Torben Kuhlmann
Torben Kuhlmann
EDISON Il mistero del tesoro scomparso
E D I SO N
Alla ricerca di un tesoro perduto, due topi affrontano un pericoloso viaggio per raggiungere il fondo dell’oceano Atlantico…
9 788899 064921
¤ 19,50
Dall’autore di “Lindbergh” e “Armstrong” una nuova avventura che ha il sapore del coraggio, della resistenza e dei grandi sogni.
Titolo originale “Edison – Das Rätsel des verschollenen Mauseschatzes” scritto e illustrato da Torben Kuhlmann © 2018 NordSüd Verlag AG, CH-8050 Zürich/Switzerland © 2018 orecchio acerbo s.r.l. Viale Aurelio Saffi, 54 00152 Roma
www.orecchioacerbo.com
Winner of the BOP · Best Children’s Publisher of the Year 2017 Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 in Lettonia presso Livonia Print, Riga
e d i s o n Il mistero del tesoro scomparso
Traduzione di Anna Patrucco Becchi
L’Università dei Topi Trrrrrrr-cling. Il trillo della cassa risuonò nella libreria. «Avanti, muovetevi!» sibilò un topo da sopra una pila di libri. Innumerevoli piccole teste spuntarono fuori dai loro nascondigli. Nel negozio, un ragazzino stava comprando un fumetto ed era immerso in una fitta conversazione con il proprietario, tanto che nessuno dei due prestò
la minima attenzione a quel che accadeva intorno. Ecco l’occasione
buona! I topi sbucarono uno dopo l’altro da dietro i libri e gli scaffali e attraversarono velocemente il locale con passo felpato per poi sparire
in una tana in fondo al negozio. Dopo una breve arrampicata lungo le pareti, raggiunsero finalmente la loro meta.
Dietro gli scaffali c’era l’Università dei Topi. Un topo curioso qui poteva apprendere tutto quel che c’era da sapere sulla storia dei suoi simili: quelli che avevano viaggiato per il mondo e quelli che avevano
fatto grandi scoperte. Ma in quella università si studiavano anche le
conquiste del genere umano, come per esempio l’invenzione della
macchina a vapore e quella della luce elettrica.
Le lezioni erano tenute da un professore, un topo brizzolato di una certa
età. I peli che aveva intorno al naso, ormai bianchi, formavano dei baffi
arruffati. Teneva quasi sempre una pipa in bocca, che toglieva solo per
parlare. Dopo le lunghe giornate di lezione si ritirava nel suo studio
a godersi la quiete serale seduto in poltrona, facendosi una pipatina
e ripensando ai vecchi tempi. Da giovane, in nome della scienza, il
professore aveva vissuto tante avventure. Ora la sua vita non era più così movimentata, ma, a suo parere, purtroppo anche più noiosa.
Un viso sconosciuto Quel giorno a lezione c’era qualcuno che il professore non aveva mai
visto. Dietro l’ultima fila di banchi spuntava la punta di un piccolo naso. Un giovane topo attese lì pazientemente che la lezione fosse
finita e che tutti i topi si avviassero a casa. Poi avanzò titubante fino alla cattedra.
«Mi scusi, professore, avrei urgente bisogno del suo aiuto…» fece timidamente. «Sono infatti alla ricerca di un tesoro.»
Il professore tese l’orecchio.
«Tanto tempo fa, un mio bisbisbisbis…» Il giovane topo si interruppe
e si mise a contare sulle dita quanti bis dovessero essere, ma concluse che alla fine poco importava quanti fossero e ricominciò da capo.
«Tanto tempo fa, uno dei miei antenati attraversò l’Atlantico su una nave. E con sé aveva un grande tesoro!»
«E tu come fai a dirlo con tanta sicurezza?» chiese il professore.
«Ecco!» squittì il giovane topo, frugandosi rapidamente in tasca e tirando fuori un foglietto. A quella domanda era preparato.
«Questo è l’ultimo segno di vita del mio antenato. Ha lasciato queste
righe, in cui parla proprio di quel tesoro e del suo viaggio verso
l’America. È un foglio che la mia famiglia conserva da generazioni.»
Il biglietto non sembrava un normale pezzo di carta. Era spiegazzato e ingiallito. Aveva l’aria di essere davvero molto vecchio. Un angolo
era sfrangiato come se il foglio fosse stato strappato da un libro. Il
professore studiò il testo: in un’antiquata lingua dei topi si alludeva a
un viaggio in nave e a un tesoro.
«La prego, mi aiuti a ritrovare il tesoro!»
Sulle prime, il professore non sapeva bene cosa rispondere. Lui in fondo era un uomo di scienza e non aveva tempo di rincorrere
chimere. Ma qualcosa lo affascinava nella storia di quel piccolo topo.
