UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA ________________________ Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche Presidente del Corso di Laurea: Prof. Giuseppe Spidalieri
L’OSTETRICA E L’EDUCAZIONE TERAPEUTICA: LA RIABILITAZIONE DEL PERINEO NELLA PREVENZIONE DELL’INCONTINENZA URINARIA
Relatore: Prof. Loredana Gamberoni Laureanda: Adriana Cioffi
_______________________ Anno Accademico 2008-2009
INDICE PREMESSA .......................................................................................................................pag.3 CAPITOLO 1 EDUCAZIONE DEGLI ADULTI ..........................................................pag.7 1.1. Paradigma epistemico dell’andragogia.........................................................................pag.7 1.2 Teorie sull’ adultità e sul cambiamento.........................................................................pag.14 1.3 Temi fondanti dell’educazione degli adulti ...................................................................pag.22 1.3.1 Interazione ..................................................................................................................pag.22 1. 3.2 Motivazione ...............................................................................................................pag.24 1.3.3 Gruppo e gruppalità ....................................................................................................pag.33 1.3.4 La valutazione.............................................................................................................pag.35 1.4 La formazione permanente: conseguenze ed implicazioni sulla vita delle persone e sul loro rapporto con il sapere ..............................................................pag.40 CAPITOLO 2 - EDUCAZIONE TERAPEUTICA .......................................................pag.47 2.1 Cenni storici, evoluzione, implicazioni .........................................................................pag.47 2.1.1 Implicazioni sociali ....................................................................................................pag.47 2.1.2 Implicazioni culturali .................................................................................................pag.51 2.1.3 Implicazioni economiche............................................................................................pag.55 2.2 Basi teoriche dell’educazione terapeutica .....................................................................pag.59 2.3 Una metodologia dell’educazione terapeutica...............................................................pag.68 2.4 Esperienze europee in cui si riscontrano maggiori successi..........................................pag.76 2.5 Alcuni studi riguardanti esperienze italiane .................................................................pag.82 2.6 La formazione degli operatori .......................................................................................pag.85 CAPITOLO 3 - EDUCAZIONE TERAPEUTICA IN OSTETRICIA........................pag.92 3.1 Un sistema scientifico per organizzare sistematicamente pratiche già utilizzate empiricamente: l’aver cura quale fondamento della midwifery ..............pag.92 3.2 Un campo di possibile applicazione: la riabilitazione del perineo nella prevenzione dell’incontinenza urinaria ...................................................pag.95 3.2.1 Identificazione del percorso .......................................................................................pag.98 3.3 Breve accenno di anatomia del pavimento pelvico .......................................................pag.98 3.4 Area perineale organo della nascita...............................................................................pag.103 3.5 La riabilitazione del pavimento pelvico .......................................................................pag.104 3.5.1 Obiettivi della rieducazione pelvi – perineale ............................................................pag.105
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3.6 Revisione sistematica della letteratura scientifica internazionale sulla riabilitazione del perineo ...............................................................pag.106 3.6.1 Breve riassunto dei principali risultati utili al presente studio ...................................pag.107 CAPITOLO 4 - UN IPOTESI DI MODELLO DI INTERVENTO.............................pag.122 4.1 Identificazione del percorso...........................................................................................pag.122 4.2. Setting: contesto organizzativo – assistenziale di riferimento corsi di preparazione al parto ................................................................pag.124 4.3 Primo puerperio- interventi educativi in reparto ...........................................................pag.139 4.4 Follow-up ......................................................................................................................pag.148 CAPITOLO 5 - PROGETTO DI RICERCA AZIENDALE SUL PERCORSO RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO.....................pag.152 CONCLUSIONI ................................................................................................................pag.170 BIBLIOGRAFIA ...............................................................................................................pag.175 SITOGRAFIA....................................................................................................................pag.181
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La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi (I.Svevo “La coscienza di Zeno”)
PREMESSA
Nel 1998 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’educazione terapeutica: “ l’educazione terapeutica del paziente consiste nell’aiutare il paziente ad acquisire e mantenere le competenze che gli permettono una gestione ottimale della sua vita con la malattia”. Sempre nello stesso anno l’OMS ha stilato il documento “Therapeutic patients education: contuining education programmes for health providers in the field of prevention of chronic disease”1 Questo documento è stato realizzato da un gruppo di esperti europei provenienti da diverse specialità che implicano l’assistenza ai malati cronici e da tre centri che collaborano con l’OMS, tutti specializzati nel campo dell’educazione in medicina: l’Ospedale Universitario di Ginevra (all’interno del quale lavora Philippe Assal, ritenuto il fondatore dell’Educazione terapeutica) il Dipartimento di Pedagogia delle Scienze della Salute dell’Università Paris- Nord (diretto dal prof D’Ivernois) e l’Unità di Educazione Sanitaria della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Lovanio, Belgio, Prof Decacche. Il contenuto di tale documento indica la necessità di implementazione di corsi di formazione per i professionisti sanitari tali da garantire loro gli standard che li mettano in grado di pianificare, implementare e valutare l’alta qualità dell’educazione terapeutica. Le ragioni per le quali si sta dando importanza sempre più rilevante all’approccio alle malattie cronico - degenerative è che negli anni abbiamo assistito ad un cambiamento delle tipologie di malattie maggiormente rappresentate. Condizioni di vita migliori, dal 1
“L’educazione terapeutica dei pazienti: programmi di formazione continua per operatori sanitari nel campo della prevenzione delle malattie croniche”
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punto di vista dell’igiene, della salubrità degli ambienti di vita, dell’alimentazione hanno allungato la vita media delle persone; d’altro canto la concomitanza, in paesi come il nostro, del calo delle nascite, fanno sì che le malattie più presenti riguardino una popolazione anziana e siano quindi patologie croniche. A livello medico-terapeutico il “to cure” si è sostituito al “to care” al prendersi cura, in quanto innanzitutto ci si trova di fronte a malattie che coprono un arco di tempo che dura anni e può andare incontro ad ulteriori peggioramenti, che compromette la qualità di vita delle persone, che coinvolge anche il gruppo familiare di riferimento e quindi occorre affiancare all’intervento medico, soprattutto un intervento di tipo socio – psico – pedagogico, al fine di migliorare il livello di competenze e di auto -gestione della malattia. L’educazione terapeutica definisce tre livelli fondamentali entro i quali si deve operare per comprendere il fenomeno “malattia”: l’educazione alla salute, l’educazione alla malattia, l’educazione terapeutica, il processo è quello che va dall’accettazione della malattia, alla ricerca da parte del paziente di costruzioni di strategie per affrontarla e contenerla a livelli compatibili con la propria autonomia e riconoscimento e mantenimento di significati di vita della propria esistenza, che è il maggior rischio che l’intervento della malattia può comportare. La definizione di “educazione terapeutica” è composta da due termini che rimandano a due precisi campi del sapere: l’educazione degli adulti e la scienza medica; potremmo affermare che essa è il tentativo di coniugarli creando le cosiddette “Medical Humanities”. L'educazione risulta il tentativo cosciente di promuovere l'altrui apprendimento. Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino ex-ducere che significa condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Si intende il processo attraverso il quale l'individuo riceve e impara quelle particolari regole di comportamento che sono condivise nel gruppo familiare e nel più ampio contesto sociale in cui è inserito. La formazione degli adulti, è da intendersi come azione sulla forma, cioè tras-formazione, produzione di cambiamento ma questo termine si deve leggere anche rovesciato cioè forma in azione, che si auto - dirige verso il cambiamento. Strumenti fondamentali per ottenere ciò sono l’ascolto empatico, la discussione in gruppo, la costruzione di strategie di fronteggiamento ai problemi, i
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contenuti di questo intervento sono basati sulle evidenze scientifiche disponibili, occorre quindi altresì che il sapere sanitario si aggiorni continuamente rispetto ai contenuti clinico assistenziali insiti nell’intervento. L’educazione degli adulti fornisce dunque gli strumenti e l’impostazione metodologica, mentre il contenuto è quello fornito dalle scienze della salute di cui fanno parte la medicina,l’ostetrica ecc, dalla sinergia delle due discipline emerge una nuova attenzione verso il malato, che non è più solo espressione di una determinata patologia, ma è l’uomo, quell’uomo che nel suo particolare percorso di vita ha contratto una patologia. C’è alla base, dunque, una nuova concezione di malato e di malattia, che privilegia l’umanità e l’individualità, alla passività della “compliance” si sostituiscono termini quali la resilienza, il coping, tali da far emergere uno sviluppo e crescita nell’individuo l’“empowerment”. Sono stati strutturati con notevoli successi interventi rispetto a varie patologie croniche: il diabete, lo scompenso cardiaco congestizio,lo stroke,la dialisi. Fra gli operatori sanitari che possono applicare questa visione, creando protocolli d’intervento, trova posto l’ostetrica,che in quanto figura a tutela dell’intero arco di vita della donna, può mettere a punto interventi rispetto a varie patologie: la prevenzione dell’incontinenza urinaria, gruppi di aiuto per pazienti operate di neoplasie a carico dell’apparato genitale, gruppi per le donne in menopausa, infine gruppi di supporto per le adolescenti, oltre ai tradizionali gruppi di donne per l’allattamento al seno, per la gravidanza ecc Nel presente elaborato ho preso in considerazione la riabilitazione del pavimento pelvico per la prevenzione dell’incontinenza urinaria,poiché pur essendo descritto a livello della letteratura scientifica, l’indubbia possibilità di interventi efficaci, ancor oggi nel territorio in esame, Bologna e provincia, non sono partiti interventi strutturati a tal fine e l’attività resta patrimonio individuale di qualche professionista che non trova applicazione nella propria realtà operativa. L’obiettivo dello studio è quello di ricavare metodologie ed applicarle a situazioni già presenti, come i corsi di preparazione al parto, per poter avere un approccio congruente e continuativo alla popolazione delle gravide che afferiscono alla Clinica Ostetrico Ginecologica del Policlinico S.Orsola – Malpighi, Tale incontro iniziale potrà poi essere proseguito nel primo puerperio e con follow- up a
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distanza di alcuni mesi. Verrà inoltre applicato un protocollo di ricerca per verificare l’effettiva utilità dell’intervento. Sia gli interventi che la ricerca sono in corso da alcuni mesi, ragion per cui non si dispone ancora di risultati definitivi, tuttavia dai primi risultati ottenuti si intravede la possibilità di aiuto in tutte le situazioni “a rischio” di sviluppo di incontinenza
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Quando le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe; e quando sono certe, non si riferiscono alla realtà [...] La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero, esso è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza Albert Einstein (1879-1955)
CAPITOLO 1 EDUCAZIONE DEGLI ADULTI 1.1. PARADIGMA EPISTEMICO DELL’ANDRAGOGIA In filosofia della scienza un paradigma2 è la matrice disciplinare di una comunità scientifica. In questa matrice si cristallizza una visione globale (e globalmente condivisa) del mondo, e più specificatamente, del mondo in cui opera e del mondo su cui indaga la comunità di scienziati di una determinata disciplina. Sono tre i paradigmi fondamentali applicabili alla filosofia ed in modo particolare alla pedagogia e psicologia, sinteticamente: ¾ Il paradigma classificatorio: esso opera secondo una logica di tipo matematico basata sulla divisione e sulla sommatoria, operando una sorta di “autopsia “della realtà, per comprendere la quale occorre dividere per poi ricostruire secondo una “ratio". ¾ Il paradigma sistemico, basato sulla logica combinatoria, sulla moltiplicazione ed intersezione degli insiemi; la realtà è assunta come si presenta caotica e complessa e l’indagine su essa è quella di interpretare gli scambi e le irregolarità presenti. ¾ Il paradigma olistico, che vuole abbracciare nel complesso la realtà in ogni più piccola manifestazione, il macrocosmo nel microcosmo, luce/buio, vita/morte, gli opposti che si risolvono nel tutt’uno.
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1962, 1970 - The Structure of Scientific Revolutions, Chicago University Press, Chicago, tr. it della II ed. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1979.
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Nel presente capitolo verranno brevemente enunciate le fondamenta delle teorie maggiormente note e condivise, ovvero il paradigma epistemologico da cui esse derivano. Il secolo XX è stato definito il secolo “della scoperta del fanciullo”, in quanto sono state elevate a livello di scienze due fondamentali scienze empiriche, psicologia e pedagogia, che hanno ridefinito il concetto di bambino. Grazie al contributo della scuola analitica fondata da Freud e alla sua scoperta dell’”inconscio” e della “sessualità”e di quella pedagogica ginevrina diretta da Piaget, sono emersi i contorni di un mondo nuovo: l’universo bambino, fino allora considerato come un “uomo piccolo” e con una visione della fanciullezza edulcorata dalla narrativa, in una cornice di felicità e dolcezza. In realtà abbiamo assimilato da tempo il concetto che l’infanzia è un’età della vita inquieta, fatta di ansie persecutorie, di fantasmi e di paure, che niente hanno da invidiare al mondo degli adulti, e che il “puer” è un individuo a pieno titolo con le proprie competenze e difficoltà, i propri meccanismi di difesa e di aggressione. La filosofia, madre di tutte le scienze umane di quel periodo storico, che si colloca all’inizio del ‘900, è fortemente intrisa dall’esistenzialismo di Heidegger e dalla fenomenologia di Husserl, che ribaltano in maniera decisiva i canoni dell’indagine scientifica in ogni campo del sapere. Inizia a contrapporsi all’oggettivismo positivista il relativismo, anche a livello delle cosiddette scienze esatte: dalle geometrie non euclidee, fino alla teoria della relatività, passando per il “principio di Falsificazione” di Popper3 che ribalta definitivamente il concetto di verità scientifica, trasformando la certezza assoluta in verità, solo fino al momento in cui una nuova teoria non la contraddice, dimostrando la sua falsificazione. Si intuisce facilmente che tutto il mondo culturale sta entrando in una nuova era e con esso la società che si porta appresso. A livello educativo, nella pedagogia e nella psicologia, in quanto derivazioni pragmatiche da paradigmi filosofici, nascono nuove teorie sull’apprendimento in un primo tempo di stampo comportamentista, poi cognitivista e infine costruttivista. L’apprendimento dall’errore, la soggettività come variabile ineluttabile dell’apprendimento, l’apprendere ad apprendere sono alcuni dei temi portanti della nuova “scienza dell’educazione dei bambini” o pedagogia (dall’etimo greco παιδόςαγω= condurre il bambino), di tipo costruttivista, che considera la conoscenza come la 3
Popper. K. “Conoscenza oggettiva” Armando, Roma, 1975
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più alta forma di adattamento di un organismo complesso. Il conoscere è, infatti, legato all’agire sull’ambiente ed ha lo scopo di costruire strutture concettuali, così la mente costruendo sé stessa costruisce il mondo (Piaget, 1937). In seguito il ragionamento evolve verso la domanda: posto che l’apprendimento sia qualcosa di intimamente soggettivo, è possibile, pensando per categorie, che il bambino e l’uomo adulto abbiano gli stessi meccanismi di apprendimento? Il ragionamento si traduce in una teoria verso la metà del secolo scorso, per opera di Malcom Knowles che definisce la scienza che si occupa del modo di apprendere degli adulti “andragogia ” (dall’etimo άνδρός άγω = condurre, guidare l’uomo.) Siamo negli anni ’50 si è superata una guerra di dimensioni mondiali devastante, che oltre a produrre morti e rovina ha messo in crisi (con la costruzione della bomba atomica, applicazione pratica della più grande scoperta scientifica del secolo, la relatività di Einstein) il così tanto caro concetto positivista di scienza e tecnica buona ed utile per l’uomo. Siamo in un’epoca di ricostruzione, che sulle rovine deve riuscire a rimettere in sesto impianti sociali e produttivi, dalla grande industria alle organizzazioni sanitarie, scolastiche. L’industria di stampo fordista degli anni ’20 è già entrata in crisi, mentre scuole di stampo psicologico quale quella di Palo Alto, con il suo fondatore Watzlavick iniziano ad introdurre nuove terminologie come “ risorse umane”, che danno una voce e un volto al vecchio operaio della catena di montaggio e lo inseriscono, attribuendogli un peso, all’interno dell’organizzazione. In pratica si inizia a capire come le organizzazioni oltre ad avere una struttura burocratico-organizzativa sono fatte da uomini, i quali costituiscono la struttura funzionale, dalle cui interrelazioni nascono fenomeni come il successo o viceversa il fallimento delle imprese. Vi è una grossa esigenza di uomini inseriti nel mondo del lavoro che siano duttili, permeabili al cambiamento, cioè in una parola disposti a riorganizzare, a seconda delle esigenze, le loro conoscenze e disposti a tornare ad apprendere. Il sapere non è più qualcosa di dato “tout court” ma richiede continui aggiustamenti, così come lo richiede la società e il mondo lavorativo. L’andragogia di Malcom S. Knowles ha evidenziato alcuni aspetti caratteristici dell’apprendimento adulto, che lo rendono molto diverso da quello dei bambini. Secondo la teoria di Knowles esistono presupposti qualitativamente molto differenti fra l’apprendimento del bambino e quello dell’adulto, che nel suo modello risultano essere così configurati:
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Presupposti del modello pedagogico: 1.
Riguardo al bisogno di sapere: i discenti hanno unicamente bisogno di sapere che devono imparare quello che l'insegnante insegna, se vogliono essere promossi; non hanno bisogno di conoscere come ciò che essi apprendono si applicherà alle loro vite.
2.
Riguardo al concetto di sé del discente: il concetto del discente che l'insegnante possiede è quello di una personalità dipendente; quindi, il concetto di sé del discente stesso diventa quello di una personalità dipendente.
3.
Riguardo al ruolo dell'esperienza: l'esperienza del discente ha poco valore come risorsa per l'apprendimento; l'esperienza che conta è quella dell'insegnante, dell'autore del libro di testo e di chi ha prodotto i supporti audiovisivi. Quindi, le tecniche di trasmissione (lezioni, letture obbligatorie, presentazioni audiovisive e simili ) costituiscono la spina dorsale della metodologia pedagogica.
4.
Riguardo alla dissonante disponibilità ad apprendere: i discenti si rendono disponibili all'apprendimento di quello che la scuola chiede loro di apprendere nella misura in cui desiderano effettivamente passare la classe ed essere promossi.
5.
Riguardo all’orientamento nei confronti dell'apprendimento: i discenti hanno un orientamento ad apprendere che è centrato sulla materia; essi vedono l'apprendimento come acquisizione di contenuti legati alla materia. Di conseguenza, le esperienze di apprendimento sono organizzate secondo un'unità di argomenti legati alla materia e secondo la logica intrinseca al contenuto della materia.
6.
Riguardo alla motivazione: i discenti sono motivati ad apprendere da molti valori estrinseci (i voti, l'approvazione o disapprovazione dell'insegnante, le pressioni esercitate dai genitori).
A mio avviso la visione della pedagogia infantile è riduttiva e superata dalla pedagogia attuale che non considera così salienti le differenze individuate da Knowles: egli stesso
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nei suoi ultimi scritti4 rivede diversi punti della sua teoria, avvicinando tra loro infanzia e adultità, e condivide con altri autori un modello che avvicina maggiormente caratteristiche dell’educazione infantile ed adulta. In ogni caso questo modello iniziale della teoria andragogica ha il merito di essersi prestato, nella sua riduttività classificatoria, ad un approccio all’adulto che teneva conto di quanto è complicato fare formazione.
Presupposti del modello andragogico: 1. Riguardo al bisogno di sapere: gli adulti hanno bisogno di conoscere il motivo per cui devono apprendere una data cosa, prima di intraprendere tale apprendimento. Tough (1979) ha scoperto che quando gli adulti iniziano ad apprendere qualcosa nel proprio conto, investono una considerevole dose di energie nel sondare i benefici che otterranno dall’averla appresa e le conseguenze negative del mancato apprendimento. 2. Riguardo al concetto di sé del discente: gli adulti hanno un concetto di sé come persone responsabili delle proprie vite (una delle definizioni psicologiche di adulto). Una volta arrivati a questo concetto di sé, essi sviluppano un bisogno psicologico profondo di essere considerati e trattati dagli altri come esseri capaci di auto-direzione. Dunque si irritano e si oppongono a quelle situazioni in cui sentono che altri stanno imponendo la loro volontà. 3. Riguardo ruolo dell'esperienza: rispetto ai giovani, gli adulti entrano in un'attività educativa con un' esperienza che ha maggior volume e qualitativamente diversa. Questa differenza quantitativa e qualitativa dell'esperienza adulta comporta diverse conseguenze. Per prima cosa, garantisce che in qualsiasi gruppo di adulti ci sarà una gamma di differenze individuali, in termini di sfondi, di stili di apprendimento, di motivazioni, bisogni, interessi, obiettivi, più di quanto avvenga in un gruppo di giovani. Ecco perché nell'educazione di adulti viene posta grande enfasi sull'individualizzazione
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dell'apprendimento
e
delle
strategie
di
M. Knowles “la formazione degli adulti come biografia” Cortina, 1997
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insegnamento. Inoltre essa significa che in molte situazioni le risorse più preziose per l'apprendimento sono costituite dal discente stesso. Di qui, l'enfasi ancora maggiore che viene posta sulle tecniche esperienziali cioè tecniche che valorizzano l'esperienza dei discenti, come la discussione di gruppo, gli esercizi di simulazione, le attività di soluzione dei problemi, il metodo dei casi e i metodi di laboratorio rispetto alle tecniche trasmissive. 4. Riguardo alla disponibilità ad apprendere: gli adulti si rendono disponibili ad apprendere quelle cose che hanno bisogno di sapere o di essere in grado di fare per poter affrontare efficacemente le loro situazioni di vita reale. Una fonte di disponibilità all'apprendimento particolarmente produttiva sono i compiti evolutivi associati al passaggio da uno stadio dello sviluppo a quello successivo. L'implicazione critica di questo presupposto è l'importanza di sincronizzare le esperienze di apprendimento in modo che coincidano con quei compiti evolutivi. 5. Riguardo all’orientamento nei confronti dell'apprendimento: gli adulti sono centrati sulla vita o sul compito, sul problema. Di conseguenza le esperienze di apprendimento nell'educazione di adulti sono sempre più organizzate intorno a compiti o problemi vitali. Tough (1979) ha scoperto che tutti gli adulti sono motivati a continuare a crescere e a evolversi, ma che questa motivazione spesso viene inibita da barriere quali un concetto negativo di sé come studente, l'inaccessibilità di opportunità o risorse, la mancanza di tempo e programmi che violano i principi dell'apprendimento degli adulti. In questo
gioca
anche
un
ruolo
fondamentale
la
promozione
dell'autodeterminazione, soddisfacendo i bisogni psicologici innati di competenza, autonomia e relazione. La competenza consiste nel sentirsi capaci di agire sull'ambiente sperimentando sensazioni di controllo personale. L'autonomia si riferisce alla possibilità di decidere personalmente cosa fare e come. Il bisogno di relazione riguarda la necessità di mantenere e costituire legami in ambito sociale. 6. Riguardo alla motivazione ad apprendere: nonostante gli adulti siano sensibili ad alcuni valori estrinseci ( un impiego migliore, una promozione, un aumento di salario, e così via) i valori più potenti sono quelli intrinseci (
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il desiderio di migliorare il livello di autostima, la qualità della vita, la responsabilità personale, la soddisfazione sul lavoro e così via ): più o meno tutti gli adulti normali sono motivati a continuare la loro crescita ed evoluzione personale ma questa motivazione viene frequentemente bloccata da ostacoli. Si giunge così alla definizione di apprendimento come “ la modificazione del comportamento che si basa sull'esperienza e che dura nel tempo”.
¾ L’apprendimento è legato ad un cambiamento. Questa caratteristica del processo risulta anche una definizione operativa misurabile negli studi sull'apprendimento stesso ¾ L’apprendimento è legato all'esperienza e all'esposizione ad uno stimolo. È possibile distinguere l'apprendimento dalla maturazione (che non considera l'esposizione a nessuno stimolo esterno, ma è basata sullo sviluppo e l'affermarsi di stimoli interni all'individuo e alla specie). ¾ L’apprendimento tende ad aumentare le differenze tra gli individui, mentre la maturazione tende ad assimilarli ad un unico standard. Cambiamenti del potenziale comportamentale a breve termine, come ad esempio la stanchezza, non costituiscono "apprendimento". Alcuni cambiamenti a lungo termine, viceversa, non dipendono dall'apprendimento, ma dall'avanzare dell’età (maturazione) e dal proprio personale sviluppo. L'educazione risulta il tentativo cosciente di promuovere l'altrui apprendimento. Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino e-ducere che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Si intende il processo attraverso il quale l'individuo riceve e impara quelle particolari regole di comportamento che sono condivise nel gruppo familiare e nel più ampio contesto sociale in cui è inserito. Può essere anche definita come l'atto, l'effetto dell'educare o come buona creanza, modo di comportarsi corretto e umano nei rapporti sociali. Sulla base di tale concetto si fonda la formazione degli adulti, da intendersi come azione sulla forma, cioè tras-formazione, produzione di cambiamento ma questo termine si deve leggere anche rovesciato cioè forma in azione, che si autodirige verso il cambiamento. Non ci sono individui da “ plasmare” (e questo vale anche
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con i bambini) ma uomini che decidono consapevolmente di apportare dei cambiamenti nella propria forma mentis, perché ravvisano in questo un ampliamento di conoscenze ed un aumento di competenze. Numerose ricerche (Bruner, 1961; Erikson, 1964; Getzel e Jackson, 1962; Bower e Hollister, 1967; Cross, 1981; Iscoe e Stevenson, 1960; Robinson, 1988; Smith, 1982; Stevenson-Long, 1979; White, 1959) fanno ipotizzare che, man mano che gli individui maturano, il loro bisogno e la loro capacità di essere autonomi, di utilizzare la loro esperienza di apprendimento, di riconoscere la loro disponibilità ad apprendere e di organizzare il loro apprendimento attorno a problemi della vita reale, crescano costantemente dall'infanzia fino alla preadolescenza e poi assai rapidamente durante l'adolescenza. La scoperta dell’andragogia ha portato ad interrogarsi in una duplice direzione: da un lato per approfondire le conoscenze riguardo a cosa dobbiamo intendere per “adulto”, quali caratteristiche entrano in gioco in questa definizione; dall’altro per costruire metodologie didattico- formative come guida agli interventi concreti rispetto ai bisogni socio-educativi degli adulti, tali da essere in grado di generare cambiamento.
1.2 TEORIE SULL’ ADULTITA’ E SUL CAMBIAMENTO Fra gli autori attualmente più accreditati, l’impostazione generale del quadro concettuale di Duccio Demetrio5 è fra le più innovative e al tempo stesso praticabile, soprattutto per quanto riguarda l’attenzione alla persona e di conseguenza alla dimensione qualitativa dell’educazione; perciò quella maggiormente applicabile a contesti di cura e di malattia, della quale tratterà diffusamente questo studio. Ho scelto, a tal fine, la sua analisi sul tema: 1.1) una definizione di età adulta 1.2 )una definizione di cambiamento, che riporti al concetto di formazione. 1.1)
Per troppo tempo l’età adulta è stata considerata come una meta da raggiungere,
un modello cui mirare per raggiungere la stabilità e proprio questa sua connotazione di 5
Duccio Demetrio, L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Carrocci Editore, Roma, 2001 (1° ed. 1990); pp.157)
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stabilità ha permesso di considerare l’età adulta come uno stadio in cui l’uomo non è più soggetto a crescita e quindi a cambiamenti. Per dimostrare proprio il contrario di tale assunto l’autore propone una rassegna delle varie rappresentazioni di “adulto” che si sono susseguite nella storia, facendo anche riferimento a teorie sorte in vari ambiti, quali quelle della filosofia, della psicoanalisi, della sociologia. L’approccio è dichiaratamente pedagogico in quanto l’autore si propone di rilevare il rapporto che sussiste tra l’adulto e quei processi che mette in atto in esperienze che per lui assumono un valore formativo. L’attenzione viene, quindi, posta “…sulle psico-sociodinamiche che determinano, per il soggetto che ne è coinvolto, una trasformazione parziale o accentuata al suo modo di essere, fare, capire.” (p. 19.) Altro assunto importante per l’autore è quello di formazione intesa, non come aggiunta di qualcosa che prima non c’era, ma come ristrutturazione, trasformazione, cambiamento, ed egli intende dimostrare che tali processi si attuano anche negli adulti, magari con modalità proprie, ma non troppo diverse da quelle che si compiono nei fanciulli e negli adolescenti. Numerose sono le definizioni di “adultità”, ma l’autore si sofferma su quella che più di altre rappresentano la società, riconducibile al modello di “individuo” in grado di prendere decisioni, di rischiare, di sfidare e di sfidarsi. Il modello di adulto, infatti, non è fisso, stabile, ma varia nel tempo e nello spazio, inteso come zona geografica, cambia in base alle società e alle civiltà che si susseguono nelle epoche storiche. Ogni individuo vive in modo personale il proprio ciclo di vita, quindi l’età è un costrutto personale che tuttavia può trovarsi in dissonanza se confrontato con la percezione degli altri; tale costrutto è però instabile, poiché può essere rivisto, anche a seguito del confronto con gli altri individui. Dopo una veloce disanima sui vari tentativi di oggettivazione della nozione di età, di adulto, di arco della vita, l’autore passa ad analizzare l’approccio psicologico, con particolare riguardo alla Life Span Theory, secondo la quale il corso della vita è caratterizzato da regolarità e sequenze di fasi prevedibili, ma anche dall’avverarsi di situazioni imprevedibili e casuali, inoltre da un’attenzione per i cambiamenti e le evoluzioni che l’individuo opera per libera scelta.
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Al fine di definire una rappresentazione dell’identità dell’adulto, l’autore effettua una rassegna dei principali teorici che hanno affrontato questo tema, raggruppandoli in base alle correnti di pensiero. L’approccio psicodinamico è caratterizzato dall’assunto che la psiche è sede di continui conflitti tra la connotazione “infantile” e quella “adulta”, dove l’età adulta appare governata e determinata dall’esperienza dell’infanzia che secondo certi autori, come Freud, ha un’influenza negativa sull’adulto, frenante e destabilizzatrice; mentre per altri, come Bion, opera un’azione regolatrice ed orientatrice per il raggiungimento dell’età adulta. Fra le varie correnti di pensiero psicologiche egli analizza le concezioni di Freud, Bion, Jung, Erikson, Adler, Fromm, Sullivan, Lapassade. Secondo Jung l’età adulta è quella del “dubbio”, quella nella quale il contrasto tra il puer e il senex è superato, un’età in cui avviene, quindi, una trasformazione. Per Erikson l’adulto è colui che mira ed è in grado di conquistarsi un’autonomia funzionale, cioè si propone la realizzazione di intenti che non sono strettamente legati ai bisogni dell’istinto. Elementi di novità in Erikson sono: l’influenza storico-sociale esercitata sullo sviluppo del soggetto adulto e il concetto di epigenesi, inteso come una serie di “potenzialità”, caratteristiche “in essere”, presenti nell’individuo che con il tempo prendono forma e si manifestano diventando “effettive”. Ciò che accomuna, invece, Adler, Fromm, Sullivan, Lapassade è la convinzione che l’età adulta sia interpretabile facendo riferimento ad un modello psico-sociale, nel senso che l’individuo si riconosce adulto quando è in grado di accettare di impegnarsi nei compiti che la società gli riconosce e gli conferisce. La corrente di pensiero fenomenologica, definita anche “psicologia esistenziale”, ha come tema centrale quello della “incompiutezza”, dell’impossibilità di giungere ad una conoscenza
definitiva
e
totale,
dell’approssimazione.
Quindi
è
impossibile
“interpretare” la realtà, si possono solo cercare quegli indizi, tracce, che ci permettono di osservare e descrivere le manifestazioni di “emozioni”, “esperienze”, ecc. Il relativismo conoscitivo presuppone che il ricercatore entri con il proprio vissuto nell’altrui vissuto, non per svelarlo, ma per comprenderlo, che segua cioè un metodo empatetico. Quali più significativi rappresentanti di questa corrente di pensiero l’autore prende in considerazione: Maslow, Rogers, Lewin.
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Per Maslow lo sviluppo umano è sostenuto dal “bisogno”: egli propone una scala in cui i bisogni umani sono suddivisi in ordine di rilevanza per il raggiungimento della personalità adulta. Il raggiungimento e l’appagamento dei bisogni fondamentali, quelli inerenti alla sopravvivenza, sono sostenuti dalla motivazione “carenziale”, mentre il soddisfacimento di quelli non essenziali, quale l’autorealizzazione che si trova nel gradino più alto della scala, è sostenuto dalla motivazione “accretiva” che si esplica attraverso le peak experiences, esperienze uniche ed irrepetibili per l’individuo. Rogers ha avuto il merito di cercare di identificare le caratteristiche della psiche dell’adulto attraverso l’auto rappresentazione, cioè partendo da ciò che l’individuo pensa di sé in qualità di adulto. Per Rogers “L’età adulta è periodo nel corso del quale le varie componenti di un Sé che si rende multidimensionale vengono a maturazione in ragione della posizione sociale raggiunta dall’individuo.” (p. 55). La posizione di Lewin, riconducibile alla Gestalt, centra lo studio della persona nella sua totalità, costituita da numerose regioni (ambiente fisico, sociale, psicologico), nel suo ambiente, nella convinzione che sia impossibile interpretare un qualsiasi fenomeno estrapolandolo dal proprio ambiente. Da qui la teoria topologica di Lewin detta anche “del campo”. Altri concetti innovativi introdotti da Lewin sono: la nozione di trasformazione riferita a fenomeni, quali lo spazio di vita entro il quale il soggetto si sposta e la zona di confine tra la soggettività e il mondo esterno, che strutturerebbero l’identità; la distinzione, all’interno della personalità, tra le regioni periferiche, percettivo-motorie, da quelle centrali, che definiscono la storia dell’identità personale. Il comportamento, quindi, secondo Lewin consiste in un continuo spostarsi da una regione all’altra, un continuo movimento dalla figura allo sfondo alla figura, che ci porta a considerare un’identità variabile, cangiante. Infine, l’autore prende in considerazione gli studi che fanno riferimento al metodo autobiografico per fornire di un’identità l’età adulta, tra i quali quelli di Bühler, che individua cinque fasi bibliografiche della vita umana; Jaques, che ha concentrato la sua analisi principalmente sulla crisi della mezza età; Peck, secondo il quale gli adulti spostano gran parte della loro energia dal piano fisico a quello mentale e ridefiniscono le relazioni con gli altri costituendo un maggior equilibrio tra sessualità e socializzazione; Gould, invece, riprende il modello di Erikson sullo sviluppo umano concentrando
i
propri
studi
sulle
transizioni
della
vita
adulta,
individua
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nell’accettazione del rischio, quando si affronta una nuova situazione, una crescita dell’individuo; Vaillant analizza primariamente i processi di adattamento, che intende funzionali al raggiungimento del successo. L’età adulta appare, alla luce di tutti questi contributi, quale una “regione e fase dell’esperienza tendenzialmente complessa” (p.77) - In riferimento alla definizione di cambiamento, in ambito pedagogico, e la relazione che intercorre tra adultità e cambiamento, Demetrio traccia una panoramica delle interpretazioni assunte nelle varie correnti del pensiero psico-pedagogico6. Per i comportamentisti, l’educazione avviene sostanzialmente per condizionamento, poiché l’individuo apprende secondo la modalità stimolo-risposta e grazie alla “legge del rinforzo” ripete quei comportamenti che gli hanno procurato gratificazioni. Per i cognitivisti, invece, l’individuo non assume un ruolo passivo e ricettivo degli stimoli ambientali, ma al contrario egli è artefice principale del proprio apprendimento poiché, partendo dalla propria cognizione mentale, è in grado di individuare, scegliere ed elaborare gli stimoli che gli pervengono dall’ambiente esterno per costruire nuova conoscenza. La posizione dei sistemico-cognitivisti interpreta l’età adulta non più intesa come punto d’arrivo, come situazione definitiva e stabile ma soggetta a continui cambiamenti, rivolti non tanto al mantenimento dell’equilibrio, ma al raggiungimento “dell’ordine attraverso le fluttuazioni”. Il cambiamento nell’età adulta non presenta un andamento lineare bensì “a crisi” e possono verificarsi cambiamenti superficiali, quando cambia l’atteggiamento dell’individuo nei confronti della realtà ma non cambia l’immagine di sé, cambiamenti profondi, quando viene modificata anche l’immagine di sé in quanto percepita inadeguata al cambiamento d’atteggiamento richiesto. Per la gruppo- psicoanalisi il concetto di cambiamento assume con Freud il significato di un processo che si snoda lungo una serie di tappe prestabilite di crescita psicosessuale. Secondo Bion la trasformazione, che si articola in tre stadi, qualifica la dinamica secondo la quale si svolgono i processi mentali, mentre Jung ritiene il processo di individuazione come una serie di differenziazioni, sempre più articolate, che portano allo sviluppo della personalità dell’individuo. 6
D.Demetrio “Saggi sull’età adulta” D.Demetrio “saggi sull’età adulta” Unicopli Milano
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Secondo l’approccio fenomenologico, per Maslow cambiare manifesta il desiderio di autorealizzarsi, mentre Rogers ritiene importante per il cambiamento il fattore “autopoietico”, cioè l’autocreazione di sé, la capacità di ristrutturazione del sé. L’asserzione principale della teoria del campo di Lewin dice che qualsiasi comportamento è sempre in funzione del soggetto e dell’ambiente in cui egli si trova inserito; comportamenti, soggetto e ambiente costituiscono lo “spazio di vita”. Lo sviluppo dell’individuo è interpretato come cambiamento dello spazio di vita. Secondo l’approccio sistemico, Morin è l'autore che più ha approfondito i concetti di casualità, disordine, imprevisto, accidente e fornisce una diversa interpretazione della globalità sistemica, muovendo non dall'intento onnicomprensivo, non dal punto originario fondante non dall'ordine piuttosto dalle nozioni di disordine, disorganizzazione, incertezza e instabilità. La complessità infatti come entità organizzativa è esposta continuamente all'instabilità, non può essere ridotta nelle sue parti semplici, e anche le sue componenti non possono essere specchio automatico della conquista della complessità, letti a aprioristicamente come tasselli. Secondo Bateson7, la struttura che connette i sistemi è una meta- struttura; è una struttura di strutture ed è questa constatazione che ci consente di affermare che sono le strutture a connettere le parti: La mente che organizza, che contestualizza, è la struttura generale che dà significato alle singole componenti, che, se osservate avulse dal contesto relazionale, perderanno di senso. Il contesto fissa il significato delle singole parti e non viceversa, per cui se la nostra mente organizzatrice agisce come un contesto strutturante, la rappresentazione dei fenomeni è possibile. Egli inoltre introduce il concetto di processo di apprendimento come processo stocastico ossia finalizzato ad un bersaglio che non è dato per raggiungibile e l'apprendimento delle informazioni è stocastico in quanto il flusso di eventi che osserviamo si presenta per certi aspetti casuale e per altri selettivo o non casuale. La mente è un insieme di componenti interagenti e la spiegazione dei processi mentali dipende dall’organizzazione ed interazione delle parti di questo sistema complesso. In linea con l’impostazione di Bateson, Watzlawick individua due tipi diversi di cambiamento: uno che pur avvenendo all’interno del sistema lo lascia immutato e l’altro che trasforma il sistema stesso, inconscio, nel senso che chi lo innesca non ha consapevolezza di come sia 7
Bateson, G. (1977) Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi,
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potuto avvenire. Demetrio analizza in modo approfondito l’approccio sistemico, considerandolo il modello che ha dato l’avvio ad un’ interpretazione dell’adultità come identità multipla e poliedrica quindi il più idoneo per approfondire l’indagine del concetto di cambiamento. Si giunge così ad una definizione del concetto di cambiamento inteso come “ perturbazione che ha la possibilità, e non la certezza, di creare mutamenti a partire dall’intrinseca struttura del soggetto dell’evento educativo qualora a questa fenomenologia ci si riferisca.” (p.120) L’approccio sistemico ha messo in crisi le tesi evolutivo-stadiali portando al superamento del concetto di un’identità dell’età adulta, poiché l’adultità si manifesta in molteplici forme, per arrivare a quella di Sé multidimensionale: una struttura destinata non a rimanere identica, ma a modificarsi e ristrutturarsi. Quindi, data la sua complessità, l’età adulta non può essere definita, ma può essere esplorata attraverso i suoi continuum, cioè quelle componenti della sfera psichica o relazionale che si creano fin dai primi anni dell’esistenza a seguito delle interferenze sociali e che si trasformano nell’arco della vita. Da questi presupposti Demetrio8 ha fondato una metodologia educativa che si basa sulla Narrazione autobiografica, recuperando il valore della dimensione qualitativa rispetto all’oggettività quantitativa dei “dati”, misurabili, certi, che poco si prestano alla progettazione educativa, all’interno di un modello sistemico “regolato” dall’incertezza, dal disordine e dall’instabilità. Seguendo lo stesso paradigma epistemologico Gian Piero Quaglino9 ha esposto con coerenza, meticolosità e allo stesso tempo semplicità la propria proposta di Teoria Generale della Formazione, riuscendo ad interpretare e a far rispecchiare la caratteristica principale della formazione: la complessità. Tale intento nasce dal presupposto che la caratteristica principale della formazione sia la notevole complessità e che quindi risulti necessario “…individuare una struttura teorica che possa esprimere la complessità del fenomeno formazione… non si tratta tanto di ricercare una teoria generale come modello unico, complessivo ed esclusivo a un tempo, e così 8
D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, R. Cortina 1996. Gian Piero Quaglino, Fare formazione. I fondamenti della formazione e i nuovi traguardi, Cortina Raffaello, Milano, 2005;
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"conclusivo": si tratta piuttosto di alimentare un pensiero teorico, un progetto, un fondamento capace di ancorare la pratica e di rinnovarla.” (p.VIII) Il principale fattore che influenza negativamente l’efficacia della formazione, è quello che lui chiama “un vuoto di teoria” e che definisce come”…azione alla cieca, il che a sua volta significa impossibilità di apprendimento e dunque preclusione di ogni accumulo di esperienza.” (p.9) . La proposta di una Teoria Generale della Formazione (TGF) che designa come un “sistema di sapere complessivo e sovraordinato” si avvicina ad una pedagogia degli adulti. Essa include altre teorie, quali la Teorie dell’organizzazione, la Teoria dell’azione formativa ( i cui elementi sono Teoria degli Obiettivi, Teoria dell’Apprendimento,Teoria dell’Insegnamento), la Teoria del processo di formazione. In questo processo un momento di fondamentale importanza è l’ individuazione e la costruzione di una Teoria degli Obiettivi (TdO) che risulti coerente con la TGF e specifica rispetto ad altri ambiti di teoria. Le sue modalità operative consistono nello scegliere e fissare dei criteri, ricavandoli dal mandato che sta alla base dell’azione formativa. A tal fine individua tre categorie: le tipologie semplici (del tipo: conoscenze, capacità ed atteggiamenti), le tassonomie (soffermandosi principalmente su quella di Bloom), le liste di capacità. Nella sintesi finale e nella post-fazione l’autore sottolinea che le problematiche, da lui evidenziate, rimangono ancora attuali e ribadisce che la sua proposta di una teoria generale della formazione rimane aperta e non conclusa: infatti, permane il fine ultimo di stabilire un’interazione circolare tra teoria e prassi o meglio tra “consapevolezza della teoria” e “concretezza della formazione”. Successivamente il pensiero di Quaglino è evoluto nella direzione dell’autoformazione10, interpretata come guida a divenire responsabili e protagonisti del proprio apprendimento, intento necessario per la sopravvivenza dell’uomo e di tutto il genere umano, poiché in questa società l’apprendere autonomamente è ritenuto una competenza fondamentale. Da ciò ne deriva che l’obiettivo primario dell’educazione deve essere l’imparare ad apprendere in modo autodiretto e che apprendere significa utilizzare qualsiasi risorsa la nostra esperienza di vita ci offra, poiché l’apprendimento è un processo che perdura per tutta la vita. 10
Gian Piero Quaglino (a cura di), Autoformazione. Autonomia e responsabilità per la formazione di sé, Cortina Raffaello, Milano,2004
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1.3 TEMI FONDANTI DELL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI
1.3.1 INTERAZIONE Quando si parla di interazione nelle organizzazioni complesse, quali quelle sanitarie, tentiamo di sviluppare un’analisi della qualità della comunicazione, all’interno di una riflessione pedagogica. Il linguaggio pedagogico ruota intorno ai termini di educazione (conoscenza) formazione, e cura. La cura, intesa come pre-occupazione, è ciò che permette a educazione e formazione di esistere, domina la vicenda umana, ed è fondamentale dello stare con gli altri. Questo “stare con gli altri” è dialogare, che è sempre un pensare-con-altri. Nelle organizzazioni il dialogo è con la comunità sociale di riferimento: tra l’ente, che trasforma risorse in beni e servizi, e l’utenza, che esprime bisogni anche latenti. L’organizzazione deve saper leggere tali bisogni e condurre un dialogo aperto di solidarietà sia di carattere emozionale che funzionale . Oggi è sempre di più presente la difficoltà di dialogo, e quindi di rendere reale e fruibile concretamente al cittadino l’innovazione e il cambiamento che è in atto e ciò risulta ancora più difficile nelle istituzioni che erogano salute. Dopo un iniziale entusiasmo che ha coinvolto a tutti i livelli, istituzioni e professionisti, grazie a un notevole sviluppo in questi anni di attività formative (learning-organization), in campo comunicativo ci si è trovati di fronte a un vuoto culturale che deve a tutt’oggi ancora essere colmato. Occuparsi di comunicazione nei confronti del cittadino è servizio, e non propaganda autoreferenziale, significa erogare prestazioni che devono basarsi su standard di qualità ben definiti e tracciabili. Il gap formativo deve essere programmato da un attento lavoro didattico su principi condivisi di che cosa significhi lavorare e impegnarsi in una cultura di servizio che presuppone assunzione di responsabilità, semplificazione, e investimento in capitale umano, che sappia tenere conto delle dimensioni latenti, emozionali, e rendere operative le risorse personali (empowerment) e attuare un percorso individuale verso la propria formazione (autoeducazione). Un’organizzazione attenta a considerare i tempi della comunicazione, poiché esiste uno specifico ciclo di vita comunicativo nel quale ogni istituzione si può trovare. Il percorso si evolve lungo un tempo che non è essenzialmente fisico, ma culturale. All’interno del paradigma della “Comunicazione Sanitaria Integrata” possiamo
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osservare a che livello e con quale relazione la comunicazione istituzionale si innesta con la comunicazione Clinico-Educativa. Questa si propone di dar spazio, nella formazione, a pratiche di apprendimento riconducibili a una maggiore flessibilità di fronte all’incertezza e all’instabilità, fisiologiche nelle organizzazioni complesse, ritenendole delle risorse e non minacce. In grado di attuare l’analisi e risoluzione di problemi non di tipo lineare e consecutivo, bensì strategico e pertanto intuitivoanalogico. La medicina oggi deve comprendere ciò che è l’individuo adulto, nella sua complessità e molteplicità, e quindi essere capace di accogliere un nuovo tipo di formazione ad hoc dell’adulto che lavora all’interno delle organizzazioni complesse. E come la formazione possa aiutare a diminuire la distanza, che ancora oggi caratterizza criticamente, il rapporto tra operatori sanitari e utenza. Il modello sistemico è sicuramente quello che maggiormente ha influenzato gli interventi formativi più recenti perché tenta di tenere in considerazione tutte le variabili coinvolte nel fatto educativo: formatore, soggetti destinatari, organizzazione committente, società, in cui ogni singolo è inserito e immagine interiorizzata che di essa si è costruito. Diventa quindi ineluttabile per chi progetta un evento formativo interagire con tutte queste componenti. Al tempo stesso, si mutuano dal modello sistemico i concetti di disordine disorganizzazione, incertezza, instabilità, che sono proprie di ogni raggruppamento umano, in modo particolare delle organizzazioni complesse (scuola, organizzazioni sanitarie, etc), ignorare i quali sembrerebbe essere un atteggiamento ingenuo che non può produrre né conoscenza, né cambiamenti. Leggere un’organizzazione significa quindi leggere, dall’interno, tutte le relazioni e le interazioni o connessioni che sono presenti. Sappiamo inoltre che i meccanismi che agiscono nelle grosse organizzazioni sono interpretabili con il pensiero divergente, per poter fare in modo di indirizzare i propri interventi nella direzione che vogliamo ed impedire che troppe delle moltissime variabili in gioco ci sfuggano. Da quanto affermato, ne consegue che il formatore debba porsi come interprete, in
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grado per così dire più “di leggere che di scrivere”, di collocarsi più “di fianco che al centro” del momento formativo; scendere dalla cattedra, consapevole solo della propria autorevolezza, ed entrare in interazione con tutti gli attori coinvolti, quelli formali e quelli informali, gli agiti e le rappresentazioni-interpretazioni nascoste. Questo non è solo il momento iniziale della formazione ma ne è l’impalcatura che percorre tutto il processo e che permea obiettivi, progettazione, valutazione in itinere e sommativa. In un certo senso è nella filosofia della formazione, la parte etica. Tutto ciò non è da intendersi come adattamento e omologazione, ma come espressione della propria ed altrui soggettività, intendendo che anche i vissuti e la comprensione che ciascuno di noi ha dell’esterno, dell’altro da sé è molto più personale che oggettivo, e sono proprio le differenze che comunicano ed interagiscono fra loro che creano il valore aggiunto alla conoscenza collettiva ed individuale. Perciò definiremo il formatore principalmente come “umanità in ascolto” lungo un continuum di relazioni. E’ una logica completamente diversa da quella dell’azionereazione secondo una visione meccanicista di causa- effetto. Occorre rivalutare il valore della “domanda” rispetto a quella della “risposta” perché senza domande non c’è ricerca di cambiamento, non c’è crisi della conoscenza pregressa, in una parola non può esserci cambiamento. 1. 3.2 MOTIVAZIONE Cosa si intende per motivazione? Etimologicamente deriva dal latino motus (movimento) che incorpora un senso di movimento che porta ad agire. Attualmente l'attenzione è rivolta a cercare una risposta il più possibile plausibile all'interrogativo: da dove viene la motivazione? Domanda necessaria al fine di evidenziare il nucleo più profondo del concetto. La motivazione si presenta certamente come uno dei temi più controversi sul quale si è orientata una vastissima letteratura specialistica nell'ambito delle discipline psicologiche, sociologiche ed organizzative. Oggi chi si interessa per la prima volta al tema della motivazione si imbatte in un'ampia modalità di definizioni. Dall’originaria derivazione si sono moltiplicati, nel tempo, i significati (esistono circa 140 definizioni del termine)
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Questo, sembra ovvio, è legato sia alla natura del concetto, multifattoriale, così come al ruolo che riveste nei vari processi dell’agire umano: da quello conoscitivo a quello lavorativo, organizzativo. Oppure, semplicemente, perché se assumiamo che la “motivazione” è dentro l’agire umano composto sì da istanze razionali, ma anche da sommovimenti interni, irrazionali, conflittuali, addirittura paralizzanti; allora dobbiamo assumere che anch’essa non è lineare nel tempo (un semplice causa-effetto) ma procede per salti, torna indietro o regredisce, si arresta. Esistono molte teorie che hanno tentato di inquadrare il “fenomeno” motivazione che si inquadrano schematicamente in due tipi: 1)Teorie del contenuto: sottolineano l’importanza delle cause che originano il comportamento cioè cosa motiva gli individui a compiere azioni (esse rappresentano il tentativo di spiegare la motivazione intrinseca) 2) Teorie del processo: descrivono il modo in cui i comportamenti cambiano e il modo in cui una persona modifica il proprio comportamento (motivazione estrinseca) Le principali teorie della motivazione sono quelle di: Maslow11: la “ Teoria della gerarchia dei bisogni” Alderfer12 “ teoria E. R. C. o dell’appagamento-frustrazione” Herzberg “ teoria dei Fattori duali” McLelland “Achievement - Potere-Affiliazione” Quali sono i processi decisionali sottostanti la motivazione? Come si esplicano? • Rinforzi • Goal - setting • Aspettativa -valenza • Giustizia organizzativa
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Abraham Maslow, Motivation and Personality, 1954 Alderfer C.P., "An Empirical Test of a New Theory of Human Needs", Organizational Behaviour and Human Performance, 1969.
