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L’ANTICONFORMISTA
Conosciuto per le sue inusuali creazioni in vetro, Maximilian Eicke, alias Max ID NY, progetta anche edifici e mobili. La storia del designer di Düsseldorf che sta conquistando il mondo, emigrato prima a New York e poi a Bali.
«Sono molto introverso e amo ritirarmi quando lavoro allo sviluppo di un nuovo design».
MAXIMILIAN EICKE
Incontrando Maximilian Eicke per la prima volta, lo si potrebbe scambiare per il fratello minore di Ben Affleck: alto, riccioli castani spettinati, abbigliamento disinvolto e un sorriso molto simpatico. «Hi, come va?», dice, e mi porge la mano. Ci siamo dati appuntamento nel suo studio di design con showroom a Sag Harbor, negli Hamptons, a ben due ore d’auto da Manhattan. Ed è lì che Maximilian Eicke è andato a scuola fin dal 1998, quando i genitori si sono trasferiti con lui e sua sorella da Düsseldorf negli Stati Uniti. A prima vista, Sag Harbor è idilliaca. Siepi di bosso potate con cura, ampi prati verdi, casette di charme: non a caso questa zona è considerata da molti newyorchesi una meta da sogno, con prezzi al metro quadro tra i più alti negli Stati Uniti.
Ma Maximilian Eicke non ha soltanto ricordi positivi dei suoi primi anni di scuola: «C’è da dire che sul momento, quando i miei genitori ci hanno detto del trasferimento definitivo negli Stati Uniti, ero pieno di entusiasmo». Fino ad allora, Elfi e Michael Eicke aprivano la loro galleria d’arte, il Christy’s Art Center a Sag Harbor, solo d’estate, trascorrendo le vacanze estive dei figli negli Stati Uniti, il periodo di maggiore afflusso di visitatori nella zona degli Hamptons.
Visto che la prima scelta dei genitori, la Ross School, all’epoca accettava soltanto ragazze, a dieci anni Maximilian era obbligato a frequentare la scuola statale del vicinato, diventando in poco tempo sempre più introverso e infelice. «Visto che arrivavo dalla Germania, i miei compagni mi bullizzavano in maniera terrificante. A volte era talmente brutto, da indurre i miei genitori a considerare un rientro in Germania. Oggi penso che questo periodo mi abbia insegnato l’importanza dello stare bene soprattutto con sé stessi, di essere il proprio miglior amico. Forse – col beneficio del tempo trascorso – questo periodo ha incrementato la mia vena creativa, perché ancora oggi amo isolarmi. Disdire serate con amici, per occuparmi intensamente del mio lavoro, o meglio, di un nuovo design, mi è costato diverse amicizie». Quando, alcuni anni dopo, la Ross School mo - difica i criteri di ammissione, non ci sono più ostacoli per un cambio di istituto. Per Max l’occasione di rifiorire! Il commento del designer: «Quella scuola è tuttora rinomata per la sua capacità di incentivare la creatività dei propri alunni. Ho davvero amato quel posto».
Dopo il diploma, Maximilian Eicke presenta una domanda d’ammissione a un’università in Irlanda che offre un corso di interior design. Eicke racconta: «Per me, non rimanere negli Stati Uniti, era prioritario. Ricordavo fin troppo bene il periodo trascorso presso una scuola statale americana. Tutti i miei amici presentarono con diligenza domande presso diverse università, ricevendo molte risposte positive. Sono pigro, e quindi presentai una sola domanda indirizzata al Griffith College; lì avevano un programma di interior design. Subito dopo, mi sono trasferito a Dublino!»
Una decisione fondamentale per la sua carriera. «Lì ho trovato subito i contatti sociali da sempre desiderati. Fin dal primo giorno ho fatto amicizia con persone che sono ancora oggi amici intimi». Solo a livello di contenuti, il giovane talento cozza presto contro i limiti dell’offerta formativa. «Al secondo anno ci siamo occupati della progettazione di mobili, il mio tema preferito. Trascinato dalla mia passione, sviluppavo i miei progetti ben oltre le richieste avanzate dai professori, diventando così il miglior studente del mio anno. Quando si trattava di valutazioni, ottenevo in automatico il massimo dei voti. Ovviamente ne andavo fiero, ma alla lunga mi mancava l’aspetto della sfida».
Di conseguenza, Eicke termina il percorso triennale in molto meno tempo. Ai suoi genitori presenta il calcolo del denaro risparmiato, grazie alla laurea anticipata. Decide di fare un giro intorno al mondo, tutti i suoi averi trovano posto in uno zaino. Prima di partire, il diciannovenne spiega ai propri professori: «Sto lasciando l’università un anno prima del previsto, ma credo sarebbe giusto se mi deste almeno il diploma biennale». In fin dei conti aveva superato tutti i seminari richiesti con successo. Con abbondanza di autostima, presenta i suoi argomenti all’università: «Un giorno sarò famoso e allora vi farà di sicuro piacere sentirmi affermare pubblicamente che mi sono diplomato presso la vostra università».
La sua strategia funziona. Con il diploma biennale in tasca parte per un viaggio di tre mesi intoro al globo: dall’Europa va in Asia sud-orientale, continua per l’Australia e, passando per l’America Latina, rientra a New York. «Il viaggio è stato un regalo dei miei genitori per il diploma. All’epoca feci di tutto per ritardare il mio rientro negli Stati Uniti, perché lì sarei dovuto subentrare alla gestione della galleria dei miei genitori. E in quel periodo non ero per nulla pronto per farlo».