«A dire il vero, i tesori perduti o le mappe con una croce al centro non mi interessano molto. Tuttavia possiamo forse scoprire qualcosa sul
tuo antenato disperso.»
Il giovane topo era raggiante.
«Grazie, professore!»
«A proposito, come ti chiami?» chiese ancora l’anziano topo. «Pete!»
Alla ricerca di indizi I due topi frugarono in un cassetto pieno di fascicoli e vecchi documenti. L’antenato di Pete un giorno era partito per l’America: questo era tutto quello che sapevano. Su quei documenti era registrata ogni nave che
aveva attraversato l’Atlantico. L’unico indizio che possedevano era la data sul foglietto.
«Guarda!» Il professore fece segno a Pete di avvicinarsi. In una
cartellina scoprirono una foto in cui era immortalato un gruppo di
persone, a quanto pareva, poco prima della partenza di una nave per l’America. «Osservala attentamente! Lì tra le valigie…»
A occhio nudo e a quella luce fioca si distingueva soltanto un’ombra. Ma i due topi volevano studiare meglio quella foto. A fatica tirarono
fuori la cartellina dal cassetto e la trascinarono alla luce della lampada.
La lente d’ingrandimento mise a fuoco un topo. L’antenato di Pete!
Posava per la foto con aria fiera in mezzo alle valigie. In effetti, gli somigliava un po’. A parte quei ridicoli baffi a manubrio, girati
all’insù.
«Mi pare che al tuo antenato piacesse intrufolarsi nelle foto degli umani» commentò il professore che evidentemente lo considerava un gesto un po’ ardito per un topo.
«Lo abbiamo trovato!» esclamò Pete contento.
Il mistero era risolto e il tesoro sembrava a portata di mano. Dove era arrivata quella nave? E quando? Questo era il problema. Il professore continuò a sfogliare i documenti…
Sul fondo del mare Oh no! In America, la nave che i due topi cercavano non era mai arrivata. Era naufragata e affondata tanti anni prima. Il professore si
mise sul naso i suoi occhialini rotondi e iniziò a leggere.
«A quanto pare, tutti i passeggeri sono stati tratti in salvo» spiegò. Gli articoli parlavano però soltanto degli umani. Nessuna informazione sul destino dei topi che erano a bordo. E, per quanto scrupolosamente
li cercassero con la lente, non si trovavano altri indizi sull’antenato
di Pete. Di lui nessuna traccia nelle altre foto con l’equipaggio e con
i passeggeri sopravvissuti.
La mappa del tesoro Grazie ai ritagli di giornale e alle annotazioni nel diario di bordo della nave, Pete e il professore riuscirono a ricostruire con molta
precisione gli eventi che avevano portato a quel disastro. Segnarono le rispettive tappe su una grande carta nautica. Là dove la linea della
rotta si interrompeva, Pete disegnò una grande X. Quella era l’ultima
posizione nota della nave. E di conseguenza, lì sul fondo del mare doveva trovarsi il misterioso tesoro.
«Interessante!» mormorò il professore. «Adesso abbiamo davvero una mappa del tesoro. E una X segna il punto…»
I due topi osservarono il risultato del loro lavoro.
«Ciò significa che il tesoro è perduto» sospirò triste Pete. «Qualsiasi cosa il mio antenato avesse con sé, è destinato a giacere per sempre in
fondo al mare. Lì nessun topo potrà mai arrivare!»
Pete abbassò scoraggiato la testa.
Il professore fumava pensieroso la sua pipa. Poi guardò in lontananza
e borbottò con aria eloquente: «Be’, una cosa analoga è stata detta in
passato anche di un topo e della luna…»
Secondo il professore niente era impossibile per un topo. Pete ascoltò i suoi racconti con grande interesse. Di quando un topo aveva imparato
a volare e aveva sorvolato l’Atlantico su un aeroplano traballante e di come molti decenni più tardi era stato di nuovo un topo il primo
abitante della Terra a mettere piede sulla luna.
«Come vedi, non siamo da sottovalutare noi topi» disse alla fine della sua lezione. «Un topo può arrivare anche in fondo al mare!»
«Incredibile!» squittì Pete impressionato, ma non ancora convinto del tutto. «Lei pensa davvero che noi potremmo farcela?»
«Perché noi?» sbuffò il professore. «Per avventure del genere sono
troppo vecchio ormai. Quando sarai grande abbastanza, potrai andare da solo in cerca del tuo tesoro.»
«Ma io credevo che avremmo cominciato subito con i preparativi per la nostra spedizione subacquea…»
Pete non mollava, ma il professore non si lasciava convincere. Fece addirittura per andarsene.
«Mi ha fatto piacere conoscerti. Stammi bene!» «Ma, professore…!» urlò ancora una volta Pete. Nessuna risposta.