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TEORIA DELLA GERARCHIA DEI BISOGNI DI MASLOW • Bisogni fisiologici. Si tratta dei bisogni fondamentali per la sopravvivenza. Gli esseri umani per vivere hanno bisogno di nutrimento e di una dimora Il benessere fisico precede in ordine di importanza ogni altro tipo di esigenza. Sono quindi i bisogni primari, quali la fame, la sete, il sonno che gli individui cercano di soddisfare per primi , per ché rappresentano elementi di sopravvivenza e di sostegno della vita quotidiana. • Bisogni di sicurezza. Riflettono il desiderio di protezione: si ha cioè paura di perdere rifugio, nutrimento ecc. I bisogni di sicurezza comprendono il desiderio di vivere in un ambiente costante e prevedibile e possono, inoltre, implicare una preferenza per l’ordine e la formalizzazione. Riguardano la protezione dai pericoli, dalle minacce, dalle privazioni e la conoscenze e l’appropriazione del proprio territorio e ambiente circostante. Nei contesti lavorativi i bisogni fisiologici e di sicurezza sono soddisfatti indirettamente dal sistema retributivo, dalla chiarezza nelle regole e procedure di valutazione, retribuzione, carriera distribuzione delle responsabilità e dell’autorità, e da ambienti di lavoro sicuri e non nocivi. • Bisogni di appartenenza. Riflettono il desiderio di amore, di affetto e di comprensione. Il bisogno di interagire con altri e di avere una certa approvazione sociale si riscontra in quasi tutti gli individui. Per alcuni, tale esigenza viene soddisfatta mediante l’appartenenza a un gruppo, altri, invece, sono sufficientemente soddisfatti dai rapporti famigliari o di amicizia. I bisogni di appartenenza sono soddisfatti da contesti lavorativi che facilitano la socializzazione e da criteri di divisione del lavoro che incentivano la cooperazione e il lavoro di squadra e di gruppo. • Bisogni di stima. Si dividono in autostima (fiducia in se stessi, indipendenza, realizzazione) ed etero- stima (status, riconoscimento, apprezzamento e rispetto meritato dagli altri). Gli individui si impegnano per migliorare la propria condizione sociale, per avere una buona reputazione o una posizione importante all’interno di un gruppo. Quando questi bisogni non sono soddisfatti, si possono sviluppare sentimenti di inferiorità o di debolezza. Mansioni che permettono di mettere alla prova le proprie capacità, attraverso
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l’arricchimento dei compiti da svolgere, possono contribuire a soddisfare i bisogni di stima. • Bisogni di autorealizzazione . Corrispondono al desiderio di realizzare le proprie potenzialità e vengono anche denominati “bisogni di ordine superiore” Le mansioni non specialistiche e non richiedenti una gamma ristretta di capacità possono soddisfare i bisogni di autorealizzazione. La teoria è caratterizzata dal principio del dinamismo gerarchico, formulato in quattro principi: •
Il bisogno del livello più basso determina la motivazione e non appena tale bisogno sarà soddisfatto, verrà sostituito da un bisogno di ordine superiore
•
Il grado di regolarità con cui un bisogno è soddisfatto agisce sulla probabilità che si presenti la motivazione connessa a quel bisogno
•
Il bisogno soddisfatto non genera più motivazione, ma rimane potenzialmente attivo e può riemergere non appena si “allenta” la sua gratificazione
•
La motivazione di un bisogno soddisfatto non si ripresenta per quello stesso bisogno, ma si “sposta” a un bisogno di livello superiore secondo precisi livelli di priorità.
TEORIA DELLA FRUSTRAZIONE- REGRESSIONE di ALDERFER(1969) Bisogni esistenziali, relazionali e di crescita (E. R. C.) Alderfer ha accorpato i cinque livelli di bisogni di Maslow in tre: 1. I bisogni esistenziali (racchiudono quelli fisiologici e di sicurezza). 2. I bisogni relazionali (sono quelli di appartenenza). 3. I bisogni di crescita (racchiudono quelli di stima e di autorealizzazione). L’innovazione principale apportata da Alderfer alla teoria dei bisogni di Maslow è l’integrazione del meccanismo maslowiano della “soddisfazione-progressione” con quello della “frustrazione-regressione In altre parole secondo Alderfer, quando una persona rimane frustrata nel processo di ricerca della soddisfazione di un livello di bisogni, può “regredire” a un livello inferiore e trovare così una riduzione dello stato di tensione attraverso la rivalutazione di bisogni
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di ordine inferiore. HERZBERG, FATTORI DUALI (1976) La teoria dei fattori duali ha sfidato la convinzione radicata sul modo in cui il livello di soddisfazione influenza la prestazione e la motivazione; secondo tale convinzione se una persona è insoddisfatta di qualche aspetto del proprio lavoro (per es. la retribuzione), si deve modificare tale aspetto (concederle un aumento) per aumentare il livello di soddisfazione, di motivazione e prestazione (Herzberg) Secondo Herzberg e i suoi collaboratori, i fattori che influenzano gli individui nel lavoro sono di due tipi: •
i fattori igienici
•
i fattori motivanti.
Il loro programma di ricerca, concernente gli atteggiamenti degli individui sul lavoro, ha preso avvio da due ipotesi di fondo: 1. Gli individui in quanto animali, tendono ad evitare il dolore fisico e le privazioni (principio edonistico) 2. Gli individui, in quanto esseri umani, tendono a crescere psicologicamente I fattori igienici sono relativi al contesto di lavoro,e includono condizioni fisiche (igiene, sicurezza, ecc.) ed economiche. I fattori igienici creano insoddisfazione se sono assenti, ma se sono presenti, riducono il livello di insoddisfazione, senza però far aumentare quello di soddisfazione. • Tra i fattori igienici sono comprese le politiche e le procedure d’impresa, le modalità di supervisione, le relazioni interpersonali coi pari, l’ambiente fisico di lavoro, il livello retributivo, le condizioni fisiche e di sicurezza personale. I fattori motivanti sono correlati al livello di soddisfazione e di prestazione,; la loro presenza può incrementare sia l’una che l’altra, ma la loro assenza non provoca insoddisfazione. Tra i fattori motivanti sono compresi il raggiungimento dei risultati, il riconoscimento dei risultati raggiunti, i contenuti dellavoro, il livello di responsabilità, le possibilità di promozione e di avanzamento. Merito di Herzberg è quello di aver sottolineato l’influenza esercitata dal contenuto del lavoro sulla motivazione della
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prestazione. MCCLELLAND LA TEORIA DI ACHIEVEMENT-POWER- AFFILIATION (1961) Alla base della teoria denominata achievement-power-affiliation vi è il concetto di motives (motivi-moventi), intesi come reti di emozioni, disposte secondo una gerarchia di intensità e di importanza I motivi-moventi vengono appresi, sono cioè aspetti della personalità che si sviluppano con essa. L’idea base della teoria è che ogni persona presenta uno di questi motivimoventi in forma dominante, con conseguenze sul comportamento motivato. Esistono tre tipi di bisogni o motives: Successo - riuscita (need for achievement) Potere (need for power) Affiliazione (need for affiliation) •
Need for Achievement::un aspetto della motivazione al successo è la spinta a evitare il fallimento. Le due condizioni sono complementari; in ognuno di noi una è complementare sull’altra. soggetti in cui la motivazione a evitare il fallimento è più forte di quella al successo, cercheranno di evitare le circostanze in cui è probabile fallire. Gli individui di questo tipo sono spinti non dal bisogno di
successo
ma
dal
bisogno
di
evitare
il
fallimento.
Esiste una relazione tra motivazione al successo e successo imprenditoriale: chi è fortemente impiegato verso il successo si impegna in “un gioco che non richiede la presenza di altri” poiché gli imprenditori sanno di essere in tutto e per tutto responsabili del proprio successo. •
Power motive: McClelland scoprì che molti top manager non avevano livelli particolarmente alti al successo e così concluse che la spinta motivazionale del manager poteva essere quella verso il potere. Il bisogno di potere è il bisogno di imporsi all’attenzione altrui, di stabilire, mantenere o ristabilire il proprio prestigio o potere e si può manifestare secondo 3 modalità:
1. aggressione, assistenza, controllo, persuasione, tentativo di impressionare gli altri 2. Azioni che provocano forte sensazione negli altri,indipendentemente dalla forza dell’atto stesso 3. La terza modalità è strettamente legata alla reputazione e può tradursi in azioni
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dirette al suo accrescimento o al suo mantenimento. •
Need for affiliation: è collegato al bisogno di socialità-appartenenza di Maslow e cioè il bisogno di interazione sociale e al bisogno di stringere relazioni con altre persone
TEORIE DEL PROCESSO Quali fattori spingono molti lavoratori ad investire energie ed impegno nel loro contesto lavorativo? • Questa è una delle domande che costantemente si pongono i ricercatori (ma soprattutto i dirigenti d’impresa) visto che secondo stime recenti solo il 20% dei lavoratori sarebbe adeguatamente motivato (Krumm 2001). • Rinforzo • Goal setting • Aspettativa-valenza • Giustizia organizzativa Secondo questa prospettiva teorica le persone raggruppano gli stimoli e formano concetti al fine di produrre senso e significato nel loro specifico ambiente vissuto. I bisogni, più che meccanismi di natura biologica o psicologica sono manifestazioni di operazioni cognitive che le persone effettuano, diventando così insieme simili di elementi di stimolo. Le persone piuttosto che semplicemente monitorare gli ambienti esterni e confrontarli con gli stati interiori, creano rappresentazioni interne degli ambienti esterni Fattori quali l’esperienza, la memoria, il passato, i giudizi di valore e le aspettative future sono alla base delle teorie del processo.
Teoria del rinforzo Vengono spiegati i comportamenti e la loro persistenza in base alle conseguenze dei comportamenti stessi. Secondo tale teoria è possibile incentivare la messa in atto di comportamenti desiderati attraverso rinforzi positivi. All’opposto è possibile limitare o estinguere comportamenti indesiderati attraverso la punizione o la cessazione del rinforzo. C’è alla base una chiara concezione comportamentista che recupera gli studi di Pavlov, Brunner e Skinner, rispetto alla quale non condivido gli assunti di base, ritengo
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inoltre che questa teoria si sia sviluppata soprattutto nelle istituzioni totali e con ciò intendo rifarmi a Focault13. Teoria del goal-setting La teoria si basa su una semplice premessa: la prestazione è causata dall’intenzione personale a fornire la prestazione agendo. Gli obiettivi sono tutto ciò che si cerca di realizzare, oche si ha intenzione di realizzare e secondo tale teoria le persone realizzano ciò che stanno cercando di realizzare. In altre parole chei ha obiettivi ambiziosi avrà una prestazione migliore di chi ha obiettivi più modesti; secondariamente, chi un’idea precisa di ciò che vuole fare, o si suppone voglia fare, avrà una prestazione migliore di chi ha obiettivi o intenzioni poco chiari. Il focus della teoria riguarda gli “obiettivi”: ¾ Obiettivi specifici portano ad una prestazione migliore di quanto facciano obiettivi generici ¾ La
partecipazione
è
legata
alla
prestazione
attraverso
l’accettazione
dell’obiettivo, l’impegno e la condivisione delle informazioni ¾ Gli obiettivi devono essere difficili, ma non irraggiungibili, cioè la loro difficoltà è una spinta all’azione, poiché lo sforzo è proporzionale al livello di difficoltà e raggiungibilità ¾ Probabilmente, la partecipazione contribuisca a incrementare il coinvolgimento, l’impegno e quindi la prestazione, la partecipazione deve essere effettiva: le persone debbono avere realmente possibilità di scelta del modo di raggiungere l’obiettivo e devono disporre delle informazioni necessarie per raggiungerlo ¾ È necessario il feed-back sul rapporto prestazione-obiettivi
Teoria aspettativa-valenza Questa teoria si basa sull’idea che gli individui indirizzino i propri sforzi verso quelle attività che possono portare all’ottenimento di risultati desiderati ed è diretta al miglioramento della prestazione e delle relative gratificazioni. Si tratta di un approccio razionale alla motivazione, poiché le persone cercano di valutare costi/benefici delle diverse alternative che si presentano, scegliendo quindi la più vantaggiosa. Le persone tendono a d intraprendere il percorso più rapido e diretto per raggiungere 13
Sorvegliare e punire. Nascita della prigione di Foucault Michel - Einaudi- 2005
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l’obiettivo “valorizzato”, la valenza dell’obiettivo è esterna al processo di raggiungimento dell’obiettivo stesso. Le persone compiono azioni motivate dalla valenza data dagli obiettivi e non per l’azione in sé. Teoria della giustizia organizzativa La teoria si basa sulle percezioni individuali di quanto si venga trattati in modo equo e giusto in ambito lavorativo, distinguendo fra distributiva e procedurale. Giustizia distributiva: si riferisce a quando le persone vengono trattate in modo equo in relazione ai risultati del lavoro, al loro impegno, ai loro sforzi e a “quanto” guadagnano da ciò Giustizia procedurale: si riferisce a quanto le persone si sentono trattate equamente per come vengono prese le decisioni circa lòe materie e i temi che influenzano la loro vita. Queste sono solo alcuni contributi che la ricerca ha dato per spiegare cos’è che fa mobilitare le risorse interne alle persone per produrre azioni di coinvolgimento in ambito lavorativo, educativo sociale; ed in che modo l’ambiente può rispondere attivando e mantenendo nel tempo il desiderio di realizzazione dell’individuo. Tali definizioni, tuttavia tendevano a raffigurarsi gli individui come dei contenitori di energia “a capacità illimitata”, energia pronta per essere attivata e resa disponibile mediante opportune regolazioni esterne. Attualmente questa concezione non risponde alle esigenze delle organizzazioni, che vogliono, non solo individui tesi verso l’esecuzione di un compito dato, bensì persone capaci di mettere in discussione i parametri dati, di fare innovazione, di promuovere il cambiamento coinvolgendo anche più aspetti del proprio sé. La presenza di sé nel ruolo viene dosata attraverso comportamenti
di
engagement
(impegno)
o
disengagement
(disimpegno)
comportamenti con i quali gli individui si esprimono o viceversa si ritirano in sé. L’alternanza ambivalente fra le due posizioni,rimanda a quel vissuto in cui l’individuo è preso fra richieste dell’ambiente, tensione verso l’autoespressione, vocazione alla relazione ed esigenza di difesa dagli altri. I concetti di engagement e disengamenet ampliano il concetto di motivazione rinviando alla dimensione della presenza psicologica nel ruolo(Khan, 2002). Attraverso la presenza psicologica, i comportamenti di engagement mantengono viva la dialettica fra sé e il ruolo, attivando una situazione in cui il sé ed il ruolo convivono in
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una relazione dinamica e negoziabile, consentendo agli individui di informare il mondo esterno del proprio mondo interno (edare forma al mondo esterno con il proprio mondo interno). Per contro il disengagement è un comportamento di “ritiro” e “difesa” simultanea delle parti privilegiate di sé, che si manifesta nell’astensione dalle relazioni, passività e trascuratezza, ovvero il ruolo è svuotato di significanza per il sé, conseguentemente l’individuo può assumere un atteggiamento di critca (disimpegno attivo) o di rigidità e chiusura (disimpegno passivo)
1.3.3 GRUPPO E GRUPPALITA’ All’inizio del secolo scorso, così come dalla filosofia nascono la pedagogia e la psicologia, si verifica, per affiliazione, la nascita di una nuova scienza umana: la sociologia. E’ di uno dei padri della sociologia Emile Durkheim la prima definizione di “ gruppo” come aggregato umano presente in ogni società al punto da ritenerlo una caratteristica tipica della specie. Anche la psicologia sociale, muovendo dalla critica a Freud14 di aver considerato l”io” come dominante nelle relazioni interpersonali nelle quali si inserisce seguendo i meccanismi di sviluppo tipici della psicoanalisi(complesso di Edipo), si stacca dalla psicologia del profondo e analizza le relazioni psicologiche partendo dall’assunto di base dell’uomo come individuo vive costantemente in interazione con altri individui, ed è questo che gli conferisce senso ed identità. Da allora si sono moltiplicati gli studi e le osservazioni al punto di giungere verso gli anni ’50 con Kurt Lewin a far sì che si sviluppasse anche una psicologia del gruppo, visto nelle interrelazioni con altri gruppi o singoli, come un organismo vivente. Nasce quindi la gruppo-analisi ad opera di Bion e Faulkes, contributi importanti sono quelli di derivazione della scuola argentina con Pichon-Riviere e Kaes. Oggi alcune scoperte sono state ripetutamente verificate da poter dire che del “gruppo” conosciamo alcune caratteristiche intrinseche ed estrinseche;
14
S.Freud “Totem e Tabù” 1913
33
1) la gruppo-analisi segue il punto di vista del divenire da “onta” a “gruppalità” auto ed
etero-diretta
verso
lo
scopo,
il
compito(Pichon-Riviere),
l’obiettivo;
(caratteristiche intrinseche) 2) la psicologia sociale osserva l’interazione dei vari gruppi fra loro, e di come il gruppo appare all’esterno, i vari ruoli agiti all’interno di esso, (caratteristiche estrinseche) Il formatore che è conduttore ed “analista” del gruppo deve essere in grado di saper leggere le dinamiche insite nell’”essere gruppo” e quelle che si sviluppano in quel determinato gruppo contestualizzato in una precisa realtà , per non sentirsi frustrato qualora esse si verifichino: e’ come dire il leader formale e quello informale sono ruoli che sono presenti in tutti i gruppi, il capro-espiatorio è necessario per la sopravvivenza stessa del gruppo e perciò chi conduce gruppi di lavoro, conoscendo queste dinamiche può fare lavorare il gruppo nel raggiungimento degli obiettivi, in sinergia con tali dinamiche. Se si assume che l’apprendimento è “una pratica cognitiva di tipo riflessivo con una forte connotazione a livello di gruppo piuttosto che di individuo”15, è ovvio che le organizzazioni sono sistemi di apprendimento (learning organization). La learning organization non è solola mera somma dei singoli apprendimenti individuali, ma è il risultato cumulativo dei processi di interazione delle persone impegnate a perseguire gli obiettivi organizzativi. Gli studi sull’apprendimento organizzativo focalizzazo l’attenzione sui processi espliciti (competenze codificate) e quelli impliciti (personalizzati/contestualizzati), la meta-competenza è la capacità di trasformazione dei primi nei secondi e viceversa. Pertanto gli studi sull’apprendimento organizzativo cercano di comprendere in che modo competenze e conoscenze possono trasformarsi in innovamento; in che modo l’apprendimento diventa fattore di incremento nella comunicazione dell’organizzazione verso l’esterno. In finale si può dire che l’apprendimento si sposta lungo un continuum spiraliforme di individuo-gruppoorganizzazione-individuo, e se esso è connotabile come cambiamento, la risultante continua del processo è che da un’azione individuale di tipo cognitivo-riflessivo condotta all’interno di un gruppo, ne può derivare un piccolo cambiamento che, attraverso la comunicazione, stimolerà il cambiamento altrove e così via….con “the 15
G Alessandrini “manuale per l’esperto di processi formativi” ed. Carrocci, Roma 1998
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butterfly effect” (2004) “Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalle sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo” 1.3.4 LA VALUTAZIONE La valutazione, in termini estremamente generali, può essere definita come un processo atto a determinare il valore di una cosa. Il problema della valutazione costituisce uno tra i temi più indicativi nel campo della formazione, che ha richiamato sempre più l'attenzione dei responsabili delle organizzazioni complesse, di operatori della formazione e di studiosi della materia. Si può notare, che, per i responsabili delle organizzazioni, il problema maggiormente sentito è quello di comprendere e valutare il contributo che la formazione riesce a fornire alla funzionalità dell'organizzazione per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Per gli operatori della formazione, si tratta molto spesso di rendere conto alla committenza, di dare ragione della propria specificità funzionale. Non mancano contributi, da parte degli studiosi, che siano mirati a porre l'accento sui problemi concettuali della valutazione, di conseguenza emerge un'intenzionalità di approfondimento e di ripensamento critico della formazione. Ne emerge che la valutazione è circostanza sostanziale del processo formativo, è importante riflettere e ragionare su ciò che si fa e su quando acquisire informazioni atte a comprendere quali cambiamenti si sono raggiunti in seguito all'intervento formativo. Nel momento in cui si affronta la problematica della valutazione emerge il bisogno di superare una visione rigida, centrata su un ragionamento obiettivo/ risultato, per assumere prospettive in cui il metodo è un costrutto intellettuale e pratico che risponde alle scelte adottate contestualmente dai protagonisti dell'azione formativa, considerando la valutazione il processo di ricerca sociale tendente a ricostruire il sistema di relazioni che gli attori coinvolti hanno generato. L'interesse per i risultati della formazione tiene conto di tre diversi punti di vista vale a dire quello del formatore, dell'organizzazione e del cliente. Facendo riferimento agli operatori della formazione motivo principale che può indurre un impegno nella valutazione formativa è quello di poter disporre di un sistema di riferimento che permetta di cogliere opportunità, quali: comprendere meglio il senso
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del proprio operare; ripensare il proprio modo di intendere e realizzare il setting formativo, rivisitare il proprio modo di rapportarsi ai partecipanti. Quest'ambito problematico assume il significato dell'autoreferenzialità per il formatore stesso che per effettuare la valutazione deve disporre di un sistema di riferimento esplicito e costante nel tempo. Il motivo più generale che spinge l'organizzazione ad'effettuare una valutazione dei risultati della formazione è quello di volere dovere comprendere se l'investimento economico
nella
formazione
abbia
una
ricaduta
pratico
operativa,
per
quell'organizzazione l’interesse di porsi suddetto problema per poter fare una verifica dell'efficacia, vale a dire sapere che cosa è stato ottenuto attraverso la formazione, valutare se quanto è stato ottenuto che sia funzionale all'organizzazione stessa. Per il cliente la valutazione dei risultati rappresenta un’occasione personale per riflettere sul proprio percorso formativo. Questo può essere l'occasione per un momento centrale di scambio, capace di consolidare l'integrazione: organizzazione, funzione formazione, cliente. Nella gestione delle attività formative l'aspetto più critico è quello degli obiettivi dei singoli interventi formativi, sia per la loro non chiara formulazione sia per la difficoltà di collegarle alle esigenze organizzative specifiche e agli orientamenti strategici. La valutazione dei risultati è connessa con la definizione degli obiettivi: il chiarimento sugli scopi formativi porta ad una migliore identificazione degli ambiti di competenza propri della formazione e quindi a una corretta impostazione del problema valutativo. Analizzando la letteratura sulla valutazione della formazione emerge una divergenza fra gli studi teorici quali la teoria della gerarchia degli obiettivi e dei risultati della formazione16. I più recenti contributi sul tema di riferimento confermano il bisogno di diffondere una concezione innovativa del processo di valutazione, nel quale le problematiche di tipo tecnico( rilevazione, misurazione, analisi) non occupino un posto preponderante così facendo si attenderebbero i sintomi tipici della “sindrome quantitativa” che spesso blocca il formatore nell'affrontare la valutazione. La teoria degli obiettivi gerarchici ha influenzato notevolmente lo sviluppo successivo del dibattito scientifico riguardante il problema valutativo i presupposti su cui si basa tale teoria sono i seguenti:
16
Amietta P. L. Amietta F. Valutare la formazione Unicopli, Milano, 1996
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1) esistono diversi tipi di obiettivi di formazione a ciascuno dei quali corrispondono altrettanti differenti risultati 2) è possibile valutare la formazione attraverso l'esame di quanto viene trasferito da informarsi sul lavoro piuttosto che soltanto in termini di aumento delle loro conoscenze o di cambiamento dei loro atteggiamenti. Si parla di teoria della gerarchia perché classificare diversi tipi di risultati, ci si accorge che è possibile ordinare in base ad una sequenza logica in cui l'effetto di un dato fenomeno è la causa del fenomeno successivo, in questo modo vengono individuate una serie di passaggi che compongono la sequenza dei risultati. In base alla teoria della gerarchia degli obiettivi- risultanti della formazione, l'azione formativa provoca nei partecipanti delle reazioni, dalle quali dipende l'apprendimento che a sua volta produce modificazione del comportamento lavorativo, queste modificazioni si traducono in effetti sul funzionamento e sul raggiungimento degli scopi ultimi dell'organizzazione. I passaggi debbono necessariamente compiersi tutti perché era formazione produca risultato voluto in termini di obiettivi dell'organizzazione. I sostenitori della teoria gerarchica sono rispettivamente Kirpatrick e Hamblin. Kirkpatrick ha identificato i livelli relativi alle reazioni dei partecipanti, al programma formativo, all’ apprendimento delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti, al miglioramento delle competenze. Il problema presente nella reazione dei partecipanti è dato dal fatto di determinare quanto sia gradito l'intervento effettuato: il gradimento viene misurato sulla base di valutazioni qualitativi veri scalari attribuita una serie di elementi si utilizza un modulo standard sul quali partecipanti esprimono i propri giudizi modo anonimo con spazio destinato ai commenti. Successivamente, è necessario valutare l'apprendimento, in quanto il gradimento non assicura l'apprendimento. Per questo genere di analisi è necessario un approccio di tipo quantitativo si utilizzano pre-test con misurazione oggettiva e l'uso di gruppi di controllo. Il modello in questione sottolinea due fattori: l'attenzione agli individui e l'attesa del trasferimento di contenuti appresi sul posto di lavoro. In questo senso,il risultato è l'effetto della formazione a livello organizzativo, piuttosto che a livello individuale, per conseguire un cambiamento all'interno dell'azienda nella sua globalità. Dal punto di vista di Kirkpatrick17 la valutazione dei risultati a livello di apprendimento 17
D.kirpatrick “Techniques for Evaluating training” Journal of ASTD vol 13,n°11,1959
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dovrebbe articolarsi rispettivamente in cinque momenti: la valutazione sistematica delle prestazioni sul lavoro, la valutazione della prestazione, l'analisi statistica per comparare la prestazione, i cambiamenti al programma di training, la valutazione post training, il gruppo di controllo successivamente negli anni ‘70 Hamblin18 ha esteso il modello in due direzioni: da un lato ha introdotto la distinzione fra risultati finali di tipo organizzativo- gestionale, dall'altro affermato che i legami fra i cinque livelli del modello compongono la gerarchia rigidamente sequenziale dei risultati della formazione. Il modello teorico di Hamblin
implica che ha valutazione compiuta
ciascun livello della gerarchia consenta di identificare le ragioni per cui il successo della formazione a un dato livello non si traduca in un identico successo a livello immediatamente superiore. Conseguentemente la valutazione perché sia significativa deve necessariamente essere già stata effettuata ad un livello inferiore. il compito principale della valutazione è quello
di vigilare su tutte le fasi di
svolgimento del processo formativo, registrando i suoi stati principali fornendo i feedback necessari per verificare se l'andamento delle attività corrisponda agli standard predeterminati e per sostenere le decisioni correttive da adottare, nel momento in cui dovessero intervenire interruzione della catena causale. Nel modello la valutazione ex post è in relazione con l'indagine sui bisogni di formazione compiuti a priori. All'interno del suddetto modello, più gli obiettivi sono specificati e più la valutazione stessa può essere precisa il livello quella formazione viene valutata dovrebbe corrispondere al livello nel quale sono stati stabiliti gli obiettivi. Il punto debole del modello gerarchico degli obiettivi è dato dalla sua natura conseguente rispetto al processo di formazione; vale a dire la valutazione un processo che si attua a posteriori, tutto ciò impedisce di dominare l'oggettiva complessità del problema valutativo i numerosi studi empirici che sono stati effettuati per verificare la validità della teoria hanno dimostrato che supposti legami cause effetti fra i vari livelli esistono solo in parte. Le reazione dei soggetti sono rapportate al apprendimento in quest'ultimo è relazione con il miglioramento del prestazione sul lavoro. Il modello gerarchico originario non prende in considerazione le variabili esterne alla formazione che possono interagire con processo formativo influendo influenzando i rapporti stessi. Nel modello gerarchico modificato (adattato da Clement) tra il livello della reazione dei soggetti e il 18
A.C. Hamblin “Evaluation and Control of Training” McGraw Hill, London, 1974
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livello dell'apprendimento si inseriscono il livello esperienziale, il livello di competenza di partenza del partecipante, la sua motivazione, le opportunità di sperimentare a autovalutarsi durante il corso. L'apprendimento è il cambiamento del comportamento lavorativi o sono mediati: 1) dalle motivazioni individuali rispetto al lavoro 2) dall'opportunità di applicare contenuti della formazione al contesto lavorativo 3) dal grado di coerenza della formazione rispetto la condizione lavorativa. Il comportamento lavorativo e l’organizzazione si relazionano attraverso variabili quali: ambiente esterno; cultura; rapporti tra i ruoli. in antitesi al modello deterministico emerge un approccio di tipo preventivo è sistemico che permette di affrontare il problema della valutazione in un'ottica di controllo della continua interazione fra formazione sistema organizzativo e risultati globali. Secondo la logica sistemica la formazione si inserisce all'interno del contesto strutturale organizzativo che considera tre sistemi interdipendenti: ¾ il sistema costituito dagli elementi del programma formativo nel momento della sua attivazione, vale a dire: formatore background dei partecipanti, processi di apprendimento, contenuti specifici ¾ il sistema caratterizzato dagli elementi tipici dei partecipanti vale a dire: ruoli occupati, conseguimento di nuove competenze ¾ il sistema rappresentato dalla struttura nella quale è inserito il partecipante vale a dire: stimoli al cambiamento, procedure e processi innovativi Il modello sistemico considera le organizzazioni come sistemi aperti, composti da elementi che interagiscono fra loro e con l'ambiente esterno determinando le dinamiche funzionali strutturali dell'organizzazione di riferimento. All'interno della logica sistemica la valutazione dei risultati coincide con la verifica dell'efficacia dell'intervento formativo in relazione alla sua capacità di trasformare un cambiamento del partecipante in un cambiamento dell'organizzazione. La sistematicità di tale modello è data dal fatto che i sistemi formazione partecipante organizzazione non interagiscono in nome di una logica meccanica di causa-effetto, come nel modello gerarchico, bensì secondo una prospettiva di regolazione e controllo continuo del processo formativo. Il promotore dell'approccio sistemico della valutazione è stato Warr, il quale era interessato alla problematica relativa della diversa natura della
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formazione manageriale e di quella di tipo tecnico operativa, infatti per quanto concerne il secondo caso la valutazione coincide con la verifica del prestazione sul lavoro mentre nel primo non è possibile sviluppare un'analisi completa dei compiti per cui diviene necessario considerare la valutazione come un processo che si attua ex ante, in itinere ed ex posto l'intervento formativo. il modello proposto dal Warr sottolinea l'importanza dei meccanismi di monitoraggio continuo che costituiscono l'intero processo valutativo basato sul paradigma azione-retroazione- decisione- azione. Attualmente la valutazione è da considerarsi come un processo parallelo (ma al tempo stesso interno) a tutto l’arco del processo formativo, un’attenzione continua all’ambiente interno ed esterno dell’atto formativo; viceversa non esistono solo aleatorie possibilità di raggiungimento di obiettivi.
1.4 LA FORMAZIONE PERMANENTE: CONSEGUENZE ED IMPLICAZIONI SULLA VITA DELLE PERSONE E SUL LORO RAPPORTO CON IL SAPERE Quale definizione per il XXI secolo? Si può tentare una definizione della società post-moderna come l’età delle reti informative, siamo costantemente inseriti nei network dai media televisivi ad Internet, anche le relazioni sociali sembrano informatizzarsi con la nascita delle chat-line o facebook, l’economia gira per sistemi informatizzati , nei quali non occorre più la carta moneta, tutta la realtà si nutre di informazioni sempre più virtuali, nell’era del villaggio globale. Quali conseguenze possibili, anni fa in famoso testo “apocalittici e integrati” Umberto Eco aveva descritto l’ansia intellettuale degli individui di fronte a queste nuove tecnologie verso le quali si poteva nutrire un sentimento di rigetto, per il rischio di frammentazione, insito in questa realtà o di critica integrazione, nel senso che sarebbe stato impossibile opporre resistenza a questa nuova circolazione delle idee, come di fatto si è rivelato vero. Non è questa la sede per parlare delle nuove generazione nate con il pc sulla scrivania, anche se iniziano a verificarsi preoccupanti fenomeni quali l’analfabetismo di ritorno, dovuto alla demotivazione giovanile verso carta e penna, si va diffondendo una “Google-cultura” quasi completamente decontestualizzata e quindi fatta di nozioni a volte slegate dal resto del contesto.
