Prato Textile Valley - Rigenerazione dell'ex Lanificio Banci

Page 1





Ai miei nonni.



Al giorno d’oggi questioni come il consumo del suolo, la rcucitura urbana e la rigenerazione architettonica sono centrali nel dibattito culturale. La città di Prato è il luogo ideale per esplorare queste tematiche, grazie alla sua storia secolare nel riuso dei materiali, legata da secoli alle vicende politiche ed economiche e riflessa oggi nella sensibilità ambientale che la vede protagonista a livello nazionale di uno sviluppo verso un’economia circolare in campo economico ed urbanistico. Il settore tessile pratese ha fatto della rigenerazione di tessuti di scarto il suo punto di forza sin dal XIV secolo, passando per la figura emblematica del cenciaiolo, simbolo dell’economia pratese del ‘900. Alla soglia degli anni venti di questo secolo la necessità di dare nuova vita allo scarto assume una connotazione sociale, ambientale ed economica, ma gli strumenti a disposizione sono cambiati. Al lavoro manuale si sostituiscono macchinari e software, e gli spazi del lavoro assecondano le esigenze della robotica, oltre alla flessibilità richiesta dall’industria 4.0 ed una nuova attenzione alle necessità dell’essere umano in ambito lavorativo, ricercando un equilibrio tra organizzazione del lavoro e vissuto quotidiano. La Declassata rappresenta una cesura nel territorio pratese, ma possiede un grande potenziale trasformativo per la città. L’intervento proposto mira a ricucire i due fronti dell’arteria viaria in un nuovo asse verde di parchi e centralità, riducendo il traffico automobilistico e affiancando percorsi lenti e ciclabili, riqualificando così l’immagine della città e favorendo la riappropriazione di aree degradate da parte della comunità. Arriviamo quindi all’area Ex Banci, inserita in questo contesto e informata sin dal progetto originale su un impianto d’ispirazione olivettiana. Ormai in rovina, ma dal forte valore storico e architettonico, l’ex lanificio è l’occasione per esplorare i temi di rigenerazione e dialogo con le preesistenze, in un percorso che integri vecchio e nuovo, ma al contempo basato su un metodo operativo flessibile sotteso che permetta flessibilità degli spazi del lavoro e della vita senza perdere unitarietà. Abbiamo quindi individuato lo strumento progettuale ottimale nell’innesto, strategia che trova significato nella relazione fra elementi singoli e riconoscendo all’esistente una nuova identità attraverso una configurazione basata sui rapporti fra gli oggetti, le persone, gli spazi.



00

Index


01 INQUADRAMENTO TERRITORIALE E CULTURALE

Prato: storia della città fabbrica Il distretto tessile pratese Crisi e immigrazione Pronto moda cinese Il modello industriale cinese Prato: un caso particolare Un equilibrio delicato

02 LA DECLASSATA

Evoluzione del tessuto urbano Il piano Savioli (1954-1956) Il Piano Marconi (1961-1964) Il piano Sozzi-Somigli (1975-1981) Il Piano Secchi (1993-1996) Isolati tipo Analisi SWOT

03 PROGETTO URBANISTICO: NUOVO ASSE VERDE Beyond the Boundary Nuovo POC La Declassata come asse d’innovazione Definizione obiettivi strategici

04 PRATO OGGI

Sostenibilità della produzione tessile Innovazione tessile a prato, Next Technology Tecnotessile

15 17 18 25 29 30 32 34

39 44 46 49 53 54 57 60

71 73 78 79 86

93 95 96


Ruolo della città nel panorama europeo CreativeWear (Creative Clothing for Mediterranean Space) RESET - RESearch centers of Excellence in the Textile sector PLUSTEX: Textile and Clothing 2020 – Smart Strategies for Regional Development CONTEXT Un modello d’innovazione tessile: il C.E.T.I. Economia circolare Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) Sviluppo tecnologie 5G

05 INDUSTRIA 4.0

96 98 100 101 102 105 107 109 110

113 115 115 115 116 117 118 118 122 122 124 127 127

Evoluzione degli spazi del lavoro La prima rivoluzione industriale (1770) Il caso Pullmann (1880) Il Taylorismo (1911) Il Fordismo (1913) Il Fordismo maturo della General Motors (1930) Il modello Olivettiano (1940) Il Toyotismo (1948) Dejobbing e downsizing: il Postfordismo (1970) New Economy e Capitalismo Cognitivo (1997) L’economia al tempo della crisi (2008) Archetipi industriali e loro elementi Prima rivoluzione industriale: inurbamento e primi agglomerati industriali Seconda rivoluzione industriale: introduzione dell’elettricità Terza rivoluzione industriale: la città diffusa Ricerca archetipo Banci

128 129 130 131

Ricerca dell’archetipo 4.0

133


06 L’EX LANIFICIO BANCI

Storia Progetto originario Progressione storica Conformazione architettonica Stato attuale Padiglione #1 Padiglione #2 Padiglione #3 Padiglione #4 Padiglione #5 Padiglione #6

Prescrizioni del Piano Operativo Comunale Verde Edificato

Analisi critica del Piano Esempi di best practices a Prato Sede della Camera di Commercio Museo del Tessuto (Ex Cimatorie Campolmi) Il Fabbricone Corte Via Genova (ex Lanificio Umberto Bini) Officina Giovani-Cantieri culturali (Ex Macelli Comunali) Piazza dell’Immaginario

07 PROGETTO TERRITORIALE

141 145 146 150 154 170 174 176 178 180 182 184 186 186 187 190 192 192 194 196 198 202 204

209


08 RIGENERAZIONE EX BANCI

Demolizioni previste Approccio alla progettazione Strategia di densificazione: l’innesto Gradiente ambientale Box in the Box (nidificazione) Box L Box M Box S

227 229 230 235 236 237 239 240 241

Nuovo Hub Innovazione Tessile Studio del livello 0 Approfondimento padiglione #3 Dettaglio tecnologico

242 246 258 266

09 ELABORATI GRAFICI

269

10 BIBLIOGRAFIA

293



01

Inquadramento territoriale e culturale


16


Prato, storia della città fabbrica La città di Prato sorge lungo la riva destra del fiume Bisenzio, ai piedi dei monti della Cal vana. Reperti archeologici presenti nel territorio attestano la presenza umana sin dall’epoca paleolitica, sebbene non sia certa la continuità abitativa fra l’età romana e quella medioevale. Lo sviluppo della città è datato a partire dal VI-V secolo a.C. con l’insediamento etrusco di Gonfienti, localizzato al centro degli assi Nord-Sud e Est-Ovest, che costituiva il nucleo urbano di riferimento per la vasta area della piana. Agli etruschi subentrò la civiltà romana, seguendo il tracciato della via Cassia-Clodia, e lungo questo asse si sviluppò la colonizzazione dell’area fiorentina e pratese, con la centuriazione romana realizzata a partire dal I secolo a.C.. Nonostante il tracciato della maglia sia ancora visibile in alcune zone, è al periodo medievale che si deve la formazione della maggior parte degli agglomerati urbani presenti ancora oggi. La definizione di Prato come nucleo urbano vero e proprio risale al X-XI secolo d.C., grazie alla posizione strategica nella piana e alla presenza del fiume Bisenzio, che ebbe un ruolo fondamentale nel favorire lo sviluppo di attività manifatturiere. Nel X secolo d.C. si hanno notizie di due centri abitati, contigui ma distinti, che si fusero durante il secolo successivo. La crescita demografica, oltre all’inurbamento dei distretti rurali che ha avuto luogo in seguito allo sviluppo delle attività manifatturiere, portarono la città di Prato fra il XII e il XIII secolo ad una grande crescita urbana, con la conseguente realizzazione di una nuova cerchia muraria. Le mura medievali hanno definito il limite cittadino fino al boom industriale e all’incremento demografico dei primi anni del Novecento. Fra il Duecento e il Trecento Prato era un distretto piccolo, ma densamente abitato – tanto da superare per numero di abitanti Arezzo e Pistoia; nel 1350 si ha il passaggio da protettorato al controllo diretto da parte di Firenze. 17


Negli anni ottanta del Trecento venne realizzata una seconda cerchia muraria. Nel 1512 la città subì il sacco da parte delle milizie spagnole, mentre nel 1653 fu finalmente elevata al rango di città. La fine del Settecento demarca un momento importante per l’industria tessile pratese, quando grazie alla sua iniziativa imprenditoriale la città riscoprì una nuova dimensione internazionale in ambito commerciale. Nel 1870, in seguito all’utilizzo dei primi telai meccanici ci fu un forte sviluppo industriale e un aumento del ceto operaio addetto alle manifatture laniere. Questi cambiamenti portarono nella città forti tensioni proletarie tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, favorendo la formazione di una classe politica socialista che aderì in seguito al fascismo. Nel dopoguerra la città è stata amministrata quasi esclusivamente dal centro sinistra.

Il distretto tessile pratese La storia del distretto tessile, a partire dalla sua nascita e attraverso il successivo consolidamento, è profondamente legata alla conformazione geologica della piana pratese, alla presenza dell’acqua e al suo sfruttamento. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo viene realizzato un sistema idraulico che devia una parte dell’acqua del fiume Bisenzio e la dirama in una serie di canali, le gore, per fornire acqua all’ampia pianura che si apre verso il fiume Ombrone. Con un’estensione di 53 km, alla fine del 1200 le gore alimentano circa 260 edifici, tra mulini e gualchiere. Questo sistema di sfruttamento industriale, forte di una fiorente pastorizia che fornisce materie prime, porta Prato a ideazione e realizzare la produzione di panni, attività imprescindibile dalla risorsa acqua, che consente la loro lavatura per rendere le fibre maggiormente connesse, morbide e pulite.

18


19


Fin dalle sue origini, la produzione tessile pratese si distingue per alcuni elementi fondamentali. Primo fra tutti il sistema di micro-imprese, che fa capo alla figura di un mercante imprenditore che gestisce e coordina il processo produttivo, caratterizzato dalla scomposizione dei cicli manufatturieri e suddiviso nelle singole fasi fra piccole e medie imprese; una forte proiezione internazionale, grazie alla fitta rete di mercanti pratesi che promuovono la commercializzazione dei prodotti locali in Spagna, Fiandre, Inghilterra, Oriente, etc.; infine una specializzazione nella produzione di stoffe di lana ordinarie, di livello qualitativo medio-basso (i “panni bigelli e villaneschi”), dovuto storicamente al divieto imposto da Firenze di commercializzare prodotti tessili di più alta qualità al di fuori del capoluogo toscano, che ha dato vita alla fama di Prato come “capitale degli stracci” che per tantissimi anni connoterà l’immagine dell’industria tessile locale.

20


La produzione tessile pratese ha conservato pressoché intatta questa fisionomia fino ai primi decenni del XX secolo, quando nel periodo compreso fra i conflitti mondiali si affermano nell’area imprese di grandi dimensioni a ciclo verticalmente integrato. Agli inizi del Novecento la città lavora e produce tessuti, soprattutto quelli rigenerati da tessuti di lana esistenti. Sono già numerosi i grandi complessi produttivi pionieri che danno lavoro a migliaia di operai, tra questi il Fabbricone, l’Anonima Calamai, la Forti, la fabbrica della Romita. Il fenomeno non è limitato alla città ma si spinge, lungo l’al veo del Bisenzio, fino al comune di Vernio. A partire dagli anni ’40, tuttavia, il modello organizzativo viene ulteriormente modificato a causa di una grave crisi di mercato che colpisce il distretto, costringendo le imprese locali ad avviare un processo di progressiva decomposizione del ciclo produttivo. Questo porterà nel giro di pochi anni ad una pressoché totale scomparsa da Prato delle grandi

21


22


23


imprese a ciclo integrato. La presenza di grandi imprese costituisce dunque una breve parentesi nella storia dell’industria tessile pratese, in quanto questa riacquisisce la sua fisionomia tradizionale appena pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, recuperando la spiccata parcellizzazione del processo produttivo e l’elevata specializzazione tecnica che caratterizza le imprese. Ciò nonostante, la città riesce ad adattarsi in maniera efficace alle imposizioni e ai cambiamenti del mercato nazionale e mondiale. Esempio cardine di questa predisposizione è l’invenzione della lana rigenerata, ottenuta dalla lavorazione di panni di lana già esistenti: già alla fine dell’Ottocento infatti Prato riciclava le materie prime, e questa sua capacità di recuperarle la proiettò verso il mercato globale. Grazie all’effetto del boom economico trainato dalle esportazioni e alla flessibilità intrinseca del metodo produttivo, nel trentennio fra gli anni ’50 e gli anni ’80 l’industria pratese entra in una fase estremamente favorevole, con uno sviluppo estensivo di straordinaria intensità, che porta il numero di addetti da 25.000 a 60.000 unità. In un primo momento sono i grandi stabilimenti industriali a promuovere la nascita di svariate imprese di piccole dimensioni, al fine di recuperare margini di flessibilità, ma ben preso questa si alimenta spontaneamente grazie all’innato spirito imprenditoriale tipico della popolazione locale, alla pressoché totale assistenza di barriere all’entrata, e al basso costo dell’investimento in un macchinario adatto a svolgere una delle specifiche fasi di lavorazione. È in questo periodo che l’organizzazione produttiva pratese cattura l’attenzione di osservatori qualificati, che individuano nel distretto tessile pratese un modello da imitare su scala nazionale: un sistema produttivo caratterizzato da piccole unità flessibili, pochissime lavorazioni a ciclo completo, piccoli reparti divisi e spesso frammentati in una miriade di società autonome. Questo modello rimane estremamente competitivo fino alla metà degli anni ’80, quando Prato entra in una fase di crisi a seguito della diminuzione nel mercato internazionale della domanda

24


di prodotti cardati (allora principale specializzazione dell’industria tessile locale, mentre oggi rappresenta solo il 45% della forza produttiva del distretto), e le trasformazioni tecnologiche e di mercato portano le grandi imprese operanti nel settore tessile in una posizione di maggiore competitività nei confronti dei sistemi di piccola e media impresa. Nella seconda metà degli anni ’80 la crisi strutturale del distretto innesca un processo di progressivo riposizionamento delle imprese, caratterizzato dall’ampliamento e diversificazione della gamma produttiva: i cardati vengono affiancati da diverse tipologie di tessuto quali lino, cotone, misto seta/lino, velluto, viscosa, cupro, acetato, poliestere, tessuti non tessuti, e non solo. A partire dagli anni ’90 il distretto torna a guadagnare competitività sui mercati internazionali, entrando in una nuova fase di sviluppo espansiva. Da capitale storica degli stracci ha saputo trasformarsi in centro di moda, e una parte importante dei 3 milioni di metri di tessuto realizzati ogni giorno rifornisce marchi emergenti del distretto, o affermati come Gucci, Prada, o Ferragamo, tutti saldamente radicati nel territorio. Crisi ed immigrazione Dagli anni venti agli anni ‘70-’80 la città cambia completamente la sua struttura produttiva, sociale e fisica, fino ad attestarsi in quello che è l’attuale distretto produttivo pratese. In questi anni si verifica una crescita vertiginosa della città, con un particolare afflusso di forza lavoro dalle regioni del sud Italia. Questo periodo vede inoltre un cambiamento nella connotazione fisica di Prato, in cui viene a crearsi una sinergia unica del vivere e lavorare grazie alla presenza capillare e diffusa di stanzoni e capannoni dedicati alla piccola e media impresa. Negli anni ’90 la città affronta il mercato con importanti investimenti, e con l’afflusso di popolazione dovuto alla consistente immigrazione extracomunitaria sono occupati gli spazi che il distretto tessile ha lasciato liberi. Prato vede avvicinarsi circa 100 etnie, sulle quali si impone quella 25


cinese. Il fenomeno ha raggiunto in breve tempo rilevanza a livello nazionale, tanto che Prato oggi ospita la comunità cinese più grande in Italia, e la terza in Europa dopo Londra e Parigi. I cittadini stranieri censiti costituiscono il 20.8% (40.533 abitanti) della popolazione, contro la media nazionale che al 1 Gennaio 2019 risulta pari all’ 8,7%. Di questi oltre la metà è di origine cinese, mentre la restante parte è suddivisa fra Est Europa, Asia e Nord Africa. Al giorno d’oggi l’incidenza così elevata della popolazione straniera a Prato non è più legata all’immigrazione, nonostante il saldo migratorio in ingresso sia ancora positivo, con oscillazioni annuali più o meno marcate, cui si affianca il saldo negativo degli abitanti italiani che si allontanano dalla città; i cinesi di seconda generazione costituiscono il 18% della comunità, dato che si riflette nell’incremento del saldo naturale di Prato. L’incidenza demografica della popolazione straniera è molto alta fino ai 40 anni, mentre scende sotto il valore medio comunale a partire da 50 anni, diminuendo progressivamente all’aumentare dell’età.

26


27


È da notare la distribuzione sul mercato delle diverse popolazioni che raggiungono la città, netta e peculiare dell’area pratese. Mentre la componente più eterogenea si è inserita nel mercato del lavoro esistente distribuendosi fra operai manifatturieri, badanti e nel campo dell’edilizia, quella cinese ha costituito un tessuto ampio e crescente di piccole e piccolissime imprese nel settore della maglieria e della confezione pronto moda.

28


I nuovi immigrati cinesi si sono insediati inizialmente nell’area del Macrolotto 0, dove si sono impegnati a dar vita ad una sorta di secondo distretto industriale nel settore della confezione e della maglieria che conta 1.100 aziende, per un valore che si stima superiore ai 1.000 miliardi, che si avvale di lavoro nero e sfruttamento intensivo della manodopera, sfuggente alle regole della sicurezza sul lavoro. Pronto moda cinese Gli immigrati cinesi a Prato provengono principalmente dalla provincia cinese di Zhejiang (che comprende città come Wenzhou, Wencheng, Ruian, Qingtian...), una regione che negli ultimi anni ha conosciuto un grande sviluppo economico. L’emigrazione non è causata dunque dalla povertà, ma probabilmente da una mancanza di oppurtunità e incertezza verso il futuro. La provincia di Zhejiang è caratterizzata da una forte cultura imprenditoriale, e i migranti hanno adottato il modello detto dell’emigrazione con capitale, ovvero disponevano già del capitale necessario ad aprire una piccola impresa al momento dell’arrivo sul territorio. In Italia la prima città ad accogliere una comunità cinese è stata Milano, a cui hanno fatto seguito Roma, Firenze e infine Prato. Mentre a Milano le principali attività dei cinesi si sono da sempre concentrate nel settore della ristorazione e commercio, a Firenze e Prato si sono sviluppate attività legate alla lavorazione del pellame e di confezioni. Qui hanno infatti saputo approfittare di una particolare situazione economica, in quanto la crisi della di questi settori permetteva di acquistare laboratori e attrezzature a basso costo. Il caso di Prato si è tuttavia differenziato nel tempo dal resto dell’Italia, in quanto si è venuta a creare una situazione particolare che non rispecchia il modello industriale cinese che è possibile individuare altrove. A partire dalla metà degli anni 1980, gli immigrati cinesi hanno trovato 29


una loro posizione nel ciclo produttivo e sono diventati parte integrante del panorama di molti distretti italiani. In un contesto in cui i migranti si inserivano in Italia soprattutto come lavoratori subordinati, i migranti cinesi si sono invece insediati nei distretti della moda e dell’arredamento italiani come terzisti, operando come subfornitori per le aziende autoctone. Se da un lato questo ha portato a una crisi dei terzisti locali che non erano in grado di reggere la concorrenza, le aziende finali hanno tratto grandi vantaggi da questa collaborazione.

