Carlo Giò

Page 1

Carlo Giò

EDIZIONI GALLERIA GHIGGINI - VARESE


In copertina: Una rosa è una rosa luglio 2000, 36x53 cm acquerello su carta Amatruda di Amalfi


Carlo Giò UN FILO DI COLORE, UN VELO D’ACQUA acquerelli dell’anno 2000

Galleria GHIGGINI 21100 Varese, Via Albuzzi 17 tel. 0332 284025 – fax 0332 230987 – E-mail: galleria@ghiggini.it – www.ghiggini.it


Carlo Giò è nato a Milano nel 1930 e ha studiato acquerello con il pittore Silvio Bonelli. Questa tecnica, Giò non l'ha mai tradita poiché essa gli è congeniale; i fiori, che sono il tema più frequente dei suoi quadri, raggiungono con l'acquerello una vita e una leggerezza che difficilmente si ottengono con altri mezzi. Per questo Giò suggerisce il termine di natura viva per le sue composizioni. Dal 1985 Giò collabora con la Galleria Ghiggini di Varese. Le mostre 1971 - Affori, Milano, Villa Litta , collettiva 1972 - Bisuschio, Varese, Villa Cicogna, personale 1973 - Affori, Milano, Villa Litta , collettiva 1979 - Como, Villa Olmo, collettiva 1979 - Milano, Famiglia Artistica, collettiva 1979 - Milano, Galleria Garrone, collettiva 1980 - Gressoney, Galleria Casaliscoz, personale 1980 - Como, Villa Olmo, collettiva 1980 - Milano, Galleria Minardi, collettiva 1980 - Monza, Galleria Civica, collettiva 1981 - Brescia, Associazione Artisti, collettiva 1981 - Monza, Galleria Civica, collettiva 1982 - Nova Milanese, Fondazione Durini, collettiva 1982 - Roma, Palazzo Valentini, collettiva 1982 - Arona, Galleria Arona, personale 1983 - Faenza, Galleria Voltone Molinella, collettiva 1983 - Sondrio, Sala Mostre Provinciale, collettiva 1985 - Varese, Galleria Ghiggini, personale 1988 - Lugano, Galleria Nel mondo dei fiori, personale 1993 - Varese, Spazio Riboldi, personale 1996 - Seregno, Galleria Olga, personale 1998 - Varese, Galleria Ghiggini, personale 2000 - Varese, Galleria Ghiggini, personale


PRESENTAZIONE

La sensazione dominante è quella di una fragilità che stempera nell’effimero. Nell’evanescenza del sogno, si potrebbe dire. Nei quadri invernali, dove i fiori sempre, rigorosamente, ritratti al vero sono per forza di cose fiori secchi, lo sguardo avverte, come una sensazione tattile, lo scricchiolio leggero, appena percettibile, della foglia ingiallita che si arrotola su se stessa in quell’ultimo anelito di vita. E forse anche il dolore dell’unico gambo spezzato, il cui fiore - che ormai è solo una peluria dorata e sottile - si abbandona a terra come in un pianto. Sono lirici, gli acquerelli di Carlo Giò. E la loro lirica nasce dalla contemplazione adorante che l’artista riserva ai fiori. Fiori che lui stesso coltiva nel suo giardino, che vede sbocciare, che sente respirare e che, a un certo punto, con la decisione estatica che è tipica dell’innamoramento, sceglie di ritrarre. E lui, Carlo Giò, è come i suoi acquerelli. Delicato, nelle movenze e nella voce, ai limiti della timidezza, luminoso, solare, di un’eleganza inappuntabile, ma spontanea, mai così studiata da sembrare artificiosa. Emana, come i suoi acquerelli, una serenità del vivere che non si faticherebbe a definire saggezza. Dal suo pennello sottile, paziente come quello di un amanuense, il colore dell’acquerello scaturisce per farsi materia leggera, vellutata, impalpabile, profumata di vento, di muschio e di terra. Ogni piccola, infinitesimale irregolarità del petalo è resa con una fedeltà reverente che si ferma un attimo prima del realismo. Quell’attimo magico e così difficile da raggiungere che divide l’illustrazione dalla poesia. Sono veri, i fiori di Carlo Giò. Così veri da posare - nel lungo lavoro che richiede ogni quadro - uno alla volta, perché nel frattempo non rischino di appassire. Anzi, sono più che veri. Perché l’artista quando dipinge, rende ogni parti-