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Ma questi sono i problemi della scuola, anche se gli adulti dovrebbero captare i segnali del mondo giovanile, non con l’ansia del giovanilismo ma con senso critico di chi ha dei compiti morali nei confronti delle generazioni più giovani. Per quanto riguarda il mondo dei “grandi” assistiamo da anni al business della formazione, con la fioritura continua di offerte formative, convegni, corsi di aggiornamento, seminari, work-shop, corsi on line, f.a.d. ecm…..Le organizzazioni investono annualmente parte del loro budget in formazione, pensando ovviamente di averne un rientro sul piano economico. A mio modesto avviso è giunto il momento di monitorare più attentamente la situazione. Siamo caduti nel centro o almeno questo è quello che ci dicono, con toni rassicuranti, di una delle più grosse crisi economiche mai esistite, soprattutto perché globale, è l’effetto boomerang dell’economia globalizzata, e non esiste luogo dal Canada, alla Cina, All’italia al nepal che non sia interessato dal problema. Le new economies cinesi ed indiane trascinano un presidente appena insediato a trattare con loro, perché stanno diventando temibilmente competitive. L’India e la Cina sono i due continenti che stanno mutando le caratteristiche dell’economia mondiale; la capitale del mondo informatico è Bangaloree e la Nike (una delle 10 multinazionali più potenti del mondo) è stata completamente assorbita dalla Cina. L’inquinamento ha raggiunto livelli tali che gli esperti del settore sono seriamente preoccupati ed il loro monito ad uno stile di vita più ecologicamente sostenibile arrivano quotidianamente, sommersi da notizie totalmente fetish della tv spazzatura. Siamo testimoni di un cambiamento che si può definire “epocale”, indotto dai processi di innovazione e di globalizzazione, che sta rapidamente cambiando cultura e valori della società, assetti istituzionali e sociali, modelli produttivi e caratteristiche del mercato del lavoro, il diritto alla formazione per tutta la vita diviene una condizione fondamentale per lo sviluppo civile ed economico e per la stessa qualità della democrazia. Uno dei motivi più ricorrenti nel dibattito attuale - in campo politico, sociale, economico, educativo - è il rapido e profondo mutamento della natura della attività lavorativa dell'uomo. L'educazione deve, quindi, più che mai affrontare questo problema; essa, infatti, si colloca al centro dello sviluppo sia della persona che della comunità. Il compito dell'educazione è quello di consentire ad ogni individuo, senza eccezioni, di sviluppare pienamente i propri talenti e di realizzare le proprie potenzialità creative, compresa la responsabilità per la propria vita e il conseguimento dei fini
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personali. Mentre c'è un accordo che prevede che l'istruzione degli adulti debba essere accessibile a tutti, è ancora “raro” che questa affermazione di principio trovi nella legislazione e nella normativa una traduzione esplicita in dispositivi che rendano possibile l'esercizio del diritto all'istruzione a tutte le persone. La realtà è che molti gruppi sono ancora esclusi: gli emigranti, gli zingari ed altre popolazioni non territoriali, rifugiati. L'apprendimento durante il corso della vita diventa così più di un diritto; è una chiave per il futuro. È, sia una conseguenza della cittadinanza attiva,
che una
condizione per la piena partecipazione, per tutti, nella 'società conoscitiva' (society learning). La società moderna deve attivamente operare per ridurre ed annullare l'area del 'secondo escluso'. Se non si vuole una società con due tipi di cittadinanza, in cui una prevale sull'altra, bisogna creare per tutti una situazione di pari opportunità. In questo quadro emerge una dimensione: si tratta del rapporto tra sviluppo della democrazia e ruolo e funzione dell'istruzione e della formazione nella vita degli individui e delle società. La società conoscitiva diviene una necessità costitutiva, strutturale, per un ordine sociale e politico fondato sulla democrazia (Alberici, 2002). Una condizione del diritto ad apprendere durante il corso della vita, inteso come possibilità di raggiungere un livello di conoscenza, di competenza, di abilità, in una parola di formazione, che metta tutti gli individui in condizione di essere cittadini della società in cui vivono. ). Compaiono così due nuovi concetti a livello europeo: “Lifelong learning”, “Life wide learning”19. Il Lifelong learning è l’apprendimento per tutto l’arco della vita. Che non separa più il tempo dell’infanzia e della giovinezza, dedicato all’educazione e all’istruzione da quello dell’adultità, dedicato al lavoro e alla responsabilità famigliare e sociale. Il Lifewide learning è l’apprendimento in ogni luogo della vita, che non confina più l’apprendimento nei luoghi formali dell’istruzione (scuola, università, etc), ma considera anche quelli non formali (organizzazioni del lavoro) e quelli informali (massmedia, Internet, fruizione nel tempo libero di beni culturali, artistici…). Il Programma d'azione comunitaria nel campo dell'apprendimento permanente, o Lifelong Learning Programme (LLP)20, è stato istituito con decisione del Parlamento europeo e del Consiglio il 15 novembre 2006 (vedi GU L327), e riunisce al suo interno 19
Delors j. Libro bianco su istruzione e formazione. Insegnare e apprendere. Bruxelles, Commissione europea, 2005 20 Agenzia Nazionale Socrates Italia
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tutte le iniziative di cooperazione europea nell'ambito dell’istruzione e della formazione dal 2007 al 2013. Ha sostituito, integrandoli in un unico programma, i precedenti Socrates e Leonardo, attivi dal 1995 al 2006. Il suo obiettivo generale è contribuire, attraverso l'apprendimento permanente, allo sviluppo della Comunità quale società avanzata basata sulla conoscenza, con uno sviluppo economico sostenibile, nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, garantendo nel contempo una valida tutela dell'ambiente per le generazioni future (Strategia di Lisbona, 2000). In particolare si propone di promuovere, all'interno della Comunità, gli scambi, la cooperazione e la mobilità tra i sistemi d'istruzione e formazione in modo che essi diventino un punto di riferimento di qualità a livello mondiale. Il Programma di apprendimento permanente rafforza e integra le azioni condotte dagli Stati membri, pur mantenendo inalterata la responsabilità affidata ad ognuno di essi riguardo al contenuto dei sistemi di istruzione e formazione e rispettando la loro diversità culturale e linguistica. I fondamenti giuridici si ritovano negli art. 149 e 150 del Trattato dell'Unione dove si afferma che "La Comunità contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione..." (art. 149) e che "La Comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri..." (art. 150). La
struttura
si
presenta
come
un
insieme
composto
da:
4 Programmi settoriali (o sotto-programmi) che mantengono i nomi delle precedenti azioni
dei
programmi
Comenius,
Erasmus,
Leonardo,
Grundtvig
un Programma Trasversale teso ad assicurare il coordinamento tra i diversi settori, e il Programma Jean Monnet per sostenere l’insegnamento, la ricerca e la riflessione nel campo dell’integrazione europea e le.istituzioni europee chiave.
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Lifewide learning Apprendimento che abbraccia tutti gli aspetti della vita e che può essere di tre tipi: ¾ Apprendimento formale: si svolge negli istituti di formazione e porta all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute; ¾ Apprendimento non formale: si svolge al di fuori delle principali strutture di formazione e istruzione e può attivarsi sul luogo di lavoro, presso organizzazioni culturali o sportive, associazioni ecc.; ¾ Apprendimento informale: tutto ciò che viene dalla vita quotidiana e che spesso non è riconosciuto come tale neppure dall’individuo interessato. Nel documento curato dall'UNESCO “Revisiting Lifelong Learning for the 21st Century”, si legge "Globalization has produced outcomes and processes which make the learning of new skills and competencies of paramount importance. Today it is no longer enough to have the same living and working skills one had five years ago. Learning to learn, problem solving, critical understanding and anticipatory learning these are only a few of the core skills and competencies needed for all, at a time when 60% of trades and jobs to be performed in the next two decades or so are not yet known. In many communities, the growing number of migrants means that residents have to discover new ways of relating to people from other cultures. The clamour for active citizenship likewise implies that individuals should realize their capacity for active participation in the shaping of democratic societies." “la globalizzazione ha prodotto dei risultati e dei processi che rendono l’apprendimento di nuove capacità e competenze di importanza dominante. Oggi non è
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sufficiente possedere le stesse abilità di vita e di lavoro di cinque anni fa. Imparare ad imparare, risolvere problemi, apprendere criticamente e anticipatoriamente- questi sono solo alcune delle capacità fondamentali e delle competenze necessarie per tutti, dal momento che il 60% delle industrie e delle professioni che saranno messe in atto nelle prossime due decadi non sono ancora noti. In molte comunità il numero crescente di migranti determina che i residenti debbano scoprire nuove forme di relazione con persone di altre culture. Il clamore per una cittadinanza attiva implica che gli individui debbano realizzare la loro capacità di partecipazione attiva nella forma delle società democratiche”. Il collegamento tra il concetto di cittadinanza e lifelong learning è inevitabile, appare quasi scontato. Un diritto come la libertà, nelle sue diverse forme, libertà di pensiero e di parola, di partecipazione alla vita pubblica anche al di là delle accezioni locali o nazionali del termine, libertà progettuale per dare risposte ai bisogni e ai problemi globali della nostra epoca, è parte integrante della dignità e richiede pertanto, per essere esercitato, lo sviluppo di reali poteri e quindi competenze o conoscenze competenti: sviluppo che solo un'educazione intenzionale ed efficiente può favorire. Per questo motivo non si può allora prescindere dal riconoscimento della libertà culturale, intesa proprio come parte fondamentale dello sviluppo umano. Un senso di interdipendenza che può impaurire, ma che può anche portare, attraverso un'idea di appartenenza a valori universali condivisi e di solidarietà di tutti i popoli della terra, verso la costruzione di una governance mondiale illuminata e democratica, nell'interesse di tutti. L'articolo 26 della Dichiarazione dei Diritti (the Universal Declaration of Human Rights, 1948)precisa come "Ogni individuo ha diritto all'istruzione" e aggiunge "L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali". Questa affermazione che pone l'accento sul pieno sviluppo della persona umana, rischia di rimanere una pura e semplice dichiarazione se non viene problematizzata e contestualizzata nei nuovi scenari globali. I diritti e le libertà secondo questo articolo oltre ad essere riconosciuti devono essere rispettati: ma il rispetto non può essere il solo compito dell'istruzione. Il passaggio da un diritto all'istruzione ad un diritto all'apprendimento è segnato proprio dallo sviluppo di capacità e poteri che mettano l'essere umano in condizione sia di esercitare che di difendere diritti e libertà attraverso un'educazione che deve necessariamente passare anche attraverso la pratica
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della partecipazione, sociale e culturale . Ma per fare questo il soggetto deve essere messo in condizioni di apprendere.21 Di fatto nonostante risulti che più dell'80% dei bambini dei Paesi in via di sviluppo è iscritto alla scuola primaria, circa 115 milioni di bambini non la frequentano, bambini che non completano il ciclo di istruzione primaria e vi sono percentuali di iscrizione terribilmente basse nell'Africa Sub-sahariana (57%) e in Asia Meridionale (84%). Un adulto su sei nel mondo è analfabeta e restano profondi divari dovuti al genere: tre quinti dei 115 milioni di bambini che non frequentano la scuola sono femmine e due terzi degli 876 milioni di adulti analfabeti sono donne. Nel settembre 2000 i leader di 189 Paesi hanno sottoscritto la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, impegnandosi a incrementare gli sforzi globali per ridurre la povertà, migliorare la sanità e promuovere la pace, i diritti umani e la sostenibilità ambientale. Dalla Dichiarazione sono scaturiti otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio che sono traguardi specifici e misurabili, e includono l'iscrizione alla scuola primaria di tutti i ragazzi e le ragazze entro il 2015. Questo richiede scelte politiche e soprattutto investimenti da parte dei governi. Ma siamo di fronte ad un paradosso: di solito i Paesi sono in grado di affrontare spese maggiori per l'istruzione quando le loro economie sono in crescita, i Paesi più poveri, però, devono spendere di più per l'istruzione per sottrarsi alle loro trappole della povertà e spesso non dispongono di sufficienti risorse da destinare a tali investimenti basilari.
21
G Del Gobbo da LLL “lifelong lifewide learning” anno5, n°5 ottobre 2009
46
La guarigione viene dalle piante E dal coltello Da una persona retta e santa E dai mantra che uno canta. Zarathushtra VI sec a. C
CAPITOLO 2 - EDUCAZIONE TERAPEUTICA
2.1 CENNI STORICI, EVOLUZIONE, IMPLICAZIONI
2.1.1 IMPLICAZIONI SOCIALI
L’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 1948 al 2005 ha proposto diverse definizioni del concetto di salute •
OMS DEFINIZIONE DEL 1948 “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità”
•
OMS DEFINIZIONE DEL 1978 “la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non meramente l’assenza di malattie o infermità, è un fondamentale diritto umano e il conseguimento del più alto livello di salute possibile, è il più importante obiettivo sociale del mondo intero, la cui realizzazione richiede l’azione di molti altri settori sociali ed economici oltre al settore della salute”
•
OMS DEFINIZIONE DEL 1986 “la promozione della salute è il processo che consente alla gente di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla, per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale l’individuo o il gruppo deve poter individuare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e modificare l’ambiente o adattarvisi. OMS DEFINIZIONE 2005 “la salute è un fenomeno dinamico ed è il risultato dell’integrazione di aspetti complessi quali la dimensione biologica, gli stili di
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vita e più in generale i fattori socio-economici, culturali e le condizioni ambientali.” Tra la prima definizione del 1948 e l’ultima del sono passati circa cinquant’anni, interessante notare come da una definizione della salute come “stato” si passa nel 1986 a quella di “processo”. Lo stato fisico come “dato” è qualcosa che può essere misurato, rilevato, ma lo stato bio-psico-sociale è un concetto dinamico che implica un processo, perciò non si presta ad una sola definizione, bensì al monitoraggio di un andamento. Vengono inseriti il termine “gruppo” ed il termine “risorsa” come variabili costitutive del percorso salute. Infine nel 2005 l’attenzione è rivolta alla complessità del concetto di salute che integra gli stili di vita , ossia la libera scelta dell’individuo all’interno delle variabili socio-economiche-ambientali. E’ possibile, ricostruendo il quadro sociale e storico degli ultimi cinquant’anni interpretare ed individuare quali complessi concetti ed istanze siano sottesi alle definizioni, qual è stata la necessità di rivedere le definizioni. La definizione del 1948 è fortemente intrisa da una visione bio-medica, sono di quel periodo gli importanti contributi che l’epidemiologia ha recato nell’individuare le determinanti ambientali delle patologie, che sottolineava la rilevanza sanitaria degli interventi socio-economici (igiene abitativa, carenze alimentari, lotta alla povertà etc), tuttavia le connessioni della malattia con le variabili socio-economiche restavano sullo sfondo, oscurate da un paternalismo medico e dall’ottimismo del “welfare-state” (=stato del benessere). Dagli anni ‘80 in avanti il dibattito sulla revisione del concetto di salute si intreccia con la crisi dello stato sociale (welfare). Inizia in quel periodo la spirale inflattiva dei costi, le attese generate dalla promessa di un benessere totale generano insoddisfazione verso il Servizio Sanitario, al bisogno sanitario si sovrappone il desiderio, spesso consumistico (salutismo) di pratiche e farmaci con dubbi vantaggi sulla salute; e, per quanto riguarda il contesto italiano, sul fronte del pubblico vi è una scarsa efficienza. Si assiste ad un cambiamento delle tipologie di malattie maggiormente rappresentate. Condizioni di vita migliori, dal punto di vista dell’igiene, della salubrità degli ambienti di vita, dell’alimentazione hanno allungato la vita media delle persone; d’altro canto la concomitanza, in paesi come il nostro, del calo delle nascite, fanno sì che le malattie più presenti riguardino una popolazione anziana e siano quindi patologie croniche.
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Le malattie croniche in Italia sono in continuo aumento, secondo un’indagine condotta nel 1994 dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) il 35,4% della popolazione dichiara di soffrire di qualche malattia, il 45,3% dei pazienti sono raggruppati tra i 35 ed i 64 anni di età, mentre il 36,4% è rappresentato da anziani (età > 65 anni). Tra questi, il 52% degli uomini ed il 61% delle donne dichiara di soffrire di almeno due malattie croniche, mentre il 44% ed il 51% ne dichiara almeno tre. Circa il 60% dei decessi è causato da patologie croniche. Ora, se contrapponiamo la realtà delle malattie degenerative, alle quali è sottesa l’impossibilità della “restituito ad integrum”, notiamo quanto irreale suona “l’obiettivo “ del completo benessere bio-psico-sociale della definizione OMS 1948. L’enunciazione ottimistica del 1948 assume nell’ultimo decennio del secolo connotati, per certi aspetti paradossali, si considerino ad esempio i risvolti socio-assistenziali legati a malattia mentale, disabilità da handicap fisici, tossico-dipendenza, AIDS, infezioni batteriche riemergenti, poli-patologia geriatrica, demenze, cure palliative. La cronicità rappresenta una vera sfida per la medicina moderna e deve essere considerata in relazione ai limiti delle conoscenze e delle cure nel modificarne il decorso. Si giunge quindi alla definizione del 1986, in cui la salute è vista come risorsa della vita quotidiana, non come obiettivo di vita. La promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma impegno attivo del singolo e del gruppo. IL Censis,22 nel 1999 ha condotto un’indagine coinvolgendo oltre 2.000 cittadini e ha consentito di rifare il punto sull’evoluzione delle concezioni e dei comportamenti degli utenti rispetto al complesso campo della salute e dell’organizzazione dei servizi sanitari. Sembra prevalere fra gli italiani, un individualismo efficientista che concepisce la salute come “capacità di svolgere le normali attività” e come risultato dell’assunzione, da parte di ognuno, di adeguati comportamenti di tutela: come pazienti, da un lato sempre più informati e responsabilizzati e che dunque vogliono scegliere dove curarsi, si negoziano spazi sempre maggiori di autogestione della propria salute, dall’altro soprattutto in presenza di gravi malattie si affidano in modo pressoché completo alla capacità creativa e riabilitativa dei “ tecnici”, a cui vengono chieste, innanzitutto elevate competenze tecnico-professionali . 22
Censis- la domanda di salute negli anni novanta- comportamenti e valori dei pazienti italiani-pg 161998
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Ma anche cittadini che, pur fortemente convinti della centralità del settore pubblico, non ignorano la sua inefficienza e l’eccessiva contrazione della copertura finanziaria, infatti, gli italiani chiedono che vengano loro offerti tutti i servizi e le prestazioni, e si dichiarano al contempo favorevoli a una revisione delle attuali modalità di compartecipazione alle spese sanitarie e farmacologiche. Le riforme legislative degli anni
’90
del
Servizio
Sanitario
Nazionale,
hanno
introdotto
concetti
di
aziendalizzazione del pubblico, sistemi Hub and Spoke, creazione di percorsi socioassistenziali come risposta alla complessità dei nuovi bisogni di salute (mi riferisco ai paesi OCSE) e al tempo stesso un tentativo di arginare il privato, che si era visto essere considerato per alcuni aspetti, migliore rispetto al sistema pubblico.
In questa
prospettiva si è passati da un’impostazione ospedaliera ad un sistema incentrato sulle cure primarie, riservando l’ospedalizzazione ai malati critici e più gravi. L’OMS nella 51° Assemblea Mondiale della Sanità (maggio 1998) emana un documento - (Health21: Health for all in the 21st Century - Introduzione alla strategia della Salute per tutti nella Regione Europea) che coinvolge tutti i sistemi, non solo quello sanitario, ma in primis la politica degli stati, per tentare di raggiungere lo scopo ambizioso dell’equità dell’accesso alle risorse utili per la salute, diritto di ognuno. Un altro nuovo concetto che viene espresso è quello della continuità assistenziale, intendendo con esso la definizione ed attuazione di percorsi di salute extra-ospedalieri tali da garantire anche alle persone più svantaggiate e fragili un’assistenza completa, corretta e condivisa da parte di tutti i professionisti coinvolti. In tutta l'Europa comunitaria, compresi i Paesi scandinavi, lo schema relazionale delle politiche sociali sta passando dalla relazione duale tra Stato e mercato, tipica del modello di welfare state, ad uno schema a tre poli che comprende il terzo settore, settore in cui l’aspetto di solidarietà è predominante, sia nelle forme istituzionalizzate, attraverso associazioni, enti che di prestazione d’opera spontanea. Il settore no-profit entrato del 1991 all’interno del sistema economico viene definito, a seconda degli stati terzo oppure quarto settore, (mi riferirò ad esso come terzo settore). Per quanto riguarda il nostro Paese l'approvazione, nel 1991, della legge-quadro sul volontariato (Legge n° 266/91) e della legge sulle cooperative sociali (Legge n° 381/91) ha segnato un momento importante, di discontinuità rispetto al passato, in cui queste forme sono state regolamentate ed è stato implicitamente riconosciuto l’apporto sociale fornito. Il settore
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della Sanità è quello in cui il volontariato è maggiormente presente, in particolare nell'area geografica del nord-ovest, del centro e del mezzogiorno. In Italia l'8% della popolazione dai quattordici anni in avanti (4 milioni di persone circa, dati ISTAT 2002) svolge attività di volontariato. Nel corso del maggio 2009 è stato presentato un libro bianco sul volontariato ed il terzo settore, una sorta di linea guida per gli enti pubblici in cui tra l’altro si afferma: "Si tratta piuttosto di un attore particolare, capace di produrre relazioni e di tessere i fili smarriti della comunità. Il Terzo Settore è un soggetto flessibile e particolarmente adeguato a inserirsi nella nuova organizzazione dei servizi…….., ma è soprattutto un patrimonio di esperienze e di partecipazione che non si può disperdere. ……… . Una rete fatta di persone, famiglie, piccole comunità, associazioni, imprese profittevoli e non, volontariato, cooperative che alimentano il senso di responsabilità civile, la fiducia e la solidarietà reciproca. …..Non sono elementi espropriativi dell’individualità ma luoghi in cui la dinamica delle relazioni aiuta ciascuna persona a crescere e a maturare una coscienza di sé e delle proprie potenzialità.”.
Emerge chiaramente che il Terzo Settore non è una forma di
sostituzione del servizio e delle responsabilità pubbliche, ma che la sua esistenza per produrre coesione sociale non è solo una opportunità da riconoscere, ma diventa una qualità da promuovere, sostenere, diffondere, proprio perché indispensabile a costruire una società responsabile, coesa, solidale. Sotto la spinta di questa nuova “forza” presente nei C.C.M.23 delle varie aziende ospedaliere, viene preso fortemente in considerazione il punto di vista del malato e del gruppo che lo circonda e sostiene24, in questo senso è possibile ancora di più modificare concezioni eccessivamente burocratiche e medico-centriche. 2.1.2 IMPLICAZIONI CULTURALI Quando ho parlato dei paradigmi che stanno alla base della filosofia della conoscenza: •
Il paradigma classificatorio o della categorizzazione: esso opera secondo una logica di tipo matematico basata sulla divisione e sulla sommatoria, operando una sorta di
23 24
Comitato Consuntivo Misto Vedi definizione di salute O.M.S. 2005
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“autopsia “della realtà, per comprendere la quale occorre dividere per poi ricostruire secondo una “ratio". •
Il paradigma sistemico, basato sulla logica combinatoria, sulla moltiplicazione ed intersezione degli insiemi, la realtà è assunta come si presenta: caotica e complessa e l’indagine su essa è quella di interpretare gli scambi e le irregolarità presenti.
•
Il paradigma olistico o globale, che vuole abbracciare nel complesso la realtà in ogni più piccola manifestazione, il macrocosmo nel microcosmo, luce/buio, vita/morte, gli opposti che si risolvono nel tutt’uno.
Ho lasciato volutamente in sospeso il discorso sul paradigma olistico, perché volevo trattare di esso riguardo alla scienza medica. Sappiamo che la medicina occidentale parte dall’anatomia, ossia è evidente il paradigma classificatorio, categorizzante, la suddivisione del corpo umano, anche gli studi più moderni di biologia molecolare e genetica vanno alla ricerca del più piccolo punto di partenza all’interno del corpo umano in grado di spiegare l’origine dell’evoluzione della malattia. Negli ultimi anni sono proliferate le cosiddette “medicine alternative” e hanno incontrato molto successo fra le persone della nostra società: omeopatia, medicina ayurvedica, alimentazione macrobiotica, yoga, iridologia, riflessologia, qi gong, agopuntura. In breve, queste medicine poggiano su una visione dell’uomo completamente opposta a quella della medicina tradizionale, il paradigma su cui si fondano è quello olistico. Terzani25 ha scritto la propria storia di malato, è il racconto autobiografico di un uomo, un noto giornalista, a cui viene diagnosticato il cancro, e la descrizione di tutto il percorso che egli fa per ristrutturare il proprio sé, perché la malattia agisce soprattutto sulla definizione e la visione che qualsiasi uomo ha di sé, ed il proprio “senso di vita”. Una malattia come il cancro, penso rappresenti la forma di malattia più estrema nel porre la persona in una situazione di completa libertà e possibilità di scelta rispetto alle cure, ogni persona che soffre di questa patologia pensa ad essa come al “proprio cancro”. L’autore ha vissuto per lavoro come corrispondente di varie testate tedesche ed italiane fra Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokio, Bangkok e Nuova Dheli; quindi è un conoscitore di queste culture, e nell’affrontare il percorso di cura/guarigione incontra la medicina tradizionale e tutte quelle “alternative”. 25
T.Terzani “un altro giro di giostra” Longanesi, 2006
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Riguardo alla medicina tradizionale di un centro di New York super-specializzato nella cura del cancro, in cui viene operato e sottoposto a radio e chemio-terapia, questa è una riflessione: “ la sua attenzione era rivolta esclusivamente ai pezzi in sé e neppure ai pezzi in sé , ma alla loro rappresentazione, all’immagine che di quei pezzi compariva sullo schermo del computer, e ancor più all’elaborazione dei dati che una stampante gli forniva alla fine dell’esame….Per la medicina moderna, la sola ricerca da fare è nell’obbiettività di quei dati e non nella soggettività del malato, quella è la sola realtà” (pag 84). Nel percorso durante la sua malattia l’autore si avvicina alle medicine “altre” e riguardo all’incontro con un omeopata modenese: “per il medico omeopata è importantissimo capire il paziente, per questo deve ascoltarlo attentamente, osservarlo,….perchè la regola fondamentale dell’omeopatia è occuparsi del malato, dei suoi sintomi, della sua percezione della malattia; non della malattia in sé……dunque: ad ogni paziente il suo rimedio” . L’inventore dell’omeopatia (cioè che cura il simile con il simile all’opposto della medicina allopatica, che in questa visione cura il simile con l’opposto) Samuel Hahnemann, medico tedesco con una formazione anche di chimico, considerò chiave di volta dell’uomo la mente, per questo anche la malattia era da vedere nell’insieme della persona26 “e’ il paziente ad essere ammalato, non i suoi organi”, in fondo aveva detto la stessa cosa Ippocrate, dicono lo stesso oggi gli esponenti di ogni cosiddetta “medicina alternativa”, gli olistici. Per quanto riguarda le medicine “altre” è esattamente l’opposto il percorso: dal piccolo al grande, dal microcosmo al macrocosmo, cosicché non è l’organo ad essere malato ma il contesto attorno a quel “ pezzetto”, l’intero individuo e la sua vita. La “sua” intesa non in senso generale, ma proprio la vita di quell’uomo; l’ esperienza unica ed irripetibile di vita di quell’essere. La critica fornita dalle medicine “altre” ritengo possa essere stata utile alla medicina tradizionale per avviare una riflessione sul proprio stile comunicativo, sull’attenzione rivolta dal curante al paziente, sulla qualità della relazione terapeutica, che si è visto avere un’importanza notevole nella capacità di curarsi e curare. Un’altra difficoltà27 esistente a livello di comunità scientifica è la tradizionale contrapposizione tra “scienze 26
Hahnemann. S “ La Materia medica pura”, 1811-1821. Seconda edizione ampliata 1822-1827
27
“il ruolo delle Scienze umane nella formazione del medico” Tutor Vol 1 N°2-3 2001
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della natura” e “scienze dello spirito”, che ha dato luogo all’abusata immagine della dicotomia tra “le due culture”. Questa visione mostra ormai tutti i suoi limiti. La semplice preparazione tecnico-scientifica, infatti, si sta rivelando del tutto insufficiente per rispondere alle esigenze di un’assistenza centrata sulla persona del paziente, per la quale si richiede un approccio multidimensionale, in cui convergano anche conoscenze di carattere filosofico, pedagogico e psicologico. Da più parti si auspica, quindi, una formazione più ampia e completa del personale sanitario. La malattia, in quanto esperienza umana, è sempre un fatto “pieno di significato” e il rapporto tra il medico e il paziente si configura come un’autentica relazione ermeneutica, che solo un approccio autenticamente umanistico può cogliere nella sua complessità. Nel 1998 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’educazione terapeutica: “ l’educazione terapeutica del paziente consiste nell’aiutare il paziente ad acquisire e mantenere le competenze che gli permettono una gestione ottimale della sua vita con la malattia”. Quindi il paradigma dell’Educazione Terapeutica è da più parti definito come “l’euristica dell’ermeneutica”, o più semplicemente la traduzione realisticamente operativa dell’interpretazione della malattia che il paziente ha. Per competenza intendiamo: "Caratteristica positiva di un individuo che rivela la sua capacità di portare a termine dei compiti. Le competenze o expertise sono molto diverse tra loro. (.) Degli expertise facilitano gli addestramenti e la decisione riguardo a nuovi problemi, altri facilitano le relazioni sociali e la comprensione tra persone. Degli expertise aumentano la conoscenza, alcune di esse su abilità tecniche altre su di un nuovo sapere essere "28. Per “gestione ottimale” intendiamo l’assunzione di strategie personali di coping utili ad affrontare la vita non in modo invalidante ma al meglio delle proprie possibilità. Nel piano sanitario nazionale italiano 2003-2005 viene definito che: “Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della situazione patologica in atto e la qualità della vita dei pazienti, raramente quelle della loro guarigione. Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di assistenza basata su un approccio 28
M di Huteau. In: Champy P, Eteve C, Durand Prinborgne C, Hassenforder J, di F. Dizionario enciclopedico dell'istruzione e la formazione. Parigi: Nathan; 1994: p. 181-2.
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multidisciplinare, volto a promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e sanitarie rese sia dalle professionalità oggi presenti, sia da quelle nuove da creare nei prossimi anni”.
2.1.3 IMPLICAZIONI ECONOMICHE L’80% delle morti per malattie croniche si verifica nei Paesi a reddito medio-basso. Soltanto il 20% delle morti per malattie croniche avviene nei Paesi ad alto reddito, mentre l’80% si registra nei Paesi a reddito mediobasso29, in cui vive la maggioranza della popolazione mondiale. Nemmeno Paesi meno sviluppati come la Tanzania sono immuni da questo problema, in continua crescita Perdite in reddito nazionale dovute a cardiopatie, ictus e diabete previste nei Paesi selezionati, 2005-2015
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Organizzazione mondiale della sanità Prevenire le malattie croniche: un investimento vitale: rapporto globale dell’Oms. Pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2005 con il titolo Preventing chronic diseases: a vital investment
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L’impatto di un grave problema Il carico delle malattie croniche: ha notevoli effetti negativi sulla qualità della vita delle persone colpite; provoca morti premature; crea gravi e sottovalutati effetti economici negativi su famiglie, comunità e sulla società in generale. 558 miliardi di dollari: è la stima di quanto la Cina perderà nei prossimi 10 anni in valore di reddito nazionale, come conseguenza delle morti premature per malattie cardiache, ictus e diabete In mancanza di interventi nei prossimi anni 338 milioni di persone moriranno per malattie croniche: molti di questi decessi saranno prematuri e colpiranno famiglie,comunità e Paesi. L’impatto macroeconomico sarà sostanziale. Paesi come la Cina, la Russia, l’India potrebbero vedere il proprio reddito nazionale decurtato dai 200 ai 550 miliardi di dollari come conseguenze di cardiopatie, ictus e diabete. Per ora non sono stati fatti molti studi, in grado di dimostrare le differenze di costi fra l’applicazione del modello proposto dall’educazione terapeutica e non. Possiamo tentare di ragionare sulla base di quali costi riduce l’applicazione di progetti di educazione terapeutica. Credibilmente vi è una grossa riduzione dei ricoveri impropri, riduzione della durata media di giorni di degenza. Chi lavora in ambito ospedaliero, sa
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che i costi di una giornata di ricovero sono assai elevati , sulla base del DRG, ossia del sistema di rendicontazione economica utilizzato nel nostro paese, sostanzialmente una misurazione basata sulla “prestazione”, che come parametro si presta bene alla quantificazione dell’efficienza (nelle regioni, quali Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, in cui è applicato un corretta quantificazione secondo il modello programmazione – controllo). E’ tuttavia auspicabile che nel prossimo futuro si tenda ad uniformare gli standard a quelli europei, che monitorizzano soprattutto la qualità e l’appropriatezza.. Negli altri paesi europei, in particolare nel Regno Unito, il calcolo degli effetti economici non è basato sul parametro “prestazione” ma sugli outcome di salute, ossia ricadute e/o complicanze. Quindi se l’educazione terapeutica consente un miglior controllo sulle complicanze e ricadute, ovviamente vi sarà minor necessità di ricoveri. In letteratura vi sono ancora pochi studi che descrivono le implicazioni economiche dell’adozione di tecniche di ET versus altri modelli. C’è uno studio condotto in Francia su di un programma di cinque giorni di educazione terapeutica verso pazienti obesi30 controllati nove mesi prima e nove mesi a distanza dall’intervento. Il risultato economico è che per l’assicurazione medica c’è stata una diminuzione dei costi diretti del 16%, e dei costi indiretti del 57%. In generale gli Interventi multidisciplinari riducono la mortalità globale e i ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco e per tutte le cause rispetto al trattamento convenzionale. Di seguito i risultati di quattro revisioni sistematiche riguardo al trattamento dello scompenso cardiaco. La prima (data della ricerca 2003, 29 studi randomizzati, 5.039 soggetti) ha analizzato sia gli effetti combinati di tutti gli interventi esaminati nei diversi studi sia gli effetti degli interventi raggruppati per tipo: assistenza multidisciplinare ospedaliera, follow up specialistico in setting non ospedalieri da parte di team multidisciplinari, follow up con contatti telefonici associati a interventi di medici di medicina generale in caso di peggioramento e interventi educazionali per migliorare l’autogestione della malattia. La revisione ha trovato che gli interventi multidisciplinari, considerati complessivamente, riducevano in maniera significativa la mortalità per tutte le cause (rischio relativo 0,83, limiti di confidenza al 95% da 0,7 a 0,99), i ricoveri ospedalieri per tutte le cause (rischio relativo 0,84, limiti di confidenza 30
SETE Settembre 2009 III congresso Tolosa. Francia
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al 95% da 0,75 a 0,93) e i ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco (rischio relativo 0,73, limiti di confidenza al 95% da 0,66 a 0,82). L’assistenza da parte di team multidisciplinari in setting ospedalieri e non ospedalieri riduceva significativamente la mortalità per tutte le cause (12 studi, 2.129 soggetti: rischio relativo 0,75, limiti di confidenza al 95% da 0,59 a 0,96), i ricoveri per tutte le cause (14 studi: rischio relativo 0,81, limiti di confidenza al 95% da 0,71 a 0,92) e i ricoveri per scompenso cardiaco (9 studi: rischio relativo 0,74, limiti di confidenza al 95% da 0,63 a 0,87). 31 La seconda revisione32 (data della ricerca 2003, 27 studi randomizzati, 7.166 soggetti) ha identificato uno studio randomizzato (1.518 soggetti) non incluso nella prima revisione. Lo studio ha trovato che un follow up con frequenti contatti telefonici e interventi educazionali, counselling e controlli per migliorare l’autogestione della malattia, visite mediche regolari, dieta e aderenza al trattamento farmacologico riduceva significativamente l’esito combinato di ricovero per scompenso cardiaco o morte, i ricoveri per scompenso cardiaco e i ricoveri per tutte le cause (ricovero per scompenso cardiaco o morte: 26,3% con intervento vs 31% nei soggetti di controllo, P=0,02; ricoveri per scompenso cardiaco: 16,8% vs 22,3%, P=0,005; ricoveri per tutte le cause: 34,3% vs 39,1%, P=0,05). La durata media del follow up era 1,2 anni. La terza revisione33 (data della ricerca 2004, 33 studi randomizzati, 7.387 soggetti) ha trovato che programmi di gestione della malattia riducevano significativamente la mortalità per tutte le cause e i ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco e per tutte le cause rispetto al trattamento convenzionale (mortalità, 28 studi, 5.308 soggetti: odds ratio 0,80, limiti di confidenza al 95% da 0,69 a 0,93, P=0,003; ricoveri per scompenso cardiaco, 20 studi, 3.817 soggetti: odds ratio 0,58, limiti di confidenza al 95% da 0,50 a 0,67, P<0,00001; ricoveri per tutte le cause, 33 studi, 7.387 soggetti: odds ratio 0,76, limiti di confidenza al 95% da 0,69 a 0,94, P<0,00001). La quarta
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revisione (data
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McAlister FA, Stewart S Ferrua S, McMurray JJV. Multidisciplinary strategies for the management of heart failure patients at high risk for admission. A systematic review of randomised trials. J Am Coll Cardiol 2004;44:810–819. 32 Gonseth J, Guallar-Castillon P, Banegas JR, Rodriguez-Artalajo F. The effectiveness of disease management programmes in reducing hospital re-admission in older patients with heart failure: a systematic review and meta-analysis of published reports. Eur Heart J 2004;25:1570–1595. Search date 2003; primary sources Medline, Embase, the Cochrane 33 Roccaforte R, Demers C, Baldassarre F, et al. Effectiveness of comprehensive disease management programmes in improving clinical outcomes in heart failure patients. A meta-analysis. Eur J Heart Fail 2005;7:1133–1144. 34 Gohler A, Januzzi JL, Worrell SS, et al. A Systematic Meta-Analysis of the Efficacy and Heterogeneity of Disease Management Programs in Congestive Heart Failure. Jof Card Fail 2006;12:554–567
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della ricerca 2005, 36 studi randomizzati, 8.341 soggetti) ha incluso studi di durata superiore a 3 mesi. La revisione ha trovato che programmi di gestione della malattia riducevano significativamente la mortalità per tutte le cause rispetto al trattamento convenzionale (30 studi: riduzione del rischio assoluto -3%, limiti di confidenza al 95% da -5% a -1%, P<0,01). Gli effetti positivi dell’intervento variavano in funzione di età, gravità dello scompenso cardiaco, caratteristiche iniziali del trattamento e modalità dei programmi di gestione della malattia. EFFETTI NEGATIVI Le revisioni non hanno riportato informazioni sugli effetti avversi.
