"Così semplice" - anteprima

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Zenna

illustrazioni di Fabian Negrin

Così semplice

Storie che saltano di testa in testa, lasciando il prurito contagioso della lettura. Piccoli capolavori ritrovati, grandi autori classici che ci consegnano schegge d’infanzie indimenticabili. Bambini che si misurano con un mondo severo, estraneo e, spesso, assurdo e incomprensibile: quello degli adulti. ro

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Così semplice

pulci nell’orecchio

Henderson

Z. Henderson

Zenna Henderson (Tucson, USA, 1917 -1983) è stata una delle prime e per molto tempo pochissime scrittrici di fantascienza. Lavorò a lungo come insegnante e, durante la Seconda Guerra Mondiale, nei campi d’internamento statunitensi per giapponesi. Divenne famosa al grande pubblico con la saga “The People”, che narra la storia di un gruppo di alieni naufraghi sulla Terra, ognuno con dei poteri speciali. Il racconto “Così semplice” appartiene alla raccolta “Holding Wonder” del 1971 e viene ora tradotto in italiano per la prima volta.

“La stanza in cui ci trovavamo era l’unica aula nell’ala degli uffici. L’ala degli uffici era l’unica a non essere stata interamente inghiottita, con tutto quel che c’era dentro compresi gli studenti. Metà dell’ala degli uffici era comunque distrutta. Erano rimasti i bagni fuori uso, il magazzino con solo metà tetto, e la nostra aula. Noi eravamo la scuola. Costituivamo tutta la popolazione pre-adolescente e l’intero corpo insegnante.”

Questo bellissimo racconto ci presenta un mondo in fase di inspiegabile disfacimento. Il testo del 1971 impressiona per la sua visionaria attualità, come è proprio della migliore fantascienza. Sono i bambini a fare, qui come nella realtà, le domande più essenziali, quelle alle quali gli adulti non sanno dare risposte. In un contesto apocalittico (qual è quello a cui noi stessi ci stiamo forse avvicinando) il racconto ci interroga sui mutamenti che ci aspettano in un futuro fin troppo prossimo.

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Zenna Henderson

Così semplice illustrazioni

Fabian Negrin

traduzione di damiano abeni


pulci nell’orecchio Serie a cura di Fabian Negrin Titolo originale: As Simple as That, 1971 Traduzione di Damiano Abeni © 2020 orecchio acerbo s.r.l. viale Aurelio Saffi, 54 · 00152 Roma www.orecchioacerbo.com Stampa: Arti Grafiche La Moderna, Guidonia Finito di stampare nel mese di marzo 2020 Grafica: orecchio acerbo L’editore si dichiara disponibile a corrispondere i diritti di cui non è stato possibile raggiungere i detentori.


«Non lo leggo!» Ken se ne stava immobile a fissare il libro di lettura di prima elementare. Tirai un respiro profondo, irregolare, provai a concentrarmi su ciò che stava accadendo in classe e sul flusso automatico e regolare del gruppo di lettura. «Tocca a te, Ken» dissi, «hai perso il segno?» «No» rispose Ken, rivolgendosi a me con la faccia sottile e scontenta da cui spuntavano acuti gli zigomi. «Ma non lo leggo…» «Perché?» chiesi con pacatezza. La rabbia non era ancora tornata. «Conosci tutte le parole. Perché non vuoi leggere?» «Perché non è vero» rispose Ken. Abbassò lo sguardo sul libro mentre gli si riempivano gli occhi di lacrime. «Non è vero.» 7


«Certo che non è vero» gli dissi. «Ma facciamo finta che sia vero, per divertirci.» Sfogliai le quattro pagine che costituivano l’esercizio di lettura odierno. «Forse questa città non è vera, ma è simile a quella reale, con le sue storie e…» La mia voce andò spegnendosi mentre gli occhi di tutta la classe si fissavano su di me – sette paia di occhi più il volto senza vista, ovale e vellutato, di Maria – tutti con davanti l’immagine della nostra città. «Le città» ripresi. «Le città…» A questo punto i bambini erano già abituati agli adulti che restano sospesi a metà frase. E all’aria attonita che si dipinge sulla loro faccia. «Non è vero» ribadì Ken. «Non lo leggo.» «Chiudete il libro» ordinai, «e andate al posto.» I tre tornarono in silenzio a sedersi al banco – Ken, Victor e Gloryanne. Io mi misi in cattedra, con i gomiti sul panno verde, il mento sui palmi delle mani, a guardare nel nulla. Non volevo niente di vero. L’idea che la scuola continuasse con il solito tran tran era già abbastanza dolorosa. Quant’era più comodo vivere senza pensare, passando di silenzio stordito in silenzio stordito. 8 zenna henderson


