Irène Cohen-Janca
illustrazioni Maurizio
A.C. Quarello
Titolo originale "Frantz et le Golem" Traduzione dal francese di Paolo Cesari © 2016 Irène Cohen-Janca (testo) © 2016 Maurizio A.C.Quarello (illustrazioni) © 2016 orecchio acerbo s.r.l. viale Aurelio Saffi, 54 · 00152 Roma Grafica: orecchio acerbo Finito di stampare nel mese di marzo 2016 Stampa: Futura Grafica '70, Roma Stampato su carta Gardapat Klassica
Irène Cohen-Janca · illustrazioni Maurizio A.C. Quarello
traduzione Paolo Cesari
P r a g a
d o r m e
Praga dorme. L’azzurro del cielo si è a poco a poco fatto più scuro, la gente è rincasata, la luce è volata via. Il tempo si riposa, e un profondo silenzio regna sulla città. L’occhio della luna si apre e attraversa le finestre. Le vecchie case del vicolo del Gallo, muri senza colore e portoni ben chiusi, si stringono le une alle altre come per non cadere. Al primo piano dell’ultima casa brilla una lampada a olio. Illumina un uomo con un piccolo zucchetto nero sui capelli di neve. Chino su di un tavolo di legno, Aaron Wassertrum, il vecchio burattinaio, fabbrica le sue marionette e costruisce gli scenari. E, per farle vivere, inventa storie e racconti meravigliosi. Mentre sta cucendo un nastro di velluto attorno al collo di una principessa dai capelli biondi e il vestito di porpora, borbotta tra i denti: “Come mi piace, creature mie di legno, darvi un’anima!” Al secondo piano, è sul viso addormentato di Myriam, figlia d’Anschel Ginzburg, il robivecchi, che la luna posa il suo pennello di madreperla… La carnagione di porcellana e la finezza della sua pelle sembrano essere la fonte stessa della luminosità della luna. Il sonno è tranquillo, il respiro leggero.
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All’ultimo piano infine, è su di una piccola camera vuota che si posa la luce d’argento. Il letto –nessuno l’ha disfatto– è quello di Frantz Munka, il figlio del tagliatore di pietre preziose. In casa, tutti dormono senza preoccupazioni. Frantz ha detto che stanotte dormirà da David Meshullan, il suo grande amico. Ma dov’è veramente Frantz?
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Qualche ora fa, prima del calar della notte, quand’è volato via anche quel poco di luce che riusciva a intrufolarsi nelle buie strade, Frantz, quatto quatto, ha lasciato la casa di vicolo del Gallo. Furtivamente, scivolando come un’ombra nel labirinto dei vicoli di Praga, non è andato verso la casa di David Meshullan. Ha preso proprio la direzione opposta. Si è incamminato verso via Cervena e la sinagoga VecchiaNuova. Un mendicante dalla faccia grigia e grinzosa, sulla testa uno scialle di lana, gli ha gridato: “Dove corri così, ragazzo? Hai un appuntamento col diavolo per andare tanto di fretta?” Lui non ha risposto. Una sola volta si è fermato durante la corsa. Non ha potuto resistere allo spettacolo del vecchio burattinaio allestito in una piazza. Non appena Aaron Wassertrum posa i cavalletti del teatrino e comincia a manovrare le sue marionette dalle maschere misteriose, i bambini accorrono da ogni parte. La gioia s’impadronisce dei loro cuori e minuscole stelle si accendono nei loro occhi. Oggi, sul piccolo palcoscenico ricoperto da un drappo rosso e illuminato da torce dalla fiamma tremolante, il burattinaio ha raccontato la storia di due bambini che un giorno hanno giurato di amarsi per sempre. Dietro di loro, un telo dipinto mostrava un bel giardino, impreziosito da un’ampia vasca, da un’antica scala di pietra e da una statua ricoperta di muschio. È sul bordo della vasca che i due bambini si scambiano il loro giuramento. La bambina dai capelli biondi voleva offrire in pegno il cuore di corallo appuntato sul nastro di velluto nero che le cingeva il collo. Ma nel darglielo, aveva strappato il nastro. Il cuore era ruzzolato via e il bambino, disperato, lo cercava cantando piano piano:
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“Dov’è il cuore di pietra rossa che hai strappato dal tuo collo più bianco della neve? Dov’è il cuore color del sangue che mi hai offerto per sfidare il tempo?”
