non avesse più stimoli perché assestato

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OGGI HA 75 ANNI E VIVE A CHIAVARI IN LIGURIA MA NON SEGUE PIÙ LE VICENDE DEL MONDO DEL CALCIO

definitivamente a centro classifica. Nel torneo successivo di A il portiere collezionava 15 presenze, vale a dire la metà delle partite in calendario: famoso lo scontro con Mora in un memorabile Bologna-Milan. Evidentemente col Bologna Spalazzi non doveva avere eccessiva fortuna: in una amichevole in notturna, a Riccione, subiva un calcio da Bighi, centravanti del Riccione che gli procurava la frattura della mascella. Un infortunio grave e di lunga durata: oltre sei mesi per la completa guarigione. Appena 6 partite in due stagioni col Bologna e ripresa lenta anche nel mangiare: lo imboccavano col cucchiaino. Insomma, un periodo da “gatti neri” per il “gatto magico” delle parate impossibili. Al Bari, Bibi Spalazzi arrivava, comunque, in prestito per un importo di 6 milioni di lire. Diventava determinante nella promozione in A del 1968-69 (una sola presenza saltata) ed entrava nella considerazione di Oronzo Pugliese, il quale sosteneva che una squadra si costruisce sempre con un buon 30 novembre 2018 anno II n. 16


portiere. Spalazzi rimaneva a Bari per 4 campionati; 3 di B e 1 di A. Poi, con l’avvento del “Bari dell’onda verde” del 1972, era ceduto al Genoa. Ed in Liguria si ritirava, aprendo una boutique a Chiavari ma restando sempre legato al Bari dove – ha continuato a ripetere – ha trascorso gli anni più belli della sua carriera di portiere “kamikaze”. Spalazzi ora vive vicino Chiavari ma non segue più le vicende del mondo del calcio. Pesano, indubbiamente, i suoi 75 anni. Memorabile, nel libro dei ricordi, quel gol subìto nel derby col Taranto del 1970 quando, in presa alta, finì oltre la linea di porta. E poi la partita col Verona, in A, il giorno di Pasqua del 1970. La squadra biancorossa veniva dalla trasferta siciliana a Palermo (dove s’infortunò Muccini) finita in pareggio. «In coda – ricorda Spalazzi – la classifica si presentava così: ultimo il Brescia con 16 punti, poi Bari e Palermo con 17, Sampdoria con 19, Verona con 21, Bologna e Lazio 22. Mancavano cinque giornate alla fine e tutto poteva ancora 30 novembre 2018 anno II n. 16

IN UNA AMICHEVOLE A RICCIONE, SUBÌ UN CALCIO DA UN AVVERSARIO CHE GLI PROCURÒ LA FRATTURA DELLA MASCELLA

accadere». Quel giorno di Pasqua si consumarono le ultime speranze di permanenza per il Bari. L’arbitro Torelli di Milano ne combinò di tutti i colori, provocando i tifosi che in definitiva non avevano fatto altro che rumoreggiare, inviando, alla fine del primo tempo, epiteti e pernacchie nei confronti del direttore di gara. Torelli era ricordato per l’episodio della nebbia di Reggio Emilia del campionato precedente. «Non accadde nulla di drammatico e di grave – sosteneva Spalazzi – tranne le solite parolacce e qualche oggetto buttato in campo. In passato s’erano verificati episodi ben più gravi». Torelli, tra l’altro, era stato il vero provocatore di una contestazione che non si sarebbe verificata se fosse stato più attento e meno frettoloso nel prendere alcune decisioni. La partita si chiuse 1-1 e tutti rimasero sorpresi quando venne pubblicata motivazione del giudice sportivo Barbè: tre giornate di squalifica al campo del Bari e lo 0-2 in favore del Verona. Spalazzi in biancorosso aveva totalizzato ben 123 presenze di cui 30 in A.

