Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica, l’unica azione espressiva forse alta, e indefinibile come le azioni della realtà. (Pier Paolo Pasolini, da “Poeta delle ceneri”, 1966)
Così scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1966. Il sogno di comprare la Torre di Chia riuscì a realizzarlo solo nel 1970. Pasolini definì il territorio circostante “il paesaggio più bello del mondo”, tra i ricordi di antiche civiltà, segni di storie millenarie, una natura aspra e selvaggia. Pasolini rimase fino alla fine dei suoi ultimi giorni di vita a Chia, culla del suo ultimo romanzo incompiuto. Ogni artista ha il suo luogo dell’anima, un luogo in cui ritemprare corpo e spirito, in cui i pensieri l’ispirazione l’idea la fantasia fluiscono: per Pasolini questo luogo fu Chia. Qui non condusse una vita da eremita…frequentava la comunità, andava a trovare nelle case la gente, si intratteneva con le persone. Una torre simbolo dell’impegno del poeta della sua battaglia contro il consumismo, contro la futilità, contro la distruzione del paesaggio. Oggi, la torre medioevale spunta solitaria tra i boschi di Chia, borgo che vive in un limbo tra abbandono e ripopolamento.
I 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.3
1.2 1.2.1 1.2.2 1.2.3
1.3 1.3.1 1.3.2
SPOPOLAMENTO Bella, ma non ci vivrei I numeri Il disagio insediativo
1 4 7
II
ITALIA FRAGILE Nove comuni su dieci a rischio Sensibilizzare è meglio di vincolare Aree interne
15 27 29
LE GEOGRAFIE DELL’ABBANDONO Ghost town La perdita di un patrimonio
2.1 33 38
2.1.1 2.1.2
2.2
2.2.1
2.3
2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.4.5 2.3.6 2.3.7 2.3.8
LE PICCOLE REALTÀ RURALI COME FORZA MOTRICE La frammentazione che unisce Il lavoro c’è dove ci sono le idee
39 46
UN QUADRO NAZIONALE POSITIVO: LE STRATEGIE IN ATTO Paesani connessi con il mondo
49
LE AZIONI CONCRETE SUL TERRITORIO ITALIANO: ANALISI DI 60 ESEMPI VIRTUOSI Borgo che vai, progetto che trovi 58 Chi va piano va sano e va lontano. 68 Santo Stefano di Sessanio, un turismo lento e consapevole. Non solo cornice; 76 Terravecchia, una culla di artisti Uri: a tutta birra. 82 Riace, tutto il mondo è Paese 88 Borghi in rete, mal comune mezzo gaudio. 95 L’abaco 106 Il toolkit 111
III 3.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4
3.2
3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.2.5
3.3 3.4
L’INSUFFICIENZA STRUTTURALE DEI PROGETTI Uno su mille ce la fa La tabella di marcia Perché investire sulle aree interne Gli obiettivi verdi della SNAI
125 127 130 133
IV
UN USO CONSAPEVOLE DELLE FONTI RINNOVABILI: IL QUADRO ITALIANO E I COMUNI Premessa I consumi elettrici da rinnovabile in Italia Le questioni Green energy Le rinnovabili
UNA NUOVA RELAZIONE DI INTERDIPENDENZA PROGETTARE CON NUOVI STRUMENTI
138 140 145 147 152
186
4.1 4.1.1 4.1.2
4.2 191
4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4
4.3
APPLICARE IL METODO Introduzione I temi
204 205
L’ESPLORAZIONE Territorio 2050 Progetti di sistema Economie circolari La rete dei tracciati
CONCLUSIONE
209 213 220 232 239
1.1 1.1.1
I
SPOPOLAMENTO Bella, ma non ci vivrei
Esiste un’Italia minore, una realtà che fatica a rimanere a galla, che lotta per non scomparire. Un’Italia costellata da piccoli comuni che sfiorano le poche decine di abitanti, comuni che rischiano di cadere nell’oblio. Il fenomeno dello spopolamento in Italia è presente e apparentemente inarrestabile. Non sono solo i numeri a dircelo, lo possiamo vedere anche con i nostri occhi, camminando tra le stradine di un vecchio borgo in inverno, tra i battenti che sbattono di una casa abbandonata, tra il volto sorpreso di un’anziana signora e il rumore del silenzio. Si palesa dunque davanti a noi un’altra realtà, quella delle tradizioni e della storia. La dinamica è sempre la stessa, ovunque: muoiono più abitanti di quanti ne nascano, e i pochi giovani scappano, verso le città o comunque verso la costa, dove è più facile trovare un posto di lavoro e pensare a un futuro. E senza nuove famiglie, chiudono prima le scuole e poi una dopo l’altra tutte le attività commerciali. Secondo una recente rilevazione dell’Istat, i paesi italiani fantasma (contando anche stazzi e alpeggi) sono addirittura seimila, “sparsi” in maniera tutto sommato omogenea da nord a sud.
1
Dalla metà del 900 l’Italia ha subito un’improvvisa deruralizzazione, un abbandono dei piccoli centri rurali, complice il fenomeno dell’urbanesimo1. Da quel periodo, sono entrati in atto una serie di processi, delle trasformazioni che hanno radicalmente impattato l’andamento demografico in senso negativo. In Italia, a causa del continuo calo delle nascite e della parallela diminuzione della mortalità, il saldo naturale (differenza tra nascite e morti) risulta essere appunto negativo da diversi anni. La crescita della popolazione è da attribuire al solo saldo migratorio, e a partire dagli anni ’90 alla presenza degli stranieri.
Nello stesso periodo, la diminuzione costante del numero delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita hanno inoltre alterato la struttura per età e determinato un importante processo di invecchiamento, sia in numero assoluto che rispetto al resto della popolazione, in particolare rispetto a quella giovanile. Difatti, ad oggi, la popolazione italiana risulta essere una delle più invecchiate al mondo.
1 Urbanesimo: processo che consiste nella migrazione di grandi masse di popolazioni tra le campagne e le città.
2
Decremento della popolazione 2001-2011 - Dati Istat
0% - 2,1%
2,1% - 5,6%
5,6% - 12,7%
3
12,7% - 22,6%
22,6% - 41,2%
1.1.2 I numeri I piccoli comuni italiani coinvolti, ovvero quelli con popolazione compresa entro i 5.000 abitanti residenti, sono 5.627 e rappresentano il 69,9% delle 8.047 realtà amministrative presenti nel nostro paese, e si concentrano maggiormente nelle regioni del Piemonte, Lombardia, Calabria e Campania Dal 1951 al 2011, 1.475 comuni, corrispondenti al 18% di tutti i comuni, sperimentano una costante variazione negativa della popolazione. Il 50% di questi comuni si trova nel Mezzogiorno, e costituisce il 27% dei comuni di quest’area. Se si mantenesse costante il tasso di decremento registrato nell’ultimo decennio, cioè il -71,4 per 1.000 abitanti, questa popolazione, corrispondente a 2 milioni di persone, si dimezzerebbe in meno di 10 anni. La numerosità delle popolazioni di questi comuni è variegato, ma più del 50% dei comuni spopolati ha una popolazione inferiore a 1.000 abitanti, e solo il 7% ne ha più di 10.000; tre comuni hanno meno di 50 abitanti, e solo uno ne ha più di 20.000.
4
Popolazione under 40 nei piccoli comuni
Popolazione 40-64 nei piccoli comuni
Popolazione over 64 nei piccoli comuni
Nel 1951 l’invecchiamento nei comuni spopolati, uguale al 12%, risulta essere, in media, di poco superiore alla media italiana, corrispondente al 10%. Nel corso del tempo, però, le differenze si amplificano, e la relazione tra spopolamento e invecchiamento, dal 1971 appare ancora più netta. Al 2011, l’invecchiamento, uguale al 23,9% in Italia, raggiunge il 30,7% nei comuni spopolati. Spopolamento ed invecchiamento sono il risultato complesso di varie dinamiche demografiche. Un intenso invecchiamento non sembra poi risultare sostenibile, ancor di più se unito ad un costante spopolamento. Elevati livelli di questi due fenomeni definiscono delle vere e proprie aree di malessere demografico dove, in assenza di azione esterna, un recupero sembra molto difficile2.
2 Lo spopolamento nei comuni italiani: un fenomeno ancora rilevante di: Cecilia Reynaud, Sara Miccoli
5
DensitĂ abitativa al 2011 - Dati Istat
443-12.224ab/km2
197 - 443 ab/km2
108 - 197 ab/km2
63 - 108 ab/km2
6
31 - 63 ab/km2
0 - 31 ab/km2
Nei 2.430 comuni italiani in cui il calo demografico è più marcato vivono quasi 3 milioni e mezzo di italiani, il 5,8% della popolazione. Ma in un quarto di secolo i paesi sotto i 5 mila residenti hanno perso 675 mila abitanti. Un calo del 6,3%, mentre nello stesso periodo la popolazione cresceva del 7%3.
1.1.3
Il disagio insediativo
Gli studiosi lo chiamano “disagio”, anzi “l’Italia del disagio”. Poco alla volta chiudono i battenti, i servizi elementari ed essenziali. Naturalmente prima gli ospedali, trasformati in lunghi e desolati comparti di geriatria, poi le scuole, con l’accorpamento indistinto delle classi elementari e la sistemazione di alcuni poli scolastici in luoghi distanti anche dieci chilometri dalle poche abitazioni in cui vivono gli adolescenti, infine l’ufficio postale.
La naturale crescita demografica ha fatto sì che la crescente domanda di lavoro portasse le persone e in particolar modo i giovani a spostarsi nelle grandi città, in cerca di un lavoro per potersi costruire un futuro. Un flusso perpetuo di persone che migra dalle piccole realtà ai grandi centri urbani, già consolidati e formati. Complice, come abbiamo visto, la mancanza di servizi primari ed essenziali, quali l’istruzione, la sanità e il trasporto, basato sul “sistema circolatorio” italiano, dove addirittura le strade statali in alcune zone appenniniche sono state “razionalmente” pensate per aggirare i paesi piuttosto che per collegarli, e tante linee ferroviarie minori hanno subito lo stesso destino oppure sono state dismesse, per non parlare della mancanza, spesso totale, dell’allacciamento alla banda ultra larga. Nei secoli e decenni passati inoltre, i paesi sono stati abbandonati per una miriade di ragioni legate ad eventi di calamità naturale, come forti alluvioni, frane e terremoti, che rendevano e rendono tutt’ora le zone inospitali e isolate, oppure semplicemente lasciate al loro destino per la morte di tutti gli abitanti in seguito a un’epidemia.
3 L’Italia dei piccoli comuni a rischio spopolamento: “Siamo a un punto di non ritorno”
7
VulnerabilitĂ materiale e sociale al 2011 - Da rielaborazione di Dati Istat e Urbaistat
8
102.6 - 109
100.1 - 102.6
98.6 - 100.1
97.3 - 98.6
93.6 - 97.3
Vulnerabilità sociale e materiale significa vivere in una condizione di incertezza, suscettibile di trasformarsi in vero e proprio disagio economico e sociale. Attraverso un indicatore proposto da Istat, è possibile stimare per ciascun territorio la sua vulnerabilità, a partire dalle caratteristiche di chi ci abita. Più è alto, maggiore è il rischio di disagio e vulnerabilità in quella zona. Se inferiore a 97 il territorio ha un basso indice di vulnerabilità, tra 97 e 98 il rischio è medio-basso, tra 98 e 99 rischio medio, tra 99 e 103 rischio medio-alto, sopra 103 rischio alto Questo indice è utile perché condensa in un’unica misura diversi indizi che segnalano possibili situazioni di sofferenza. Ad esempio la presenza di genitori single con figli, di giovani che non studiano e non lavorano, di famiglie numerose e in abitazioni sovraffollate, di anziani soli, di persone senza titolo di studio.
Altrove ci sono state poi scelte politiche ben precise, che hanno portato all’origine di nuovi paesi fantasma, dettate dall’assenza totale di visione e di prospettiva, che hanno sperperato il patrimonio per cause effimere. Ma quali sono i caratteri del disagio insediativo? Secondo il rapporto Confcommercio Legambiente le condizioni strutturali che portano al disagio non sono date solo da una debolezza insediativa della popolazione residente (calo delle nascite, aumento della popolazione anziana, ecc.) ma anche da condizioni evidenti di depauperamento delle potenzialità produttive e di depotenziamento dei propri talenti.
Vi è dunque una debolezza intrinseca rappresentata anche da una scarsa attrazione che queste stesse aree, poco vitali dal punto di vista produttivo, esercitano sull’esterno e dunque sulla capacità di attrarre e accogliere nuovi cittadini, nuovi abitanti, nuove famiglie ed imprese. Sono territori che non riescono a promuovere una propria identità turistica, nonostante una dotazione del sistema dell’offerta che supera ampiamente la domanda generata. In questo quadro generale emerge anche l’accentuazione del divario nord-sud e una sorta di radicalizzazione delle differenze non tanto tra montagna, collina, pianura e città, quanto all’interno delle medesime categorie, ovvero tra montagna ricca e montagna impoverita, tra collina valorizzata e collina dimenticata, tra città al passo con i cambiamenti imposti dall’economia della globalizzazione e città in forte ritardo.
9
Popolazione occupata al 2011 - Dati Istat
10
0-32 %
32-38%
38-44 %
44-58 %
80% e piĂš
dal 60% all’80%
dal 40% al 60%
11
dal 20% al 40%
20% o meno
Popolazione sprovvista di Banda larga al 2018 - Dati del Ministero dello sviluppo economico
0 - 131,8
131,9 - 180,7
180,8 - 229,8
229,9 - 285,4
12
285,5 - 373,5
373,6 - 5100
Indice di vecchiaia al 2018 - Dati Urbistat
L’indice di vecchiaia è il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni.
3453-5000 ab.
1491-3453 ab.
761-1491 ab.
13
29-761 ab.
I comuni con meno di 5000 abitanti al 2018 - Rielaborazione su Dati Istat
14
1.2 1.2.1
ITALIA FRAGILE Nove comuni su dieci a rischio
Abbiamo notato che in Italia quasi due terzi del totale dei comuni sono definiti piccoli e interessano più della metà della superficie territoriale complessiva del Paese. Si addensano principalmente in val padana, in particolare in Piemonte, Lombardia e Veneto, ma quello che salta di più all’occhio è che questi si collochino prevalentemente nelle aree montane, soprattutto alpine e appenniniche, dove raggiungono il numero di 3.106, ben l’88% dei 3.427 comuni montani. Una realtà in gran parte sovrapponibile alla geografia delle aree boschive e a maggior rischio sismico del Paese. Dunque, secondo il rapporto dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) riguardo al dissesto idrogeologico in Italia, addirittura nove comuni su dieci sono a rischio. Il dissesto idrogeologico deriva dall’azione combinata di più fattori naturali: un territorio con una struttura geomorfologica giovane e instabile, la presenza di rocce friabili e impermeabili, che favoriscono lo scorrimento in superficie dell’acqua piovana, e un clima in cui lunghi periodi di siccità si alternano a precipitazioni intense e concentrate nel tempo.
Le frane sono fenomeni estremamente diffusi in Italia, anche tenuto conto che il 75% del territorio nazionale è montano-collinare. Il 28% degli eventi franosi in Italia sono caratterizzati da un cinematismo rapido, con velocità elevata, con una forza distruttiva inimmaginabile, capace di strappare anche molte vite umane.
A sinistra San Vito di Cadore dopo la frana del 2015 Sopra Vernazza durante l’alluvione del 2011
15
PericolositĂ Frane - Dati ISPRA
Bassa P1
Media P2
Elevata P3
16
Molto elevata P4
Attenzione AA
I fattori più importanti per l’innesco dei fenomeni franosi sono le precipitazioni brevi e intense, quelle persistenti e i terremoti. Relativamente a questi ultimi si ricordano le frane, prevalentemente di crollo, innescatesi con i terremoti della sequenza sismica che ha interessato l’Italia centrale a partire dall’agosto 2016. Negli ultimi decenni i fattori antropici, quali tagli stradali, scavi, sovraccarichi dovuti ad edifici o rilevati, hanno assunto un ruolo sempre più determinante tra le cause predisponenti delle frane. I fenomeni franosi in Italia sono 620.808 e interessano un’area di 23.700 km2, pari al 7,9% del territorio nazionale.
Nelle aree classificate a pericolosità da frana media gli interventi ammissibili sono quelli previsti dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Gli interventi generalmente sono soggetti ad uno studio di compatibilità finalizzato a verificare che l’intervento garantisca la sicurezza, non determini condizioni di instabilità e non modifichi negativamente i processi geomorfologici nell’area interessata dall’opera e dalle sue pertinenze. Nelle aree classificate a pericolosità da frana moderata è generalmente consentita ogni tipologia di intervento prevista dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Le Aree di attenzione corrispondono generalmente a porzioni di territorio ove vi sono informazioni di possibili situazioni di dissesto a cui non è ancora stata associata alcuna classe di pericolosità. Ogni determinazione relativa ad eventuali interventi è subordinata alla redazione di un adeguato studio geomorfologico volto ad accertare il livello di pericolosità sussistente nell’area. In sede di redazione degli strumenti urbanistici devono essere valutate le condizioni di dissesto evidenziate e la relativa compatibilità delle previsioni urbanistiche.
Nelle aree classificate a pericolosità da frana elevata sono generalmente consentiti, anche gli interventi di ampliamento di edifici esistenti per l’adeguamento igienico-sanitario e la realizzazione di nuovi impianti di trattamento delle acque reflue e l’ampliamento di quelli esistenti, previo studio di compatibilità dell’opera con lo stato di dissesto esistente.
Le Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Campania, Valle d’Aosta, Abruzzo, Lombardia, Sardegna e la Provincia Autonoma di Trento hanno le maggiori superfici (in km2) a pericolosità elevata P3 e molto elevata P4. Se consideriamo invece la percentuale delle aree P3 e P4 dei PAI rispetto al territorio regionale, i valori più elevati si registrano in Regione Valle d’Aosta, in Provincia di Trento, in Campania, Molise, Abruzzo, Toscana, Emilia-Romagna e Liguria.
17
Superficie a pericolositĂ di frana P3 e P4 (km2)
18
Quando parliamo di alluvioni la storia non cambia. Ci saltano subito in memoria disastri di livelli epocali, come l’alluvione del 1951 del Polesine, con fermi immagini catastrofici: una terra immersa in una distesa d’acqua che ha portato con sé non solo ripercussioni economiche, e anche sociali, ma ancora l’alluvione del 1966 di Firenze, il cui danno al patrimonio culturale e artistico toccò livelli elevatissimi
Le aree a pericolosità idraulica elevata in Italia sono pari a 12.405 km2, ovvero il 4,1% del territorio nazionale, le aree a pericolosità media ammontano a 25.398 km2, l’ 8,4% , infine quelle a pericolosità bassa a 32.961 km2, cioè il 10,9%. Queste condizioni dunque caratterizzano molte aree del territorio italiano, collocate soprattutto lungo la dorsale appenninica e nella fascia prealpina. La nostra penisola è quindi particolarmente soggetta al dissesto idrogeologico: circa il 60% del suo territorio è interessato dal rischio di frane o di esondazioni dei corsi d’acqua.
Veduta di piazza S. Croce dopo l’alluvione di Firenze del novembre 1966
19
13-18 novembre 1951. Le acque del Po invadono il Polesine dopo due settimane di maltempo
PericolositĂ Idraulica - Dati ISPRA
20
Classe P3
Classe P2
Classe P1
Superficie a pericolositĂ idraulica media P2 tempo di ritorno tra i 100 e i 200 anni (km2).
21
Da questo quadro e dai dati forniti dall’Ispra possiamo notare immediatamente quanto questi territori fragili vadano a conformarsi giustappunto nella nostra zona interessata, costituita proprio dai piccoli comuni, che ricordiamo essere quelli con abitanti inferiori a 5.000 persone. Ben il 41,3% di queste realtà sono da collocare nelle aree montuose, il 40,7% in collina, mentre il restante si trova nella bassa pianura. Il rischio sismico dei comuni italiani è stato di recente rideterminato, spostando molti comuni da rischio “molto basso” a “basso”. Il 10,6% dei piccoli comuni è classificato ad alto rischio di evento sismico (quei paesi che si collocano soprattutto sulla dorsale appenninica centro-meridionale); a medio rischio sono il 25,2% delle piccole realtà.
22
Rischio sismico - Dati ISPRA e INGV
Zona 1
Zona 2
Zona 3
Zona 4
23
Sisma
faglie
Zona 1: E’ la zona piÚ pericolosa. Zona 2: In questa zona forti terremoti sono possibili. Zona 3: In questa zona i forti terremoti sono meno probabili rispetto alla zona 1 e 2. Zona 4: E’ la zona meno pericolosa. Sismi : Sono stati segnati i sismi di magnitudo 4 o superiore.
24
Ma il problema non è tanto il rischio di frane in sé, fisiologico in un Paese occupato per quasi tre quarti da rilievi montuosi e collinari, quanto la possibilità che questi fenomeni si abbattano su edifici abitati. Sono infatti oltre 550.000, il 3,8% del totale, gli edifici costruiti in aree dove la pericolosità da frana è elevata o molto elevata e in cui vive circa un milione di persone. Nel complesso, 7 milioni di italiani risiedono in territori vulnerabili, territori occupati per la maggior parte da comuni medio-piccoli. Il rischio idrogeologico non colpisce dunque soltanto la componente prettamente umana, ma è un fenomeno che si estende anche a fattori sociali, economici e culturali.
Cosa è cambiato negli ultimi anni sostanzialmente secondo Ispra? Di fatto, nulla. Quello che era in pericolo continua ad esserlo. Tantissime le manovre di emergenza, tutti d’accordo sulla necessità di intervenire, tutti d’accordo sul mantenere una solida identità italiana. “Il petrolio è la nostra cultura”. Una cultura fatta non di soli beni, ma anche e soprattutto di persone e di luoghi, territori che hanno memoria e di cui non possiamo fare a meno, e neppure sorvolare. Nove piccole realtà su dieci a rischio, decine e decine di culture in pericolo, migliaia di ricordi in bilico. È dunque possibile riabitare questi luoghi in modo sicuro e senza pericoli?
Secondo dati Ispra, un numero ingente di industrie e servizi , quasi 83.000 sono posizionati proprio nelle aree sensibili, 217.608 addetti. Il numero maggiore di questa tipologia di edifici a rischio si trova in Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio . Per quanto riguarda l’inondazione, nello scenario medio, si trovano invece esposte ben 600 mila unità locali di impresa (12,4% del totale) con oltre 2 milioni di addetti ai lavori, in particolare nelle regioni EmiliaRomagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria. E i beni culturali? L’Italia ha 53 siti Unesco e oltre 200 mila beni architettonici, monumentali e archeologici. I beni culturali potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono 11.712 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente 37.847 considerando anche quelli situati in aree a minor pericolosità. I monumenti a rischio alluvioni sono 31.137 nello scenario a pericolosità media e 39.426 per quello a scarsa probabilità di accadimento o concernente eventi estremi.
25
Rapporto dissesto idrogeologico in Italia nel 2018. Fonte ISPRA
26
1.2.2
Sensibilizzare è meglio di vincolare
“La montagna regola la pianura, ma se viene abbandonata a soffrirne saranno tutti”
Il dissesto idrogeologico costituisce un tema di particolare rilevanza per l’Italia a causa degli impatti sulla popolazione, sulle infrastrutture lineari di comunicazione e sul tessuto economico e produttivo. Il forte incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato a un considerevole aumento degli elementi esposti a frane e alluvioni e quindi del rischio. Le superfici artificiali sono passate infatti dal 2,7% negli anni ‘50 al 7,65% del 2017. L’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha inoltre determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio.