Il modello industriale cinese Il modello industriale cinese si sviluppa attorno ad alcuni elementi cardine, che ne garantiscono la competitività tramite una riconfigurazione estrema dello spazio e del tempo attraverso “un uso inedito e creativo di stasi e mobilità”, quali l’organizzazione dei laboratori e la mobilità temporanea fra questi. I laboratori sono spazi in cui operai e datori di lavoro non solo lavorano, ma vivono e dormono: questo permette loro di evadere in tempi brevissimi gli ordini, eliminando il confine fra tempo del lavoro e tempo personale. A questa organizzazione temporale dello spazio e della produzione interna ne corrisponde una più ampia, che lega i laboratori locali e virtualmente tutto il terzismo cinese su scala nazionale, di mobilità temporanea inter-laboratorio. Si tratta di una forma nuova ed estrema di flessibilità del lavoro, che si avvale dell’uso ambivalente dei laboratori come luogo del lavorare e del vivere; quando non arrivano ordini nel laboratorio in cui sono stanziati, gli operai cinesi si spostano per giorni o settimane in un altro laboratorio, sia nella stessa città o in una diversa, per tornare quando vi è necessità. È evidente tuttavia come questa riorganizzazione dello spazio della produzione vada a ledere principi e conquiste sindacali, con la trasformazione dei laboratori in dormitori, lavoro in nero, mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, mancanza di separazione degli spazi di lavoro e di vita.

30


31


Questo sistema trasforma i laboratori di subfornitura cinese in una rete ampia, interconnessa e flessibile, quindi estremamente veloce, portando benefici immediati ai committenti italiani, che prima dell’arrivo dei cinesi contavano su terzisti residenti in aree lontane, in particolare nel meridione. I terzisti cinesi hanno reso possibile quella che Ceccagno ha definito nel 2003 “delocalizzazione in loco”, ovvero la possibilità per le imprese che non avevano le forze per delocalizzare di ottenere vantaggi simili senza che fosse necessario spostare la produzione all’estero, ed è indubbio come oggi i laboratori cinesi siano una risorsa per le ditte che vogliano andare verso una rilocalizzazione di segmenti della produzione delocalizzati sul territorio italiano. In alcune aree geografiche dunque le imprese avviate dagli immigrati sono diventate una componente estremamente consistente dell’imprenditoria locale e ne hanno significativamente caratterizzato lo sviluppo, mentre la presenza di una crescente popolazione cinese ha implementato gli affari dei più intraprendenti imprenditori italiani che hanno saputo cogliere la domanda proveniente da questa nuova clientela, moltiplicando così le proprie vendite di merci e servizi. Prato: un caso particolare A partire dal “Patto per Prato sicura” del 2007, tuttavia, i concetti di imprenditoria e migrazione vengono accostati con un’accezione negativa, in una logica discriminatoria che separa l’imprenditoria degli autoctoni, legittimata e difesa, da quella dei migranti cinesi, narrata come dannosa per il distretto. Il motivo di questo disallineamento dal sistema nazionale si può individuare nella coincidenza fra la crisi dell’industria tessile locale e l’arrivo degli imprenditori cinesi, i quali come abbiamo visto hanno saputo approfittare del basso costo dei macchinari e capannoni per stabilire la loro attività; quindi alle dinamiche normalmente complesse tra autoctoni e migranti, nel caso di Prato si aggiunge un ulteriore elemento di com32


33


plessità: lo sviluppo del centro di fast fashion gestito principalmente dai cinesi è coinciso con una crisi strutturale che ha gettato la città in uno stato di prostrazione. Tuttavia, le aziende cinesi localizzate a Prato, se inizialmente hanno occupato un posto nella filiera produttiva similare a quello applicato a livello italiano, si differenziano da quelle degli altri distretti, sostanzialmente bloccate nella subfornitura, per essere state in grado di creare un fiorente centro di fast fashion, e stanno progressivamente occupando altri segmenti della filiera come le tintorie e le rifinizioni, fino a poco tempo fa completamente occupate da italiani. Le dinamiche oggi prevalenti nel distretto di Prato, dunque, non garantiscono più che la ricchezza prodotta localmente vada nella direzione che aveva seguito in passato, e gli imprenditori del tessile si sentono spodestati dal ruolo di produttori e principali fruitori della ricchezza prodotta localmente. L’imprenditoria cinese in Italia si è, dunque, originata all’interno del preesistente sistema produttivo, esaltando le caratteristiche socioeconomiche dei distretti industriali e consentendo alle aziende italiane di attuare processi di delocalizzazione in loco e mantenere competitività sfruttando la rete dei laboratori contoterzisti cinesi, ed ha assunto, poi, una crescente importanza e complessità, contribuendo allo sviluppo di produzioni tipiche del made in Italy (come l’abbigliamento o le calzature) e alla crescita del commercio internazionale. Un equilibro delicato

All’elevata integrazione economica non ha corrisposto però un’analoga integrazione sociale, e l’intraprendenza degli imprenditori cinesi è stata vista sin dall’inizio con sospetto e ostilità da molti italiani. Sin dagli anni ’80, quando la presenza cinese in Italia in rapida ascesa fu improvvisamente “scoperta” dagli italiani (nel quadro del generale allarmismo sullo sviluppo dell’immigrazione straniera nel paese), l’im34


magine prevalente dei cinesi è stata quella di una comunità chiusa, impermeabile e riluttante all’integrazione sociale, che invadeva il paese. Il primo grosso insediamento cinese in un distretto industriale, nell’area di San Donnino - Campi Bisenzio, in Toscana, determinò forti tensioni con la popolazione locale, e sin da allora lo stereotipo di impenetrabili “Chinatowns”, con diffusi fenomeni di mafia e criminalità, è stato ampiamente diffuso dalla stampa e dagli altri organi di informazione. Contemporaneamente si è sviluppato nel paese un clima di crescente ostilità nei confronti della popolazione straniera. La moltiplicazione delle imprese cinesi operanti nel commercio e in una pluralità di servizi è stata accolta con sospetto e ostilità, spesso vista come “invasione” del territorio e segno dell’inarrestabile sviluppo di “Chinatowns”. In alcune realtà le amministrazioni locali hanno emanato provvedimenti discriminatori tesi a limitare, in vario modo, le attività delle imprese cinesi (a Prato possiamo citare la limitazione dell’orario di apertura serale degli esercizi di ristorazione cinesi nella zona di via Filzi, via Pistoiese), mentre si sono moltiplicati i controlli delle forze dell’ordine che hanno assunto tal volta carattere spettacolare, per il grande spiegamento di forze utilizzato, suscitando anche le proteste delle autorità consolari (è il caso, in particolare di Prato). A distanza di alcuni decenni dall’inizio di una consistente presenza della popolazione cinese in Italia (e di circa un secolo dalla comparsa dei primi nuclei di insediamento), diffidenza e ostilità restano gli atteggiamenti prevalenti verso questa popolazione, la cui crescente eterogeneità è spesso negata con l’immagine di una comunità chiusa e autoreferenziale, ed anche le nuove generazioni, nate e cresciute in Italia, continuano ad essere identificate come estranee e spinte verso una forzata identificazione etnica. L’attività imprenditoriale costituisce tuttora il principale sbocco occupazionale per le nuove generazioni di cinesi ed è, conseguentemente, all’interno di questo ambito che si è finora concentrato il loro contributo 35


allo sviluppo di significativi processi di cambiamento nel paese. La crescente presenza di giovani cinesi, nati o cresciuti in Italia, ha favorito nel corso degli anni 2000 il moltiplicarsi delle imprese, la progressiva diversificazione delle loro attività e l’emergere di nuovi processi di interazione tra italiani e cinesi, silenziosamente diffusisi nei rapporti di vita quotidiana all’interno di molte città italiane. La diffusione di nuovi e molteplici processi di interazione tra popolazione italiana e cinese determinata dall’attività delle imprese cinesi non si esaurisce nelle trasformazioni avvenute all’interno del settore terziario, ma sembra caratterizzare, seppure in modo meno evidente, anche il più generale sviluppo dell’imprenditoria cinese in Italia, come suggeriscono i risultati di una ricerca (Marsden, 2011) condotta con settantacinque

36


interviste a imprenditori cinesi di Prato. Il 20% degli intervistati (operanti in differenti settori) ha dichiarato di avere alle proprie dipendenze uno o più italiani, ed un altro 19% di avere intenzione di assumerne, mentre soltanto il 29% escludeva nettamente questa ipotesi. L’assunzione di personale italiano, cominciata ad emergere nei primi anni 2000 (in particolare con l’assunzione di modelliste italiane nelle aziende di pronto moda), appare legata all’acquisizione di specifiche competenze (principalmente commerciali e tecniche) ed è talvolta persino presentata come un fattore determinante per il successo dell’azienda, come indicano le parole di un imprenditore del pronto moda (nella cui azienda lavorano otto cinesi e sedici italiani): “Gli italiani sono più forti sulla fantasia e il commerciale. I cinesi cuciono precisi, rapidi e zitti. Ognuno per conto suo non saremmo cresciuti così”.

37


38


02

La Declassata

39


40


L’asse della Declassata, ovvero Viale Leonardo da Vinci, attraversa la città di Prato e rappresenta non solo una cesura forte all’interno della città, ma un limite alla sua espansione organica nell’unica direzione possibile, compressa com’è fra Firenze e Pistoia a est e ovest, e contenuta dal sistema montuoso a nord. Altro pesante condizionamento ad un corretto sviluppo urbano della città viene rilevato nei due sbarramenti costituiti dalla linea ferroviaria Firenze - Pistoia a nord e dalla Fi - Mare a sud, che racchiudono il centro urbano della città in una fascia mediamente profonda un chilometro e mezzo. L’allora Autostrada Firenze-Mare viene realizzata tra il 1928 e il 1933 a scopo prevalentemente turistico, e rientra nell’insieme di importanti opere per la città realizzate nel periodo fra le due guerre. “… l’autostrada Firenze/Montecatini/Viareggio sorge infatti nella zona turistica, nel suo complesso più vario e importante d’Italia; libera da traffico divenuto da anni eccessivo e pericoloso le vie ordinarie che raccordano la massima città d’Italia dopo Roma, alla massima stazione d’acque (Montecatini Terme) e alla massima spiaggia tirrena (Viareggio e litorale Versiliese)…”1 Nonostante il carattere innovativo dell’opera, inizialmente l’autostrada non riscosse il successo auspicato, e un’accusa mossa alla realizzazione fu quella di intralciare lo sviluppo della città verso sud e sottrarre terreno all’agricoltura della piana.

Opuscolo informativo – “L’autotrada Firenze/Montecatini/Viareggio”, 1932 1

41


42


43


Evoluzione del tessuto urbano Fino alla prima metà del XX secolo la città di Prato si presentava ordinata e contenuta all’interno delle mura medievali, caratterizzata dalla maglia della centuriazione romana, inclinata in senso orario di 29° rispetto agli assi cardinali. Nel giro di pochi decenni, tuttavia, sulla spinta dell’espansione industriale esplode all’esterno dell’antica cerchia, aggredendo la campagna circostante con un tessuto disorganico nelle forme e contrastante nelle funzioni. Questo nuovo impianto ha dato vita alla questione urbanistica delle aree miste, vale a dire quelle zone che nel tempo si sono stratificate all’esterno del centro storico in una commistione di edifici produttivi e residenziali, ed è stato interpretato variamente dagli urbanisti che si sono occupati della problematica urbanistica locale. Savioli vi ha riconosciuto “un operoso cantiere necessario allo sviluppo della città”, mentre Marconi, razionalista, ne ha rifiutato il carattere incontrollato, privo di qualsiasi criterio organizzativo, e Secchi, affascinato da quella confusione organizzata che definirà mixité, vi ha letto la vera identità urbanistica di Prato. La causa principale della commistione di edifici produttivi e residenziali è rintracciabile nell’antico sistema idraulico che canalizza le acque del Bisenzio dalla barriera del Cavalciotto, per riversarle tramite un complesso sistema di gore fino all’ Ombrone. Lo stesso Baroni, progettista del primo Piano Regolatore della città, evidenzia come “….i primi nuclei industriali si sono stabiliti in base a questo elemento essenziale: avere un corso d’acqua che serva come forza motrice, come acqua di lavaggio, come cloaca per gli scarichi delle acque di rifiuto. Pertanto i primi nuclei industriali si sono stabiliti lungo il corso del fiume Bisenzio oppure lungo quello dei gorili derivati…”, elemento visibile anche nella carta topografica del 1918 allegata alla pubblicazione “L’arte della lana in Prato” di E. Bruzzi, nella quale è possibile notare come gran parte degli opifici presenti in città siano strategicamente posizionati a 44


ridosso del primitivo sistema gorile, ma separati dagli insediamenti residenziali tramite l’estensiva superficie dedicata ai campi agricoli. Questo equilibrio fra zone residenziali e industriali è spezzato alla metĂ del XX secolo, con la prima grave crisi del tessile pratese e la conseguente trasformazione della struttura produttiva. Molte delle fabbriche a ciclo completo censite nella carta Bruzzi del 1918 vengono smobilitate, con la contestuale nascita dell’artigianato tessile per le lavorazioni conto terzi. 45


Il piano Savioli (1954-1956) Nel ventennio compreso tra il 1950 e il 1970 la produzione tessile registra un eccezionale sviluppo, con un incremento del numero delle aziende (nel 1971 sono 6169, quasi dieci volte le 638 del 1951) e del numero degli addetti (dai 18469 presenti nei 1951 ne troviamo 32546 nel 1971), determinato dal flusso migratorio proveniente dall’Italia meridionale che raddoppia la popolazione pratese (da 77.968 a 143.148). Dal punto di vista produttivo, a questo cambiamento corrisponde una radicale trasformazione del sistema produttivo, con la riduzione delle industrie a ciclo completo e la contestuale formazione di una miriade di aziende di piccole e medie dimensioni, fino ai più ridotti edifici artigianali con uno o due telai, che frammentano la localizzazione degli insediamenti produttivi sul territorio. L’Amministrazione Comunale cerca di far fronte a questo eccezionale sviluppo socio-economico con la realizzazione di uno strumento urbanistico capace di sostenere e gestire la pressione dello sviluppo edilizio, in particolare per quel che riguarda i primi agglomerati abusivi che vanno formandosi nelle zone periferiche della città, sulla spinta dell’Ufficio Tecnico Comunale che più volte ha sollecitato una soluzione in quanto “le richieste frequenti da parte di privati per la lottizzazione di terreni oltre i limiti di espansione del centro urbano, segnati sul Piano Regolatore e cioè in zone per le quali non risulta alcuna determinazione e destinazione, non consentono allo stato attuale, di essere disciplinate e istruite secondo un’inquadratura generale che coordini il privato col pubblico interesse”. Il già citato piano Baroni non ha ottenuto riscontri positivi, in quanto considerato poco più di un semplice piano di ampliamento del Centro Storico e rifiutato dall’Amministrazione Comunale, e il progetto viene così affidato all’architetto Savioli, artefice del PRG di Firenze. Il Piano Regolatore redatto da Savioli per la città di Prato si caratteriz46


za, al pari di quello fiorentino, come strumento urbanistico che intende governare l’intero territorio, ponendo fine alla cultura dello sviluppo centripeto del centro storico, che era iniziato nella metà del sec. XIX. L’aspetto caratterizzante del nuovo Piano è infatti quello di ricercare, non solo nel centro storico della città, ma anche nelle numerose frazioni, la trama ancora vitale, capace di costituire supporto alla nuova pianificazione, se opportunamente riorganizzata e potenziata. Secondo Savioli infatti “Il Piano regolatore non deve essere un Piano di ampliamento del centro cittadino, ma un programma che organizzi tutto il territorio dalla Città murata ai confini comunali”. Il Piano Savioli si identifica in un’armatura viaria radiale, che va a ricollegare il centro storico con l’intera periferia esterna, organizzata secondo una gerarchia tra viabilità urbana ed extraurbana, radiale e tangenziale, con una serie di operazioni. Ai fini del progetto è interessante citare fra queste la rottura dello sbarramento sud, costituito dall’autostrada Firenze-mare, spostandone parallelamente il tracciato e declassando il tratto compreso nel territorio pratese con funzione di ramo tangenziale est-ovest. La questione del nuovo tratto autostradale, ritenuto di vitale importanza per un armonico sviluppo della città, risulta all’epoca economicamente fattibile, in quanto la deviazione proposta ricade in aree ancora agricole di non elevato valore di esproprio. Il Piano ricerca inoltre una soluzione ai problemi della viabilità interna tra le mura urbane e le future tangenziali, area entro la quale era localizzata la quasi totalità delle industrie e delle abitazioni con la conseguente frammistione edilizia aggravata dalla sovrapposizione tra il traffico residenziale e quello industriale, con la realizzazione di una cintura di scorrimento intorno alle mura urbane e radiali interne di penetrazione, per collegarla alla tangenziale esterna. Per quanto riguarda la rottura della centralità del centro storico, Savioli cerca di ricomporre la situazione di degrado urbanistico formatosi nelle periferie all’esterno del centro storico, al fine di coinvolgere nel nuovo assetto territoriale anche le frazioni periferiche, destinatarie di 47


una quota proporzionale delle esigenze del nuovo sviluppo edilizio, e rimarginare l’espansione edilizia in atto, in modo da evitare un ulteriore allargamento a macchia d’olio. Il solo azzonamento definito con maggior rigore è quello riservato alla localizzazione delle industrie nocive, che per motivi igienico-sanitari vengono emarginate alla periferia della città, a sud della nuova autostrada. Sono sì previste zone a carattere specificamente industriale, ma queste vengono bilanciate da svariate altre a carattere misto, per con48


sentire la contestuale presenza di abitazioni ed opifici artigiani. Negli anni ’50 Prato viene infatti percepita come un “grande operoso cantiere” capace non solo di produrre lo sviluppo economico della città, ma anche di creare nuovi posti di lavoro per i tanti immigrati provenienti dalle diverse regioni d’Italia. La stessa Unione Industriale in quegli anni riconosce nella promiscuità funzionale la vera identità della città, quale “organismo vivo e operante, che si è venuto formando attraverso secoli di storia e di lavoro, che ha una propria fisionomia acquisita lentamente, la quale avrà pure degli aspetti deteriori ma che comunque ha le sue radici nella tradizione” e l’Amministrazione Comunale ribadisce come il concetto informatore del PRG sia stato quello di “non eliminare quanto nell’organismo della città è vivo ed efficiente e di accettare, come elemento valido e positivo rispondente ad una peculiare organizzazione del lavoro, l’intima frapposizione degli impianti industriali di piccola e media grandezza con le abitazioni […] Di qui l’inserimento nel Piano delle cosiddette zone miste” considerate essenziali allo sviluppo vitale della città. Nonostante ciò, nel 1960 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici boccia il Piano Savioli per la genericità e promiscuità dell’azzonamento, che contraddice l’assunto ministeriale dello zoning, ritenuto all’epoca l’unico strumento urbanistico capace di governare il territorio. Il Piano Marconi (1961-1964) Nell’intervallo fra questo Piano e il precedente si ha la breve esperienza del Piano di Fabbricazione, redatto direttamente dall’Ufficio Tecnico comunale, le cui indicazioni hanno gestito lo sviluppo urbanistico degli anni ’60, che ha fortemente caratterizzato l’attuale assetto della città, almeno nelle zone centrali. È interessante evidenziare come l’insieme degli interventi realizzati in questo periodo, seppur guidati da un evidente interesse privatistico fa49