2.2 BASI TEORICHE DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA Collegati
alla malattia cronica vi sono alcuni aspetti psicologici estremamente
importanti per l’evoluzione della stessa: 1. la problematica dell’accettazione della malattia 2. le rappresentazioni legate alla malattia e al suo trattamento 3. modello delle credenze e locus of control 4. la motivazione a curarsi; la compliance terapeutica; resiliance; empowerment; coping 5. la situazione del professionista 1) il prof Deccache35 Direttore del corso di Educazione Terapeutica della Facoltà di Medicina dell'Università Cattolica di Lovanio nel 1989 definisce tre livelli fondamentali entro i quali si deve operare per comprendere il fenomeno “malattia”: l’educazione alla salute, l’educazione alla malattia, l’educazione terapeutica. E’ interessante di questa definizione il fatto che per giungere all’educazione terapeutica occorra innanzitutto che avvenga il riconoscimento e l’assunzione della malattia da parte del paziente. L’avvento di una malattia non è certo un evento scelto né desiderato dal momento che annuncia una prospettiva di 35
Deccache Enformation et Education du patient1989
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interventi, sofferenze, minacce, talvolta vitali. Nel caso di una malattia cronica, come il diabete, per esempio, noi disponiamo di ottimi trattamenti, ma la loro efficacia dipenderà strettamente dal modo di vita e in particolare dalle abitudini alimentari e dalla sedentarietà delle persone.Di fronte a tale prospettiva si possono osservare non solo delle reticenze ma delle resistenze ai cambiamenti necessari. Questo perché il cambiamento rappresenta disequilibrio esistenziale,una rottura che introduce l’incertezza. In tal senso il cambiamento è come una sorta di lutto. Ci sono infatti dei lutti che non sono legati alla morte, bensì alla perdita di ciò che era consueto, familiare, a cominciare dall’iniziale separazione dal corpo della madre, nella nascita. Secondo Melanie Klein quest’esperienza è fondante non solo del divenire corporeo, ma anche del divenire psichico. Elisabeth Kubler Ross ha condotto molti studi sui pazienti terminali ed ha elaborato un modello che elenca le tappe del processo di elaborazione del lutto, ovvero di accettazione della malattia, nell’ordine cronologico in cui si presentano abitualmente: shock iniziale, negazione, rivolta, negoziazione, tristezza, accettazione. Questo processo, definito processo di integrazione, dà particolare importanza alla fase della tristezza che lo psicanalista Pierre Fadida36 definisce capacità depressiva. Questo particolare modo, tipicamente umano, di essere in contatto con le proprie emozioni attraverso la tristezza, la nostalgia di ciò che è perduto porta l’individuo a poter disporre delle proprie risorse. Questo tipo di depressione non va confusa con la depressione clinica. Nei malati cronici, l’accesso alla capacità depressiva rappresenta non solo la possibilità di cicatrizzare la ferita causata dalla perdita, ma l’apertura verso una nuova visione dell’esistenza,1’integrazione della nuova condizione; il paziente che arriva ad acconsentire al suo nuovo stato, ritrova un’equilibrio emozionale grazie al quale può sostenere più serenamente il suo trattamento nella vita quotidiana e le diverse implicazioni personali, familiari, professionali, sociali; il termine “acconsentire” contiene l’idea di un consenso positivo a ciò che avviene. Possiamo assistere tuttavia, ad un altro tipo di processo, definito processo di allontanamento: esso non è toccato dei movimenti emotivi precedentemente descritti e tende a perdurare. La ragione non risiede solamente nel modo in cui viene comunicata la diagnosi, ma all’attenzione che il 36
Fadida P. Des bienfaits de la depression ed Odile Jacob, 2001
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curante presta alle reazioni del paziente. Per il paziente, la prospettiva di una malattia inguaribile, ancorché incurabile, può rappresentare una minaccia che genera un malessere che nasce dall’imminenza di un pericolo. Questo malessere psichico si chiama angoscia, suscita un meccanismo di difesa che serve a proteggere. Si tratta del diniego è un processo in gran parte inconscio di cui si serve il Sé per ridurre il dolore. Così il Sé è al tempo stesso la posta in gioco e l’agente dei meccanismi di difesa. Il diniego si traduce generalmente nella banalizzazione. Un’altra forma di evitamento è il rifiuto o la negazione che consiste nel riconoscere intellettualmente la malattia ma nel negare l’emozione che essa suscita. I pazienti che manifestano questa attitudine sentono più vergogna che angoscia queste persone non ammettono di essere malate e dissimulano la malattia al loro ambiente socio professionale. I processi intrapsichici del diniego e della negazione non sono facili da individuare e ancor più delicati da abbordare. Talvolta li si identifica solo per i loro effetti poiché le conseguenze di questo distanziamento della malattia portano a delle negligenze nei riguardi dei sintomi e di conseguenza, del trattamento, portando a degli scompensi, all’apparizione precoce di complicanze. La difficoltà sta nel fatto che senza un aiuto esterno, senza un intervento adeguato da parte del curante, le strategie di evitamento tendono a perdurare, a volte sino alla fine o sino al giorno in cui il meccanismo di protezione lascerà il posto alla rassegnazione. L’attitudine passiva dei pazienti rassegnati assomiglia in qualche modo alla depressione clinica, sembra improbabile che la persona bloccata nel diniego, nel rifiuto o nella rassegnazione arrivi a raggiungere da sola senza aiuto esterno il processo normale di accettazione della malattia. Più il tempo passa e più queste tappe tendono a fissarsi, a meno che non siano messe in evidenza ed affrontate nella relazione. 2) il concetto di rappresentazione deriva dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicologia sociale; esso indica che l’organizzazione e l'interpretazione delle conoscenze si sviluppa molto presto. Un modo semplice di parlare delle rappresentazioni sarebbe quello di dire che si tratta dell' “idea che ci si fa di…” ciò che corrisponde a stati di conoscenze anteriori ad un apprendimento sistematico. Il termine “concezioni” è oggi preferito da alcuni per indicare queste premesse del sapere costituite dalle rappresentazioni. Il sapere di una persona si
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elabora nel corso di tutta la vita, sotto l'influenza dell'ambiente culturale, del percorso scolastico, dell'attività professionale e sociale senza contare l'importante azione dei media. Per esprimere ciò di cui soffrono e per parlare della loro malattia le persone utilizzano espressioni talvolta molto lontane non solo dal linguaggio medico, ma anche dalla realtà medica. Un gran numero di questi modi di descrivere il proprio malessere è passato a far parte del linguaggio corrente “ho male al cuore” piuttosto che “ho male al fegato, la nausea”, queste espressioni del linguaggio comune non significano che la persona pensi realmente di soffrire di cuore, ma sono solo modi di dire. Riferendosi alla localizzazione, al ruolo e alle malattie
di determinati
organi, le spiegazioni
spontanee dei
pazienti
corrispondono alla maniera in cui essi immaginano il funzionamento del corpo, sano o malato che sia. Ascoltare i pazienti evocare l'idea che hanno della malattia o della terapia fa emergere una grande varietà di rappresentazioni. Alcuni lavori hanno mostrato il divario esistente fra linguaggio medico e la sua comprensione da parte dei pazienti. Le rappresentazioni mentali, pur esistendo nella mente di ogni individuo, si costituiscono in modo involontario ed inconsapevole, la domanda da porsi è cosa succeda a queste immagini della realtà nelle situazioni di insegnamento terapeutico? Le attuali ricerche nel campo della didattica hanno mostrato che ci sono condizioni che facilitano ed altre che impediscono l'acquisizione di conoscenze. Le diverse posizioni si trovano d'accordo nel ritenere che l'insegnamento debba interferire con le concezioni dei discenti. Dall'osservazione e dall'analisi di centinaia di ore di corsi tenuti dai pazienti, emerge che le rappresentazioni del paziente sono generalmente evitate. Un'idea diffusa si basa sul principio che sia sufficiente dire e mostrare perché chi ascolta registri il sapere: è il caso delle pedagogia puramente trasmissiva; una strategia ugualmente diffusa consiste nel fare domande tese a valutare il sapere medico dei pazienti, da lungo tempo la scienza dell’educazione sa che acquisire conoscenze non è un esercizio di immagazzinamento delle informazioni in una mente vergine e disponibile ad essere riempita. Quindi per alcuni pazienti acquisire conoscenze circa la propria malattia pone
altri problemi ancora, legati al fatto che le
rappresentazioni sono state elaborate in circostanze dal significato per loro drammatico. I ricercatori nel campo della didattica che lavorano in ambito
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scolastico hanno dimostrato che l'apprendimento di qualsiasi cosa dipende dai concetti preesistenti negli alunni che possono fungere da trampolini ovvero da ostacoli nell’apprendimento(Giordan et al., 1994). In particolare il sapere scientifico non è facile da trasmettere. La conoscenza delle rappresentazioni costituisce un prezioso indicatore per chi insegna; queste, infatti, lo informano circa la maniera che il soggetto ha di concepire le cose e i mezzi di comprensione di cui dispone. 3) Nato con finalità predittive, poiché elaborato nel settore della prevenzione primaria, il modello delle credenze sulla salute o, healh belief model, ripreso e pregiato più volte di poter essere applicato alla percezione che pazienti hanno della propria via e della relativa terapia. Questo modello si occupa della prospettiva del paziente, delle sue convinzioni e sulle sue motivazioni a curarsi. I ricercatori speravano di ottenere un indicatore, quasi una diagnosi, tesi ad anticipare il comportamento di una persona in materia di prevenzione di applicazione della terapia. Tale speranza è stata delusa, essendo troppo elevato il numero di variabili implicate nel passaggio all'azione terapeutica ciò nonostante è interessante conoscere questo modello poiché permette di definire i principali fattori implicati nelle azioni terapeutiche che l'individuo mette in atto, permette inoltre di comprendere il comportamento che questi può adottare di fronte alla sua malattia; più precisamente esso permetterà di cogliere le ragioni che portano il paziente a seguire o meno la terapia. Una versione semplificata di questo modello comporta quattro postulati che indicano perchè il paziente accetta di curarsi o di proseguire la terapia, egli deve: • essere convinto che è affetto dalla malattia (processo di accettazione) •
pensare che tale malattia le sue conseguenze possono essere gravi per lui(rappresentazioni mentali del paziente)
•
pensare che seguire la terapia avrà un effetto benefico
•
pensare
che
i
benefici
della
terapia
controbilanciano
vantaggiosamente gli effetti secondari nonché le costrizioni psicologiche, sociali e finanziarie da questa generate. Come si può vedere i primi due postulati riguardano la malattia, gli ultimi due la relativa cura. Vi sono pazienti che benché abbiano accettato i quattro postulati
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non riescono necessariamente a prendere misure adeguate per la loro terapia. Tale constatazione ha spinto Rosenstock(1988) a concentrare la sua attenzione sulla nozione di locus of control, cioè “chi dà l’ impulso alla cura, chi controlla la malattia, chi è responsabile della terapia? È la medicina ufficiale, le medicine alternative, Dio, il caso? Tali entità rappresentano ciò che si è convenuto chiamare controllo esterno in quanto il potere è esercitato da qualcosa di esterno al malato; al contrario se è il paziente stesso ad occuparsi della sua malattia e della relativa terapia si parlerà di controllo interno. Questi due tipi di atteggiamento derivano da logiche diverse chiamati da Capet(1985) “ logica di abbandono”( controllo esterno) e “logica di gestione” (controllo interno). I problemi medici acuti sono trattati direttamente dal personale curante, mentre nel caso della malattia cronica è il paziente a gestire quotidianamente la propria cura. Tale autogestione è possibile solo a condizione che egli abbia integrato la funzione di controllo. Le ricerche hanno dimostrato che le persone con controllo interno affrontano meglio il pensionamento, sviluppano meno malattie cardiache e sono meno soggetti all' ipertensione. Le persone più a rischio sono quelle con locus interno estremo, in quanto troppo rigide ed incapaci a vivere con ciò che non possono controllare. L' accettazione di una malattia va di pari passo con questo giusto equilibrio fra responsabilità del malato e quella del suo medico in un rapporto di partnership. 4) Per un malato affetto da una patologia cronica, applicare con costanza e perseveranza
terapie
spesso
impegnative
dipende
da
parecchi
fattori
interdipendenti.La situazione familiare e sociale del paziente è un fattore molto importante: l'assenza di supporto o, al contrario,una certa pressione sociale, gioca un ruolo non trascurabile nella gestione del proprio stato di malattia a volte aiutando il paziente, altre volte peggiorando la situazione. I medici e gli infermieri a domicilio sono gli operatori sanitari maggiormente in grado di valutare il contesto di vita del paziente ed intraprendere le azioni più appropriate. La medicina ha preso a prestito dalla fisica e il termine compliance: i malati buoni, sottomessi, ubbidienti, sono ammalati complianti, coloro che per qualsiasi ragione seguono male le prescrizioni mediche sono non complianti. In fisica il termine compliance è utilizzato per definire le caratteristiche dei corpi elastici. L’elasticità è il risultato di una forza esercitata sul volume di un oggetto più pressione sarà
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necessaria per ottenere un dato volume minore sarà la compliance. Il trasporto della nozione nel campo della relazione medico- paziente pone dei problemi: il malato è paragonato ad un oggetto più o meno elastico, ovvero più o meno resistente all'azione esercitata su di lui dal medico, in tal senso la relazione medico- paziente viene a configurarsi come un rapporto di forza. Ora, la decisione del paziente di seguire la terapia prescritta non dipende da pressioni esterne, avvertimenti o persuasione. Occorre introdurre un’altra nozione spesso mal compresa: la nozione di motivazione. Come abbiamo in precedenza considerato, la motivazione nasce dalla soddisfazione di bisogni interni e può essere rafforzata o viceversa fiaccata dall’ambiente esterno all’individuo. Rogers (1969) è sicuramente colui che più di tutti ha insistito sull'importanza della qualità della relazione interpersonale sostenendo che nelle situazioni sia pedagogiche che terapeutiche conviene instaurare un'atmosfera improntata all'accettazione dell'altro, alla considerazione positiva e all’empatia Oggigiorno altre prospettive arricchiscono questa visione umanista. Medici e ricercatori preoccupati a causa del fallimento scolastico propongono di associare le più recenti strategie didattiche alla nozione di progetto personale, i progressi sono stati notevoli. Prendendo come punto di partenza la non motivazione di allievi con insuccessi scolastici questi pedagogisti basano il loro lavoro sulla necessità di far emergere un progetto futuro. Questa prospettiva include l'analisi delle difficoltà e propone delle metodologie atte a modificare le pratiche di insegnamento. Per alcuni versi l'insuccesso scolastico e la malattia presentano delle analogie: sia l’insuccesso scolastico che la malattia possono determinare diminuzione dell’autostima personale, rifiuto, o rassegnazione. Il tentativo di suscitare una motivazione proiettata verso un progetto futuro(che in entrambi i casi è un progetto di vita) da parte degli operatori è qualcosa che può agire da rinforzo. Il termine di resiliance deriva dal latino e poi dall’italiano (“salir” = salire, “insilire” = salire su “risalire”) in psicologia si è utilizzato il concetto di resilienza per parlare della capacità di riprendersi, di ripartire dopo la caduta, la malattia, il fallimento. Questa nozione è dunque legata alla forza vitale di ogni essere vivente di rinascere o risollevarsi dopo uno o più traumi. Il mondo della pediatria ha studiato come gli orfani e i trovatelli fossero capaci di svilupparsi dopo un handicap
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iniziale tanto tragico, quale la perdita dei genitori o il dover sopravvivere da soli. Sono stati trovati dei tratti comuni fra i bambini che ne erano usciti: la capacità di farsi comprendere e di esprimersi, la consapevolezza di ciò che succede intorno a loro, la capacità di ritrovare ciò che strettamente necessario ai loro bisogni, la caparbietà, il temperamento combattivo, la perseveranza per arrivare al fine prestabilito, un certo senso dell'umorismo che permette loro di accettare le avversità e leggere sopra le righe. A questo si aggiungono due elementi: •
il ricordo persistente dei momenti belli del loro passato
•
la presenza di una persona stabile e in empatica alla quale fare alla quale fare appello o riferimento (quello che Boris Cyrunlik chiama “il tutore di resilienza”)
Ma come sottolinea Hanus37 “ognuno possiede delle risorse nascoste che possono essere mobilitate… non bisognerà comunque sottostimare la realtà della ferita” Il concetto di empowerment (aiutare l’altro a ritrovare il suo potere sulla vita) viene dall’America del Nord. Nel campo delle malattie croniche, è il risultato di un processo di formazione del malato che deve permettergli di acquisire delle conoscenze, delle abilità e delle attitudini, al fine di migliorare le sue capacità di tollerare e trattare la sua malattia. Schematicamente possiamo attribuire principalmente a fattori interni la capacità di resilienza e maggiormente a fattori esterni lo sviluppo del empowerment, che permette al paziente di ritrovare un certo grado di autonomia. (in questo campo i curanti si sono attribuiti un ruolo fondamentale). L'educazione terapeutica ha continuamente a che fare con questi due concetti (resiliance ed empowerment) per permettere al paziente di trovare un equilibrio per meglio gestire la sua malattia ed il suo trattamento. La malattia cronica e la sua conseguenza: la gestione da parte del paziente delle sue cure “modifica radicalmente la relazione medico-paziente38si passa quindi da un supporto relativamente autoritario a una relazione di mutua responsabilità e collaborazione” appare quindi come un nuovo paradigma che richiede ai curanti di esercitare dei ruoli supplementari ed occupare nuove posizioni. Questi cambiamenti implicano, oltre alle conoscenze e alle competenze biomediche,
37 38
Hanus M La resilience, a quell prix? Ed Maloine, Paris 2001 Lacrroix A J.P. Assal “educazione terapeutica dei pazienti” Minerva medica,2006
66
l'acquisizione di capacità pedagogiche e relazionali. A condizione però che questo ampliamento delle proprie capacità non produca negli operatori un senso di onnipotenza, ma permetta un miglior adattamento sia dei curanti che dei pazienti alla presa in carico condivisa della malattia cronica. Il termine coping, letteralmente fronteggia mento, indica le strategie attuate dal paziente per riuscire a “combattere” efficacemente la malattia(ndr ogni volta che si è utilizzato il termine paziente era contenuta emplicitamente anche l’idea di gruppo che lo circonda;). L’efficacia del coping è sostanzialmente la capacità del paziente di riuscire a mantenere un buon livello di Quality of Life (QOL) 5) Lavorare con la cronicità, sappiamo da anni, che comporta facilmente un esaurimento professionale, chiamato burnout nei paesi anglosassoni, è un termine che designa una stanchezza fisica ed emotiva, un sentimento di impotenza, una perdita di interesse per il proprio lavoro. Questa sindrome è stata soprattutto osservata dai ricercatori, all’interno delle equipe che curano malati cronici, poco suscettibili a miglioramenti, come in oncologia, diabetologia, geriatria, mentre non è descritta nei centri di pronto soccorso e di terapia intensiva. Solitamente l’evoluzione del burnuot porta l’operatore coinvolto a chiudersi in se stesso e a non parlare della sua situazione assumendo un atteggiamento distaccato nei confronti del lavoro vissuto in modo routinario. In che misura tale stress influenza la cura? secondo l’idea in base alla quale non sono solo i farmaci che influiscono sul trattamento, ma soprattutto la relazione che si instaura col curante, i pazienti in questa situazione realizzano una scarsa compliance rispetto alla terapia. In secondo luogo è l’operatore stesso che deve essere aiutato, considerando che tale perdita d’interesse è tanto più paradossale se si considera quanto questa persona abbia investito nel suo lavoro e con quanto entusiasmo. E’ in questa duplice direzione che l’educazione terapeutica(da ora in avanti per semplificazione indicherò il termine con ET) può aiutare entrambe le parti coinvolte, puntando innanzitutto su una migliore qualità relazionale. Per un paziente non c’è niente di più triste ed inutile di un operatore che non crede più nel proprio lavoro, e su questo dovrebbero lavorare i Dirigenti provvedendo a cambiamenti di sede di lavoro, o se sufficiente ad azioni formative per gli operatori in questa situazione.
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2.3 UNA METODOLOGIA DELL’EDUCAZIONE TERAPEUTICA Il modello pedagogico proposto da d’Ivernois e Gagnayre39 è fondato sull’approccio sistemico. Il soggetto dell’ET è il paziente, egli è “al centro del dispositivo di insegnamento-apprendimento”. Questo modello comporta quattro fasi o tappe ognuna delle quali determina la successiva: 1. La diagnosi educativa 2. Il contratto di educazione 3. I contenuti,metodi e tecniche 4. La valutazione Nel modello proposto da Ferresi, Gaiani, Manfredini40il processo proposto consta di quattro fasi interconnesse tra loro: A. Analisi del bisogno educativo B. Progettazione C. Attuazione D. Valutazione Entrambi i modelli seguono l’approccio sistemico, sono strutturati temporalmente, considerano il paziente-soggetto secondo il modello integrativo-globale, ragionano sulla base di obiettivi e di valutazione. Questi modelli debbono molto al contributo di Jean-Philippe Assal, ritenuto da molti il fondatore dell’ET, che è stato il primo a rovesciare la relazione medico paziente, passando da una visione verticale medicocentrica ad una orizzontale-relazionale paziente-centrica. Descriverò il modello d’Ivernois perché a mio avviso riesce ad applicare strumenti generali della pedagogia ad una situazione in cui l’aspetto fondamentale è la cura della malattia, mentre l’altro testo a mio avviso punta soprattutto alla formazione degli operatori e si sofferma quindi maggiormente sugli aspetti pedagogici. 1)
La diagnosi educativa è la prima tappa del percorso di educazione e rappresenta anche il momento in cui avviene la presa in carico del paziente. Essa si basa su di una serie di colloqui individuali volti a raccogliere i differenti aspetti della vita e della personalità 39 40
D’Ivernois J.F, Gagnayre R. “educare il paziente” Mcgraw Hill II ed. 2006 FerraresiA, Gaiani R, Manfredini M, “Educazione terapeutica” Carrocci Faber,2009
68
del paziente identificare in quale fase del percorso di accettazione della malattia è posizionato, identificare i suoi bisogni, la sua motivazione e le risorse interne ed esterne, cercare di comprendere le sue concezioni e rappresentazioni della malattia. Passaggio fondamentale è “l’ascolto del malato” bitonale41: da un’unica narrazione del malato il medico deve sempre costruire due storie non diverse bensì complementari. Il primo percorso, sotto la guida dell’ascolto epistemico, conduce alla tecnica della storia clinica finalizzata alla stesura dell’anamnesi; il secondo percorso, guidato invece dall’ascolto empatico che è silenzio partecipe nell’attenzione alle vicende di una vita, conduce all’antropologia di una biografia piena di significati, quei significati senza i quali sotto nessun cielo si dà senso compiuto alle vicende di nessuna malattia e di nessun malato. Il colloquio prevede un questionario precedentemente elaborato, che svolge la funzione di guida per le domande che vengono rivolte al paziente: 2) •
Cosa ha? Stadio della malattia,evoluzione
•
Cosa fa? Attività professionale, contesto di vita famigliare e sociale (=sistema utente il paziente ed il suo gruppo)
•
Che cosa sa? Conoscenza della malattia, grado di accettazione della malattia
•
Chi è? Concezioni di vita, potenzialità di apprendimento
•
Quali progetti ha? Esiste una progettualità o no?
Lo scopo è quello di riuscire a costruire un ritratto (o mappa concettuale)che tenga conto degli elementi cognitivi, affettivi, delle dimensioni bio-psico-fisica sociale, professionale del paziente e soprattutto verificare se esiste una progettualità verso il futuro. Quindi lo scopo di tale anamnesi (che può svolgersi individualmente o in gruppo con più figure professionali e più pazienti) è raccogliere il maggior numero possibile riguardo al concetto che la persona ha della “sua malattia”, in quale fase è posizionato nel processo di accettazione (nel caso vi siano delle difficoltà si può utilizzare un supporto psicologico), qual è la motivazione a stabilizzare,curare, convivere, laddove sia possibile guarire la malattia, capire il “locus of control”, se esiste una progettualità o viceversa tentare di costruirne una insieme nella relazione che si stabilisce. 41
Zannini l: Narrazione e medical humanities. Tutor 4:26-32 (2004
69
E’ importante tenere presente che “ la diagnosi precede tutta l’educazione ed è iterativa. Non è mai definitiva, ma al contrario, va riaggiustata in funzione dei colloqui successivi. Non è esaustiva, perché
fortunatamente non è possibile sapere tutto
sull'altro. Al contrario deve)fornire un'immagine relativamente affidabile della condizione del paziente in un dato momento. Deve essere discussa in equipe ed ogni membro deve contribuire alla sua formulazione. Si tratta di uno strumento operativo che deve essere inserito nella cartella educativa infine, costituisce il fondamento del programma di educazione, da cui partire per elaborare obiettivi pedagogici pertinenti”.42 2)
Il contratto educativo è quello che comunemente si definisce “patto educativo” nel campo della formazione, ossia l’atto che precede l’intero intervento educativo. Il termine contratto richiama il diritto civile dove all’art 1321 esso è definito come “l’accordo tra due parti per costituire, estinguere un rapporto giuridico di tipo patrimoniale”, tale definizione mi pare perfetta, in fondo cosa c’è di più prezioso della propria salute. Quindi il contratto educativo è un contratto a tutti gli effetti che si basa, da parte del paziente, sul tentativo di raggiungere determinate competenze e, da parte dell’educatore, sul far in modo che il paziente le raggiunga effettivamente, con l’utilizzo di tutte le tecniche didattiche a sua disposizione, all’interno di una determinata metodologia (teoria degli obiettivi). Alcune competenze sono comuni a tutti i pazienti, in tutte le malattie croniche esiste un livello di sicurezza al di là del quale il paziente rischia delle complicazioni gravi, questo livello di sicurezza è l’oggetto del contratto. Altre competenze sono specifiche rispetto ai bisogni individuali, queste rendono il contratto, per così dire, personalizzato. In ogni caso esse sono operazionali: “indicano chiaramente e precisamente quello che il paziente deve essere in grado di fare alla fine dell’educazione”43 Infine i contratti sono negoziati “poiché si tratta di un accordo morale fra educatore e paziente”44. In questa fase vengono quindi definiti gli obiettivi, ossia gli indicatori di competenza. E’ sicuramente il momento più controverso e dibattuto. In generale per la definizione degli obiettivi esiste l’acronimo s.m.a.r.t. di derivazione inglese
42
D’Ivernois ibidem, pg 60 Ibidem, pg 34 44 Ibidem pg 64 43
70
S = Specific
S = Specifico
M=Measurable
M = Misurabile
A=Attainable
A = Raggiungibile
R=Realistic
R = Realistico
T=Timely
T = Con una scadenza.
Gli obiettivi oltre ad essere realistici e pertinenti sono costruiti in generale sulla base delle tassonomie di Bloom45 e Guilbert46. La tassonomia di Bloom prevede sei livelli formali di classificazione degli obiettivi intellettivo-cognitivi, ovvero conoscere o ricordare, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare; La tassonomia di Guilbert a sviluppo verticale, su tre livelli, suddivide le competenze in tre campi: 1) il campo cognitivo
capacità di risolvere i problemi
2) il campo comunicativo-relazionale
empatia
3) il campo gestuale
autonomia nella tecnica
Ferraresi, Gaiani, Manfredini utilizzano gli assunti di Mager47 che definisce efficace un obiettivo che possegga alcune caratteristiche:
“Performance: indicare sempre quello che l’utente deve essere in grado di fare Condizioni: descrivere sempre le condizioni entro cui si prevede che la performance si realizzi Criterio di accettabilità: se possibile, descrivere il criterio di una performance accettabile, specificando con quanta abilità l’utente dovrà comportarsi per essere considerato idoneo” La tassonomia di Guilbert riconosce per ciascun campo tre differenti livelli
così
suddivisi:
45
BloomB.S et al Taxonomie des objectifs pedagogiques,Education nouvelle, 1969 Guilbert J Guide pedagogique pour les personnels de santé Geneve, 1991 47 Mager R “gli obiettivi didattici” Lisciani& Giunti 1972 46
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TASSONOMIA DELLE COMPETENZE Secondo Guilbert CAMPO
COGNITIVO CAMPO
INTELLETTIVO
DELLA
COMUNICAZIONE
CAMPO DEI GESTI
INTERPERSONALE Capace di ricordare i fatti
Capace di dare prova di Capace di imitare i gesti recettività
di
fronte
ad di un modello
un’altra persona 1° LIVELLO
1° LIVELLO
Capace di interpretare i dati Capace
di
1° LIVELLO fornire
una Capace di controllare i
risposta ad una richiesta propri gesti con efficacia affettiva di un’altra persona 2° LIVELLO Capace
di
2° LIVELLO risolvere
nuovo problema
2° LIVELLO
un Capace di interiorizzare un Capace di compiere un nuovo sentimento, empatia
gesto con un alto grado di efficacia
3° LIVELLO
3° LIVELLO 3° LIVELLO
3)
la fase dell’attuazione altresì definita come contenuti metodi e tecniche, è quella operazionale, discrezionale da parte degli operatori; nel senso che ciascuno di noi pur conoscendo diverse tecniche è più dotato in alcune rispetto ad altre. Questo è il regno della Didattica, che si è arricchita nel corso degli anni di strumentazioni e tecniche: lavoro di gruppo, giochi di ruolo, attività di problem solving . Quello che ho trovato interessante in d’Ivernois è il concetto di “distanza pedagogica”48derivante dalla relazione pedagogica improntata sulla tolleranza e sul rigore (da non confondersi con rigidità e lassismo), che impedisce comportamenti estremi, come per esempio la distanza fredda, simile all’indifferenza o al contrario un’attenzione troppo protettrice, che nocciono entrambe all’apprendimento. “La distanza pedagogica aiuta l’altro e lo
48
D’Ivernois ibidem, pg71
72
rende autonomo”. Un aspetto molto ben trattato nel testo di Ferraresi49 è quello relativo alla resistenza al cambiamento, vengono infatti individuate tre strategie utili al professionista per gestire le resistenze e creare le premesse del cambiamento: •
Prendere coscienza del desiderio di autodeterminazione dell'utente. Comunemente si parla di autogestione della malattia, o tendenza all'autodeterminazione, in riferimento a pazienti con patologie croniche. Ogni persona è mossa da motivazioni proprie e in questa chiave risulta poco efficace la pratica dei consigli, ossia dire al paziente che cosa deve fare a prescindere da quello che gli pensa. Al contrario rispondere ad una eventuale resistenza in modo simmetrico aumenta la chiusura e la logica confrontazionale può inasprire le differenze
•
Rivalutare la disponibilità, l'importanza e la fiducia. La valutazione attenta dell'importanza e della fiducia nel cambiamento sono due aspetti fondamentali nella gestione del colloquio se il professionista opera una sovrastima o sottostima di uno di questi due aspetti è probabile che il colloquio non porti a cambiamenti desiderati
•
Utilizzare tecniche di ascolto riflessivo. Per contrastare la modalità di risposta simmetrica alle resistenze dell'utente la tecnica di ascolto riflessivo è molto efficace: consiste nel non insistere sulle ragioni del cambiamento in contrasto con le opinioni dell'utente ma nel “porsi accanto all'utente”
Per quanto riguarda l’attuazione dell’intervento è possibile optare per un tipo di modello individuale o viceversa in gruppo. spesso, soprattutto, per evidenti ragioni economiche, si strutturano più facilmente interventi di gruppo. Un intervento strutturato, viene indicato da più autori, come un misto di momenti di gruppo e relazioni one-to-one. (rimando al
4°capitolo
una trattazione più dettagliata del/i
modello/i di intervento).Jean-Philippe Assal ha mostrato in due tabelle riassuntive i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le metodologie:
49
Ferraresi et al ibidem pg 91
73
¾ Insegnamento individuale: VANTAGGI
SVANTAGGI
Personalizzazione
Nessun confronto con altri pazienti
Relazione privilegiata
Assenza della dinamica di gruppo
Possibilità di circoscrivere i bisogni
Rischio di insegnamento poco strutturato
specifici del paziente
Richiede troppo tempo
Rispetto del ritmo del paziente
Rischio di influenza sull’operatore sul
Miglior contatto
paziente
Migliore conoscenza del paziente
Rischio di incompatibilità con un paziente
Permette di affrontare il vissuto del
“difficile”
paziente
Stanchezza dovuta alla ripetizione
¾
Insegnamento di gruppo
VANTAGGI
SVANTAGGI
Scambi di esperienze fra pazienti
Rischio
Emulazione, interazioni
(verticale)
Convivialità
Difficoltà nel far partecipare i pazienti
Confronto di punti di vista
Pazienti troppo eterogenei
Ottimizzazione del tempo
Inibizione dei pazienti ad esprimersi
Stimolo all’apprendimento
Orari fissi dei corsi
Apprendimento esperienziale attraverso
Difficoltà nel concedere attenzione a
“situazioni-problema”
ciascuno
di
insegnamento
impositivo
Difficoltà nel gestire un gruppo 4)
la valutazione. “Tutte le azioni di educazione devono costituire l’oggetto di una valutazione”, partendo da questo assioma d’Ivernois fa una disanima sulla valutazione che tiene conto dei contributi di Guilbert(1991) Mager(1986). La valutazione, per essere valida deve rispondere a determinati criteri: la validità, indica il grado di precisione della misurazione; l’affidabilità, è la costanza con cui uno strumento misura un dato variabile; la comodità,rappresenta l’investimento umano e materiale necessario alla costruzione dello strumento di valutazione; l’oggettività, è il grado di concordanza
74
fra i giudizi apportati da educatori indipendenti; l’accettabilità,è il limite che deve essere fissato allo strumento di misura per rispettare il paziente in quanto persona. La valutazione riguarda sia le capacità cognitive che quelle gestuali
o
comportamentali. Le competenze cognitive si distribuiscono lungo il continuum; memorizzazione; interpretazione dati; per verificare i livelli di organizzazione delle conoscenze uno strumento molto validi somministrato ex-ante ed ex-post sono le mappe concettuali;soluzione di problemi, per verificare questa capacità si utilizzano strumenti di simulazione ,(carte di Barrows). Per quanto riguarda la valutazione
delle
competenze tecniche e gestuali è molto importante verificare il livello di competenza nell’auto-cura del paziente, per fare ciò si utilizzano vari tipi di griglia di osservazione Per la valutazione delle competenze relazionali si utilizzano griglie d’osservazione e l’Esame Oggettivo Strutturato OSCE( Objective Structured Clinical Examination)un metodo utilizzato nelle Facoltà di medicina anglosassoni per valutare le abilità pratiche e relazionali degli studenti. La valutazione non riguarda solamente il paziente ma anche il team ed il programma educativo stesso, cioè i pazienti rimandano la loro valutazione agli educatori; questa doppia valutazione incrociata permette di ri-pensare e ri-progettare l’atto educativoè il monitoraggio dell’azione stessa, utile per far crescere la comunità degli operatori attraverso la comprensione di errori, dati da sovrastima o sottostima di alcuni eventi, portando ad un’azione correttiva nei confronti di interventi futuri. Un solo ciclo di educazione non è sufficiente a far raggiungere ad un paziente tutti gli obiettivi di apprendimento, per cui si pianificano sin dall’inizio dell’atto educativo momenti di follow-up che prevedono:colloqui nel corso di visite educative, partecipazione a singoli incontri durante una settimana di educazione, apprendimento a distanza, ospedalizzazione di breve durata finalizzate all’educazione. Viceversa
il
follow-up può essere conseguente ad un incidente o ad un problema riscontrato dal paziente, occorre in questa situazione disporre di una check-list composta da una serie di domande chiave per la verifica rapida delle competenze del paziente, in modo tale da poter intervenire sul gap esistente.
75
2.4 ESPERIENZE EUROPEE IN CUI SI RISCONTRANO MAGGIORI SUCCESSI. L’evoluzione ed il successo dei programmi di ET sono collegati ad alcune variabili socio-economiche determinanti, al tempo stesso vi è la necessità di dare un riconoscimento accademico ai programmi di formazione degli operatori che la adottano. Quindi le determinanti di un buon funzionamento dell’ET sono classificabili secondo cinque assi: •
Un preciso quadro legale e normativo
•
Un finanziamento significativo
•
Introduzione dell’educazione del paziente tra i criteri di qualità nelle attività mediche istituzionali e non
•
Lo sviluppo di programmi di formazione professionale di base e permanente per gli operatori
•
Un ruolo ed uno spazio crescente alle associazioni dei malati.