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CALCIO GIOVANILE

PINTO IL PROFUMO DEL GOL PRONTO AL RITORNO DOPO UN LUNGO INFORTUNIO. E SE CORNACCHINI LO CHIAMASSE... Francesco Damiani

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a sconfitta interna contro il Bitonto della settimana scorsa ha interrotto la striscia vincente e ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ma per Maurizio Pinto il derby è stato l’occasione per ritornare nell’elenco dei convocati della Juniores biancorossa dopo una lunga assenza per infortunio. «Finalmente dopo un mese di assenza per uno strappo di secondo grado al retto femorale sono tornato in campo. È stato un periodo difficile fra fisioterapia e la lenta ripresa, ma grazie al lavoro di tutto lo staff è passato e posso tornare finalmente a giocare con i miei compagni». Ha lasciato la squadra da capocannoniere con sei reti segnate e la ritrova ai primi posti della classifica. I suoi compagni hanno onorato al meglio la sua assenza. «Fortunatamente si. Almeno fino al derby con il Bitonto siamo riusciti a mettere insieme un bel numero di vittorie consecutive ma anche delle belle prestazioni». Lei è il veterano di questo gruppo. Come ha vissuto la scorsa estate, il fallimento della società e il dover ripartire da zero anche nel settore giovanile? «Ormai è il decimo anno che vesto la maglia del Bari. Nessuno si aspettava quello che è successo e tanti compagni degli scorsi anni sono andati via. Anch’io avevo ricevuto un paio di richieste da squadre di prima fascia. Ma sono stato chiamato per andare in ritiro a Roma con la prima squadra e quando sono rientrato a Bari a settembre, ho preferito rimanere a casa». L’esperienza in ritiro con la prima squadra come la ricorda? «Bellissima. Mi ha formato molto soprattutto dal punto di vista caratteriale e su come comportarsi perché il passaggio dal settore giovanile alla prima squadra si 30 novembre 2018 anno II n. 16

«MI SONO ALLENATO CON LA PRIMA SQUADRA FINO A METÀ SETTEMBRE»

avverte. Allenarsi con compagni più grandi e con una carriera importante alle spalle ti fa sentire maggiormente la responsabilità rispetto al lavoro in un settore giovanile». E i veterani la trattavano un po’ da matricola in ritiro? «No assolutamente anzi con loro ho legato moltissimo. Mi capita spesso di sentirli e quando mi sono fatto male mi hanno chiamato per sapere come stessi. Si è instaurato davvero un bel rapporto». Ci spera in una chiamata da Cornacchini? «Ovviamente sì, ci spero. Mi sono allenato con la prima squadra fino a metà settembre per poi cominciare ad allenarmi con la Juniores e vorrei tanto provare l’esperienza in prima squadra». Il sogno da calciatore? «Come tutti i giovani spero di arrivare il più in alto possibile ma rimanendo con i piedi sempre per terra». Il giocatore preferito? «Quello a cui mi sono sempre ispirato è Kakà anche se ho caratteristiche diverse dalle sue. Sono meno rapido rispetto a lui, ma mi piaceva molto guardarlo quando giocava». E invece dei tanti giocatori visti a Bari qual è il preferito? «Uno con cui ho avuto l’opportunità di allenarmi e che mi ha impressionato davvero tanto è Castrovilli che adesso gioca nella Cremonese in B. Giocavamo nello stesso ruolo ed è sempre stato un giocatore che riusciva a fare la differenza». Oltre al calcio quali sono gli altri interessi? «Vado a scuola e frequento il quinto Liceo Linguistico ad Acquaviva, il mio paese. Quindi fra il calcio e i prossimi esami di maturità c’è poco tempo per altre cose».

