"Aladino e la lampada magica" - anteprima

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Nadia Terranova

Aladino

Chi può affermare di conoscere bene Aladino e la lampada magica nella versione delle Mille e una notte? In compagnia delle straordinarie illustrazioni di Lorenzo Mattotti, un gigante della narrazione per immagini, Nadia Terranova, scrittrice colta e raffinata, ha riscritto la novella, miscelandone l’inconfondibile e originario sapore a una lingua tutta contemporanea.

Nadia Terranova · Lorenzo Mattotti

Questa è la storia di un ragazzaccio di strada, delle sue avventure e di tutto quello che gli accadde.

Lorenzo Mattotti

Aladino

euro 21,00

9 788832 070477

e la lampada magica


Aladino e la lampada magica


n a d i a

t e r r a n o v a

·

L o r e n z o

Aladino e la lampada magica

M a t t o t t i



Questa è la storia di un ragazzaccio di strada, delle sue avventure e di tutto quello che gli accadde: perdersi, ritrovarsi, innamorarsi, crescere, avere paura, sfidare la sorte, cadere in disgrazia, diventare coraggioso, disperarsi e divertirsi un sacco. Ci insegna soprattutto una cosa: che la fortuna non appartiene a nessuno, ma è a disposizione di chi sa usarla. Nadia Terranova





C’era una volta in Cina un ragazzaccio di nome Aladino.

Era tanto vizioso e perditempo quanto devoto alla famiglia era suo padre Mustafà, che esercitava il mestiere del sarto. Aladino, invece, non ne voleva sapere di lavorare: di giorno rubacchiava al mercato facendo comunella con i ladruncoli e le canaglie, di sera, quando la gente perbene dormiva, vagava randagio giocando scherzi a chiunque gli capitasse a tiro. Se i genitori lo richiamavano all’ordine, Aladino li guardava come se non esistessero e subito ricominciava a fare di testa sua. L’animo del sarto non era fatto per sopportare questi affronti e il corpo gli si indebolì per la disperazione. Con il padre a letto malato, Aladino non ebbe più l’ombra di una regola, se ne infischiava dei rimproveri della madre e le rivolgeva solo rispostacce. Mustafà morì di crepacuore e, poiché nessuno portava più il denaro a casa, la madre dovette cercarsi un lavoro e finì a filare il cotone. Aladino, sempre più solo e libero, continuava a spassarsela con gli amici.


Un giorno, mentre ciondolava per strada come al solito, Aladino fu preso da un gran calore e si allontanò dalla sua banda di furfantelli per ristorarsi e rinfrescarsi a una fontana, quando una voce interruppe il silenzio e lo sciabordio dell’acqua. «Aladino! Sei proprio tu, il figlio del sarto Mustafà?» Il ragazzo saltò in aria: un moro alto, dalla lunga barba, lo fissava con occhi scintillanti e aguzzi. Indossava abiti e gioielli da ricco, alla cintura aveva una fibbia d’argento e in cima al turbante una pietra preziosa. Era un forestiero arrivato in città da qualche giorno, che tutti chiamavano “il mago africano”. «Sono io, ma mio padre è morto, sono rimasto solo al mondo» rispose Aladino, e il mago cominciò a piangere, battersi il petto e strapparsi i capelli. «Fratello mio! Povero, povero, povero fratello mio! Ho attraversato il mondo per venire a salutarlo, ma sono arrivato troppo tardi.»


Aladino, ripensandoci, aggiunse: «Solo con mia madre». Intanto il forestiero gli aveva già buttato le braccia al collo e lo stava baciando su tutto il viso: «Come gli somigli! Stessi occhi, stesso sangue! So che non mi hai mai visto prima, ma sono tuo zio! Prendi questi denari, portali a tua madre e digli che il fratello del suo povero marito verrà stasera a salutarla! Dov’è che abitate?» Aladino, frastornato, intascò i soldi, diede al mago l’indirizzo di casa e si allontanò alla svelta.


«Che stai dicendo, figlio sciagurato? Ti ha dato di volta il cervello? Cosa t’inventi pur di non lavorare? Tuo padre non aveva nessun fratello, con le tue bugie finirai per portarmi nella tomba come hai fatto con lui!» protestò la madre di Aladino dopo aver ascoltato il suo racconto, ma quando il ragazzo le allungò la borsa con i denari cambiò espressione e si rallegrò. Subito uscì a comprare riso e curcuma, carne e verdure, frutti freschi e bevande deliziose, tirò fuori il vasellame migliore, quel poco che le era rimasto da quando erano caduti in povertà, lo tirò a lustro, riempì le caraffe di vino e imbandì la tavola come si conviene in attesa di un ospite importante. Il pranzo era appena pronto quando bussarono alla porta. Il mago salutò con affetto Aladino e si rivolse alla donna:


«È un onore conoscere la moglie del mio adorato Mustafà, un’emozione tornare nella casa dove siamo cresciuti insieme, siamo stati tanto felici in queste stanze». La madre di Aladino non ricordava che il marito le avesse mai raccontato di avere un fratello, moro per giunta, ma non disse nulla e il mago proseguì. «Ricordo tutti i nostri oggetti: ecco, il prezioso tappeto sul quale giocavamo, l’antica caraffa che nostra madre usava per versare il vino a nostro padre.» La caraffa era un regalo di nozze e il tappeto il dono recente di una vicina di casa, ma di nuovo la donna non obiettò perché il mago aveva cominciato a piangere e il suo dolore sembrava sincero. Forse la memoria non gli funzionava più tanto bene, forse era traumatizzato dalla notizia del lutto. Aladino, intanto, non riusciva a smettere di guardare

i suoi denti da lupo.