I Paesi Bassi sono senza dubbio il paese che ha maggiormente sviluppato l’educazione terapeutica integrandola nel suo sistema sanitario e nella sua politica di cure. Dall'inizio degli anni ’70, tre elementi sono stati alla base dello sviluppo e della diffusione dell'educazione del paziente50. Il primo riguarda i risultati dei grandi studi americani e inglesi sull'impatto biomedico ed economico dell'educazione del paziente, specie nella qualità ed efficacia della gestione delle malattie croniche. Il secondo è la crescente domanda di una migliore informazione sulla propria salute e situazione, emersa dagli studi sulla soddisfazione dei pazienti. Il terzo è l'impegno politico a favore dei diritti dell'uomo e, di conseguenza di quelli dei pazienti, i cui rappresentanti reclamano una maggior informazione e partecipazione alle decisioni.. Analoghi criteri sono stati anche integrati nelle raccomandazioni di buona pratica di tutte le professioni paramediche, inclusi fisioterapisti ostetriche dietisti ed altri; il rapido sviluppo di programmi di formazione all'educazione per la salute e all'educazione del paziente; un importante spazio accordato alle associazioni di pazienti, sia come portavoce di richieste che come attori, già i motori di iniziative concrete. Le associazioni hanno ottenuto un sostegno 50
Visser A Patient Education in Dutch Hospital, in “Patient education and Counceling” 1985, vol VI,4
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finanziario e sono così diventate il terzo partner della politica sanitaria. A livello pratico, l'esperienza l'arnese ha portato diversi insegnamenti: il più importante è l'evidenza degli effetti limitati di una educazione del paziente ridotta alla semplice informazione-istruzione del paziente, confrontata con un’educazione comprendente il consiglio e l'appoggio psicosociale e non limitata ai soli aspetti bio-medici. L'interesse della fattibilità di un'educazione del paziente interpersonale, di gruppo o di massa, che utilizza dei metodi di educazione collettiva in un ambito in cui era stata fino ad allora realizzata solo la comunicazione interpersonale (medico-paziente). Ciò significa riconoscere l'esistenza di punti e di interessi comuni in certe categorie di pazienti e, a poco a poco, di somiglianze fra discipline mediche(specie alivello della gestione dei pazienti cronici). Infine dai Paesi Bassi e nel concetto di “paziente esperto” o “esperto profano”che riconosce il vissuto l'esperienza dei pazienti come complemento indispensabile dell' “esperienza professionale” dei curanti, che consacra una visione partecipativa dell' educazione del paziente, in cui sia i pazienti che i curanti devono imparare ed insegnare. Anche la Svizzera vanta da più di vent'anni una ricca storia di educazione del paziente da un lato l'esperienza dell'Ospedale Cantonale Universitario di Ginevra ha rivoluzionato le pratiche di cura dei malati cronici e di formazione dei curanti. Dall'altro essa è all'origine di una puntualizzazione sul ruolo e la funzione terapeutica, facendo dell'educazione da parte integrante e indiscutibile delle cure, senza escluderne gli aspetti più ampi di educazione alla salute: Infine se l'educazione del paziente si è sviluppata partendo dalle iniziative private di istituzioni di cura e di formazione, è stata la domanda delle associazioni di pazienti e la loro pressione a far accettare alle compagnie di assicurazione sanitaria il finanziamento e il rimborso dell'educazione del paziente. In materia di pratiche e di valutazione, l'esperienza svizzera è stata molto innovativa riguardo alla multidisciplinarietà, alla multi- professionalità, all'approccio globale delle malattie croniche e all'integrazione degli aspetti pedagogici, psicosociali nell'atto clinico medico. Infine dal 1998 la Svizzera Romanza si è dotata di una formazione con diploma in educazione terapeutica e di un Centro Regionale di Educazione del Paziente, luogo di aiuto metodologico e di formazione. In Gran Bretagna sono stati sviluppati dagli anni ‘70 programmi di educazione, di
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ricerca e di formazione, grazie al sostegno del Centro Nazionale di Educazione alla Salute (Health Education
Authority). L'educazione del paziente è stata introdotta
ufficialmente nella politica sanitaria nel 1992 dal governo conservatore, come mezzo di contenimento dei costi della sanità e di riduzione delle complicanze delle maggiori patologie, quali le malattie cardiovascolari, il diabete o le
broncopneumopatie
croniche. Tale politica è stata ripresa nel 1998 dal governo laburista, ma in un'ottica di maggiore partecipazione responsabilizzazione dei pazienti nei riguardi della salute. D'altronde la medicina basata sulle evidenze si è sviluppata rapidamente e, nella stessa logica, si propone di sviluppare un'educazione del partente basata sulle evidenze, pure con la consapevolezza dei limiti di tale approccio poco propizio alle innovazioni. Un ulteriore importante sforzo è stato realizzato per integrare le raccomandazioni della ricerca educativa alle pratiche di cura. Infine recentemente sono state lanciate alcune interessanti iniziative. La prima è la creazione di 20 centri sperimentali di educazione del paziente, aperti e gratuiti. La seconda è una forma di accreditamento, attraverso l'attribuzione di un marchio di qualità agli strumenti pedagogici creati nelle strutture sanitarie. Tale marchio deve essere attribuito da un organismo nazionale, allo scopo di migliorare la qualità di opuscoli,deplianti ed altri indispensabili strumenti educativi. In Francia, da una decina d'anni si conta un numero crescente di esperienze nell'ambito dell'educazione altra gente. Nel sistema sanitario francese non c'è ancora un riconoscimento finanziario dell'attività di educazione del paziente, ma i progetti sperimentali si moltiplicano e sono sempre più sostenuti. Nel 1999,un’ inchiesta nazionale sulle pratiche di educazione del paziente negli ospedali mostra che nel 92% delle risposte c'è almeno un programma di educazione del paziente, con una media di più di quattro attività per ospedale. Il 72% delle attività riguardano le malattie croniche (diabete in testa) a livello dei responsabili ospedalieri il 93% ritiene che l'educazione del paziente sia un ambito importante per la loro istituzione e il 39% di essi prevede un budget per il suo sviluppo. A livello politico dal 1998 le cose si accelerano l'Alto Comitato per la Salute Pubblica (Haut Comité de la Santé Publique-HCSP) sottolinea la necessità di organizzare attività educative per i pazienti. La Conférence Nationale de Santé propone l'educazione del paziente cronico come tema per il 1990 . Nella legge sul finanziamento della sicurezza sociale, in un articolo rende possibile la retribuzione dei medici per l'attività di prevenzione e quindi di educazione del paziente. Infine la “guida
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degli accreditamenti ospedalieri” include l'educazione del partente come criterio di qualità; l'educazione del paziente cronico è stata definita come uno degli obiettivi prioritari HCPS. Nella formazione iniziale, gli infermieri sono i soli ad essere sensibilizzati all'educazione del paziente. Attualmente esiste una sola sede che offre un diploma in educazione del paziente, l'Università di Parigi XIII-Bobigy. l'Università di Lille organizza da poco un diploma, e molti moduli sono dedicati ad essa in più Università e organismi di formazione permanente, medica ed infermieristica. In Italia negli anni 60 sono sorte numerose iniziative di educazione del paziente in diabetologia esse si sono allargate alla fine degli anni ‘80 alla pneumologia poi all'oncologia e alle curepalliative. Con lo spostamento delle cure dall'ospedale all'assistenza ambulatoriale e del territorio, l'educazione del paziente è ufficialmente prevista fra le attività di vari operatori sanitari. Tale evoluzione strutturale è però ancora poco sviluppata nella formazione dei professionisti della salute e nella valutazione pedagogica, psicologica e clinica dell'educazione del paziente. Accanto alle collaborazioni esistenti con gli organismi di educazione alla salute, la prossima tappa sembra essere la creazione di centri di risorse e di formazione all'educazione del paziente, probabilmente a livello regionale. Anche la Germania, fin dagli anni’70 ha visto estendersi le pratiche di educazione del paziente al di là delle iniziative prese in ambito ospedaliero, con il sostegno compatto dell'industria farmaceutica e delle società di assicurazione. In medicina generale, l'educazione del paziente è oggi riconosciuta e la sua pratica finanziata, ma condizionata, in questo ambito, alla formazione medica continua. L'educazione del paziente qui fa parte della politica federale di prevenzione e di salute pubblica ed è inserita in varie università del paese, nella formazione iniziale degli operatori sanitari. Nei paesi Scandinavi, l'educazione del paziente è integrata nelle cure di base di malattie croniche come l'insufficienza renale, il diabete e le BBCO. Come l'educazione alla salute e la prevenzione primaria, essa è inclusa nelle attuali politiche di promozione della salute, della quale fa parte. Ciò è dovuto all'articolazione tra medicina ospedaliera e medicina del territorio e allo spostamento da un'educazione del paziente caratterizzata da un “istruzione” centrata sulla malattia, ad un' “educazione” centrata sulla persona malata e i suoi bisogni soggettivi. La nozione di “coping” (cioè il processo delle capacità di adattamento del paziente alla malattia) è qui preponderante. L'educazione
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del paziente è considerato una parte dell'educazione alla salute, della cultura sanitaria della popolazione, malata o sana. Un altro punto comune a questi paesi è l'esistenza di riferimenti normativi all'educazione del paziente, fondati anche qui sui principi di partecipazione sui diritti del paziente. In Svezia l'educazione individuale del paziente è integrata nelle cure, ma l'apprendimento in gruppo sembra realizzarsi in Circoli di Educazione Permanente,una pratica sociale di autoformazione. La valutazione di tali pratiche, per quanto riguarda i pazienti affetti da malattie croniche, mostra un netto miglioramento dell'autocontrollo e una diminuzione delle complicanze. La Finlandia sviluppa un'importante politica di sostegno all'educazione del paziente a motivo della prevalenza assai rilevante delle malattie croniche e della necessità di un'attiva di promozione della salute, in un sistema sanitario molto decentrato. L'educazione del paziente e l'educazione alla salute qui sono materia d'insegnamento nella formazione iniziale di tutti gli operatori sanitari. In Belgio, infine, l'educazione del paziente con una apparsa all'inizio degli anni’70, sull'esempio del Quebec, specie nella gestione della tubercolosi, seguita dalla diabetologia e da altre discipline mediche. Gruppo di Studio per una Riforma della Medicina raccomandava dal 1976 l'inclusione dell'educazione nelle pratiche di cura. Fino al 1982 si è sviluppata iniziativa privata di ospedali e di altri centri di cura. Successivamente il sostegno delle associazioni ospedaliere, poi del ministro della Sanità, ha permesso il finanziamento di un centro di sostegno metodologico e di formazione ( il Centro dell'Educazione del Paziente), al servizio di ospedali, progetti pilota, ricerche e formazione; è stato inoltre istituita la figura del “coordinatore dell'educazione del paziente” nell'ospedale. Il finanziamento dell'attività è stato parzialmente assicurato grazie a convenzioni fra dipartimenti ospedalieri e Ministero della Sanità, nel campo della diabetologia, della pneumologia. Il budget ospedaliero è il finanziamento principale. La medicina generale è stata l'unico promotrice del movimento, con l'eccezione di un centinaio di centri della salute che praticano una medicina integrata, curativa e preventiva. Il Centro dell'Educazione del Paziente ha avuto un ruolo di mediatore fra istituzioni di cura, di formatore in metodologia, di promotore di educazione del paziente e di informazione professionale. Infine la creazione nel 1984 di un'Unità di Educazione alla Salute nella facoltà di Medicina dell'Università Cattolica di Lovanio(diretta dal prof Deccache) e il suo rapidissimo
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orientamento verso l'educazione del paziente aperta a tutte le professioni sanitarie. Tale formazione oggi in procinto di diventare diploma europeo grazie alla stretta collaborazione con l'Università di Parigi XIII (diretta da D’Ivernois) e di Ginevra(diretta da Assal) vi è un legame evidente fra l'esistenza di una funzione di coordinazione, la promozione dell'educazione del paziente e lo sviluppo delle pratiche. Infine se il Belgio fiammingo ha scommesso sullo sviluppo delle associazioni di paziente sul finanziamento della segreteria centrale, il Belgio francofono ha promosso lo sviluppo di reti ospedaliere di associazioni professionali che sono motivo di sviluppo e promozione dell'educazione del paziente. La panoramica europea sarebbe incompleta senza un accenno al ruolo delle istituzioni e le organizzazioni internazionali Da parecchi anni l'OMS si è a più riprese impegnate a favore dell'informazione dei pazienti. Gli obiettivi della “Salute per tutti nell'anno 2000” fanno esplicito riferimento la necessità della gestione delle malattie croniche considerate un obiettivo di salute prioritario (obiettivi 5 e 16). L'ufficio europeo dell'OMS milita in favore dei diritti dei paziente della loro concretizzazione nei testi di legge e nelle pratiche nazionali. Nel 1994 ha esplicitamente associato l'educazione alla salute e l'educazione del paziente ai diritti dei pazienti51. Esso sostiene attivamente le iniziative di miglioramento della qualità delle cure e destato l'origine del progetto ospedali motori di salute ed è riavvicinamento di cure prevenzione. Infine nel 1998 l'ufficio regionale europeo dell’OMS è stato l'organizzatore di un'ampia consultazione professionale europea, che ha avuto come risultato la formulazione delle raccomandazioni sia generali che pratiche in tema di educazione terapeutica del paziente. L'Unione Europea e la sua Commissione hanno largamente sostenuto e finanziato programmi pilota di ricerca e sviluppo in materia di gestione di Aids e nel campo della medicina generale. Tuttavia le malattie croniche non sono considerate come soggetti prioritari e il sostegno all'educazione del paziente resta ancora molto modesto. il Consiglio d'Europa, a partire dal 1979, ha formulato e pubblicato una carta europea dei diritti dei pazienti, con inclusi chiari riferimenti all'informazione dei pazienti e alla qualità delle sue cure. Infine l'ufficio europeo dell'Unione Internazionale di Promozione di Educazione della Salute è stato molto attivo in materia di educazione del paziente, sostenendo il progetto “Ospedali promotori di Salute” ed includendo una parte di educazione del paziente in ogni sua 51
WHO Europe Therapeuting patient education-Continnuing education programmes for healthcare providers in the field of chronic dideases, Copenhague, 1998
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manifestazione, soprattutto sotto la presidenza olandese. La Conferenza Mondiale di Prevenzione alla Salute tenutasi a Parigi nel 2001 ha compreso una sezione permanente sull'educazione del paziente. Le linee di sviluppo dell'educazione del paziente sono diverse tutte includono uno o più dei seguenti elementi: modifiche alle leggi e regolamenti, l'iscrizione della prevenzione dell'educazione della politica sanitaria, cambiamenti organizzativi, formazione iniziale e continua degli operatori sanitari, finanziamento pubblico, sostegno alle associazioni di paziente agli organismi professionali, promozione finanziamento di ricerca di programmi pilota di valutazione. Questo quadro è schematico e omette numerose iniziative e descrizioni di esperienze di paesi europei. Tuttavia possiamo dire che questi sono i principali avvenimenti che hanno portato allo stato attuale dell’educazione del paziente e a questo titolo è globalmente rappresentativo della situazione europea. Al di là delle differenze di sistema, soluzione, velocità o durata, è indubitabile che l’educazione del paziente è in via di generalizzazione, sia nella gestione delle malattie croniche, sia in tutte le situazioni in cui il paziente può giocare un ruolo e la sua partecipazione può migliorare i risultati delle cure e quindi la sua salute. 2.5 ALCUNI STUDI RIGUARDANTI ESPERIENZE ITALIANE Nel nostro paese, l’ET ha fatto il suo esordio in ambito alla cura dei malati di diabete negli anni ’60. Nel 1980 è nato il G.I.S.E.D. (Gruppo Italiano di Studio per l’Educazione al Diabete) e nel 1987, la legge n°115 e il patto Stato-Regioni, 1991, ha riconosciuto formalmente il ricorso all’ET nell’assistenza ai malati diabetici. Oggi l’educazione dei diabetici è diffusa in tutto il nostro paese. Per quanto riguarda i malati d’asma, le “scuole dell’asma” hanno aperto la strada all’educazione in campo pneumologico. Negli anni ’80 il GEPOR (Gruppo per l’Educazione nella Patologia Ostruttiva Respiratoria)introduce l’educazione terapeutica fra i malati asmatici. Nel 2004 i centri di pneumologia di Bologna, Siena, Napoli, Tradate, Rivolta d’Adda, La Spezia hanno dato vita ad una rete cooperativa per l’ET dei broncopneumopatici. In uno studio randomizzato controllato52 condotto presso l’ospedale di Torino, Medicina Interna, su un campione di 112 pazienti affetti da diabete tipo 2 non-insulino52
Tutor, vol 3, numero 3,2003
82
dipendenti; suddivisi in due gruppo di 56. Per 56 di essi erano previsti 6 interventi di ET della durata di un’ora, per gli altri (il campione di controllo) continuavano le visite individuali. Tutti i soggetti sono stati visti ogni 3 mesi. Le condotte di riferimento di salute migliorano dopo i e II anni rimanendo stabili nel tempo mentre peggiorano nel gruppo di controllo. Le condotte vengono acquisite in modo graduale con tendenza alla stabilità, mentre peggiorano in modo irreversibile nel controllo. La qualità di vita migliora solo dopo 2 anni dall’intervento; mentre nelle visite individuali si osserva un lento e progressivo peggioramento della qualità di vita. Si desume che setting pedagogico-educativi favoriscono l’apprendimento a medio e lungo termine e l’acquisizione di nuove condotte di vita migliorandone la qualità. La Regione Veneto, per quanto riguarda l’educazione terapeutica del paziente diabetico ha iniziato la sua attività di formazione nel 1969, muovendosi secondo la triplice direzione di: educazione sanitaria, come prevenzione primaria; individuazione soggetti a rischio; la cura e la formazione all’autocontrollo ed all’autogestione del diabete (educazione terapeutica) Nel 1991 si è dato il via a una nuova esperienza: sono iniziati I corsi intensivi continuati per diabetici presso la Divisione Malattie del Ricambio. L’esperienza è stata riconosciuta con l’approvazione della Regione Veneto di un progetto-obiettivo Progetto pilota integrato per la tutela della salute del diabetico (1994-1997) Presso la Cattedra e Disione di Reumatologia dell’Università di Padova è stato condotto uno studio su 81 pazienti ambulatoriali affetti da LES( lupus eritematoso sistemico); come gruppo di controllo è stato reclutato un gruppo di 20 volontari sani, simili ai pazienti per età, sesso e scolarità. In conclusione i pazienti affetti da LES con malattia ben controllata e senza gravi menomazioni funzionali, hanno QOL(qualità di vita) considerevolmente compromessa. La QOL è risultata correlata ai disturbi ansiosodepressivi. E’ quindi probabile che la sola consapevolezza di essere affetti da una malattia cronica ed il timore di un’imprevedibilità lungo il suo decorso determinno un’incremento dei livelli di ansia e depressione,tale da compromettere la QOL53. L’ adozione di una dieta corretta54 costituisce per molti pazienti diabetici il problema più difficile. Sono stati arruolati 48 pazienti e di tipo I (29 m, 19 F, età media 27 ± un anno, durata media della malattia 11 ± un'anno), suddivisi in 5 gruppi, hanno 53
A”Educazione terapeutica” una risorsa per malati e curanti” a cura di E: Rossato, A.M. Rigoli, G.Boffo, L.Bonadoiman., R. Marcolongo ed Isfos Marsilio, 2001 54 Crazzolara, Divisione Malattie del metabolismo AO di Padova
83
partecipato a quattro incontri educativi, interattivi i cui detti pedagogici erano: finire il ruolo principale di carboidrati, lipidi, alcol; identificare gli alimenti in cui tali nutrienti sono contenuti; calcolare il contenuto di carboidrati nei diversi alimenti; frazionare gli zuccheri nella giornata; comporre menù equilibrati; adottare un comportamento corretto in caso di ipoglicemia. Prima del corso, alla fine e sette mesi dopo, sono state valutate le conoscenze acquisite mediante un questionario, il comportamento alimentare mediante un diario alimentare, l’è di effetto dell'educazione sul controllo metabolico mediante la valutazione di alcuni parametri metabolici. Dall'analisi dei risultati è emerso che dopo il corso è migliorato il livello di conoscenza,(p<0.0001) è aumentato il numero di pazienti che pesava “sempre” gli alimenti contenenti carboidrati (p<0.01); li frazionava correttamente durante la giornata (p<0.05), ne calcolava il contenuto esatto in carboidrati (p<0.05). Il peso corporeo si è modificato in mente,7 mesi dopo il corso, vi è stato un significativo miglioramento dell'emoglobina glicosilata. (p<0.005) Invariato è rimasto il fabbisogno insulinico. La frequenza di episodi ipoglicemici non è variata, ma è significativamente migliorata la capacità di trattarli correttamente (p<0.0001). Imparare a gestire il proprio trattamento, in particolare ad adattare le dosi di insulina, rappresenta una delle maggiori difficoltà incontrate dal paziente diabetico Presso l'azienda ospedaliera di Padova sono stati pianificati due incontri educativi con i seguenti obiettivi pedagogici: eseguire l'iniezione di insulina, definire l'obiettivo glicemico, interpretare la presenza di glicosuria ed acetonuria, dare le cause di ipoglicemia e iperglicemia. Gli incontri sono stati condotti attraverso esposizioni interattive, attività pratiche e di studio di casi clinici simulati. Hanno partecipato agli incontri 48 pazienti diabetici di tipo I (23F/25M, di età media pari a 29,5 anni con durata di malattia superiore ai 12 anni) suddivisi in gruppi di 8-12 persone. Un questionario somministrato insieme a casi clinici simulati, ha permesso di valutare, prima e dopo il corso, le conoscenze dei pazienti e la loro capacità di adattare le dosi di insulina. Dall'analisi dei risultati è emerso che le conoscenze necessarie per gestire la terapia insulinica sono significativamente migliorate dopo il corso (p<0.05); al contrario le capacità di adattare correttamente le dosi di insulina in condizioni simulate sono migliorate solo per quanto riguarda l'adattamento delle dosi sulla base dei valori glicemici, ma non sono variate per quanto riguarda l'adattamento delle dosi in caso di
84
attività fisica o di situazioni complese. In conclusione le nozioni necessarie per gestire la terapia insulinica, risultano facili da insegnare e da apprendere. L'adattamento tuttavia delle dosi di insulina richiede metodi d'insegnamento specifici e molto più tempo di quanto non sia necessario per trasferire delle semplici conoscenze.. Anche per quanto riguarda il paziente infartuato la componente ansiosa può compromettere l’adesione alla terapia, , presso il Dipartimento di Cardiologia è stata avviata un’esperienza di educazione terapeutica. Si tratta di un programma che, partendo dalla diagnosi educativa, dalla conseguente formulazione degli obiettivi, ha adottato metodologie didattiche quali il metaplan, il brainstorming, lavoro di gruppo, problem solving, discussioni. Al termine del percorso e nelle successive visite il medico ha rilevato dei cambiamenti di atteggiamenti e comportamenti rispetto al modo di vivere e di gestire la propria malattia.
2.6 LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI La formazione continua generale del personale sanitario rappresenta l'applicazione di diverse normative di riferimento: •
DLgs 502/92
e successive modificazioni interviene in materia di formazione
continua definendo finalità, soggetti, destinatari e modalità di attuazione •
Circolare n°14 del 24.4. 95 Ministero Funzione Pubblica destinazione formazione dipendenti di P,A 1% del monte salari
•
C.C.N.L.
dirigenza
medica,
area
comparto,
dirigenza
sanitaria,
tecnica,
professionale •
Decreto Ministeriale del 7 dicembre 2001 Accordo Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 sull’ ECM e sugli obiettivi per il quinquennio 2002 2006
•
Circolare del ministro della salute 5 marzo 2002
•
Decreto Ministeriale 5 luglio 2002
•
Legge 27 dicembre 2002, n 289 ( finanziaria del 2003)
•
Accordo Stato Regioni del 13 marzo del 2003
•
Criteri e modalità per l’accreditamento dei Provider e la formazione a distanza
•
Piano Sanitario Nazionale 2003- 2005 e successivi
85
•
Conferenza Stato Regioni 1 agosto 2007: riordino del sistema di formazione continua in medicina
La formazione continua intesa come lifelong learning si caratterizza così in Sanità come un diritto-dovere dell’operatore sanitario, con l’espletamento di un’attività che dura tutto il periodo della vita lavorativa. Fra le posizioni organizzative, in varie realtà, rientrano figure quali l’animatore di formazione dipartimentale, con compiti di rilevazione del fabbisogno del personale e progettazione di interventi formativi atti a colmare le carenze riscontrate; ed il tutor con funzioni di addestramento dei nuovi assunti e rispetto agli studenti in tirocinio. Nel 1998 l’OMS ha stilato il documento Therapeutic patients education: contuining education programmes for health providers in the field of prevention of chronic disease. Questo documento è stato realizzato da un gruppo di esperti europei provenienti da diverse specialità che implicano l’assistenza ai malati cronici e da tre centri che collaborano con l’OMS, tutti specializzati nel campo dell’educazione in medicina: l’ospedale universitario di Ginevra (all’interno del quale lavora Philippe Assal, ritenuto il fondatore dell’Educazione terapeutica) il Dipartimento di pedagogia delle scienze della salute dell’Università Paris-nord (diretto dal prof d’Ivernois) e l’unità di educazione sanitaria della facoltà di medicina dell’Università cattolica di Lovanio, Belgio, prof Decacche. Il contenuto di tale documento indica la necessità di implementazione di corsi di formazione per i professionisti sanitari tali da garantire loro gli standard che li mettano in grado di pianificare, implementare e valutare l’alta qualità dell’educazione terapeutica,secondo due tipi di criteri: •
Risultati attesi dell’assistenza al paziente
•
Qualità dei processi educativi.
Le professioni sanitarie debbono lavorare sulla base di criteri scientifici evidence based, occorre lo sviluppo di una cultura orientata alla ricerca di soluzioni sostenute da una ricerca scientifica rigorosa. I fattori chiave per l’affidabilità di tali ricerche riguardano: appropriati approcci di ricerca, chiare definizioni dello scopo dello studio e delle variabili. tecniche di campionamento spiegate in modo chiaro e giustificate, interventi educativi descritti in modo chiaro per poter capire esattamente che cosa è stato fatto. Per quanto riguarda la formazione
universitaria di base e specialistica il Quadro
86
normativo di riferimento. In Italia, l’attuale formazione delle figure sanitarie si colloca in un quadro generale di mutamenti che hanno investito sia il Servizio Sanitario Nazionale, sia l’intero sistema universitario. Nello specifico, la riforma universitaria (realizzatasi negli anni ’90) è stata dettata dalla necessità di equiparare e armonizzare il sistema italiano al modello europeo. Il distacco dal precedente assetto formativo e, l’ingresso nel mondo accademico, non è stato semplice e ha visto il concretizzarsi di un profondo cambiamento delle norme inerenti l’esercizio professionale. Se volgiamo lo sguardo al passato ci rendiamo conto che dal Regio Decreto Legge n° 1832 del 1925, prima normativa statale che prevede l’istituzione delle Scuole convitto per infermieri con corsi della durata di due anni e, un terzo anno per l’abilitazione a funzioni direttive, al D.P.R. n° 867 del 13/10/1975 che prevede la modifica degli ordinamenti didattici con un percorso formativo di tre anni a cui si accede con il biennio di scuola media superiore, sono passati 50 anni. In questi cinquant’anni, lunghi e faticosi, molti colleghi si sono adoperati affinché nel 1971 (L.n° 124 del 25/2/’71) le scuole fossero aperte al personale maschile: cade la denominazione di Scuola convitto e acquista la denominazione di Scuola per Infermieri Professionali , cessando l’obbligo dell’internato. L’Accordo di Strasburgo del 25/10/ 1969, recepito successivamente con la L. n° 795 del 1973, getta le basi per una formazione infermieristica attinente ai dettami comunitari. La vera svolta avviene però dai primi anni ’90.
GLI ANNI NOVANTA. Legge n°341 del 9/11/1990
La riforma degli ordinamenti didattico universitari ha consentito di istituire i percorsi universitari triennali, aprendo l’opportunità
della
formazione
universitaria per le professioni sanitarie; Decreto MURST 2/12/1991
Istituisce il diploma universitario in Scienze infermieristiche. In allegato al decreto è inserita la tabella XXXIX-ter,
87
contenente le norme generali del DUSI e il relativo ordinamento didattico. Resta comunque
in
vigore
la
precedente
formazione regionale, mantenendo un “doppio canale” per il conseguimento del titolo di infermiere; D.lgs n°502 del 30/12/1992
Sancisce il definitivo passaggio alla formazione universitaria.
E s.m.
L’ammissione ai corsi è possibile solo con il Diploma di scuola media superiore ( 5 anni);
D.M. n° 739 del 14/9/1994
Decreti
Ministeriali
D.M. n° 740 del 14/9/1994
l’individuazione delle figure e, del relativo
D.M. n° 70 del 17/1/1997
profilo
professionale
concernenti dell’Infermiere,
dell’Infermiere Pediatrico e dell’Ostetrica. Analoghe definizioni saranno in seguito stabiliti
anche
per
gli
altri
profili
professionali; Decreto Interministeriale
Rivede la denominazione del titolo che
(MURST, MS) del 14/7/1996
diventa
“diploma
universitario
per
infermiere” ; Legge n° 42 del 26/2/1999
Sancisce che il campo di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie è determinato dai Decreti istitutivi dei profili, dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post base e dai Codici deontologici. La legge, inoltre, abroga il mansionario e sostituisce la denominazione “ausiliaria” con quella di “professione sanitaria”;
Decreto MURST n° 509/1999
Ridefinisce gli assetti e l’autonomia del sistema universitario. La nuova architettura dei percorsi formativi viene infatti scissa in
88
due distinti cicli: 3 anni laurea triennale+ 2 anni laurea specialistica ( 3+2). Le università possono inoltre attivare Master di 1° e 2° livello, nonché corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente.
GLI ANNI DUEMILA L. n° 251 del 10/8/2000
Disciplina
le
professioni
sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione in 4 settori, anticipando i futuri ordinamenti universitari in classi. Tale classificazione sarà poi perfezionata con il D.M. del 29/3/2001.
Riconoscimento”formale” della dirigenza per
gli
infermieri
e
degli
altri
professioni sanitari. Decreti MURST,MS
Istitutivo
delle
classi
delle
Lauree
del 2 APRILE 2001
Specialistiche delle professioni sanitarie e, i relativi ordinamenti formativi dei corsi di laurea triennale.
L. n°1 del 8/1/2001
Stabilisce che i professionisti in possesso dei titoli di studio rilasciati con i precedenti ordinamenti possano accedere alla Laurea di secondo livello. Attribuisce valore ai Master ai fine della progressione di carriera e agli altri corsi Post-base.
Decreti MIUR 2004
Nell’anno
09/07/2004
vengono attivate le Lauree Specialistiche
27/07/2004
delle professioni sanitarie con definizione
01/10/2004
dei posti, delle modalità e dei contenuti
08/10/2004 Decreto MIUR n° 270
accademico
2004-2005
delle prove di ammissione. Introduce i seguenti cambiamenti:
89
22/10/2004
•
percorso a Y ( che sostituisce i 3+2 del D.M. 509/’99) con interruzione tra 180
crediti richiesti
per
la
i
Laurea
triennale di 1° livello e, i 120 crediti previsti per la laurea specialistica; •
cambia la denominazione da “Corso di laurea specialistica” in “Corso di laurea magistrale”
•
nessuna modifica viene apportata ai precedenti corsi formativi.
L. n° 43 del 01/2/2006
Disposizione in materia di Istituzione degli
ordini
e
dei
relativi
Albi
professionali e regolamentazione della funzione
di
coordinamento
per
lo
svolgimento della quale è necessario il possesso del Titolo di Master di 1° livello in management ed esperienza triennale nel profilo di appartenenza. Decreti Ministro MUSSI
Introducono tutta una serie di modifiche
Anno 2007
sia per quanto riguarda le Lauree triennali che per le L. Specialistiche. Vengono ridotti il numero
delle classi e il numero
degli esami. Vi è il riconoscimento delle esperienze pregresse ai fini dell’accesso alle Lauree magistrali (max 40 crediti); vengono introdotti i requisiti minimi per la docenza. Accordo Conferenza
Stila
norme
riguardanti
Stato/Regioni
formazione della funzione di coordinamento
01/8/2007
per i profili delle professioni sanitarie.
Decreto del Presidente
Normativa concorsuale per l’accesso alla
del Consiglio dei
qualifica unica di Dirigente delle professioni
Ministri del 25/1/’08
sanitarie
infermieristiche,
l’accesso
tecniche,
e
la
della
90
riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica. Fra i
requisiti specifici
di ammissione viene richiesto il possesso della Laurea specialistica/magistrale della classe relativa alla specifica area. Codice Deontologico degli Infermieri
Sostituisce
del 21/1/2009
12/5/1999. Entrato in vigore subito dopo la sua
il
precedente
presentazione
al
XV
Codice
del
Congresso
Nazionale IPASVI (Firenze 26/28 Febbraio 2009) Rivisto e snellito, rispetto al precedente, definisce i principi etici della professione. Le norme deontologiche contenute nel
codice
sono vincolanti.
Per quanto riguarda la formazione all’Educazione Terapeutica, si può considerare che tale approccio alla cura è un percorso quasi obbligato. anche in Italia come “corpus scientifico”, nuova concezione bio-psico-fisica della malattia. Un investimento sulla formazione di base delle nuove generazioni è un percorso in parte già tracciato ed introdotto nel sistema formativo italiano. Materie quali la pedagogia, la psicologia, l’antropologia, la sociologia sono già inserite nei programmi di studio, ma con programmi generici, non finalizzati al campo terapeutico, se non nell’ambito della relazione malato-professionista (ed in genere studiate con relativo disinteresse). L’insegnamento dell’ET può coniugare le materie “umanistiche” con la scienza medica,(Medical Humanities) rendendo, in tal modo, più interessante e motivante lo studio
91
La malattia è il dottore a cui si dà più ascolto: alla gentilezza ed alla saggezza noi facciamo soltanto delle promesse; al dolore, noi obbediamo. Marcel Proust
CAPITOLO 3 - EDUCAZIONE TERAPEUTICA IN OSTETRICIA 3.1 UN SISTEMA SCIENTIFICO PER ORGANIZZARE SISTEMATICAMENTE PRATICHE GIÀ UTILIZZATE EMPIRICAMENTE: L’AVER CURA QUALE FONDAMENTO DELLA MIDWIFERY I principali riferimenti normativi che in Italia attualmente regolamentano la professione ostetrica sono rinvenibili nel: 1. Decreto Ministeriale n° 740 del 14 settembre 1994 istitutivo del relativo profilo professionale; 2. Ordinamento didattico del Corso di laurea triennale per la professione sanitariaostetrica, nonché della formazione post-base (legge n° 251 del 10 agosto 2000); 3. Codice Deontologico approvato dal Collegio nazionale nella seduta del 10/11 marzo 2000; 4. Decreto Ministeriale del 2 aprile 2001che regolamenta l’accesso alla laurea specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche; 5.
Bozza revisione codice deontologico approvato dal comitato centrale F.N.C.O. del 31 luglio 2009,
art 1.1 In ambito ostetrico-neonatale - ginecologico, l'ostetrica/o si pone come obiettivo ogni intervento volto alla promozione, tutela e mantenimento della salute globale della persona rispetto agli eventi e fenomeni della sfera sessuale/riproduttiva relativi al ciclo vitale (nascita, infanzia, adolescenza, periodo fertile, gravidanza, parto, climaterio e menopausa ), con piena autonomia e responsabilità per quanto è di sua competenza; art 1.2 Al fine di promuovere il recupero della salute della donna, del neonato e della famiglia,della comunità, le cure ostetriche si integrano con le attività di altri professionisti: durante l' evoluzione della gravidanza patologica, il travaglio/parto distocico e in tutto il puerperio patologico; - nell'attività di prevenzione socio-sanitaria, anche sessuale e di riabilitazione; - di fronte a qualsiasi evento patologico neonatale e ginecologico;nei percorsi diagnostico-terapeutici nell’ambito della medicina materno-
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fetale, ginecologica e neonatale; nell’assistenza al neonato patologico; negli interventi di salute pubblica; nell’attività di assistenza alla procreazione ai sensi della L.40/2004 e relative Linee Guida. Per definizione, quindi, l’attività ostetrica va ben oltre il periodo della gravidanza e l’espletamento del parto e la relativa conoscenza e competenza che ella deve esprimere riguarda tutte le situazioni di eventuale malattia della donna rispetto al suo ciclo biologico. Per quanto concerne l’attività di educazione sanitaria, a tutt’oggi le professioniste dei consultori familiari presenti nel territorio impiegano molti sforzi e gran parte delle loro attività in questa direzione al punto che gli screening per il carcinoma del collo uterino hanno portato, salvo rari casi, a considerare quasi del tutto vinta la battaglia contro questa patologia. Molto si può fare per quanto riguarda l’educazione terapeutica; essa può essere prevista in tutte le situazioni patologiche, quali riabilitazione nei tumori della sfera genitale femminile, disordini di vario genere nel periodo climaterio-menopausa, e nella riabilitazione del perineo nel periodo pre - natale, post - natale, con follow - up a distanza, oltre ovviamente nella senilità, laddove esista incontinenza urinaria e/o fecale o prolasso genitale. Perché la professionalità si arricchisca di competenze comprensive di nuovi saperi, occorre che alla formazione di base venga collegata per tutto il periodo di esercizio dell’attività una formazione continua, intesa non solo come approfondimento di temi già noti, bensì come acquisizione di saperi trasversali. Quando parliamo, in modo particolare di educazione, alla salute ed educazione terapeutica ci riferiamo all’insieme di conoscenze pedagogiche e psicologiche di base necessarie per l’attuazione di interventi. L’inserimento di programmi formativi di base che comprenda tali argomenti appare evidente sia per creare una mentalità “di base” delle professioniste, un habitus mentale, che conveniente ragionando in termini di costi della formazione. Un sapere già noto55 ma non strutturato è quello che inconsapevolmente da “sempre” le ostetriche fanno: svolgendo attività di counceling informale, “le quattro chiacchiere con l’ostetrica”, nei loro ambiti di lavoro, con le donne che chiedono informazioni riguardo 55
Perazzola R., Le competenze mancanti per una reale autonomia professionale ostetrica, Donna e donna, 1996, 4/15
93
alle questioni più disparate “c’è qualcosa per le scalmane?” “sai che ogni tanto faccio la pipì addosso, cosa può essere?” “lavandomi ho sentito di nuovo un nodulo al seno!”etc , è necessario valorizzare il contenuto degli interventi sanitari, strutturandoli, in modo tale che il sapere diventi “condiviso” e “metodologia di lavoro comune”. In questo senso le competenze trasversali (clinical humanities) danno un valore aggiunto alle competenze tecnico - professionali: fornendo metodi e strumenti per dare maggiore visibilità, efficacia ed appropriatezza all’attività terapeutica. Infatti l'oggetto che specifica e connota la midwifery è: l’ "avere cura" della donna, gestante, puerpera e di tutte le fasi della sua vita. Questa "cura" va pensata prevedendo una formazione puntuale e continua con l’ acquisizione di metodiche da praticare nell’ottica del falsificazionismo popperiano (Popper, 197256) ossia, nella consapevolezza che esse non sono eterne ma perfettibili, se non proprio superabili da successive innovazioni specifiche. Se ripartiamo dal significato etimologico del termine cultura, evidenzieremo un duplice significato. Infatti colere (da cui “cultura” deriva) può essere tradotto come: curare, onorare, esercitare, quindi coltivazione dell'uomo, degli individui ad opera del gruppo sociale. Però ha anche l'altro significato di: aver cura, avere a cuore, che è quel sentimento d'amore che insieme alla conoscenza definisce meglio il suo senso e il suo compito. I due significati, pur se tra loro interdipendenti, sono profondamente diversi, perché mentre la coltivazione indica un atteggiamento professionale formativo nel senso lato del termine, che potrebbe essere emotivamente indifferente e, quindi, anche risolversi in una semplice trasmissione di sapere, il secondo vuol dire avere a cuore il destino di una Persona (nel caso dell'ostetrica spesso anche di due contemporaneamente: gestante e feto) e richiede una formazione che deve avere cura dell'altro, non nel senso di sapere già quello di cui l'altro ha bisogno, ma nel senso di rispetto per l'umanità che è in ognuno, di amore verso l'altro, di bildung. (Calaprice, 2004) 57 Tuttavia, l'aver cura rischia di assumere una funzione secondaria rispetto alle questioni tecnico-specialistiche, mentre su di essa bisogna tenere alta l'attenzione e la tensione. Perché è essa che dà il senso all'azione e alla formazione (professionale) continua dell'ostetrica. 56 57
Popper K. R., Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1972 Calaprice S., Alla ricerca d’identità. Per una pedagogia del disagio, Ed. La Scuola, Brescia, 2004
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Allora, in un sodalizio "impensabile e innovativo" che valorizza l'interdisciplinarità delle scienze, le scienze ostetriche58 possono ben attingere da certa pedagogia contemporanea le ragioni fondanti dell'aver cura. Se la prospettiva pedagogica è quella che partendo dall'uomo, dalla relazione dell'uomo con se stesso, con gli altri, con il mondo, permette di dare senso all'attività formativa, allora la professionalità ostetrica non può che essere fondata su questa prospettiva che contiene in sé il riferimento all'esercizio responsabilmente creativo dell'attività lavorativa in cui si contemperano aspetti di autonomia e autorganizzazione individuale assieme a forme di azione collettiva.
3.2 UN CAMPO DI POSSIBILE APPLICAZIONE: LA RIABILITAZIONE DEL PERINEO NELLA PREVENZIONE DELL’INCONTINENZA URINARIA Occuparsi della salute della donna significa predisporre piani di promozione e prevenzione in tutte le fasi del ciclo vitale in cui avvengono cambiamenti dal punto di vista fisico, psicologico e sociale. Nelle fasi del ciclo vitale rientra la gravidanza, il parto, l’allattamento. L’area perineale è l’area corporea in cui la donna legge ed osserva i cambiamenti che avvengono nella sua vita, divenendo elementi determinanti per la costruzione della identità femminile. L’area perineale e le sue funzioni sono misconosciute e, addirittura, non trascritte nella raffigurazione della corteccia cerebrale della donna. La zona perineale viene destinata ad assicurare gli istinti di conservazione della specie e l’organizzazione rimane prevalentemente sotto l’influenza del Sistema Nervoso Vegetativo. La diffusa mentalità corrente abitua la donna a non fare attenzione all’area del perineo pelvica, oppure ad essa vengono date valenze affettive o genitali. È un’area corporea estremamente importante, dunque, ma di cui si parla poco e che è misconosciuta, tanto che nel passato le problematiche della funzionalità perineale ed in particolare della funzione di continenza e di sostegno, venivano considerate dalle donne come una
58
Marra A., Il ginecologo e l’ostetrico. Diritti, doveri, e responsabilità, Passoni editore, Milano, 2003
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prerogativa del loro essere madri o semplicemente donne. Tematiche quali l’incontinenza urinaria (IU) e/o il prolasso uterino venivano e sono tuttora accettate passivamente dalle donne in quanto, pur influenzando la qualità della vita, non ne comportano un rischio. L’IU impone un significativo impatto psico - sociale sugli individui, le loro famiglie e gli operatori sanitari. L’IU porta alla perdita di auto- stima e alla diminuita capacità di mantenere uno stile di vita indipendente L’incontinenza urinaria viene definita come la perdita involontaria di urina attraverso il meccanismo sfinterico, dimostrabile oggettivamente, in luoghi e/o tempi inappropriati tali da costituire un problema igienico e sociale (International Continence Society). Rappresenta un sintomo, un segno ed una condizione. Sebbene affligga in particolare la popolazione anziana, oltre i 60 anni di età, considerando nello specifico le persone non istituzionalizzate, ed il doppio delle donne rispetto agli uomini, questo non esclude la popolazione in età giovanile ed adulta. Come si vede dalla tabella seguente:
ETA’
MASCHI
FEMMINE
15 - 64
1,5 - 5%
10 - 25%
> 64
19%
38%
Conseguentemente, le uscite di casa, l’interazione sociale con amici e famiglia e l’attività sessuale potrebbero risultare limitate o addirittura del tutto evitate. Eventi significativi nella vita di una donna come la gravidanza, il parto o la menopausa rappresentano momenti chiave per lo sviluppo di alterazioni della statica pelvica e per l’instaurarsi di turbe vescica - sfinteriche. La continenza urinaria è definita come la capacità di rinviare a piacimento l’atto minzionale e di espletarlo in condizioni di convenienza igienico - sociale; quale risultato dell’integrità anatomico - funzionale delle vie urinarie inferiori. Nella donna è assicurata fino a quando la pressione uretrale è maggiore della pressione vescicale sia a riposo che in caso di attività, ne deriva che l’incontinenza è l’emissione involontaria di urina in luoghi e tempi non appropriati. Essa viene classificata come:
96
¾ Incontinenza da sforzo
(IUS)
¾ Incontinenza da urgenza
(IUU)
¾ Incontinenza mista
(IUS + IUU)
Nel trattamento dell’incontinenza è compresa un’anamnesi che tiene conto della disfunzione del muscolo perineale e delle abitudini minzionali della paziente ottenute facendole tenere un diario minzionale, dal quale poter verificare il numero degli episodi di incontinenza, la frequenza e l’intensità. PUNTI CHIAVE: ¾ L’incontinenza urinaria affligge milioni di persone, anche in età giovanile ed adulta ¾ L’incontinenza urinaria è un “peso” che grava sulla salute fisica e psicologica delle persone ¾ Le persone spesso non cercano aiuto a causa dell’imbarazzo che l’incontinenza crea loro oppure perché non sono informati che l’aiuto è disponibile ¾ Quando gli individui cercano aiuto, esistono evidenze che gli operatori sanitari sono spesso esitanti o mal preparati a discutere, diagnosticare e trattare il problema; non esiste una linea comune di gestione del problema ¾ Esistono varie possibilità di trattamento conservativo, ad hoc per ogni situazione sia clinica che in termini di qualità della vita che di possibilità funzionali e cognitive della persona ¾ Gli “outpatients” considerati nei diversi documenti sono prevalentemente persone senza deficit cognitivi e/o funzionali, di età adulta o anziana, donne o uomini ¾ Lo studio non è entrata nel merito dell’IU nei bambini, dell’IU extrauretrale e delle “vesciche neurologiche” ¾ Nella realtà sanitaria estera esistono almeno 3 livelli di approccio ostetrico/infermieristico alla valutazione e gestione dell’incontinenza urinaria: di base, mirato e specialistico, che corrispondono alla diversa preparazione e competenza dell’ostetrica/infermiere e alle diverse necessità assistenziali del paziente
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¾ Le maggiori organizzazioni ostetriche/infermieristiche riconoscono l’impatto dell’incontinenza urinaria nella società ed il ruolo vitale dei professionisti infermieri. È in progetto la stesura di una linea- guida infermieristica ¾ Esiste un urgente bisogno di educare operatori sanitari e pubblico circa questa condizione 3.2.1 IDENTIFICAZIONE DEL PERCORSO Fin dai tempi più remoti l’ostetrica si è occupata della salute della donna, compito che ha trovato nel Profilo Professionale una specifica formalizzazione. Relativamente alla conservazione della salute, l’educazione alla conoscenza di se, alla prevenzione ed ove presenti, alla riabilitazione dei disturbi dell’area perineo – pelvica, il ruolo dell’ostetrica è fondamentale. Questi interventi possono essere svolti produttivamente durante la gravidanza, il parto ed il puerperio, momenti in cui la donna è predisposta ad una maggiore attenzione alla cura di sé , poiché questa si riflette sul benessere del bambino. Operativamente è opportuno iniziare l’intervento contrastando l’atteggiamento passivo delle donne nei confronti di questi disturbi ed abbattere l’atteggiamento minimizzante e banalizzante dei sintomi con la pianificazione di provvedimenti preventivi, informativi ed educativi. A questo proposito è opportuno attivare un percorso che preveda, nell’ambito della gravidanza e primo puerperio: •
L’individuazione delle donne a rischio
•
Un’azione informativa – educativa
•
Una attività rieducativa- riabilitativa
3.3 BREVE ACCENNO DI ANATOMIA DEL PAVIMENTO PELVICO CHE COSA E’ IL PERINEO? E’ chiamato perineo il complesso dei muscoli striati scheletrici e delle fasce che chiudono inferiormente il bacino. Esso si trova nella profondità della regione perineale. I limiti superficiali della regione perineale sono: un apice anteriore, che corrisponde al
98
contorno inferiore della sinfisi pubica; un apice posteriore, che è dato dall’apice del coccige; due apici laterali, che sono le due tuberosità ischiatiche; inoltre, due lati anteriori, che rappresentano le proiezioni dei due rami ischio-pubici; due lati posteriori, che sono le proiezioni dei due legamenti sacro-tuberosi. I muscoli e le fasce che compongono il perineo sono disposti in tre piani che dalla profondità in superficie sono: il diaframma pelvico, il trigono urogenitale (o diaframma urogenitale) e il piano superficiale del perineo. DIAFRAMMA PELVICO Il diaframma pelvico, ha la forma di un imbuto, il cui punto più declive è attraversato dall’intestino retto. Esso divide la cavità della piccola pelvi in due parti: l’una superiore, che è la cavità pelvica, e l’altra inferiore, che sono le due fosse ischiorettali destra e sinistra. Il diaframma pelvico è costituito, in avanti, dal muscolo elevatore dell’ano e, in addietro, del muscolo ischio-coccigeo, muscoli che sono ambedue pari e simmetrici. E’ poi completato dalle fasce del diaframma pelvico. MUSCOLO ELEVATORE DELL’ANO Il muscolo elevatore dell’ano è una lamina muscolare nella quale sono distinguibili due parti: l’una anteriore, che è il muscolo pubo - coccigeo, e l’altra posteriore, che è il muscolo ileo - coccigeo. Il muscolo pubo - coccigeo ha origine dalla faccia interna del pube, di lato alla sinfisi pubica. Si porta in addietro e in basso, costeggiando con il suo margine la vagina. Raggiunto l’intestino retto, in parte si reca posteriormente a questo per congiungersi con il muscolo omonimo eterolaterale, in parte invece si addentra nello spessore dell’intestino retto medesimo, confondendosi con la sua tonaca muscolare; pertanto, contraendosi, esso comprime l’intestino retto dall’indietro e inoltre lo solleva. TRIGONO URO-GENITALE Il trigono uro-genitale (o diaframma uro-genitale), esclusivo della regione perineale anteriore, è un piano muscolo - fasciale che colma lo spazio compreso fra i due rami ischio-pubici, ai cui labbri postero - superiori esso si inserisce. Il suo apice, antero - superiore, giunge in vicinanza del contorno inferiore della sinfisi pubica; la sua base, postero - inferiore, arriva circa alla linea bis - ischiatica.
99
Il trigono uro - genitale è attraversato nel mezzo dall’uretra e, nella femmina anche dalla vagina. E’ formato dal muscolo trasverso profondo del perineo, che è pari e simmetrico, e dal muscolo sfintere striato dell’uretra, che è impari; è completato poi dalle fasce del trigono uro-genitale. PIANO SUPERFICIALE DEL PERINEO Il piano superficiale del perineo, nella regione perineale anteriore, è formato dai muscoli ischio - cavernosi e bulbo - cavernosi e dal muscolo traverso superficiale del perineo. E’ rappresentato, in corrispondenza della regione perineale posteriore, dal solo muscolo sfintere esterno dell’ano; tale muscolo circonda l’ano, immediatamente sotto alla cute. ANATOMIA FUNZIONALE DEL PAVIMENTO PELVICO Il pavimento pelvico ed i meccanismi della contenzione dei visceri e della continenza urinaria e fecale rappresentano oggetto di controversie e di studi. Certamente mantiene la propria validità la classica distinzione in strutture di sospensione e strutture di sostegno dei visceri pelvici, già da Bonney nel 1944 interpretate come costituenti una unità funzionale inscindibile. SISTEMA DI SOSPENSIONE Nel connettivo interposto fra peritoneo viscerale ed aponeurosi pelvica, costituente la cosiddetta fascia endopelvica, si organizzano vari legamenti che sospendono al cingolo osseo i visceri pelvici, questi legamenti nel loro insieme formano il sistema di sospensione. Per quanto riguarda la patogenesi dell’incontinenza urinaria da sforzo è molto importante il sistema di sospensione anteriore, riguardante la regione cervico - trigonale e l’uretra sopradiaframmatica. Ad esso concorrono le seguenti strutture: -
legamenti pubo - uretrali
-
legamento o fascia uretro - pelvica
-
arco tendineo del muscolo elevatore dell’ano
-
arco tendineo della fascia endopelvica (o linea bianca)
Soprattutto in questa area anteriore si assiste alla precisa integrazione anatomo funzionale tra strutture connettivali di sospensione e muscolo-fasciali di sostegno, quest’ultime costituite dai muscoli pubo - rettali e dal diaframma urogenitale.