vorito dall’elevato indice fondiario e dall’assoluta mancanza di adeguati standard urbanistici di supporto, costituiscono comunque un’interpretazione diffusa e condivisa di un modello di sviluppo e di trasformazione della città fabbrica. Il Piano di Fabbricazione viene tuttavia contestato da numerosi proprietari immobiliari, particolarmente per quanto riguarda la riduzione delle aree edificabili rispetto a quelle previste nel precedente Piano Savioli, e Marconi riceve l’incarico di stilare un nuovo Piano Regolatore. Questo, seppur adottato nel 1964, viene approvato solo nel 1971, dando luogo ad un vuoto normativo a partire dal 1967, con la decadenza delle norme di salvaguardia. Il Piano redatto da Marconi conferma l’impostazione del precedente Piano di Fabbricazione, e propone una riorganizzazione urbanistica che consiste nella preventiva predisposizione di aree industriali adeguatamente dimensionate alle necessità, sia per l’edificazione di nuovi insediamenti produttivi che per il trasferimento degli opifici esistenti nella zona del centro storico. La commistione di edilizia residenziale e produttiva non è infatti valutata positivamente dall’urbanista romano, che la definisce “un disordine edilizio deplorevole” caratterizzato da un “groviglio incoerente di piccole strade, di fabbricati industriali e di edifici di abitazione l’un l’altro frammischiati, nel cui ambito è […] estremamente difficile stabilire la trama di un Piano Regolatore”. Inoltre “l’organizzazione del lavoro in aziende artigianali a livello familiare è rispondente a quel particolarissimo tipo di industrie tessili che si è prodotto a Prato in funzione di antiche tradizioni e economie; se anche anche oggi tale organizzazione è congeniale con le consuetudini psicologiche di buona parte del popolo pratese…è pur vero che anche per esse potevano essere reperiti validi schemi di organizzazione urbanistica e edilizia”. Le aree precedentemente indicate da Savioli per la localizzazione delle sole industrie nocive vengono riprese e destinate da Marconi a grandi zone industriali per una superficie totale di 500 ettari, dotate di una propria armatura viaria indipendente da quella cittadina, ma collegata 50


a livello intercomunale. Queste zone, i Marcolotti 1 e 2, renderebbero possibile il trasferimento delle industrie presenti in città, incentivando la riabilitazione urbanistica delle aree di ristrutturazione proposte nell’ottica di zonizzazione. L’Amministrazione Comunale incontra però grandi difficoltà a sostenere la proposta di realizzazione dei Macrolotti a sud della Declassata, in quanto il progetto del Piano Intercomunale Fiorentino si pone in contrasto con l’espansione dell’industria pratese, proponendo invece di mi51


nimizzarlo trasferendo parte dei nuovi impianti produttivi nei comuni limitrofi senza una chiara definizione di metodi e mezzi di attuazione. Il progetto del Piano Intercomunale Fiorentino mira infatti a salvaguardare il sistema lineare Firenze-Prato-Pistoia, contenendo e schiacciando l’espansione della città di Prato in una fascia di 2 km dall’asse di scorrimento della Declassata. 52


Il piano Sozzi-Somigli (1975-1981)

Ancora prima di ottenere l’approvazione del Piano Marconi, il Comune di Prato sente l’esigenza di verificare la validità di talune previsioni e di procedere a consistenti revisioni riduttive della capacità ricettiva del PRG, allo scopo di conformarle in modo più aderente all’indicazione intercomunale ed aumentare nel contempo gli standard urbanistici. Si delinea pertanto un indirizzo tendente a mettere in primo piano gli aspetti qualitativi della città, inquadrando il suo sviluppo nell’ambito delle nuove idee elaborate in quegli anni dal Piano Intercomunale Fiorentino. La revisione del Piano viene affidata agli architetti Vinicio Somigli e Sergio Sozzi, che di fatto iniziano i lavori soltanto nel 1975, elaborandoli in tre fasi successive. Si propongono rigorosi obiettivi per la tutela e la valorizzazione ambientale dei sistemi collinari, prevedendo in tali zone la rimozione completa della viabilità e degli azzonamenti previsti dal Piano Marconi. Per quanto inerente al sistema della viabilità a livello metropolitano, si propone la Declassata come asse urbano delle funzioni terziarie avanzate e l’arteria a sud dell’autostrada come asse delle industrie. Le finalità citate sono rivendicate da Sozzi e Somigli come “idee e principi espressi già nel Piano Savioli, pur dovendo tener conto di una realtà per molti aspetti mutata e di esigenze nuove”. Già a partire dal Piano Marconi, e particolarmente col Sozzi-Somigli, l’asse della Declassata inizia ad assumere maggior importanza, come tratto sul quale distribuire nuove funzioni commerciali, direzionali, e come collegamento coi comuni confinanti. Specialmente il secondo prevede la collocazione di funzioni superiori in due poli, individuati l’uno all’intersezione fra la Declassata e via Cavour, a destinazione economica, e l’altro, culturale e congressuale, presso il Viale della Repubblica.

53


Il Piano Secchi (1993-1996)

Agli inizi degli anni Novanta l’Amministrazione Comunale, non essendo ancora stata approvata la variante organica del 1990, si rende conto che tale strumentazione non è in grado di rispondere alle nuove esigenze di trasformazione della città e si muove in direzione di una completa revisione del Piano Regolatore, affidandone la progettazione a Bernardo Secchi. L’elaborazione del nuovo Piano avviene in tempi brevissimi, iniziando alla fine del 1993 e concludendosi con la presentazione del progetto preliminare nel 1994 e la consegna della proposta definitiva nel 1996. Secchi studia attentamente la conformazione stratificata di Prato, arrivando a rivalutare e considerare di grande interesse l’assetto urbanistico costituitosi nel dopoguerra all’esterno delle mura medievali, e accantona la definizione di “città fabbrica”, identificando col temine di mixité la confusione organizzata tra residenza e industria caratteristica della città, a sottolineare il grado di fusione fra luoghi di lavoro e della vita in molte parti della città. La frammistione accettata come stato di necessità per lo sviluppo industriale da Savioli e categoricamente rifiutata da Marconi e Sozzi Somigli viene considerata nel Piano Secchi come l’identità urbanistica di Prato, un sistema morfologicamente unitario ed omogeneo, suscettibile di riabilitazione urbanistica con operazioni e miglioramenti selettivi, rispettosi del principio insediativo esistente. Una trasformazione di questo tessuto in visione di tipo zonizzativo comporterebbe la perdita dei caratteri che rendono unica la città, trasformandola in una “grande e anonima periferia” simile a quella di tante altre città. Il Piano di Secchi non si concentra sulla definizione di singole aree su cui concentrarsi, ma guarda alla città nel suo insieme, restituendo un’identità al tessuto urbanistico eccessivamente uniforme e ripetitivo tramite 54


il supporto strutturale degli schemi direttori, che vanno a organizzare l’intero tessuto urbano con la definizione di un’immagine complessiva più riconoscibile, sia per quanto riguarda la viabilità che i luoghi centrali e le frazioni. Nelle aree più degradate o morfologicamente incongrue la ristrutturazione urbanistica viene finalizzata a prefigurare nuovi assetti

55


edilizi sempre correlati con l’impianto urbano complessivo, al fine di ridisegnare nuovi brani di città con questo compatibili, ma l’intera operazione di riabilitazione urbana presuppone il mantenimento del principio insediativo della città, conservando per quanto possibile l’immagine della città fabbrica. Il processo lento e graduale predisposto da questa trasformazione non ottiene tuttavia gli esiti attuativi sperati, in parte perché all’epoca dell’elaborazione del Piano la dismissione delle aziende tessili non aveva raggiunto le proporzioni attuali e la sensazione che le zone centrali della città avrebbero continuato a convivere per molto tempo con le industrie è ancora prevalente, ma anche per l’endemica insufficienza di una normativa a prevalente carattere di indirizzo, passibile di diverse interpretazioni, in special modo nell’ambito di progetti di modifica dell’edilizia esistente. Sono ascrivibili a questo periodo numerosi progetti, che si caratterizzano per le distribuzioni interne non ottimali e che generalmente, rimanendo condizionati dall’obbligo del mantenimento della sagoma esterna, presentano soluzioni formali non sempre convincenti.

56


Isolati tipo

57


Realizzata dall’EAT (Ente Attività Toscana), aveva lo scopo, oltre che di migliorare la viabilità generale, di creare un collegamento turistico fra il ricco centro di Firenze, le terme di Montecatini, e le spiagge della Versilia. All’inaugurazione, avvenuta il 5 agosto 1933, l’aurostrada presentava un’unica carreggiata di 8 mentri, caratterizzata dai filari di pini, tipici del ventennio, che la costeggiavano.

58


Le nuove funzioni commerciali e la mancanza di pedaggio rispetto all’autostrada A11, motivo che la rende preferibile per i pendolari fra Pistoia e Firenze, faranno aumentare il volume di traffico fino alla media odierna di 50.000 mezzi al giorno. L’aumento del traffico, unito alla presenza di “imbuti”, ha generato negli anni grandi disagi per il flusso automobilistico. Nel corso degli anni sono state proposte diverse soluzioni al problema, ma nessuna è mai stata realizzata.

59


60


61


62


63


64


65


66


67


68


69


70


03

Progetto urbanistico: nuovo asse verde 71


72


Beyond the Boundary Il progetto sviluppato nella tesi parte dall’esperienza del workshop Beyond the Boundary, organizzato col patrocinio del Comune di Prato e col supporto della Consiag, società proprietaria dell’area Ex Banci. Il workshop si proponeva di ripensare l’area industriale dismessa dell’ex Banci, in vista di una “programmatica trasformazione in un più esteso panorama di rigenerazione inserito nell’intero sistema lineare di comunicazione metropolitano Firenze-Prato-Pistoia della Declassata, interessata da problematiche a scala urbana con possibili declinazioni alla scala architettonica e influenze in ambito territoriale”.

Al momento dell’avvio del workshop non era ancora ultimato il nuovo POC, ma il filo conduttore delle scelte di pianificazione era quello di preservare l’identità della città, in tutto il suo patrimonio. Sono previsti interventi differenti a seconda delle diverse aree della città, dal mantenimento della centralità con implementazione di funzioni importanti per la cittadinanza nei “borghi storici” agli interventi di riqualificazione previsti per le cosiddette “aree miste”, in modo tale da salvaguardare la connotazione della città fabbrica. Il Piano prevedeva che i “complessi paesaggistici”, composti da elementi artificiali e naturali, fossero mantenuti, e i collegamenti pubblici principali della centralità urbana tutelati per quel che riguarda lo spazio urbano e gli edifici di maggior pregio. L’obiettivo era dunque quello di individuare una modalità d’intervento che stabilisca le norme di riuso dell’intero patrimonio ex produttivo, in quanto costituente la maggior parte degli spazi di possibile rigenerazione urbana. La strategia proposta all’avvio del lavoro prevedeva la creazione di due Hub ad alta densità, collocati nei pressi dei due caselli autostradali delimitanti l’arteria della Declassata, con diversa connotazione, al 73


74


fine di concentrare il costruito in corrispondenza delle porte della città ed evitare il sovraccarico del centro, mentre i tratti compresi fra questi avevano vocazioni ibrida o verde, con la proposta di interramento della porzione di Declassata in corrispondenza del centro storico, per concentrare la compenetrazione nord-sud. Il risultato delle considerazioni svolte durante il workshop ha invece portato alla scelta di espandere la sezione di interramento prevista, con la realizzazione di un parco lineare che trasformasse la forte cesura dell’ex Autostrada Firenze-Mare in una spina verde dalla quale diramare delle costole a collegamento del sistema agroambientale. Il nuovo parco avrebbe ospitato una serie di centralità, trasformando l’arteria della Declassata in un’asse di simmetria per una futura espansione della città verso sud, oltre alla funzione di polmone verde e fulcro infrastrutturale per la nuova linea di collegamento ciclabile e tranviario Firenze-Prato-Pistoia. La tessitura delle costole verdi fa riemergere la trama dei campi agricoli, perpendicolare alla Declassata, e va a inserire e connettere il progetto del nuovo parco con la macro-regola agroambientale del paesaggio stratificato, andando a insinuarsi nei vuoti scartati dalla crescita disordinata della città per riconnetterli al verde urbano e agricolo. Il progetto era infine scandito dalle attività circostanti in tre porzioni caratterizzate differentemente, a seconda della prevalenza rurale, infrastrutturale o urbana dell’area.

75


76


77


Il nuovo POC Il nuovo Piano Operativo di Prato è stato adottato il 17 settembre 2018, e sviluppato a partire sia dalle conclusioni del workshop che da un percorso partecipativo che ha coinvolto i cittadini per quattro mesi alla fine del 2017. Gli obiettivi perseguiti comprendevano una visione di Prato come città della “Manifattura del XXI secolo”, temi di riuso declinati in pratiche urbane e territoriali, l’interazione fra politiche urbane e welfare, che è andato a toccare l’emergenza abitativa, l’individuazione di Aree Strategiche in cui realizzare i così detti “Grandi Progetti”, la tematica più ampia dello spazio pubblico, e quella agro-ambientale ed ecologica. Il tema del riuso è ovviamente declinato nell’ottica di trasformazione e del patrimonio edilizio industriale, in un contesto di sviluppo più ampio che vede Prato coinvolta a livello europeo per il modello di economia circolare, particolarmente come risposta concreta nel breve periodo alle richieste di molteplici settori, alla rigenerazione urbana ed alla perequazione. Il progetto dello spazio pubblico, trasversale alle differenti tipologie di aree urbane, è stato condotto nella logica di promuove un’idea di Città Pubblica aperta all’uso dei cittadini, “un network di luoghi di aggregazione pavimentati o verdi, progettati nella filosofia dell’accessibilità totale, connessi gli uni con gli altri ed in grado di formare un continuum spaziale che attraversi la città densa e che si irradi nel territorio più aperto”. Il tema ambientale ed ecologico propone un recupero della matrice generativa del sistema insediativo, in una politica orientata alla tutela, sal vaguardia attiva, sostenibilità, gestione e strategie di fruizione innovative.

78


In particolar modo sono rilevanti ai fini di questo progetto i così detti Ambiti Strategici, fra cui figura la Declassata, ai quali sono stati assegnati ruoli specifici nella definizione di un’immagine futura della città. Concepiti come settori urbani in grado di promuovere cambiamenti e indirizzi di trasformazione di Prato, si propongono come luoghi paradigmatici della città per quanto riguarda la cultura contemporanea in Toscana, declinata nell’ambito della moda, arte, integrazione, innovazione e sostenibilità. La Declassata come asse d’innovazione Nel suo ruolo di arteria centrale di collegamento dell’area vasta in direzione Est-Ovest, la Declassata è un elemento fondamentale per generare nuove relazioni urbane fra i comparti che si sviluppano a Nord e Sud dell’arteria in un’ottica di superamento dell’attuale cesura urbana. Il Piano Operativo definisce la declassata come “vero e proprio boulevard urbano, un’asse dell’innovazione a servizio della manifattura della Toscana, da trattare come centro dei servizi, del direzionale, del leisure e della produzione a livello di area vasta”. La progettazione preliminare a livello territoriale ha preso le mosse dagli esiti del lavoro svolto durante il workshop, operando una mediazione tra la visione dei team leader e il nuovo Piano Operativo approvato dal Comune. Analizzando il Piano Comunale sono emerse incongruenze fra gli obiettivi prefissati e l’esito progettuale, ulteriormente evidenziati dal confronto con le proposte del workshop. Gli elementi a favore del primo possono essere riassunti sicuramente in una maggiore fattibilità economica, comprensiva del profitto futuro garantito dalla realizzazione di una piazza commerciale, tempi di realizzazione più rapidi che graverebbero meno sul traffico cittadino, la risoluzione del problema dell’imbuto viario ove l’arteria si restringe a due corsie, e la scelta di connettere con

79


80


81


Progetto ‘Beyond the Boundary’

82


Piano Operativo Comunale

83


l’interramento due aree residenziali, così da limitare i disagi causati dal traffico per le abitazioni. D’altra parte è evidente come l’interramento nella sola zona del Soccorso non sia sufficiente a rimarginare la cesura urbana causata dalla Declassata, oltre che incoerente con i beni individuati dal Piano stesso come punti di interesse e motori di sviluppo per l’immagine futura di Prato, come il complesso Ex Banci, o il museo Pecci, che rimane isolato e poco valorizzato dal nuovo collegamento previsto. Anche il nuovo Parco delle Fonti previsto a nord-est dell’arteria resta separato e chiuso in se stesso, col rischio di diventare un parco utilizzato esclusivamente dai residenti prossimi e non dalla comunità. Infine, l’aumento del volume di traffico sull’asse della Declassata auspicato dal Piano, seppur potenzialmente positivo per l’economia pratese, vista la mancanza effettiva di un intervento di ricucitura capillare trasversale al tracciato non farebbe altro che aggravare il problema della cesura urbana. Se da una parte le proposte del workshop risultano utopistiche, se non dal punto di vista dei tempi di realizzazione (i quali comporterebbero ingenti disagi al traffico urbano), sicuramente per quanto riguarda i costi di realizzazione, offrono tuttavia una soluzione al problema della cesura urbana. Attraverso lo strumento del parco urbano lineare viene riconnessa l’intera lunghezza della Declassata, con l’integrazione di viabilità sostenibile declinata in un sistema pedonale, ciclabile e tramviario a riempire il vuoto lasciato dall’assenza totale di traffico veicolare, potenziando al contempo il trasporto pubblico fra le città dell’area metropolitana. Del sistema verde beneficiano i nuovi quartieri residenziali, affiancati da nuove centralità, funzioni pubbliche e orti urbani, oltre all’area dell’Ex Lanificio Banci e al Museo Pecci, integrato nel parco e arricchito di un sistema di padiglioni immersi in un giardino espositivo.

84


85


Definizione obiettivi strategici A seguito del confronto fra i risultati del workshop e il Piano Operativo abbiamo quindi operato una sintesi, tenendo in considerazione da una parte gli obiettivi posti dal Comune di Prato che, a nostro parere, non è riuscito a raggiungere nel progetto finale, e dall’altra il rilevante fattore economico. I risultati di questa operazione sono riassunti in cinque punti fondamentali, che hanno poi guidato il processo progettuale di definizione della strategia urbanistica.