Il processo di crescita delle aree boschive è principalmente l’effetto della ricaduta dell’abbandono dei territori divenuti marginali per l’agricoltura di montagna e della diminuzione dell’uso dei pascoli per attività zootecniche. In parole povere, il territorio nazionale coperto da foreste ha superato quello a fini agricoli. Eppure, la foresta è la più grande infrastruttura verde del nostro territorio, che svolge funzioni fondamentali come il mantenimento e la tutela della biodiversità, il controllo contro l’erosione, l’assorbimento e la purificazione delle acque, per non parlare della conservazione dei valori culturali e del paesaggio4.
Infatti da una parte, l’azione dell’uomo contribuisce notevolmente ad aggravare gli effetti di frane e alluvioni, o addirittura ad attivare questi fenomeni: ciò accade, per esempio, attraverso il disboscamento di interi versanti, che espone il suolo all’azione diretta dell’acqua piovana, oppure con l’utilizzo di monocolture intensive, che modificano la conformazione del territorio. Dall’altra però, l’abbandono dei terrazzamenti agricoli o di intere aree boschive, che per secoli hanno protetto i versanti montuosi, non fa altro che danneggiare un territorio già di per sé fragile. Altre azioni antropiche più dirette possono essere la costruzione di strade e grandi opere come viadotti, ponti e dighe, che tagliano letteralmente i versanti, il prelievo eccessivo di sabbie e ghiaie dall’alveo dei fiumi, che fa aumentare la velocità della corrente, la costruzione di argini artificiali, che fa diminuire la sezione dei corsi d’acqua; la costruzione di edifici negli alvei o a ridosso degli argini. Ma proprio l’azione antropica potrebbe essere necessaria per impedire al territorio naturale di ritorcercisi contro. Di fatto, in Italia più del 95% delle aree forestali è localizzato in territori montani, nell’arco degli ultimi cinquant’anni le foreste sono triplicate fino a coprire quasi il 38,8% del territorio nazionale, e il fenomeno non risulta essere in fase di riduzione. Di queste, ben il 27% è soggetto a particolari regimi di protezione a fini ambientali, che tocca la sfera pubblica e anche quella privata, vincoli idrogeologici e ancora vincoli paesaggistici.
Perché allora è dal 2017 che nel Censimento dell’agricoltura non compare più il campo di raccolta delle informazioni forestali? Nessuna menzione alle superfici forestali italiane, ai prelievi o agli stock della biomassa, nessuna informazione riguardo alle imprese forestali e ai relativi addetti5. Sembrerebbe quasi un “settore abbandonato per una carenza culturale, politica e istituzionale”. Se si pensa al fatto che l’Italia, secondo Eurostat, ha raggiunto il tasso di prelievo di legname per ettaro di superficie forestale più basso dell’Unione Europea. Una risorsa così importante, che si voleva salvaguardare, è diventata sempre meno produttiva.
4 M. Marchetti, R. Motta, D. Pettenella, L. Sallustio,G.
Vacchiano, le foreste e il sistema foresta-legno in Italia: verso una nuova strategia per rispondere alle sfide interne e globali, in “Forest@”,XV,2018. 5 Antonio De Rossi, Riabitare l’Italia, V Boschi e green economy: un progetto necessario di Davide Pettenella, 2018
27
Andamento dei prelievi di legname ad uso industriale e legna da ardere in Italia, 1913-2016 (dati in migliaia di metri cubi)
E il fatto di non fare nulla, di cercare di proteggere soltanto questo bene materiale ha effetti devastanti sulla stabilità del territorio: una gran parte delle nostre foreste risulta essere abbandonata, lasciata al suo destino, ad invecchiare, e questo porta non solo problemi sulla stabilità dei versanti, ma anche vulnerabilità agli incendi e secondo alcuni ecologisti anche problemi legati alla tutela della biodiversità del territorio, che invece è protetta grazie anche al ringiovanimento delle foreste tramite il taglio dei boschi. Ecco perché bisognerebbe cambiare rotta, modificare il punto di vista nell’ottica di una diversa gestione del patrimonio boschivo. Non è più sufficiente, anzi diremmo quasi controproducente vietare o limitare le attività economiche nelle foreste di montagna per salvaguardare una ricchezza degradata. L’arma vincente è quella di valorizzarla economicamente sia per ridurre i costi di tutela, sia per aumentare l’efficacia della sua conservazione.
28
1.2.3
Aree interne
Tra il 2012 e il 2014, l’allora Dipartimento per le politiche di sviluppo lavorò alla costruzione di una mappa che superasse la tradizionale dicotomia città-campagna, mettendo al centro dell’attenzione la distanza dai servizi primari, evidenziandola come simbolo di una mancanza strutturale del territorio del Paese. Nasce così la mappa delle Aree Interne. Sono stati classificati come interni i comuni distanti almeno 20 minuti dai poli di attrazione, definiti come Centri di offerta di servizi. I poli sono quei comuni o aggregazione di comuni capaci di offrire: per l’istruzione, l’offerta completa di scuole secondarie superiori; per i servizi sanitari, le strutture sanitarie sedi di Dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) di I livello; per i servizi di trasporto ferroviario, le stazioni ferroviarie di tipo almeno silver. I restanti comuni sono stati classificati come peri-urbani, intermedi (20-40 minuti), periferici (40-75 minuti) e ultra-periferici (più di 75 minuti), in base alle distanze dai poli misurate in tempi di percorrenza6.
Quasi 4.200 comuni (ovvero oltre la metà del totale) ricadono nelle aree interne. Questi territori coprono il 60% della superficie nazionale, e sono abitati da circa 13 milioni di persone (22% della popolazione residente al 1° gennaio 2018). La maggior parte degli abitanti delle aree interne (8,8 milioni di persone) vive nei comuni intermedi, distanti dai 20 ai 40 minuti dal polo più vicino. 3,7 milioni abitano in comuni periferici, mentre altre 670mila persone vivono in aree ultraperiferiche (cioè comuni, perlopiù montani o isolani, distanti almeno 75 minuti dal centro più vicino).
6 Definizione di “aree interne” tratta da “Riabitare l’Italia” di
Antonio de Rossi, 2018
29
Principali caratteristiche dei comuni classificati secondo la metodologia proposta.
30
Mappa delle Aree Interne - Dati da Ministero per lo Sviluppo
Mappa delle Aree Interne
Ultraperiferico
Periferici
Intermedi
31
In corso di definizione
Fonte: Istat
32
1.3 1.3.1
LE GEOGRAFIE DELL’ABBANDONO Le Ghost Town
Abbiamo appena descritto un territorio costellato da tanti piccoli spot che si stanno piano piano spegnendo, ma non abbiamo ancora parlato di quei luoghi che sono effettivamente scomparsi, che sono diventati a tutti gli effetti delle vere e proprie ghost town. Piccole realtà che sono il cuore e l’anima del nostro territorio ma che continuiamo a tradire. E piano piano li stiamo perdendo, inesorabilmente. I borghi e i centri storici italiani, epicentri di ricchezza culturale, artistica, storica immensa, icone della nostra identità, stanno scomparendo, sommersi dall’indifferenza, da politiche inadeguate, dalla mancanza di vigilanza e progettualità delle istituzioni. O semplicemente dall’abbandono. Le chiamano appunto “città-fantasma”, una definizione alquanto inquietante. Si tratta di centri abbandonati e deserti, senza abitanti e spesso immersi nella natura e che mantengono un alone di fascino e di mistero. Luoghi che risentono dell’eco della loro storia, che avevano tante storie e tradizioni da raccontare, ma che per cause ormai note il triste destino ha deciso di inglobarli in un oblio senza fine. Il fenomeno dell’urbanizzazione ha spazzato via i legami con queste terre ora deserte, si è portato con sé soltanto persone alla ricerca di una mera fortuna, ignaro del fardello che avrebbe però portato su quei paesi oramai vuoti.
Sopra Balestrino, in provincia di Savona A sinistra Valle Piola, un borgo medievale disabitato dal 1977.
33
Dunque è questo quello che ci dobbiamo aspettare tra una decina di anni? Che cosa significa davvero perdere un paese?
34
L’elemento più critico che ci appare evidente non è dato solo dall’aumento del numero dei comuni che da qui a qualche anno presenteranno condizioni di disagio insediativo, ma dal fatto che per alcuni comuni si prospettano condizioni di particolare criticità nel disagio, tali da configurare per essi un vero e proprio futuro da “ghost town”. Infatti, è evidente che al di sotto di determinate soglie degli indicatori socioeconomici locali non vi sono le condizioni minime non solo per garantire adeguate condizioni di vita, ma neppure aspettative di futuro.
Dal Sud passiamo al Nord Italia, dove si trovano altri paesi e cittadine fantasma come per esempio Consonno, in provincia di Lecco, dove attualmente vive solo una persona in quanto dal dopoguerra in avanti i cittadini lo abbandonarono progressivamente. In Liguria ci sono due borghi abbandonati molto caratteristici. Uno è Balestrino, in provincia di Savona, che è situato nell’entroterra di Loano ed è suddiviso in cinque frazioni collegate da stradine e sentieri boschivi: Borgo, Poggio Sottano e Poggio Soprano, Cuneo, Bergalla e Sambuco. Il secondo è Bussana Vecchia, in provincia di Sanremo, che venne distrutto quasi completamente da un terremoto nel 1887 causandone l’abbandono da parte degli abitanti che si spostarono circa tre chilometri più a valle, fondando il paese di Bussana Nuova.
Nel 1996 il “disagio” riguardava 2.830 comuni, imponendo una migrazione prospettica alle nuove leve della popolazione residente, pari a cinque milioni. Nel 2001 i comuni divengono 3.292, nel 2006 fanno 3.556, nel 2011 sono già 3.959, fino ad arrivare a cifre record di 4.3957. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, i paesi fantasma in Italia sono circa un migliaio, se si escludono stazzi e alpeggi. Altrimenti, secondo Linkiesta, il loro numero sale a 6.000. In alcuni casi si tratta di piccoli agglomerati urbani eretti in zone impervie, ma che si vanno a inserire con grande armonia nel paesaggio circostante. In provincia di Teramo si trova Valle Piola, paese disabitato dal 1977, sito nel comune di Torricella Sicura nel cuore dei Monti della Laga. Un borgo caratteristico della Basilicata è Craco, in provincia di Matera, che si è trasformato in un paese fantasma da quando la popolazione decise di abbandonarlo a causa dei continui terremoti che lo colpirono.
Aliano, il Borgo di Carlo Levi.
7 Rapporto integrale sull’Italia del disagio insediativo 1996-
2016
35
Percentuale di edifici disabitati per comune al 2011 - Dati Istat
36
0% - 3%
3% - 6%
6% - 10%
10% - 16%
16% - 28%
28% - 41%
41% - 69%
Borghi abbandonati
Borghi parzialmente abbandonati
37
Le Ghost Town - Rielaborazione da Wikipedia e paesifantasma.it
1.3.2 La perdita di un patrimonio Perdere questi territori vorrebbe dire rinunciare a vere e proprie città storiche, con la loro complessità e la ricchezza di stratificazioni o ancora insediamenti storici minori riconoscibili: borghi, borgate, terre, castelli. Perdere l’anima di questi territori equivale a rinunciare al valore della diversità culturale che storia e cultura vi hanno depositato e che frequentemente si associa anche a una grande biodiversità. Dotazione peculiare delle realtà minori di un insediamento italiano ricco, campagne che sono quadri paesistici unici e irripetibili.
Non si tratta dunque solo di patrimonio paesaggistico e artistico, ma anche sociale ed economico. La terra delle nostre aree rurali sono pervase da una storia e una cultura centenaria, ricca di tradizioni tutte diverse tra di loro. Non a caso nel 22% delle denominazioni certificate tra i paesi della Ue, l’Italia è prima in Europa per i prodotti agroalimentari Dop e Igp, con 119.202 aziende, in crescita del 2,45% rispetto al 2005 e con un fatturato anch’esso in crescita di 4.9009. Mantenere una connotazione manifatturiera della economia, radicata nell’abilità a inventare e ingegnerizzare soluzioni di piccola serie e in quella a incorporare nel prodotto valori di qualità estetica, consente al nostro Paese di partecipare con qualche possibilità di successo al mercato internazionale del lavoro con competenze antiche che entrano in gioco con nuove attività e nuove opportunità di impiego.
Il valore economico del paesaggio è ampiamente riconosciuto dal Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale 2007-2013 (Psn), che considera la tutela dei paesaggi rurali un fattore importante di competitività per il settore agricolo e forestale, in quanto non riproducibile dalla concorrenza, nonché uno strumento di difesa della biodiversità e della qualità ambientale. La scomparsa dei paesaggi rurali può essere comparata a un processo di erosione su due livelli: quello dell’urbanizzazione (per la proliferazione di insediamenti a bassa densità che si propagano dai margini dei centri abitati e lungo le arterie di comunicazione: il cosiddetto urban sprawl) e quello dell’abbandono (con conseguente rinaturalizzazione) delle aree rurali8.
Un patrimonio, culturale, naturale e funzionale, la cui conservazione giustifica lo sforzo necessario a mantenerne il valore, generando un reddito da impiegare in una azione manutentiva il cui venir meno, determinando la diminuzione del patrimonio, rappresenterebbe una effettiva distruzione di reddito. Un patrimonio dunque che è la somma e la sintesi del valore del capitale naturale situato nel territorio, del valore del patrimonio storico e culturale insediatosi nelle piccole realtà, del valore dei prodotti del territorio frutto di una combinazione di contesti ambientali particolari, pratiche diversificate, tradizioni culturali e sostenibilità economica.
Superficie agricola utilizzata per zona altimetrica 19702010 Numeri indici, base 1970=100
8 Rapporto Istat “Paesaggio e patrimonio culturale – cap. 9” -
2014 9 Fonte Qualivita 2008
38
II
2.1
2.1.1
LE PICCOLE REALTÀ RURALI COME FORZA MOTRICE La frammentazione che unisce
Se è vero che le aree interne italiane equivalgono al 60% del territorio nazionale, possiamo dunque definire le piccole realtà rurali come forza motrice del nostro territorio? Assolutamente sì! E dunque, quali sono i fattori di competizione? Il presupposto per uno sviluppo sta proprio nel saper trarre vantaggi dalle capacità dei singoli territori di “offrire” sé stessi, nel rispetto del proprio essere e della propria identità. Fare della nostra ricchezza insediativa frammentata una componente di qualità del nostro territorio equivale ad aver ben chiaro su quali binari agire. “Il segreto del miracolo italiano è stata la capacità di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo” Così Carlo Maria Cipolla, storico ed economista italiano degli anni ’20 definì il nostro territorio. È passato quasi un secolo e l’Italia di oggi ancora scommette sulle sue qualità, sulle sue conoscenze, promuovendo le bellezze italiane come fattore di competitività. Ed è proprio su questa leva che i borghi devono far forza, riconoscere in essi delle opportunità per iniziative imprenditoriali forti, creare una solida rete di nuove relazioni con i centri urbani, riconoscendo la lontananza da essi come punto di forza. 39
In Italia i piccoli comuni (aree pari o al di sotto dei 5.000 abitanti) alla data del 30 giugno 2017 sono 5.567 su un totale di 7.977, rappresentando quasi due terzi del totale e corrispondendo al 54,1% della superficie territoriale complessiva del Paese. Nella grande maggioranza dei casi (4.750 comuni, l’83% del totale) si tratta di realtà rurali a bassa urbanizzazione, e per più della metà dei casi (3.081, pari al 55,3%) di aree totalmente montagne. È il Nord Ovest del Paese a concentrare la quota più rilevante di piccoli comuni (2.379, il 42,7% dei 5.567 esistenti), ed è anche l’area in cui questi incidono di più (78,4% in Valle d’Aosta sono 73 sui 74, escludendo il solo capoluogo).
60%
La nostra bellezza sta proprio nelle nostre differenze territoriali e nella stratificazione della cultura italiana. Tradizioni che si sono mescolate nel tempo, culture che si sono tramandate grazie ai nostri avi, bellezze che si sono conservate, simbolo del nostro ingegno e della nostra creatività. Su questo si basa l’Italia e su questo dobbiamo puntare. Tutto il vero fascino del nostro Paese è racchiuso nelle piccole borgate, nei territori rurali di poche centinaia di anime. Lì sono i ricordi, lì sono le leve che smuovono i fili giusti.
Percentuale del territorio nazionale occupato da comuni delle aree interne su territorio nazionale.
40
L’Italia è conosciuta in tutto il mondo per il suo incommensurabile patrimonio artistico, culturale, ma soprattutto enogastronomico. Ma forse non tutti sanno che proprio quest’ultimo proviene dai nostri piccoli comuni, al di sotto dei 5.000 abitanti. È proprio qui che si produce ben il 92% dei prodotti di origine protetta, nonché il 79% dei vini italiani più pregiati1. Occorre dunque investire su questi luoghi, cogliere le opportunità che essi qualità, sulla tradizione, sulla creatività e sull’innovazione. Il 2017 è stato l’anno dei borghi , il 2018 l’anno del cibo italiano , con l’obiettivo della valorizzazione dei riconoscimento Unesco legati al buon mangiare, come la dieta mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi delle Langhe Roero e del Monferrato, Parma città creativa della gastronomia, l’arte del pizzaiolo napoletano. Il borgo di Taurasi è un perfetto esempio di coesione tra riqualificazione ed economia del territorio. Un intervento che ha portato alla realizzazione di nuove alloggi turistici e nuove botteghe artigianali, con l’obiettivo di riportare nel centro storico le attività artigianali e commerciali coinvolgendo la popolazione locale. Il Castello oggi ospita l’enoteca regionale dei vini d’Irpinia e un’area museale, con percorso sensoriale interamente dedicato alle produzioni vitivinicole, dato che il piccolo comune è oramai diventato il centro dell’area di produzione del Taurasi DOCG, fatto con uve Aglianico, un vitigno di antichissima tradizione.
Aliano
A partire dai registri dei prodotti a Denominazione d’Origine Protette (DOP) e Indicazione Geografica Tipica (IGP), i cui disciplinari sono pubblicati correttamente nelle GGUU dell’UE e scaricabili dal sito del Ministero delle Politiche Agricole è stato costruito un database per tutti i comuni italiani. Delle 293 tipicità mappate al 19 dicembre 2017, solamente 23 riguardano esclusivamente grandi comuni, mentre ben 270 coinvolgono esclusivamente (25) o parzialmente (245) piccoli comuni. Tenendo conto del fatto che i prodotti possono essere presenti su più regioni (non sono quindi sommabili), delle 270 tipicità prodotte in piccoli comuni se ne ritrovano ben 97 nel Mezzogiorno del Paese, 81 nel Nord Est, %9 nel Nord Ovest e Centro Italia.
Grazie ad alcune recenti leggi e strategie per i piccoli borghi, la valorizzazione dei piccoli comuni risulta essere ancora più concreta e tangibile, sembra sempre più possibile creare un’identità dai piccoli comuni, legandoli ad una rete ancora più solida su tutto il territorio italiano, rendendoli competitivi verso un mercato internazionale.
1 Rapporto Coldiretti-Fondazione Symbolia “Piccoli comuni e
tipicità” 2018
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La conformazione delle aree interne offre ampie opportunità di riqualificazione del territorio: si pensi per esempio al residenziale, esiste una casa vuota ogni due occupate, e questo rappresenta un’occasione per il riuso architettonico, che esso sia di natura turistica, abitativa o sociale. Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini: nuove nascite, migranti o cittadini urbani di ritorno o di nuovo insediamento. Favorendo inoltre l’evoluzione del mercato verso forme di economia, come quella circolare si favorirebbe anche e soprattutto l’intervento privato. Ma non solo opportunità di riuso abitativo: abbiamo ampiamente parlato della qualità dei beni architettonici sparsi in tutto il nostro territorio, per lo più nelle aree interne. Immaginiamoci ora un territorio infrastrutturato da un turismo slow, concepito tramite la fruizione di una mobilità lenta: cammini, sentieri, ciclabili che si incrociano ad attività di outdoor e spazi di ristoro nella natura.
Secondo alcuni studi recenti condotti sui dati del 2017, il turismo nelle aree rurali, di cui i borghi sono il centro nevralgico, hanno fatto registrare un incremento del 3,9% rispetto al 2016. La crescita delle presenze è stata del 6%, con un incremento di 24 milioni di pernottamenti. Inoltre Le presenze sono passate da 320 milioni di visitatori del 2015 agli oltre 430 milioni del 2018 con un’affluenza che riesce ad andare anche oltre la stagione estiva.
42
Ma chi sono i turisti? Sono i giovani, dediti all’escursionismo, alla ricerca di siti archeologici o ancora centri culturali; sono gli appassionati di enogastronomia; sono i viaggiatori con un budget ridotto oppure semplicemente colori che vogliono fuggire dalla routine; gli stranieri che spinti ora più che mai alla ricerca di veri e propri tesori naturalistici nascosti in tutta Italia.
Dunque è possibile fare delle aree interne il nostro vero tesoro, il motore per ricucire quei gap che si sono creati dopo la seconda guerra mondiale. Per farlo bisogna essere “l’Italia delle capacità, della cultura, dell’ospitalità, dell’accoglienza, del rispetto delle diversità; quell’Italia che è così diffusa nelle comunità dei piccoli e medi Comuni”2.
Ma c’è un’altra opportunità, quella che trae beneficio dal carburante vero e proprio per eccellenza: la nostra terra. L’Italia è tappezzata da innumerevoli territori agricoli non più utilizzati. Cosa vorrebbe dire poter rimettere mano a questi luoghi, ridar loro valore tramite una nuova agricoltura? Che tiene conto della sostenibilità ambientale e sociale, valorizzando i sapori e i saperi tradizionali, per non perderli ma inserendoli in un percorso innovativo, che dia beneficio all’economia locale nel rispetto dell’ambiente e dell’identità del territorio.
2 “Le aree interne italiane protagoniste della ripartenza” –
Manifesto dei borghi autentici.
43
44
TipicitĂ nei Piccoli Comuni
45
2.1.2
Il lavoro c’è dove ci sono le idee Inoltre, nei comuni più piccoli scatta una coincidenza interessante: quei piccoli comuni che sono anche città storiche e che ospitano il più alto tasso di imprenditorialità, sono anche il luogo in cui ci sono più giovani. Più giovani non solo di quanti ce ne siano negli altri piccoli comuni ma anche più giovani della media del Paese.
Si dovrebbero dunque indagare tutte quelle geografie e quei processi che si collocano all’incrocio tra la creatività imprenditoriale e quella artistica e culturale, la distribuzione di quei poli culturali che rappresentano una componente rilevante in un nuovo quadro innovativo rivoluzionario. Un’osservazione che vale la pena evidenziare è come la densità imprenditoriale dei piccoli comuni italiani non sia per nulla inferiore a quella media del Paese.
Percentuale di giovani 19.34 anni sul totale della popolazione 2018. In un programma nazionale segnato omogeneamente da una forte riduzione delle coorti demografiche giovanili, un interessante segnale di vitalità proviene dalle piccole città storiche dove l’incontro tra un forte carattere urbano e l’impronta comunitaria consentita dalle piccole dimensioni sembrano proporre ambienti attrattivi.