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A SPASSO COL BARI

PORTICI

L’INCANTO DEL GOLFO È TRA I LUOGHI MENO CONOSCIUTI DAL GRANDE FLUSSO TURISTICO CHE AMA GIRAR PER MONUMENTI MA HA UNA TRA LE PIÙ BELLE RESIDENZE D’EUROPA, AI PIEDI DEL VESUVIO

LA CITTÀ La Reggia di Portici Nella pagina accanto: porto del Granatello e villa d’Elboeuf, una delle 122 ville vesuviane del Miglio d’oro

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Gianluigi De Vito

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arà pure il mese meno adatto per una domenica in Villa. Ma se si tratta di una tra le più belle residenze d'Europa, ai piedi del Vesuvio, con affaccio d'incanto sul Golfo di Napoli, allora non c'è stagione che tenga. COSA VEDERE La Reggia di Portici o Sito reale, è un palazzo borbonico che regala brividi ed estasi non solo per il pregio architettonico, ma anche per il paesaggio nel quale è incastonato. È tra i meno conosciuti dal grande flusso turistico che ama girar per monumenti. E questo, diciamolo, perché chi decide di far tappa attorno al Vesuvio si spinge anzitutto fino al più celebre complesso di Caserta. Storia vuole che la Reggia di Portici 1 venga realizzata per volontà di Carlo III Borbone, 14 anni prima. Carlo non ha dubbi, confortato dalla moglie Maria Amalia di Sassonia, sul fatto quel luogo così ameno meritasse una dimora estiva perenne. Oggi è sede universitaria e dei musei ed è il modo migliore per godere dell'armonia che attorno ai presìdi imperiali è stata creata a partire dalla cura dei giardini: le Ville Vesuviane del Miglio d'oro sono quanto di più affascinante abbia realizzato l'aristocrazia napoletana che ha dato vita a un unicum architettonico conosciuto come Ville di Delizia e per giunta lungo la stessa traiettoria degli Scavi di Ercolano. Un peccato che le iniziative natalizie comincino la settimana successiva alla domenica della trasferta del Bari. E comunque, Portici non richiede sforzi eccessivi di viaggio, per la carovana dei sosteni2 tori dei Galletti, che stavolta possono arrivare a destinazione in auto in meno di tre ore (autostrada A14/ e A16/E842) per coprire i 298 chilometri di distanza. COSA FARE Sicché, vietato disertare la visita 30 novembre 2018 anno II n. 16


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LOREM IPSUM

al Sito reale e all’annesso Orto Botanico, tappe d’obbligo in una città che nasce come luogo di villeggiatura in epoca romana e che rifiorisce grazie ai Borboni dopo che l’eruzione devastatrice del Vesuvio del1631 (4mila morti, 6mila animali sterminati) la getta nelle sabbie mobili della devastazione. È l’età borbonica che cambia il passo e il destino, non solo perché vengono intensificati i traffici marittimi e terresti (il Porto del Granatello è del febbraio 1774), ma soprattutto perché è qui che viene inaugurato il primo tratto ferroviario italiano: 3 ottobre 1839, Portici-Napoli, 7mila e 411 metri percorsi per la prima volta in 11 minuti da due convogli trainati dalla mitica locomotiva Bayard. Da quel momento, la cittadina si lega al mondo delle rotaie e nel 1840 nasce l’Opificio Borbonico, la prima grande industriaofficina per la costruzione e riparazione di locomotive e macchine a vapore. Quanto basta per dire che è visita altrettanto impareggiabile anche quella al Museo nazionale di Pietrarsa. DOVE E COSA MANGIARE L’album dei figli celebri di Portici, cittadina di 50mila e passa residenti, 30 novembre 2018 anno II n. 16

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DA VISITARE 1. Palazzo Reale, 2. Reggia, interno 3. riproduzione della Bayard esposta nel Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa 4. Orto Botanico 5. prelibato ragù napoletano