86


87


88


89


90


91


92


04

Prato oggi

93


94


Sostenibilità della produzione tessile

Fin dall’Ottocento, Prato è considerata una città attenta alle tematiche dell’ecosostenibilità, in quanto ovvia conseguenza del vantaggio economico derivato dal riciclo degli scarti tessili: basti pensare alla tradizione dei cenciaioli, della lana cardata rigenerata che ha fatto la fortuna del territorio riutilizzando scarti e avanzi a salvaguardia dell’ambiente. Anche recentemente Prato ha continuato a dare voce alla sua vocazione ecosostenibile, in quanto la tracciabilità delle produzioni realizzate con metodologie moderne danno vita a prodotti ecologici e non tossici. Già nel 2008 la Camera di Commercio di Prato, assieme al Consorzio per la valorizzazione dei prodotti tessili cardati con la collaborazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha dato vita ad una disciplinare e un marchio che ne riconosca la validità per il consumatore (Cardato recycled), seguendo questa vocazione alla sostenibilità ambientale. La produzione cardata garantisce infatti un impatto minimo per l’ambiente, sia per il ridotto consumo di acqua che di energia e di anidride carbonica. Oggi un gruppo di aziende della filiera del distretto tessile, considerate prime al mondo, hanno aderito al progetto di Greenpeace “Detox”, attraverso l’associazione confindustriale. Nell’intento di preservare l’ambiente, il progetto ha l’obiettivo di ridurre progressivamente e azzerare ben 11 classi di sostanze considerate inquinanti nell’anno 2020. Dal lancio della campagna, numerose aziende hanno aderito al protocollo Detox dando vita al Consorzio Italiano Implementazione Detox (CID), per tenere viva la vocazione ecosostenibile dell’industria tessile pratese.

95


Innovazione tessile a Prato, Next Technology Tecnotessile

Il Next Technology Tecnotessile è un organismo di ricerca privato che opera per il miglioramento dell’innovazione tecnologica e della competitività delle aziende. La società è stata costituita a Prato nel 1972, e il suo capitale è detenuto per il 60% da imprese di diversi settori (prevalentemente tessile, abbigliamento, meccanica, meccanotessile e logistica) e per il 40% dal MIUR. La costante partecipazione alla realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo e di trasferimento tecnologico a livello nazionale ed europeo ha permesso a Next Technology Tecnotessile di consolidare un vasto network di legami e collaborazioni, composto dalle più rilevanti realtà industriali, università, centri di ricerca e aziende di servizio operanti in Italia, in Europa e nel mondo. Gli obiettivi perseguiti dal Next Technology Tecnotessile sono la promozione della ricerca tecnologica, in collaborazione con imprese nell’ambito di Programmi Nazionali/Regionali e dei Programmi Quadro Comunitari, lo sviluppo di conoscenza e idee in vista della realizzazione di nuovi prodotti, promuovendo la partecipazione delle imprese a programmi di ricerca e sviluppo, la facilitazione di collaborazioni strategiche fra imprese e fornitori di conoscenza scientifica, come i Centri di Ricerca e le Università, a livello nazionale e europeo.

Ruolo della città nel panorama europeo Il ruolo di Prato come centro trainante della rigenerazione e innovazione tessile non si ferma tuttavia a livello cittadino e nazionale; la città è infatti attiva da diversi anni sul panorama di ricerca europeo, e ha partecipato e porta avanti tuttora numerosi progetti di innovazione tessile a livello internazionale. 96


97


CreativeWear (Creative Clothing for Mediterranean Space)

CreativeWear è un progetto europeo, di cui è capofila il Comune di Prato, che propone nuovi modelli di business per il settore del Tessile e Abbigliamento. Perché il nome “creative wear”? Perché il progetto si focalizza sulla creatività territoriale, sulla dimensione del lavoro sociale e collettivo, sul design personalizzato, sull’innovazione sociale come principale driver di nuovi modelli di business basati su cluster. Il progetto Creative Wear, sviluppato all’interno del Programma Interreg MED, estende il modello Laboratori di business del progetto TCBL (Textile & Clothing Business Labs) a cluster esistenti nell’area MED come musei, Hub creativi, scuole di moda e centri di design integrandoli con l’ecosistema di riferimento e cercando di recuperare e valorizzare il patrimonio di design e il “saper fare” delle culture mediterranee. L’ obiettivo principale è quello di istituire una rete di 5 Hub, uno per ogni regione partner, che possano sperimentare differenti forme di interazione tra creativi (artisti, designer, etc) e imprenditori. Le esperienze pilota di questi approcci convalideranno nuovi e più sostenibili modelli di business a disposizione delle industrie culturali e creative che daranno valore aggiunto al settore T&C nel Mediterraneo. Le soluzioni di successo saranno poi estese a livello transnazionale anche ad Hub creativi presenti nell’area mediterranea e oltre. Ogni Hub sviluppa un aspetto dell’innovazione tessile, dalla digitalizzazione del patrimonio industriale, allo sviluppo e commercializzazione di nuovi tessuti, fino all’aspetto creativo; abbiamo un Heritage Hub a Prato, Social Hub a Lubiana, Technology Hub a Valencia, Art Hub ad Atene, e infine il Crowd Hub di Palermo.

98


99


RESET - RESearch centers of Excellence in the Textile sector Reset è un progetto europeo nato per migliorare le infrastrutture di ricerca e innovazione e la capacità di sviluppare eccellenze promuovendo centri di competenza, in particolare quelli di interesse europeo. Il progetto RESET è gestito dal Comune di Prato in qualità di capofila e coinvolge altri 9 soggetti partner di altrettanti Stati europei. Finanziato dal Fondo Europeo di sviluppo regionale e dal Fondo nazionale di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, il progetto è iniziato ad aprile 2016 e si concluderà a marzo 2019. RESET promuove lo scambio di buone pratiche fra regioni e centri di ricerca dei distretti tessili europei; il trasferimento di competenze e la condivisione di esperienze riguardano metodologie e soluzioni innovative, già sperimentati con successo nelle regioni partecipanti. L’obiettivo è quello di far adottare buone pratiche e promuovere progetti che permettano di sostenere le eccellenze regionali in termini di ricerca, innovazione e sviluppo. L’innovazione e la ricerca orientate alla sostenibilità riguarderanno principalmente i processi produttivi e lo sviluppo dei prodotti, allo scopo di migliorare il riciclo e la riduzione dei rifiuti, ridurre il consumo di acqua e permettere un maggior risparmio energetico, ridurre l’impatto ambientale delle sostanze chimiche utilizzate dal settore, accompagnare gli sforzi di riconversione industriale verso i tessili intelligenti, promuovere l’utilizzo di fibre naturali e favorire l’uso di materie prime locali o a km 0, favorire la eco-creatività e le nuove applicazioni.

100


PLUSTEX: Textile and Clothing 2020: Smart Strategies for Regional Development Plustex (Policy Learning to Unlock Skills in the TEXtile sector) è un progetto europeo nato da una serie di esperienze positive di networking fra la Municipalità di Prato e altre aree di Textile&Clothing (T&C) in tutta Europa, e si propone di porre a sistema e ampliare questo scambio fra i membri del network ACTE (European Textile Collectivities Association) per coinvolgere altre regioni europee del settore. Il progetto si è sviluppato nel corso di tre anni (2012-2014) e ha coinvolto Italia, Francia, Bulgaria, Polonia, Lituania, Regno Unito, Ungheria e Portogallo. Per abbracciare le numerose esperienze innovative emerse fra i territori partner, il progetto ha adottato un approccio aperto che copre sei distinte tematiche: imprenditorialità giovanile e modelli di business innovativi, diversificazione della produzione verso tessuti high-quality e high-tech, aumento del livello di design e creatività nella produzione commerciale, supporto al clustering e internazionalizzazione di imprese di piccola e media taglia (SMEs), promozione di eco-innovazione e responsabilità sociale nel settore, ed infine il supporto di incubatori e start-up. Queste tematiche fornivano un framework concettuale per raccogliere e analizzare più di cinquanta casi di Good Practices, e relativi piani di implementazione e strategie per integrarli nelle politiche locali, regionali, nazionali. 101


I partner che hanno partecipato al progetto PLUSTEX sono Lille Métropole (FR), Prato Textile Museum Foundation (IT), Agency for Regional and Economic Development – Vratsa (BG), Lodz Region (PL), KTU Regional Science Park (LT), University of Southampton (UK), Pannon Business Network Association (HU), AMAVE – Vale do Ave Municipalities Association (PT), guidati dalla Municipalità di Prato in posizione di lead partner. I progetti sono stati portati avanti dalla Maisons de Mode (MdM) a Lille, Spinpark e Avepark per il partner portoghese, il Textile Centre of Excellence britannico, il progetto Passage in Bulgaria, Cardato Recycled a Prato e molti altri.

CONTEXT

Context è un Network europeo fondato allo scopo di connettere ricerca e innovazione nel campo dello Smart Textile avanzato. È fondato dalla European Cooperation in Science and Technology (COST), che mette a disposizione fondi per la creazione di network di ricerca, chiamati COST Actions. Questi network offrono uno spazio aperto alla collaborazione fra scienziati attraverso l’Europa (e oltre) e in tal modo dà impulso alla ricerca di progressi e innovazione. Il network Context comprende 29 paesi e riunisce ricercatori, aziende manifatturiere e i principali stakeholders europei con l’obiettivo di sviluppare idee comuni e iniziative che possano essere trasformate in avanzati prodotti tessili smart. 102


Context mira a promuovere lo sviluppo di una rete congiunta di ricerca nel campo, supportare il trasferimento e la condivisione di conoscenze fra attori diversi allo scopo di individuare applicazioni idonee nei diversi campi multidisciplinary, e promuovere le attività di networking finalizzate ad attrarre talenti, ampliare e migliorare i progetti di ricerca con una maggiore consapevolezza riguardo gli obiettivi per raggiungere risultati applicabili nella quotidianità, oltre ad agire come piattaforma di stakeholder per identificare necessità e requisiti raccogliendo diversi punti di vista, in un approccio di tipo bottom-up, dal basso. Il network Context è strutturato in sei gruppi di lavoro, cinque dei quali sono dedicati alle applicazioni finali di smart textiles e il sesto alla comunicazione e diffusione. Ogni gruppo mira a un triplo approccio elicoidale, integrando accademia, ricerca e industria che lavorano sotto la coordinazione di organizzazioni cluster, ed è incaricato di sviluppare e promuovere azioni di ricerca che possano portare a un aumento del Technology Readiness Level (TRL) degli smart textiles nei settori di applicazione. I gruppi di lavoro si suddividono in: Healthcare & Medicine, Automotive & Aeronautics, Personal Protective Equipment, Buiding & Living, Sports & Wearables, Dissemination & Communication.

103


104


Un modello d’innovazione tessile: il C.E.T.I.

Il C.E.T.I (Centre Européens des Testiles Innovants) è stato inaugurato nel 2012 grazie alla mobilitazione di attori del settore e al supporto finanziario statale, regionale ed europeo, e rappresenta l’impegno dell’intera regione e metropoli europea nel promuovere e sostenere l’industria tessile del futuro. Il CETI è al servizio delle imprese per incoraggiare e accelerare l’innovazione nel settore tessile. È un luogo per il design, la sperimentazione, prototipazione e industrializzazione di nuovi prodotti, materiali e processi che si adattino al meglio ai bisogni della filiera globale. Collabora con produttori, grandi marchi e distribuzione di moda, capi per lo sport e di lusso, tessuti tecnici. Ambisce in particolare a proporre soluzioni per le sfide legate allo sviluppo sostenibile, per trasformare l’intero settore minimizzando l’impronta ecologica, rendere le tecnologie smart accessibili su larga scala, integrare le trasformazioni digitali nelle linee produttive, favorire un elevato standard di vita, promuovere nuovi modelli di business quali economia circolare e della funzionalità.

105


La forza di CETI risiede nella natura multidisciplinare del suo team, nella sua metodologia orientata al business e nella sua piattaforma tecnologica unica in Europa. Riunisce nello stesso sito: spazi collaborativi dedicati all’emergere di idee, una delle cinque piattaforme di filatura tri-componenti esistenti al mondo dedicate a nuovi polimeri, biopolimeri e fibre riciclate, linee non tessute ottenute per “via liquida” e “via asciutta” in una configurazione flessibile con oltre cento combinazioni possibili, e una piattaforma di filatura e tessitura. Gli spazi di lavoro del CETI mirano a promuovere la scoperta e sperimentazione di tecnologie 4.0 applicate alla creazione di prodotti e materiali, digitalizzazione dei processi e prototipazione di prodotti basati su nuove esperienze comportamentali dei consumatori, con l’obiettivo di incoraggiare e sostenere le diverse aziende dell’industria tessile nella trasformazione di attività tradizionali in ambito digitale.

106


Economia circolare

Secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera»; quindi un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi. Il modello economico lineare take-make-dispose si basa sull’accessibilità di grandi quantità di risorse ed energia ed è sempre meno adatto alla realtà in cui ci troviamo ad operare, in quanto le risorse naturali sono limitate e in sempre più rapido esaurimento. Le iniziative a sostegno dell’efficienza – che lavorano per la riduzione delle risorse e dell’energia fossile consumata per unità di produzione – da sole possono ritardare la crisi del modello economico, ma non sono sufficienti a risolvere i problemi dati dalla natura finita degli stock. Si pone quindi come necessaria la transizione dal modello lineare ad un modello circolare, che nella considerazione di tutte le fasi – dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita – sappia cogliere ogni opportunità di limitare l’apporto di materia ed energia in ingresso e di minimizzare scarti e perdite, ponendo attenzione alla prevenzione delle esternalità ambientali negative e alla realizzazione di nuovo valore sociale e territoriale. L’economia circolare suggerisce quindi un approccio innovativo alle materie prime, ai prodotti e ai rifiuti e una visione rigenerativa, contrapposta al modello attuale; un nuovo paradigma per lo sviluppo economico sostenibile che richiede una profonda sinergia e una convergenza di intenti tra attori istituzionali, imprese, terzo settore e cittadinanza. 107


Si stima che questo approccio, ponendo alla base la sostenibilità, a partire dall’approvvigionamento delle materie prime fino alla produzione, dal design del prodotto fino alla distribuzione e al riuso, possa generare nella città di Prato un beneficio economico da 1.800 miliardi di euro entro il 2030, declinato fra creazione di nuovi posti di lavoro e un incremento del 3% della produttività annua delle risorse. D’altronde i temi della circolarità sono sempre stati legati storicamente a Prato, poiché il riuso è stato alla base dello sviluppo del distretto tessile con la creazione della lana cardata, la prima filatura riciclata, e fin dagli anni Ottanta è attivo un sistema centralizzato di depurazione delle acque di scarico civili e industriali grazie a investimenti pubblico-privati. Il Comune di Prato sta attuando politiche di sviluppo in direzione di un’economia circolare sia dal punto di vista economico che urbanistico, oltre a partecipare, con Milano e Bari, a un progetto nazionale come “città pilota” per promuovere e sperimentare iniziative innovative sull’economia circolare e su tutte le tematiche con alto impatto ambientale sui rifiuti.

108


Il protocollo d’intesa “Città per la circolarità” punta ad avviare una collaborazione tra queste città e il Ministero, che prevede la declinazione concreta dei precetti agli ambiti di design di prodotti e servizi, modelli di approvvigionamento di materie prime, produzione, distribuzione e commercializzazione, modelli di consumo sostenibili, di riuso, sharing economy e riciclo di risorse dai rifiuti.

Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) Le Information and Communications Technology sono l’insieme dei metodi e delle tecniche utilizzate nella trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni. Negli ultimi anni Prato si è contraddistinta come uno dei centri italiani più importanti nel settore ICT, tanto che si parla di un vero e proprio distretto ICT. Il settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione racchiude tutte le tecnologie che forniscono accesso alle informazioni tramite le telecomunicazioni, e nell’ultimo decennio ha inglobato discipline pervasive in tutti i settori della vita e dell’economia, promuovendo nuove opportunità di crescita tramite la connessione sempre più pervasiva fra gli utenti. Da tempo Prato rappresenta uno dei centri nevralgici e all’avanguardia dell’ICT in Italia, disponendo di una notevole infrastruttura telematica con una copertura totale del territorio con ADSL (nel 2014 la provincia era la prima in Italia per copertura di banda larga) e fibra ottica nell’area industriale. A Prato sono presenti 656 aziende operanti nel settore ICT, fra stabilimenti e unità operative, specializzate in particolare nelle tecnologie informatiche, e la possibilità di collaborare con centri di ricerca e università locali ne fa un punto di riferimento nella regione Toscana e per il cosiddetto “corridoio ICT” (l’area che si sviluppa lungo l’Arno e comprende le città da Prato-Firenze a Pisa), attraendo investi mirati del settore anche dall’estero.

109


Sviluppo tecnologie 5G La sperimentazione della tecnologia 5G rappresenta una sfida importante verso la città digitale, e Prato è fra le cinque città italiane selezionate per portare avanti il processo di sperimentazione del 5G, la tecnologia mobile di quinta generazione che permette di realizzare servizi innovativi che cambieranno profondamente il modo di vivere e spostarsi dei cittadini da una parte, e le modalità di produzione delle imprese dall’altra. La sperimentazione 5G e il lavoro sulla banda larga renderanno possibile una maggiore velocità della connessione internet, con le conseguenti opportunità di sviluppo in diversi campi, dalla sanità all’energia, all’industria 4.0, alla sicurezza, offrendo grandi potenzialità di crescita all’intero sistema produttivo del distretto pratese. L’investimento iniziale allocato si aggira fra i 30 e i 40 milioni di euro, e il lavoro in partnership con Open Fiber (società compartecipata da Enel e Cassa Depositi e Prestiti) e Wind Tre sarà portato avanti fino a dicembre 2021, ma già alla fine di settembre 2019 è stata ultimata una rete capillare di antenne radio per le trasmissioni 5G che permetteranno l’attivazione di progetti sperimentali in campi quali videosorveglianza, mobilità, cultura e industria.

110


111


112


05

Industria 4.0

113


114


Evoluzione degli spazi del lavoro Al fine di individuare i paradigmi sociali, lavorativi e spaziali dell’industria 4.0 abbiamo iniziato la nostra indagine con lo studio e la successiva classificazione di questi elementi nelle diverse epoche industriali.

La prima rivoluzione industriale (1770)

Con l’introduzione della macchina a vapore si ha un insieme di cambiamenti nella produzione di manufatti. Già all’inizio del Settecento erano comuni concentrazioni di industria rurale (protoindustria), caratterizzate dalla figura di un imprenditore urbano che rifornisce di materia prima una forza-lavoro rurale, che lavora a domicilio. Protagonista è una nuova figura imprenditoriale, caratterizzata dalla disponibilità a investire e a rischiare il proprio capitale nella produzione di merci. Nasce lo stabilimento industriale moderno, un nuovo edificio che raggruppa numerosi macchinari a vapore, e sorge vicino a quelli che stanno diventando i grandi agglomerati urbani, dove si concentra la nuova forza-lavoro del mondo industriale. Il caso Pullmann (1880) Prima di passare all’analisi delle declinazioni novecentesche dell’evoluzione del processo industriale è interessante citare il caso di una città fabbrica sviluppata nel pressi del lago Calumet, a circa 23 km da Chicago (IL), lungo la Illinois Central Railroad. George Pullman, imprenditore di successo di fine ‘800, decise di portare avanti un progetto ambizioso: costruire una città attigua ad un grande complesso industriale che prendesse il suo stesso nome. Il progetto 115


Pullman fu ultimato nel 1880: una città dotata di tutti i servizi necessari. Nella mente del suo ideatore infatti si sarebbe dovuto trattare di una “comunità pianificata”, senza scontri né scioperi. Il progetto si rivelò tuttavia fallimentare, in quanto gli abitanti si sentirono ben presto stranieri nella loro stessa patria, uno Stato dentro lo Stato in cui la legittimità poggiava sul capriccio di un solo uomo la cui impresa si era “semplicemente estesa dalla produzione alla proprietà immobiliare e aveva imposto la disciplina di fabbrica anche in città”. Nel 1898 il progetto Pullman terminò a seguito di un ordinanza della Corte Suprema.