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Nei piccoli comuni non a caso possiamo trovare schiere di start-upper, giovani che investono il proprio futuro nella conquista dell’identità di questa Italia minore. In questa maglia di talenti, dove i saperi tradizionali vengono intrecciati da percorsi di sperimentazione che mettono in risalto la capacità di innovazione di questi luoghi. Per ottenere ciò è necessario ripensare i paradigmi di policy corrent e riconoscere l’importanza del contesto locale, ovvero dell’insieme delle caratteristiche sociali, culturali e istituzionali che caratterizzano il determinato luogo. Adottare dunque un approccio place-based ovvero coinvolgere le comunità locali, utilizzare le loro conoscenze, collaborare con tutti gli attori del territorio e promuovere la cooperazione inter-istituzionale3. Quando dunque parliamo di aree interne e di servizi, non possiamo esimerci dal discutere sull’offerta formatica alquanto frammentata, o di istituzioni scolastiche sottodimensionate.
Le imprese attive nei piccoli comuni sono quasi 890.000 mentre gli addetti nel settore extra agricolo sono oltre 2 milioni. Nell’agricoltura operano 273.000 imprese, quasi un terzo della base produttiva locale (31,3% il settore nei grandi comuni rappresenta appena l’11% delle imprese). I piccoli comuni sono anche terre di manifattura (87.000 imprese, 9,8% del totale) e di attività di costruzioni (137.000 imprese, 15,4% del totale).Tra i servizi, che incidono relativamente meno rispetto ai grandi comuni (43% contro 61%) sono particolarmente presenti il commercio (174.000 imprese, 19,6% del totale) e le attività turistiche (69.000 imprese, 7,7% la quota sull’intera base produttiva).
3 F. Barca, An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A
Placed-based Approach to Meeting European Union Challenges and Expectations, Eeri, Bruxelles 2009
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Secondo un quadro generale fornito dall’analisi di dati del comitato Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, l’introduzione delle tecnologie digitali nelle piccole scuole consentirebbe di sperimentare nuove strategie didattiche, con la possibilità anche di ridurre l’isolamento territoriale e socio-culturale dei bambini e degli stessi docenti. Dunque si parlerebbe di un’educazione non formale, ma con una spiccata connotazione sociale a fronte di uno sviluppo locale, inteso come ribaltare la concezione standard degli spazi scolastici in favore di “altri luoghi”, come fablab, laboratori, hub rurali, utilizzando l’ambiente naturale come soggetto educatore. Sperimentando quindi delle vere e proprie smart schools.
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2.2 2.2.1
UN QUADRO NAZIONALE POSITIVO: LE STRATEGIE IN ATTO Paesani connessi con il mondo
“...Terra e cultura più che cemento e uffici. Prodotti tipici da consumare non solo nelle sagre. Canti e teatro al posto delle betoniere. Svuotare le coste e riportare le persone sulle montagne. Sistemare le strade provinciali, togliere le buche, restaurare i paesaggi, le pozze d’acqua per gli ovini, ripulire i fiumi, i torrenti. Ora al sud si fanno buoni vini, ma il pane potrebbe essere migliore. E così pure il latte. Imparare a fare il formaggio. Dare ai giovani le terre demaniali. Coltivare un pezzo di terra...” (Franco Arminio, paesologo)
Che cosa ci può offrire dunque la nostra cara Italia? Abbiamo disegnato un quadro che oscilla tra un disagio insediativo sempre più radicato e opportunità che sono insinuate nel territorio da sempre ma che fatichiamo a cogliere e a valutare. Come possiamo salvare i nostri borghi, allora? Un primo passo, per aiutare davvero i borghi italiani, tutti quei piccoli comuni con meno di 5mila abitanti è stato fatto attraverso l’approvazione definitiva della legge chiamata Salva borghi, iniziativa voluta dall’onorevole Ermete Realacci, del 6 ottobre 20174 che stanzia 100 milioni di euro (10 milioni nel 2017, e 15 milioni dal 2018 al 2023) per lo sviluppo strutturale, economico e sociale a favore dei piccoli centri con una popolazione inferiore ai 5 mila abitanti. Nello specifico, il provvedimento riguarda 5.585 realtà, circa il 70% dei 7.998 comuni italiani dove vivono 11 milioni di cittadini, si tratta dunque di misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni. Sono soldi che se ben spesi, e non sprecati, serviranno a riqualificare un pezzo essenziale del nostro patrimonio non solo culturale, storico, economico, ma innanzitutto identitario.
4 A più di un anno dalla sua approvazione, però, mancano ancora
i decreti attuativi previsti dal provvedimento, e Legambiente, Anci, l’Associazione Borghi Autentici d’Italia e Uncem stannoo rivolgendo un appello al governo Conte affinché questa legge non rimanga lettera morta.
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Chi può usufruire di questi fondi? La legge è ben chiara: non solo i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, ma gli stessi devono essere comuni collocati in aree interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico, comuni caratterizzati da marcata arretratezza economica, comuni nei quali si è verificato un importante decremento della popolazione residente rispetto al censimento generale della popolazione effettuato nel 1981, comuni caratterizzati da condizioni di disagio insediativo (si veda capitolo 1.1.3) L’intervento mira a riqualificare attraverso interventi sia pubblici che privati le zone di particolare pregio all’interno dei centri storici, con la possibilità dei comuni interessati di acquisire e riqualificare immobili a fronte del problema dell’abbandono di edifici e terreni, di recuperare case cantoniere e stazioni ferroviarie dismesse, con l’accrescimento dell’efficienza energetica del patrimonio edilizio pubblico e la realizzazione di impianti di produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili. Apprezzati poi i tentativi di ripristino di servizi indispensabili, in particolare allo sviluppo dell’istruzione nelle aree rurali e montane con la messa in sicurezza delle strade, con un occhio di rilievo al collegamento delle scuole, all’informatizzazione e alla progressiva digitalizzazione delle attività didattiche e amministrative, vengono inoltre promossi incentivi a realizzare reti di connessione veloce e ultraveloce laddove non ce ne siano, favorendo così l’interesse degli operatori coinvolti.
Non ci si poteva poi dimenticare del patrimonio enogastronomico del nostro Paese, ed ecco dunque che la legge mira a promuovere il mercato agroalimentare a chilometro zero da filiera corta o a chilometro utile, che significa tutti quei prodotti agroalimentari provenienti dal luogo di produzione, coltivazione o allevamento che vengono venduti entro i 70 chilometri. Il testo prevede anche che i piccoli Comuni destinino specifiche aree per la realizzazione dei mercati agricoli per la vendita diretta. La legge dunque si fonda sull’idea di sviluppo del territorio improntata sulla comunità residente, sulle tradizioni locali che si sposano con l’innovazione e la green economy, una legge che tutela la piccola collettività locale, sostenendo il made in Italy e l’identità dei luoghi.
50
“L’Italia è un paese caratterizzato da un modello territoriale policentrico, dove una fitta rete di relazioni tra aree urbane, rurali e centri minori definisce uno spazio interdipendente in cui i centri maggiori, offrendo servizi ai cittadini, fungono da attrattori per la popolazione. L’accessibilità a servizi essenziali quali istruzione, mobilità e assistenza alla salute è prerogativa prima per il godimento del diritto di cittadinanza. I territori rurali meno facilmente accessibili, storicamente caratterizzati da una scarsa offerta di tali servizi, sono stati protagonisti di un lungo e progressivo abbandono in favore delle aree urbane, con costi elevati per la società come dissesto idrogeologico, degrado e consumo del suolo. Alla perdita demografica ha corrisposto anche un processo di indebolimento dei servizi alla persona. Questi stessi territori sono però anche il luogo di un grande capitale territoriale, naturale e umano inutilizzato, ritenuto strategico per il rilancio e la crescita del sistema paese Italia. Si è ritenuto dunque necessario intervenire per tutelare, recuperare e rivitalizzare le aree interne del proprio territorio, superando la dicotomia urbano-rurale e dando una nuova accezione al concetto di accessibilità ai servizi. Si definiscono “interne” proprio quelle aree sostanzialmente lontane dai centri di offerta di tali servizi e caratterizzate da processi di spopolamento e degrado. L’andamento demografico, le condizioni di accesso a poli di assistenza sanitaria, l’offerta adeguata di plessi scolastici sono alcuni dei criteri essenziali usati per la descrizione delle aree interne e la loro classificazione. A oggi, questi territori coprono circa il 60 per cento dell’Italia e sono la casa di circa 13,540 milioni di persone. In questo numero di Materiali Uval si pubblica la Strategia nazionale che il Paese si dà per invertire la tendenza di spopolamento e di marginalizzazione di queste aree, facendo leva su due assets principali di politica economica: il miglioramento dei servizi alla persona e l’innesco di processi locali di sviluppo.” (Abstract - Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance)
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Nel 2014 nasceva la Strategia nazionale per le aree interne, cui si è susseguito un lavoro di selezione delle cosiddette “aree di progetto” al fine di indirizzare tutte le amministrazioni pubbliche territoriali coinvolte verso uno sguardo univoco con particolare attenzione alle specificità del luogo. La strategia vuole puntare più che su dei progetti costruiti su generiche potenzialità del territorio, vuole mettere al centro del gioco le persone, cittadini, imprese e istituzioni.
L’obiettivo è quello di adeguare in primis la quantità e qualità dei servizi di istruzione, salute e mobilità, promuovendo allo stesso tempo azioni di sviluppo incentrate sull’uso consapevole del patrimonio culturale e naturale, puntando soprattutto sulle filiere locali. “Se nelle Aree interne non sono soddisfatti i servizi “essenziali” di cittadinanza, in queste aree non si può vivere”, così cita la premessa riguardo alla prima classe di azioni che si deve mettere in atto secondo la SNAI.
Quindi il primo punto di partenze è dare uno sguardo ai servizi per la salute, per l’istruzione e per la mobilità. Riorganizzando in modo più efficiente la rete territoriale degli ospedali, per i quali la spesa copre ancora in Italia la metà della componente pubblica della spesa sanitaria. Il che porterebbe forse ad abbandonare un modello di cura al quale i cittadini sono ancora fortemente legati (l’ospedale come “luogo della cura”), verso un modello ancora tutto da disegnare e da sperimentare, con possibili interventi innovativi, come la presenza di figure competenti in famiglia o nelle comunità, con dotazioni di strumenti di tele-assistenza oppure la formazione dei cittadini in grado di garantire interventi BLS (sostegno di base alle funzioni vitali).
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La mappa mostra le 71 aree selezionate nell’ambito della SNAI; al momento risultano coinvolti 1066 comuni, pari al 16,7% del territorio nazionale. In grassetto, le 11 aree che hanno già definito le proprie strategie.
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Per quanto riguarda invece il ruolo della scuola nelle Aree interne? Bisognerebbe investire sulla qualità dell’insegnamento e sulle dotazioni, sia infrastrutturali che tecnologiche, puntando a valorizzare la relazione scuola-territorio. Ultimo, ma non meno importante tema attorno cui ruota la Strategia è quella di diminuire il gap di queste aree con i Poli, attraverso il rafforzamento dell’offerta di servizi e migliorando la mobilità, riducendo i tempi effettivi di spostamento verso l’offerta dei servizi dei Centri. Esistono forme di tecnologia telematica di istruzione o di telemedicina, che però risultano ancora oggi insufficienti a mitigare questo distacco.
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Quando si parla invece di orientamento al mercato, di creare occupazione e di tutelare allo stesso tempo il patrimonio, la questione fondamentale che ci si pone davanti ruota intorno alla parola sostenibilità. Dunque come è possibile assicurare la cura e la conservazione del territorio e nel contempo far emergere quest’ultimo come vero capitale, senza usurparlo? Una delle chiavi di lettura che emergono dalla SNAI è quella del turismo naturalistico, che può portare in caso di successo a forme nuove e qualificate di occupazione giovanile, oppure al recupero del patrimonio artistico e abitativo, o ancora una nuova consapevolezza di un territorio che prima era del tutto slegato ai grandi circuiti turistici.
Se ci focalizziamo invece sui processi di sviluppo di queste aree, dobbiamo concentrarci, secondo la Strategia, sulle specificità di questi territori, legate alle risorse intrinseche dei medesimi luoghi. Ora più che mai si deve puntare a questa strategia, visto che in questo preciso periodo storico le preferenze del consumatore si stanno indirizzando verso il prodotto peculiare, piuttosto che sulla sua categoria generale (il pomodoro di quella zona specifica, la patata particolare prodotta solo in quella determinate condizioni, etc.). Quando consumiamo vogliamo sapere che prodotto stiamo consumando, le sue provenienze, come è stato prodotto, se è sostenibile.
Descrizione dello stato delle aree interne
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Nella prima parte di questo capitolo, abbiamo ampiamente parlato delle potenzialità territoriali dei piccoli comuni, e la strategia delle Aree interne punta proprio a valorizzarle in un’ottica di sviluppo, concorrendo allo stesso tempo all’obiettivo di tutela del patrimonio territoriale, focalizzandosi su alcuni punti fondamentali5: • Tutela del territorio e comunità locali • Valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile • Sistemi agro-alimentari e sviluppo locale • Risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile • Saper fare e artigianato Lo sforzo dunque della Strategia è quella di rendere queste proposte innovative tangibili e soprattutto permanenti, invertendo il flusso demografico nel minor tempo possibile.
Una strategia di sviluppo locale
5 Seconda classe di azioni: Progetti di sviluppo locale – Strategia
Nazionale delle Aree interne.
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Politiche ed effetti
57
2.3
2.3.1
LE AZIONI CONCRETE SUL TERRITORIO ITALIANO: ANALISI DI 60 ESEMPI VIRTUOSI Borgo che vai, progetto che trovi
In Italia esistono diversi esempi concreti di recupero di borghi storici, grazie a interventi di trasformazione degli stessi in veri e propri villaggi turistici, oppure di conversione in poli culturali, o ancora di recupero degli aspetti tradizionali locali.
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Una delle iniziative che sembra aver trovato maggior sviluppo risulta essere quello di trasformare il paese in un vero e proprio borgo-albergo, come il caso di Bajardo, in Liguria, il cui centro storico dopo essere stato abbandonato, è stato ristrutturato nel 2005 con l’obiettivo di realizzare da una parte un complesso residenziale e dall’altra un albergo diffuso, inserito perfettamente nel contesto di grande valore paesaggistico in cui il paese si trova. Grazie alle nuove tecnologie nel campo energetico e della bioedilizia l’albergo-diffuso gode di piena autosufficienza energetica, grazie all’utilizzo di energia fotovoltaica abbinata ad altre tecnologie.
Sopra la Chiesa di San Nicolò di Bajardo, distrutta dal terremoto del 1887. A destra una vista del borgo di Bajardo.
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Sopra Calabritto e il borgo di Quaglietta. Sotto la processione di San Rocco e tutti i santi a Calabritto.
Ci spostiamo molto più a sud, nell’alta valle del Sele, in provincia di Avellino e troviamo Calabritto, piccolo paese che ha assorbito le tracce lasciate da genti di varia stirpe che hanno popolato la valle. L’economia locale si regge sul patrimonio boschivo e sull’agricoltura di sussistenza che basa la sua qualità su prodotti pregiati quali l’olio, le castagne, il vino e le nocciole. Nonostante questo grande patrimonio, Calabritto vede negli anni un lento declino demografico, che lo ha portato ad essere uno dei tanti borghi in via di abbandono. Grazie a un decreto del 2007 indetto dalla regione Calabria, volto proprio al recupero di alcuni piccoli comuni Calabritto vede la possibilità di rinascita. Nel dettaglio, col progetto “recupero borghi medioevali” che si è concentrato anche su altri borghi quali Castelvetere sul Calore, Taurasi e Volturara Irpina si è potuta realizzare una nuova rete legata al turistico, valorizzando i beni culturali e realizzando infrastrutture finalizzate all’incremento dei flussi turistici. Grazie anche ad altri finanziamenti nel corso degli anni, il borgo di Calabritto ha potuto usufruire di nuovo denaro da spendere nella sistemazione di nuove aree turistiche e di rifugi naturali, in modo da rendere vivibile e accessibile lo spazio a disposizione.
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C’è chi poi vede in un piccolo borgo un affare grande, un piccolo gioiello su cui mettere mano. Come è successo nel cuore della Toscana, tra Firenze e Volterra, in cui sorge Castelfalfi. Un borgo che ha una storia millenaria, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento ha assistito ad un lento e inesorabile processo di spopolamento che ha portato desolazione per oltre un secolo fino all’intervento del colosso internazionale del turismo, Tui Ag, multinazionale tedesca. Ci sono tanti casi di riattivazione grazie a interventi da parte di privati, e Castelfalfi è proprio un esempio perfetto. Acquistato nel 2007, viene presentato ufficialmente al mondo nel 2014 con il completamento dell’intervento di ristrutturazione e riqualificazione.
Compare dunque una nuova realtà: da villaggio abbandonato in un moderno resort, il cui fascino è incastonato in una cornice senza tempo. Quello che offre oggi il borgo è un’attrattiva sia turistica che immobiliare: da un lato la vendita di appartamenti, ville e casali, dall’altro strutture ricettive, in linea con le caratteristiche toscane, ed enogastronomiche, da alberghi a ristoranti, piscine e spa, sale per congressi e un golf club. I ristoranti propongono ovviamente prodotti tipici di qualità, come l’olio e il vino, ottenuti dai campi limitrofi. L’aspetto della sostenibilità è stato risolto utilizzando tecniche costruttive, tecnologie a impatto zero e fonti rinnovabili per la produzione di energia, in particolare quella a biomassa. L’iniziativa di Tui ha prodotto anche effetti positivi sull’economia del luogo perché le varie attività sono gestite dai locali, così come locali sono le maestranze che lavorano al recupero degli immobili.
Sopra la Rocca di Castelfalfi, ora ristorante. Sotto vista sul borgo di Castelfalfi e le colline che la circondano.
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Albergo Diffuso a Sauris.
L’albergo Diffuso di Colletta di Castelbianco.
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L’albergo Diffuso di Casteldilago.
L’albergo Diffuso di Codeglia.
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L’albergo Diffuso di Soandri.
L’albergo Diffuso di Santo Stefano di Sessanio.
L’albergo Diffuso di Comeglians.
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Ci sono poi esempi virtuosi, di costruzioni di villaggi che nascono dalla volontà degli abitanti stessi di rimboccarsi le maniche quando nessun privato, nessun ente pubblico viene in aiuto. È il caso di Pescomaggiore, piccolo borgo di origini alto medioevali alle porte del Parco Nazionale del Gran Sasso a una decina di chilometri da L’Aquila. Il sisma del sei aprile del 2009 ha distrutto buona parte delle abitazioni e del patrimonio storico-culturale. I tempi lunghissimi dell’emergenza e della ricostruzione rischiarono di portare il paese nell’oblio più totale (già semi-spopolato). Così nacque il progetto “Eva”, un ecovillaggio autocostruito: strutture portanti in legno e una tamponatura in balle di paglia, leggere, tecnologiche e sicure, economiche, costruite dai proprietari-costruttori, senza contributi pubblici. L’obiettivo dunque è quello di bypassare le questioni burocratiche e permettere una ricostruzione all’insegna del rispetto ambientale. Il progetto Eva è stata dunque la risposta repentina e intelligente ad una catastrofe naturale, ha riscontrato difatti un enorme successo e numerosi apprezzamenti da parte di potenziali finanziatori che continuano a sostenere l’opera.
Quella di rendere il borgo un albergo diffuso è una via strategica, ma non l’unica possibile. Abbiamo visto come i piccoli comuni godano sia di un immenso patrimonio paesaggistico e naturalistico, ma anche un enorme tesoro composto da tradizioni storiche culturali ed enogastronomiche. Non c’è dunque da meravigliarsi se la leva che fa scattare un progetto vincente si basa proprio su queste caratteristiche.
In alto, dei ragazzo alle prese con la costruzione delle case dell’ecovillaggio a Pescomaggiore. In mezzo, foto di una manifestazione in piazza a Pescomaggiore. Sotto, vista del progetto dell’ecovillaggio con Pescomaggiore sullo sfondo.
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“Spalancai una porta-finestra, mi affacciai a un balcone, dalla pericolante ringhiera settecentesca di ferro e, venendo dall’ombra dell’interno, rimasi quasi accecato dall’improvviso biancore abbagliante. Sotto di me c’era il burrone; davanti, senza che nulla si frapponesse allo sguardo, l’infinita distesa delle argille aride, senza un segno di vita umana, ondulanti nel sole a perdita d’occhio, fin dove, lontanissime, parevano sciogliersi nel cielo bianco” 6.
Queste le parole che troviamo nella prefazione dell’opera “Cristo si è fermato a Eboli”, di Carlo Levi. Queste le parole che descrivono il paesaggio che lo scrittore ha davanti a sé: il paesaggio suggestivo dei calanchi, nelle terre lucane. Aliano, piccolo borgo di pochissime anime (970) si colloca su uno sperone argilloso e scosceso, sovrasta la Val d’Agri e il torrente Sauro, un paesaggio unico nel suo genere. Nonostante ciò, Aliano non è immune all’ondata di disagio che incombe sulle piccole realtà e anch’esso ha vissuto momenti bui e di desolazione. Nel 2008 c’è stato un tentativo di salvaguardia del borgo, a partire dalla realizzazione del “Parco Letterario”, in onore proprio di Carlo Levi, la cui casa è stata restaurata e ora è possibile accedervi. Sono tanti gli interventi di riqualifica urbana, come il tragitto “viaggi sentimentali”, che ripercorre la vita dello scrittore, o il “percorso dei Calanchi”, oppure la riqualificazione delle piazze o di alcune vie importanti o ancora il recupero di immobili da destinare ad alloggi. Aliano ospita poi il Premio letterario nazionale Carlo Levi, il Premio di Pittura, e alcune mostre. Visitare Aliano è come tornare indietro nel tempo, una vera e propria culla di tesori. Perché allora, nonostante gli interventi sembra non riuscire a convertire il suo trend negativo?
6 Dal libro Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, prefazione.
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Ha una storia leggermente diversa Calcata, borgo medioevale della provincia di Viterbo che ha conservato intatto il proprio patrimonio naturale e storico. Situato su una montagna di tufo, domina indisturbato l’intera valle del fiume Treja, meta di scampagnate e percorsi naturalistici, scenografia nella metà degli anni ‘60 di film western all’italiana. Negli anni ’30 la parte più vecchia del paese è stata ritenuta poco sicura, costringendo così gli abitanti ad allontanarsi dalla propria casa. Negli anni ’60 però, Calcata vede una nuova luce, grazie ad alcune perizie che hanno attestato la sicurezza della rupe, diventando meta di artisti e intellettuali internazionali, trasformandola in un villaggio bohemienne. Gli stessi artisti sono complici di alcune ristrutturazioni di vecchi caseggiati e case abbandonate, e ancora, stalle e fienili oggi ospitano negozi e botteghe artigiane. Il paese ospita anche uno spazio espositivo all’aperto di arte contemporanea totalmente immerso nel verde. Un’ondata positiva e colorata dunque che si è abbattuta su Calcata, rendendolo un borgo armonioso e in pieno equilibro col contesto.
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2.3.2
Chi va piano va sano e va lontano. Santo Stefano di Sessanio, un turismo lento e consapevole.