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nell’area metropolitana di Napoli, racconta di principi, duchi e duchesse, ma anche di scrittori, giornalisti (uno su tutti il cronista sportivo scomparso, Roberto Bortoluzzi) e attori come Enzo Decaro che tanto deve alla Smorfia, sodalizio storico con Massimo Troisi e Lello Arena. Ma il lembo di Napoli alle falde del vulcano fa parlare di sé per altre ragioni e nemmeno sportive visto che lil richiamo maggiore rimane la squadra di calcio. Nessuno, raccontano i porticesi, sfugge a una passeggiata con sosta in uno dei ristoranti e pizzerie tra le più rinomate 5 della dorsale di Ercolano. E una nota particolare la merita il ristorante «Cieddi» (30/40 euro, via Salvatore Pagliano) per i ravioli di genovese di cipolla ramata di Montoro con purè di patate, ma anche per le pappardelle con scampi e il babà. Senza dimenticare il ragù napoletano di «O Rraù» (Piazza Sebastiano Pioli 4, 25 euro) né le specialità di pesce al «Primo restaurant» (via Armando Diaz 15, 30 euro). Sguardo e palato fanno festa grossa e grassa, a tre ore dal San Nicola. Buona vita.

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L’AVVERSARIO

NOCERINA GIOCA MEGLIO IN TRASFERTA Vito Prigigallo

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ono trascorsi poco più di vent’anni da quando la Nocerina si faceva eliminare dalla Juventus nella Coppa Italia. L’andata si giocò al “Partenio” di Avellino e finì -0. A Torino, poi, fu 2-1 per i torinesi che avevano già eliminato la Fidelis Andria. Segnò Marchegiani per i salernitani che misera una gran paura a Paolo Montero e compagni. Ecco, con l’aria un po’ spavalda, un po’ nostalgica i rossoneri s’apprestano ad una trasferta, quella del “San Nicola”, domenica 2 dicembre, per loro proibitiva, ma che ha sicuramente il sapore della sfida. I molossi vantano una tradizione calcistica di grande rilievo: la squadra di Nocera Inferiore (circa 46mila abitanti, nell’Agro nocerino-sarnese, terra fertile, in provincia di Salerno, in grande ripresa dopo il sacco edilizio e la mattanza camorristica degli anni Settanta) è stata tre volte in B. ANEMIA Vanno in gol col contagocce i molossi. Non fosse per la Palmese (i calabresi di Palmi domenica hanno segnato al Messina quasi la metà dei gol fatti fino a sabato), sarebbe il peggiore attacco della metà alta della classifica del Girone I della Quarta Serie, insieme al Portici. Una sola volta ha vinto con due gol di scarto: 2-0 a Castrovillari. E un’altra ha perso con lo stesso risultato: l’altra settimana, a San Cataldo. Ben cinque i successi con il minimo scarto, segno di caparbietà e buona tenuta difensiva: 1-0 al Città di Messina e al Rotonda, 2-1 al Gela, all’Igea Virtus e al Roccella. A questo sbiadito festival del gol, i big dei gorgheggi sono Felice Simonetti e Giuseppe Ruggiero. L’attaccante 24enne ha segnato 5 volte, compreso domenica, il centrocampista di 25 anni 4. Simonetti, atleta di peso (182 cm), ha giocato a Manfredonia (2014/2015) oltre che a Sarno e Casoria e alla Nocerina all’inizio della sua ancora breve carriera. Ruggiero è di Sant’Agata di Puglia e dal paesino della provincia di Foggia riempì la valigia di sogni, direzione Torino, sponda Juventus. E con la maglia 30 novembre 2018 anno II n. 16

LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra campana impegnata nel campionato di serie D e l’allenatore Gerardo Viscido

bianconera ha fatto la trafila nelle giovanili prima di andare nel 2014 alla Pro Vercelli. MEGLIO FUORI In casa, Francesco De Feo compagni hanno realizzato solo 6 gol in altrettante partite. Meglio in trasferta, con 7 reti. Pochi (3) i gol al passivo nell’impianto di via Erno Erbstein (l’ungherese scomparsi a Superga nel ’49 con il Grande Torino che allenava, aveva guidato anche il Bari nel ’32 e l’Andria qualche anno prima). Anche se poi davanti al popolo amico sono stati racimolati 12 punti rispetto al 10 lontano da Nocera. IL COACH Doveva essere Roberto Carannante il tecnico della Nocerina per questa stagione. Dopo la prima settimana di agosto, l’ex difensore del Foggia ha lasciato e al suo posto il presidente Bruno Iovino e il direttore sportivo Felicio Ferrara hanno chiamato Gerardo Viscido, affidando a Roberto Chiancone l’incarico di direttore tecnico. Viscido ha vissuto una breve esperienza in Puglia, quando gli era stata affidata la panchina dell’Avetrana dopo la promozione in Eccellenza. Poi, l’insegnante salernitano ha scelto di non mettere a dura prova il suo lavoro a scuola. Viscido, passato anche da Andria e Martina, si affida quasi sempre al modulo tattico 3-5-2, con De Feo playmaker e Ruggiero e Cardone interni. Tra gli atleti più apprezzati, il 27enne portiere Ivano Feola. STORIA Lo stadio dedicato nel 1970 a San Francesco d’Assisi è una sorta di monumento storico: la prima partita vi fu giocata il 1° novembre 1914, più di un secolo fa, quando si chiamava Piazza d’armi. Una targa all’ingresso dell’impianto ricorda una tragedia di oltre trent’anni orsono: cinque ragazzi morti in un incidente stradale mentre si recavano a Livorno. Può ospitare ben 15mila spettatori e con Genoa e Sampdoria, in Serie B, fu gremito in ogni ordine di posti.

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GLI ANNI ‘60

IL DEBUTTO DELLA MAGLIA

BLU Il Nostro Bari

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li anni ’60 sono il periodo della maglia bianca con inserti rossi per eccellenza. In questo decennio vari sono i dettagli che campeggiano sulle casacche del Bari. Nella massima serie del 1963, invece, spunta una divisa singolare. In occasione di una gara esterna infatti i galletti sfoggiano un’ insolita casacca blu recante i polsini e il colletto bianchi: per la prima volta appare così una terza divisa oltre le consueta bianca e rossa. L’anno successivo sul motivo rosso del girocollo a “V” ecco delle sottilissime strisce bianche che ornano lo stesso, questa fantasia sarà ripresa nella stagione 1965-66 in cui però il girocollo ritorna ad essere circolare, così come nel campionato 1966-67 quando una striscia circolare bianca si frappone a due rosse. In tutte queste stagioni la divisa utilizzata lontano dalle mura amiche è completamente rossa con gli inserti bianchi su collo e polsi. Molto spesso i calzoncini bianchi dei galletti sono dello stesso colore di quelli delle formazioni avversarie, generando confusione nei tifosi che spesso - data la velocità delle azioni - non riescono a riconoscere bene i propri beniamini e nei giornalisti, che fanno fatica ad identificare i calciatori nelle fasi del match. Per ovviare a questo inconveniente il Bari, adotta pantaloncini totalmente rosso sangue, che ben si intonano con i numeri, dello stesso colore, presenti sul retro delle divise. Con questo abbinamento i biancorossi, di nome e di fatto, si presentarono in quel di Foggia per il derby del 1968 terminato 1-1.

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LA CLASSIFICA 1

Bari

30

2

Turris

24

3

Marsala

22

4

Nocerina

22

5

Gela

20

6

Palmese

19

7

Portici

18

8

Locri

17

9

Sancataldese

15

10

Castrovillari

14

11

Troina

14

12

Cittanovese

14

13

Roccella

13

14

Acireale

13

15

Città Messina

12

16

Messina

8

17

Igea Virtus

6

18

Rotonda

6

LE PROSSIME PARTITE domenica 2 dicembre ore 14.30 BARI - NOCERINA domenica 9 dicembre ore 14.30 portici - bari Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:

ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it

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