Il Taylorismo (1911)

“Mettere il cervello dell’operaio sotto il cappello dell’ingegnere” Taylor elabora lo scientific management (organizzazione scientifica del lavoro), il cui fine è la creazione di un sistema razionalizzato di divisione del lavoro, basato sul principio della totale rieducazione dei gesti del lavoratore, a cui devono essere impartite precise e dettagliate istruzioni sulle operazioni da compiere e sul modo preciso in cui compierle. Il nuovo paradigma, incentrato sulla ricerca della massima efficienza produttiva, è costituito da tre momenti fondamentali, ovvero l’attenta analisi delle varie mansioni e dei passaggi di cui si compongono, la definizione di un lavoratore “modello”, e sulla base di questo canone la selezione dei lavoratori più adatti (in base alle loro abilità e attitudini al lavoro), con la conseguente formazione e inserimento di questi nell’industria.

116


Il Fordismo (1913) Ford introduce la famosa assembly line (catena di montaggio) nei suoi stabilimenti di Deaborn in Michigan. Quest’ultima in poco tempo diventa simbolo del processo di meccanizzazione, dando vita ad un sistema produttivo che, iniziato con l’introduzione della macchina utensile e passando attraverso la macchina motrice, arriva con la catena di montaggio a dar vita ad un sistema produttivo in cui l’operaio è ridotto a semplice sorvegliante della macchina; non si fonda più sul fattore individuale (utensili e abilità professionale) ma conduce direttamente a una forza produttiva collettiva: l’uso della macchina accoppiato alla forza lavoro. Il processo produttivo è scomposto in una serie di operazioni elementari, standardizzate, con la conseguente sostituibilità degli operai alle varie mansioni, con una bassa qualità del lavoro, e il nuovo sistema produttivo fondato sul scientific management e sulla spinta

117


all’automazione e disciplinamento diretto dell’operaio portano a ritmi di lavoro imposti e intensificati, un processo produttivo fortemente burocratizzato, una polarizzazione fra dirigenza e operai semplici, una distinzione fra “saper essere” e “saper fare” e della fase ideativa da quella esecutiva. Infine, i salari vengono aumentati come incentivo al consumo.

Il Fordismo maturo della General Motors (1930)

Durante gli anni trenta la filosofia fordista venne messa in discussione da un’ideazione della General Motors: l’introduzione di un nuovo modello di linea di produzione, distaccata dalla linea fordista ed aperta alla ricezione di “conoscenze pratiche di carattere contestuale”. In Europa l’obiettivo è quello di integrare il modello fordista con le forme autoctone di organizzazione sociale, rompendo con l’idea di produzione basata sul calcolo razionale e scientifico. Un esempio chiarificatore sono i distretti industriali italiani: essi rappresentano una realtà variegata, attiva e molto efficiente, il cui successo è da ricercare nell’elevata specializzazione delle mansioni, nella decentralizzazione di alcune funzioni e nel ridimensionamento dei complessi industriali.

Il modello Olivettiano (1940)

A metà degli anni Venti Adriano Olivetti compie un viaggio negli Stati Uniti, nel corso del quale visita la fabbrica Ford ad Highland Park (Detroit), dove veniva prodotta la Model T, ed il complesso industriale Ford River Rouge (Michigan), allora il più esteso al mondo. Olivetti resta vivacemente impressionato dall’organizzazione fordista, ma riesce a cogliere i limiti del sistema. Le modalità di ricezione del modello for-

118


dista alla Olivetti si distinguono sin dall’inizio rispetto all’originale per una attenzione decisamente maggiore alle condizioni di lavoro degli operai, sempre considerati esseri umani prima che fattori di produzione, e sono diverse le direttrici fondamentali che hanno orientato l’operato della Olivetti nel superamento delle difficoltà legate all’organizzazione capitalistica della fabbrica: la ricerca di sistemi alternativi alla catena di montaggio, la costante attenzione verso una corretta organizzazione del tempo di lavoro, gli interventi sociali a sostegno dei dipendenti. Si faceva leva sull’organizzazione razionale del lavoro, sulla motivazione e partecipazione dei lavoratori alla vita e al futuro dell’azienda. Agli operai vengono variate e aumentate le mansioni, non più limitate alla meccanica ripetizione di poche operazioni, vengono assegnati a ciascuno compiti maggiormente qualificati, e nelle UMI (Unità di Montaggio Integrate) gli operai vengono divisi in piccole unità responsabili della corretta realizzazione di parti o intere macchine. Ogni gruppo ha la responsabilità del proprio lavoro, e ne controlla la qualità prima di inviarlo allo step successivo. Nel 1956, a seguito di analisi approfondite condotte nel corso degli anni, l’Olivetti riduce l’orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali a parità di salario, anticipando peraltro l’intervento statale chiesto a gran voce dal movimento operaio, con un conseguente aumento di produttività e qualità. Ne sono testimonianza ad esempio l’istituzione di un Ufficio tempi e metodi, organismo interno che aveva l’obiettivo di gestire i tempi in modo da conciliare le esigenze personali con le necessità produttive, e la precoce concessione del sabato festivo. L’attività d’impresa è mirata ad assicurare non solo buoni profitti, ma anche a realizzare lo sviluppo sociale, culturale e umano di chi vi lavorava, creando condizioni di benessere materiale e spirituale. Viene introdotto un sistema di servizi sociali per gli operai (quartieri residenziali, ambulatori medici, asili nido, la mensa, la biblioteca e più avanti anche un cinema totalmente gratuiti), ed è forte l’attenzione dell’azienda nei

119


confronti della salute dei propri dipendenti. A questo proposito possiamo citare quelli verso le operaie, mogli dei dipendenti e dei bambini: il periodo di gravidanza è fissato a nove mesi e mezzo, con una retribuzione pari all’80% del salario, vengono istituite l’ALO (Associazione Lavoratrici Olivetti) e un consultorio prenatale e pediatrico con facoltà di erogare contributi per medicinali e visite specialistiche esterne. Anche la formazione tecnica viene attentamente seguita dal management dell’azienda, con il Centro di formazione meccanici, avviato già nel 1935 e aperto anche agli esterni, che realizza una forma reale ed efficace di apprendistato, compreso in un vero e proprio piano di studi con insegnamenti di cultura generale, educazione artistica, visite ad altre fabbriche, a mostre e a musei. Il centro viene successivamente affiancato da un Istituto aziendale riconosciuto dallo Stato i cui diplomati diven-

120


gono spesso dipendenti Olivetti. Ai primi operai non specializzati formati direttamente da Camillo Olivetti si aggiungono negli anni i migliori laureati del paese facendo dell’azienda un centro di ricerca di prim’ordine. Questi interventi contribuiscono a creare il peculiare clima che si respira in Olivetti. Tutte le testimonianze delle persone che hanno lavorato nella azienda di Ivrea descrivono un contesto informale gestito da una leadership molto forte, autorevole ed aperta al dialogo con i dipendenti. Il team Olivetti è estremamente compatto, curioso, efficiente e si sente parte dell’azienda per cui lavora. Una rete spontanea di solidarietà tra le persone viene a crearsi ad ogni livello, e la libertà di pensiero e di confronto viene sostenuta fattivamente anche con promozioni; se le differenze gerarchiche sono funzionali alla divisione dei ruoli e ad una organizzazione meticolosa del lavoro, hanno una limitata importanza sul piano delle relazioni personali.

121


Il Toyotismo (1948)

Il toyotismo nasce nella seconda metà degli anni Quaranta, quindi prima che nel mondo industrializzato dell’Occidente inizino a manifestarsi i primi segnali di crisi del fordismo, e non ne mette totalmente in discussione l’impianto organizzativo. Alla base dell’obiettivo della massima efficienza, qualità e velocità di produzione troviamo due principi fondamentali: il just in time e l’autoattivazione. Questi rappresentano il nucleo strutturale del toyotismo, nel suo passaggio dalla semplice produzione di massa alla produzione “snella”. Il modello del just in time si basa sulla riduzione delle scorte e l’allestimento dell’officina minima, in modo da evitare sprechi e accumuli di beni nei magazzini. Importante è anche la sincronizzazione delle attività tra linea di produzione e fornitori, i quali sono scelti in base al grado di affidabilità e capacità collaborativa. La produzione si basa sulla domanda proveniente dal mercato, e sul continuo miglioramento del prodotto e del ciclo di produzione. Punti di forza sono il rapporto di fiducia tra impresa e dipendenti, la ricerca del Total Quality Managment e costante innovazione. Il toyotismo getterà del basi per il post-fordismo.

Dejobbing e downsizing: il Postfordismo (1970) Nel momento in cui, agli inizi degli anni Settanta, la situazione dei mercati e, in generale, dell’economia vede una brusca inversione di tendenza, la sopravvivenza delle aziende viene sempre più a giocarsi sulla capacità di adattare la produzione ad un contesto di totale incertezza e di continua fluttuazione dei mercati. L’attenzione viene allora rivolta all’individuazione di tendenze generali riscontrabili a livello globale

122


(siamo infatti negli anni di affermazione della globalizzazione), traendo ispirazione dal modello giapponese del Toyotismo. La fabbrica ad alta automazione rappresenta il primo vero tentativo di superamento del modello fordista. Al centro dell’attenzione c’è la necessità di rendere l’azienda capace di affrontare e controllare le crescenti situazioni di incertezza generate da un mercato in continua oscillazione. Le nuove esigenze sono di flessibilità esterna, legate alla variabilità della domanda del prodotto, mirate ad ammortizzare tramite la leva organizzativa l’incertezza tecnologica dei macchinari. Subentra la necessità di provvedere alla formazione dei lavoratori, e fornire loro nozioni, conoscenze e abilità adeguate ai compiti richiesti: alla “macchina polivalente” si affianca la figura del “lavoratore polivalente”, in grado di svolgere il lavoro in maniera consapevole e intervenire attivamente nel funzionamento e nel controllo della macchina, con ampi margini di discrezionalità, coinvolgimento e responsabilità. Si ha il passaggio da lavoro standardizzato a quello “immateriale cognitivo”. L’azienda viene frammentata trasformandosi in una “impresa rete”, con esternalizzazioni e downsizing, e la piramide aziendale lascia il posto a una struttura reticolare, di rapporti orizzontali. La figura del capo è sostituita dal leader carismatico, e in generale possiamo dire che il lavoro si “intellettualizza”; cresce la richiesta di un coinvolgimento attivo del lavoratore nel processo produttivo, col conseguente ridimensionamento del lavoro puramente materiale a favore delle funzioni di controllo e alle capacità di problem sol ving a tutti i livelli occupazionali. Cresce il divario fra gli operai generici, a contatto con le nuove tecnologie e impegnati nella gestione dei processi produttivi, e quelli con funzioni manuali, sminuiti e con bassi stipendi. La richiesta è di un modello di lavoratore tutto fare, impavido, devoto al proprio lavoro (considerato unico mezzo per l’autorealizzazione), abile nell’affrontare le sfide quotidiane con caparbietà. Il lavoratore, perciò, deve mostrarsi flessibile, con una forte attitudine al cambiamento e pronto a sacrificare ogni aspetto della vita privata pur di garantire la massima efficienza sul lavoro. Di123


stinzione tra lavoro e carriera, la flessibilità porta a forte incertezza nel futuro, e l’identificazione del proprio valore col successo lavorativo dà vita a nuovi problemi. Il cosiddetto capitalismo azionario pone nuove contraddizioni in ambito economico, la più evidente delle quali è la scissione tra profitto e produzione: il valore delle imprese non viene più definito sulla base dei livelli di produzione ma della quotazione delle sue azioni in Borsa. La nuova politica aziendale è orientata alla difesa degli interessi degli azionisti, spesso in contrasto con quelli dei lavoratori. Anche se in una forma diversa, sembra ripresentarsi allora il problema dell’alienazione e della mancanza di senso del lavoro: l’atomizzazione del flusso produttivo aliena il lavoratore dalla propria mansione, della quale non percepisce la connessione con la totalità del processo produttivo, in una condizione di generale smarrimento, insofferenza sociale e incertezza esistenziale.

New Economy e Capitalismo Cognitivo: soft skills e branding (1997) Negli ultimi anni si è imposta, in modo sempre più deciso, la distinzione tra postfordismo e New Economy, a sua volta superficialmente assimilata alla distinzione tra economia reale, caratterizzata dai processi concreti di produzione e vendita delle merci, ed economia finanziaria, costituita dall’esplosione dei mercati borsistici e dal predominio della dimensione speculativa. Si osserva una progressiva scomparsa del lavoro nella forma salariata e dipendente, a favore del modello neo-indipendente e autonomo. L’aspetto specifico del nuovo paradigma sta nell’ingresso del linguaggio e della comunicazione nei processi direttamente produttivi: la trasmissione di informazioni è diventata un vero e proprio strumento volto alla creazione di valore.

124


Simbolo indiscusso del nuovo scenario economico diventano le imprese Internet, le Dot Com, che incarnano le “caratteristiche salienti della trasformazione postfordista: nuda vita, lavoro e vulnerabilità”. In questo senso diventa centrale anche la figura del venditore, come colui che fa delle sue abilità comunicative il principale strumento di lavoro. L’asso nella manica del manager di successo diventa proprio il saper parlare in modo convincente, trasmettendo ai dipendenti il “giusto spirito” d’impresa. Emerge dunque con la massima chiarezza la centralità della funzione narrativa del linguaggio sul piano economico, che pervade il nuovo modo di produrre e vendere merci, un linguaggio che viene inteso come un “semio-capitale”, cioè capace di attivare una “semiotizzazione dei rapporti sociali” (Marazzi 2001). La conoscenza cessa di essere uno dei tanti fattori di produzione, per diventare il fattore di produzione per eccellenza. Il core business delle grandi imprese si sposta dal controllo della produzione al controllo delle fonti di innovazione (ricerca e sviluppo) e del marchio (brand). Le nuove tecnologie ad alta automazione consentono un accorciamento dei tempi di lavoro, mentre la sopravvivenza aziendale nel mercato globale e altamente concorrenziale viene a giocarsi proprio sulla qualità e appetibilità del prodotto offerto, con il conseguente predominio delle attività di marketing e di comunicazione, puntando sull’ideazione, progettazione, promozione e presentazione «estetica» dei prodotti. Le tecnologie informatiche applicate all’ambito della distribuzione, quindi, permettendo la raccolta di informazioni importanti sul ciclo di vita del prodotto, hanno spostato il potere dalle grandi imprese produttrici alle catene di distribuzione, le quali sono ora nelle condizioni di poter stabilire tempi e quantità di produzione dei prodotti stessi. La produzione esce dalla fabbrica per coinvolgere la società nella sua interezza, e i meccanismi capitalistici di produzione permeano tutto il tempo e lo spazio sociali. Il nuovo capitale fisso, persa la tangibilità e materialità dei grandi macchinari della fabbrica fordista, viene identi-

125


ficato nell’insieme dei rapporti sociali, nelle modalità di trasmissione delle informazioni e nei processi di produzione delle conoscenze. Peculiare della “svolta linguistica” della New Economy, rispetto ai modelli precedenti, è il fatto che a diventare fruibile per scopi produttivi è tutto l’insieme delle conoscenze - private e sociali - abilità, facoltà, esperienze accumulate, interessi personali dell’individuo, che escono dal privato per essere messi al servizio del progresso economico. La conoscenza cessa di essere fonte primaria di libertà e autonomia del soggetto, per diventare strumento al servizio della logica aziendale, quindi, di forze esterne che ne condizionano la direzione e le finalità. Di fronte ai mercati sempre più instabili e fluttuanti il sapere dei lavoratori diventa quel fattore estremamente dinamico e continuamente modificabile su cui viene fondato l’andamento non più lineare dell’economia. Allo stesso tempo, i progressi in ambito informatico, con la conseguente velocizzazione dei tempi e metodi per la trasmissione delle informazioni, determinano un rapido sviluppo dell’economia finanziaria, con un boom delle transazioni in Borsa. Quest’ultima diventa un settore sempre più centrale nello scenario economico contemporaneo, presentandosi come «dispositivo - spiega Marazzi (2009) - per accrescere la redditività del capitale all’esterno dei processi direttamente produttivi». Il superamento della divisione netta tra tempo di lavoro e tempo libero, come accade nel telelavoro, rischia di tradursi in una dilatazione smisurata del primo, fino a forme patologiche di dipendenza dal lavoro. C’è chi, a proposito di questo coinvolgimento totale dell’individuo al lavoro senza la garanzia di retribuzione, parla di nuove forme di servilizzazione, basate proprio sul fatto che “l’agire comunicativo-relazionale, benché sempre più economicamente rilevante, non è correttamente riconosciuto” (Marazzi 1994) e, aggiungerei, pagato. Esso semmai diventa la base per nuove forme di dipendenza personale all’interno delle strutture gerarchiche dei rapporti di lavoro.

126


L’economia al tempo della crisi (2008)

Lo scoppio di una bolla immobiliare nel 2007 produrrà a catena una grave crisi finanziaria nell’economia americana e successivamente in quella europea. Nella prima metà del 2008 si assiste a un rallentamento deciso delle principali economie del pianeta e all’aumento repentino dell’inflazione. La parte finale dell’anno vede il manifestarsi di una pesante recessione, seguita all’aggravarsi della crisi finanziaria e creditizia. Con il mercato paralizzato dalla crisi economica, si diffonde sempre più il modello aziendale leggero della Start Up, oggetto di particolare attenzione mediatica proprio negli anni successivi alla crisi finanziaria.

Archetipi industriali e loro elementi Fino alla seconda rivoluzione industriale la fabbrica manifestava anche “visivamente” il proprio potere (in proporzione al contesto in cui era inserita, variando con esso nel tempo): grazie alle sue enormi dimensioni essa aveva un forte impatto sull’ambiente circostante. A ciò andavano poi aggiunti i grandi complessi urbani attigui all’industria, che nascevano e si sviluppavano in funzione di essa. In questo modo l’industria andava a improntare di sé uno spazio vastissimo. Con l’affermazione della fabbrica integrata, le dimensioni delle industrie si sono progressivamente ridimensionate e “smaterializzateˮ (pensiamo alle piccole dimensioni delle aziende e alla sobrietà dei loro design, o ai centri logistici che hanno solo funzioni di coordinamento tra pezzi di produzione sparsi su tutto il globo), i rapporti si sono fatti più astratti e le gerarchie meno marcate. Ridimensionatosi l’impatto ambientale, cambia il modo in cui le aziende esercitano il loro potere.