100
SISTEMA DI SOSTEGNO La muscolatura costitutiva del pavimento pelvico, con le proprie aponeurosi, rappresenta il sistema di sostegno dei visceri pelvici e viene suddivisa in muscolatura del diaframma urogenitale e del diaframma pelvico. Sul nucleo fibroso centrale del perineo convergono due dei tre muscoli perineali superficiali (bulbo - cavernoso e trasverso superficiale del perineo), il muscolo trasverso profondo del perineo con le sue aponeurosi superficiale e profonda, ed i fasci anteriori e mediali dei muscoli pubo - rettali, con le loro aponeurosi. Per le sue inserzioni il nucleo fibroso centrale del perineo è un importante fulcro dinamico di sostegno delle pareti vaginali, della regione cervico - trigonale, dell’utero e del canale ano - rettale. Il diaframma pelvico è situato attorno al forame anale e assume la forma di un ferro di cavallo rivolto anteriormente, limitando un’area detta jatus urogenitale. Il diaframma pelvico è composto in superficie dallo sfintere striato dell’ano ed in profondità dai muscoli elevatori dell’ano, rivestiti superiormente dall’aponeurosi perineale profonda o fascia pelvica. Il diaframma pelvico è quindi costituito prevalentemente dal muscolo elevatore dell’ano che, negli animali quadrupedi pronogradi, ha la principale funzione di muscolo motore della coda. L’assunzione della postura eretta è stata accompagnata dalla perdita di tale funzione, ed il muscolo elevatore dell’ano è venuto ad avere una funzione completamente diversa in rapporto alla rotazione posturale della pelvi: man mano esso va perdendo la sua funzione originaria, va invece aumentando la sua funzione statica ed un grande numero delle sue fibre abbandona la connessione con il coccige venendo a passare attorno al retto a mo’ di ferro di cavallo. I muscoli elevatori dell’ano sono costituiti da due strati: -
uno strato esterno o sfinterico formato dai fasci pubococcigeo, ileo coccigeo ed ischiococcigeo;
-
uno strato interno o elevatore propriamente detto, costituito dal fascio pubo rettale.
Lo strato esterno prende inserzione antero - lateralmente dalla faccia posteriore del pube estendendosi fino alla spina ischiatica lungo l’arco tendineo dell’elevatore e si inserisce posteriormente nella regione retroanale sul rafe anococcigeo, sul margine laterale del
101
coccige e del sacro distale. Il tragitto di questi fasci è obliquo in basso, indietro e all’interno. Lo strato interno prende inserzione anteriormente e sulla faccia posteriore del pube all’interno del fascio esterno, si dirige in basso, indietro, quasi verticalmente e si inserisce posteriormente nella regione pre - e latero - anale sul nucleo fibroso centrale del perineo. Il muscolo pubo - rettale forma un vero arco muscolare, teso attorno ai visceri pelvici (uretra, vagina e retto) ed esercita, contraendosi, una duplice azione: contenitiva diretta, di tipo sfinterico, ed indiretta, mediata dall’accentuazione degli angoli uretro - vescicale, vagino - pelvico ed ano-rettali. Il fascio muscolare pubo - rettale rappresenta il principale elemento del sistema dinamico di sostegno, adempiendo a quattro funzioni principali: -
garantisce, contrastando il vettore di spinta addominale, il sistema di sospensione, proteggendolo da pericolose e ripetute destrazioni;
-
eleva il nucleo fibroso centrale del perineo, fino a farlo collimare con la regione istmocervicale durante gli aumenti improvvisi della pressione addominale (si comprende come una corretta proiezione tra queste strutture sia importante nel meccanismo di prevenzione dell’isterocele);
-
accentua gli angoli uretro - vescicale ed anorettale, assai importanti nella meccanica della continenza;
-
accentua l’angolo vagino - pelvico prevenendo l’ernia del Douglas.
102
Figura 1. Vista inferiore della regione perineale. 3.4 AREA PERINEALE ORGANO DELLA NASCITA Il perineo costituirebbe la metà della lunghezza totale del canale del parto, durante l’ultima fase del parto. Infatti, durante il periodo espulsivo, il canale varia la sua forma poiché vi è una forte distensione del III° inferiore della parete vaginale, ossia di quella parte connessa con i legamenti e con i muscoli trasversi ed elevatori. In situazione di riposo, i diversi gruppi di fibre muscolari dell’elevatore dell’ano e del perineo urogenitale confluiscono a raggiera dagli attacchi perimetrali sul bacino verso il centro. La stoffa di tale raggiera presenta, di tratto in tratto, delle duplicature secondo una disposizione embricata, per cui i gruppi di fibre si sovrappongono come tegole, formando pieghe per eccesso di tessuto. Al momento del parto il triangolo urogenitale inclina il centro verso il basso ed anteriorimente, mentre il triangolo anale inclina il suo centro verso il basso e
103
posteriormente. Le embricature si dispiegano, concedendo, così stoffa alla formazione del canale. Con il progredire del parto, quella che era una diposizione orizzontale, a raggiera si verticalizza progressivamente: in un primo tempo, le fibre si dispongono per formare un imbuto, successivamente quando la testa fetale è fuori dal bacino, esse si dispongono a formare un cilindro completamente muscolare. Tale disposizione permette ai muscoli elevatori di adattarsi meglio ai movimenti di sollecitazione e dilatazione da parte della testa fetale e a ciascun gruppo di fibre di funzionare come se fossero dita palmate di una mano, che con i loro movimenti agguantano la parte presentata e la inducono a muoversi secondo la necessità di progressione. Dai movimenti digitali di queste fibre e dal loro ritmo progressivo, deriva un effetto di presa sulla parte presentata capace di imprimere spinta e rotazione di avvitamento lungo il canale. Il succedersi di tale configurazione longitudinale dei muscoli elevatori permette l’evolversi della discesa finale della parte presentata e l’accompagnamento della sua seconda rotazione di posizione, quella sottopubica. Le fibre muscolari dell’elevatore venendo dall’alto verso il basso, durante la progressione della metà inferiore del canale, partecipano attivamente anche alla spinta espulsiva. Si può così affermare che è il perineo che guida attivamente la nascita; ciò smentisce la tesi che il perineo subisce passivamente le situazioni del parto. 3.5 LA RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO Nel puerperio si verifica l’involuzione degli organi genitali, dei legamenti uterini e dei muscoli del pavimento pelvico. I muscoli perineali con il parto hanno espletato la loro funzione espulsiva. Il passaggio del feto comporta delle modificazioni dei tessuti e dei muscoli anche quando i legamenti sono intatti. Di conseguenza l’apparato muscolare necessita di un attento controllo. Tradizionalmente la gravidanza e il parto sono sempre stati ritenuti fattori di rischio per l’incontinenza urinaria, in particolare per l’incontinenza urinaria da sforzo (IUS) che si configura con la perdita involontaria di urina che si manifesta in occasione di aumenti della pressione addominale conseguenti ad esempio a colpi di tosse, starnuti, manovra di Valsava o ponzamenti, sollevamento di pesi, esercizi fisici).
104
Non è infrequente nel post-partum una incontinenza transitoria, riferita nel 24 - 30% dei casi, con una IUS definitiva nel 3-10% delle donne che hanno partorito59. Si ipotizza che il danno perineale possa essere conseguenza a un traumatismo diretto sulle strutture muscolari - legamentose e sulle terminazioni nervose (danni al nervo pudendo che innerva i muscoli traverso - superficiale del perineo, ischiocavernoso e bulbocavernoso) indotte da sovraccarico dapprima, e dalla abnorme distensione poi, del perineo nel corso della gravidanza e del parto. Un assistenza è quindi doverosa in tutte le donne che partoriscono, senza distinzione di età, fattori di rischio, variabili socioculturali, numero di parti e tipo di episiotomia. 3.5.1 OBIETTIVI DELLA RIEDUCAZIONE PELVI - PERINEALE La rieducazione pelvi - perineale può essere definita come un insieme di tecniche specifiche non chirurgiche e non farmacologiche che bene si prestano al raggiungimento di quattro obiettivi: 1. Ginecologico: prevenzione e/o terapia della statica pelvica. 2. Urologico: prevenzione e/o terapia dell’incontinenza urinaria. 3. Colonproctologico: prevenzione e recupero della funzione ano-rettale. 4. Sessuologico: positiva ripercussione sulla quantità e qualità di vita sessuale. Interessati alla riabilitazione sono i muscoli perineali, in particolare il muscolo elevatore dell’ano principalmente nella sua porzione pubo - coccigea. Alla componenete tonica del muscolo che rappresenta il 95% della massa muscolare è affidata la continenza a riposo, mentre alla componente fasica, che rappresenta solo il 5%, è affidata la continenza sotto sforzo. In condizioni normali e ancora di più sotto sforzo i visceri pelvici non sono sospesi alla fascia endopelvica, ma solo sostenuti dalla stessa grazie all’azione di perfetta integrità funzionale del sistema statico fasciale e dinamico muscolare (muscolo elevatore dell’ano) del pavimento pelvico. Allorquando il sistema dinamico diviene deficitario, per danno diretto o indiretto 59
Best Practice: Evidence based Practice information sheets for Health Professionals Volume 9, Issue 2, 2005 ISSN 1329 – 1874 “The Effectiveness of a Pelvic Floor Muscle Exercise Program on Urinary Incontinence Following Childbirth”
105
(neuromuscolare), i visceri pelvici gravano sulla fascia endopelvica creando il presupposto per la destabilizzazione cronica del pavimento pelvico con evoluzione verso il prolasso uterino e l’incontinenza urinaria e fecale.. 3.6
REVISIONE
SISTEMATICA
DELLA
LETTERATURA
SCIENTIFICA
INTERNAZIONALE SULLA RIABILITAZIONE DEL PERINEO BANCHE DATI COCHRANE
PUB-MED
RIVISTE
BMJ,
BEST_PRACTICE Midwifery
journal,
Journal
of - Joannabriggs Education,
midwifery & women’s Center Health,
by
the
American College of nurse
Centro-Evidence-Based-
midwives, Nursing
Urogynecology
S.Orsola-Malpighi
Jourrnal KEY-WORDS
“labor,
obstetric”,
PAROLE-
(Mesh AND) “pelvic
CHIAVE
floor”, (Mesh AND) “stress incontinence”, (Mesh AND) “Antenatal 1 “The instruction in 1. Foglio informativo di
DESCRIZIONE
1
DOCUMENTI
perineal massage pelving floor exercise Best Practice traduzione da
SELEZIONATI
for
reducing provided
perineal trauma” 2
during
to
women una revisione sistematica:
pegnancy
“Maternal following delivery”
or The Joanna Briggs Institute, Volume 9. Issue 2. 2005
positions
and 2 “early diagnosis and ISSN1329-1874, “Efficacia
mobility
during treatment of genuine di un Programma di Esercizi
first stage labour”
stress
(review)
incontinence in women Pelvico
3
“Weighted after
vaginal cones for midwives
urinary del Muscolo del Pavimento nell’Incontinenza
pregnancy: Urinaria Dopo il Parto”. as (traduzione
a
cura
106
di
urinary
detectives”
Fontana Centro studi EBN -
incontinence”
Azienda
Ospedaliera
di
(review)
Bologna
–Policlinico
S.
4 “Pelvic floor
Orsola Malpighi)
muscle training versus no
2.F.D’Ercole,A:Bondioli
treatment,
2006
or
inactive
“L’incontinenza
control
urinaria : la cenerentola dei
for
problemi di salute”. Centro
treatments,
studi
urinary incontinence
in
EBN,
Azienda
Ospedaliero – Universitaria
women”
di Bologna Policlinico S.
5 “Pelvic floor
Orsola – Malpighi.
muscol
3.
training
Tarlazzi,
Chiari
“Il
trattamento
del
dolore
and treatment of
perineale”
Centro
studi
urinary and fecal
EBN, Azienda Ospedaliero
incontinence
– Universitaria di Bologna
for
prevention
antenatal postnatal
in and
Policlinico
S.
Orsola
Malpighi. Maggio 2008.
women” 3.6.1 BREVE RIASSUNTO DEI PRINCIPALI RISULTATI UTILI AL PRESENTE STUDIO Esistono alcune review, nella Cochrane Library fra le quali ho selezionato le seguenti, perché mi pare che diano a sufficienza l’idea delle conclusioni scientifiche riguardo all’argomento. La 1^60 di esse tratta del massaggio pelvico precedente al parto riguardo alla riduzione di lacerazioni perineali. Questa review analizza gli studi di una Cochrane precedente (The Cochrane Library 2008, Issue 2), articoli reperiti su PubMed (1966 to June 2008), 60
Antenatal perineal massage for reducing perineal trauma (Review) The Cochrane Library 2009, Issue 4Michael M Beckmann1, Andrea J Garrett2 1Mater Health Services, Brisbane, Australia. 2Royal Brisbane and Women’s Hospital, Herston, Australia
107
–
e su EMBASE (1980 to June 2008) ritenuti scientificamente rilevanti. I criteri di selezione sono stati quelli di studi controllati randomizzati e quasi randomizzati che valutavano ogni metodo descritto di massaggio perineale iniziato nelle ultime quattro settimane di gravidanza; con un totale di 2473 donne comprese in quattro studi selezionati. Conclusioni degli autori Il massaggio perineale prenatale iniziato dalla 35^ settimana riduce il rischio di lacerazioni perineale (principalmente episiotomie). Vi è, una riduzione statisticamente significativa del 16% di incidenza di episiotomie nelle donne che praticano il massaggio perineale e nella segnalazione di dolore perineale continuo. Le donne con precedente parto vaginale hanno meno probabilità di dolore perineale a tre mesi dopo il parto (indipendentemente dalla presenza o meno di una episiotomia), esso è generalmente ben accettato dalle donne, perciò le donne devono essere consapevoli dei probabili benefici del massaggio perineale e devono essere informate sulle modalità di massaggio. Esso può inoltre tradursi in risparmio di costi in termini di minor utilizzo di sutura ed analgesici. Nella seconda revisione61 lo scopo è quello di valutare gli effetti e di incoraggiare le donne ad assumere posizioni libere (posizione verticale, seduta, carponi e in ginocchio, deambulazione) contro le posizioni orizzontali (posizione supina, semi-laterale e laterale) nella prima fase del travaglio riguardo la durata del travaglio, il tipo di parto e di altri risultati importanti per madri e bambini La review include 21 studi per un totale di 3706 donne. Conclusioni degli autori La posizione eretta ed il movimento sono associati ad una riduzione della lunghezza della prima fase del travaglio, e nelle donne randomizzate che assumevano la posizione eretta vi è stato un minor ricorso all'analgesia epidurale, ad esse non sembrano essere associate effetti negativi sulle madri e sul benessere dei bambini, tuttavia non sono state trovate evidenze sulle differenze riguardo agli outcome materni e agli esiti per il bambino. Date le limitate evidenze degli studi clinici sono stati inclusi, nel quadro della revisione, studi osservazionali che suggeriscono che il mantenimento una posizione 61
“Maternal positions and mobility during first stage labour” (Review) Lawrence A, Lewis L, Hofmeyr GJ, Dowswell T, Styles C The Cochrane Library2009, Issue 4
108
supina del travaglio può avere effetti negativi sulla fisiologia per la donna ed il suo bambino (Abitbol 1985; Huovinen 1979; Marx 1982; Roberts 1989; Rooks 1999; Walsh 2000). Pertanto, le donne dovrebbero essere incoraggiate ad assumere qualsiasi posizione che trovano più comoda, evitando la posizione supina per lunghi periodi. La preferenze delle donne può cambiare nel corso del travaglio. Accade, infatti che molte donne che scelgano una posizione eretta o deambulante ad inizio travaglio in seguito preferiscano sdraiarsi . La terza revisione selezionata62, analizza gli effetti dell’utilizzo dei coni vaginali nel trattamento conservativo dell’incontinenza urinaria da sforzo (IUS). I coni vaginali possono essere utilizzati per aiutare le donne a rinforzare i muscoli del pavimento pelvico. I coni sono inseriti in vagina e il pavimento pelvico si contrae per impedire loro di scivolare fuori. E’ stata compiuta una ricerca comprendente la Cochrane del Gruppo specializzato nella registrazione degli studi sull’Incontinenza (25 giugno 2007), MEDLINE (da gennaio 1966 a giugno2007), EMBASE (da gennaio 1988 a giugno 2007) e la bibliografia degli articoli pertinenti.
CRITERI DI SELEZIONE Studi randomizzati o quasi - randomizzati e controllati che confrontano l’utilizzo di coni vaginali con trattamenti alternativi o nessun trattamento. Diciassette studi nei quali sono stati utilizzati i coni da 646 donne su un totale di 1484. Conclusioni degli autori. Questa recensione fornisce alcuni elementi di prova che l’uso dei coni vaginali è migliore di nessun trattamento attivo nelle donne con IUS e può essere di analoga efficacia alla PFMT (pelvic floor muscle training) ed elettrostimolazione. I coni potrebbero essere presentati come una possibilità di trattamento, se le donne li trovassero accettabili.
62
Herbison GP, Dean N Weighted vaginal cones for urinary incontinence (Review) The Cochrane Library 2009, Issue 4
109
In questa revisione63 gli autori hanno cercato di determinare gli effetti degli esercizi per il rafforzamento dei muscoli del pavimento pelvico per le donne con incontinenza urinaria rispetto a nessun trattamento, placebo o trattamenti simulati, o altri trattamenti di controllo inattivo. Gli studi inclusi sono randomizzati o quasi - randomizzati in donne con incontinenza da sforzo o mista (diagnosticata dai sintomi e prove uro - dinamiche) Un braccio dello studio comprese donne con somministrazione di intervento con PFMT, un altro braccio comprendeva donne senza alcun trattamento, con un trattamento con placebo o falso, e un terzo braccio con trattamento di controllo inattivo. Principali risultati Sedici studi rispettavano i criteri di inclusione. Quindici studi che hanno coinvolto 6.181
donne
(3.040
PFMT,
3.141
controlli)
hanno
contribuito
all'analisi.
Le donne in gravidanza senza incontinenza urinaria, che sono stati randomizzati per un programma intensivo di PFMT prenatale avevano meno probabilità prognostica rispetto alle donne randomizzate nel gruppo privo di PFMT con usuale assistenza prenatale, di sviluppare incontinenza urinaria nell'ultimo periodo di gravidanza (circa il 56% in meno; RR 0,44, IC 95% 0,30-0,65) e fino a sei mesi dopo il parto (circa il 30% in meno; RR 0,71, IC 95% 0,52-0,97). Le donne con incontinenza urinaria persistente tre mesi dopo il parto che hanno ricevuto PFMT erano meno a rischio di presentare incontinenza urinaria rispetto alle donne che non hanno ricevuto un trattamento o ricevuto la solita la cura post-natale a 12 mesi dopo il parto (circa il 20% in meno). Pare che più intenso sarà il programma maggiore è l'effetto del trattamento. Anche l’incontinenza fecale è stato anche ridotta a 12 mesi dopo il parto: le donne che ricevono PFMT sono state circa la metà di quelle probabilmente affette da incontinenza fecale. Dai dati degli studi non è abbastanza chiaro quale tipo di popolazione si avvicini al PFMT, se vi sono indicazioni o meno, parrebbe che una preesistente incontinenza in gravidanza sia un dato indifferente E chiaro tuttavia che l’approccio è efficace quando l'intervento è abbastanza intensivo. Conclusioni Ci sono alcune evidenze che la pratica del PFMT nelle donne che hanno il loro primo
63
Hay-Smith J, Dumoulin C Pelvic floor muscle training versus no treatment, or inactive control treatments, for urinary incontinence in women(Review) The Cochrane Library2009, Issue 4
110
bambino può prevenire l’incontinenza urinaria in gravidanza e dopo il parto. In comune con le donne anziane con incontinenza da sforzo, sono
supportate le
raccomandazioni diffuse che PFMT sia un appropriato trattamento per le donne con incontinenza urinaria persistente post-parto. E’ possibile che gli effetti della PFMT potrebbe essere maggiore con approcci mirati, non basati su tutta la popolazione, ma in alcuni gruppi di donne (ad esempio: donne obese, primipare, donne con ipermobilità del collo della vescica all'inizio della gravidanza, un bambino di grandi dimensioni, o esiti di forcipe o ventosa). Queste e altre incertezze,in particolare efficacia a lungo termine, richiedono ulteriori studi. Nell’ultima Cochrane selezionata64 l’obiettivo dello studio è determinare l’efficacia del PFMT e/o del trattamento dell’incontinenza urinaria e fecale nelle donne gravide e/o nel post – partum. E’ stato comparato il PFMT vs abituali comportamenti prenatali o postatali per la prevenzione dell’incontinenza primaria o secondaria; il PFMT nei riguardi del trattamento dell’incontinenza ed infine il PFMT riguardo all’approccio alla popolazione. Dei 28 studi potenziali trovati ne furono esclusi 12. Conclusioni degli autori Per le donne primipare, il PFMT sembra ridurre la prevalenza di incontinenza urinaria dopo la 34 settimana di gravidanza ed entro le 12 settimane dal parto. Tuttavia non è chiaro se tale effetto persista oltre i tre mesi dal parto e se il PFMT è utile per le pluripare poiché gli studi riguardano in particolare le primigravide. Sembra che un programma sufficiente di PFMT sia utile sia per le donne potenzialmente a rischio nel post – partum che per il resto della popolazione. Riguardo al PFMT post – natale, appare un trattamento efficace nelle donne che hanno persistente incontinenza urinaria e fecale. Riassumendo l’evidenza suggerisce che per ridurre la prevalenza di incontinenza urinaria e fecale nelle ultime settimane di gravidanza e nel post – partum sia necessaria un programma intensivo di PFMT, maggiore di quello riscontrato nella maggioranza degli studi o laddove le risorse limitate non lo permettano, individuare la popolazione target. Tuttavia non ci sono sufficienti evidenze che suggeriscano quanto persistano nel lungo periodo gli effetti di esso.
64
“Pelvic Floor Muscle Training for prevention and treatment of urinary and faecal incontinence in antenatal and postnatal women” Hay – Smith J, Mørkved S, Fairbrother KA, Herbison GP. The cochrane Library 2009, Issue 4
111
Gli articoli selezionati sono quelli rinvenuti su PUB-MED che non sono stati revisionati nella Cochrane, alcuni fra essi trattano di argomenti che non sono ancora stati oggetto di meta - analisi, ma in ognuno di essi ho rinvenuto conclusioni pertinenti ed utili ai fini del presente studio. 1) L’obiettivo dello studio65 era quello di esaminare le istruzioni nella ginnastica perineale data alle donne in gravidanza e dopo il parto, per valutare la qualità dell’insegnamento e considerare ciò alla luce della considerazione delle donne del Servizio. Un questionario postale fu spedito ad un campione di donne al raggiungimento della 34^ settimana di gravidanza ed un secondo questionario a 8 settimane dal parto. Una parte del campione che riferivano ad 8 settimane incontinenza vennero intervistate riguardo alle istruzioni ricevute in gravidanza e puerperio. Le partecipanti erano 918, alle quali fu spedito il 1° questionario, di questi il 78% (717) tornarono correttamente compilati. 522 su 894 (58%) compilarono il 2° questionario. 42 delle 179 donne con sintomi (23%) prese parte all’intervista. Dai dati emersi risultò che il 55% delle donne ricevette delle indicazioni dalla 34^ settimana di gravidanza. L’ 86% successivamente al parto. La tipologia di istruzioni andava da un breve promemoria ad esercizi con istruttore. Le informazioni fornite comprendevano vari professionisti e non uno specifico professionista. Come risultato la visione del Servizio variava. Poche donne riportavano di aver ricevuto un buon livello di informazione, altre erano critiche, ed un piccolo numero di esse riferì di non aver ricevuto affatto informazioni. La pratica diffusa di lasciare un opuscolo informativo durante la degenza post - partum fu criticata da un’ampia porzione di donne. In conclusione nella pratica dei Servizi Sanitari gli esercizi di riabilitazione del perineo sono forniti su basi standard e spesso non vengono utilizzate le raccomandazioni della letteratura. E quindi, probabilmente il successo degli studi riportato nella letteratura non riflette ciò che accade nel “mondo reale” . 2) In questa review66 condotta nel 2003 dall’America College of Nurse and Midwives si tenta di individuare precocemente i fattori di rischio dell’incontinenza urinaria. Si è condotta una ricerca con l’operatore boleano AND utilizzando i termini: urinaria, incontinenza, gravidanza e trattamento, la ricerca è stata condotta nei data - base: 65
“l’informazione sugli esercizi del perineo fornita alle donne durante gravidanza o post-partum” L. Mason, S Glenn, I. Walton, C. Hughes Midwifery 2001, Vol 17, 55-64 66 “Diagnosi precoce e trattamento dell’incontinenza urinaria in donne nel post-partum: ostetriche come detective I. Peeker, RNM, and R Peeker, MD, PhD Journal of Midwifery and Women’s Health Vol 48, N°1, 2003
112
CINAHL, COCHRANE, MEDLINE, SPRILINE. Dei circa 200 articoli, ne sono stati selezionati 6, ritenuti rappresentativi per il presente articolo. Ne conseguì che pare che la gravidanza stessa sia associata al rischio di sviluppare incontinenza urinaria e che fattori quali l’obesità, il parto vaginale e la multiparità un periodo espulsivo prolungato, ed il parto di feti macrosomi aumentino tale rischio. In questo senso l’ostetrica può aiutare la donna con incontinenza post - partum a ricevere una diagnosi appropriata ed un trattamento adeguato. Può essere utile adottare un sistema di punteggio basato sui fattori di rischio e pensare ad un opportuno follow - up. Stabilito l’instaurarsi di incontinenza si può passare ad un programma riabilitativo, poiché le sole informazioni verbali si sono rivelate insufficienti.
E’ riportato in
letteratura che meno del 50% delle donne sanno eseguire esercizi perineali con la sola guida di istruzioni verbali. L’ostetrica può, meglio di altri professionisti, cogliere l’instaurarsi di una patologia, nel primo post - partum guidata dal grado di preoccupazione della puerpera. Sarebbe solo un grosso vantaggio se l’ostetrica riuscisse a coniugare le conoscenze e l’abilità di migliorare i sintomi di una donna con incontinenza precoce. BEST PRACTICE67 Questo foglio informativo di Best Practice deriva da una revisione sistematica condotta dal Western Australian Centre for Evidence Based Nursing and Midwifery. Tutti i dettagli degli studi inclusi nella revisione sistematica sono disponibili nel report dell’Efficacia di un Programma di Esercizi del Muscolo del Pavimento Pelvico nell’Incontinenza Urinaria Dopo il Parto68 Background Ricerche sulla prevalenza dell’incontinenza urinaria post - parto hanno indicato una percentuale tra il 6% al 43%. Infatti la comparsa dopo il parto di un’incontinenza urinaria permanente non è un evento eccezionale (3 – 10% a sei mesi dal parto) mentre, forme transitorie sono relativamente frequenti (24%); tra queste l’incontinenza urinaria è presente in circa il 73% durante la gravidanza mentre nell’8% dei casi tale sintomo era 67
Best-Practice “Evidence Based Practice Information Sheets for Health Professionals” Vol 9, Issue 2, 2005 ISSN 1329-1874 68 Haddw G, Watts R, Robertson J. 2005 “The effectness of pelvic floor muscle exercise program on urinary incontince following childbirth: a systematic review” International Journal of Eviden Based Healthcare 3 (5): 103-146
113
preesistente e nel 19% dei casi è insorto dopo il parto. Questo significa che quasi il 2% delle donne è incontinente già prima della gravidanza, mentre per oltre il 4% il parto ne rappresenta il fattore scatenante. È assodato che le donne che hanno presentato un’incontinenza transitoria hanno un rischio aumentato di sviluppare nuovamente il sintomo nel corso della loro vita, così come è aumentato il rischio di prolasso urogenitale. Uno studio ha trovato che oltre il 60% delle donne che hanno provato incontinenza urinaria da stress durante la gravidanza, riferisce che il problema esiste anche dopo 15 anni69 Un numero di fattori di rischio sono stati segnalati per l’incontinenza urinaria susseguente la nascita del bambino, includendo l’incontinenza urinaria durante il periodo prenatale; obesità; importante trauma perineale, per esempio a seguito del prolungamento del secondamento; parto strumentale; lacerazione del perineo; la grandezza del bambino e il numero delle gravidanze precedenti. Tuttavia non ci sono evidenze conclusive della ricerca che permettono di confermare questi fattori, particolarmente in relazione al numero di gravidanze e alla grandezza del bambino. Dove i ricercatori sono d’accordo è che alle donne devono essere forniti consigli rispetto a come prevenire e trattare l’incontinenza urinaria durante il periodo pre e post natale, includendo esercizi del muscolo del pavimento pelvico. IMPLICAZIONI PER LA PRATICA I risultati dalla revisione forniscono evidenze che questi esercizi del muscolo del pavimento pelvico sono efficaci nel ridurre o risolvere l’incontinenza urinaria dopo il parto. Per alcune donne gli EMPP risolveranno l’incontinenza urinaria a breve termine e per altre gli EMPP potranno ridurre la possibilità di un’incontinenza urinaria successiva. Mentre è di particolare importanza, rispetto alle donne che sperimentano l’incontinenza urinaria nel periodo della gravidanza e nel post parto, che siano incoraggiate a partecipare ai programmi di EMPP, a tutte le donne devono essere consigliato di fare gli EMPP nel periodo pre e post natale. 69
Best Practice: Evidence based Practice information sheets for Health Professionals Volume 9, Issue 2, 2005 ISSN 1329 - 1874 “The Effectiveness of a Pelvic Floor Muscle Exercise Program on Urinary Incontinence Following Childbirth”
114
Un programma di EMPP migliora la frequenza con cui le donne eseguono gli EMPP i quali a loro volta riducono la probabilità dell’incontinenza urinaria. Benchè la revisione non abbia identificato il numero specifico di incontri necessari a un programma di EMPP al fine di avere un’efficacia significativa sull’incontinenza urinaria, questi risulti suggeriscono almeno due incontri formativi. Benché i risultati della revisione non fossero conclusivi rispetto ai contenuti di un programma di EMPP, quali il feedback ed il numero degli esercizi raccomandati, che fossero associati ad un aumento degli esercizi da parte delle donne, si può concludere che un programma di EMPP di qualsiasi tipo migliorerà la frequenza nell’eseguire gli EMPP. Alle donne a cui venivano offerte solo istruzioni scritte, riferirono difficoltà nel fare correttamente gli EMPP. Un vantaggio importante per le donne partecipanti ad un programma di EMPP nel periodo pre e post natale è che esse avevano una opportunità di contatto con i professionisti sanitari. Questo contatto può essere utile per diverse ragioni riguardanti la salute, ma specialmente questo contatto personale può permettere alle donne di eseguire correttamente l’EMPP. I professionisti sanitari devono essere attenti alle donne che tornano presto a domicilio dopo il parto, perché ad esse può mancare il tipo di consiglio ed incoraggiamento che le porterà realmente a fare gli EMPP ed eseguirli correttamente. Tutte le donne che tornano a casa dopo il parto beneficeranno di consigli ed incoraggiamenti ad eseguire gli EMPP. Tuttavia, questo è un periodo critico per mamme e la tipologia dei programmi di EMPP deve essere realistica per inserirlo facilmente nella vita quotidiana della donna. RACCOMANDAZIONI 70 CONCLUSIVE PER LA PRATICA: Sulla base dei risultati della revisione sistematica vengono fatte le seguenti raccomandazioni: 70
GRADI DELLE RACCOMANDAZIONI Questi gradi delle raccomandazioni sono stati basati su il JBI Sviluppo dei Gradi di Efficacia: Grado A: Efficacia stabilita a un livello che merita l’applicazione Grado B: Efficacia stabilita ad un livello che ne suggerisce l’applicazione Grado C: Efficacia stabilita ad un livello che giustifica la considerazione di applicazione dei risultati Grado D: Efficacia ad un livello limitato Grado E: Efficacia non stabilita
115
¾ Assicurare che le donne eseguano gli esercizi di EMPP correttamente (Grado A) ¾ Incoraggiare le donne a fare gli EMPP sia prima che dopo il parto (Grado A) ¾ Fare particolare attenzione alle donne con incontinenza urinaria pre e post parto nel fornire consigli e istruzioni agli EMPP (Grado A) ¾ Includere gli EMPP come un programma specifico in tutta l’assistenza pre e post parto comprendendo almeno due incontri di istruzioni individuali nel programma (Grado A) ¾ I programmi di EMPP devono comprendere diversi componenti piuttosto che fornire solo informazioni scritte (Grado A) ¾ Fornire contatti dopo il parto, specialmente alle donne dimesse precocemente, sia attraverso il telefono, comunicazioni elettroniche o visite domiciliari (Grado C) ¾ Formulare programmi domiciliari di EMPP che siano realistici rispetto alle problematiche di una madre e che possono essere incorporati nella sua routine quotidiana (Grado C) Il Centro Evidence Based del Policlinico S.Orsola - Malpighi ha condotto una revisione sistematica sul problema dell’incontinenza urinaria dal titolo: “L'incontinenza urinaria la cenerentola dei problemi di salute” Background Sottostimato/non adeguato trattamento ¾ Dalla parte delle persone affette da IU Molti individui non riconoscono l’IU come un problema e non cercano aiuto dal loro medico o dall’infermiere; piuttosto fanno affidamento a pratiche auto- gestite. Le ragioni potrebbero essere la disponibilità di prodotti assorbenti, le basse aspettative sui vantaggi di riferire la condizione al curante e la scarsità di informazione circa le diverse possibilità di gestione, atteggiamenti talvolta tipici delle fasce di popolazione meno istruite. Molti credono che l’IU non sia curabile e che sia conseguenza dell’invecchiamento. Molti media pubblicizzano indumenti e prodotti assorbenti per adulti che portano il consumatore a credere che il contenimento dell’urina con i migliori prodotti sia il trattamento migliore.
116
Spesso una persona che confessa il problema racconta che la causa è semplicemente la sua età è avanzata e che il suo corpo sta cambiando e che ricorda di avere assistito genitori o nonni anziani incontinenti Molti perciò credono che l’IU sia inevitabile. Esiste anche la credenza che l’IU sia una normale conseguenza del parto e della menopausa ¾ . Dalla parte degli operatori sanitari Per contro, da parte degli operatori sanitari, studi mostrano significative differenze nel modo di effettuare le visite, di valutare e gestire l’IU. Essa spesso non è scoperta e non è riportata e documentata, mascherando la sua reale estensione e l’impatto clinico e riducendo l’opportunità di una efficace gestione. Le tipiche visite ambulatoriali sono di breve durata, in un ambiente che non rispetta a pieno la privacy delle persone e con un medico sotto pressione poiché deve vedere molti pazienti in poco tempo. Così quando ci sono più problemi di salute urgenti, le domande sull’incontinenza non sono effettuate. Potrebbe essere difficoltoso per i pazienti discutere di incontinenza a meno che non siano rivolte specifiche domande, a causa dell’imbarazzo o della sfiducia. Talvolta deve essere chiesto direttamente a molti se c’è mai stata una accidentale perdita d’urina ed anche allora le persone potrebbero essere riluttanti ad ammettere la loro incontinenza. L’IU ha lo stigma di una condizione socialmente inaccettabile a causa di una pubblica mancanza di conoscenza, equivoci ed intolleranza. Questo porta ad isolamento personale, imbarazzo sociale e a rinviare la ricerca di aiuto. Il pubblico ha bisogno di sapere che esistono molte terapie e molti modi di gestire i problemi legati all’incontinenza. In aggiunta quando le persone raccontano del loro problema, molti medici ed infermieri, che necessitano di essere educati in questo ambito, falliscono nel portare avanti il percorso diagnostico- terapeutico ed assistenziale. Nessuno muore di incontinenza: i pazienti spesso non vogliono parlarne e raccogliere l’anamnesi può fare perdere tempo e la visita potrebbe essere imbarazzante. Eppure questo comune e costoso problema è assolutamente affrontabile nell’ambito della comunità. Come risultato: il problema è sottostimato e non adeguatamente trattato. La ricerca riporta anche un nuovo dato interessante relativo ai costi dell’incontinenza urinaria. Il costo dell’IU ha ricevuto rinnovata attenzione dalla diffusione delle linee - guida
117
AHCPR.71 Essa impone un significativo onere finanziario agli individui, alle loro famiglie e al servizio sanitario. Concettualmente, il costo economico dell’IU è il valore totale di tutte le risorse usate o perse da tutti gli individui ammalati, dagli operatori sanitari o da altri settori della società come risultato della malattia. Al fine di una stima, i costi sono suddivisi in diretti, indiretti ed intangibili. I costi diretti per l’IU ed una frazione attribuibile a patologie correlate (es. infezioni del tratto urinario) includono test diagnostici, servizi ospedalieri, servizi ambulatoriali, servizio di lavanderia e farmaci e presidi. I costi indiretti riguardano il valore dei guadagni persi a causa dell’incontinenza urinaria e del tempo speso dalla persona o da amici e dalla famiglia per il paziente. I costi intangibili riguardano la stima monetaria del dolore e della sofferenza risultanti dall’IU. La grande parte dei costi sono diretti, ossia risorse spese per trattare o mitigare gli effetti dell’IU. I costi nelle diverse fasce d’età cambiano. Solitamente esiste incertezza in tutte le analisi di costo, poiché esiste incertezza circa la prevalenza, i fattori di rischio ed i costi dei diversi trattamenti.72 Dato che l’incontinenza urinaria rimane sottostimata, i costi reali non possono che essere sottostimati essi stessi, anche e soprattutto in termini di qualità della vita. I ricercatori stanno implementando un altro metodo di valutazione economica, la cui validità è ancora da stabilire con chiarezza, detto di “disponibilità a pagare” (per diminuire i sintomi e gli episodi di IU), allo scopo di circoscrivere la trascuratezza nel documentare i costi legati al peggioramento della esistenza delle persone. Tuttavia esistono ancora dei limiti legati ai risultati, che si basano su domande ipotetiche, ed alla natura “monetaria” di tali studi73. Un RCT del 1996 compara compliance delle persone, efficacia e costi dei trattamenti per l’IU in regime ambulatoriale e di ricovero. L’autore conclude che il trattamento
71
Agency for Health Care Policy and Research (U.S.) Todd H. Wagner, Teh-Wei Hu Economic costs of urinary incontinence in 1995. Urology, 1998; Vol 51, No. 3: 355-361 73 Johannesson M., O’Conor R. M., Kobelt-Nguyen G., Mattiasson A. Willingness to pay for reduced incontinence symptoms. British Journal of Urology, 1997; Vol 80: 557-562 72
118
ambulatoriale è efficace quanto il secondo ed è addirittura più economico74. Sulla base del confronto con altre realtà, in particolare quella americana si tenta di tracciare delle Linee Guida per la creazione di un ambulatorio infermieristico dedicato alla prevenzione e cura di questo problema, (che verranno prese in considerazione nel prossimo capitolo). Nella rivisitazione75condotta presso il Centro EBN di Bologna, il quesito era “Qual è il modo migliore per trattare il dolore alla ferita perineale dopo un parto spontaneo?” sono state selezionate le seguenti Banche Dati: Medline, Cochrane, Tripdatabase. L’interesse per questo studio nasce dal fatto che si ritiene che il dolore perineale sia associato di frequente all’insorgenza di problemi nella fase iniziale, e più difficoltosa, dell’allattamento. Tuttavia quest’area rimane per ora da indagare, sicuramente è un tipo di studio che potrebbe essere utile approfondire. Le conclusioni sono state le seguenti: - Non esistono evidenze forti che un metodo sia più efficace degli altri. - Sembra che il massaggio perineale antenatale (dalla 34 sett) riduca la percezione dolorosa nel post partum (solo studio osservazionale). - Le terapia con antidolorifici applicati localmente non sembrano efficaci vs placebo (studio del 2002 è contenuto nella revisione, Hedayat 2005). - Il ghiaccio sembra efficace nel ridurre il dolore a breve termine 24- 72 ore, senza aumentare il rischio della comparsa di edema o ematomi/ lividi. - Sembra che la somministrazione di Voltaren come antidolorifico abbia meno effetti collaterali e sia ugualmente efficace rispetto al Ketoprofene (Orudis). Tra i metodi farmacologici è stato condotto uno studio (non randomizzato) che compara il Paracetamolo/codeina (Tachidol) vs paracetamolo/dextropropoxyphene hydrocloryde (coproxamal); e conclude che il Paracetamolo/codeina da un sollievo più veloce ed efficace dal dolore, con meno effetti collaterali. (tuttavia il Tachidol sembra controindicato in allattamento). - Gli ultrasuoni sembrano efficaci nel ridurre il dolore acuto del perineo rispetto ad 74
Ramsay I. N., Ali H. M., Hunter M., Stark D., McKenzie S., Donaldson K., Major K. A prospective, randomized controlled trial of inpatient versus outpatient continence programs in the treatment of urinary incontinence in the female. International Urogynecology Journal and Pelvic Floor Dysfunction, 1996; Vol 7, No. 5: 260-3 75 Tarlazzi, Chiari “Il trattamento del dolore perineale” Centro studi EBN, Azienda Ospedaliero – Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola – Malpighi. Maggio 2008
119
placebo, anche se non ci sono ancora dati conclusivi rispetto a quale metodica sia più efficace delle altre e sui possibili effetti collaterali (es. lividi, compliance della donna), tuttavia il follow - up è molto lungo (10 giorni, 3 mesi dal parto). - Le supposte di non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAID) non riducono la percezione del dolore rispetto al placebo nelle prime 24 ore, ma le donne tendono a chiedere meno antidolorifici nelle prime 24 dal parto e l’effetto perdura fino a 48 ore dal parto, non ci sono dati sull’effetto nella relazione madre-bambino, le attività quotidiane o la vita sessuale della donna, né sulla compliance che il metodo può suscitare. IN CONCLUSIONE Gli studi, le revisione, la medicina delle evidenze suggeriscono che quella degli esercizi per il rafforzamento dei muscoli perineali è una buona pratica per la prevenzione ed il miglioramento dell’incontinenza urinaria sia da sforzo, che da urgenza o mista. La pratica degli esercizi è da considerarsi sullo stesso piano come per l’efficacia rispetto alle altre metodiche (coni vaginali e stimolazione con bio-feedback). Questi risultati che sfatano il mito della riabilitazione basata soprattutto sull’uso di apparecchiature elettromedicali (fornite dai fisioterapisti), può permettere alle ostetriche di proporre interventi precoci durante la gravidanza nei percorsi di preparazione al parto, successivamente, individuando, nella degenza ospedaliera i soggetti maggiormente a rischio, e a distanza di tempo in un ambulatorio dedicato. Poiché l’ostetrica non si occupa solo della gravidanza, ma dell’intero ciclo biologico-riproduttivo della donna, in questo discorso possono e debbono essere comprese anche le donne oltre i 50 anni di età, che possono essere sensibilizzate ed individuate in appositi percorsi strutturati di accompagnamento e sostegno della menopausa. Il Servizio Sanitario investendo in questa attività, si vedrà inoltre diminuire i costi pubblici e privati derivanti da questa patologia. Per quanto riguarda la popolazione in oggetto il prendersi cura di tale problema, all’interno dei servizi gratuiti del consultorio familiare o con un ticket (spesa sicuramente inferiore rispetto agli attuali interventi sia conservativi, che chirurgici) favorirà l’adesione a tali programmi. Vi sono inoltre aspetti collegati al senso di vergogna, imbarazzo, alla diminuzione del QOL (quality of life), sentimento di impotenza, di contro si può sviluppare un senso di comprensione e di condivisione, di capacità di controllo, che stimoli una motivazione, che in molti studi appare quale elemento fondamentale per
120
l’effettuazione del programma; attraverso il gruppo condotto da professionisti. Questo campo di applicazione, da tempo lasciato dalle ostetriche ad altre categorie di professionisti può arricchire le competenze professionali e rivelarsi come un valore aggiunto a quello delle competenze possedute, facendo in modo di aumentare la visibilità di questa figura. Tutti gli elementi collegati alla partecipazione attiva, alla motivazione, allo stare in un gruppo di condivisione ed auto - aiuto abbiamo visto che sono elementi fondamentali dell’educazione terapeutica, ed è sulla base di queste conoscenze ed abilità che l’ostetrica, opportunamente formata, dovrebbe impostare gli interventi, proprio sulla dimensione umana, psicologica, poiché “di incontinenza urinaria non si muore” ma la qualità di vita può decisamente abbassarsi.