colare una volta e mezza più grande. L’effetto non si avverte immediatamente. È una sorta di straniamento che coinvolge prima le emozioni e poi, in un secondo momento, il cervello. Una percezione a livello di pelle che cattura l’occhio e lo spinge a tornare ancora e ancora su quelle calle bianche su bianco, poste in un vaso così lucente da mandare bagliori bianchi, accanto a rose di un rosa che stempera nel bianco. È qui che gli acquerelli di Carlo Giò travalicano il reale per entrare nella poesia. In quelle loro dimensioni appena superiori al vero, in quella loro imperfetta perfezione che ne fa quasi degli archetipi. E in quel colore costruito di luce che la carta di cotone fatta a mano esalta nei sottilissimi giochi di trasparenze, ma che talvolta, inaspettato, si alza in rossi squillanti, in rosa sensuali, in sgargianti verdi smeraldini che fanno vibrare l’aria come l’ingresso degli ottoni in una sinfonia. E quando Carlo Giò decide di tagliare il vaso, lasciandone una parte fuori campo (e subito ripristina l’equilibrio con un oggetto appoggiato a terra: un unico fiore, solo un petalo, magari, o una mela così tonda da scatenare l’irresistibile tentazione di toccarla), oppure quando si perde nel labirinto intricato e incantato dei gambi di nasturzio come un’artista liberty, allora gli sfondi bianchi diventano, ancora di più, spazio ideale, il reale si fa pretesto e la giustapposizione di volumi e campiture sembra voler correre nella direzione di una suggestione astratta. Così il poeta dei petali e delle foglie ci regala l’immagine di un possibile mondo perfetto. Alessandra Redaelli collaboratrice di “Arte” Milano settembre 2000


Prefazione a una raccolta di liriche in prosa di Remy de Gourmont, stampate a mano da Luigi Maestri e accompagnate da due acquerelli originali di Carlo Giò per ogni copia Remy de Gourmont (1885-1915) fu poeta, romanziere e saggista di varia cultura, legato a tutti i principali movimenti culturali del suo tempo. Il suo gusto raffinato e alquanto decadente lo portò a confluire nella corrente simbolista. Il marcato scetticismo che ostentava e la sua inclinazione estetizzante, documentata anche nelle “Litanie” qui pubblicate in traduzione italiana, lo apparenta in qualche modo a Gabriele D’Annunzio e lo fa partecipe del clima intellettuale che aleggiò intorno al Liberty. Le sue “Litanie dei fiori” si accostano mirabilmente agli acquerelli originali di Carlo Giò, anch’essi ispirati a una poetica prenovecentesca non ancora del tutto esaurita nelle sue spinte estetiche, che sembrano in questi anni riemergere e prender forza non solo sopra le rovine degli sperimentalismi recenti, ma sopra quelle, più illustri, delle principali innovazioni artistiche del Novecento. Ogni volume di questa edizione di settantacinque esemplari costituisce un unicum, dipinto foglio per foglio dall’artista e accuratamente composto da Luigi Maestri per la gioia di pochi amici e di pochi bibliofili. Piero Chiara