Il periodo presso l’università irlandese lo aveva cambiato. «Me ne sono reso subito conto: il giovane uomo introverso era diventato un avventuriero alla ricerca di nuove sfide». Quando Maximilian rientra dal suo lungo viaggio, amici dei suoi genitori gli danno una mano per ottenere un tirocinio di tre mesi presso una ferriera nella cittadina di Lüdinghausen, nella regione del Münsterland. «In quel periodo mi dovevo alzare tutte le mattine alle quattro per scopare il pavimento della fabbrica. Però, grazie al mio approccio lavorativo molto disciplinato, già dopo qualche settimana ho potuto lavorare con il maestro addetto ai progetti più complessi e più interessanti».
La sua piena padronanza dell’inglese gli offre, poco prima della fine del tirocinio, l’occasione di accompagnare un collega a un importante incontro d’affari, nel quartier generale di Apple a Cupertino in California. «Ricordo ancora il mio assoluto stupore di fronte a questa decisione. Avevo appena vent’anni e già i miei capi si fidavano di me per la conclusione di un mega incarico: la realizzazione dell’interior design di tutti i negozi Apple in Europa». Nel corso del tirocinio Maximilian Eicke si innamora dei materiali metallici. Rientrato negli Stati Uniti, si compra con i 3.000 euro ricevuti come ringraziamento per il tirocinio non retribuito la sua prima saldatrice. Racconta ridendo: «Ne è seguito un’ossessione totale per la lavorazione dei metalli. Va detto che non sono una persona paziente. Per me le cose si devono realizzare velocemente, motivo per cui mi sono innamorato di quel materiale. Il legno, per esempio, si comporta in modo diverso, vanno considerati tanti passaggi: prima si lavora, poi si incolla, poi bisogna attendere dodici ore. La lavorazione del ferro è molto più celere».
Nei mesi successivi al suo ritorno negli Hamptons, Maximilian realizza dieci prototipi in metallo; di giorno dà una mano nella galleria dei genitori. «Un giorno è passato un conoscente, ha visto i miei prototipi e ha proposto di esporli». Anche altri clienti mostravano interesse e così il giovane designer comincia la ri- cerca di un produttore statunitense, disponibile a costruire i suoi mobili. «L’iniziale euforia svanisce presto. Quando i fabbricanti mi hanno esposto l’ammontare del budget per la produzione dei miei mobili nei loro stabilimenti, non ci ho messo tanto per capire di non disporre delle basi finanziarie necessarie».
Leggermente frustrato, il giovane designer programma di ripartire dopo la stagione estiva con lo zaino in spalla. Così si avvia nel 2010 per un viaggio autunnale attraverso l’Asia sud-orientale, con l’intenzione di cercare condizioni di produzione più accessibili. «Stavo per prendere il volo di rientro negli Stati Uniti, quando mi arrivò l’offerta di andare a trovare una conoscente a Bali, ben informata sulle fabbriche locali e sulla realtà dei produttori di mobili in quella zona».
Per due settimane vive a casa dell’amica dei suoi genitori, visitando diverse fabbriche. «A Bali si dice che l’isola ti accolga in due modi: ti dà il benvenuto o ti rigetta. Quella era la mia prima visita a Bali e ho avuto fin da subito l’impressione di muovermi nella giusta direzione. All’epoca, c’era ancora un blackout ogni tre giorni; di sera si girava nell’oscurità con una lampadina tascabile per trovare la strada di casa. Ma ho avvertito subito quella particolare forza d’attrazione. Era tutto molto affascinante!»
Dal suo incontro con il primo fabbricante, Maximilian porta a casa un contratto firmato. Ordina un container, per un totale di cento mobili di piccola taglia, pagando una frazione del prezzo che gli avevano chiesto a New York. «Ma il mio secondo incontro di lavoro è stato ancora più incredibile!» Quando mostra i propri progetti al capo della seconda fabbrica, Chris Ball, questo scarta le idee più ordinarie per concentrarsi sui progetti fuori dal comune. Ne nasce subito un accordo di collaborazione. «Ovviamente, la sua totale fiducia in me, ha rinforzato enormemente la mia autostima di designer. Sono stato del tutto sincero, spiegandogli di non avere il budget necessario per far realizzare i progetti più dispendiosi. Ma per lui questo non era importante e mi disse: ‘Non ti preoccupare, pago io, e quando venderai questi pezzi mi ridarai quei soldi’».
Solo quattro mesi dopo, Maximilian Eicke espone i pezzi fabbricati a Bali in un angolino della galleria a Sag Harbor, messa a sua disposizione dai genitori. «Abbiamo venduto tutto in brevissimo tempo». Con i ricavi in tasca, il designer torna nell’inverno seguente a Bali, ordinando una quantità doppia rispetto alla prima volta.
Cinque anni dopo, subentra alla gestione della galleria, grazie ai mobili fabbricati a Bali. «Da allora, combiniamo il mio design con le opere d’arte dei miei genitori».
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Non più in «pericolo critico», ma sempre minacciato di estinzione: il gorilla di montagna può sopravvivere solo sui monti Virunga.