Topi sott’acqua Il piccolo topo doveva contare solo su se stesso. Tuttavia non voleva
assolutamente arrendersi. E poi il professore non aveva raccontato di
topi che da soli avevano imparato a volare ed erano addirittura arrivati sulla luna? Pete decise quindi di studiare il modo per raggiungere il
fondo del mare.
Trattenere il fiato e immergersi non era certo una valida opzione. Avrebbe funzionato al massimo per un paio di secondi, come Pete
aveva già avuto modo di sperimentare da piccolo, quando faceva il
bagno nella vasca. In qualche modo, durante l’immersione, doveva quindi portarsi l’aria dietro. Certo, ma come?
Pete cominciò a fare scarabocchi su un pezzo di carta. Non riusciva
però a trovare un’idea utile. Il piccolo topo si guardò intorno. Di
fronte a lui, sul tavolo c’era un bicchiere d’acqua.
«Fuori aria, dentro acqua? E se provassi a invertire semplicemente il principio?» mormorò Pete. «Aria dentro, acqua fuori.»
Pete fece diverse prove d’immersione di piccoli contenitori. Non era semplice mandare l’aria sott’acqua. Persino le più piccole campane d’immersione ritornavano a galla con una forte spinta contraria. Pete
doveva tenerle premute sott’acqua oppure attaccarvi un grosso peso.
Ecco, quella era l’idea giusta!
Adesso avrebbe tentato di immergersi anche lui con questo sistema. Per andare sul sicuro, decise di fare il suo primo esperimento in una
vasca da bagno. Se fosse andato bene, lo avrebbe ripetuto al porto o direttamente in mare aperto.
Il livello dell’acqua continuava a salire, ma in effetti, a parte le zampe bagnate, Pete era quasi completamente asciutto.
«Funziona!» squittì. La sua voce suonava debole e un po’ attutita. Il
bicchiere era ormai quasi sommerso del tutto. Pete era entusiasta.
Aveva dimostrato che la sua campana d’immersione funzionava. Per poter tornare in superficie, tirò il filo che era legato al peso sopra il bicchiere.
«Accidenti! E ora?»
«Pete, ma cosa stai facendo?» ansimò il professore con il fiato corto. Il piccolo topo che aveva davanti non aveva ancora ben capito quello che era appena successo.
«In qualche modo avevo intuito che eri un tipo che non molla. Hai una bella testa dura, o sbaglio?» Il professore si asciugò l’acqua sui baffi e poi si scrollò da capo a piedi come un cane bagnato, e un attimo dopo aveva di nuovo la sua pipa in bocca.
«Be’, non mi stupisce affatto però. Anch’io ero così. Da giovane andavo
in cerca di avventure pazzesche a rischio della vita o di rompermi l’osso del collo, così, senza pensieri. Adesso comunque dovremmo fare
in modo di filarcela prima che sia di ritorno l’umano che abita qui!»
«Grazie!» disse Pete con voce tremante. «Grazie di avermi salvato la vita!»
Poco dopo, i due si ritrovarono nel caotico appartamento del professore.
Sembrava quasi un piccolo museo. Gli scaffali erano pieni di oggetti, libri e ritagli di carta e alle pareti erano appese fotografie e disegni.
«Chi sono?» chiese Pete guardandoli uno per uno.
«Oh, sono alcuni tra i più importanti inventori della storia… E i miei eroi!»
Pete annuì con ammirazione, mentre il professore rovistava nelle sue scatole.
«Allora, vuoi davvero recuperare quel tesoro dal fondo del mare?» chiese il professore. «Ebbene» e s’interruppe pensieroso, «vorrà dire che ti darò una mano!»
Pete strabuzzò gli occhi. Aveva sentito bene?
«Non sono più di primo pelo» annunciò il professore con un sorriso «ma forse non sono nemmeno un ferro vecchio!»
Nel frattempo aveva trovato quel che cercava: una foto.
«Ecco, questo ero io!»
Un nuovo tentativo «Non era poi così sbagliata la tua idea con la campana d’immersione!»
spiegò il professore. Stava armeggiando con un fiammifero bruciato,
per scarabocchiare su un pezzetto di carta.
«Alla base un portello e un paio di pesi… e un palloncino per tornare
in superficie. Anche l’aria la portiamo con noi: aria compressa, come il gas negli accendini o nelle bombolette spray…» Il professore parlottava tra sé mentre finiva il suo disegno.
Nei giorni seguenti, i due topi si diedero un gran da fare a cercare i
pezzi adatti per costruire la loro campana. Invece di una cupola di
vetro, il professore propose di procurarsi un barilotto portaspezie di legno. A suo parere, con il legno, lavorare sarebbe stato più facile.