Dietro di lui, nel suo sgargiante costume, il Demone malvagio faceva le boccacce e sghignazzava, agitandogli sopra la testa il piccolo cuore vermiglio. Lo faceva oscillare da destra a sinistra e i piccoli spettatori urlavano al bambino: “È lì! È lì! È stato il Demone malvagio a rubare il cuore!” In mezzo ai bambini imbacuccati, Frantz aveva riconosciuto Myriam. Si parlano appena quando s’incontrano per le scale o nel cortile di casa, ma ogni parola scambiata risuona a lungo dentro di loro. Lei non gridava con gli altri bambini. Affascinata, i grandi occhi spalancati, fissava il cuore scarlatto che la marionetta faceva danzare sulla punta delle dita. Nell’oscurità, il suo viso così pallido, così trasparente, brillava. Lo si sarebbe detto un frammento di luna. Allora Frantz aveva pensato a quella pietra preziosa sul banco del padre, una pietra di luna dai riflessi di un bianco azzurrato. All’improvviso Myriam aveva sentito la presenza di Frantz. Si era girata verso di lui e l’aveva guardato con fervore, come se lui facesse parte della storia del giuramento scambiato e del cuore smarrito. Nella flebile luce, Myriam sembrava irreale, come facesse parte di un sogno. È allora che Frantz ha abbandonato lo spettacolo ed è fuggito a gambe levate, il cuore stretto dall’angoscia e dall’impazienza.
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i l
lu o g o
p ro i b ito
Ora Frantz corre a perdifiato, con in testa il ricordo di quel giorno della primavera scorsa nel quale il guardiano della sinagoga VecchiaNuova aveva raccontato loro la storia del Golem d’argilla. Con voce solenne li aveva messi in guardia: “Molto tempo fa, nel Medioevo, gli ebrei di Praga erano continuamente minacciati di morte o di espulsione. Il Rabbino Yehouda Loew, soprannominato il Maharal di Praga, grande per la sua erudizione, la sua saggezza e il suo coraggio, decise allora di creare il Golem per proteggere gli ebrei di Praga. Il Golem era un gigante d’argilla che niente e nessuno poteva vincere o fermare. Una volta però compiuta la sua missione, il Maharal lo distrusse. Ed è proprio qui, nella soffitta della nostra sinagoga VecchiaNuova, che il Golem è stato portato e restituito alla polvere”. Si era zittito, aveva scrutato ciascuno dei bambini prima di riprendere con voce forte e solenne: “Mai nessuno dovrà tentare di salire in soffitta. E neppure socchiudere la botola per guardare dentro. Chi ci ha provato ha perso la ragione. Un altro ha perso la vita. Avete capito bene?” Un coro di voci aveva lanciato un “sì” così sonoro che aveva fatto tremare i muri, tanto era pieno di forza. Nessuno pensava fossero favole. Una sola voce mancava quel giorno: quella di Frantz Munka.
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Da quel momento Frantz non ha più pace. Vuole entrare nel luogo proibito. Non osa parlarne con nessuno, nemmeno con David Meshullan, il suo miglior amico. Frantz sa che David non solo non lo seguirebbe in questa folle avventura, ma andrebbe addirittura a denunciarlo per paura di vederlo morire o perdere la ragione. E più passa il tempo, più questo desiderio l’ossessiona. Gli invade il cuore. Combattuto tra una curiosità folle e la paura, non passa giorno senza che si trascini dalle parti della sinagoga VecchiaNuova oppure da quelle del vecchio cimitero ebraico, vicino alla riva della Moldava. Quando, nei giorni di preghiera, sta in piedi accanto al padre sotto le volte di pietra della sinagoga VecchiaNuova, questa gli appare sempre più viva e più misteriosa. Nel vecchio cimitero, sogna davanti alla grande e imponente tomba del Maharal che, con le sue colonne e ghirlande di frutti, s’innalza come una vera e propria casa. In cima il simbolo del Maharal: un leone.