«Se non volete leggere il libro, scriviamo una storia vera, e poi leggiamo quella.» Presi il gessetto e disegnai tre righe dritte sulla lavagna, con una piccola interruzione dove dovevo sollevare il gesso per superare la crepa irregolare che tagliava la lavagna in diagonale da cima a fondo. «Come intitoliamo la nostra storia?» domandai. «Ken, di cosa vuoi che parli?» «Della casa di Biff» rispose Ken con prontezza. «Casa di Biff» ripetei, mentre mi venivano i crampi allo stomaco nello scrivere quelle parole, componendo le lettere con attenzione in stampatello mentre dicevo in modo quasi meccanico: «Ricordatevi bene, tutti i titoli cominciano con…» E la classe continuava in modo quasi meccanico: «… La maiuscola». «Giusto» confermai. «Ken, come cominciamo?» «La casa di Biff è andata su come un ascensore» rispose Ken. «Su per aria?» lo imbeccai. «La terra è andata su insieme alla casa» intervenne Gloryanne. 9 così SEMPLICE


Scrissi le due frasi. «Victor, ci dici tu cosa succede dopo?» Il gesso si scuriva, stretto nel mio pugno sudato. «La terra è venuta giù più veloce della casa di Biff» rispose Victor rauco. Per la prima volta in tutta la settimana, vidi il suo volto rialzarsi e il colore profondo degli occhi, contornati dalle folte sopracciglia. «Con un gran fracasso!» strillò Maria, con il volto eccitato. «Con un grandissimo fracasso!» «Non sei nel nostro gruppo» si lamentò Ken. «Questa è la nostra storia!» «La storia è di tutti» spiegai mentre scrivevo con cura il tutto sulla lavagna. «E ogni frase finisce con il…» «Punto» concluse la classe. «E adesso?» Mi interruppi appoggiando la fronte sulla superficie fresca della lavagna, sbattendo gli occhi finché il verde intenso dell’erba medica che cresceva nell’angolo della classe non si rimise a fuoco. Sollevai il capo. Celia aveva aspettato fino ad allora. «Biff è caduto fuori dalla casa» suggerì. Lo scrissi. 10 zenna henderson


«E poi?» Restai in attesa, con il gesso alzato. «La casa di Biff gli è caduta addosso» disse Ken tutto d’un fiato. «E così è morto.» «Io l’ho visto!» esclamò Bobby alzandosi di scatto, pronunciando le prime parole della giornata. «C’era il sangue, ma la faccia era solo addormentata.» «Era morto!» insistette Ken con forza. «E la casa era andata in mille pezzi!» «E i pezzi sono finiti tutti giù in quel buco profondo, profondissimo, con Biff» strillò Bobby. «E il buco si è richiuso!» esclamò Celia trionfante, concludendo il racconto. «Macché!» ribatté subito Victor. «Proprio per niente! Guardate! Guardate!» Puntò il dito alla finestra. Noi ci accalcammo a guardare come fosse una novità. E può darsi che lo fosse – nuova per le nostre lingue, nuova ai nostri orecchi, anche se da tanto tempo incastrata in modo malsano dentro di noi. Là, al limitare del parco giochi, appena oltre l’intrico di funi della giungla di corde per arrampicarsi, oltre il taglio affilato dello scivolo rotto all’altezza del quinto piolo della scala, c’era il buco che conteneva la casa di Biff. Osser11 così SEMPLICE