127


Prima rivoluzione industriale: inurbamento e primi agglomerati industriali L’affluenza dalle campagne alla ricerca di lavoro genera un forte fenomeno di inurbamento. I nuovi operai si stabiliscono nei sovrappopolati e insalubri slums, residenze situate a ridosso della fabbrica. Attraverso progetti urbanistici vengono fatti pesanti investimenti al fine di migliorare le condizioni di vita, nasce l’Urbanistica del Novecento. Gli edifici vengono progettati con il solo scopo di consentire processi produttivi, poco flessibili, e in caso di ampliamenti è necessario costruire nuovi fabbricati.

128


Seconda rivoluzione industriale: introduzione dell’elettricità L’industria acquisisce una connotazione quasi di cattedrale laica, l’edilizia industriale diventa una tipologia architettonica. I fabbricati sono caratterizzati da volumi unici, non articolati in altezza, spazi di lavoro omogenei e contigui. Importante novità, nonché elemento trainante della trasformazione, è la corrente elettrica.

129


Terza rivoluzione industriale: la cittĂ diffusa A partire dagli anni 70, a seguito del boom economico e della frammentazione delle imprese in Europa si assiste al fenomeno dello sprawl urbano. Nuove costruzioni densificano le aree di espansione esterne alla cittĂ , sfumando la distinzione fra centro urbano e campagna in un tessuto privo di servizi e opere di urbanizzazione.

130


A seguito dei processi di deindustrializzazione postfordisti emerge il problema legato al nuovo concetto di area dismessa, che diventerà da questo momento parte integrante del dibattito architettonico e sociale, in quanto generatore di grandi vuoti urbani. L’estensione e diffusione dei tessuti abbandonati porta a ripensare la scala di trasformazione delle aree dismesse, attraverso interventi puntuali e di recupero.

Ricerca archetipo Banci

131


132


Ricerca dell’archetipo 4.0 La quarta rivoluzione industriale è un processo ancora in atto, e sarà possibile valutarne storicamente le implicazioni e conseguenze solo fra decenni. Al fine del progetto, tuttavia, abbiamo qui delineato, per mezzo dell’analisi delle fasi precedenti del processo produttivo industriale e di un confronto con la realtà sociale e lavorativa attuale, quelle che riteniamo possano essere le caratteristiche di un complesso industriale rappresentativo delle nuove forme produttive. A questo fine, abbiamo individuato casi rilevanti in due progetti realizzati negli ultimi anni. Dal punto di vista architettonico abbiamo tenuto in considerazione il progetto di Andrea Oliva per il capannone 19 delle storiche Officine Meccaniche Reggiane, sede del Tecnopolo di Reggio Emilia, area attualmente in fase di rigenerazione urbana in attuazione del progetto di sviluppo economico reggiano basato sull’ Economia della Conoscenza che darà forma al Parco Innovazione, luogo di incontro e collaborazione tra mondo accademico e imprenditoriale; la continuità nella destinazione produttiva e l’implementazione di ambiti di ricerca, la conservazione della memoria storica del fabbricato, unite alla scelta di una strategia di densificazione, sono a nostro parere tematiche chiave nella definizione di linee guida per individuare il paradigma dell’industria 4.0. Per quanto riguarda il modo di vivere l’ambiente produttivo e il rapporto dell’azienda con la città in cui è inserita, invece, è interessante citare il caso del Technogym Village a Cesena, fra i primi casi in Italia di applicazione di un modello che cerca l’equilibrio possibile tra organizzazione del lavoro e vissuto quotidiano, offrendo ai dipendenti spazi ricreativi senza distinzioni di ruolo all’interno dell’azienda e aprendo i propri ambienti agli abitanti. Sulla base di queste riflessioni è stato possibile definire alcuni punti fondamentali, sulla base dei quali articolare la strategia di progetto.

133


134


135


136


137


138


139


140


06

L’ex lanificio Banci

141


142


143


144


La fabbrica ex Banci è posizionata al centro di un’area completamente verde, in una zona della città caratterizzata dalla mixité, definita da Secchi nella stesura del piano per la città fra il 1993 e il 1996 come una zona composta da un misto di edifici produttivi e residenziali, indicativa dell’identità pratese. L’ingresso all’area ex Banci avviene sul lato prospicente la Declassata, tramite una strada di servizio adiacente ad essa. A sud sono presenti dei vivai, che hanno il loro accesso da via Ferraris, insieme ad alcuni edifici residenziali (i più recenti realizzati nella zona) di altezza variabile dai sei agli otto piani. Ad est e ovest l’area è confinante con edifici industriali e abitazioni, oltre a un centro commerciale di recente realizzazione. Questa zona si è sviluppata per la maggior parte in seguito allo spostamento dell’autostrada che rappresentava un limite allo sviluppo della città a sud di essa. Intorno all’area è presente un grande parco pubblico, usato da tutti gli abitanti del quartiere e non solo. Storia Nel panorama di rinascita, a seguito della seconda guerra mondiale, emerge la figura di Walter Banci, giovane pratese che decise di intraprendere la strada dell’imprenditore tessile. All’inizio degli anni ’50, con l’allargamento del mercato italiano dell’esportazione, Banci, viaggiando per lavoro rimase incantato dal self-made man; l’uomo che con la sua volontà diventava artefice del proprio destino. Grazie ad un primo finanziamento dall’ente di finanziamento italiano (EFI banca) di 50 milioni di lire, nel 1952 Walter Banci acquistò i 21 ettari e mezzo di terreno agricolo della contessa Bacicocchi Roselli del Turco di Firenze, che andavano dall’odierna Questura fino a dove oggi sorge la fabbrica. Si trattava di un enorme podere agricolo, dalle potenzialità illimitate, che però Banci non voleva assolutamente edificare nella sua totalità, con l’idea di preservare e mantenere un sistema di vivai e piantagioni che appare visibile ancora oggi: già allora la natura era vista come un’entità da proteggere e con cui creare un legame di giusto equilibrio. Negli anni Cinquanta 145


Banci era dunque intenzionato a costruire non una fabbrica, ma un immenso oggetto architettonico di pregio che avrebbe avuto la funzione di fabbrica tessile a ciclo completo di lavorazione. Ma negli anni Sessanta, il periodo di lotte sindacali e scioperi politici e aziendali portò Walter Banci ad una sofferta decisione: chiudere. Egli aveva però intuito il potenziale della sua fabbrica a nuova destinazione d’uso, e per molti anni si adoperò per realizzare questo nuovo progetto: trasferire l’esposizione fieristica della fortezza di Firenze nella sua fabbrica riconvertita. Purtroppo la politica, la crisi e forse una sorte avversa si opposero al suo progetto. La fabbrica pratese andò così incontro ad un destino segnato che l’avrebbe poi resa oggetto di aste poco chiare, legate allo scandalo di tangentopoli che colpì la città di Firenze degli anni Novanta. La fabbrica venne venduta all’allora Gruppo Consiag per 14 miliardi di vecchie lire, ma per oltre un decennio la società proprietaria non mise in vendita gli originali 250.000 m2 di area. Nel 1999, l’allora Consiag bandì il concorso per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva dell’edificio dei nuovi uffici che sarebbe dovuto sorgere sull’area. Nel 2005 venne incaricato l’architetto Massimiliano Fuksas per dar forma ad un progetto di spicco attraverso un masterplan che in realtà sarebbe dovuto diventare parte integrante del progetto più ampio coordinato dalla società Urban SPA – consorzio trasformazioni urbane – di Prato. Tutto questo non ha avuto luogo.

Progetto originario Gli edifici che ospitavano le diverse fasi di lavorazione dovevano risultare spazi aperti e sempre interconnessi a quel verde che circondava la fabbrica, andando a smaterializzare perimetri del costruito rendendo questo un tutt’uno con la natura che si sviluppa armonica intorno ad esso: un insieme di volumi immersi in una specie di bosco urbano impiantato dallo stesso Banci.

146


147


Suggerite dal committente presero forma una serie di capannoni disposti sia perpendicolarmente che parallelamente all’attuale viale Leonardo Da Vinci, quindi in prossimità della Declassata, che taglia di netto il passaggio urbano. La prima concessione edilizia è del Dicembre del 1952 dove è leggibile l’impianto originario. Negli anni successivi si sono susseguite una serie di richieste di concessioni che hanno apportato modifiche allo sviluppo planimetrico mentre l’impianto che oggi leggiamo risulta invariato dal 1971. La minuziosa cura dei particolari e l’utilizzo di questi grandi blocchi di pietra alberese, legata al territorio di Prato, che vanno a compattarsi e a stringere le lunghe pareti vetrate, comunicano un forte equilibrio tra natura e costruito. I fronti inclinati delle vetrate sembrano cascate d’acqua contenute dai pesanti volumi in pietra locale. Gli interni completamente svuotati, con una distribuzione degli spazi in funzione delle esigenze lavorative sembrano proiettati verso l’esterno e, a loro volta, rigettati all’interno: un gioco di compenetrazione caro all’architetto Frank Lloyd Wright e alla sua architettura e che successivamente renderà la fabbrica Banci un oggetto di studio anche per la scuola

148


organica americana. Il progetto di Walter Banci è un prodotto complesso, a lungo meditato, generato dall’incontro e dalla frequentazione che egli stesso ebbe, non saltuariamente con Wright, incontrato a New York. Prese così forma una pianificazione progettuale di una fabbrica esemplare in cui, oltre ai problemi di produzione, venisse considerato il rispetto per l’architettura storica e, attraverso i linguaggi dell’architettura organica, per la natura, in un ambiente che considerasse l’uomo, il lavoratore tessile, come il maggior protagonista della scena nello stabilimento. Nonostante l’accuratezza del progetto, non si poterono evitare i due incendi che si propagarono per la fabbrica. Il primo, il più grande, risalente agli anni Sessanta, portò alla distruzione di tutto il lato sud del primo padiglione, quello contenente i telai. Questo lato è visibilmente diverso, anche in copertura, rispetto agli altri. Sul finire del 2007, un’expertise sull’area Banci dell’architetto Brian Spencer (American Istitute of Architects) ha gettato una nuova luce circa l’importanza urbanistica ed architettonica dell’ex lanificio Walter Banci, riconoscendone indiscutibili valori estetici e funzionali e lanciando al tempo stesso un accorato appello per la salvaguardia del sito.

149


Progressione storica

Nel 1953 l’imprenditore Walter Banci incarica gli ingegneri Forasassi e Taiti di realizzare la sua fabbrica, con la richiesta di ispirarsi al centro di ricerche della Union Oil Company che fu costruita a Brea, vicino a Los Angeles, che a sua volta ricalcava un’architettura di Wright. Il risultato è un’area industriale in piena campagna, organizzata in padiglioni parzialmente vetrati, immersa in una specie di bosco urbano impiantato dallo stesso Banci.

150

Il Banci si differenzia così per diversi aspetti dal tessuto industriale pratese. Innanzitutto per la volontà di contenere all’interno del complesso l’intero ciclo produttivo, in contrapposizione al sistema frammentato di Prato; inoltre la struttura intelaiata che scandisce lo spazio interno, formata da un triplo ordine di pilastri, e le grandi superfici vetrate sviluppate fra i blocchi lapidei, mostrano l’influenza del razionalismo italiano sul progetto. La struttura, volutamente arretrata rispetto all’involucro, permette alla copertura di raggiungere il perimetro dell’edificio attraverso sbalzi laterali, lasciando la facciata libera da interruzioni strutturali.


A seguito di una serie di concessioni edilizie, il complesso continua a subite modifiche planimetriche, variando significativamente il progetto originario fino al 1971. Proprio gli anni Settanta, caratterizzati da lotte sindacali, sanciscono la fine dello stabilimento, portando alla sofferta decisione di chiudere l’azienda e all’impegno nella ricerca di una nuova destinazione d’uso. Nel corso degli anni successivi vengono organizzate diverse esposizioni all’interno del complesso: la volontà è quella di trasferirvi l’esposizione fieristica della Fortezza di Firenze, con risultati tuttavia deludenti.

Il 1974 è l’anno che segna la chiusura e la cessazione dell’attività della fabbrica, con il proprietario che si impegna nella ricerca di una nuova destinazione d’uso. Nel corso degli anni successivi vengono realizzate delle mostre all’interno del complesso: nel 1986 viene allestita la mostra “Caravanning” e successivamente la “Mostra del macchinario tessile”.

151


Nella seconda metà degli anni Settanta un grande incendio colpisce il lato Sud del primo capannone, nel quale erano conservati i telai. L’area è stata ricostruita, ma è a tutt’oggi visibilmente diversa rispetto al resto del complesso.

152


Nel 1996 l’area diventa di proprietà di Consiag (a quei tempi denominata Consorzio intercomunale acqua, gas e pubblici servizi, ma che poi cambierà nome passando all’attuale Estra S.p.A.) che decide di realizzare la nuova sede all’interno dell’ex lanificio Banci, aprendo nel 1999 un concorso per la progettazione definitiva ed esecutiva dei suoi nuovi uffici.

Nel 2005 viene redatto un progetto sull’area, poi non realizzato, dall’architetto Massimiliano Fuksas. Il progetto nasceva dall’idea di Prato come città in trasformazione che doveva effettuare degli interventi per sbloccare le sue potenzialità da un punto di vista sia economico che produttivo. Le destinazioni d’uso previste dal progetto erano: un centro espositivo e congressi, un hotel, uffici, negozi, un parco e una parte destinata all’ampliamento del museo di arte contemporanea Pecci.

Uno studio del professore Brian Spencer evidenzia l’importanza urbanistica e architettonica dell’ex lanificio. Il complesso è indentificato come uno dei pezzi più pregiati dell’archeologia industriale pratese.

153


Conformazione architettonica Sul piano architettonico e urbano vanno sottolineati alcuni aspetti significativi che connotano l’intero complesso e che costituiscono degli elementi di valore dell’impianto. Il primo elemento di valore è dato proprio dal principio insediativo. I padiglioni si dispongono infatti ciascuno secondo assi longitudinali perpendicolari alla Declassata, fornendo così una maggiore permeabilità verso il sistema rurale a sud e offrendo uno spazio poroso alla comunità che vi avrebbe lavorato. L’alternanza tra i padiglioni e gli spazi di relazione tra essi interposti crea una sequenza spaziale che misura e articola l’intero impianto, in una successione di spazi che mutano al variare della consistenza dei corpi. La perpendicolarità dei padiglioni rispetto alla Declassata conferma il valore strutturale di quest’ultima, soprattutto nel progetto originario in cui non era presente il recinto e la strada diventava l’unico ele-

154


mento di relazione tra le parti. Sotto il profilo architettonico i padiglioni si presentano come degli edifici di matrice modernista. L’alternanza dell’uso del cemento per la struttura intelaiata, che scandisce lo spazio interno, e delle grandi superfici vetrate, che si sviluppano tra blocchi lapidei, conferma le influenze del razionalismo italiano (per certi versi riconducibile a Michelucci) capace di coniugare la modernità con il vernacolare, accanto ad una matrice organicista tipica del linguaggio di F.L. Wright. Quasi tutti i padiglioni sono costituiti da una sezione continua, definita da una copertura sostenuta da un triplo ordine di pilastri, che struttura lo spazio in due campate. La struttura intelaiata puntuale rimane così arretrata rispetto all’involucro, consentendo alla copertura di raggiungere il perimetro dell’edificio attraverso degli sbalzi laterali e, in tal modo, lasciando la facciata continua priva di interruzioni strutturali, se non agli angoli del manufatto e in piccoli tratti intermedi.

155


156


157


158


159


160


161


162


163


164


165


166


167


168


169


Stato attuale I padiglioni giacciono ancora oggi in uno stato di degrado, in cui si è venuta a creare una nuova tipologia di paesaggio, dove la natura sembra aver preso il sopravvento. Uno dei più noti paesaggisti europei, Gilles Clément, ha definito tale fenomeno come “terzo paesaggio”, intendendo con questo termine tutti i luoghi abbandonati dall’uomo, come i parchi, le riserve naturali, le grandi aree disabilitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi come le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie. L’area propria del complesso industriale è di 67.000 m2 ed è esattamente posizionata al centro del parco.

170


171


172


173


Pianta scala 1:500

Padiglione #1 Da ovest verso est, il primo edificio che incontriamo (6.153 m2) è quello che versa nelle peggiori condizioni. In seguito alla grande ondata di maltempo del 2015, quasi metà di questo edificio è crollato. La porzione anteriore, ormai perduta, è attestata sin dal primo insediamento produttivo, mentre si conservano gli ampliamenti eseguiti fra il 1954 e il 1978. Questi sono tuttavia strutturalmente eterogenei, dal momento che la parte più a sud è frutto di una ricostruzione a seguito di un incendio. 174


175


Pianta scala 1:500

Padiglione #2 Il secondo edificio (circa 2.000 m2) presenta solo in parte il cedimento della copertura, in questo caso però non è compromessa la lettura dell’edificio nel suo complesso. Presente fin dalla prima fase costruttiva, ha subito un piccolo ampliamento agli inizi degli anni 60 che non ne ha tuttavia alterato l’aspetto. Sulla facciata sud vi sono delle pensiline incongruenti con l’impianto. 176


177


Pianta scala 1:500

Padiglione #3

Il terzo edificio (2.243 m2) è uno dei due padiglioni che presentano una migliore conservazione. La sua costruzione in due fasi risale al periodo centrale di attività dell’ex lanificio (1965-71), e si pone come asse formale dell’impianto, data la simmetria in pianta, prospetto e sezione. Non sono presenti superfetazioni o porzioni incongrue. 178


179


Pianta scala 1:500

Padiglione #4 Proseguendo verso est è presente un altro edificio (4.308 m2) che presenta il crollo di parte della copertura nel primo dei due blocchi costruiti nella fase iniziale (1950-1963), mentre il secondo è ormai completamente perduto. Fra i due è presente un’aggiunta successiva affine per materiali e struttura a quella del padiglione 1 (anni ‘80), anch’essa in cattive condizioni.

180


181


Pianta scala 1:500

Padiglione #5 Alle spalle del padiglione centrale è presente un altro edificio con una ciminiera (1.440 m2), caratterizzato da due aggiunte postume al progetto e alla realizzazione iniziale dell’edificio, denotate dal fatto di essere realizzate in mattoni, a differenza della pietra con cui è realizzato tutto il complesso, ma anche per la composizione architettonica che differisce anch’essa dal resto degli edifici.

182


183


Pianta scala 1:500

Padiglione #6 Il padiglione situato all’estremità orientale dell’area (6.150 m2) ha forma e dimensione del tutto uguali al primo anche se il suo stato è sicuramente migliore, non presentando ingenti crolli della copertura o delle strutture. La struttura è stata rimaneggiata diverse volte dalla prima costruzione nel 1950 fino agli inizi degli anni ’70, con un progressivo incremento di superficie in lunghezza.