Una leva dunque che può essere considerata vincente nella riqualificazione di un borgo può essere quella di convertirlo in un luogo di attrazione turistica basato sulle qualità paesaggistiche e architettoniche del posto. Santo Stefano di Sessanio, piccolo comune di soli 110 anime incarna alla perfezione l’esempio vincente di rigenerazione di un borgo ripartendo dalle sue bellezze locali. Si tratta di un piccolo gioiello medievale ancora perfettamente integro nel cuore dell’Abruzzo, arroccato su una collina, tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Le sue stradine e le sue case in pietra calcarea bianca non possono non destare un fascino lontano, tra le scalinate, le stradine e selciati, si snoda Santo Stefano di Sessanio nel quale il tempo sembra essersi fermato, tra case in pietra, porte delle mura antiche e chiese, o ancora, la torre cilindrica medicea.
Indice di Vecchiaia
Densità abitativa ab/kmq
Andamento demografico Santo Stefano di Sessanio 2001-2018. Dati Istat.
Tutti ci ricordiamo del devastante terremoto del 2009, che non ha guardato in faccia nessuno, distruggendo famiglie, distruggendo storie. Santo Stefano non ne è stato esente, e come tanti altri ha subito una sorte catastrofica. Dipendenza strutturale
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Dunque parte così il solito iter del borgo che non ce l’ha fatta e si è lasciato trasportare da un’ondata di malessere generale, che ha portato le persone ad andarsene, prese dalla paura, lasciando un borgo desolato e “vecchio”. Eppure Santo Stefano ha tanto da dare e da raccontare. Già conosciuta fin dai tempi dei romani, Sextantio era già un luogo che proliferava di culture e tradizioni. Il massimo splendore lo ottiene però intorno al ‘500 quando Santo Stefano diviene base operativa della Signoria di Firenze per il fiorente commercio della lana “carfagna”, qui prodotta e poi lavorata in Toscana e venduta in tutta Europa.
Zona sismica
Distanza dai centri e altimetria
Fascia climatica
Zona altimetrica
Classificazione Aree interne
Santo Stefano è storia, e lo si legge solo camminando tra le sue stradine, con i loggiati medicei, i portali disposti ad arco con formelle fiorite, le finestre in pietra lavorate a mano, le bifore meravigliose e le mensole dei balconi. Percorrendo le tortuose stradine si ammirano abitazioni quattrocentesche, tra cui la casa del Capitano, e la torre risalente al Trecento, dalla cui sommità si apre allo sguardo un panorama incantevole che abbraccia le valli del Tirino e dell’Aterno e si spinge sino ai fondali della catena del Sirente e della Maiella, numerose poi le chiese di rilevante importanza storica.
Attività storiche
Abitazioni occupate
Edifici non utilizzati
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Santo Stefano è dunque solo bello? Assolutamente no! Quello che offre il paesaggio non è solo cornice al borgo, ma è anche il carburante del posto, una terra viva e fertile, mai ferma. Difatti il territorio produce ottimi legumi, formaggi pecorini, miele e tartufi, dunque una ricchissima tradizione culinaria. Il piatto per eccellenza? La zuppa di lenticchie, servita con quadratini di pane fritto in olio di oliva. Ottime sono pure le carni degli agnelli allevati nell’altopiano di Campo Imperatore. Potete immaginare posto migliore?
Beni culturali
Superficie comunale
33,14 kmq
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Perché questo gioiello appariva dunque come un relitto abbandonato? Sembrava non ci fosse più speranza per questo borgo, quando l’emigrazione aveva dato il colpo di grazia. Cosa fare di questo immenso tesoro, allora?
Il progetto si declina nel rapporto di reciproca integrità tra territorio e costruito storico, il paesaggio caratteristico dell’Italia Appenninica. Un approccio dunque di restauro conservativo. L’esempio di Santo Stefano è emblematico perché senza costruire nulla di nuovo è riuscito a portare a galla un nuovo modello di sviluppo, basato su un progetto culturale in assoluta autonomia, ribaltando completamente la situazione di quella montagna abbandonata in favore di una valle più proficua. Ci appare dunque chiara la scelta dell’uso di materiale di recupero dello stesso luogo, secondo dunque un dialogo con l’identità dello stesso, mantenendo anche la riproposizione degli elementi originali degli interni, di natura agropastorale. Ma cosa fare quando subentra la necessità di inserire oggetti storicamente non presenti, come armadi o comodini. Kihlgren opta non per elementi contemporanei o di design, bensì manufatti artigianali creati con materiale di recupero, fondendosi perfettamente col contesto. E ancora, per rimanere in linea con l’idea di restauro conservativo, nelle camere il riscaldamento a pavimento corre sotto i sassi, il cotto o il legno originale, non ci sono nè televisore, né frigobar, né telefono. Unica eccezione? La connessione wireless.
Daniel Kihlgren7 ci ha visto giusto e secondo la prospettiva giusta. Un gioiello come Santo Stefano non poteva assolutamente cadere nell’oblio. Ecco allora che, un imprenditore italo-svedese decide di comprare il borgo al fine di ristrutturarlo e renderlo nuovamente vivo, creando un albergo diffuso nell’ottica di un turismo lento e consapevole.
La società Sextantio è riuscita a creare nuovi posti di lavoro, con 25 dipendenti e oltre 300 persone nell’indotto. Ora si contano ben 23 locande e b&b. Tra le stradine troviamo delle botteghe artigiane, calate in uno spazio domestico, in cui possiamo comprare vetri, stoffe, oggetti in ceramica possiamo ammirare nelle stanze dell’albergo diffuso, come per esempio le coperte, prodotte dalle mani sapienti di una tessitrice.
“Con la bellezza ritrovata, nel borgo è arrivata la vita nuova. Quando ci ho messo piede io, a Santo Stefano c’erano solo tre attività ricettive, aperte in estate. Ora sono 15. Il 75% delle case era abbandonato. Nel 2001 arrivarono 280 turisti, dal 2008 ne approdano oltre 7.000 l’anno. Il loro flusso ha bloccato dopo un secolo la fuga dalla montagna e traina l’economia del territorio.” (Daniel Kihlgren)
7 Daniel Elow Kihlgren, imprenditore immobiliare italo-svedese.
Ha fondato la società Sextantio nel 1999, che effettua acquisti e recupero di borghi abbandonati.
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Non dimentichiamoci poi che Santo Stefano è incastonata tra paesaggi che regalano sapori indimenticabili. Difatti, nella Locanda sotto gli archi, ristorante ricavato anch’esso dalla ristrutturazione di un vecchio edificio, si mangia a chilometro zero. I liquori, le tisane e addirittura i prodotti di cosmesi sono prodotti dagli stessi laboratori artigianali che hanno riaperto nel borgo.
Laboratori didattici di arti e mestieri
Si può descrivere il “metodo Kihlgren” con la sigla R.A.R.O., iniziali di Restauro, Autenticità, Rispetto e Onestà. Manutenzione/ristrutturazione di edifici storici
Nel dettaglio: “Dove interveniamo, chiediamo ai Comuni un vincolo di inedificabilità totale: solo restauro, appunto, niente cubature aggiuntive. Autenticità: è quella che cerca un nuovo tipo di turismo. Rispetto: per l’identità paesaggistica, antropologica, storico-architettonica. Prima di intervenire su Santo Stefano abbiamo registrato ore e ore di interviste con chi viveva qui e poi era emigrato, per sapere com’era il borgo al loro tempo. E infine, Onestà: chi vuole ottenere risultati positivi, deve essere onesto.”
Riuso architettonico
Realizzazione botteghe artigiane
Prodotti locali tipici come centralità produttiva e turistica
Posti letto
Recupero di luoghi pubblici (strade e piazze) Elementi del progetto
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2.
3. 1.
4. 6.
5.
73
1. Le strade del borgo risistemate e messe a posto dagli abitanti. 2. La Bottega dell’Artigianato richiama uno spazio domestico vissuto tipicamente dalla donna, con il grande telaio al centro. Nello stesso spazio si possono acquistare gli oggetti di cultura materiale che si vedono nelle stanze, dalle semplici bottiglie in vetro ai bicchieri in ceramica. 3. Il progetto di ricostruzione della parte crollata della torre sceglie di ripristinare integralmente la natura materiale dell’edificio adottando una diversa e innovativa versione dello stesso apparecchio murario, utilizzando il materiale lapideo recuperato dal crollo per la costruzione del paramento esterno ed interno, cui viene interposto un nucleo strutturale realizzato mediante un conglomerato di calce pozzolanica priva di cemento. 4. Le camere dell’albergo diffuso si trovano dislocate sul tutto il centro storico di Santo Stefano di Sessanio. La declinazione di un progetto culturale che si basa sul recupero e la trasmissione della cultura identitaria del territorio in cui si sviluppa. 5. Parte integrante del progetto è il coinvolgimento degli artigiani e dei piccoli produttori del territorio in laboratori didattici e visite guidate alla riscoperta di prodotti tipici che rischiano di scomparire. 6. La Locanda sotto gli Archi, Il Cantinone e La Tisaneria sono tre spazi dell’albergo diffuso, sempre ricavati dalla ristrutturazione di edifici antichi, dedicati al cibo in cui si possono gustare i prodotti tipici che questo territorio offre.
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La leva turistica Perché Santo Stefano è uno degli esempi di buona riuscita di turismo responsabile? Al giorno d’oggi, nell’epoca della globalizzazione, che ha toccato anche il settore del turismo, si rischia di perdere ogni tipo di contatto con il luogo che abbiamo intorno e soprattutto con la sua storia, a causa di pacchetti già preconfezionati su misura.
Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e “viaggiatori.” (AITR)8
Quello che spinge però l’uomo a uscire dalla sua realtà per esplorarne un’altra, è proprio la curiosità di posti a lui non conosciuti, alla scoperta di nuove storie, di nuove culture e tradizioni. Un intervento come quello di Santo Stefano ha centrato l’obiettivo mantenendo intatta la sua genuinità.
Turismo sì, ma ben gestito, il che vuol dire senza generare fenomeni di iniquità sociale ed economica, a discapito dei luoghi ospitanti. Chi partecipa dunque a questa esperienza, turista, organizzatore, comunità locale sono consapevoli di essere parte integrante di un sistema paritario in cui nessuno sovrasti l’altro, bensì una dinamica che tutti devono rispettare.
Dunque non si tratta solo di turismo sostenibile, ma soprattutto responsabile, che prende in considerazione l’influenza del turismo sulla popolazione locale e sullo sviluppo economico del territorio.
8 Associazione Italiana Turismo Responsabile, Opera per
promuovere, qualificare, divulgare, ricercare, aggiornare, tutelare i contenuti culturali e le conseguenti azioni pratiche connessi alla dizione “turismo responsabile”, promuove la cultura e la pratica di viaggi di Turismo Responsabile e favorisce la conoscenza, il coordinamento e le sinergie tra i soci.
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2.3.3
Non solo cornice Terravecchia, una culla di artisti
Il comune di Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, immerso nella Valle Picentina, circondato da una fitta cinta di uliveti, custodisce l’incantevole Borgo di Terravecchia, poco più di 700 abitanti. Un complesso fortificato, che racchiude antiche tradizioni, arte cultura e storia. Spicca per la sua bellezza il Castello, da cui si gode una magnifica vista della vallata e dei monti. Le sue origini risalgono fin dall’anno mille e dopo la caduta dell’impero romano, Federico II di Svevia, nel 1240 ordinò il restauro della rocca, facendola diventare la sua residenza personale di caccia. Terravecchia, come tanti suoi colleghi è un susseguirsi di case e vicoletti racchiusi in un sistema difensivo. Gli edifici ristrutturati sono stati molteplici, ma la mano dell’uomo non ha cancellato i segni del medioevo. Si possono ancora notare i muri di cinta merlati, le torri, le strade acciottolate e le viuzze tortuose che sembrano un vero reticolato capillare e ancor oggi modellano e delineano il centro.
Indice di Vecchiaia
Densità abitativa ab/kmq
Andamento demografico Terravecchia 2001-2018. Dati Istat.
Dipendenza strutturale
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Le case di Terravecchia hanno le medesime caratteristiche, edificate secondo le esigenze abitative dell’epoca: le famiglie vivevano gran parte della giornata a valle per coltivare terre ed allevare animali, mentre appena veniva sera si rifugiavano a monte. Parliamo dunque di fortezze che disponevano di cantine, stalle e cisterne. Terravecchia ha un legame speciale con la lavorazione delle olive, la cui coltivazione ha inciso sull’economia del luogo e sulle tradizioni degli abitanti. Ci sono dei luoghi che ci restituiscono perfettamente lo spirito contadino e medievale dell’antico borgo, i Trappiti o Trappeti, frantoi ipogei.
Zona sismica
Distanza dai centri e altimetria
Fascia climatica
Zona altimetrica
Classificazione Aree interne
Nel borgo esistevano tre Trappiti di differenti epoche, quello restaurato è il più antico, risale al XVII secolo e deve la sua origine a monaci trappisti, che oltre a dedicarsi alla preghiera, amavano dedicarsi al lavoro agricolo ed alla produzione di olive e vino. Attività storiche
Abitazioni occupate
Edifici non utilizzati
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Durante l’anno, si svolgono molti eventi, durante i quali è possibile visitare questi luoghi, contornato da rievocazioni storiche, spettacoli e concerti. Non mancano all’interno del borgo monumenti o chiese storiche, come per esempio la chiesa di San Leone e San Egidio, entrambe risalenti al XI secolo, quest’ultima conserva affreschi del tardo trecento di grande bellezza, o ancora le dimore storiche del borgo, come quella di Federico II, D’Avalos, Casa Angioina, San Egidio, Svevo, Aragonese.
Beni culturali
Superficie comunale
29,64 kmq
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Il borgo, ha subito una lenta ma inesorabile discesa verso il dimenticatoio, fino a quando, grazie all’associazione Borgo di Terravecchia, il paese sembra aver ripreso un po’ del suo antico splendore. L’intervento di riqualifica dl borgo è finanziato dall’Unione Europea, grazie al programma Por Fesr 9 della regione Campania , con la finalità di dotare la località delle infrastrutture essenziali e recuperare edifici significativi per farne un nuovo centro per la formazione tecnica sul cinema, con aule e alloggiamenti inseriti in un albergo diffuso.
Riuso architettonico
Aiuti e integrazione
Il borgo, dopo l’intervento risulta essere un perfetto connubio tra arti e mestieri, musica, enogastronomia, didattica e turismo. L’organizzazione si fa carico della gestione di tutte le attività, gestendo un centro di formazione circa le tradizioni locali per non perderne memoria. Non solo eventi in loco, si possono trovare anche attrattive di impronta outdoor, alla scoperta del territorio grazie a itinerari artistici e storici, turisticoculturali in cooperazione con il lavoro di musei e biblioteche. Numerosi gli eventi e le iniziative del borgo, tra cui l’Olivewood, un’occasione di incontro per la formazione su pittura, fotografia, teatro e vecchi mestieri e il Fest (Festival European Student Theatre) , opportunità per moltissimi studenti di potersi ritrovare e cimentarsi in laboratori artistici.
Accoglienza e integrazione migranti
Realizzazione botteghe artigiane
O ancora, la realizzazione di un percorso turistico “sensoriale” per far conoscere gli edifici architettonici, la storia, l’ambiente, gli usi, la tipicità e unicità dei prodotti, con annesse visite guidate al castello, e laboratori sul mangiar sano. La vera chiave è stata l’abile maestria dell’Associazione nel creare il giusto hype nei confronti di Terravecchia, promuovendo costantemente gli eventi culturali, entrando così nel mirino di più grandi istituzioni.
Recupero luoghi pubblici (strade e piazze)
9 Il Programma Operativo Regionale 2014-2020 (POR) è il
documento di programmazione della Regione che costituisce il quadro di riferimento per l’utilizzo delle risorse comunitarie del FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) per garantire la piena convergenza della Campania verso l’Europa dello sviluppo.
Elementi del progetto
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Alloggi per studenti Edifici di interesse culturale Uliveti Centro di formazione tecnica sul cinema
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La leva culturale Globale e locale sembrano essere due concetti molto differenti tra di loro, ma in verità non è così. E Terravecchia è riuscita molto bene a dimostrarlo. Bisogna infatti reinventare queste piccole realtà, globalizzare la cultura locale, preservando il territorio, ma allo stesso tempo renderlo ben conosciuto attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie e dell’avanguardia telematica. La cultura e i valori che verranno trasmessi saranno locali, ma allo stesso tempo la loro condivisione è globale. Il tema della cultura, che racchiude arte, musica, formazione e letteratura deve essere quindi alla base di un progetto che mira alla valorizzazione di un borgo e delle sue enormi capacità insite nelle piccole opere artigianali.
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2.3.4
Uri: a tutta birra.
Nel mezzo della macchia mediterranea e lussureggiante tra campi coltivati e aspri rilievi di rocce, in provincia di Sassari è situato un piccolo centro storico in via di abbandono, così come tanti altri nel territorio rurale, che ha lasciato posto solo ai vecchi, mentre i giovani vanno a trovar fortuna altrove. Le colline ricoperte dalla rigogliosa macchia mediterranea offre diversi tipi di cereali, vigneti, oliveti e carciofeti: l’agricoltura è la principale ricchezza. Uri si distingue anche per ottimi vini, un’eccellente olio e carciofi, prodotto d’eccellenza, cui è dedicata a marzo la sagra del carciofo, tra le maggiori kermesse agroalimentari sarde, che richiama migliaia di visitatori.
Indice di Vecchiaia
Densità abitativa ab/kmq
Andamento demografico Uri 2001-2018. Dati Istat.
Dipendenza strutturale
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Magico è il territorio attorno a Uri: il lago Cuga, il cui nome deriva da un villaggio scomparso presenta sul fondo vestigia archeologiche, visibili nel periodo di secca. In prossimità delle sponde si trovano quasi dieci ruderi di nuraghi, databili a partire dal Bronzo antico. L’eredità nuragica di gran lunga più rilevante è però nel ‘cuore’ del paese: come il complesso di Santa Caterina, costituito da nuraghe e villaggio, frequentato anche in epoche successive, raro caso di testimonianza nuragica dentro l’abitato.
Zona sismica
Distanza dai centri e altimetria
Fascia climatica
Zona altimetrica
Classificazione Aree interne
Non solo olio e carciofi, ma anche un fiorente commercio di birra artigianale. Un settore nuovo, che suscita interesse e curiosità, e che allo stesso tempo sta offrendo nuove possibilità occasionali, diventando fonte di reddito per molte famiglie. Nel 2005 solo due birrifici producevano la birra artigianale adesso se ne contano ben dieci sparsi in ogni parte dell’isola10. Il secondo birrificio che ha mosso i primi passi è stato il “Dolmen” di Uri.
Attività storiche
Abitazioni occupate
Edifici non utilizzati
10 Borghi re-loaded, Uri.
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Un nome che ha a che fare con la lunga storia della Sardegna, uno dei pochi luoghi al mondo dove ancora si possono ammirare i Dolmen, con i loro 7000 anni circa, insieme agli Stonehenge della Gran Bretagna sono tra i piĂš importanti monumenti megalitici. Beni culturali
Superficie comunale
56,81 kmq
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Il titolare del birrificio, Fabio Scarpa ha avuto una visione davvero lungimirante, e i numeri ne sono la conferma, perché attualmente la Dolmen produce circa ventimila bottiglia aprendosi al mercato regionale e nazionale. Nel 2005 la Dolmen nasce come classica “birra alla spina” , ma è dal 2012 il grande passo avanti: nasce la prima bottiglia con una nuova tecnica di produzione, diversa da quella del fusto. Dalla prima birra “Ale”, bionda ad alta fermentazione se ne accodano altre, come la Pils, la Bock, La Weizen e la Blanche.
Organizzazione di sagre ed eventi
Incentivo alle botteghe artigiane
Il successo è stato quello di non puntare su una tipicità classica del territorio, ma inserire nel contesto un elemento apparentemente fuori luogo, ma che si è, con abile maestria, reinventato nello stesso. Indispensabile il grande lavoro svolto sulla divulgazione del prodotto e sul lavoro di marketing, sia interno che fuori dal Paese. La Dolmen vuole farsi promotore del territorio promuovendo le sue birre e quelle di tutta la Sardegna.
Prodotti locali tipici come centralità produttive e turistiche
Ma non si tratta solo di business privato: il birrificio è portatore di una terra ricca di qualità, dunque in collaborazione con piccoli bar, con le associazioni locali e col comitato per i festeggiamenti, è riuscito a promuovere una nuova grande iniziativa, l’Urifest, il festival delle birre artigianali locali, il cui obiettivo è far conoscere al vasto pubblico il prodotto e divulgarne la cultura.
Elementi del progetto
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La leva produttiva
Investire in una local economy è vincente? Come arma contro la globalizzazione assolutamente sì! Grazie ad una efficiente pianificazione territoriale, ad una attività artigianale consapevole e ad un buon lavoro di marketing è possibile incrementare la capacità economica del luogo.
Investire su un borgo equivale anche a investire sulla sua terra, sui suoi prodotti. Il particolare è sempre più in voga al giorno d’oggi, le persone sono alla ricerca di quel particolare prodotto, proveniente da quel posto piuttosto che da un altro. Dunque investire sui prodotti locali è il motore per rigenerare l’economia, perché vuol dire instaurare un’attività lavorativa, ingranaggio fondamentale per riqualificare un borgo evanescente.
87
2.3.5
Riace, tutto il mondo è paese .
Riace, piccolo borgo della costa jonica, duemilatrecento anime di Reggio Calabria a 300 metri di altitudine. Impossibile non conoscerlo. Ha origini millenarie, i suoi primi abitanti si insediarono in epoca bizantina, hanno avuto la fortuna di poter dare ospitalità ai Santi Cosma e Damiano. “Il mondo intero ha avuto modo di pronunciare il suo nome”.
Indice di Vecchiaia
Il terremoto del 1783, che investì gran parte della Calabria, provocò gravi danni all’abitato di Riace che, negli anni seguenti, riuscì con molti sacrifici a condurre una buona campagna di ricostruzione.
Densità abitativa ab/kmq
Andamento demografico Riace 2001-2018. Dati Istat.
E’ conosciuta nel mondo perché i più famosi reperti della storia dell’arte sono stato ritrovati nelle coste riacesi antistanti, i bronzi di Riace.
Dipendenza strutturale
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Borgo significa luogo fortificato, stretto e circondato da mura, significa ripararsi, rifugiarsi, trovare asilo, proteggersi. Riace è un borgo atipico, non ha le mura. Ed è l’emblema di ospitalità e di integrazione, il cosiddetto Modello Riace: da anni un sistema di accoglienza diffusa dei migranti, diventato un modello di integrazione sociale e di ospitalità ha accolto molti rifugiati, migranti provenienti da molte parti del mondo. Distanza dai centri e altimetria
Il suo modello di integrazione, nato quasi per caso nel 1998 quando una barca di profughi curdi raggiunse le coste di Riace, Mimmo Lucano all’epoca era un professore ma decise di impegnarsi per l’integrazione dei migranti nel paese, poi divenne sindaco.
Zona sismica
Fascia climatica
Zona altimetrica
Classificazione Aree interne
E’ iniziato tutto nel 2001, quando il comune ha aderito al Piano Nazionale di accoglienza. Arrivarono migranti indoeuropei dalla parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia, popoli dall’Eritrea, dalla Nigeria, dalla Somalia, popoli in fuga da guerre infinite.