«In questo grande dolore, provo almeno la gioia di ritrovare un cognato» sospirò la madre di Aladino abbracciando il mago, e lo invitò a sedersi a tavola. Tra un piatto e l’altro, dopo aver alzato i calici per brindare alla riunione di famiglia, l’uomo si mise a raccontare.

«Sono un commerciante e, come potete indovinare, gli affari sono sempre andati alla grande. Buona sorte, certo, ma anche merito del mio duro lavoro. Quando dalla Cina mi sono spostato in Africa, la mia fortuna si è moltiplicata, ma non ho mai dimenticato di pregare per il mio amato fratello. Cosa starà facendo, mi chiedevo, sperando che anche lui ricevesse dal destino il denaro e la felicità che meritava, visto che era un uomo buono e infaticabile. Poi, una notte, un ragazzo mi comparve in sogno per dirmi che Mustafà non se la passava bene. Appena chiesi di più, il ragazzo scomparve e mi svegliai angosciato.» La madre di Aladino ascoltava con attenzione e il figlio abbassò gli occhi. «Ecco perché ho deciso di tornare e vedere come stavano le cose, e, appena arrivato in città, ho riconosciuto in Aladino le fattezze del ragazzo del sogno. Vedo che è un figlio buono e bravo, ha cura della memoria di suo padre e della vita di sua madre.»


«Purtroppo devo contraddirti» lo interruppe la donna. «Nostro figlio non ha preso nulla dal carattere del mio povero marito, è uno scapestrato, un poco di buono. Non ha mai voluto imparare un mestiere, non fa che bighellonare e frequentare cattive compagnie, non conosce la vergogna e i miei rimproveri non lo mortificano. Da quando con il suo brutto carattere ha spezzato il cuore del padre, l’unica che porta a casa il denaro sono io.» Aladino teneva gli occhi a terra e, sentendo la vergogna montargli dentro, arrossiva fin nella punta delle orecchie. «Non mi piacciono le parole di tua madre» tuonò l’uomo con voce severa, «tuttavia, poiché sei ancora giovane, il tuo destino non è segnato. È una vera fortuna per te che io sia venuto fin qui.» Finalmente, Aladino trovò il coraggio di alzare lo sguardo. «Da domani comincerai a lavorare con me, verrò a prenderti al mattino presto e farò di te un bravo commerciante. Se sarai obbediente avrai anche tu denaro, pietre preziose, vestiti lussuosi, schiavi da comandare, e dentro casa occuperai il posto del capofamiglia.» Al pensiero di diventare ricco, potente e rispettato da tutti, oltre che ben vestito come il mago, Aladino si rianimò e quella sera lui e la madre andarono a letto felici: la madre piena di speranza e lui di sogni di gloria.


Come promesso, la mattina dopo il mago passò a prendere

il ragazzo e per prima cosa gli regalò un abito nuovo.

«Non puoi andartene in giro ricoperto di stracci» lo rimproverò, «tuo padre era pur sempre un sarto e un vero signore si riconosce dall’aspetto.» Poi lo condusse per le vie della città, e Aladino vedeva tutto in modo diverso, come se gli si fosse schiarita la vista. Perché non aveva mai fatto caso a quelle operose botteghe, a quelle brave persone che faticavano vendendo e comprando spezie, tessuti, dolci? Il mago era trattato ovunque con reverenza, e Aladino con lui. Che sensazione eccitante e nuova, essere un bravo ragazzo!


All’ora del tè i due si riposarono e il mago offrì ad Aladino un vassoio di dolci, uvetta e pistacchi. «Ho visto dentro di te un’anima pulita, anche se fuori sembri un legno storto. Ti sei comportato bene finora e, per incoraggiarti, ho deciso di darti un premio. Seguimi in montagna, ti mostrerò un giardino incantato che nessuno ha mai visto.»


Il cuore di Aladino impazzì di felicità. Dunque, era facile cambiare vita, bastava solo trovare la persona giusta. Si fidava del mago come di nessun altro e lo seguì ansimando per star dietro al suo passo lesto e alle sue gambe lunghe. La montagna si faceva sempre più ripida e la città diventò un puntino lontano e poi scomparve del tutto, ma del giardino non si vedeva neppure il miraggio. Tra alte valli, in mezzo a un’assoluta solitudine, con il vento a fischiare nelle orecchie insieme a sinistri rumori, Aladino scoppiò in lacrime.

Il mago africano lo colpì con uno schiaffo,

e per poco non gli staccò la testa.


«Io ti ho portato qui trattandoti da uomo e tu attacchi a frignare come un moccioso!» Aladino smise di piangere per paura di essere colpito di nuovo, e il mago si addolcì. «Nipote mio» sussurrò dolcemente, «sarò per te come e meglio di un padre, ma tu devi fidarti di me. Ecco, siamo arrivati. Aiutami ad accendere un fuoco.» Aladino si guardò intorno e prese dei ramoscelli secchi. Il mago li ammucchiò, tirò fuori dal turbante un fiammifero, appiccò il fuoco, quindi lanciò in mezzo al rogo della polvere profumata. Si fece una gran fiamma, il fumo cessò e il fuoco si spense. Appena annerita dalla caligine, comparve una grossa pietra incastonata nel terreno. «Tirala su» ordinò il mago, e Aladino lo guardò perplesso. «Da solo non posso farcela.» «Pulisci la cenere e leggi cosa c’è scritto.» Aladino si avvicinò:

Questa pietra può essere sollevata solo da Aladino, figlio di Mustafà.



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