Dalla recensione della raccolta sopracitata, scritta da Alberico Sala sul Corriere della Sera del 2 dicembre 1983 (…) Uno dei più recenti gioielli dell’officina di Luigi Maestri è un libricciuolo, chiaro come una falda di neve (e la carta a mano ne ha il suono, di quando si raccoglie, per giocare), presentato da una breve, esauriente nota di Piero Chiara: Litanie dei fiori, di Remy de Gourmont. poeta simbolista, cittadino anticonformista (nato nel 1858, non 1885, morto nel 1915), con punte anarchiche. Scrisse, fra l’altro, sette volumi di “Passeggiate letterarie”, ma gli riusciva anche di aggirarsi nei giardini; e “La cultura delle idee”, che non ha escluso la coltivazione dei fiori. Botanica e filosofia si mischiano con

moralità e fantasia: deliziosi ritrattini. Carlo Giò, con desueta abilità, tenere vibrazioni sensibili, ha infilato due acquerelli originali in ogni raro libretto. Tra gli eleganti fogli, fiori e foglie, nella freschezza della poesia.

Dal Corriere della Sera del 7 dicembre 1983 Sono appena uscite da Luigi Maestri le Litanie dei Fiori di Remy de Gourmont, illustrate a mano da Carlo Giò. Il volume è frutto di un lavoro durato circa due anni. Un lavoro folle che sarebbe certo piaciuto allo scrittore francese (1858-1915). Preziosa la breve nota di Piero Chiara che richiama la figura del poeta, romanziere e saggista, autore delle litanie. (…)

Qui sopra la copertina della raccolta delle liriche di Remy de Gourmont. Nella pagina accanto, in alto: Dodici alchechengi e una mela, 53x80 cm; sotto: La boccia fiorita e Astri, entrambi di 36x53 cm.



Recensione, scritta da Gianfranco Ravasi, della mostra di Carlo Giò a Lugano, 1988, sul Corriere della Sera del 17 luglio 1998 Una fotografia stampata sull’invito alla mostra ritrae Carlo Giò sereno asceta, volto da contemplativo in cui si fondono amabilità e candore. Questo artista delicato predilige temi ormai desueti, reietti dai colleghi superciliosi che non sanno costruire, come lui, piccoli monumenti di grazia: i fiori e le erbe sono i suoi modelli che egli ritrae con l’acquerello. Il pittore (Galleria nel Mondo dei Fiori, via Luvini 2, Lugano) insegue le minute forme di petali, foglie, rametti, riflessi di vitrei recipienti cui dà vita e luminosità

con la precisione di un illustratore di botanica e la disinvoltura elegante dell’uomo di gusto e del poeta. E per dipingere tanta bella e convincente verità non abbisogna di paludamenti ideologici, conclamando un qualche “impegno”: gli basta la natura. Ma la serena e appagante indole dei suoi lavori, condotti con amoroso senso della simmetria e del metodo, reca insieme la sensazione di una viva freschezza e la delicatezza di una pensée.

Articolo di Alessandra Redaelli apparso sul numero di marzo 1996 della rivista Arte, ed. Giorgio Mondadori.

CARLO GIÒ MINIATURE DA GIARDINO Chi li guarda per la prima volta è colpito dalla precisione del tratto: sottile, sicuro, in punta di pennello, che segue senza un’indecisione la curva del narciso appassito o il trionfo di colori del geranio in fiore. Ma sugli acquerelli di Carlo Giò lo sguardo può indugiare; e, al di là dell’esattezza botanica, trova altro: un realismo tutto intessuto di poesia, nella trasparenza dei cristalli, nella nettezza delle luci, negli oggetti abbandonati apparentemente a caso accanto ai fiori recisi - un guanto da giardiniere, una matita - unici segni della presenza dell’uomo. È fedele al vero al punto di dipingere rigorosamente alla luce naturale - steli fioriti solo in primavera e in estate, mentre in autunno e in inverno i soggetti sono i fiori secchi del suo giardino, che, insieme alla casa di Malnate, vicino a