Abitazioni occupate
Edifici non utilizzati
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In quell’occasione è nata l’Associazione Città Futura, per aiutare i migranti appena sbarcati mettendo a disposizione le vecchie case abbandonate dai proprietari emigrati negli anni dal paese. L’obiettivo era rivitalizzare un comune ad elevato rischio spopolamento. L’Associazione aveva l’obiettivo di gestire le pratiche di asilo e ospitalità dei migranti all’interno del progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che, da quel momento in poi, hanno cominciato a popolare la cittadina.
Beni culturali
Superficie comunale
16,24 kmq
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Utilizzando i fondi europei e incentivi all’edilizia, il borgo ha trovato una nuova rinascita, attraverso piccoli progetti concreti, come aprire vecchie case disabitate e ristrutturandole. Riace è diventato una sorta di villaggio-albergo basato su un turismo non di massa, non si è voluto “sfruttare” la costa, bensì un turismo eco-solidale, volto alla cultura locale. Riaprire le vecchie botteghe artigianali e le imprese edili formate da braccia locali e braccia straniere ha dato una svolta positiva all’economia del luogo.
Sviluppo di laboratori didattici sulle tipicità del luogo
Grazie alle politiche di inclusione, Riace, che ha fatto da apripista al modello Sprar, è riuscita a dare ospitalità non solo ai rifugiati, ma anche agli immigrati irregolari con diritto d’asilo, mantenendo in vita servizi di primaria importanza come la scuola e finanziando il comune con micro attività imprenditoriali legate all’artigianato e all’agricoltura.
Restaurazione beni culturali
Non è strano allora credere che il modello Riace abbia fatto parlare tanto di sé, attirando l’attenzione dei media sia locali che nazionali. Lucano è riuscito a congiungere la questione dell’accoglienza con il rilancio del Paese. I migranti infatti hanno contrastato il fenomeno dello spopolamento, recuperando le case abbandonate. Si sono salvati i vecchi mestieri e le attività artigianali tramandandoli ai nuovi arrivati. Ad oggi Riace ha ospitato più di 6.000 richiedenti asilo in tutto.
Riuso architettonico
E’ un progetto con forti principi, ma che deve far fronte ad una legge non semplice, composta da tanti fronzoli burocratici. E’ un modello che ha rischiato di inciampare più volte, anche per mancanza di fondi. Lo stesso lucano si è messo in una posizione poco piacevole, contro la mafia e contro lo Stato. La rivista “Fortune11” ha inserito Lucano al 40esimo posto nella classifica degli uomini più influenti del mondo. “Ha salvato la città”, così cita la rivista, la cui popolazione oggi include migranti provenienti da 20 nazioni, ringiovanendo l’economia del comune […] il modello è stato studiato e adottato come esempio nell’ambito della crisi dei rifugiati in Europa”.
Incentivo alle botteghe artigiane
Attività basate sulle tipicità
Sistemazione di strade e piazze 11 Fortune è una rivista che tratta di business globale pubblicata
Elementi del progetto
dalla Time Inc.’s Fortune, fondata da Henry Luce nel 1930.
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Ma il modello è esportabile? Lucano risponde “Ci vuole gradualità”, ma, sottolineava, “dove prevale l’umanità, si tratta sempre di un modello esportabile”.
Ripristino servizi primari
L’integrazione diffusa. Circa settanta mediatori culturali assunti dal Comune, facenti parte del sistema Sprar, assicurano l’integrazione dei migranti. Sulla scia dell’esperienza di Riace, in questi anni i Comuni della Locride hanno aperto le porte ai profughi. Gioiosa Jonica, Stignano, Benestare, Africo e altri. Nel 2017 erano 194 i Comuni che in tutta la Calabria hanno aderito al sistema di accoglienza dei migranti Sprar. Scuole. Mentre in altri piccoli centri le scuole chiudono per mancanza di studenti, l’asilo finanziato dalla Regione Calabria nel 2017 ospita 30 bambini, tutti di diversa nazionalità, dando lavoro a 14 operatori. Le scuole (primaria, elementare e media) sono attive e multietniche allo stesso modo, così come anche il doposcuola. Fattoria. Nella fattoria didattica, inaugurata a inizio 2018, la gente del luogo lavora insieme ai migranti allevando animali e coltivando prodotti della terra con metodi equi e sostenibili. Ambulatorio. C’è anche un ambulatorio medico con un pediatra e un ginecologo che visitano gratuitamente gli abitanti del paese.
Nella foto Domenico Lucano a Riace.
Albergo diffuso. Con un mutuo di 51 mila euro erogato da Banca Etica si è intervenuti su case abbandonate da decenni, di proprietà di emigranti mai più tornati. Con il consenso dei proprietari, sono stati rimessi a posto infissi e impianti e ospitati turisti solidali da tutto il mondo. Attraverso il recupero delle case abbandonate (una ventina) sono stati creati in totale 100 posti letto.12
12 Come funziona il modello Riace , Rassegna.it, 2018.
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La leva sociale
L’accoglienza verso i migranti, l’attenzione verso gli aiuti per il prossimo sono elementi che possono innescare un nuovo ingranaggio per dare nuova vita ad un borgo. Un approccio sociale verso la riqualifica di un comune in via di spopolamento distoglie lo sguardo da quel turismo volto solo al profitto, e promuove la conservazione e la tutela del territorio e dell’identità delle popolazioni locali, innescando comunque dei fattori di crescita economica producendo un costante flusso di persone che assicurano uno sviluppo solidale. Del resto, è un’opportunità di incontro tra culture differenti, che si plasmano a vicenda con il solo e unico scopo di rendere il territorio di nuovo vivibile e che porti vantaggi sia alle persone locali che a quelle più bisognose, siano esse migranti, anziani o disabili.
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2.3.6
Borghi in rete, mal comune mezzo gaudio.
Confcooperative Abruzzo ha dal 2016 attivato un progetto di sviluppo economico e sociale consistente nella promozione di Cooperative di Comunità in ambito regionale. Le Cooperative di Comunità normate dalla Legge Regionale nr. 25/15, sono imprese del territorio formate dagli stessi abitanti dei singoli borghi e si sviluppano in particolare nelle aree interne e nelle economie più fragili a rischio spopolamento.
Costituiscono le Cooperative di Comunità dei singoli borghi la pluralità dei soggetti che vivono e animano ambiti territoriali definiti e ne diventano soci sia i singoli abitanti (come persone fisiche) che le Associazioni (Proloco, associazioni varie del paese ecc.), ma anche le imprese (persone giuridiche come albergatori, commercianti, ristoratori, artigiani ecc.). Completano il quadro dei soci anche le persone non residenti ma a quel luogo legate per interesse, passione o per puro spirito di sostegno, a cui sta a cuore la sopravvivenza della comunità del borgo perché qui hanno patrimoni, parenti o amici (come per esempio persone ormai emigrate altrove ma a quel borgo legate per storia propria e ricordi).
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Strutture ricettive
Cantine vinicole
Stazione ferroviaria
Servizi sociali ed assistenziali
Ospedale
Gestione del verde pubblico
Scuola superiore
Artigianato
Scuola media
Valorizzazione e servizi per l’agricoltura
Scuola elementare
Locali e strutture pubbliche
Scuola materna
Albergo diffuso
Campeggio
Raccolta rifiuti
Parco divertimenti
Servizi al settore turistico
Progetto casa e bottega
Gestione e valorizzazione delle risorse ambientali
Casa di riposo
Gestione delle risorse culturali
Centro di riabilitazione
Sviluppo servizi innovativi
Impianti sciistici
Gestione emporio
Bosco
Servizi per la comunità
Castello/torre
Itinerari turistici
Lago
Produzione prodotti tipici
Riserva naturale
Orto sociale
Parco nazionale
Strutture ricettive
La costituzione delle Cooperative di Comunità è dunque la più importante infrastruttura economico e sociale che prova a sviluppare micro-economie possibili partendo dall’organizzazione di un’impresa locale fatta proprio dagli abitanti e che fa delle risorse endogene la propria forza. Trasformare gli abitanti in imprenditori è la sfida che il mondo della cooperazione propone come modello di sviluppo sostenibile al Paese Italia perché parte dal basso e organizza il territorio delle aree interne in un intervento sinergico di economia assegnando alle popolazioni il ruolo di protagonista ed artefice principale del proprio futuro.
Le singole Cooperative di Comunità sviluppano progetti articolati in ambito di turismo, servizi alla popolazione, valorizzazione e gestione dei patrimoni (immobiliari e ambientali), cultura e tradizioni. I progetti sono sempre la somma ed il mix di differenti tematiche e sono per questo articolati e plurimi e mai uguali a se stessi perché di volta in volta il risultato degli specifici bisogni e delle singolarità dei luoghi che li generano.
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L’importante lavoro svolto da Confcooperative negli ultimi anni in Abruzzo ha permesso di dar vita a quello che ormai non è più un progetto ma già una realtà, ovvero la costituzione di 11 Cooperative di Comunità e la candidatura alla costituzione di altre realtà che è valso il primato nazionale quale regione più attiva in questo ambito di sviluppo economico (forse proprio per la maggiore necessità che i nostri territori interni sempre più richiedono). Oggi si sta attivando la seconda fase di questa infrastruttura, costituendo la Rete dei Borghi Cooperativi fatta dalle 11 Cooperative di Comunità costituite e nel breve futura anche dalle altre che si stanno organizzando. La Rete dei Borghi Cooperativi d’Abruzzo è il primo Distretto Economico e Sociale al mondo sviluppato dalle comunità locali (e dunque non a livello istituzionale) ed è per questo un caso pilota molto attenzionato da numerose realtà (Fondazioni, Enti, Organizzazioni ecc.).
Vista sul Lago di Barrea dal borgo omonimo.
Rete dei Borghi Cooperativi d’Abruzzo costruisce un sistema di impresa di area vasta in tema di Turismo, di Servizi alle popolazioni e di Prodotti tipici e Culturali ed è la possibile risposta economica che parte dalla organizzazione del territorio partendo dal basso, dagli abitanti residenti e dalle risorse presenti.
Confcooperative nazionale ha finanziato con un recente bando specifico lo sviluppo di questa forma d’impresa innovativa che comunque vede a livello italiano alcuni casi di successo come la Cooperative di Comunità de “i Briganti di Cerreto” di Cerreto d’Alpi (MS), “La valle dei Cavalieri” di Succiso (RE), la Cooperative di Comunità di Melpignano (LE).
A tal fine tutte le 11 Cooperative di Comunità hanno condiviso la Carta dell’Habitat di Confcooperative che sancisce il legame indissolubile tra luoghi e abitanti e assegna alle popolazioni residenti l’onere della cura del Bene Comune sia esso ambientale che culturale in coerenza con quanto promosso dalla Comunità Europea nella “Convenzione di Faro” e che per esempio fa del paesaggio un valore. La Rete dei Borghi Cooperativi d’Abruzzo è dunque un progetto che posiziona la regione quale eccellenza e innovativa prassi da replicare in diverse aree italiane e del mondo.
In particolare Fondo Sviluppo di Confcooperative ha stanziato un plafond di 500.000 euro per contribuire con premi di nascita e per il sostegno alle startup di queste realtà oltre ad attivare processi di tutoraggio e altri interventi di sostegno e accompagnamento alla crescita per il primo triennio.
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Anversa degli Abruzzi – Anversiamo Ad Anversa, che conta 340 abitanti, si è formata una cooperativa che si occupa di gestire l’emporio del paese, unico punto vendita, e lo spazio da adibire ai servizi per la popolazione. La cooperativa punta a gestire anche i servizi turistici sostenibili, ad organizzare diversi itinerari e percorsi per turisti, nonchè itinerari volti a valorizzare i prodotti tipici locali, ad assistere alle lavorazioni artigianali in loco, quali la produzione di formaggio oltre che alla gestione delle greggi.
Ciò attraverso l’utilizzo e la stabile organizzazione delle risorse fisiche, materiali e morali dei soci e dei terzi, che a qualsiasi titolo professionale, di volontariato o quali utenti, partecipano nelle diverse forme all’attività ed alla gestione della Cooperativa. La Cooperativa di Comunità, oltre alle attuali attività di trekking ed escursioni nel territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, servizio trasporto turisti con navetta, e al Centro Estivo per bambini di tutte le età aperto a turisti e locali, è altresì impegnata a creare sviluppo turistico di qualità attraverso nuovi progetti atti ad offrire un servizio di accoglienza e ospitalità innovativa, di incontro e socializzazione che possano portare Barrea a essere intesa non solo come semplice destinazione di soggiorno, ma anche come luogo di esperienze e attività autentiche tipiche del territorio.
Vista sul Anversa degli Abruzzi.
Barrea – Vallis Regia La Cooperativa di Comunità “Vallis Regia” nasce il 19 novembre 2014 con lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità con la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini, si ispira ai principi che sono alla base del movimento cooperativo mondiale ed in rapporto ad essi agisce. Questi principi sono: la mutualità, la solidarietà, la democraticità, l’impegno, l’equilibrio delle responsabilità rispetto ai ruoli, lo spirito comunitario, il legame con il territorio, un equilibrato rapporto con lo Stato e le istituzioni pubbliche. La Cooperativa si propone, attraverso lo svolgimento di attività artigianali, turistiche, agricole e di servizi, di promuovere la solidarietà e la condivisione tra i soci a prescindere dalla loro posizione economica, sociale e morale. Operando secondo questi principi intende organizzare una impresa che persegua, mediante la solidale partecipazione di tutto il gruppo sociale che ad essa fa riferimento, scopi sociali, economici ed educativi.
Negozio di artigianato locale a Barrea.
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Campo di Giove – Tavola Rotonda Tavola Rotonda è il nome di una delle montagne della Majella che si affaccia su Campo di Giove, ma è anche il simbolo dell’intento cooperativo paritario per antonomasia, dove Uno vale Uno e dove attorno a un tavolo senza capi o subordinati ciascuna componente della Comunità è accolta e le sue idee discusse e valutate. E’ con questi due pilastri che la neonata Cooperativa comincerà a strutturarsi, Ambiente e Comunità.
Le attuali tendenze turistiche indicano una ricerca meticolosa e programmata verso le offerte che valorizzano gli aspetti culturali (tradizioni e folclore), ambientali (natura e cura del paesaggio), sociali (artigianato, cucina e agricoltura tradizionali), architettonico (decoro urbano e cura del centro storico); per questo lavoreremo affinché Campo di Giove possa proporsi come meta per coloro che scelgono per i loro viaggi il Turismo Esperienziale in un Borgo Autentico immerso in una Natura Incontaminata all’interno del Parco Nazionale della Majella.
Si lavorerà per la cura del territorio, l’assistenza alle fasce più deboli, la realizzazione di una rete di collaborazione tra gli operatori commerciali, servizi ai cittadini, decoro urbano, agricoltura tradizionale e quant’altro serva a presentare la nostra comunità sul mercato turistico. Col decrescere delle disponibilità di risorse economiche da parte delle amministrazioni dei piccoli centri montani, la Cooperativa di Comunità è lo strumento appropriato attraverso il quale i cittadini stessi potranno prendersi carico dello sviluppo economico e soprattutto sociale del territorio, che è sottoposto sempre più allo spopolamento e alla fuga dei nostri giovani ragazzi. Una società inclusiva deve permettere ai propri membri più anziani di accedere ai servizi assistenziali di cura della persona e della casa attraverso figure residenti nella comunità stessa, che avranno più a cuore le persone, le famiglie e le loro storie.
Collelongo – La Giostra La cooperativa intende sviluppare all’interno del complesso scolastico un centro multifunzionale per la formazione e trovare sinergie tra gli anziani e i più piccoli. Nel cortile della scuola la realizzazione di un orto sociale che andrà a sostenere la mensa scolastica. La cooperativa seguirà progetti di sviluppo anche per la gestione sostenibile del bosco e della filiera energetica, con la scuola riscaldata da un impianto a biomasse di origine forestale. E’ la comunità che per la prima volta si mobilita per dare un impulso nuovo alla vita sociale, all’ economia e al benessere delle famiglie, con lo scopo di permettere, a chi vuole, di rimanere o di tornare in paese reinventandosi e mettendosi in gioco con le proprie capacità, idee e risorse. Le comunità delle aree interne disagiate hanno una sola possibilità di sopravvivere, ed è quella di fare sistema, di creare opportunità interne, di offrire alle famiglie più di quanto possa fare una città. Per far questo, però, bisogna lavorare insieme, al di là di ogni barriera personale o sociale
Cima della Tavola Rotonda, 2403 m.
Allo stesso tempo le famiglie più giovani devono avere a disposizione servizi extrascolastici, ludici e sportivi la cui assenza ha troppo spesso spinto le stesse a spostarsi altrove. 100
La Giostra è formata da soci che versano un’unica quota minima di 25 euro e che sono residenti o non residenti, giovani o anziani, lavoratori o in cerca di lavoro, soci attivi o semplici sostenitori che credono nel progetto, attività commerciali già esistenti, associazioni locali, amministratori e cittadini.
A distanza di tre mesi dalla sua creazione, la cooperativa ha cominciato a fare i primi passi verso l’attivazione di servizi, coinvolgendo da subito nuovi soci: un servizio prenotazione e timbratura impegnative, la spesa a domicilio, pulizie domestiche, manutenzione del verde pubblico, manutenzione domestica. Altri servizi di assistenza sono in procinto di partire, nell’attesa che la burocrazia faccia il suo corso. La cooperativa ha preparato anche dei pacchetti turistici, coinvolgendo la comunità con tutte le sue offerte commerciali e non, con un occhio sempre al glorioso passato, vivo delle aree archeologiche e nel museo che ospita dei veri tesori. Si organizzano attività culturali che al momento coinvolgono bambini e ragazzi, e si cerca di puntare più in alto per dare ai ragazzi la possibilità di non dover abbandonare i loro luoghi e di poterci vivere dignitosamente, arricchendoli e amandoli con le proprie iniziative. Si è creato un settore agricolo, al momento inattivo per via di condizioni meteorologiche un po’ avverse e piccoli intoppi burocratici.
Incontro tra bambini delle scuole e anziani a Collelongo.
La cooperativa darà l’opportunità a chi la vuole cogliere ( e a chi l’ha già colta) di impegnarsi in queste molteplici attività. Alcuni privati ci hanno donato le loro terre e questo è un grande salto verso la coesione sociale a cui una cooperativa di comunità dovrebbe puntare.
La comunità è volta al giovane che vorrebbe aprire un’attività commerciale o un’azienda con la paura di non farcela da solo; al padre di famiglia appassionato di una coltura ma che non la manda avanti perchè non ha abbastanza terreno né gli strumenti necessari; allo studente che lavora in nero per pagarsi gli studi; alle persone che possiedono terreni incolti e vorrebbero renderli produttivi pur mantenendone la proprietà. Corfinio – La Mosca Bianca La cooperativa di comunità “la mosca bianca” nasce il 23 aprile 2018, in seguito ad un lungo periodo d’incubazione durato quasi un anno. Nasce dall’esigenza di restituire a questo piccolo comune (1000 anime) la luce che merita , in virtù del suo passato e del suo presente. Corfinio è una piccola realtà come molte nell’Abruzzo interno, in cui l’intraprendenza della gente e le risorse offerte spontaneamente da questi meravigliosi luoghi rendono possibile la realizzazioni di ambiziosi progetti. Quello che a volte manca è una coraggiosa spinta.
Alcuni dei reperti custoditi nel museo di Corfinio.
Un piccolo nucleo di soci fondatori , unitamente ad una fortunata congiuntura di eventi che ha visto una sempre maggiore attenzione a questa nuova figura di cooperativa, ha dato questa spinta. 101
Fontecchio – Le Fonti
Prodotti tipici di Pizzoferrato con il marchio Ajavedé.
Pizzoferrato – Ajavedé Comunità di 1103 abitanti, con la Cooperativa “Ajavdé”, che tradotto in italiano dal dialetto significa “voglio vedere”, vuole valorizzare la patata e il fagiolo autoctono di Pizzoferrato, attraverso un punto vendita e la coltivazione. La cooperativa promuove il consumo dei prodotti locali presso tutte le strutture recettive del paese. Si occupa del piano neve e dei servizi di gestione di pulizia, dello sfalcio dell’erba ed ha ambiziosi progetti per la gestione di un complesso turistico per lo sviluppo e la gestione sostenibile delle risorse forestali. Alla base del progetto di sviluppo locale c’è la vocazione di riportare a sè i servizi di Pizzoferrato. Il primo atto è stato rappresentato dal progetto del Comune che ha promosso la nascita di una stazione di carburante “PizzOil” auto rifornita dagli stessi abitanti.
Via del centro storico di Fontecchio.
Fontecchio, con i suoi 357 abitanti è un paesino che si è mosso in fretta nella ricostruzione post sisma. Il paese è stato infatti ricostruito, ma si è spopolato talmente tanto che l’amministrazione comunale sta lavorando ad un progetto “casa bottega”, con il quale offrire una casa e un locale per attività commerciali. La cooperativa si occuperà inoltre della valorizzazione delle risorse forestali attraverso l’attivazione di un impianto a biomassa che riscalda la scuola.
La Comunità, rispetto ad altre cooperative ha la peculiarità di dover avere soci dal 5 al 10 per cento residenti nel comune, con la possibilità di operare in più settori, prendendo in affidamento lavori di pubblica utilità, come la manutenzione del verde, il piano neve, l’assistenza sociale, il trasporto scolastico, partecipando ai bandi del Comune o di altri enti, ampliando poi la sfera di attività nei settori turistico, culturale e agricolo, potendo gestire anche esercizi commerciali.
Pescasseroli – Castel del Mancino La Cooperativa Castel Mancino è nata a Pescasseroli il 13 Settembre 2017. Una nuova realtà presente su tutto il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise; la compagine sociale è composta da 11 soci fondatori tutti con una gran voglia di cooperare, per creare nuove opportunità di lavoro. La cooperativa si basa su valori di serietà, onestà e professionalità.
Ad aderire sono stati giovani inoccupati, agricoltori ed anche titolari di attività commerciali e di ristorazione, proprietari di seconde case che cominciano ad intravedere pure una prospettiva economica in questa cooperativa; e ancora pensionati e cittadini che hanno già un lavoro, ma che aderiscono per solidarietà, per dare un sostegno ad una realtà che rappresenta una concreta possibilità di sviluppo locale per la loro terra ed anche la via per rendere il paese sempre più coeso.
Pescasseroli, con i suoi 2212 abitanti, ha la Cooperativa Castel Mancino che si occupa della gestione di uno chalet turistico e lavora per la valorizzazione del territorio attraverso la gestione di un’ex stazione ferroviaria per la promozione di prodotti ed itinerari paesaggistici.
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Prezza – Apprezziamoci A prezza, con 952 abitanti, nasce la Cooperativa di comunità ApprezziAmoci, frutto di un accurato lavoro di squadra che consentirà alle singole realtà del territorio di fare rete grazie al sostegno del presidente regionale di Confcooperative. Essa ha lo scopo di gestire i servizi ai cittadini e puntare alla valorizzazione delle produzioni come la coltivazione del carciofo e della vite, gestione delle risorse ambientali e culturali, sviluppo di servizi innovativi. La comunità ha bisogno di nuovi stimoli e di nuovi strumenti per evitare lo spopolamento e rispondere ai bisogni primari della popolazione. Ed è per questo che si è voluto coinvolgere la popolazione e renderla protagonista per creare sviluppo sul territorio. La cooperativa si occuperà non solo dei servizi alla popolazione, ma ci sono anche due importanti progetti sui quali si comincerà a lavorare: coltivazione del carciofo e il laghetto da pesca”. Scorcio sui vicoli di Santo Stefano di Sessanio.