184


185


Prescrizioni del Piano Operativo Comunale L’ex Lanificio Banci è riconosciuto dal Piano come complesso produttivo di valore tipologico (PT_25 – art.138 comma 2.25), e in previsione della riqualificazione complessiva della Declassata ne è prevista la riconversione con carattere direzionale, servizi, commerciale e industriale/artigianale, con la possibilità di realizzare nuove volumetrie e contestuali aree verdi e piazze pubbliche che mettano in connessione l’area con quelle già presenti lungo via Ferraris. Alla superficie attuale di 162.160 m2 sarà possibile affiancare fino a 12.000 m2 di nuova edificazione; le destinazioni d’uso saranno rispettivamente fino al 50% per industria e/o artigianato, fino al 20% per il commercio al dettaglio e fino al 100% per direzionale e servizi negli edifici esistenti, mentre per quanto riguarda la nuova edificazione è mandatorio che venga destinata a direzionale e servizi. Verde

La presenza del verde, nella forma di alberature e siepi, è un elemento caratterizzante del complesso ex Banci e dà vita ad un organismo complesso basato sul dialogo fra natura e costruito. Per questo motivo il Piano richiede a sostegno del progetto un adeguato studio paesaggistico/ ambientale e botanico, verificando il disegno e la stratificazione d’impianto; questo comprende un rilievo puntuale delle presenze arboree e vegetali, comprese le spontanee (l’intero complesso è caratterizzato da un fenomeno di riappropriazione da parte della natura a seguito della dismissione), un progetto paesaggistico che ponga in relazione fisico-visuale l’area del Banci con il contesto della Declassata e il previsto Parco delle Fonti, e la messa a dimora di almeno due esemplari per ogni albero abbattuto.

186


Edificato Per i padiglioni che costituiscono l’ex lanificio il Piano prevede un intervento di tipo RNF. Questo tipo di intervento è definito come “ristrutturazione edilizia ricostruttiva non fedele a parità di ‘Se’ ove non diversamente specificato”, e deve “garantire una superficie permeabile come definita dell’art. 25 del DPGR 39/R/2018 pari almeno al 25% della superficie fondiaria”.

187


Nel caso preso in esame sono presenti ulteriori prescrizioni, quali: Il mantenimento dell’impianto a pettine (attraverso la previsione di piazze e percorsi pavimentati); Il mantenimento della leggibilità dell’area dell’impianto in origine perimetrato da vegetazione (oggi presente, ma in stato di abbandono); il mantenimento del sedime degli attuali padiglioni, per mezzo di ricostruzione fedele o utilizzo di elementi o strutture pavimentate per evidenziarlo al livello 0; La riproposizione delle testate sul viale Leonardo da Vinci, nella sagoma e nei materiali di finitura, in proporzione all’estensione dei padiglioni o per una profondità dettata dall’attuale maglia strutturale, delle pareti finestrate alternate a setti in pietra ed elementi curvi di raccordo fra pareti e coperture (ove presenti), e del profilo delle coperture caratterizzanti il complesso con impluvio interno; La riproposizione, in forma, dimensioni e materiali di finitura, dello spazio posto fra il telaio strutturale e le pareti finestrate inclinate, specialmente sulla lunghezza dei padiglioni 1 e 5, al fine di realizzare un corridoio distributivo; L’inserimento di patii verdi e/o corti pavimentate all’interno del sedime degli edifici, diversificati per forma, dimensione, localizzazione e distribuzione; Il recupero della superficie edificabile demolita per la realizzazioni delle corti di cui al punto precedente, anche fuori sagoma in altezza, fino a un massimo di 12 metri (questi volumi dovranno essere diversificati per localizzazione e distribuzione, evitando un’unica forma compatta); Infine, è permesso l’utilizzo di materiali e linguaggi contemporanei per le porzioni non tutelate dai punti precedentemente esposti. 188


189


Per la ciminiera presente nella porzione sud dell’area, è invece previsto un intervento di tipo RIC (ristrutturazione edilizia conservativa), con particolare attenzione al mantenimento del rapporto con l’edificio in cui è attualmente inserita. È inoltre prevista la possibilità di creare un nuovo landmark, nella forma di un edificio a torre che riprenda la verticalità della ciminiera e dialoghi con essa evidenziando il nuovo complesso dal viale Leonardo da Vinci.

Analisi critica del Piano Le direttive del Piano comunale prevedono dunque la demolizione completa dei padiglioni costituenti l’edificato dell’area ex Banci, con l’unica eccezione della ciminiera in laterizio, e una conseguente ricostruzione di nuove strutture che non solo ricalchino l’impianto ed il sedime dell’edificato precedente, ma ne imitino le caratteristiche peculiari fin nelle finiture e dettagli materici. Una replica com’era e dov’era di questo manufatto di archeologia industriale, riconosciuto dalla documentazione del Piano Operativo stessa come “complesso produttivo di valore tipologico” e storico-culturale, non risuona positivamente con la sensibilità progettuale che sta alla base di questo lavoro. Questo approccio risulta inoltre in contrasto con i propositi relativi alla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, in particolar modo nell’ambito della mixité pratese e a fronte dei numerosi casi di riuso di edifici industriali dismessi portati a termine con successo nel contesto cittadino, che permettono oggi ai cittadini di apprezzare e fruire di edifici storicamente nevralgici allo sviluppo dell’economia locale in una nuova veste e destinazione d’uso adeguata ai tempi (i casi più noti sono quelli del Museo del Tessuto, l’ Officina Giovani-Cantieri culturali, o il teatro del Fabbricone). 190


Queste sono dunque le motivazioni che ci hanno spinto verso la decisione di mantenere i padiglioni dell’ex lanificio Banci come una “rovina del moderno”, andando a intervenire sull’esistente dopo un adeguato studio materico e strutturale con demolizioni mirate, mettendo in sicurezza la struttura esistente e progettando il nuovo edificato nell’ottica di un dialogo con i padiglioni conservati.

191


Esempi di best practices a Prato

Sede della Camera di Commercio La nuova Camera di Commercio di Prato sorge nella sede dell’ex fabbrica di tessuti, in seguito al concorso di idee bandito nel 2004, totalmente restaurata con funzioni rinnovate e un’immagine contemporanea che, allo stesso tempo, mantiene il forte legame con la memoria e l’identità della città di Prato. La ristrutturazione dell’imponente blocco urbano di metà Novecento è avvenuto con obiettivi ben definiti: la sensibilità alla riconversione di manufatti già esistenti, la creazione di nuovi spazi pubblici, il ricorso a tecnologie mirate al risparmio energetico (l’edificio è in classe A+) e l’impiego di tecnologie e materiali derivanti dal riuso secondo i principi dell’economia circolare, di cui Prato fa da portavoce. Il volto storico industriale della città di Prato del ventesimo secolo viene proiettato ai nostri giorni attraverso un’immagine innovativa che evoca e reinterpreta l’anima stessa del distretto tessile pratese: l’edificio è infatti avvolto da una pannellatura metallica a maglia traforata che richiama l’idea del tessuto. Nonostante lo slancio verso un nuovo stile contemporaneo, l’edificio industriale è stato mantenuto pressoché intatto nelle sue caratteristiche architettoniche e strutturali originarie: l’unica vera eccezione, oltre ai tagli di ingresso, è la grande apertura su Via Baldanzi che affaccia la Sala del Consiglio verso la città. In questa prospettiva, il progetto dello studio MDU Architetti, sviluppato con le società Favero e Milan Ingegneria Srl e Seti Ingegneria Srl, apre simbolicamente l’edificio alla città, enfatizzando il ruolo pubblico della Camera di Commercio: l’attuale corte interna, una piazza-giardino accessibile durante gli orari di apertura degli uffici, è diventata una nuova centralità urbana relazionata al contesto limitrofo e con un nuovo, importante collegamento a Via Valentini, tradizionale asse direzionale della città di Prato. 192


193


Museo del Tessuto (Ex Cimatorie Campolmi) Storicamente l’antica “Cimatoria Campolmi Leopoldo e C.” era la più grande fabbrica ottocentesca all’interno delle mura medievali del centro storico pratese ed era specializzata nella cimatoria, una fase della lavorazione del tessuto che consiste nel taglio e nella regolarizzazione della superficie pelosa dei tessuti. La fabbrica era collocata nel popolare quartiere di S. Chiara, dove un tempo scorreva una gora che probabilmente favorì l’insediamento di numerosi artigiani che esercitavano l’arte di Calimala (lavorazione della lana), e successivamente il nucleo originario fu riconvertito a mulino. Nel 1863 la struttura venne rilevata da tre imprenditori già attivi nel settore (fra questi anche Vincenzo Campolmi) e ricondotta alla sua originaria vocazione tessile. La nuova società iniziò così una sistematica acquisizione delle aree limitrofe fino alla costruzione dell’intero complesso, del quale la parte più antica è da identificarsi con la struttura ad archi a crociera che oggi costituisce il piano terreno del Museo del Tessuto a Prato. Lo stabilimento cessò l’attività nel 1968, anche se alcune lavorazioni continuarono fino ai primi anni Novanta. Ancora oggi, all’interno della fabbrica, si può ammirare una gigantesca caldaia a vapore ottocentesca e nel cortile interno la splendida ciminiera, che è la più alta di Prato e che svetta fra i tetti del centro storico. Da alcuni anni l’ex Cimatoria Campolmi costituisce un chiaro esempio di come i luoghi dismessi della produzione possono essere riconvertiti in spazi per la cultura: il Comune di Prato ha acquistato l’area dell’ex fabbrica alla fine degli anni ’90 e ha avviato il restauro su progetto di Marco Mattei. Nella prima porzione restaurata ha trovato sede il Museo del Tessuto di Prato, il più grande in Italia. Negli spazi rimanenti hanno trovato sede l’Istituto Culturale e di Documentazione “A. Lazzerini” di Prato e una grande piazza urbana tra la fabbrica e le mura medievali. 194


195


Il Fabbricone Fondato nel 1889 nelle campagne a nord della città di Prato dalla ditta austro-tedesca Kössler-Mayer, diventa la più grande fabbrica della città, distinguendosi non solo per le enormi dimensioni (circa 23.000 m2) ma anche per il numero di organico: all’apertura si contavano 900 operai, nel 1927 oltre 1200, fino ad arrivare ai 1500 del 1939. Dal punto di vista architettonico era all’avanguardia (prima applicazione in città di una copertura a shed in legno su colonne in ghisa) e la costruzione si configurava come un insieme di corpi fabbrica scanditi da aperture simmetriche regolari, circondati da alti muri di confine che ricordavano una città fortificata. Fin da subito è riconosciuta come la più grande fabbrica di tessuti, in cui al suo interno se ne realizzavano tutte le fasi di lavorazione, tranne quella della filatura, fino a quando non venne creato l’apposito reparto negli anni Trenta. Dopo la guerra, i proprietari austriaci vennero allontanati per poi ritornare nel 1922, fino al definitivo abbandono avvenuto 5 anni dopo per lasciare spazio alla società anonima “Il Fabbricone Lanificio Italiano”, retta da un Consiglio di Amministrazione. Nel 1960 la gestione passò prima all’IRI e poi all’ENI, fino alla metà degli anni Settanta quando fu acquistato dagli attuali proprietari, la famiglia pratese Balli che continua tutt’oggi l’attività produttiva in una parte dei locali. Successivamente una porzione dello stabilimento, costruita nel 1947, viene ceduta al Comune di Prato per la realizzazione di un innovativo spazio scenico, inaugurato nel 1974 con un allestimento dell’Orestea di Luca Ronconi: il Teatro Fabbricone. Nasce così un’esperienza teatrale alternativa al tradizionale teatro all’italiana, una realtà non solo tra le più importanti della città, ma che è andata ad affermarsi nel panorama nazionale come luogo di sperimentazione e ricerca. Nel 2000 sono stati decisi lavori di ristrutturazione - su progetto dell’ingegnere Francesco Stopaccioli - finalizzati a mantenere ben visibile, tra196


197


mite la ricostruzione dell’ambiente industriale, il legame con le origini manifatturiere dello stabile e quindi con Prato. Attualmente, il Fabbricone è una delle quattro sale della Fondazione Teatro Metasasio. Le altre tre sono l’omonimo Teatro Metastasio, il Fabbrichino ed il Teatro Magnolfi (piccolo scrigno di 99 posti, ricavato in una ex dimora conventuale). La prima volta del Fabbricone come spazio teatrale innovativo fu il debutto dell’Orestea, pièce del 1974, diretta da Luca Ronconi nell’ambito di quel Laboratorio di Prato che avrebbe segnato l’inizio di un’esperienza scenica alternativa al tradizionale teatro all’italiana, esperienza capace di esser d’insegnamento ancora oggi - a quarant’anni di distanza.

Corte Via Genova (ex Lanificio Umberto Bini): SC17, Tribeca Factory, Capanno17, Sedici Corte Via Genova, parzialmente recuperata dall’abbandono, collocata dentro l’ampio complesso industriale ex Lanificio Bini, si articola in una successione di ex-opifici davanti ad una corte centrale. La corte ex-industriale misura circa 1000 m2 ed è confinante con il centro storico di Prato, gli Ex Macelli, il Macrolotto Zero e l’area dell’ex Ospedale Misercordia che presto sarà trasformata nel nuovo parco urbano della città. Oggi, la Corte è dedicata alla produzione, esposizione e promozione della cultura contemporanea nell’ibridazione di arte, design, fotografia, musica e architettura. E’ diventata anche un polo attrattivo di Prato grazie al susseguirsi di eventi, workshop, performance e all’operato di diverse associazioni culturali. Tra i suoi protagonisti: Tribeca Factory, SC17 di Chiara Bettazzi, Artforms, Spazio Materia, Capanno 17 e Sedici, gruppo indipendente di fotografi e studiosi delle arti visive che, arriva-

198


199


ti nella Corte nel 2016, hanno contribuito con mostre, workshop, eventi internazionali a vivacizzare il terreno già fertile di Via Genova, modello di rigenerazione urbana promotrice della riqualificazione di altre nuove aree dimenticate della città. Il progetto Studio Corte 17 nasce all’interno di questo spazio industriale. Inizialmente studio personale di Chiara Bettazzi, nel tempo è diventato un vero e proprio progetto condiviso che ha visto la corte trasformarsi da luogo industriale abbandonato a spazio condiviso da giovani creativi, fino alla fondazione della Corte Via Genova.

200


SC17 è oggi uno spazio no profit a disposizione di un gruppo di artisti e curatori dedicati a temi fra i quali le contraddizioni del paesaggio e la ricerca di formati ibridi di condivisione, che si concretizzano in progetti nell’abito dell’arte contemporanea e dell’archeologia industriale, con regolari collaborazioni con spazi indipendenti e istituzioni pubbliche. Tribeca Factory occupa un altro degli spazi che affacciano sulla corte, e ospita eventi, shooting fotografici, mostre, oltre a progetti di Store Design, progettazione, ristrutturazione e arredamento di negozi, abitazioni private e allestimenti fieristici.

201


Officina Giovani-Cantieri culturali (Ex Macelli Comunali)

Gli ex Macelli Comunali sono stati individuati come luogo elettivo per le politiche giovanili già a partire dal 1999, quando proprio per questo motivo sono stati esclusi dal novero delle possibili valorizzazioni immobiliari, al fine di mantenerne la destinazione pubblica e favorirne il governo partecipato. Nel 2005, dopo la chiusura dei Macelli Pubblici, il Comune di Prato ha dato vita a Officina Giovani-Cantieri culturali. Per prima cosa il progetto ha visto il restauro del grande capannone dove venivano lavorate le carni, facendolo diventare uno spazio adibito all’organizzazione di eventi, per ospitare concerti, spettacoli teatrali e performance. Un aspetto importante in questo lavoro di riqualificazione sta nel fatto che è stato preservato l’aspetto originale dell’edificio, conservando sia il pavimento in piccole mattonelle sia il sistema di ganci e carrucole che permettevano di appendere i capi macellati. Negli anni successivi si sono susseguiti vari interventi sui diversi corpi fabbrica nei quali, gradualmente, si sono sviluppati spazi teatro ed eventi concertistici, luoghi di divulgazione ed esposizione, punti di scambio culturale e di studio. I lavori più recenti, ancora in fase di completamento, riguardano il recupero di ulteriori 520 m2 destinati alla realizzazione di un centro espositivo, fieristico e d’informazione turistica. A compimento della ristrutturazione, l’area sarà dotata di un nuovo bar ristorante che si affaccerà su una nuova piazza pubblica che renderà l’intero complesso degli Ex Macelli più visibile e facilmente fruibile. Anche il blocco delle ex Celle Frigo è stato completamente ristrutturato e destinato a spazio espositivo e fieristico, mantenendone però, con i dovuti restauri, gli elementi caratterizzanti come pavimentazioni e rivestimenti delle pareti, o il tipico sistema dei binari in acciaio, utilizzato in passato per la movimentazione degli animali macellati.

202


203


Piazza dell’Immaginario Piazza dell’Immaginario è un progetto che nasce nel 2014 dalla volontà di rendere migliore e più accogliente il quartiere del Macrolotto Zero: in una piccola superficie, un’ampia diversità di culture, realtà, ambienti socioeconomici, interessi e necessità. Il percorso espositivo si estende nel quartiere e occupa nuovi spazi attraverso installazioni permanenti, interventi site-specific e azioni. Nel corso degli anni la piazza ha ospitato inoltre un cinema (bilingue) all’aperto, diverse edizioni della festa del cocomero, un giardino pensile, e ha vinto il Premio Architettura Toscana 2017, sezione Opera Prima, in quanto rappresentava “un’azione leggera dall’impatto profondo in un quartiere dove l’assenza di spazio pubblico costituisce un problema evidente. […] Ciò che prima era parcheggio diviene spazio aperto ai cittadini del quartiere e alle loro possibili iniziative. […] L’obiettivo è quello di favorire e promuovere uno scambio culturale e riflessivo su quelle che sono le questioni legate al quartiere, e al suo immaginario. Se l’installazione di opere fotografiche delinea verticalmente i confini della piazza e ne definisce le intenzioni, la nuova pavimentazione traccia orizzontalmente il suo perimetro preciso e racchiude le sue potenzialità. Questi sono i punti di partenza progettuali per la realizzazione della nuova Piazza dell’Immaginario a Prato. La nuova pavimentazione viene quindi pensata simile ad un mosaico, capace di impreziosire lo spazio e al contempo ridefinirlo”. Purtroppo nel febbraio 2018, con un intervento privato di Pam Panorama, la piazza è stata smantellata e riportata allo stato antecedente di parcheggio del supermercato adiacente, suscitando forti proteste della cittadinanza, col lancio di una petizione per ripristinare il progetto da parte dell’associazione Chi-Na, Dryphoto Arte Contemporanea e circolo Curiel.