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"Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce" B. Pascal
CAPITOLO 4 - UN IPOTESI DI MODELLO DI INTERVENTO DESCRIZIONE ED APPLICAZIONE 4.1 IDENTIFICAZIONE DEL PERCORSO La storia dei corsi è intimamente legata all’evoluzione delle metodiche di preparazione al parto: • Nella metà dell’ottocento si svilupparono in Europa i primi studi tendenti a raggiungere l’analgesia nel parto con mezzi psicologici, come l’ipnosi. • Nel 1930 Grantley Dick Read, intuì la relazione tra dolore, esperienza emozionale e forza del parto ed elaborò un metodo per preparare le gestanti dal punto di vista fisico ed emotivo. • Negli anni trenta Johannes Heinrich Shultz mise a punto il training autogeno. Dall’integrazione di questo con le metodologie psicologiche di suggestione e del riflesso condizionato, nacque la psicoprofilassi Nel 1977 Umberto Piscicelli mise a punto il RAT (Respiratory Autogenous Training), una tecnica di rilassamento conseguito spontaneamente attraverso il “respiro autogeno”. Negli anni ‘70, con il trasferimento del parto dall’ambiente domestico a quello ospedaliero, è nato un grande movimento di opinione che si batte per una nascita migliore, in un’atmosfera di benessere e accoglienza. I maggiori esponenti di questo movimento sono Frederik Lèboyer, che diffuse le sue teorie sul “parto dolce”, Michel Odent, grande studioso del parto in acqua, del parto ecologico, e l’ostetrica Sheila Kitzinger. Secondo le nuove teorie, l’educazione alla nascita verte verso il potere di autogestione e scelta della donna, che è attiva e protagonista e accetta il dolore come opportunità evolutiva. I principi su cui si basano attualmente i corsi rispondono ad un modello
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assistenziale focalizzato sulla donna, sul suo protagonismo, sulle sue competenze e ad un modello sociale della nascita (i principi della gravidanza e del parto umanizzati). La preparazione al parto è a conduzione attiva, parte dalle donne,dai loro bisogni, ed è basata sulle loro sensazioni ed esperienze. È finalizzata all’empowerment ed alla condivisione. Il gruppo è un’incontenibile fonte di sostegno, condivisione, apertura e stimoli. Può soddisfare il bisogno di appartenenza, confronto e scambio, e può diventare una rete di sostegno anche per molto tempo dopo il parto. La conduttrice è il principale strumento terapeutico nel gruppo. Entra in una relazione viva e vitale con tutti i partecipanti, li armonizza e si mette in gioco di persona. Gli obiettivi principali dei conduttori intervistati sono: ¾ Dare informazioni concrete su travaglio, parto, puerperio ed allattamento; ¾ Fare in modo che si formi il gruppo, che le donne socializzino le une con le altre; ¾ Fornire gli strumenti alla donna e alla coppia affinché siano in grado di fare scelte informate e consapevoli ¾ Attivare le conoscenze, le capacità, le risorse endogene delle donne; ¾ Dare sostegno; Gli strumenti e metodi più utilizzati:
Coinvolgimento attivo delle donne, stimolarle a parlare, ad interagire e a confrontarsi tra loro;
Lavori di gruppo;
Drammatizzazione, giochi di ruolo;
Colloquio informativo con le donne;
Questi interventi possono essere svolti produttivamente durante la gravidanza, il parto ed il puerperio, momenti in cui la donna è predisposta ad una maggiore attenzione alla cura di sé , poiché questa si riflette anche sul benessere del bambino. Riguardo al tema in questione: intervento di educazione sanitaria e terapeutica nella riabilitazione del pavimento pelvico, è opportuno attivare un percorso che preveda, nell’ambito dei corsi di preparazione al parto e, successivamente nel primo puerperio:
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1) Un’azione informativo – educativa 2) L’individuazione delle donne a rischio 3) Una attività rieducativo - riabilitativa
4.2.
SETTING:
CONTESTO
ORGANIZZATIVO
–
ASSISTENZIALE
DI
RIFERIMENTO CORSI DI PREPARAZIONE AL PARTO 1) Il momento dell’azione informativo – educativa Il periodo pre - parto è importante perché la donna inizia ad assumere coscienza e conoscenza dell’del proprio corpo, per cui è conveniente prevedere la prima fase educativa all’interno di questi corsi. Il setting è quindi rappresentato dai corsi di preparazione al parto: •
Epoca di inizio: il corso inizia intorno alla 30^ settimana di gravidanza,
•
Numero di incontri: gli incontri previsti sono 7 incontri a cadenza settimanale,
•
la durata di ogni singolo incontro è di 2 ore, suddivise in un’ ora di teoria ed un’ora di pratica
•
il numero di partecipanti ideale sarebbe di circa 15 donne, in realtà data la richiesta si aggira solitamente sulle 20 donne
•
il conduttore è l’ ostetrica (a volte c’è un osservatore, solitamente una studentessa del corso di laurea)
•
lo spazio fisico in cui essi si svolgono è una palestra situata all’interno della Clinica Ostetrica S.Orsola – Malpighi, in cui le donne si sistemano in cerchio su tappetini di gomma con cuscini, gli eventuali mariti presenti si accomodano su sedie a sdraio.
La possibilità offerta ai mariti di partecipare è per alcuni versi limitante, perché risulta più difficoltoso parlare di alcuni argomenti(e l’incontinenza urinaria è fra questi), al tempo stesso egli può essere visto dall’ostetrica come un care - giver; se l’ostetrica è abile nella relazione egli può avere una valenza rafforzativa del messaggio che viene trasmesso. •
La strumentazione didattica presente nell’aula-palestra è rappresentata da una lavagna a fogli mobili, un video – proiettore per diapositive, fogli, cartoncini,
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penne e matite colorate, palloni di varie dimensioni per la ginnastica, un lettore cd per l’utilizzo di musica. •
La relazione è quella gruppale, che, ancora una volta, può risultare più ostacolante rispetto al colloquio individuale, per la natura “imbarazzante“ dell’argomento, tuttavia sappiamo dalla psicologia dei gruppi, che in realtà il gruppo è, se condotto adeguatamente, una risorsa aggiuntiva rispetto alla relazione individuale.
Secondo quanto emerge dalle revisioni della letteratura, all’inizio di suddetti corsi una buona percentuale di donne ha già sviluppato un’incontinenza da sforzo, della quale per lo più non parlano con il ginecologo, oppure nella maggior parte dei casi, ne danno un’interpretazione personale, come se essa fosse una semplice conseguenza della gravidanza che col parto passerà. Siamo all’interno di una situazione di apprendimento e terapia: -
Apprendimento nel senso che lo stare in gruppo, è di per se una situazione di apprendimento, in quanto l’individuo apprende a stare nel gruppo76 avviene, cioè il passaggio da “onta” a “gruppo”, in modo tale che acquisendo coscienza di essere “un gruppo”, ciascun partecipante esce dall’esperienza in parte“cambiato
-
Terapeutico perché confrontando se stesso (ossia il proprio gruppo interno) con il gruppo (esterno); il soggetto ristruttura credenze personali, opinioni, emozioni; e si ha che:“L’effetto terapeutico è intenso, notevole e immediato. Tutto sommato possiamo considerare il gruppo come lo strumento terapeutico più valido a nostra disposizione”
77
legato alla condivisione di un’esperienza che
prima era vissuta come individuale e singola ora è collettiva. Chiaramente questi gruppi non sono gruppi di analisi, nei quali il cambiamento deve essere qualcosa di molto profondo, tuttavia si può tranquillamente affermare che ogni gruppo ha un impatto anche psicologico - relazionale, a patto che si riesca a creare un clima di coinvolgimento personale ed interazione fra i partecipanti. I principali meccanismi che intervengono nella relazione di gruppo sono la “risonanza”, ossia
76 77
E. Spaltro “Gruppi e cambiamento”, Etas Kompass, 1969. Foulkes S.H. (1964). Analisi terapeutica di gruppo. Boringhieri, Torino 1967
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l’attivazione da parte di un membro del gruppo attraverso un discorso che metabolizza e spiega uno stimolo dato da un altro componente, od un vissuto non completamente chiaro a chi perla; “il rispecchiamento”,che interviene quando un membro si vede riflesso nei discorsi degli altri, ha come una immagine di “rimando” di sé da parte degli altri “lo scambio”, cioè la condivisione di emozioni; occorre quindi adottare tutte le possibili strategie per coinvolgere i soggetti e portarli ad esprimersi il più liberamente possibile, con un atteggiamento privo di direttività. Il conduttore, al contrario, deve miscelare con equilibrio motivazione, empatia, logica e autocontrollo, per consentire, imparando a comprendere i propri sentimenti e quelli degli altri, di sviluppare una grande capacità di adattamento e convogliare opportunamente le emozioni, in modo da sfruttare i lati positivi di ogni situazione. L’apprendimento in gruppo ha punti di forza e di debolezza78, descritti dal Prof. Assal, che occorre tenere presenti, agendo sui punti di forza come leve, e cercando di sviluppare competenza nella gestione dei gruppi, onde evitare il rischio più grosso, che è quello di una platea annoiata e silenziosa.
VANTAGGI
SVANTAGGI
Scambi di esperienze fra pazienti
Rischio
di
insegnamento
impositivo
Emulazione, interazioni
(verticale)
Condivisione
Difficoltà nel far partecipare i pazienti
Convivialità
Pazienti troppo eterogenei
Confronto di punti di vista
Inibizione dei pazienti ad esprimersi
Ottimizzazione del tempo
Orari fissi dei corsi
Stimolo all’apprendimento
Difficoltà nel concedere attenzione a
Apprendimento esperienziale attraverso
ciascuno
“situazioni-problema”
Difficoltà nel gestire un gruppo
L’intervento di educazione terapeutica segue le fasi del modello D’Ivernois: 9 diagnosi educativa, 9 contratto educativo, 78
Assal P “Educazione terapeutica dei pazienti – nuovi approcci alla malattia cronica” ed Minerva Medica 2005
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9 definizione degli obiettivi, 9 valutazione. -
La diagnosi educativa
è la prima tappa del percorso di educazione e
rappresenta anche il momento in cui avviene la presa in carico del paziente. Questa può essere collocata nel II° incontro. In questa situazione, nella quale le donne si aspettano sostanzialmente di sentirsi parlare di travaglio, parto, analgesia epidurale, allattamento e di poter fare un giro della Sala Parto, il discorso riguardante l’incontinenza urinaria e la riabilitazione perineale deve essere affrontato per gradi, in ogni caso non nel corso del primo appuntamento, nel quale tuttavia si inizia a cercare di raccogliere elementi utili ai fini della diagnosi educativa, alcune caratteristiche e “vissuti”delle partecipanti. Esistono alcune tecniche strategiche utili a tal fine: fare un giro di presentazione, presentandosi raccontando un po’ di sé, in modo tale da invogliare le partecipanti a soffermarsi un po’ su se stesse e non dire semplicemente nome e cognome; c’è la tecnica del “brainstorming” la tempesta di cervelli, dove si sceglie un argomento di facile comprensione ed interesse per far esprimere le persone ed iniziare a capire alcune caratteristiche della popolazione in oggetto. Inoltre nel gruppo si manifesta già nelle prime fasi, la leadership informale: colei che tenta di attirare l’attenzione, con una sottostante aggressività od opposizione alla quale il conduttore deve prestare molta attenzione, agire facendo il “muro di gomma” generare in un certo senso l’effetto boomerang e senso di alleanza positivo, pena la perdita di autorevolezza e il crollo del progetto educativo. A questo punto, solo quando si è creato un clima di libertà di espressione e di desiderio di comunicazione, si può giungere a fare domande riguardo all’argomento, oggetto dell’intervento: problemi urinari già esistenti, facendo esempi semplici, nei quali le partecipanti sentano di identificarsi. Si tratta in una parola di cercare di fare uscire allo scoperto alcune caratteristiche “di minima” al fine di identificare soprattutto il locus of control della maggioranza delle donne. L’esperienza di conduzione dei gruppi ci dice che quando riesci ad arrivare, nel senso di emozionare, “toccare sul vivo” qualche tasto, di muovere il clima, anche a livello di pochi partecipanti, succede che entrano in “risonanza” a poco a poco altre partecipanti, accade che si creino fenomeni quali il “rispecchiamento”
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o la contro-reazione, ed in questo modo il gruppo inizia il suo percorso, in cui, inevitabilmente, le persone si aprono. Tutto questo viene guidato, in modo il meno direttivo possibile dal conduttore, che nel caso specifico è l’ostetrica. Nel corso del II° incontro si può giungere a fare la diagnosi educativa del gruppo, che consiste nel saper interpretare: o A che punto si trova il gruppo rispetto alla conoscenza del problema, la raffigurazione mentale che ne ha o Che senso di controllo rispetto ad esso ha o La motivazione o viceversa la mancanza di motivazione rispetto alla “cura” Si è giunti quindi alla diagnosi: la popolazione oggetto dell’intervento manifesta un locus of control esterno, (tutto dipende da altri, dal caso , da Dio, e io non posso fare assolutamente nulla!) oppure un locus interno troppo rigido (devo avere assolutamente tutto sotto controllo!!), oppure un misto i cui estremi sono le due situazioni sopra descritte e buona parte della media si trova ad un livello intermedio fra questi due estremi, come statisticamente quasi sempre avviene. Quali rappresentazioni mentali del disturbo le donne si sono fatte, per questo si può parlare discutere in gruppo o fare costruire delle mappe concettuali, utilizzando dei piccoli sottogruppi ai quali vengono consegnati dei fogli, matite e colori, dicendo di scrivere una parola,(dolore, o paura, parto) e di aggiungere a questa parola altre parole per associazione. Nella mia esperienza personale ho sempre ritrovato nelle associazioni le parole episiotomia o lacerazione, collegabili all’argomento “perineo”, e questo può essere un ottimo aggancio per la discussione in gruppo, ed una breve descrizione del progetto di lavoro corporeo su cui si lavorerà. In questa situazione è abbastanza difficile che le donne posseggano già una loro progettualità rispetto al problema, occorre che l’ostetrica gliela faccia intravedere come reale possibilità di obiettivo da raggiungere, lavorando sulla loro potenziale attivazione interna di risorse
128
-
Il contratto educativo è il patto che si crea fra conduttore e partecipanti che si basa, da parte del paziente, sul tentativo di raggiungere determinate competenze e, da parte dell’educatore, sul far in modo che il paziente le raggiunga effettivamente. Viene formulato nel III° incontro, ,consiste nel lavorare su tre obiettivi operazionali: ¾ Impegnarsi a fornire strumenti utili alle donne per la cura ed il rinforzo del pavimento pelvico, attraverso l’insegnamento di un training perineale ¾ Impegnarsi a fornire alle partecipanti strumenti utili da utilizzare durante il travaglio ed il parto ¾ Dall’unione dei due precedenti rendere edotte le donne della possibilità di contenere eventuali danni al perineo derivanti dal parto Seguendo le indicazioni di Bloom e di Guilbert, riguardo alla tassonomia degli obiettivi, stiamo creando un intervento di una pedagogia basata sulla Teoria degli obiettivi.(Quaglino) Lavoreremo quindi sui tre campi:
1) il campo cognitivo: sapere
capacità di risolvere i problemi
2) il campo comunicativo – relazionale:
empatia
saper essere 3) il campo gestuale: saper fare
autonomia nella tecnica
1) A livello cognitivo le donne saranno stimolate ad acquisire conoscenze riguardo a questo argomento, e sarebbe utile integrare le informazioni con materiale cartaceo, siti consigliati su Internet, letture consigliate, qualora ne facciano richiesta. SAPERE ¾ Dove è il perineo ¾ Da cosa è formato
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¾ A cosa serve ¾ Come prendersi cura del perineo (igiene) ¾ Corretti tempi e modi di evacuazione e minzione
Occorre anche tenere presente, nell’ambito della scelta delle metodologie e degli stumenti didattici la “teoria dei due emisferi cerebrali di Sperry” degli anni ’80, quella del “cervello trino” di Mac Lean ed infine quella de “le intelligenze multiple”79 di Gardner Secondo la prima di esse
i nostri due emisferi cerebrali hanno
caratteristiche differenti, sembrerebbe che l’emisfero di sinistra sia quello più sviluppato all’interno della nostra società, quello maggiormente collegato alla capacità di analisi e critica razionale, pensiero deduttivo, studi scientifici positivisti, l’emisfero destro è quello che viene collegato alla creatività all’arte, alla musica alla pittura al pensiero filosoficomistico, quindi all’interpretazione e sublimazione dei nostri riflessi ed istinti ancestrali. Per una donna quale miglior espressione della creatività del parto? Purtroppo l’eccessiva medicalizzazione della gravidanza e del parto, inducono nelle donne una mentalità ipercritica ed un po’ “alienata”, nel senso che la donna non concentra la propria attenzione su quanto capita dentro di lei, ma piuttosto è portata ad affidarsi eccessivamente al controllo della propria gravidanza da parte dei medici, esami di laboratorio, ecografie (nella maggioranza delle gravidanze ben superiori alle tre raccomandate). 79
Intelligenza logico-matematica:Analisi, calcolo, comprensione dei nessi causa-effetto Intelligenza linguistica-verbale:Ampiezza lessicale, capacità di esprimersi con chiarezza ed efficacia, padronanza di registri linguistici Intelligenza spaziale:Acume visivo, percezione di dettagli ambientali, memoria di luoghi e percorsi Intelligenza musicale:Padronanza della grammatica musicale, altezza dei suoni, timbri e ritmi Intelligenza cinestetica: Padronanza del corpo, coordinamento di movimenti, abilità coreografiche Intelligenza intrapersonale: Autocoscienza e riconoscimento dei propri sentimenti,consapevolezza delle proprie motivazioni Intelligenza interpersonale: Capacità empatica, intuizione del mondo interiore altrui Intelligenza naturalistica:Capacità di catalogare, sezionare e categorizzare. Comprensione del tutto e delle singole parti Intelligenza esistenziale:Capacità di riflettere su questioni esistenziali, attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali
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Per fornire un intervento che vuole recuperare questa dimensione, ritengo utile che le donne ricevano maggiori indicazioni su “cosa non leggere”, sulla capacità selettiva perché spesso rischiano di leggere troppo e spesso e volentieri fraintendere o essere sommerse da troppe informazioni di second’ordine. D’altro canto preferisco utilizzare materiale che faccia presa proprio sulla parte più creativa; quindi disegni, immagini, utilizzo di musica durante l’esecuzione degli esercizi di training, tecniche di visualizzazione 2) Per quanto riguarda il campo comunicativo - relazionale il gruppo permette scambi di esperienze fra partecipanti, confronto di punti di vista. apprendimento
esperienziale
attraverso
“situazioni-problema”
(role
playing). SAPER ESSERE ¾ Prendere coscienza dell’esistenza del perineo e della possibilità di muoverlo ed usarlo ¾ Percepire il perineo e i suoi movimenti(feedback visivo, tattile, sensoriale) ¾ Essere attiva nelle problematiche relative al perineo, non assumere un atteggiamento passivo E’ a questo livello che l’intervento deve cercare di “raggiungere” il maggior numero delle partecipanti. Perché le semplici istruzioni sugli esercizi se non sono sorrette dalla motivazione, vengono dimenticate subito dopo l’incontro o alla fine del corso e questo rappresenta il fallimento dell’intervento. E’ il “core” dell’intervento educativo, dalla parte dell’ostetrica – conduttrice: sono tutti gli elementi che è riuscita a cogliere, con l’osservazione partecipante all’interno del gruppo perciò nel “rinforzo” delle istruzioni deve cercare di colpire i punti più sensibili delle donne, che possono andare dalla possibilità di non sentirsi a
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disagio, soprattutto per chi conduce una vita intensa di relazioni fuori casa, alla previsione di prossimi parti, al senso di padronanza del proprio corpo, al personale senso della femminilità, così via; può essere molto strategico valorizzare a questo proposito la relazione fra perineo tonico e lacerazioni di grado inferiore (risultanti dalla letteratura specifica) 3) il campo gestuale è quello dell’autonomia nella tecnica, ossia la competenza delle donne nell’eseguire gli esercizi da sole. SAPER FARE ¾ Contrarre il perineo ¾ Rilassare il perineo ¾ Eseguire semplici esercizi di contrazione e di rilascio per un tempo stabilito ( rinforzo) ¾ Includere gli esercizi di Kegel come programma specifico. Gli incontri successivi (5, 6, 7) serviranno da “rinforzo delle competenze” nel senso di sviluppo dell’ empowerment delle donne da parte dell’ostetrica e come opportunità di scambio di difficoltà o problematiche nell’acquisire completa competenza nell’esecuzione degli esercizi del training; possono viceversa emergere novità positive da parte di una donna che ha notato dei miglioramenti, che possono essere un rinforzo per le altre. Occorre che la conduttrice sappia utilizzare bene la tecnica dell’ascolto empatico, o di “ascolto efficace” provando a mettersi “nei panni dell'altro”, cercando di entrare nel punto di vista dell’interlocutore e comunque condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta. da questa modalità è escluso il giudizio, ma anche il consiglio e la tensione del “dover darsi da fare” per risolvere il problema: questo determina nel gruppo un aumento dell'autostima e la fiducia in se stesse, si immagazzinano più informazioni, si eseguono meglio le istruzioni ed anche si ha maggior controllo su quelle date. Ogni gruppo è un organismo vivente a sé, con caratteristiche peculiari differenti da tutti gli altri, e
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puntare sul riconoscimento di ciò, dichiarandolo chiaramente, è interpretato come una valorizzazione delle proprie soggettività da parte delle partecipanti al gruppo. -
Al termine del percorso c’è la valutazione da parte dei componenti, tramite questionario anonimo, che fornirà il feed – back al conduttore di come sia considerato il lavoro svolto, di come siano stati appresi contenuti, valutazioni sulla metodologia utilizzata, sui tempi dedicati, sugli strumenti. A mio avviso è utile confrontare questi dati con l’osservatore, se previsto, o con altre colleghe che facciano lo stesso tipo di intervento; sappiamo quanto sia grande il rischio di soggettività della valutazione, sia da parte di chi la fornisce che di chi la riceve. E’ buona cosa quindi al fine di ridurre enfasi sia sulla positività che riguardo alle critiche, preparare molto accuratamente i questionari, seguendo alcune regole tecniche nella costruzione di essi, (domande incrociate, ripetizione di domande poste in senso positivo e negativo….)
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TABELLA RIASSUNTIVA DELLA PROGETTAZIONE FORMATIVA SUCCESSIONE EDUCAZIONE SANITARIA: EDUCAZIONE TERAPEUTICA: LAVORO CORPOREO, TEMPORALE DEGLI CONTENUTI RELATIVI AL INTERVENTO RIGUARDANTE LA SIMULAZIONI, CASI DI INCONTRI PARTO RIABILITAZIONE DEL PERINEO PROBLEMA, ALTRE METODOLOGIE 1° incontro Presentazione delle partecipanti Presentazione delle partecipanti e della Visualizzazione, esercizi di respirazione e della conduttrice conduttrice Libera narrazione di argomenti Libera narrazione di argomenti correlati correlati alla gravidanza alla gravidanza 1° incontro Discussione di gruppo su Presentazione argomento, Esercizi di respirazione esercizi di problematiche relative alla somministrazione questionario contrazione e rilassamento del gravidanza conoscitivo perineo,visualizzazioni corporee Lavoro in piccoli gruppi con costruzione di mappe concettuali attinenti l’argomento 2° incontro Breve lezione sulla riabilitazione Diagnosi educativa condivisa in gruppo Esercizi perineali del perineo, introduzione e e discussione discussione sui prodromi di travaglio di parto 3° incontro Descrizione del travaglio di Contratto educativo e condivisione Esercizi perineali parto e correlazione con le obiettivi operazionali con il gruppo Visualizzazione della contrazione, posizioni libere correlazione con esercitazione sulle posizioni in travaglio lastimolazione perineale 4° incontro
Simulazioni di casi in piccolo Discussione riguardante problematiche Esercizi perineali gruppo, condivisione di ritorno degli esercizi Role-playng nel grande gruppo Visualizzazione
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5° incontro
Breve lezione sul parto e Lezione di rinforzo sugli esercizi e discussione in gruppo collegamento fra parto e danni perineali
Esercizi perineali Esercitazioni sulle posizioni Simulazioni e problem-solving Visualizzazione
6° incontro
“giro” di conoscenza della salaparto e reparto di ostetricia Familiarizzazione con la struttura Le posizioni dell’allattamento
Esercizi perineali Esercitazione sulla modalita’ e posizioni del periodo espulsivo Visualizzazione e rilassamento Esercizi perineali Respirazione Posizioni Modalita’ di “spinta” Rilassamento
7° incontro
Costruzione di mappe concettuali in piccolo gruppo, con relativa consegna, su “parto” “dolore” “strategia” Collegamento fra dolore perineale e posizioni dell’allattamento Somm.ne questionario di apprendimento e gradimento
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ALLEGATO 1 QUESTIONARIO INIZIALE
QUESTIONARIO CONOSCITIVO ETA’
20 – 30
□
30 -40
□
>40
□
PESO ATTUALE
60 -70
□
AUMENTO PONDERALE
KG……..
70 -80
□
AUMENTO PONDERALE
KG……..
AUMENTO PONDERALE
KG…… ..
---------------------------->80
□
QUALI SONO LE TUE ASPETTATIVE RISPETTO AL CORSO?............................................ ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… C’E’ QUALCHE ARGOMENTO CHE TI INTERESSA IN MODO PARTICOLARE?............ ……………………………………………………………………………………………………….. ………………………………………………………………………………………………………… COME STAI VIVENDO LA GRAVIDANZA?............................................................................ ……………………………………………………………………………………………………… QUALI SONO LE PERSONE PIU IMPORTANTI DI SOSTEGNO?...................................... ……………………………………………………………………………………………………… DOVE E DA CHI SEI SEGUITA? GINECOLOGO PRIVATO □ CONSULTORIO (QUALE?)…………… □…………..OSTETRICA □ QUANTI VISITE GINECOLOGICHE?.............QUANTE ECOGRAFIE?............................... HAI MAI SENTITO PARLARE DI PERINEO? NO………………………□ SI’……………………….□…………………..DOVE?..................................................................... TI CAPITA DI AVERE PERDITE DI URINA QUANDO TOSSISCI O FAI SFORZI? NO
□
SI’
□
QUANTE VOLTE? AL GIORNO
□
AL MESE O DI RADO
□
NELLA SETTIMANA
□
SECONDO TE DA COSA DIPENDE?............................................................................................................. ……………………………………………………...…………………………………………………………… TI HANNO DIAGNOSTICATO UN PROBLEMA MEDICO COLLEGATO? NO
□
SI’
□ QUALE?........................................................................................................................
PENSI DI RIUSCIRE A RISOLVERE O CONTENERE IL PROBLEMA?................................ ………………………………………………………………………………………..………………. GRAZIE PER LA COLLABORAZIONE 136
ALLEGATO 2 QUESTIONARIO FINALE QUESTIONARIO DI APPRENDIMENTO E GRADIMENTO DEL CORSO ETA’
20 – 30
□
30 -40
□
>40
□
PESO ATTUALE
60 -70
□
AUMENTO PONDERALE
KG……..
70 -80
□
AUMENTO PONDERALE
KG……..
AUMENTO PONDERALE
KG…… ..
---------------------------->80
□
TI CAPITA DI AVERE PERDITE DI URINA QUANDO TOSSISCI O FAI SFORZI? SI’ NO TI SONO SEMBRATI UTILI GLI ESERCIZI PER LA TONIFICAZIONE DEL PERINEO? SI
□
NO
□
LI HAI ESEGUITI DA SOLA? SI
□
NO
□
SE SI’ QUANTE SERIE DA 10 AL GIORNO…………□
E A SETTIMANA………….□
SE NO, PER QUALE MOTIVO,PROBLEMA ………………………………………………………………………………………………………………… TI SEMBREREBBE UTILE RIPRENDERLI DOPO IL PARTO? SI’□
NO□
SE NO PER QUALE MOTIVO…………………………….………………………………………………… ………………………………………………………………..…………………………………………………. TI SEMBRANO UTILI I CONTENUTI DEL CORSO? (TEORIA E LAVORO CORPOREO) ………………………………………………………………..……………………………………………….… GLI ESERCIZI SONO STATI SPIEGATI CHIARAMENTE? …………………………………………………………...………………………………………………….…... IL MATERIALE FORNITO E’ SUFFICIENTE?.......................................................................................... LA PALESTRA E’ CONFORTEVOLE?........................................................................................................ EVENTUALI SUGGERIMENTI……………………………………………………………………….……. ……………………...…………………………………………………………………………………………… …………………...……………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………….…….. VALUTAZIONE COMPLESSIVA DEL CORSO
1□ 2□ 3□ 4□ 5□ 6□ 7□ 8□ 9□ 10□ GRAZIE PER LA COLLABORAZIONE
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I questionari sono anonimi ma hanno un numero identificativo uguale o un simbolo di riferimento che può essere segnato dalla donna o si possono consegnare insieme in busta chiusa ed essere preventivamente contrassegnati da chi li somministra. Inoltre vengono somministrati altre due buste chiuse, contenenti questionari da compilarsi nel primo puerperio e a distanza di sei otto settimane dal parto, i quali saranno rispettivamente (il terzo)consegnati al momento della dimissione dal reparto di degenza; il quarto)consegnato durante l’incontro di follow-up o spedito, in caso la paziente decida di non sottoporsi al follow-up.
CONTENUTO DELL’INTERVENTO (durante il corso di preparazione al parto: TRAINING MUSCOLARE PERINEALE
Il training muscolare perineale è indirizzato ai fasci pubococcigei del muscolo elevatore dell’ano, utilizza il lavoro attivo ed attivo-assistito contro resistenza tende a togliere le tensioni muscolari utilizzando tecniche di stiramento, a incrementare la forza, la resistenza allo sforzo, la velocità di accorciamento, e ne modifica l’estensibilità e l’elasticità. Tale tecnica è altresì importante per valutare la qualità della contrazione degli elevatori, le tensioni muscolari, le varie asimmetrie, le zone di fibrosi e cicatrici. All’inizio di tale fase si richiedono contrazioni rapide del pubococcigeo, seguite da un periodo di riposo doppio al periodo di contrazione (5 secondi di contrazione, 10 secondi di riposo). Si effettuano poi contrazioni sostenute del pubococcigeo per rafforzare la componente tonica (da 10 secondi fino a 30 secondi di contrazione con la durata doppia di rilassamento). Ambedue i tipi di contrazione possono essere eseguiti in varie posture (supina, seduta e in piedi; in queste ultime due posture il peso dei visceri favorisce una resistenza alla contrazione) e durante le attività della vita quotidiana.
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ESERCIZI DI AUTOMATIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ MUSCOLARE PERINEALE In questa fase si attuano esercizi in cui le attività motorie perineali si integrano in schemi di lavoro che prevedono la contemporanea attivazione della muscolatura agonista (adduttoria, glutea) ed antagonista (addominali). Per effettuare questo tipo di esercizi è indispensabile il raggiungimento di un elevato grado di integrazione corticale che permetta di associare-dissociare con relativa facilità l’attività dei sopracitati gruppi muscolari 4.3 PRIMO PUERPERIO- INTERVENTI EDUCATIVI IN REPARTO il momento dell’individuazione delle donne a rischio di incontinenza urinaria Il setting è rappresentato dalla degenza nel reparto di ostetricia nel post-partum e primo puerperio ¾ messa in atto di azioni di pianificazione un momento dedicato all’educazione terapeutica e alla valutazione dello stato dei muscoli del pavimento pelvico L’impegno di tempo stimato è di circa quindici minuti a donna. ¾ Il tipo di relazione è one - to - one ¾ Il luogo dedicato all’intervento dovrebbe essere tranquillo, nel rispetto della privacy (ad esempio la medicazione) ¾ la valutazione e la compilazione delle schede durante il controllo puerperale giornaliero ¾ un momento dedicato, alla dimissione della donna, alla valutazione funzionale della muscolatura e al colloquio riguardante la motivazione e il grado di empowerment raggiunto relativo al percorso educativo - terapeutico, di durata di circa quindici minuti Anche il primo periodo puerperale, è un momento fondamentale per la figura ostetrica per prendere contatto con la donna e per crearsi strumenti adeguati e snelli che possano permetterle di individuare le donne a rischio, indirizzare le stesse verso programmi adeguati, fornire informazioni e istruzioni a tutta la popolazione in oggetto. Nell’attuale contesto organizzativo in cui l’ostetrica si trova a gestire la gravida e la puerpera completamente nei reparti di degenza, dall’accettazione alla dimissione, possono trovare una collocazione senza richiedere da parte degli operatori un impegno
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maggiore, possono essere visti come un’ arricchimento e una codifica di ciò che già attualmente l’ostetrica fa. Tali schede di pianificazione devono essere aperte per tutte le puerpere da parto spontaneo prevedendo almeno ed alla valutazione dello stato perineale. Durante la degenza il momento dedicato alla valutazione dello stato perineale può essere effettuato nell’ambito dei controlli quotidiani della puerpera. L’ultimo di questi interventi dovrà essere eseguito al momento della dimissione per completare il quadro riabilitativo ed eventualmente indirizzare le donne a rischio ad un programma specifico. OBIETTIVI
1) INDIVIDUARE le donne a rischio di sviluppare una disfunzione del pavimento pelvico ed invitarle a partecipare a un programma di rieducazione/riabilitazione. 2) INCLUDERE il PC-TEST (valutazione pubo - coccigea) come programma specifico nella valutazione puerperale. 3) FORNIRE contatti ed informazioni alle donne dove potersi rivolgere in caso di necessità. INDIVIDUAZIONE DELLE DONNE A RISCHIO E COINVOLGIMENTO IN UN PROGRAMMA DI EDUCAZIONE/RIABILITAZIONE CONTENUTI CLINICI L’identificazione della popolazione a rischio di incontinenza urinaria si articola sui seguenti punti: 1. Anamnesi generale, permette di evidenziare le malattie sistemiche in grado di indurre e/o amplificare le patologie le disfunzioni perineale e dei visceri pelvici (già presente in cartella). 2. Anamnesi ostetrica permette di emergere i fattori di rischio predisponenti e scatenanti le disabilità perineali determinate dal peso dell’utero gravido, dall’assetto ormonale, dallo stiramento sui muscoli e sulle strutture di sostegno e di sospensione dei visceri e dei nervi pelvici al momento del passaggio del feto
140
nel canale del parto. Esiti cicatriziali della episiorrafia e delle riparazioni delle soluzioni di continuo spontanee. 3. Anamnesi uro-ginecologica
permette di valutare la presenza del prolasso
genitale sindrome da urgenza- frequenza minzionale, il tipo di incontinenza che andrà indagato con esami strumentali per essere confermato 4. Anamnesi colon proctologica, indaga la presenza di incontinenza. 5. Anamnesi sessuale, evidenzia i fattori di rischio biologici, psico sessuali, relazionali che determinano le disfunzioni genito-sessuali Inoltre devono essere considerati: ¾ PROFILO PSICOMETRICO indispensabile valutare la partecipazione della donna in quanto fondamentale che questa sia attiva per la buona riuscita dell’intervento; ¾ VALUTAZIONE ANATOMICA o Cicatrici Si ricerca la presenza di esiti cicatriziali di vecchia data se la puerpera non è al primo parto (cheloidi, sclerosi..), si controllano le cicatrici presenti che non siano infette infiltrate, diastasate in tal caso si apporranno le dovute cure (pulizia della sutura, applicazione di ghiaccio, creme lenitive, uso di antidolorifici per limitare l’inutilizzo del perineo). Una cicatrice anormale, che si ripari non correttamente può dare problemi di dispareunia alla ripresa dei rapporti sessuali. o Integrità perineale Anche un perineo integro deve essere valutato per evidenziare precocemente lacerazioni muscolari nascoste dall’integrità della cute e delle mucose, il tessuto di riparazione non ha le stesse caratteristiche di contrattilità elasticità delle fibre muscolari che ha sostituito. o Distanza ano-vulvare rappresenta topograficamente il nucleo fibroso centrale del piano perineale, è lo spazio che si trova tra la commissura posteriore delle piccole e grandi labbra e l’ano. Questo è un parametro che riguarda l’integrità del nucleo fibroso centrale del perineo, regione sulla quale si inseriscono le fibre muscolari del perineo profondo e superficiale e che
141
fornisce una contropressione agli aumenti della pressione addominale. o Beanza vulvare può essere espressione della integrità anatomica o meno del pavimento pelvico. (V0-V1-V2-V3), questo parametro obiettiva la tonicità del perineo superficiale. Caratteristiche costituzionali o modificazioni perineali legate all’espletamento del parto, possono ridurre lo spazio tra vulva e ano e determinare una dilatazione significativo dell’introito vaginale. Il risultato è che lo iato urogenitale viene notevolmente allargato, un po’ come se la stoffa muscolare fosse stata consumata e resa incapace di contenere e di contrastare gli aumenti pressori intraaddominali. o Trofismo deriva dall’influenza estrogenica sulla ricca vascolarizzazione della sottomucosa uretrale (che consente il collabire della mucosa uretrale ed assicura la perfetta continenza urinaria). Valutazione che può essere effettuata valutando il trofismo della vagina in quanto, vagina, uretra e trigono vescicole nascono dallo stesso foglietto embrionale. o Presenza di prolassi identificando il segmento interessato e il grado di descensus (1°, 2°, 3°, 4° grado). o Postura l’antiversione del bacino può influenzare la direzione dell’aumento pressorio intra- addominale sul perineo anteriore (più debole) e sui visceri pelvici; in questo caso è opportuno far riferimento a professionisti competenti per una rieducazione posturale globale.
142
tessuti coinvolti
Grado
• •
cute mucosa vaginale
1
• • •
cute mucosa vaginale muscoli del pavimento pelvico (bulbocavernoso e trasverso del perineo)
2
• • • •
cute mucosa vaginale muscoli del pavimento pelvico (bulbocavernoso e trasverso del perineo) muscolo sfintere esterno dell’ano
3
• • •
cute mucosa vaginale muscoli del pavimento pelvico (bulbocavernoso e trasverso del perineo) muscolo sfintere esterno dell’ano muscolo sfintere interno dell’ano mucosa rettale
4
• • •
¾ VALUTAZIONE FUNZIONALE a. Tonicità nucleo fibroso centrale b. Continenza, tonicità sfintere anale, comparsa di fughe di urina c. Esame neurologico dovrà essere rinviato a una valutazione successiva (dopo almeno 6-8 settimane dal parto) per permettere un’efficace riequilibrio dell’innervazione muscolare pelvica che è fortemente stressata dall’evento parto. Esame che quindi verrà eseguito nelle donne che saranno invitate a un controllo presso adeguato servizio.
143
¾ VALUTAZIONE DEL MUSCOLO PUBO-COCCIGEO (PC TEST ) d. Invitare la donna ad assumere una posizione litotomica rilassata con i piedi appoggiati sul piano e gambe flesse. L’ostetrica introdurrà il dito indice e medio appoggiati a piatto oltre l’introito vaginale per circa 1 cm. l’ostetrica chiede alla donna di contrarre selettivamente gli elevatori tramite input verbali facilitatori (stringa come per trattenere la pipì, o un’aria …) . È necessario valutare entrambe le branche del pubo coccigeo dx e sx (simmetria). Valutazione secondo il grading PC TEST (può essere direttamente utilizzato come scheda o semplicemente segnalato, inserendo le tre schede come legenda). Si valuterà quindi la competenza fasica, tonica e la resistenza. e. Sinergie muscolari si valuta la selettività delle contrazioni del PC e /o l’utilizzo di contrazioni agoniste (adduttori e glutei) o antagoniste (addominali e diaframma). f. Endurance dell’elevatore dell’ano si fa eseguire una contrazione massimale per 10 sec. Da ripetere 10 volte con la durata di 5 sec. E con una pausa di 10 sec. Per ogni contrazione, valutando se la prestazione muscolare è uguale a quella iniziale.