Vista sul Borgo di Prezza.
Tollo – Fabbrica Tollo
Santo Stefano di Sessanio – Ru v’iciniat
Una cooperativa di comunità per Tollo, con un innovativo modello sociale in cui i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi. Si chiama Fabbrica Tollo e sarà presieduto da Giustino De Luca.
Santo Stefano Sessanio, dopo esser stato gravemente danneggiato dal sisma de L’Aquila, il borgo è stato velocemente ricostruito. Il turismo è una leva importante per l’economia locale. Gli abitanti si sono organizzati per una serie di servizi al settore turistico e nella raccolta dei rifiuti, dell’umido che viene caricato a dorso di mulo tra i vicoli del borgo e riposto nelle compostiere. Inoltre c’è la volontà di sviluppare un centro unico culturale per lo sviluppo di attività legata alla valorizzazione di prodotti.
Le cooperative di comunità permettono alla cittadinanza di attivare forme di economia sostenibile, di mutuo soccorso, di integrazione sociale. Nello specifico Fabbrica Tollo si occuperà di agricoltura e artigianato, i principali settori che caratterizzano l’economia del paese. Spazio anche per sociale, servizi assistenziali, manutenzione del territorio e del verde, gestione di locali e strutture pubbliche. «È un grande risultato», commenta il sindaco, «un primo passo per aiutare a creare opportunità di lavoro, per erogare servizi ai cittadini e migliorare la vita dell’intera collettività tollese».
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Il percorso che ha portato alla creazione della cooperativa di comunità si è articolato in più tappe e incontri pubblici. Per far capire di cosa si tratta e i vantaggi che comporta, in passato sono stati portati ad esempio esperienze di altre realtà italiane come Melpignano (Lecce) o Castel del Giudice (Isernia).
Cantina Tollo.
Tufillo – L’alveare La cooperativa “l’alveare” nasce all’inizio del nuovo millennio nell’ambito culturale della cooperazione cattolica e dell’impegno civile oratoriano. Generazioni diverse si alleano e costituiscono la cooperativa nel giugno del 2001. La forma societaria è subito declinata sulla possibilità di consentire inserimenti lavorativi soprattutto per le fasce più deboli. Nel corso del tempo, l’impegno è quello di consolidare la missione anno dopo anno, creando nuove occasioni di sviluppo, incrementare le attività e aumentare in numero delle persone occupate. Nella nuova sede, la cooperativa è operativa con diverse attività. A ciascuna di esse è dedicato uno spazio adeguato per lo svolgimento delle lavorazioni, garantendo la sicurezza degli operatori.
Tufillo.
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Il sistema di Borghi
Le cooperative di comunità sono spinte da un animo comune, quello dei cittadini, che provano a innescare sviluppo e a seminare speranza in quei territori in cui lo Stato non è sempre stato in grado di assicurare a tutti i servizi necessari.
petrolifera andrebbe a fare bunkeraggio. L’ulteriore valore aggiunto sarà quello del network tra le undici cooperative, grazie al quale si scambieranno esperienze e turisti per dar vita a una visione unica di sistema14.
Una rete solida di borghi potrebbe diventare una stabile infrastruttura sociale del territorio che trasforma gli abitanti in impresa con progetti in tema di turismo, servizi alla popolazione e valorizzazione dei patrimoni ambientali, culturali e immobiliari. È una struttura autentica perché fatta dagli abitanti che investono sul proprio futuro.
Esiste dunque un filo conduttore che tiene insieme questa rete: si può riaprire l’emporio del paese, si rafforza il trasporto scolastico dei bambini e quello degli anziani, si valorizzano i prodotti agroalimentari locali e tutti i servizi legati all’ospitalità e al turismo, si fa manutenzione del territorio e del paesaggio assieme alla gestione sostenibile delle risorse forestali.
Le cooperative sono dunque delle sentinelle sparse nel territorio, capaci di intercettare e di capire i bisogni delle comunità. Dove lo Stato si ritira perché non è più in grado di organizzare servizi e risposte e il privato neanche pensa a cimentarsi, le cooperative favoriscono l’autorganizzazione dei cittadini mettendoli in condizione di rispondere alle proprie esigenze13.
La vera forza del lavorare unitamente è che si guarda dallo stesso punto di vista, perché sono i cittadini i veri protagonisti e dunque il vero motore sociale dei piccoli comuni, ci si approccia al problema insieme, e insieme ci si rialza.
Nella vocazione dei territori c’è anche chi “auto rifornisce” la stazione di carburante, perché in un’ottica di diseconomia di scala nessuna compagnia
13 Maurizio Gardini, presidente Confcooperative. 14 Massimiliano Monetti, architetto e presidente
Confcooperative Abruzzo.
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di
I Borghi riattivati
L’Abaco 2.3.7
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Abaco dei progetti
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Le leve
Turistico
Sociale
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Rete di Borghi
Produttivo
Culturale 110
2.3.8
Il toolkit
Aver analizzato un ventaglio così ampio di esperienze, ci ha dato la possibilità di capire la struttura di ogni progetto e le dinamiche che si sono susseguite. Per questo abbiamo voluto racchiudere i diversi dispositivi in un toolkit, uno strumento che permetta di avere sotto mano diversi possibili interventi progettuali.
Il ripristino di questi spazi è una grande opportunità per creare nuovi flussi turistici all’insegna della riscoperta di antichi tesori e soprattutto della cultura.
Trasformazione del borgo in una galleria a cielo aperto
Manutenzione/ristrutturazione di edifici storici I borghi sono delle vere e proprie culle di monumenti storici di grande valore architettonico, un valore che deve essere preservato e curato. Ecco perché una delle azioni principali nella riqualifica di un borgo è quella di recuperare questo tesoro e farne la sua punta di diamante. Il progetto di recupero del palazzo Turrà di Olivadi ne è un esempio, un perfetto connubio tra antico e nuovo. Un palazzo dell’800 abbandonato e ridotto a rudere ospita ora un nuovo centro culturale con annessa biblioteca mediatica. Recupero di palazzi storici e monumenti, ma anche di castelli, di cui moltissimo borghi sono pieni: è il caso di Senarega, con il restauro e il recupero del vecchio castello dei Fieschi al fine di restituire spazi in parte culturali in parte ricettivi.
Il borgo è una perfetta cornice per chi vuole lasciarsi trasportare da un’atmosfera di altri tempi, che vuole essere trasportato in un’altra epoca. Il fascino del borgo è insito nelle sue stradine strette, nei suoi saliscendi, nei suoi scorci pittoreschi. L’edificato è un “naturale” sfondo scenografico, e gli attori siamo noi. Perché allora non rendere giustizia a questi incantevoli posti? Ci è riuscito Castelbasso: dopo un’accurata riqualifica del borgo e delle sue aree naturali, il borgo è diventato una galleria a cielo aperto, grazie ad un progetto chiamato “Castelbasso Progetto Cultura”, iniziativa che si svolge nei mesi estivi, con l’obiettivo di creare un flusso di natura sia artistica sia culturale. La scelta di coniugare turismo e cultura si traduce in molteplici possibilità, come l’apertura di vecchie botteghe artigiane per creare un insediamento stabile di artisti, che con le loro opere sparse per le vie del borgo creano delle suggestive esposizioni artistiche. E’ successo a San Sebastiano Curone, che con l’iniziativa “artinborgo” ha dato via ad un flusso nuovo capace di incentivare l’economia del borgo. 111
Recupero spazi pubblici (strade piazze) Un borgo tendenzialmente ha alle spalle secoli di storia, una storia che però non ha dato giustizia al luogo, rendendo ciò che era obsoleto ancora più vecchio, per un abbandono del territorio e la conseguente mancata manutenzione.
Organizzazione di sagre ed eventi Economia, lavoro e turismo sono tre degli aspetti fondamentali per la riattivazione di un borgo, che, se legati assieme possono creare maglie indissolubili. Il borgo visto come un luogo dalle mille risorse e attrattive giova all’economia locale, che può giocare sull’utilizzo di spazi aperti con iniziative come sagre, eventi, matrimoni, concerti e tanto altro. È un espediente che è possibile replicare pressoché ovunque, ce lo dimostra il borgo di Lavariano, vivace centro artigianale e commerciale che ha saputo sfruttare le risorse giuste, organizzando eventi a livello nazionale e internazionale, manifestazioni di interesse culturale, sociale e turistico.
Dunque il recupero di queste vecchie strade o di alcune piazze è essenziale per la vita di un piccolo comune, che trova in questi spazi il luogo della convivialità. La ristrutturazione di piazza Italia e di piazza Municipio di Baschi ne è un esempio, in cui vengono reinterpretati in chiave contemporanea gli spazi insediativi storici. A Senarega fondamentale è stato l’intervento della riqualificazione della piazza e soprattutto del percorso pedonale principale all’interno del borgo.
Un prodotto tipico locale è l’occasione per metterne alla prova le sue qualità e divulgarne la cultura circa la sua lavorazione e produzione. Uri, con la sua birra artigianale “Dolmen” ha creato un movimento attorno al suo prodotto locale ed è riuscito a rinnovare l’economia del borgo tramite astute mosse di marketing e di organizzazioni di eventi.
Riqualifica del verde pubblico La rigenerazione di un borgo riguarda ogni aspetto della vita al suo interno, e la manutenzione e la cura del verde pubblico portano la qualità dell’ambiente del borgo ad un livello superiore. 112
Creazione/manutenzione di zone naturali La manutenzione del borgo non riguarda solo le piazze, le strade, le vie pedonali, ma riguarda anche tutto ciò che concerne le zone naturali, come piccole soste verdi o parchi. La riqualificazione di queste zone portano non solo qualità all’ambiente circostante, ma anche nuove opportunità di ritrovo.
Creazione di percorsi naturalistici Il borgo non è solo un piccolo gioiello racchiuso da qualche mura, ma dialoga con l’intorno in perfetta simbiosi. Spesso, i luoghi che vi sono attorno sono distese incontaminate di natura preziosa, che invita il passante a inoltrarsi per scoprirne le peculiarità. Perché allora non recuperare questo immenso tesoro e rivalutarlo come ingranaggio nella catena del recupero di un borgo? La creazione di percorsi naturalistici a mobilità lenta, percorsi di trekking, ciclovie rappresenta un’opportunità sicuramente da valutare, in un rapporto reciproco tra scoperta del luogo e della sua conoscenza. Rocchetta, in provincia di Ascoli Piceno, rappresenta il punto di partenza per passeggiate all’aria aperta su antichi sentieri montani, trekking, equitazione, escursioni in mountain bike. Un’occasione d’oro per scoprire i prodotti tipici locali e per conoscerne la cultura.
Creazione/manutenzione di zone naturali La cultura di un borgo è spesso associata alle sue antiche tradizioni locali, di natura agroalimentare ma anche tradizioni legate a vecchi mestieri che tendono ormai a scomparire. Ripristinare queste attività lavorative impreziosisce l’economia del posto e lo rende unico nel suo genere. Recuperare le vecchie strutture e farne delle botteghe artigiane e degli atelier di artisti è ciò che ha reso Bussana Vecchia, piccolo borgo della Liguria di nuovo attiva. Oggi ogni singola abitazione, strada, fontana, angolo o piazza è da considerarsi una vera e propria opera d’arte. Un intervento di rigenerazione di questo tipo è facilmente riproducibile, ed è da considerarsi fondamentale per il ripristino di un borgo in via di abbandono. 113
Quando si ricostruisce il vissuto di artisti e scrittori, non solo si cerca di individuare dove abitarono o soggiornarono, ma spesso si racconta il loro stile di vita, si individuano gli spazi dei loro incontri. Gli itinerari possono essere uno strumento di conoscenza, per la conservazione del patrimonio culturale, e un’opportunità per scoprire nuovi aspetti del territorio.
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio Quando un borgo possiede delle qualità produttive strettamente legate al territorio è facile che queste vengano utilizzate per organizzare e gestire il territorio. Questo è successo a Taurasi dove puntando sul turismo si sono creati degli attrattori per quest’ultimo a livello enogastronomico che hanno organizzato il territorio in funzione loro.
Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali Il disagio insediativo all’interno di un piccolo comune, come abbiamo visto è condizionato da elementi ben precisi, tra cui la lontananza dai servizi primari. L’infrastruttura in Italia a volte “taglia” letteralmente fuori queste realtà, omettendole dalle relazioni quotidiane, e a volte dismettendo alcune linee ferroviarie. Vale la pena allora ripensare a questa infrastruttura persa e reinserirla nel circuito, recuperando o a volte solo potenziando le linee ferroviarie o ciclabili, per un turismo sostenibile e green.
Creazione itinerari storico-culturali Una forma di turismo che muove all’interno di un borgo delle economie è per esempio quello dello slow tour, attento ai diversi aspetti del territorio. Il percorso è delineato secondo le specificità e la vocazione del luogo, dando vita a offerte diversificate: percorsi eno-gastronomici, storici, architettonico– artistici, religiosi, musicali, naturalistici, demoantropologici, letterari, ecc.
E’ successo in val Venosta, con la riattivazione delle linee infrastrutturali storiche e della creazione di nuove attrezzature e servizi, senza barriere architettoniche. Ogni treno dispone di due moderni vagoni per un totale di 104 posti a sedere e oltre 124 posti in piedi. Uno dei due vagoni è accessibile alle persone disabili, famiglie con passeggini e sportivi con biciclette, riconoscibile dall’esterno grazie all’apposita segnaletica.
Sono percorsi rivolti sia ai turisti che preferiscono dei tour non standardizzati scoprendo nuove realtà, ma soprattutto agli stessi abitanti del luogo che non sempre riescono a cogliere la ricchezza delle loro terre. 114
Realizzazione di aree museali su attività storiche del borgo Prodotti locali tipici come centralità produttiva e turistica
Ogni borgo porta con sé delle preziose tradizioni, siano esse di natura artigianale o di natura agricola. Il voler rendere giustizia a tali mestieri dimenticati è un’occasione per farli conoscere su vasta scala, sfruttando i luoghi che lo stesso borgo offre.
L’Italia minore conserva al suo interno il ventaglio più ampio di prodotti DOP e IGP. Un intervento che mira a valorizzare la produzione agricola locale trae sempre il suo vantaggio, considerando che il turista di oggi mira continuamente al prodotto per eccellenza e soprattutto di nicchia. Possiamo trovare diversi esempi di località che hanno fatto della loro mercé il vero motore del borgo: il progetto de “I Villaggi della Tradizione” di cui fanno parte Calabritto, Castelvetere sul Calore, Taurasi e Volturara Irpina, o ancora il paesino di Solomeo, il borgo di Cerquelle, il borgo di San Vitale, Rocchetta, Taurasi, Uri.
A Calitri, in provincia di Avellino, negli ambienti restaurati ha trovato sede il Museo della Ceramica comprendente sezioni storiche, dalla preistoria e protostoria all’epoca medioevale e rinascimentale, fino alla produzione di maioliche ottocentesche e novecentesche e spazi espositivi per la maiolica artistica contemporanea con laboratori e botteghe di restauro, nonché il Centro Studi sulla Ceramica ed appositi spazi per la didattica e per manifestazioni culturali ed artistiche di vario genere.
L’obiettivo dei villaggi della tradizione è quello di aumentare i flussi turistici, mirando ad un pubblico specializzato, in particolare legato al settore enogastronomico.
Castelnuovo dei Sabbioni invece, attraverso il restauro della vecchia miniera di lignite, ha trovato l’occasione per riconvertire i locali dell’ex canonica nel Museo delle Miniere, in cui viene tramandata la storia della sua allora attività economica portante, con l’obiettivo di non perderne memoria.
Il borgo di Cerquelle invece ospita un bio-agriturismo didattico, che integra le conoscenze scolastiche con esperienze all’aperto e a contatto con l’ambiente esterno, educando circa la sensibilizzazione verso il biologico e verso i prodotti locali con annesse le diverse tecniche produttive. Il borgo di San Felice, nel cuore del Chianti ospita delle antiche cantine vinicole, dove gli ospiti possono fare visite guidate per approfondire tutto quanto concerne il mondo del vino, occasione immancabile sia per l’intenditore di vino che per il semplice amatore grazie ai consigli di enologi esperti. Non mancano i ristoranti che garantiscono esperienze enogastronomiche memorabili, con piatti della grande cucina toscana accompagnati dai migliori vini della tenuta. 115
Aiuti e integrazione La leva sociale è uno dei motori per far rivivere un borgo, sia esso caduto in disgrazia dopo un terremoto, sia esso caratterizzato da un indice di vecchiaia gravemente alto. Si può e si deve intervenire. Ce lo dimostra il paese di Riccia, che ha basato la sua filosofia di intervento su un turismo sociale, nel particolare quello parasanitario. Riccia offre ospitalità diffusa nel paese, che oltre alle attività ricettive offre servizi di natura socio-sanitaria e servizi culturali e di intrattenimento. Un sistema di accoglienza a 360 gradi, con locali e spazi comuni volti all’assistenza e alla riabilitazione.
Accoglienza e integrazione migranti Il disagio insediativo dei borghi è caratterizzato, come abbiamo visto, anche da un decremento continuo della popolazione. Portare un nuovo flusso di persone basato sull’accoglienza e sull’integrazione potrebbe ribaltare questo trend negativo. Riace, Caulonia e Stignano, in Calabria, hanno dimostrato come questi comuni non siano solo terre di passaggio ma anche opportunità di lavoro, nel campo dell’agricoltura e nel campo dell’edilizia. Accogliere i migranti nelle case sfitte dei borghi per reinserirli in un’economia è un modo per far rivivere il borgo che giova sia per i richiedenti asilo, sia per gli abitanti del luogo, innescando anche uno scambio di culture e di tradizioni.
Trovare nelle situazioni critiche delle nuove opportunità significa reinventarsi, e ce lo documentano quei borghi colpiti dai terremoti. In provincia dell’Aquila, a Poggio Picenze sono nate delle strutture per il welfare sociale post terremoto: il nuovo Centro di aggregazione sociale per giovani e anziani, rivestito in legno e coperto con tetto giardino, la cui capacità è di circa 130 persone. All’interno si trovano la hall d’ingresso, due sale polivalenti, la biblioteca con postazioni internet, una sala musica, servizi, magazzino e spazi aperti, ma coperti.
Per inserire i rifugiati politici nel mondo del lavoro si sono poi inaugurati dei laboratori artigianali per la formazione professionale.
Poggio Picenze, inoltre, aderisce al progetto Growing Up15 ,con l’obiettivo di promuovere un nuovo modello di cittadinanza attiva attraverso percorsi di prevenzione, grazie alla coesione di Amministrazioni Locali, servizi, realtà del privato sociale e cittadini residenti.
15 Growing up, piano di sviluppo e di trasformazioni: il progetto.
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Il senso del progetto è creare le condizioni per cui i giovani fruitori, attraverso un supporto formativo e di tutoraggio nell’arco di un anno, possano sviluppare insieme un’idea progettuale che porti alla padronanza degli obiettivi da raggiungere, basati su tre canali principali: alimentazione e consumi ecosostenibili, sport e spazi ricreativi, sviluppo di capacità relazionali intra ed extra familiari sane attraverso la costruzione di percorsi formativi16.
Si può estendere questo concetto ad un paese? Sì, e Mondavio ne è l’esempio lampante. È un borgo solidale, dove esiste un vicinato solidale che si concretizza con l’aiuto reciproco, in termini di condivisione (cassa comune), di apertura e di accoglienza. Mondavio si impegna in azioni come l’affido familiare, il sostegno di ragazze madri, l’aiuto alla disabilità, e ricerca l’eterogeneità dei partecipanti ma soprattutto famiglie con figli per creare un gruppo forte che cresca insieme.
Aiuto a famiglie meno abbienti Un altro modo per rigenerare un borgo nel campo sociale, è quello di pensarlo come un borgo solidale. Nei grandi centri urbani esistono i condomini solidali, il cosiddetto co-housing. non si tratta di una comune, né di un ecovillaggio.
Ripristinare servizi primari
Il cohousing è un’etichetta che racchiude esperienze diverse. Persone che scelgono di condividere alcuni spazi ma soprattutto alcuni aspetti del quotidiano. Un modo per migliorare la qualità della vita basato sulle buone relazioni e l’aiuto reciproco. Un fenomeno ancora di nicchia ma in crescita, che in Italia non ha ancora un riconoscimento ufficiale17. È un’ alternativa alla fatica di affrontare da soli la modernità, un modo per concedersi lussi che altrimenti nessuno, da solo, potrebbe permettersi, e per vincere la solitudine, quella dei bambini e quella degli anziani.
In un intervento di rigenerazione è importante la disponibilità di servizi di prima necessità. L’occasione è quella di ripensare questi servizi in maniera nuova ed innovativa, pensando anche alle possibilità che offre il borgo. Spesso viene unito al recupero di edifici antichi. La soluzione è il ripristino di edifici storici inserendovi servizi primari per la comunità, mantenendo un simbolo della storia del posto e dandogli un nuovo scopo di utilità pubblica.
All’insegna dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico. 16 Programma di “comunità del benessere”, individua nei Comuni
della zona est del territorio aquilano capacità di trasformazione e di innovazione. 17 Cos’è il Cohousing, COhousing.it – building collaborative life.
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Valorizzazione di beni culturali I beni di interesse culturale, sono considerati da tempo non solo come valori in sé da salvaguardare ma anche come risorse da usare a livello educativo, economico e sociale, in particolare per lo sviluppo dei territori, soprattutto sotto il profilo turistico18. Risulta evidente dunque il potenziale ruolo formativo dei beni culturali, contrastando fenomeni di esclusione e coinvolgendo in primis le comunità locali, portando un arricchimento culturale della popolazione, che diventa essa stessa soggetto partecipante e custode attiva del patrimonio, in un clima di coesione sociale e senso di appartenenza al territorio. Sul piano pratico questi principi e forme collaborative quando sono attuate ripagano con risultati molto positivi.
Edifici rimovibili Si può intervenire sui borghi tramite l’utilizzo di strutture removibili o semi-removibili, collocate sapientemente lungo le vie del paese oppure nelle piazze. Nel borgo di Paraloup, in Piemonte, per ritrovare la memoria della borgata, la Fondazione Nuto Revelli ha incentivato assieme ad altri enti il progetto di recupero: una doppia memoria basata una sulla guerra partigiana che si svolse a Paraloup e una sulla vita contadina che si svolgeva in loco prima dell’abbandono da parte dei suoi abitanti. Il progetto consiste nella ricostruzione delle case con progetto architettonico innovativo, armonicamente inserito nel paesaggio per mantenere la memoria del luogo ed allo stesso tempo sostenere un recupero ecosostenibile, secondo la logica della reversibilità, ogni intervento di restauro potrà essere rimosso
Il castello Monticelli, della frazione Castiglione della Valle, nel Perugino, dopo essere stato attentamente restaurato lasciando tutto l’apparato caratteristico medievale, rappresenta ora una location invidiabile adatta a svariati eventi, concerti, feste, matrimoni, servizi di benessere e relax. Si tratta dunque di una nuova macchina economica che ha portato nuovi flussi al borgo. A Montisi, una parte del castello all’interno del borgo è adibita alla Piccola Accademia Musicale di Montisi, che offre un centro di ispirazione per i musicisti di tutto il mondo, offrendo corsi di formazione, master class e workshop, con particolare interesse verso suoni che sembrano ormai perduti, come quello del clavicembalo, impedendo dunque che strumenti di questo tipo entrino dritti nel dimenticatoio.