E oggi, 21 gennaio 1892, Frantz si è deciso. Disubbidirà al vecchio guardiano. Arrivato all’angolo di via Maiselova, getta un’occhiata all’orologio della Casa Comunale. Frantz ama il vecchio orologio con i due quadranti, uno con le cifre e l’altro, di sotto, con le lettere ebraiche e le lancette che girano alla rovescia. Le sette, dicono i due quadranti. La cifra 7 per l’uno, la lettera valore numerico di sette, per l’altro. È giunta l’ora di entrare in sinagoga.
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Il piccolo portale a nord resta sempre aperto. Frantz getta un’ultima occhiata in giro poi, agile e silenzioso come un gatto, sguscia attraverso la porta socchiusa. Trema da capo a piedi. Lui conosce la sinagoga di giorno, quando vibra come un alveare per i brusii delle preghiere, dei canti, delle chiacchiere. Ora però questa calma e questo profondo silenzio lo inqietano.
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Non si dice che di notte i morti si riuniscono nella vecchia sinagoga per pregare e studiare? Si dice anche, però, che sono stati degli angeli a costruire la vecchia sinagoga, portando da Gerusalemme pietre del distrutto Tempio di Salomone. E quando, nel 1558, un terribile incendio distrusse quasi tutto il quartiere ebraico, due misteriose colombe si posarono sul frontone della Sinagoga e con il battito delle loro ali impedirono al fuoco di propagarsi. Non erano quelle colombe gli angeli che mai hanno smesso di vegliare sulla vecchia sinagoga? Pensando a questo, Frantz si sente un po’ rassicurato. Ma quando sale la scala e arriva davanti alla piccola botola della soffitta, tutto il coraggio lo abbandona. Le gambe lo sostengono a malapena, tutto il corpo è scosso da brividi. Troppo tardi per tornare indietro! Pieno di terrore, spinge la botola della soffitta ed entra. Immersa in una luce livida, gli appare una piccola stanza dai muri nudi. Dalle travi pendono tele di ragno. Sul pavimento polveroso sono sparpagliati vecchi scialli da preghiera strappati, un corno d’ariete incrinato, candelabri di bronzo verdastri e dei libri, molti libri ingialliti, chiazzati da cadaveri di mosche.
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Sotto i raggi della luna, le crepe nell’intonaco scrostato dei muri si trasformano in figure grottesche e strani geroglifici. Qualcosa d’indefinibile e inquietante è sospeso nell’aria. Intirizzito dal freddo e dalla paura, si rifugia in un angolo della stanza. La luce della luna striscia sul pavimento e si arrampica sopra un cumulo di vecchi vestiti ammucchiati in un angolo. Vagando nel buio, gli occhi di Frantz lo scoprono. Tremante, febbricitante, si alza e senza pensarci si dirige verso il mucchio di stracci. Con le dita viola per il freddo afferra con ribrezzo un enorme mantello grigio, sporco e polveroso. A malapena si accorge del fango secco, di color brunastro, che ricopre il mantello. In fretta s’infila il gigantesco vestito, logoro e così fuori moda che sembra uscito dritto dritto dal Medioevo. E subito tutto comincia a ondeggiare. Frantz sente il pavimento sfuggirgli da sotto i piedi, il cuore batte al rallentatore e le forze lo abbandonano. Ha le vertigini, vacilla, inciampa e cade nella polvere. Poi sente mani invisibili posarsi su di lui, sollevarlo, palpargli il corpo. Il freddo, si dice sprofondando nel sonno, è sicuramente il freddo che m’intontisce, mi paralizza, mi travolge… Serra i pugni per lottare contro le forze invisibili che lo stanno trascinando. Un vortice magnetico lo aspira, e come una foglia morta e leggera cade… cade nel fondo di un pozzo.
Nella stregata luce della luna, Frantz, gli occhi chiusi e i pugni stretti, attraversa frontiere proibite.
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