vammo solennemente tutto ciò che era visibile: il piccolo guazzabuglio di assi, l’antenna accartocciata. Ci voltammo in silenzio verso l’interno della classe. «Come hai fatto a vedere Biff quando la casa gli è caduta addosso, Bobby?» domandai. «Stavo andando a casa sua a giocare fino a che mio fratello non finiva scuola» rispose Bobby. «Mi aspettava sul portico davanti casa. Ma tutto d’un tratto la terra ha cominciato a saltare su e giù e mi ha fatto cadere. Quando mi sono rialzato, la casa di Biff stava venendo giù e gli è caduta addosso. Dappertutto tranne che in testa. E lui sembrava addormentato. Giuro! Giuro! E poi è venuto giù di tutto e gli si è chiuso sopra. Ma non tutto!» si affrettò ad aggiungere prima che Victor potesse aprir bocca. «Allora» ripresi, avevamo ormai sepolto Biff… «ci va bene così, pensate che sia una storia che ci va di leggere? Prendete le matite…» «Maestra! Maestra!» Maria era in piedi, gli occhi che non vedevano erano sbarrati, e la mano alzata il più possibile. «Maestra! Malina!» «Bobby! Svelto, dammi una mano!» Inciampai uscendo dalla cattedra, scalciando la zeppa che reggeva la gamba anteriore rotta. Riuscii 12 zenna henderson


a prendere Malina che aveva smesso di cercare a tastoni la maniglia della porta che una volta era lì. Bobby mi raggiunse in fretta con un telo da spiaggia, e grazie al cielo ebbi il tempo di avvolgerlo come si deve attorno a Malina prima che l’urlo che annunciava le sue convulsioni venisse emesso. Io e Bobby la reggevamo senza forzare, alle spalle e alle ginocchia, mentre il suo corpo rotolava e si contorceva. Avevamo imparato in modo brutale a proteggerla da se stessa e dall’aula che aveva trasformato in un luogo pericoloso per sé. Mi appoggiai la guancia alla spalla mentre tenevo i palmi schiacciati su Malina. Lasciai che le lacrime mi scorressero sul volto intatte. Le scosse di Malina mi echeggiavano dentro come se stessi singhiozzando. Gli altri bambini stavano rimettendo in piedi la cattedra, sistemando sotto la gamba il pezzo di legno, senza prestare alcuna attenzione ai rantoli urlati di Malina che mi artigliavano gli orecchi quasi al di là di ogni sopportazione. I bambini si adeguano subito. Subitissimo. Sbattei gli occhi per liberarli dalle lacrime. Malina si stava calmando. Oh, adesso se dio vuole era così diverso dalla prima volta terrificante in cui dovemmo affannarci con lei! La liberai in fretta dal telo, e la strinsi a me mentre il volto le si 13 così SEMPLICE


rasserenava e il respiro spezzato si calmava. Aprì gli occhi. «Papà ha detto che la prossima volta che ci sono le vacanze ci riporta a Disneyland. L’altra volta non ce l’abbiamo fatta a salire sul razzo. Non ce l’abbiamo fatta a far niente in quel posto.» Mi rivolse il suo solito sorriso, senza uno dei denti davanti, e si addormentò. Ci rimettemmo al lavoro, io e Bobby. «Suo papà è morto» disse Bobby chiaro e tondo, mentre aspettava il suo turno per temperare la matita. «Lei lo sa che suo papà è morto, che sua madre è morta, che suo fratello piccolo è…» «Certo, Bobby, lo sappiamo tutti» lo interruppi. «Torniamo alla nostra storia. Abbiamo a malapena il tempo di dargli un’altra occhiata e di scriverla prima di pranzo.» Restai lì in piedi a guardare fuori dal buco nel muro sopra il cartellone del “Cerca e Trova” mentre i bambini scrivevano il loro primo vero racconto dopo il Tempo Dilaniato.

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La casa di Biff La casa di Biff è andata su come un ascensore. La terra è andata su insieme alla casa. La terra è venuta giù prima della casa di Biff. Biff è caduto fuori dalla casa. La casa gli è caduta addosso e lui è morto. Sembrava addormentato. La casa è andata in mille pezzi con un gran fracasso. È andata giù in un buco profondo, profondissimo. Anche Biff c’è andato. Il buco si è chiuso, ma non del tutto. Quel posto lo vediamo vicino al nostro parco giochi. ***


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