18 G. Sciullo, “I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare -
una spesa, un investimento” in Aedon n°3/2017.
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Interventi volti all’autosufficienza energetica Gli ecovillaggi sono delle comunità basate esplicitamente sulla sostenibilità ambientale e biologica, dove gli abitanti vivono secondo modelli di sostenibilità ecologica, socioculturale, ed economica per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Laboratori didattici di arti e mestieri
Tutti i residenti vivono secondo uno stile di vita alternativo ai classici e comuni modelli socioeconomici più diffusi. Essenziale è l’uso di energie rinnovabili e di soluzioni a zero impatto ambientale, come l’alimentazione per esempio, basata su permacultura o altre forme di agricoltura biologica. Le abitazioni possono essere costituiti da case antiche in pietra o dalle più rivoluzionarie case in lamellare di legno coibentato19.
Riqualificare un borgo vuol dire anche ripristinare i vecchi mestieri di un tempo, tradizionali e che non devono essere dimenticati, ma tramandati alle generazioni future. Adibire dei laboratori di arti e mestieri all’interno del borgo è un’occasione per far conoscere le maestrie del territorio oltre che creare una nuova comunità fatta di interessi comuni.
Agli inizi del 1990, quando Torri Superiore contava un solo abitante, una nuova comunità decise di insediarvisi, progettando un piano di recupero sostenibile e rispettoso del contesto. Torri Superiore è un esempio molto interessante di Ecovillaggio la cui società è a misura d’uomo e di ambiente: stile di vita a impatto zero, utilizzo di pietre e legno, uso di fonti rinnovabili come il fotovoltaico. Si sperimentano modalità nuove di condivisione di beni, come il cohousing, riducendo così i costi. Si sperimentano nuovi metodi di sostentamento, come la messa a coltura dei terreni agricoli circostanti connessa ad una produzione interna. L’ecovillaggio è dunque una sorta di centro di sperimentazione, in cui si testano pratiche di agricoltura e di cucina, di sistemi di riscaldamento, di tecniche edili, si sperimentano nuove didattiche, nuove economie, nonché nuove forme sociali.
19 Gli ecovillaggi in Italia, da eticamente.net
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Per un Borgo Autentico essere “intelligente” dovrebbe significare essere in grado di investire nelle risorse presenti e adottare politiche innovative e coraggiose ispirate ad una visione strategica del futuro”21.
Manutenzione del territorio Le aree interne sono caratterizzate da zone fragili, predisposte a inondazioni e a frane. Occorre dunque un programma di manutenzione del territorio, come la raccolta delle acqua piovane, l’utilizzo di tecniche contro la desertificazione e la siccità, mettere in sicurezza i versanti franosi, mettere a disposizione un patrimonio boschivo sotto-utilizzato. Telelavoro
La gestione del patrimonio ambientale è occasione per creare delle smart communities, basate sulla sensibilizzazione del territorio, innescando nuovi processi sia nell’ambito relazionale che occupazionale.
Come funziona il telelavoro? L’idea di far lavorare i dipendenti da casa è nata negli Anni ’70, con l’arrivo sul mercato dei primi PC che, pur non disponendo di accesso ad alcuna rete, facevano già ipotizzare ad alcuni sociologi la possibilità di svolgere molte mansioni senza doversi recare in ufficio. Alla fine degli anni ’90, negli Stati Uniti i telelavoratori erano circa 16 milioni, mentre in Europa, grazie anche alla spinta della Commissione e delle Pubbliche amministrazioni le persone che lavoravano da remoto erano in quegli anni circa nove milioni. Si tratta dunque di un modo di lavorare che non dipende dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda, grazie all’uso di strumenti informatici, si ha quindi una notevole flessibilità dell’organizzazione dello stesso lavoro.
Diverse le azioni dirette sul campo: l’associazione Borghi Autentici20 , per esempio, ha lanciato un nuovo progetto strategico chiamato “Uranos”, il cui scopo è “quello aprire una riflessione che dovrà coinvolgere gli Amministratori e i cittadini dei borghi per sviluppare e condividere progetti ed azioni locali sui temi della tutela e valorizzazione del paesaggio, dell’adattamento al cambiamento climatico e resilienza. Lo scopo è quello di promuovere, nei piccoli e medi Borghi, un laboratorio di innovazione sostenibile in cui sperimentare soluzioni, idee e progetti per mettere a punto un modello di uso del suolo a ridotto impatto ambientale, affinché il paesaggio considerato sempre più un bene comune nella disponibilità di tutti i cittadini residenti e temporanei e che si rafforzi la resilienza nella comunità e la capacità amministrativa pubblica nei confronti del cambiamento del clima e per far fronte in modo efficace ai fenomeni di dissesto e/o agli eventi problematici o estremi sul piano metereologico e naturale.
20 L’Associazione che riunisce piccoli e medi comuni, enti
territoriali ed organismi misti di sviluppo locale, attorno all’obiettivo di un modello di sviluppo locale sostenibile, equo, rispettoso dei luoghi e delle persone e attento alla valorizzazione delle identità locali. L’obiettivo: riscoprire i borghi italiani quali luoghi da vivere, sostenere e preservare. 21 URANOS: cielo, territorio e comunità, Associazione Borghi Autentici d’Italia.
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La storia di Colletta di Castelbianco è una vera e propria rivincita contro il disagio insediativo. Borgo telematico dal 1992, che grazie ad un gruppo di imprenditore e dell’architetto genovese Giancarlo De Carlo ha trovato nuovo respiro. Le case sono state ristrutturate nel loro assetto medievale, cablate con cavi a fibra ottica e lo stesso Borgo è nodo Internet ad alta velocità. Inoltre nel borgo è stato istituito l’eOffice Colletta, un moderno luogo di lavoro e affari dotato della più alta tecnologia. Colletta ospita regolarmente seminari, addestramenti professionali, dibattiti, ma anche eventi culturali, come mostre e concerti, nonché eventi enogastronomici.
Per fare alcuni esempi: A Bajardo nasce il borgoalbergo, il centro viene ristrutturato, recuperando le parti del borgo antico, con interventi nel campo della bioedilizia e nel campo energetico. A Casteldilago, frazione del comune di Arrone l’Amministrazione Comunale con alcuni enti privati hanno avviato una strategia di recupero e valorizzazione del borgo storico con interventi di restauro conservativo, rispettando le caratteristiche tipologiche e architettoniche degli immobili originari, il ripristino di grande parte delle infrastrutture e la ristrutturazione di edifici storici. Gli edifici recuperati sono stati adibiti ad attività turistico-ricettive, realizzando un albergo diffuso, con ristorante, servizi culturali, spazi di benessere. La strategia di intervento si basa sulla integrazione del borgo e del suo paesaggio caratterizzato da aree naturali protette e risorse territoriali, nuove filiere produttive e fattori culturali specifici. Non diverso l’intervento a Comeglians, in Friuli Venezia Giulia, che con il suo albergo diffuso ha ampliato la sua offerta ricettiva basata principalmente sul turismo montano. L’albergo diffuso è un modello molto adatto ad innescare la rinascita dei borghi abbandonati e costituisce un buon riferimento per essere replicato sulle Alpi o sull’Appennino, magari con sperimentazioni originali dove turismo ed economia locale possano essere declinati con varietà e originalità di soluzioni.
Riuso architettonico Diverso il riuso abitativo che ha caratterizzato il borgo di Airole, dove alcuni stranieri, tramite passaparola, hanno acquistato quelli che erano considerati ruderi o poco più, li hanno sistemati e sono venuti ad abitarci, salvando il cuore del borgo. Il mercato immobiliare è praticamente saturo, gli appartamenti vanno a ruba e i prezzi si aggirano sui 2.000 euro a metro quadro.
Nel 2018, secondo l’Osservatorio del Riuso si sono susseguite una serie di esperienze che hanno portato alla qualificazione efficiente di alcuni borghi, grazie alle politiche di sostegno sociale, a nuove formule di ospitalità e creatività, ad uno sguardo più attento verso il patrimonio abbandonato, al rifiorire di studi e ricerche sul campo.
Il recupero completo del Borgo Castello, invece ha dato la possibilità di creare negli ambienti restaurati il Museo della Ceramica comprendente sezioni storiche e spazi espositivi per la maiolica artistica contemporanea con laboratori e le botteghe di restauro.
La strategia dell’albergo diffuso si è sviluppato negli anni come un esperimento di rinnovamento dell’offerta turistica integrata tentato da innumerevoli comunità rurali, collinari o montane, con molteplici variazioni sul tema, per dimensioni, qualità, modello gestionale e strategia ricettiva. Si è arrivato in alcuni casi e progettare un significante network di ospitalità territoriale, mettendo mano al vasto patrimonio abitativo abbandonato. 121
Il borgo medievale di Sieti ha realizzato un sistema di accoglienza e di permanenza che mira a piacevoli soggiorni in alloggi turistici ricavati in immobili rurali, palazzi nobiliari e conventuali, arredati con stile, fondendo l’antico con i più moderni comfort. La tenuta di Pischiello, in Umbria, pregevole complesso architettonico allora praticamente in rovina, dopo essere stata comprata da una società ospita ora il centro di ricerca di livello internazionale, che avrebbe dovuto occuparsi di meccatronica e di materiali speciali per il settore automobilistico. La “Cittadella dell’Innovazione” fa parte del Distretto tecnologico dell’Umbria ed è diventato un luogosimbolo, che punta oltre che allo sviluppo turistico anche a quello economico e occupazionale. Per quanto riguarda la gestione degli edifici recuperati e rifunzionalizzati, un’altra sfumatura interessante è data dal recupero del borgo di Vagli, che propone un modello di comproprietà tipo “fractional ownership”: chi acquista ha la possibilità di comprare una porzione di proprietà sottoscrivendo con i restanti comproprietari un contratto di gestione e di uso della proprietà. La condivisione della proprietà dà diritto a un numero minimo di settimane di permanenza esclusiva (proporzionalmente alla porzione di proprietà acquistata) più una disponibilità variabile. Il riuso architettonico si fa carico di meccanismi come la vendita simbolica a “1 euro” delle case abbandonate. Una strategia che ha preso piede in molti comuni italiani a serio rischio di abbandono. Interessante l’esperienza di Borgomezzavalle, in Piemonte, che propone l’obbligo per l’acquirente di presentare, entro due anni, la pratica edilizia di ristrutturazione. O ancora, nel comune di Terre Roveresche, dopo la fusione di cinque paesi è stato messo a punto un regolamento mirato all’acquisizione di beni di proprietà privata abbandonati, destinandoli, una volta diventati di patrimonio comunale, alla riqualificazione e al riuso, anche attraverso la cessione a terzi.
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Il toolkit Manutenzione/ristrutturazione di edifici storici
Trasformazione borgo in una galleria a cielo aperto
Riqualifica del verde pubblico
Organizzazione di sagre ed eventi
Recupero luoghi pubblici (strade piazze)
Creazione di percorsi naturalistici
Creazione/manutenzione di zone naturali
Realizzazione botteghe artigiane
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio
Creazione itinerari storico-culturali
Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali
Realizzazione di aree museali su attivitĂ storiche del borgo
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Prodotti locali tipici come centralitĂ produttiva e turistica
Accoglienza e integrazione migranti
Aiuti e integrazione
Aiuto a famiglie meno abbienti
Ripristinare servizi primari
Valorizzazione di beni culturali
Edifici rimovibili
Interventi volti all’autosufficienza energetica
Laboratori didattici di arti e mestieri
Manutenzione del territorio
Telelavoro
Riuso architettonico
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3.1 3.1.1
L’INSUFFICIENZA STRUTTURALE DEI PROGETTI Uno su mille ce la fa
E’ sufficiente intervenire sul singolo borgo per ripristinarne l’economia? E’ sufficiente investire su quel borgo particolare, su quello specifico territorio e ridarne valore? A volte sì, altre volte invece no. Molti borghi giocano sulle loro naturali bellezze: le mura storiche, l’antico castello medioevale, quel particolare parco che circonda il paesino, un prodotto tipico. Non è una strategia sbagliata, ma forse non è la giusta prospettiva verso cui guardare, e nonostante il grande patrimonio, spesso non è comunque sufficiente. Di fatto quei comuni che stanno scomparendo letteralmente in una nuvola non hanno sempre patrimoni inestimabili “già pronti”, se anche quelli che potrebbero avere un potenziale non sempre riescono a superare l’esame del tempo e invertire la tendenza di spopolamento, come possono anche solo pensare di farlo quelli che questo patrimonio non ce l’hanno. Che fare allora di questi borghi? Non hanno davvero niente da regalarci?
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Tante volte un borgo rinasce grazie alla mano del privato, come ci ha dimostrano Daniel Kihlgren. Ciò non è sbagliato, anzi. C’è bisogno di qualcuno che creda in queste preziose realtà, qualcuno che veda in loro del potenziale. Ma è anche vero che questi stessi attori sono affascinati da un patrimonio che di per sé è già bello. Santo Stefano di Sessanio era già un gioiello, serviva qualcuno che lo rispolverasse. Perché l’amministrazione non ha visto quelle stesse opportunità che invece Daniel è sapientemente riuscito a cogliere? È tuttavia comprensibile che di fronte ad azzardi imprenditoriali, come quello di Santo Stefano di Sessanio, una amministrazione non possa assumersi un rischio, soprattutto economico, così importante, vista la situazione in cui si trovano già questi piccoli comuni e la bassa sicurezza che danno questi progetti di riattivazione. È necessario trovare una base da cui partire, uno zoccolo, una risorsa su cui puntare, su cui fondare questi progetti così che possano essere più solidi e dunque anche meglio riproducibili. Mantenendo sempre la necessità di poter essere ogni volta adattati alle diverse caratteristiche specifiche di ogni borgo.
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3.1.2
La tabella di marcia
Salvare il pianeta è un impegno “insopportabile”, se pensiamo di essere gli unici a sacrificarci. Ma se vediamo che lo fanno anche gli altri tutto cambia. Facciamo un passo indietro. Abbiamo visto nei capitoli precedenti l’enorme capitale e il patrimonio naturale, storico e culturale delle aree interne. Si sono analizzati quali fenomeni queste caratteristiche possono innescare sul territorio. Un patrimonio sotto-utilizzato1. Ce lo dice Davide Pettenella2 , nel suo contributo sul volume “Riabitare l’Italia”, a cura di Antonio de Rossi. Riassumendo il suo pensiero in poche parole: ci deve essere un cambiamento di paradigma. Un nuovo modello che si basi su una gestione “adattiva” del patrimonio forestale, “un adattamento non solo rispetto ai cambiamenti del contesto socio-economico, ma anche del clima, che stimola la creazione di boschi polispecifici, con piante distribuite omogeneamente nelle diverse classi d’età, regolarmente diradate, con valori di necromassa non eccessivi nelle aree vulnerabili agli incendi, ben serviti da strade e piste, possibilmente inserite in un mosaico di forme diversificate di uso del suolo (boschi, pascoli, campi, coltivazioni arboree a fianco di aree lasciate alla loro evoluzione naturale e totalmente protette)”3.
Cosa fare di questo patrimonio mal gestito? Nell’ultimo decennio è cresciuta la consapevolezza che il nostro pianeta dovrà affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici imputabili a cause naturali e all’azione dell’uomo.
Ed è proprio l’ambiente montano dove sono particolarmente evidenti le modificazioni del paesaggio, del clima, della fauna e della flora, con tutte le conseguenze immediate e a medio termine sull’economia di aree già considerate critiche.
1 Si ricordi cap. 1.2.2 “Sensibilizzare è meglio di vincolare”. 2 Davide Pettenella, professore ordinario presso l’Università
di Padova, dove insegna prevalentemente in corsi di studio internazionali, materie collegate all’economia e politica forestale. Di recente la sua attività di ricerca si è focalizzata sull’economia di mercato dei prodotti e dei servizi forestali, sulla responsabilità ambientale e sociale delle imprese coinvolte nel sistema forestalegno e sull’economia delle biomasse a fini energetici. 3 Pettenella, Cambiamento di un paradigma, Boschi e green economy: un progetto necessario, Riabitare l’Italia, a cura di Aldo Rossi, 2018.
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Ma anche con conseguenze di più lungo periodo sulla sicurezza ambientale e sulla diminuzione di risorse naturali sfruttabili per produrre energia, quindi sui presupposti della stessa vivibilità di quei territori. Inevitabile un possibile aumento dello spopolamento e dell’impoverimento degli stessi territori, in termini di capacità produttive, di rendimento, di efficienza, di vitalità. Abbiamo visto la collocazione delle aree interne e la loro relazione col contesto, prevalentemente montano e appenninico. È così folle allora considerare queste zone come il grande bacino verde dell’Italia? Un grande motore che può far scattare quei meccanismi giusti, dar vita alle economie più consone al contesto riportando qualità a quei territori di disagio insediativo grazie all’utilizzo di energia pulita, contribuendo così a diminuire le emissioni di gas terra.
Per lottare efficacemente contro le emissioni di gas serra, generalmente considerati tra i maggiori responsabili dell’innalzamento progressivo della temperatura media, occorre seguire le indicazioni internazionali di riduzione del 75% delle emissioni degli stessi. L’obiettivo richiesto ai Paesi industrializzati è di ottenere entro il 2050 una riduzione del 50%. In Europa l’obiettivo indicato dalla Commissione Europea è del 20% entro il 2020, nel contesto del cosiddetto “20-20-20”, cioè: - riduzione del 20% dell’emissione di gas serra; - riduzione del 20% dei consumi di energia globali; - raggiungere il 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili.4
4 Energia di Montagna – Una strategia -Documento di Posizione
Euromontana, Marzo 2010.
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Obiettivi europei e italiani fissati per il 2020 e proposti per il 2030 nel PNIEC
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3.1.3
Perché investire sulle aree interne
La Strategia Energetica Nazionale individua nel risparmio energetico e nelle energie rinnovabili due delle sette azioni-chiave con cui si prefigge di perseguire i quattro obiettivi strategici al 2020 di riduzione dei costi dell’energia, di decarbonizzazione del sistema economico, di rafforzamento della sicurezza degli approvvigionamenti e di rilancio della crescita, puntando sull’ autoconsumo, sulla costruzione di filiere corte, sull’efficienza energetica, sull’investimento nella ricerca e nello sviluppo. Perché però, sempre nella stessa Sen viene riservato all’Italia il ruolo strategico di diventare hub europero del gas, grazie alla costruzione di infrastrutture per lo stoccaggio, come i rigassificatori oppure i nuovi gasdotti, come il gasdotto trans-adriatico (TAP, Trans Adriatic Pipeline)?5
La centrale elettrica a carbone “Andrea Palladio” a Marghera, Venezia.
Oltre agli obiettivi citati in precedenza, la nuova strategia nazionale che opera fino al 2030, prevede la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025. Perché questo avvenga l’effetto NIMBY (Not In My Back Yard) dovrà essere annullato e dunque i cittadini dovranno essere consapevoli di accettare nuovi impianti a fonti rinnovabili e di ridurre i consumi.
Ma la strategia dell’Unione europea per garantire questa decarbonizzazione energetica ha assegnato al gas naturale un ruolo di primo piano. Nei programmi della maggior parte degli Stati membri, Italia compresa, questa fonte fossile dovrà rimpiazzare l’attuale potenza fornita dal carbone, traghettando le economie verso un futuro energetico più stabile ed ecologico. Secondo Legambiente ora servono scelte coraggiose per rilanciare questi interventi, a partire dalla Legge di Bilancio, dopo anni in cui la produzione da rinnovabili ha smesso di crescere in Italia. Altrimenti il rischio è che la produzione da carbone sia sostituita dal gas, vanificando gli obiettivi nella lotta ai cambiamenti climatici. Critico anche il Wwf sulla scelta del Governo di puntare al gas come fonte di transizione verso la decarbonizzazione6.
5 La valenza politica e sociale della questione energetica nelle
aree interne, Giovanni Carrosio, Riabitare l’Italia, 2018. 6 Cosa prevede la nuova strategia energetica nazionale fino al 2030, articolo pubblicato su Lifegate di Cecilia Bergamasco.
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“La letteratura scientifica - si legge nella nota stampa del Wwf - ci dice come il gas non debba essere oggetto di massicci investimenti in una fase di transizione già iniziata e avanzata, giacché questo impedirebbe di puntare sulle tecnologie a zero carbonio e, quindi, non consentirebbe di conseguire gli obiettivi climatici stabiliti dall’accordo di Parigi, ossia di contenere l’innalzamento delle temperature planetarie entro i 2°C rispetto al periodo preindustriale, puntando a 1,5°C. Oggi occorre puntare direttamente sulle fonti rinnovabili”. Le aree interne - che ricordiamo rappresentano la maggior parte del territorio italiano - hanno bisogno di un nuovo ruolo chiave in questa storia, sfruttando il loro legame con i problemi legati al dissesto idrogeologico, puntando alla creazione di filiere energetiche locali.
Le aree interne si collocano su un fronte di innovazione socio-produttiva rilevante: si trovano a svolgere un ruolo di avanguardia in una transizione che sembrerebbe non aver preso ancora preso ancora una posizione univoca
I modelli delle smart grids7 e delle smart communities sono storicamente incardinati nelle aree interne. Prima della loro marginalizzazione, in seguito a processi di accentramento economico-produttivo nelle grandi città, i nessi localizzativi tra produzione di energia e risorse ambientali erano molto spiccati. Inoltre, in molte aree interne, le cooperative di utenza e le esperienze di comunità nella gestione dell’energia erano già presenti nella seconda metà dell’ottocento8. Questo è quello che Carrosio vede nella prospettiva futura per le aree interne, e cioè vedere l’energia, in questo caso energia pulita, come mezzo per uno sviluppo locale e inclusione sociale. Gli stessi consumatori fanno parte di questo grande progetto, fatto di produzione e di consumo: cioè sono sia providers che detentori di quote degli impianti stessi, sia stakeholders locali. Giovanni Carrosio. 7 La smart grid è la rete di distribuzione dell’energia elettrica
dotata di sensori intelligenti che raccolgono informazioni in tempo reale. 8 Le aree interne come luoghi destabilizzanti in una fase di transizione, Giovanni Carrosio, Riabitare l’Italia, 2018.
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3.1.4
Gli obiettivi verdi della SNAI
Proprio la Strategia Nazionale delle Aree Interne punta molta attenzione alla questione energetica, facendola diventare uno degli assi potenziali attorno al quale costruire le azioni di sviluppo e promuovere innovazione sociale.
L’Europa mette a disposizioni fondi FESR (Fondo Europeo Sviluppo Regionale) in tema di energie rinnovabili ed efficienza energetica per circa:
“Il tema emerge - dice Giovanni Carrosio9 - in termini di controllo di una risorsa primaria (l’energia prodotta con l’acqua, il sole, il vento, le biomasse) come fattore di accumulazione originario capace di creare ricchezza da reinvestire in azioni di sviluppo locale” Nelle aree interne la ristrutturazione energetica degli edifici esistenti deve fare purtroppo i conti con una popolazione prevalentemente anziana, restia a investimenti con prospettive di ritorno di lungo periodo. E con un mercato immobiliare poco dinamico, che depotenzia gli strumenti di mercato adottati a livello nazionale, come l’obbligo di certificazione energetica nelle compravendite. Eppure produzione e risparmio di energia risultano essere fattori chiave per le aree interne.