Varese, dove vive con la moglie e l’unica figlia, era del suo maestro, un amico pittore che gli ha insegnato la tecnica dell’acquerello. Una passione di quando era ragazzo e poi un hobby da adulto, finché, quindici anni fa, una gamba rotta e l’immobilità per otto mesi lo hanno trasformato da copywriter in pittore a tempo pieno. Come un gentiluomo inglese, il sessantacinquenne artista passa il tempo libero occupandosi dei suoi fiori. Ma il soggetto dei suoi quadri è una scelta quasi casuale. “Un pretesto - spiega - per indagare i rapporti tra forme e colori, non lontano da certa arte astratta”. La leggerezza e la trasparenza dell’acquerello sono esaltate dall’uso della carta a mano, che assorbe e attenua il colore. Una tecnica che nei suoi tempi lenti, nei gesti misurati, nei giorni di lavoro intorno al quadro, lascia spazio al pensiero in un procedere creativo di silenzi e meditazioni.

Qui sopra: Giallo e verde, 53x36 cm.


A destra Composizione d’inverno, 80x53 cm; Rosa, verde e qualche punto di giallo, 80x53 cm.

A destra Composizione di aprile, 80x53 cm; Rose, ranuncoli e aquilegia, 80x53 cm.


IO E L’ACQUERELLO Presentazione della mostra del 1998 presso la Galleria Ghiggini L’acquerello è un’arte giovane. Ha iniziato la sua nuova e vera vita non più di duecentocinquant’anni fa sull’onda dell’amore per la natura, di matrice romantica. Una vita subito rigogliosa, poiché l’acquerello è un mezzo semplice - anche se non facile - pulito e immediato, molto adatto quindi a dipingere dal vero fiori e paesaggi. Il secolo scorso vide una moltitudine di acquerellisti, da Turner a Renoir a Paolo Sala sino alle signorine di buona famiglia, con la leggera attrezzatura “da campagna”, in cerca di vedute da ritrarre. Ma se l’acquerello si lascia avvicinare facilmente, meno agevole è domarlo. L’acquerello - come dice Valerio Magrelli è “una tecnica elementare e complessa, artigianale e astratta, spontanea e filosofica”, una tecnica che richiede meditazione e immediatezza, che mal sopporta i rifacimenti, che è fatta in gran parte di luce, che si concreta non come un fuoco esplosivo ma come una sorgente che mormora. La trasparenza - un velo di colore in un velo d’acqua - ne è la caratteristica peculiare, i colori si stendono sulla carta come sottili strati di vetro colorato; facilmente si fondono in una vasta gamma di sfumature; anche il tipo di carta sulla quale si dipinge diventa importante poiché essa rimane visibile. Per dipingere, oltre alla carta, bastano pochi colori, una tazza di acqua pura e un pennello adatto. Questa semplicità ha conquistato molti artisti contemporanei, sia figurativi che astratti. Ne sono rimasto affascinato anch’io ed è con l’acquerello che dipingo i miei fiori, anch’essi spontanei e filosofici, collocati in uno spazio ideale così come li vedo dentro di me. Carlo Giò Malnate, agosto 1998

In alto: Trentanove foglie e sei nasturzi, 53x80 cm; a sinistra: Composizione di maggio, 80x53 cm.


Sotto: Variazioni di verde, 53x80 cm.


A sinistra: Composizione di primavera, 53x36 cm; e Rosso rosa e giallo, 53x36 cm; sotto a sinistra: Composizione di giugno 80x53 cm; a destra: Arancione, verde e blu, 36x53 cm.


A lato: Composizione di luglio, 80x53 cm.


Stampato nel mese di ottobre 2000 a cura delle Edizioni della Galleria Ghiggini, Varese in occasione della mostra personale dell’artista dal 4 al 25 novembre 2000. Le prime 75 copie contengono un’acquaforte acquerellata a mano dall’artista.

Rose d’autunno - acquaforte acquerellata, lastra 16,5x16,5 cm

Fotografie: Il Diaframma, Malnate Stampa: Artestampa, Daverio



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.