204


“Il progetto Piazza dell’Immaginario è diventato una modalità di lavoro, simbolo della possibilità di rinascita del Macrolotto 0 dopo molti anni in città e fuori città si è parlato del quartiere non solamente per denunciarne le criticità e i problemi ma come un esempio virtuoso di cambiamento dal basso”

205


206


207


208


07

Progetto territoriale

209


210


A fronte di queste considerazioni, il progetto sull’ambito della Declassata si sviluppa quindi in interventi puntuali affiancati da interramenti strategici in aree individuate come nodali per ricucire la cesura che caratterizza l’asse viario. Le aree su cui si è maggiormente concentrato l’intervento urbanistico sono tre, caratterizzanti diverse zone della città e posizionate all’inizio, al centro e alla fine del tratto urbano della Declassata, con fulcro centrale all’altezza dell’ex Banci e del Parco delle Fonti. A est troviamo il nuovo Parco Pecci, studiato nell’ottica di un nuovo ingresso alla città, che va ad ampliare l’area di pertinenza del Museo di Arte Contemporanea, aggiungendo nuovi spazi espositivi esterni sia chiusi che aperti, nella forma di padiglioni disseminati in un parco secondo un percorso espositivo. A questo giardino culturale è affiancato un complesso commerciale articolato attorno a una piazza pubblica, come da prescrizione del Piano Operativo, anch’essa immersa nel verde, che avrà funzione attrattiva e di attivatore economico a sostegno dei lavori successivi. Il progetto si distacca invece in maniera più netta dal Piano per quanto riguarda l’intervento previsto a ovest: mentre il Comune prevede un Polo Scientifico, abbiamo ritenuto più opportuno inserire in questa particolare zona attività che potenziassero l’aspetto comunitario e sociale. Data la vicinanza dell’asse di Viale Nenni, che da Viale Leonardo da Vinci va a incrociare Via Pistoiese e conseguentemente l’intersezione fra il centro storico e il Macrolotto Zero, l’area di verde in stato di abbandono e l’adiacente interramento (già previsto) del Soccorso ci sono sembrati un’occasione fondamentale per ricucire non solo la cesura urbana ma anche quella sociale fra la popolazione autoctona e cinese.Per questo motivo, oltre che in un’ottica di potenziamento dell’economia circolare e della forestazione urbana, l’intervento prevede nell’area indicata il mantenimento della destinazione verde nella forma di orti sociali, a cui viene affiancata una porzione pavimentata dedicata a mercati rionali, 211


festival, o attività di quartiere. Elemento cardine del progetto urbanistico, che ha il suo fulcro e polo attrattivo nell’Ex Banci, è il grande intervento che comprende il Parco delle Fonti, ripensato in un continuum spaziale e relazionale esteso attraverso e oltre l’attuale arteria della Declassata, ulteriormente collegato verso nord a un’area destinata a sport e attività all’aperto. Il parco risultante si estende per quasi 62 ettari, e la densificazione nel verde comprende una zona residenziale a est, una fascia dedicata ad attività culturali con biblioteca, centro multiculturale e per l’integrazione, un cinema con possibilità di proiezioni interne o all’aperto, spazi dedicati alla ristorazione ed eventi, associazionismo e orti urbani. L’intera area di intervento è servita da un sistema di percorsi ciclabili che vanno a integrare e connettersi a quelli già presenti nelle aree contigue, oltre a percorsi pedonali che definiscono gli spazi del parco e alla linea di trasporto pubblico su binari della tramvia che va a connettere Firenze, Prato e Pistoia. Il progetto prevede inoltre l’applicazione sia estensiva che diffusa, rispettivamente nelle macro-zone d’intervento e nei collegamenti o interventi sull’edificato, della strategia di forestazione urbana prevista dal piano redatto da Boeri e Mancuso. 212


213


214


215


216


La Forestazione urbana e peri-urbana è la pratica della gestione delle foreste metropolitane, per garantire il loro contributo ottimale al benessere fisiologico, sociologico ed economico delle società urbane. È un approccio integrato, interdisciplinare, partecipativo e strategico per la pianificazione e la gestione di foreste e alberi nelle città e nelle aree circostanti. Comprende la valutazione, la pianificazione, l’impianto, la manutenzione, la conservazione e il monitoraggio delle foreste urbane e può operare su scale che vanno dai singoli alberi ai paesaggi. Sottolinea l’impegno dei cittadini (anche educandoli sul valore e i benefici degli alberi e delle foreste) nella cura della crescita e della vita delle piante, siano esse di proprietà pubblica o privata.2 L’impermeabilizzazione del suolo è limitata alla sola impronta dell’edificato, grazie all’uso di materiali drenanti per le pavimentazioni; inoltre vengono conservate le alberature preesistenti e piantumate di nuove, conservando la varietà dell’ecosistema presente nella piana (come attestano le analisi dello studio, le specie arboree di Prato hanno la capacità di abbattere gli inquinanti atmosferici, di cui il 75% rappresentato da ozono, per un totale di 3.715 chilogrammi). In questo modo è garantita una migliore qualità dell’aria e una riduzione del ruscellamento delle acque, grazie alla permeabilità del suolo permessa dai rivestimenti e dalle radici degli alberi, e alle chiome di questi che intercettano una parte dell’acqua piovana, che successivamente evapora o raggiunge il suolo in maniera dilazionata. Le piantumazioni diffuse e l’implementazione di tecnologie e accorgimenti quali sistemi di facciate e tetti verdi contribuiscono inoltre ad attutire la formazione delle cosiddette “isole di calore”, le zone in cui la temperatura si innalza rispetto alle aree circostanti, nonché a schermare gli edifici nella stagione fredda. I benefici economici derivanti dal risparmio energetico, a seguito dell’applicazione all’area urbana pratese, sono calcolati dallo studio di Boeri e Mancuso per un totale di circa 190.000 euro annui. 2

FAO - “Guidelines on urban and peri-urban forestry”

217


In ultimo, è rilevante nominare la riduzione della CO2 grazie allo stoccaggio e sequestro da parte delle specie arboree. La specie più diffusa nell’area pratese è il Tiglio (circa 21% del totale), e contestualmente una delle più efficienti nello stoccaggio di carbonio. Verde di mitigazione delle infrastrutture

Verde capillare

218


Specie arboree

Golfi agricoli periurbani e grandi parchi

Demineralizzazione urbana

Immagini tratte da “Strategie per la forestazione urbana�, elaborato 01.1 del Piano Operativo di Prato, cap. III sezione II

219


220


221


222


Immagini tratte da “Strategie per la forestazione urbana�, elaborato 01.1 del Piano Operativo di Prato, cap. III sezione II

223


224


225


226


08

Rigenerazione ex Banci 227


228


Demolizioni previste Al fine di procedere con una strategia progettuale che permettesse di rigenerare l’edificio, considerate le precarie condizioni della struttura analizzate nel capitolo precedente, è stato necessario definire demolizioni mirate in punti critici e una successiva messa in sicurezza della struttura.

229


Approccio alla progettazione Gli strumenti d’intervento che emergono come naturale conseguenza delle analisi e considerazioni svolte finora sono quelli del lavoro sul costruito, sulla memoria del preesistente, con i metodi del ri-condizionamento anziché la ricostruzione a nuovo. Il ri-condizionamento, termine importato dal campo economico, rientra nell’ambito del sistema circolare adattabile e si basa sui concetti di scarto = valore e di reciprocità inseriti in una struttura socio-spaziale. Il nuovo intervento si colloca quindi nel contesto delle preesistenze, e la strategia di progetto dovrà fondarsi sulla relazione con queste, per conferire nuovo significato al luogo e restituire ai padiglioni dell’ex lanificio un posto nella contemporaneità con un linguaggio adeguato alla nuova destinazione. L’azione progettuale deve collocarsi quindi in dialogo con le preesistenze in un percorso narrativo capace di mediare fra vecchio e nuovo, ma al contempo creare un sistema mutevole basato su un metodo operativo flessibile sotteso che permetta un’evoluzione interna degli spazi del lavoro e della vita senza perdere significato unitario e globale; progettare dunque secondo un pensiero ibrido complesso, “operare all’interno della molteplicità, in un pensiero circolare, in continua mutazione, adattabile, in cui all’ordine statico e ripetuto si contrappone un ‘ordine dinamico’”3. Una strategia quindi che trovi significato non nei singoli elementi ma nelle relazioni fra questi, che superi il rapporto unidirezionale fra struttura e processo come quello fra oggetto di scarto e nuova costruzione, riconoscendo all’esistente una nuova identità attraverso una configurazione basata sui rapporti fra gli oggetti, le persone, gli spazi.

A. Gaiani, “Sovrascritture urbane. Strategia e strumenti per il ri-condizionamento delle città”, Quodlibet Studio, Macerata 2017, p. 77 3

230


“L’architettura abbandona la dimensione dell’immutabile per evolvere in sostanza dinamica: espressioni come temporaneità, transitorietà, contenitore generico, mutabilità nel tempo, inter-scambiabilità delle parti sono ormai chiamati a essere elementi identitari di molti edifici, per lo più abbandonati, quelli che, più di altri, sono chiamati a recepire le rapide mutazioni delle modalità fruitive e dei sistemi sociali”4

A. Gaiani, “Sovrascritture urbane. Strategia e strumenti per il ri-condizionamento delle città”, Quodlibet Studio, Macerata 2017, p. 103 4

231


232


233


234


Strategia di densificazione: l’innesto

Nel declinare i precetti teorici individuati in una dimensione progettuale, risulta evidente come lo strumento più adatto sia quello dell’innesto. Alla base di questa strategia è il dialogo con l’esistente, e grazie alla giustapposizione e ibridazione degli spazi permette di dare nuova vita e significato alla rovina industriale. L’utilizzo dell’innesto permette di semplificare la gestione degli spazi e articolare il volume, e garantisce indipendenza dalla struttura già particolarmente degradata. Dal punto di vista funzionale, grazie alla flessibilità costruttiva e progettuale, risultano una soluzione pertinente e di successo alle necessità individuate dell’industria 4.0. 235


Gradiente ambientale La scelta di mantenere i padiglioni del Banci allo stato di rovina industriale e lavorare all’interno e intorno alla struttura con l’innesto non avrebbe raggiunto gli obiettivi prefissi senza l’introduzione di un gradiente fra gli spazi, un livello ulteriore fra ambiente interno ed esterno capace di creare modalità di percezione e fruizione degli spazi sempre diverse. L’inserimento di questo gradiente dà vita a nuovi rapporti spaziali, introducendo nuove forme d’interazione e modi di vivere lo spazio lavoro; una concezione che riflette nell’architettura il nuovo paradigma di industria, che mette da parte la serialità per porre al centro la comunità e l’interazione.

236


Gli strumenti progettuali d’intervento sono quantificati quindi in tre gradi – di opacità , di relazione, di uso. Un sistema nidificato di elementi che definiscono lo spazio interno e quello nato dalla relazione fra di essi, un sistema di tools, strumenti strategici in grado di essere disposti e spostati nello spazio senza che la mutazione nel disegno architettonico comporti una perdita di significato, in risposta alla flessibilità e leggerezza richieste da un ambito in continua e rapida evoluzione come quello produttivo.

237


238


Box L

Le scatole L definiscono e delimitano lo spazio senza separarlo. Questa tipologia comprende sia nuovo costruito che preesistenza, dal momento che strategicamente i padiglioni del Banci vengono trattati nella progettazione degli spazi come recinti aperti con cui le scatole interne si interfacciano variamente; allo stesso modo le aree comprese nelle strutture del Banci hanno una maggiore differenziazione al livello zero, mentre sono prevalentemente verdi nel caso della nuova costruzione. Dal punto di vista materico, le scatole L si presentano leggere, con rivestimenti traforati che si alternano su una struttura metallica. Ăˆ il caso dei ‘recinti’ di asilo e palestra, e della rovina industriale.

239


Box M

Le scatole di livello intermedio sono spazi a forte caratterizzazione sociale, d’interazione e scambio fra gli utenti. Per questo motivo dal punto di vista materico sono permeabili, trasparenti o semitrasparenti, e vengono utilizzate in alcuni casi con funzione di collegamento fra padiglioni vicini in quanto ambiente coperto e climatizzato. Sono spazi eterogenei, comunitari, e si prestano a quelle attività di gruppo che non necessitano la massima privacy e quiete. All’interno di questa categoria si differenziano i locali destinati all’industria tessile, che presentano caratteristiche materiche peculiari individuabili in un rivestimento esterno in policarbonato, aperture disegnate, e un sistema di coperture che richiama gli shed tipici dell’architettura industriale. È il caso di aree relax, spazi di produzione, comuni e di teamwork. 240


Box S

Con queste scatole raggiungiamo il punto massimo di privacy e raccoglimento, che si riflette in ambienti di dimensioni ridotte e elevata opacità visiva. Grazie a una struttura prefabbricata modulare a secco in acciaio, le scatole S possono essere modificate dal punto di vista volumetrico e nella loro localizzazione all’interno dello spazio a seconda delle necessità; ove possibile queste hanno dimensioni standardizzate, ricorrenti nell’intera area progettuale. È il caso di laboratori, uffici, aree di ricerca, e ambienti di servizio quali cucine, bagni, spogliatoi.

241


Nuovo Hub Innovazione Tessile Sulla base delle caratteristiche individuate nello studio dell’archetipo industriale 4.0 è stato dunque possibile redigere un programma funzionale che va ad affiancare agli spazi della produzione, amministrazione e stoccaggio, propri del paradigma produttivo, altri di prototipazione e R&D, servizi per gli operatori, ambienti per creativi, start up, workshop, formazione, e spazi per il relax, commercializzazione dei prodotti e convegnistica. I macro-ambiti individuati si dividono in Innovazione tessile (33%), Knowledge Economy (22%), spazi pubblici (25%) e servizi (20%), per un totale di circa 32.170 m2, con un target di utenza che va dagli operatori industriali (amministrazione, produzione, R&D), ai collaboratori esterni (coworking, start up, designer), alla cittadinanza. Il complesso mette a disposizione di operatori industriali e collaboratori servizi quali diverse caffetterie e aree relax o postazioni di lavoro diffuse, una mensa, una palestra, un asilo e alloggi temporanei. Molti degli ambienti sono aperti e permeabili al pubblico, non solo per quel che concerne le attivitĂ ricettive e commerciali ma con spazi dedicati a workshop e FabLab, oltre a postazioni di lavoro assistite, in quanto l’industria tessile e della moda in particolare stanno dimostrando una forte tendenza alla personalizzazione e ai prodotti custom made.

242


243


244


245


Studio del livello 0 Fin dalla sua progettazione lo spazio esterno è stato parte integrante della visione architettonica del complesso. Nell’approcciarci a questo tema, integrando e inserendo l’area all’interno del masterplan urbanistico, la scelta strategica e progettuale adottata è stata quella di distaccarci dall’idea dei padiglioni immersi in un parco, a favore di uno spazio esterno che riflettesse lo spirito del nuovo Hub e le attività che vi hanno luogo. Nasce così un sistema di stripes, fasce tematiche che trovano significato nel rapporto reciproco con il costruito e declinano gli spazi aperti di conseguenza. Promenade La prima fascia si trova in continuità con uno dei viali che attraversano il nuovo intervento urbanistico a partire dal Parco delle Fonti, e lambisce ambiti pubblici quali showroom, market, auditorium e convegnistica. Questa fascia ospita una passeggiata con sedute e spazi attrezzati. Bosco Questa fascia è caratterizzata da una grande presenza di alberature, a separare schermare le funzioni che necessitano di più privacy come l’asilo e le start up. Giardino Le piantumazioni presenti in quest’area la distinguono come luogo creativo e riflessivo, caratterizzante la fascia degli atelier. 246


Urban Quest’area è la prima presentazione e introduce l’utenza esterna al padiglione di workshop e FabLab, caratterizzata da pattern al livello zero. Progettata come area di svago, presenta campi da gioco, sedute e tavoli mobili, e si interfaccia a sud con la ciminiera in laterizio, simbolo dell’eredità industriale del luogo. Showroom La fascia di rappresentanza del complesso, prosecuzione esterna del volume di ingresso principale. Ospita spazi espositivi all’aperto ed un’area per le sfilate.

Privata Questa fascia ospita le zone di servizio della fabbrica, ed è articolata fra queste aree tecniche e zone di giardino privato come filtro per la mensa e le aree di produzione, ricerca e sviluppo.

247


248


249


250


251


252


253


Prospetto

Sezione

254


255


256


257


258


259


260


261


262


263


264


265


266


267


268


09

Elaborati grafici

269


270


271


272


273


274


275


276


277


278


279


280


281


282


283


284


285


286


287


288


289


290


291


292


10

Bibliografia

293


294


Libri Clément, G., (2004), « Manifesto del Terzo Paesaggio », Quodlibet, Macerata 2014 Gaiani, A., « Sovrascritture urbane. Strategia e strumenti per il ri-condizionamento delle città », Quodlibet Studio, Macerata 2017 Marazzi, C. (1994), « Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti sulla politica », Bollati Boringhieri, Torino 1999. Marazzi, C. (2001), « Capitale e Linguaggio. Dalla New Economy all’economia di guerra », DeriveApprodi, Roma 2002. Marini, S., « Architettura parassita. Strategie di riciclagggio per la città », Quodlibet Studio, Macerata 2008. Marsden, A., « Imprenditoria cinese in Italia e processi di integrazione sociale », Quaderni di Sociologia, 57 | 2011, 7-21. Secchi, B., « Laboratorio Prato PRG », Ed. Alinea, Firenze, 1996 Secchi, B., « Un progetto per Prato. Il nuovo piano regolatore », Ed. Alinea, Firenze, 1996 Vannucchi, P.M., « Le fasi della pianificazione urbanistica a Prato », Lalli Editore, Siena 2008

295


Articoli Brief Beyond the Boundary, 2017 Casciani, S. (26 ottobre 2012) « Architettura e industria: come nasce la “fabbrica utopica” », Edilizia e Territorio, quotidiano del Sole 24 Ore Ceccagno, A. (2015), « Migranti cinesi a Prato: roghi e successo imprenditoriale », https://www.academia.edu/10532479/Migranti_cinesi_a_ Prato_roghi_e_successo_imprenditoriale Marazzi, C. (2009b), « Le radici profonde della crisi economica », in «Il Manifesto», 31 maggio.

Risorse web

CETI - http://www.ceti.com/en Città di Prato - http://www.cittadiprato.it Context Overview - http://www.context-cost.eu/overview Il modello Olivetti: una azienda italiana che può insegnarci il futuro http://webcrew.it/olivetti Le fasi della pianificazione urbanistica a prato: gli strumenti urbanistici - http://www.comune.prato.it/servizicomunali/prg/nuovops/pianificazione/02/home.html Next Technology Tecnotessile – http://www.tecnotex.it/it/index.html

296


Piano Operativo Comunale di Prato, Strategie per la forestazione urbana - http://www2.comune.prato.it/piano-operativo « Piazza dell’Immaginario vince il Premio Architettura Toscana », Pratosfera - https://www.pratosfera.com/2017/06/13/piazza-dellimmaginario-vince-premio-architettura-toscana-2017 PLUSTEX Final Publication - http://www.plustex.eu/wp-content/uploads/2014/12/PLUSTEX-Final-publication.pdf Pratosfera - https://www.pratosfera.com Storie di economia circolare - https://www.economiacircolare.com

Tesi

« L’Ex Fabbrica Banci nel nuovo sistema della “Declassata” » Lisa Culicchi, Selene Pirrello, 2018 « Strategie di rigenerazione urbana in contesti multiculturali: il caso di Prato » Enrico Russo, 2010 « Trasformazioni del lavoro e forme di vita nel XX secolo. I nuovi paradigmi del lavoro nel passaggio dal Dordismo al Postfordismo, fino al lavoro contemporaneo » Dott.ssa Francesca Dinetti, 2012 « Trame Innovative: Riqualificazione area Ex Banci - Prato » Andrea Baroncelli, 2016

297


298


299


300


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.