(VEDI SCHEDE ALLEGATE)
Di seguito vengono riportate le scale per l’assegnazione del punteggio per la valutazione funzionale perineale:
144
GRADING PC TEST FASICO 0
0
1
Assenza di contrazione muscolare Accenno alla contrazione muscolare ( vibrazione sotto le dita)
1
Contrazione debole ( senza la possibilità di influenzare la statica
2 pelvica) 3
Contrazione valida, contrastata da una modesta resistenza 2
4
Contrazione forte , contrastata da una forte resistenza Contrazione potente,resistente ad opposizione massimale, tale da
5
3 influenzare la statica pelvica sensibilmente
GRADING PC TEST TONICO 0
Contrazione mantenuta per almeno 2 secondi
1
Contrazione mantenuta da 2 a 5 secondi
2
Contrazione mantenuta da 5 a 9 secondi
3
Contrazione mantenuta per più di 9 secondi
GRADING PC TEST PER RESISTENZA 0
Meno di 2 contrazioni valide
1
Da 2 a 5 contrazioni valide
2
Da 5 a 9 contrazioni valide
3
Più di 9 contrazioni valide ( la prima e la decima sono della stessa intensità)
145
ASPETTI RELAZIONALI DI EDUCAZIONE TERAPEUTICA. Questo momento di intervento si caratterizza per la relazione individuale fra ostetrica e puerpera Come identificato dal Prof Assal80 la relazione one –to –one presenta alcuni vantaggi rispetto alla relazione in gruppo ed ovviamente degli svantaggi. ¾ Insegnamento individuale: VANTAGGI
SVANTAGGI
Personalizzazione
Nessun confronto con altri pazienti
Relazione privilegiata
Assenza della dinamica di gruppo
Possibilità di circoscrivere i bisogni
Rischio di insegnamento poco strutturato
specifici del paziente
Richiede troppo tempo
Rispetto del ritmo del paziente
Rischio di influenza sull’operatore sul
Miglior contatto
paziente
Migliore conoscenza del paziente
Rischio di incompatibilità con un paziente
Permette di affrontare il vissuto del
“difficile”
paziente
Stanchezza dovuta alla ripetizione
La situazione più utile per l’educazione terapeutica è sicuramente la possibilità di entrare maggiormente in contatto con il vissuto della paziente, e di circoscrivere con buona approssimazione i suoi bisogni specifici rispetto al problema. In questa fase argomentazioni efficaci per l’ostetrica sono le eventuali difficoltà dovute al dolore perineale dell’allattamento, perché la paziente non riesce a trovare posizioni comode che favoriscano l’attaccamento al seno del bambino, è riconosciuto infatti che il dolore perineale particolarmente accentuato crei problemi a questo livello, anche se non sono stati fatti studi esaurienti sull’argomento, che meriterebbe, peraltro di essere approfondito. Dopo il parto possono essere accentuati i disordini urinari dovuti al travaglio e parto Inoltre la puerpera si trova in una situazione psicologica molto diversa dalla gravida, più facilmente accompagnata da sentimenti di tipo depressivo “maternity blues” nella quale sentirsi curata o semplicemente accudita può essere d’aiuto, l’ostetrica, quindi, può 80
Ibidem pag. 69
146
lavorare sull’auto-stima della paziente, cercando di renderla edotta sulle possibilità di poter efficacemente superare i problemi che ha. La relazione relativa all’intervento di educazione/riabilitazione terapeutica prevede due colloqui , di cui il primo nell’immediato post - partum, il secondo alla dimissione. Nel corso del primo colloquio l’ostetrica, a seconda che conosca già la paziente, per la frequentazione del programma pre - partum o meno, varierà le caratteristiche del colloquio. Se la donna aveva in precedenza seguito il corso, sarà edotta riguardo alla tematica e alle implicazioni che il colloquio contiene. Si tratterà di verificare se e come è riuscita a mettere in pratica strategie di protezione personale durante il travaglio e parto: quanto tempo è riuscita a rimanere a casa nelle prime fasi del travaglio, durata del periodo espulsivo, posizioni assunte, posizione del momento espulsivo; inoltre i sentimenti che hanno accompagnato il parto, la sua sensazione di “potere” all’interno di esso, l’aiuto del marito (care - giver). Se la donna non ha seguito il corso, questo è il momento per farle assumere consapevolezza dell’insorgenza di eventuali problemi legati al danno perineale e all’eventualità di insorgenza di problemi urinari Alla dimissione durante il colloquio si lascia spazio alle paure psicologiche ed al disagio fisico che la donna descriverà, problematiche relative all’iniziale allattamento (a patto che l’intervento precedente sia condotto in maniera comprensiva e collaborativa rispetto a problemi ed eventuali possibili soluzioni da parte dell’ostetrica). Si tratta di dare il massimo ascolto anche alle tematiche relative l’auto-stima che la donna ha in questo momento particolare, cercando di stabilire una relazione di aiuto che potrà essere utilizzata dalla donna in futuro. Riguardo a ciò il consultorio familiare rappresenta una possibilità di continuità assistenziale sicuramente più favorevole rispetto all’ospedale. Per questioni, forse di natura politica, il raccordo ospedale- territorio è molto scarso, ciò non significa che sia impossibile realizzarlo. Si può quindi invitare la donna a rivolgersi al consultorio territoriale di appartenenza, o, viceversa si può far capire che il rapporto con la struttura non termina con la dimissione, si possono prevedere contatti telefonici o appuntamenti in reparto. La cosa importante è fare capire che ci si fa carico delle problematiche presenti e che non si intende lasciare la paziente “da sola “ ad affrontarle.
147
Occorre proseguire con “il rinforzo” degli insegnamenti dati,(alle donne del gruppo pre - parto) e proporli alle donne che non ne hanno coscienza, facendo intravedere, in tal modo, la possibilità di sviluppare competenza e controllo del proprio personale disagio.
4.4 FOLLOW-UP 3) l’inizio dell’ attività rieducativo - riabilitativa È previsto un follow up presso l’ambulatorio di uro-dinamica, (attualmente nella struttura; vi è uno spazio che è utilizzato da un ginecologo solo due giorni a settimana) attuato dall’ostetrica a distanza di 6 -8 settimane dal parto , oppure una breve intervista telefonica con domande predefinite per verificare l’interesse della donna per un eventuale attività di riabilitazione personale, controllata periodicamente in ambulatorio. Il follow-up si basa anch’esso su di una relazione individuale, anche se in futuro si può pensare a corsi di gruppo, per le donne che ne facciano richiesta e quindi una popolazione target, costituita da gruppi di donne che continuano ad avere problematiche di incontinenza o che addirittura le stesse si siano aggravate con il parto.
148
VALUTAZIONE ANATOMICA PERINEALE ( SCHEDA 1 DATA/FIRMA
PERINEO INTEGRO EPISIORRAFIA LACERAZIONE 1° GRADO LACERAZIONE 2° GRADO LACERAZIONE 3° GRADO DISTANZA ANO VULVARE
INTERVENTO INFILTRATA DIASTASATA
o o o o
EDUCAZIONE IGIENE MEDICAZIONE ….
o o
ESERCIZI DI KEGEL INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE ….
INFETTA ALTRO
< 2 CM > 2 CM
o V0 V1 BEANZA VULVARE
VALUTAZIONE
ADESA
V2
o o o
ESERCIZI DI KEGEL INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE ….
V3 1° GRADO 2° GRADO PROLASSO
3° GRADO 4° GRADO TROFICO IPOTROFICO
TROFISMO
EDUCAZIONE o ESERCIZI DI KEGEL o INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE o …. EDUCAZIONE o ESERCIZI DI KEGEL o INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE o ….
149
VALUTAZIONE FUNZIONALE PERINEALE ( SCHEDA 2 ) DATA/FIRMA
OBIETTIVI
INTERVENTO
VALUTAZIONE
CONTINENZA INCONTINENZA SI, GIÀ PRESENTI ALTERAZIONE DELL’ELIMINAZIO NE URINARIA ALTERAZIONE DELL’ELIMINAZIO NE INTESTINALE
PERDITE DI URINA PRIMA DEL PARTO SOTTO SFORZO SI, PERDITE DI URINA COMPARSE DOPO IL PARTO ………………….
CHE LA DONNA COMPRENDA LE INFORMAZIONI SUL PERINEO CHE LA DONNA SIA IN GRADO DI ESEGUIRE LE CURE IGIENICHE DI ESEGUIRE GLI ESERCIZI DI KEGEL ………….
EDUCAZIONE PER LA CONOSCENZA DEL PERINEO UTILIZZO STRUMENTI INFORMATIVI CURE IGIENICHE o ADDESTRARE AGLI ESERCIZI DI KEGEL o ….
GAS E/O FECI STIPSI GHIACCIO (entro le 24-72 ore) o VERIFICARE ESITO FARMACI PRESCRITTI ANTIDOLORIFICI o SUPP. o X OS o …… o ASSICURARE COMFORT USO DI AUSILI (ciambella, scaletta …) o MONITORAGGIO DEL DOLORE: SEDE, INTENSITÀ, TIPO o
SI DOLORE PERINEALE ( SCALA VAS)
o
NO DIFFUSO
o
LOCALIZZATO o
CHE LA DONNA CONTROLLI IL PROPRIO DOLORE (VAS < 3) CHE LA DONNA NON PRESENTI DOLORE ……..
150
VALUTAZIONE CLINICA DEL MUSCOLO PUBO-COCCIGEO (PC TEST) ALLA DIMISSIONE ( SCHEDA 3) DATA/FIRMA
GRADING 0 1 CONTRAZIONE FASICA
2 3 4 5
0 CONTRAZIONE TONICA
1 2 3
INTERVENTO EDUCAZIONE o ESERCIZI DI KEGEL o INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE o
__________ secondi
….
EDUCAZIONE o ESERCIZI DI KEGEL o INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE o
RESISTENZA
VALUTAZIONE
….
EDUCAZIONE o ESERCIZI DI KEGEL o INVIO A PROGRAMMA DI RIEDUCAZIONE o
….
151
"La vita come mezzo della conoscenza" – con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere. Friedrich Nietzsche
CAPITOLO 5 -
PROGETTO DI RICERCA AZIENDALE SUL
PERCORSO RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO Il progetto attivato presso la U.O. di ostetricia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna fonda le basi sulle motivazioni espresse nei capitoli precedenti. Ancora oggi assai poco conosciuta, eppure fondamentale per la salute e il benessere di ogni donna è la regione muscolare comunemente definita come pavimento pelvico che è stato lungamente ignorato per ragioni di varia natura. Quella del pavimento pelvico rappresenta di fatto sia la regione chiave della defecazione e della minzione che quella della sessualità. Molteplici pudori sociali e tabù culturali hanno quindi contribuito nel tempo a renderla ancora più rimossa e dimenticata. La medicina stessa, tra l’altro, ha raggiunto solo in anni recenti una maggiore conoscenza e comprensione della sua centralità e del suo articolato significato. Solo recentemente si è cominciato a parlare e a dibattere su larga scala di prevenzione delle lacerazioni perineali durante il parto e delle conseguenze dell’episiotomia. Da poco ha iniziato a diffondersi una maggiore attenzione, teorica e pratica, nei confronti di prolassi e incontinenza urinaria femminile, riconoscendo al contempo la giusta dignità ed efficacia ai cosiddetti approcci riabilitativi "conservativi", che spesso sono in grado di integrare o addirittura evitare i tradizionali interventi di tipo chirurgico o farmacologico con un abbattimento dei costi sanitari e sociali. Gli obiettivi dichiarati per la realizzazione del progetto sono di sviluppare una maggiore sensibilità nei confronti dell’ argomento, approfondendo le metodiche e le modalità della corretta diffusione delle informazioni sia in ambito preventivo che terapeutico e riabilitativo, valutando l’efficacia dell’intervento su soggetti a cui è stata fornita l’ informazione versus soggetti a cui non è stato fornito
152
alcun intervento educativo.
Risultati Attesi • Riduzione delle situazioni di incontinenza urinaria o prolasso conseguenti ad una ridotta o assente educazione sanitaria. • Aumento del livello di soddisfazione individuale delle donne coinvolte. Per la realizzazione del progetto sono state prese in considerazione le conoscenze sull’argomento ritenute prioritarie per dimostrare l’utilità del progetto stesso. Diversi studi e diverse realtà già collaudate dimostrano che le tecniche di riabilitazione perineale rappresentano un trattamento efficace e di prima istanza nella prevenzione nel trattamento dei sintomi perineali dell’ incontinenza e dei danni clinicamente non evidenti seguenti al parto vaginale. Alcuni autori affermano che appare ineluttabile il ricorso a un training sistematico della muscolatura perineale per salvaguardare la funzione muscolare da attuare nei momenti in cui esso è fortemente sollecitato, quali la gravidanza e il parto. La Regione Emilia Romagna nelle linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica della gravidanza, parto, puerperio pubblicate sul bollettino ufficiale n°82 del 2008 definisce che il ruolo dell’ ostetrica è quello di orientare il proprio intervento pianificando e organizzando l ‘assistenza in relazione ai bisogni espressi e non espressi della donna, rieducando il piano perineale attraverso esercizi mirati. La prevenzione di routine con la ginnastica pre e post partum andrebbe offerta durante il percorso nascita, perché più ampia e precoce è la diagnosi, più il trattamento avrà un riflesso rilevante sul risparmio socio - economico e sull’aspetto psico - sociale. Nonostante numerosi studi confermino un’elevata prevalenza di incontinenza urinaria i dati sono comunque sottostimati rispetto ai casi di debolezza e inadeguatezza della funzione urinaria precedenti all’ incontinenza: è per questo che si deve anticipare il momento della rilevazione del
153
problema e la diagnosi, per aumentare l’efficacia del trattamento e per ridurre i costi sociali ed economici81
Box informativo delle linee guida e articoli di letteratura •
Linee di indirizzo per l’assistenza Ostetrica alla gravidanza,al parto e al puerperio B.U.R Emilia Romagna Parte seconda N°82 20 Maggio 2008
•
Pelvic floor muscle training versus no treatment for urinary incontinence in women. A Cochrane systematic review. Dumoulin C, Hay-Smith J Eur J Phys Rehabil Med .2008 Mar;44(1):47-63
•
Pelvic floor muscle training for prevention and treatment of urinary and faecal incontinence in antenatal and postnatal women. Hai- Smith J,Morkved S, Fairbrother KA, Herbison GP Cochrane Database Syst Review. 2008 Oct 8;(4):CD007471
•
Ruolo del consultorio nella prevenzione, diagnosi e terapie riabilitativa e farmacologiche in uroginecologia.Un sistema pubblico per il contenimento dei costi umani ed economici dei deficit del pavimento pelvico Orlandella M. Congresso SIGITE Taormina 2006 DIC
•
Disfunzione del pavimento pelvico femminile Di Stefano M, Moscarini M. www.careperinatologia.it
•
Pelvic Floor exercises during and after pregnancy :a systematic review of their role in preventing pelvic floor dysfunction. Harvey MA. J Obstet Gynaecol Can . 2003 Jun ;25(6):451-3
•
Meta-Analysis of pelvic floor muscle training:randomized controlled trials in incontinent women. Choi H. ,Palmer MH,Park J. Enferm Clin.2008 Mar –Apr;18(2):104/5
•
Treatment of the dysfunction of the pelvic floor Pena Outeirino JM,Rodriguez Perez AJ, Villodres Duarte A,Marmol Navarro S, Lozano Blasco JM Actas Urol Esp. 2007Jul-Aug ;31(7):719-31.
•
Antenatal perineal massage for reducing perineal trauma (Review) The Cochrane Library2009, Issue 4Michael M Beckmann1, Andrea J Garrett2
•
“Maternal positions and mobility during first stage labour” (Review) Lawrence A, Lewis L, Hofmeyr GJ, Dowswell T, Styles C The Cochrane Library2009, Issue 4
•
Hay-Smith J, Dumoulin C Pelvic floor muscle training versus no treatment, or inactivecontrol treatments, for urinary incontinence in women(Review) The Cochrane Library2009, Issue 4
•
Pelvic Floor Muscle Training for prevention and treatment of urinary and faecal incontinence in antenatal and postnatal women” Hay – Smith J, Mørkved S, Fairbrother KA, Herbison GP. The cochrane Library 2009, Issue 4
•
Hay-Smith J, Dumoulin C Pelvic floor muscle training versus no treatment, or inactive control treatments, for urinary incontinence in women(Review) The Cochrane Library2009, Issue 4
•
Pelvic Floor Muscle Training for prevention and treatment of urinary and faecal incontinence in antenatal and postnatal women” Hay – Smith J, Mørkved S, Fairbrother KA, Herbison GP. The cochrane Library 2009, Issue 4
•
Prevent postnatal lurinary incontinence by prenatal pelvic floor exercise? Rationale and protocol of the multicenter randomized study prenatal pelvic floor prevention (3PN). Fritel X,fauconnier A,de Tayrac R ,Amblard J,Cotte L , Fernandez H. Ginecol obstet Biol Reprod (Paris) 2008 Sep;37(5):441-8.Epuub 2008 Jun 3
81
i documenti di riferimento sono contenuti all’interno del box informativo
154
Quali nuove conoscenze il progetto porterà rispetto a quanto già si conosce: -
Sviluppo di una metodica sistematica di applicazione di tecniche integrate di educazione sanitaria e terapeutica all’interno dei corsi di preparazione al parto e implementazione di un settore specifico ostetrico orientato ad interventi mirati di riabilitazione. Le nuove conoscenze derivanti dal nuovo approccio preventivo e riabilitativo potrebbero essere intese come una risorsa con cui l’Azienda potrebbe rispondere ai bisogni sanitari dell’ utenza.
Obiettivi primari
•
Presa in carico dell’utenza con diagnosi precoce e prevenzione dei danni perineali, quali incontinenza urinaria, debolezza e inadeguatezza della funzione urinaria, che aumenta l’efficacia del trattamento.
•
Educazione sanitaria mirata al fine di prevenire e ridurre eventuali danni legati alla gravidanza e al post – partum.
•
Nuovo approccio di educazione terapeutica collegato alla riabilitazione del perineo.
Obiettivi secondari •
Terapia specifica precoce in tutte quelle situazioni e condizioni in cui gli interventi educativi non siano stati possibili o non abbiano ottenuto per vari motivi gli effetti attesi, al fine di ridurre e contenere i danni creatisi.
•
Riduzione dei costi sociali ed economici dovuti a diagnosi tardive di incontinenza già conclamata.
•
Miglioramento della qualità di vita delle utenti..
•
Miglioramento del grado di soddisfazione delle utenti
155
Metodi •
Questionari a risposta multipla chiusa e aperta
•
Interviste Semi strutturate
Pazienti
•
Campione significativo valutato nel 10 – 15 % di tutti gli accessi effettuati nell’arco di un anno solare (circa 3800 anno) Æ 500 pazienti.
Criteri di inclusione alla ricerca •
Pazienti nullipare.
•
età 20 – 40 anni.
•
Espletamento del parto per le vie naturali.
•
Insorgenza del travaglio fra la 37^ e 42^ settimana
•
Assenza di infezioni concomitanti o specifiche della gravidanza
•
nessuna distinzione nelle variabili socio demografiche.
•
Distanza ano – vulvare superio a 3 cm (valutata nel controllo dell’immediato post – partum).
Intervento •
Incontri durante i corsi di preparazione al parto di informazione ed educazione sanitaria sulla funzionalità del pavimento pelvico in modo particolare relativamente allo stato di gravidanza.
•
Osservazione dei danni perineali nel primo post partum: presenza di lacerazioni vaginali di vario grado,episiotomie,edema vulvare, riferito dolore perineale
156
•
Rilevazione di dati relativi al travaglio e al parto attraverso la cartella clinica, il cartogramma e scheda del parto (durata e modalità periodo espulsivo, parto operativo, esecuzione di manovra di Kristeller, macrosomia fetale)
•
Riabilitazione su base volontaria
•
Follow – up a distanza di tre mesi dal parto
Setting •
Corso di preparazione al parto
•
Degenza in stato gravidico e puerperio
•
Ambulatorio destinato
End point/outcome •
Significativa differenza fra donne a cui sono somministrati interventi di educazione sanitaria e terapeutica versus donne non informate.
Tipo di disegno di studio •
R.C.T. (Studio controllato randomizzato)
Modalita’ di raccolta dati •
Predisposizione di 3 questionari: o tipo 1- pre – parto o tipo 2- immediato post – partum ( comune pazienti) o tipo 3- 3 mesi post – partum
•
Somm.ne di questionari a risposta multipla chiusa e aperta.
•
Somm.ne di interviste semistrutturate a campione per verifica degli interventi effettuati.
•
Utilizzo di database per l’inserimento dei dati raccolti (software utilizzato Access)
•
Analisi delle variabili e dei dati raccolti con spreedsheet ( excel o SPSS)
157
Dimensione pianificata dello studio e sua giustificazione •
Campione significativo valutato nel 10 – 15 % di tutti gli accessi effettuati nell’arco di un anno solare (circa 3800 anno) Æ 500 pazienti.
•
Miglioramento della qualità di vita delle pazienti con relativo abbattimento dei costi sanitari
Trasferibilita’ del progetto Assoluta generalizzabilità e trasferibilità in tutte le realtà in cui vengono tenuti corsi di preparazione al parto.
Prodotti del progetto •
Questionario di valutazione della conoscenza dell’argomento da parte delle donne partecipanti al corso di preparazione al parto al fine di predisporre eventuali interventi mirati (inizio del progetto)
•
Protocollo
per la realizzazione degli interventi necessari all’azione di
prevenzione e riabilitazione (termine del progetto) •
Opuscolo formativo – informativo per le donne partecipante ai corsi (ad inizio intervento nell’ambito dei corsi di preparazione al parto)
•
Opuscolo formativo per il personale sanitario operante sia in ambito ospedaliero che territoriale (termine progetto)
158
Budget e finanziamenti Utilizzo del finanziamento richiesto (Euro) Personale
0 il personale ostetrico svolge l’attività fuori dell’orario di servizio su base volontaria. Per i corsi di preparazione viene stipulato un contratto ad hoc all’esterno dell’attività istituzionale.
Materiali e beni di consumo -
Piano
4000 2000
comunicazione dell’iniziativa -
Attività di comunicazione del servizio
-
Meetings, Convegni, Workshop
Totale
6000
Utilizzo di risorse già a disposizione della equipe di ricerca Personale
PC PERSONALI INTERNET SITO WEB AZIENDALE
Attrezzature e materiali
APPARECCHIO BIO-FEEDBACK
Meetings, Convegni, Workshop
CORSI FORMATIVI SPECIFICI (competenza nella
riabilitazione)
e
TRASVERSALI
(competenze comunicativo-relazionali)
159
QUESTIONARIO TIPO I ETA’ 20 – 30 □
PESO ATTUALE KG 70
□
AUMENTO PONDERALE
ETA’30 -40
□
PESO ATTUALE KG 80-90 □
AUMENTO PONDERALE
ETA’>40
□
PESO ATTUALE KG >90
AUMENTO PONDERALE
□
STRUTTURA DI RIFERIMENTO PER LA GRAVIDANZA : STRUTTURA PUBBLICA
□
STRUTTURA PRIVATA
GINECOLOGO PRIVATO
□
ALTRO (SPECIFICARE)
□
PROFESSIONISTA DI RIFERIMENTO: GINECOLOGO
□
OSTETRICA
□
QUANTE VISITE GINECOLOGICHE?.. 1□
2□
3□
4□
5□
6□
OLTRE□___________________
5□
6□
OLTRE□___________________
QUANTE ECOGRAFIE? 1□
2□
3□
4□
CHE COSA E’ IL PERINEO?______________________________________________ ______________________________________________________________________ NON LO SO □ TI CAPITA DI AVERE PERDITE DI URINA QUANDO TOSSISCI O FAI SFORZI? NO □
SI’ □
QUANTE VOLTE? AL GIORNO
□
AL MESE O DI RADO
□
NELLA SETTIMANA
□
SECONDO TE DA COSA DIPENDE?.............................................................................. NEI HAI PARLATO COL MEDICO O CON L’OSTETRICA? SI □
NO □
TI HANNO DIAGNOSTICATO UN PROBLEMA MEDICO COLLEGATO A QUESTO FATTO? NO □
SI’ □
QUALE?_________________________
160
PENSI DI RIUSCIRE A RISOLVERE O CONTENERE IL PROBLEMA? …………………………………………………………………………...……………..… PARTE DA COMPILARE SOLO SE E’ STATA EFFETTUATA LA RIABILITAZIONE TI SONO SEMBRATI UTILI GLI ESERCIZI PER EFFETTUATI? SI □ LI HAI ESEGUITI DA SOLA?
NO □ SI □
SE SI’ QUANTE SERIE DA 10 AL GIORNO
NO □ E A SETTIMANA
TI SEMBREREBBE UTILE RIPRENDERLI DOPO IL PARTO? SI’□
NO□
GLI ESERCIZI SONO STATI SPIEGATI CHIARAMENTE?
NO□
SI’□
CI PUOI PROPORRE LE TUE OPINIONI E/O SUGGERIMENTI
GRAZIE PER LA COLLABORAZIONE
161
SCHEDA TIPO A QUESTIONARIO A DOMANDE APERTE COME TI SENTI FISICAMENTE E PSICOLOGICAMENTE? INDICA SULLA SCALA CHE DOLORE PROVI. La scala è una retta di 10 cm con due estremità che corrispondono a “nessun dolore” e il massimo possibile (oppure il massimo di cui si ha avuto esperienza). E’ uno strumento unidimensionale che quantifica ciò che il malato soggettivamente percepisce come dolore oppure come sollievo nel complesso delle loro variabili fisiche, psicologiche e spirituali senza distinguere quali di queste componenti abbia ruolo maggiore.
VAS (Scala visiva analogica) QUANTO TEMPO È DURATO IL TRAVAGLIO?....................................................................... QUANTO IL PERIODO ESPULSIVO?.......................................................................................... CHE POSIZIONI HAI ASSUNTO?................................................................................................ TI HANNO SVUOTATO LA VESCICA CON CATETERE?....................................................... SEI RIUSCITA AD URINARE ENTRO SEI ORE DAL PARTO?................................................
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TI CAPITA DI PERDERE UN PO’ DI URINA QUANDO TOSSISCI O FAI SFORZI?............. ……………………………………………………...……………………………………………... SI□
Hai problemi con l’allattamento?
NO□
…………………………………………………………..………………………………………… RIESCI A TROVARE POSIZIONI COMODE O IL DOLORE TE LO IMPEDISCE?................. ……………………………………………………………………………………………….......... AVRESTI PIACERE DI SOTTOPORTI AD UN TRATTAMENTO DI RIABILITAZIONE PERINEALE? Se SI’, PERCHE’?........................................................................................................................... Se NO PERCHE’?............................................................................................................................
(COMPILAZIONE
DA
PARTE
DELL’OSTETRICA
DEI
DATI
RELATIVI
AL
TRAVAGLIO E PARTO RILEVATI DAL PARTOGRAMMA E SCHEDA DEL PARTO)
DURATA PERIODO DILATANTE H
DURATA PERIODO ESPULSIVO H
POSIZIONE ASSUNTE NEL PERIODO DILATANTE……………………...…………………. IN PERIODO ESPULSIVO………………………………………………………………………. CATETERISMO
SI’□
NO □
ANALGESIA EPIDURALE
SI’□
NO □
EPISIOTOMIA
SI’□
NO□
LACERAZIONE GRADO I□
GRADO II□
GRADO III□
GRADO IV□
GRAZIE PER LA COLLABORAZIONE
163
Tempogramma del progetto
Somministrazione questionari di tipo 4 mesi dall’inizio del progetto 1 con inizio attività di educazione t0 Æ t4 sanitaria specifica all'interno dei corsi di preparazione psicoprofilattica al parto raccolta dati ed analisi dati raccolti
6 mesi dall’inizio del progetto t5 Æ t6
somministrazione
contestuale
di dal 7° al 12° mese dall’inizio
schede di tipo A a puerpere senza del progetto alcun
tipo
intervento t7 Æ t12
di
e a gravide che hanno partecipato all’intervento di educazione sanitaria (circa 500 donne) intervento di tipo riabilitativo su base dal 12° al 17° mese dall’inizio volontaria del pavimento pelvico.
del progetto t12Æ t17
Interviste
semi
–
strutturate Dal 13° al 19° mese dall’inizio
contestualmente a donne che hanno del progetto partecipato alla riabilitazione e a t13Æ t19 donne non partecipanti. raccolta dati ed analisi dati raccolti.
dal 19° al 22° mese dall’inizio del progetto t19 Æ t22
restituzione risultati.
e
pubblicazione
dei dal 23° al 24° mese dall’inizio del progetto t23 Æ t24
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Diagramma di Gantt ARTICOLAZIONE TEMPORALE ATTIVITA'
t0 t1 t2 t3 t4 t5 t6 t7 t8 t9 t10 t11 t12 t13 t14 t15 t16 t17 t18 t19 t20 t21 t22 t23 t24
Somministrazione questionari di ingresso ed inizio attivitĂ di educazione sanitaria specifica all'interno dei corsi di preparazione psicoprofilattica al parto Raccolta dati ed analisi dati raccolti Somministrazione contestuale delle schede di tipo A a puerpere senza alcun tipo di intervento e a puerpere che hanno partecipato all'intervento di educazione sanitaria (circa 500 donne) Intervento di tipo riabilitativo su base volontaria del pavimento pelvico. Interviste semi â&#x20AC;&#x201C; strutturate contestualmente a donne che hanno partecipato alla riabilitazione e a donne non partecipanti Restituzione risultati
e
pubblicazione
dei
165
Risultati Dal luglio 2009 è partito il progetto di ricerca e abbiamo iniziato gli interventi di informazione ed educazione al training muscolare durante i corsi di preparazione al parto descritti nel precedente capitolo. L’intervento ha compreso le istruzioni per la contrattilità, e tonicità perineale comprese quelle per eliminare le sinergie muscolari (esercizi di automazione) Delle 65 gravide contattate, 17 hanno riferito problemi di IUS (abbiamo considerato incontinenza la perdita di urina almeno una volta a settimana).
PROBLEMI DI I.U.S. RIFERITI 26%
74% PROBLEMI DI I.U.S. RIFERITI
NESSUN PROBLEMA
Le gravide sono state incoraggiate ad eseguire gli esercizi giornalmente con tre serie di 10 contrazioni perineali. Dai questionari somministrati l’80%delle gravide dichiarava di aver eseguito gli esercizi a casa. Nel primo puerperio in Reparto sono state rivalutate tutte le 48 gravide, in 38 gravide il pc-test ha dato un valore≥ 3, nelle rimanenti il test aveva valore <3, nessuna aveva testing=0. Le 38 donne che avevano buona capacità contrattile (pc-test≥3) sono state invitate ad un incontro
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RISULTATO PC TEST IN DONNE SENZA PROBLEMI DI I.U.S. RIFERITA 40 35 30 25 20 15 10 5 0 PC TEST >= 3 BUONA CAPACITA' CONTRATTILE
PC TEST <3 SCARSA CAPACITA' CONTRATTILE
PC TEST =0 NESSUNA CAPACITA' CONTRATTILE
Nel corso di questo le puerpere sono state istruite per un miglior controllo contrazione rilassamento, una corretta respirazione e per l’eliminazione di alcune sinergie muscolari. Il controllo eseguito a due mesi ha evidenziato valori medi aumentati del test (≥3,5) sia per il tono basale che per la contrattilità.
VALORE MEDIO PC TEST A DUE MESI IN DONNE SENZA I.U.S. RIFERITA 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0
PC TEST INIZIALE (VALORE MEDIO)
PC TEST A DUE MESI (VALORE MEDIO)
Considerando il gruppo delle 17 gravide che riferivano I.U.S. si è riscontrato in seguito che 7 donne avevano un test 0; in queste ultime non è stato utile l’intervento fatto in gravidanza.
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RISULTATO PC TEST IN DONNE CON PROBLEMI DI I.U.S. RIFERITA 8 7 6 5 4 3 2 1 0 PC TEST = 3 BUONA CAPACITA' CONTRATTILE
PC =<2 SCARSA CAPACITA' CONTRATTILE
PC TEST =0 NESSUNA CAPACITA' CONTRATTILE
Un test perineale di 3 è stato rilevato in 3 donne, mentre 7 puerpere avevano un testing ≤ 2. Il training riabilitativo è stato eseguito su queste 10 donne. Al termine del training riabilitativo si è riscontrato un aumento del testing di 1 punto circa in tutte le donne.
VALORE MEDIO PC TEST A DUE MESI IN DONNE CON I.U.S. RIFERITA (CON VALORE PC TEST >0) 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0
PC TEST INIZIALE (VALORE MEDIO)
PC TEST A DUE MESI (VALORE MEDIO)
La sintomatologia è scomparsa in 8 pazienti. Le 2 donne in cui è persistita la IUS, hanno riferito, tuttavia, un miglioramento della condizione clinica, con riduzione del numero di eventi di incontinenza.
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PROBLEMI DI I.U.S. PERSISTENTI DOPO L'INTERVENTO NELLE DONNE CON I.U.S. INIZIALE
47% 53%
PROBLEMI DI I.U.S. PERSISTENTI DOPO L'INTERVENTO CESSAZIONE RIFERITA DEL PROBLEMA
Le 10 donne con test ≤3 senza incontinenza urinaria, come per le 7 donne con test =0 con IUS sono state inserite in un programma di riabilitazione a partire da tre mesi dopo il parto. I dati per ora dimostrano che il training perineale eseguito in maniera regolare nelle pazienti continenti migliora le prestazioni perineali sia per quanto riguarda il tono di base che la contrattilità Questo vale anche per le donne con testing>1 sottoposte a programma riabilitativo. Inoltre va sottolineata anche l’importanza del benessere psicologico riacquisito da tale gruppo dopo il trattamento. Per quanto riguarda i controlli a 3 mesi dal parto non abbiamo ancora dati definitivi, possiamo sommariamente dire che per quanto riguarda le pazienti continenti, con un buon testing perineale e che hanno eseguito regolarmente gli esercizi non si sono manifestati disturbi urinari, a prescindere dalle caratteristiche del parto.
169
L'arte della vita sta nell'imparare a soffrire e nell'imparare a sorridere. (Hermann Hesse)
CONCLUSIONI Tutto il discorso dei capitoli precedenti è articolato attorno al tema dell’Educazione Terapeutica, descritta come un’attività di cui la disciplina medica è il contenuto del discorso e l’andragogia ne è il contenitore; vale a dire che il discorso medico non è tout - court terapeutico in sé, ma si avvale della dimensione psico pedagogica per essere trasmesso e poter essere recepito ed applicato. Educazione terapeutica è definita da più parti “euristica dell’ermeneutica”, vale a dire interpretazione strategica, utile a creare una relazione di aiuto con e per la persona malata. Ogni scienza si fonda su un paradigma epistemico, quello dell’educazione terapeutica è quello sistemico – globale della problematizzazione della cura, chi opera nel settore sanitario sa quanto curare sia difficile e problematizzare ciò, per alcuni versi, non agevola il compito, se pensiamo che la nostra azione di professionisti sanitari inizi con la diagnosi e termini con la prescrizione. L’educazione terapeutica stravolge infatti la relazione curante - persona malata, in primo luogo ponendo al centro il malato stesso, poi dandogli voce, accettando le caratteristiche soggettive, in una parola anziché eludere, semplificando, le variabili in gioco, esse vengono moltiplicate problematizzando tutta la relazione. Cosa significa e perché? Questo atto di grossa umiltà da parte dei curanti significa, come in tutte le operazioni intellettuali in cui ci si pone al di sotto e non al di sopra, possibilità di arricchimento di conoscenze ed abilità, le “clinical humanities”, e questo parrebbe già un motivo sufficiente per chi opera; ma il vero scopo lo fornisce la persona malata. Il motivo di fondo per scegliere l’impostazione dell’educazione terapeutica è la peculiarità di alcune patologie, quelle cronico - degenerative, che rappresentano
170
attualmente il 60% delle morti mondiali, queste patologie hanno la caratteristica di perdurare a lungo nel tempo, se ci riferiamo alla terza ed alla quarta età, gran parte di questi anni sono caratterizzati dalla presenza di almeno una se non due o tre patologie croniche, che occupano questo periodo di vita. Potremmo tentare di fare un elenco dei mali diffusi della società attuale: pubblicità che esaltano solo l’aspetto ludico dei prodotti (soprattutto quelli alimentari), consumismo, pervasività dei mezzi di comunicazione di massa (TV, Internet), sedentarietà, attività di movimento soprattutto nei “non- luoghi” (super ed ipermercati), affievolimento di interessi culturali (tagli al bilancio al teatro, musei abbandonati), disconoscimento del valore delle relazioni umane che nella maggior parte dei casi si riducono a quelle lavorative, fumo, droghe come risposta all’ anomia, solitudine. Da ciò come conseguenza quasi inevitabile comparsa di malattie quali: diabete, ipertensione portale, stroke, ictus, malattie renali e cardiache, nell’elenco delle malattie croniche occorre includere anche quelle degenerative, che hanno cause indipendenti, ma gli stessi fattori di rischio per quanto riguarda le complicanze, in primis il cancro, la malattia del secolo, A.I.D.S, malattie mentali, S.L.A, e molte altre ancora. Queste malattie non si curano, o per lo meno non curano completamente la persona, solo con la prescrizione di farmaci, né con l’intervento psicologico, perché non c’è patologia “sine materia”, è abbastanza normale, infatti, che la sofferenza fisica, l’invalidità comportino un disagio psichico, perdita di interessi, diminuzione di relazioni sociali, vissuta dai famigliari del paziente come “depressione”. L’educazione terapeutica è il tentativo di cura più efficace, come dimostrato dai risultati per questo tipo di malati, perché agisce sul modo di viversi la malattia, sul fronteggia mento strategico,sulla capacità di attingere a risorse interne per riuscire ad integrarla, costruendo un nuovo equilibrio che la comprenda al proprio interno Il concetto di base è il significato, il senso di vita che ciascuno dà alla sua personale esperienza e che l’insorgenza di patologie più o meno severe, ma “inguaribili” mette fortemente in crisi. Da ciò e dalla considerazione etica che la vita debba sempre avere un valore riconosciuto dall’individuo e dagli altri, ma non un valore tra “virgolette”, il valore che quella stessa persona ha avuto fino ad allora; ridefinito ed integrato, concettualizzato nell’esperienza della malattia, che non viene vista solo nel suo aspetto invalidante, ma
171
come un’esperienza di vita, sicuramente non piacevole, ma che, come tutte le vicende della vita porta in sé , se meditata e vissuta attivamente, un nuovo modo di affermare la propria identità, il coraggio di vivere a pieno questa dimensione e fors’anche la possibilità di nuove mozioni ed apprendimenti. In ostetricia l’educazione terapeutica per ora non ha ancora trovato molte applicazioni, ed è al fine di tentare di iniziare un percorso che ho accettato di sfidarmi con questo argomento. Per antonomasia la gravidanza che è in un certo senso il focus dell’intervento dell’ostetrica (anche se il compito cui essa è preposta è la salute dell’intero ciclo di vita della donna per quanto riguarda la sfera genitale e riproduttiva) è un evento fisiologico, e qualora compaiano delle patologie esse sono trattate velocemente e la maggior parte delle volte con l’espletamento del parto.. Dalle mie riflessioni ed osservazioni sulla realtà che avevo a disposizione è emerso il problema dell’incontinenza urinaria. Tale patologia non è sicuramente mortale, ma a diversi livelli fortemente invalidante soprattutto riguardo al QOL82. Inoltre ciò che giunge all’osservazione medica è la punta dell’iceberg della consistenza numerica dei casi effettivamente rappresentati: imbarazzo, vergogna, senso del pudore sono alcune fra le ragioni per cui di questo argomento c’è una forte resistenza a parlare. Al contrario di quanto si crede questo problema non ha esordio improvviso, e tantomeno non affligge solo donne della terza età. L’incontinenza urinaria da sforzo e in parte anche quella da urgenza, si iniziano a manifestare durante le fasi finali della gravidanza e possono peggiorare nel postpartum, perdurando anche per anni.. Il parto è un evento temuto da quasi tutte le gravide, a tale scopo da anni si è diffusa la pratica di iniziare nel corso dell’ultimo trimestre di gravidanza i “corsi pre - parto”, il cui fine principale consiste nel tentativo di arginare l’ansia del parto e fornire suggerimenti riguardo all’andamento del travaglio-parto con varie tecniche. Il mio progetto è stato quello di inserire contestualmente il discorso formativo educativo
-pratico
riguardante
il
perineo
collegandolo
alla
prevenzione
dell’incontinenza urinaria. Da una revisione della letteratura ho riscontrato che è scientificamente dimostrato da molti studi e ricerche condotte, che praticare con metodo gli esercizi per il 82
Quality Of Life
172
rafforzamento della muscolatura perineale è efficace nel prevenire l’incontinenza, e altrettanto nel ridurla se già presente; quello che negli studi è scritto fra le righe è che occorre che le donne siano motivate ad eseguirli, e che il modo in cui vengono trasmesse le istruzioni riveste una particolare importanza. L’intervento descritto è stato inserito in un progetto di ricerca aziendale della durata di due anni, che ha portato dei risultati sommari, per ora, in linea con quanto emerge da altre pubblicazioni. L’esperienza pratica vissuta mi ha fatto capire che in realtà a questo discorso si possono collegare almeno altri due argomenti cioè: a) collegamento fra danni perineali e modalità di posizioni assunte durante la prima fase del travaglio; b) dolore perineale e collegamento a fallimento nell’allattamento, dovuto all’incapacità di assumere posizioni confortevoli, fondamentali per un buon inizio dell’allattamento stesso. Un ulteriore esempio di possibile attuazione di gruppi di Educazione Terapeutica, a livello ostetrico, potrebbe essere rappresentato dalla presenza di diabete gestazionale molto diffusa fra le gravide provenienti da paesi altri (Pakistan, Bangladesh…), quasi sconosciuto nelle gravide della stessa popolazione che resta nel proprio paese d’appartenenza. Il diabete fortemente correlato all’obesità, alla sedentarietà e all’alimentazione scorretta (fenomeni tradizionali nei paesi industrializzati) si instaura sui migranti attratti dalla pubblicità di “snack e patatine fritte” chiusa in casa davanti alla televisione, deprivata di possibilità di movimento sia per motivi culturali originari, che per diffidenza verso un territorio “la città” in parte sconosciuto ed estraneo, finanche pieno di insidie, perciò: nessuna passeggiata. Ritengo che questo tema possa essere approfondito ulteriormente. Questi ultimi spunti mi sono sorti durante il percorso ed il motivo per cui li cito è che, l’esperienza di apprendimento, quando è utile, non genera solo, un cambiamento nella popolazione dei discenti, ma vi è un arricchimento in termini di conoscenza anche nell’educatore: il valore della domanda, del confronto, della condivisione delle problematiche, porta in sé un aumento di conoscenze, interrogativi e relativi tentativi di soluzioni da parte del formatore/educatore. Ritengo, inoltre, che l’attuazione di gruppi riguardanti la problematica in questione possa essere estesa, ad esempio nei consultori familiari, al di fuori del periodo della gravidanza, per problematiche quali la contraccezione e interruzione di gravidanza, la
173
menopausa, tumori della sfera genitale – riproduttiva. L’ostetrica acquisendo questa competenza di educatore e counselor, può assumere maggiore visibilità presso la popolazione, maggior autorevolezza professionale. Il Long Life Learning prevede che i professionisti sanitari abbiano il diritto/dovere alla formazione continua, debbono quindi essere istituiti opportuni programmi formativi, attività che è uno dei postulati dell’Educazione Terapeutica, investimento vantaggioso anche dal lato economico, per la caratteristica della gruppalità degli interventi, e per il risultato finale di essi che comporta riduzione di ricoveri impropri collegato alle minori complicanze, minor rischio di depressioni, miglioramento dell’esercizio di attività produttive da parte dei pazienti . Anche sul fronte dei professionisti sanitari il lavoro di assistenza è logorante e l’unica possibile via di fuga dal burn-out, risiede nel mantenere vive le conoscenze tramite l’aggiornamento, e la competenza relazionale con i pazienti, con la possibilità di sperimentare nuovi percorsi e nuove modalità di dialogo.
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Ringraziamenti Dedico questo elaborato a mio padre Giuseppe e al mio amico Rock. Desidero ringraziare la Dott.ssa Gamberoni per la preziosa e costante guida e per la disponibilitĂ dimostrata durante la stesura della tesi e in questi anni di studi. Ringrazio inoltre, quanti, colleghi ed amici, in questi anni mi hanno supportato permettendomi di concludere questo mio percorso formativo.
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