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5,7 miliardi di euro (inclusa la mobilità sostenibile per circa 2 miliardi di euro)
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1,5 miliardi nelle regioni più sviluppate, 200 milioni nelle regioni in transizione, 4 miliardi nelle regioni meno sviluppate
I fondi FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) pari a 1,5 miliardi di euro per tutta l’Italia, per lo sfruttamento delle bioenergie. Secondo la Strategia Energetica Nazionale bisogna puntare sull’autoconsumo, sulla costruzione di filiere corte, sull’efficienza energetica, sull’investimento nella ricerca e nello sviluppo.
Nel dettaglio (riportiamo esattamente gli obiettivi della SNAI): Autoconsumo •
•
• •
Produzione di energia da biomasse provenienti da gestione forestale attiva e da sottoprodotti e residui di origine organica in modo da garantire filiere corte; Valorizzazione energetica dei reflui zootecnici e delle altre deiezioni solide e liquide e dei residui delle filiere agricole e agroalimentari; Piattaforme logistiche e reti per la raccolta e la riutilizzazione dei residui dei processi produttivi agricoli e agro-alimentari; Piccoli impianti combinati di energia e calore, anche di energia solare senza nuovo consumo di suolo.
10 Giovanni Carrosio, insegnante di Sociologia dell’ambiente e
Governo dei sistemi a rete all’Università di Trieste. Si occupa di questioni ambientali, transizione energetica, sviluppo delle aree rurali fragili e coesione territoriale. Ha insegnato all’Università di Padova e allo Iuav di Venezia e ha fatto parte del gruppo tecnico a supporto della Strategia nazionale per le aree interne.
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Efficienza energetica: • Costruzione di filiere corte, che traducano le risorse disponibili in opportunità di crescita del territorio, attraverso:
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•
la mitigazione degli impatti logistici derivanti dal trasferimento della materia prima in ragione della prossimità tra luogo di produzione e luogo di conversione energetica;
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la coerenza con la strategia del “Programma Quadro nazionale per il settore forestale” (gestione attiva del patrimonio boschivo e il recupero a fini energetici dei territori marginali privi di credibili alternative a destinazione zootecnica o agricola);
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•
•
Progetti di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e ad uso pubblico, volti a ottimizzarne le prestazioni energetiche, cercando sinergie anche con l’iniziativa Patto dei Sindaci; Gestione innovativa della pubblica illuminazione; Reti di distribuzione intelligenti (smart grids), inclusi i sistemi di stoccaggio dell’energia asserviti a impianti di produzione da FER; Mobilità sostenibile e gestione innovativa dei servizi; Soluzioni tecnologiche avanzate:
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· · ·
la chiusura di cicli produttivi attraverso la valorizzazione termica o elettrica dei residui.
·
Riduzione effettiva dei consumi (e dei costi) energetici; Elevati benefici ambientali; Gestione efficiente della generazione distribuita e contrasto all’irregolarità della fornitura; Sviluppo delle competenze e indotto innovativo anche in settori tradizionali (bioedilizia)
Investimento in ricerca e sviluppo per individuare dispositivi per l’efficienza energetica degli edifici a partire dai materiali locali.
La costruzione di filiere locali di energia rinnovabile può rappresentare una soluzione a diverse problematiche della gestione del territorio delle aree interne, ammesso che i diversi sistemi (agroforestale, edile, energetico) interagiscano secondo schemi di cooperazione reciproca11.
I soggetti a cui si rivolge la SNAI, rilevanti in campo energetico e ambientale sono i soggetti locali, radicati sul territorio in grado di proporre soluzioni più aderenti al contesto e più promettenti per l’attivazione di filiere produttive di energie rinnovabili nelle aree interne; e gli attori responsabili delle politiche di settore a livello nazionale, in grado di offrire soluzioni tecnologiche più avanzate e di supportare il processo di coordinamento degli operatori coinvolti. L’energia rinnovabile potrebbe diventare il vero e unico motore per riaccendere le piccole economie locali e incentivare così interventi di recupero dei piccoli comuni, realizzando economie circolari che riattivino le realtà locali, incentivando operazioni di rigenerazione urbana, utilizzando dei modelli di riferimento vincenti , un toolkit12. 11 Filippo Barbera, Le politiche della fiducia. Incentivi e risorse
sociali nei patti territoriali, Stato e Mercato, 2001. 12 Si veda capitolo II, paragrafo 2.3.7 Toolkit.
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Lo scenario rinnovabile
•
L’insufficienza strutturale dei progetti (esiste una possibilità su due che questi risultino vincenti, come mai?) > Una nuova prospettiva: (le aree interne come grande bacino “verde”, uno degli assi della SNAI è proprio il tema delle energie rinnovabili, le geografie delle aree interne che si prestano per uno SCENARIO RINNOVABILE)
•
Un uso consapevole delle fonti rinnovabili: il quadro italiano e i comuni rinnovabili (il rinnovabile in Italia, abaco)
•
Una nuova relazione di interdipendenza (gli scenari che si verrebbero a creare tra le aree interne e i Centri)
•
Progettare con nuovi strumenti (due scenari che mettono in luce i rispettivi elementi potenziali: lo scenario turistico-culturale e lo scenario produttivo-sociale, una fitta maglia di spot che si accendono grazie allo scenario rinnovabile)
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137
3.2
3.2.1
UN USO CONSAPEVOLE DELLE FONTI RINNOVABILI: IL QUADRO ITALIANO E I COMUNI Premessa
Siamo pronti ad uno scenario di questo tipo? Siamo uno dei Paesi più avanti nel Mondo in questa prospettiva e con le maggiori opportunità, grazie a risorse rinnovabili diffuse e differenti, da Nord a Sud, che possono essere valorizzate e integrate in una prospettiva di sviluppo locale. Secondo Legambiente, l’Italia ha dalla sua tutte le possibilità e le potenzialità per rilanciare le politiche di cui il nostro Paese ha bisogno (sebbene il tema delle autorizzazioni e del consenso locale rimane un buco nero delle procedure italiane). Ci sono dei nodi non risolti che ancora impediscono il pieno sviluppo delle rinnovabili in Italia: introducendo nuove regole, coerenti con la nuova Direttiva UE, si potrebbe rendere possibile lo scambio di energia a livello locale e aiutare tutti coloro che si autoproducono l’energia di cui hanno bisogno riducendo i prelievi dalla rete. Per i grandi impianti la sfida sarà di ridurre la spesa per gli incentivi attraverso meccanismi capaci di rendere vantaggiosi i contratti di lungo termine tra privati (PPA ) e di premiare i sistemi capaci di contribuire alla flessibilità della rete grazie all’integrazione di fonti rinnovabili, sistemi di accumulo, mobilità elettrica.
Parco eolico a Taranto.
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Sul fronte delle fonti rinnovabili siamo da 5 anni sopra il valore obiettivo al 2020 di copertura del 17% dei consumi totali; il dato preliminare valutato per il 2018 si attesta intorno al 18,1%. Per quanto riguarda l’efficienza energetica i risparmi cumulati del periodo 2014-2018 sono sufficientemente in linea con le previsioni, ma per raggiungere l’obiettivo al 2020 occorrerà un deciso incremento dei risparmi nel biennio 2019-2020. Per quanto riguarda gli obiettivi al 2030, l’Italia ha detto la sua: è il cittadino al centro di questa transizione energetica, è destinatario e parte attiva della politica sul clima e l’ambiente. Si deve inoltre formare una società i cui benefici sono correlati all’ambiente secondo un’ottica di economia circolare.
Obiettivo della quota FER nei consumi finali lordi di energia, pari al 30% al 2030 (18% al 2017) Accelerazione a partire 2020, concordemente con il dispiegarsi delle politiche previste
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3.2.2
I consumi elettrici da rinnovabile in Italia
Il fabbisogno di energia elettrica 2017, pari a 320,5TWh è stato soddisfatto per l’88,2% da produzione nazionale e per la restante quota da importazioni nette dall’estero. I consumi elettrici, in aumento del 2,2% rispetto al 2016, si sono assestati a 301,9TWh. In termini di potenza installata, a fine 2017 la potenza efficiente lorda di generazione è risultata pari a 117,1GW, in linea rispetto al dato dell’anno precedente, in quanto l’entrata in esercizio di nuovi impianti, anche termoelettrici di piccola taglia ha compensato le grandi dismissioni nel parco di generazione tradizionale. In aumento la capacità delle fonti rinnovabili quali il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico13.
La produzione nazionale lorda, pari a 295,8TWh, è stata coperta per il 70,8% dalla produzione termoelettrica che continua a registrare un incremento positivo, per il 12,8% dalla produzione idroelettrica (38,0TWh) che prosegue con un significativo calo e per il restante 16,3% dalle fonti geotermica, eolica e fotovoltaica. Quest’ultima ha registrato una variazione più che positiva pari a +10,3% rispetto allo scorso anno: nel 2016, per la prima volta, si era registrato un calo del -3,7% rispetto al 2015.
13 Bilancio Elettrico Italia 2017 a cura dell’Ufficio Statistico di
Terna.
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La modifica strutturale del settore elettrico italiano, per lungo tempo sostanzialmente stabile, registra una progressiva riduzione dei consumi del settore industriale a vantaggio del settore terziario, con una tenuta dei consumi del settore domestico e dell’agricoltura. Nonostante la flessione dei consumi elettrici avvenuta nell’ultimo decennio, l’industria rimane comunque il settore più rilevante nella struttura dei consumi italiani (nel 2017 rappresenta il 41,6%).
Consumi di energia elettrica per settore (TWh) L’evoluzione storica dei consumi di energia elettrica nel nostro paese, ripartiti per settore di attività economica, dal 2000 in poi.
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Vale la pena fare un’osservazione anche sui consumi di energia elettrica di mercato, che evidenzia un progressivo calo del mercato tutelato a fronte di un significativo incremento del mercato libero. Ma la cosa interessante è notare come il mercato dell’autoconsumo stia subendo una leggera inflessione positiva. Nel prossimo paragrafo vedremo perché è così importante.
Consumi di energia elettrica per tipologia di mercato (TWh) L’evoluzione storica dei consumi di energia elettrica registrati nel nostro paese suddivisi per le tre tipologie di mercato, dal 2000 in poi.
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Bilancio di energia elettrica - Italia 2017
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Se dovessimo immaginare uno scenario italiano incentrato sulle rinnovabili ci stupiremmo di vedere che questa non è un’utopia. Valutare il nostro territorio, soprattutto le aree interne come potenziale energetico per raggiungere gli obiettivi del 2030 è una via che vale la pena tentare di percorrere. È uno scenario che si basa sulle potenzialità territoriali, che applica tassi di crescita che sono conformi alla portata di un Paese come l’Italia.
Scenario di sviluppo delle rinnovabili elettriche (MWh) Elaborazione Legambiente su dati GME.
Si parla di uno scenario che tiene insieme poche questioni ma di fondamentale importanza: incentivi, burocrazia semplice e meccanismi trasparenti, investimenti per impianti di piccola taglia, per esempio per l’idroelettrico con il revamping degli impianti di grossa taglia, puntare di più sull’eolico e sull’off-shore. Avere fiducia nella biomassa e nel biogas, proponendo nuove economie circolari e smart grids. Avere fiducia nelle potenzialità del nostro Paese, e soprattutto dare fiducia a tutte quelle piccole realtà locali che hanno bisogno di una nuova ventata di aria fresca. 144
3.2.3
Le questioni
Liberare l’autoproduzione da fonti rinnovabili Dal grafico precedente possiamo notare come il mercato dell’autoconsumo sia ancora in fase “di sperimentazione”, ma che sembra avere una leggera flessione positiva negli ultimi anni. Punto fondamentale delle Direttive Europee sembra essere proprio la consapevolezza del ruolo centrale dei prosumer e delle comunità dell’energia.
Nuova vita all’eolico e all’idroelettrico
L’italia potrebbe cogliere al volo questa opportunità, mettendo in campo le energie rinnovabili, le smart grids, gli stock di energia. Si potrebbe pensare di introdurre sistemi di produzione e di scambio di energia attraverso reti private in un circuito chiuso, in cui il soggetto può produrre per i propri consumi, immagazzinare e vendere energia elettrica da fonti rinnovabili, così da creare nuove collaborazioni di interscambio nello stesso edificio oppure tra complessi limitrofi.
Il 15% delle turbine eoliche istallate in Italia ha oltre 15 anni di vita, oramai prossime alla pensione. Nel report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano si stima un aumento della producibilità addirittura del 50% per gli interventi di ammodernamento. Sostituendo inoltre gli aerogeneratori si potrebbe ridurre il numero di macchine. L’Anev14 stima un potenziale di 17.150 MW, di cui 950 offshore e 400 da impianti mini-eolici, per un produzione annuale nel 2030 di 36,4 TWh. Target che non saranno raggiungibili se non realizzando nuovi impianti e, soprattutto, rinnovando l’attuale parco eolico. Infatti se non vi saranno azioni per il revamping e repowering, favorite da un’adeguata normativa, si perderanno 3.500 MW al 2032 a causa del fine vita di molte turbine15. Stessa cosa per l’idroelettrico, principale fonte rinnovabile in Italia. Nonostante i cospicui investimenti del passato e la costante manutenzione, l’età media degli impianti e i crescenti vincoli normativi ne limitano lo sviluppo futuro.
Regole semplici, trasparenti e nuove spinte Uno dei principali ostacoli del rinnovabile in Italia è l’incertezza delle procedure, difficoltà che si riscontrano sia in interventi grandi che in quelli piccoli, sia nei cittadini che nelle aziende. Bisognerebbe dunque introdurre nuove linee guida per fare chiarezza su temi più delicati quali l’inserimento degli impianti in modo da garantire la tutela ambientale, aiutando l’integrazione nel territorio degli impianti da biomasse, idroelettrici, eolici on-shore e off-shore, geotermici e solari termodinamici, garantendo i deflussi ecologici capaci di mantenere la qualità ambientale dei corsi d’acqua, tutelando fauna e integrazione paesaggistica e ancora la falda idrica.
Solo il 42% della capacità realizzata prima del 1960 è stata ammodernata. Per raggiungere gli obiettivi del 2030 occorre rinnovare un terzo circa del parco impianti italiano per aumentarne le prestazioni e non perdere 6 TW di potenza16.
Inoltre per arrivare agli obiettivi del 2030, bisognerebbe introdurre nuove politiche di spinta agli investimenti, per consentire alle fonti rinnovabili di realizzare contratti a lungo termine, attraverso consorzi e aggregazioni di impianti solari per esempio. Servono politiche nuove per la spinta alle fonti rinnovabili termiche, per impianti fotovoltaici che sostituiscono tetti in amianto, o ancora per la produzione e immissione in rete del biometano.
14 Associazione Nazionale Energia del Vento. 15 Simone Togni, Presidente ANEV. 16 Dallo studio “L’idroelettrico crea valore per l’Italia”,
presentato da Alessandro Marangoni, Ceo di Althesys.
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Sbloccare l’eolico off-shore Nessun impianto eolico off-shore è stato ancora realizzato nel nostro Paese, malgrado a largo delle coste italiane siano stati presentati in questi anni 15 progetti di impianti eolici. Due le ragioni principali: il problema degli alti fondali (che si sta pensando di superare con la tecnologia dell’eolico galleggiante) e il fatto che non esistano regole chiare per la valutazione e l’approvazione dei progetti. In Italia, però, le potenzialità eoliche off-shore sono significative in alcuni tratti di mare e potrebbero soddisfare i fabbisogni elettrici di 1,9 milioni di famiglie. Nel contesto europeo, il governo francese ha addirittura, secondo la filosofia della trasparenza, individuato delle aree in cui è possibile presentare impianti eolici, mettendo a gara la realizzazione. Il governo inglese vuole invece arrivare a produrre un terzo di tutta l’elettricità con impianti eolici offshore per decine di GW installati. Difatti, l’Offshore Wind Sector Deal prevede di generare il 30% dell’energia elettrica del paese con grandi pale eoliche installate in mare. In Gran Bretagna l’output complessivo delle fonti rinnovabili potrebbe superare stabilmente per la prima volta nella storia l’intera produzione elettrica con combustibili fossili. In altre parole, si legge in una nota del governo, il 70% del mix elettrico inglese diventerebbe a basse emissioni inquinanti. In Italia invece sembrerebbe che la burocrazia lenta e macchinosa assieme all’eccessiva tutela non porti grandi cambi di rotta.
17 Rapporto Legambiente, comuni rinnovabili, 2017. 18 Rapporto Industrial Strategy Offshore Wind Sector Deal da
parte del governo inglese, marzo 2019.
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3.2.4
Green energy
Secondo le previsioni IEA19 , negli anni a venire la generazione elettrica da Fonte Energetica Rinnovabile a livello globale dovrebbe crescere con ritmi molto sostenuti, passando da circa 6.600 TWh attesi nel 2018 a 8.500 TWh del 2023; nello stesso periodo la capacità installata dovrebbe aumentare di 880 GW, spinta soprattutto da fotovoltaico ed eolico che, considerati insieme, dovrebbero rappresentare oltre l’80% dei nuovi impianti. Nel settore dei trasporti la produzione globale di biocarburanti ha rappresentato nel 2017 il 92% dell’utilizzo di fonti rinnovabili nel settore, mentre la restante quota è attribuibile ai veicoli elettrici; nel periodo 2018-2023, tuttavia, il ricorso all’utilizzo di energia elettrica nei trasporti dovrebbe aumentare in misura rilevante (+65%).
19 Internal Energy Agency, organizzazione internazionale
intergovernativa fondata nel 1974 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico in seguito allo shock petrolifero dell’anno precedente.
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Per quanto riguarda l’Italia continuano a crescere le fonti rinnovabili, sebbene con ritmi molto inferiori rispetto al passato. La tecnologia in maggiore crescita è il fotovoltaico che ha raggiunto i 20,1 GW, mentre quella con la maggior potenza complessiva è ancora l’idroelettrico in cui agli impianti “storici” si sono aggiunti in questi anni circa 1,5 GW di impianti sotto i 3 MW (considerato mini idroelettrico). L’eolico ha raggiunto i 10,3 GW, 3,7 GW le bioenergie, 0,8 GW la geotermia.
La crescita delle rinnovabili elettriche in Italia (MW) Rapporto comuni rinnovabili 2019 di Legambiente.
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È particolarmente importante guardare alla copertura dei consumi garantita dalle fonti rinnovabili, perché è questo il parametro che racconta il processo di decarbonizzazione in corso nell’economia dei diversi Paesi e dei territori. Ed è questo il parametro di riferimento degli obiettivi europei al 2030. In questi anni l’attenzione è andata soprattutto nei confronti della componente elettrica, dove la crescita è stata rilevantissima nel mondo e oggi in alcune realtà le rinnovabili garantiscono percentuali di copertura dei consumi che solo pochi anni fa venivano considerate impossibili.
Oggi diventa fondamentale guardare ai consumi energetici complessivi e quindi ai diversi settori che compongono la domanda, per capire come spingere le rinnovabili come risposta anche alle esigenze dei trasporti, degli edifici, delle attività produttive. In Italia il contributo delle rinnovabili nei consumi finali di energia è passato dal 6,3% del 2004 al 17% circa del 2016, raggiungendo in anticipo l’obiettivo del 17% previsto per il 2020. Ma il nostro Paese non può e non deve accontentarsi, perché ogni miglioramento in questi parametri significa una riduzione delle importazioni e dei consumi di fonti fossili, oltre che dell’inquinamento. Non deve accontentarsi anche perché questi obiettivi sono già stati rivisti al 2030 con un leggero rialzo e ancora di più lo saranno al 2050, quando la parte elettrica dovrà essere completamente prodotta da fonti rinnovabili.
Consumi di energia coperti da fonti rinnovabili - Paesi UE (TWh) Rapporto Legambiente su dati Eurosat 2015.
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Installazioni annue in Italia e obiettivi al 2030 (MW) Rapporto comuni rinnovabili 2019 di Legambiente.
L’Italia è stata, nel recente passato, uno dei Paesi di punta nel mondo come installazioni, ma il rallentamento degli ultimi anni la porta fuori dal gruppo dei Paesi di testa. Ăˆ l’assenza di una prospettiva per il futuro che preoccupa rispetto a questi dati, nonostante la SEN abbia fissato obiettivi di contributo delle fonti rinnovabili elettriche pari al 50% al 2030.
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Elaborazione Legambiente su dati Eurobserver 2017.
Quello che è importante ribadire è anche il fatto che investire nelle risorse energetiche pulite è occasione di crescita occupazionale. Ce lo confermano i dati di Eurobserver20 e Irena21 : nel Mondo sono oltre 7,7 milioni i lavoratori nel comparto delle energie pulite, in Italia sono più di 80mila.
Gli studi mettono in luce una prospettiva più che positiva: 200 mila unità nel comparto delle rinnovabili, oltre 400 mila nel comparto dell’efficienza e riqualificazione in edilizia. Un circuito che si attiva con le energie pulite che innesca nuove opportunità lavorative, nuovi servizi, edifici riqualificati e nuove prospettive di ricerca. 20 Consorzio dedicato al monitoraggio dello sviluppo dei vari
settori delle energie rinnovabili nell’Unione europea. 21 International Renewable Energy Agency, organizzazione internazionale finalizzata ad incoraggiare l’adozione e l’utilizzo crescente e generalizzato delle energie rinnovabili in una prospettiva di sviluppo sostenibile.
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3.2.5
Le rinnovabili
Il solare fotovoltaico continua a diffondersi grazie alle migliorie tecnologiche raggiunte da questi impianti e soprattutto l’integrazione con impianti di accumulo e pompe di calore in edilizia e ai nuovi meccanismi di scambio con la rete elettrica.
Diffusione del fotovoltaico nel mondo.
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Il 2018 è stato un anno di straordinaria crescita per il solare fotovoltaico nel mondo con 94 GW installati, portando la potenza complessiva a superare i 480 GW. È impressionante come si sia spostato il baricentro della spinta nel mondo, nel 2018 quasi il 47% delle installazioni è avvenuto in Cina, che è arrivata ad una potenza complessiva di 175 GW, di cui 44,2 GW realizzati nel 2018, seguita dal Giappone con 55,5 GW e dagli USA con 49,7 GW distanziati dalla Germania, prima dei Paesi Europei con 45,9 GW di cui 3,5 GW realizzati solo nell’ultimo anno. L’Italia si mantiene stabile al sesto posto con 20 GW di cui 478 MW realizzati nel 2018.
Diffusione del fotovoltaico per classe di potenza.
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Nell’edilizia pubblica l’uso del solare fotovoltaico è diffuso soprattutto nella riqualificazione dei tetti delle strutture edilizie, per ridurre i costi energetici di edifici pubblici come scuole, impianti sportivi, sedi amministrative, biblioteche.
Fotovoltaico in un Parco Il Parco Naturale Adamello Brenta ha saputo nel corso degli anni affermarsi come modello e laboratorio di innovazione. Si è dotato infatti di un programma pluriennale per dotare la sede e le altre strutture del Parco di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e di pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria. Gli ultimi impianti fotovoltaici sono stati realizzati uno sulla copertura della falegnameria di Pesort e uno sulla tettoia del parcheggio a servizio della sede del Parco.
Fotovoltaico in edilizia pubblica Il comune di Briga Novarese, in provincia di Novara, per esempio, ha messo in funzione un impianto fotovoltaico presso un complesso polifunzionale che ospita al suo interno un magazzino, la sede della Protezione Civile, una palestra con annessi spogliatoi, un bar, la biblioteca comunale e la sede della Pro-loco, al fine di garantire l’autosufficienza dell’intero edificio. In combinazione con un impianto di riscaldamento realizzato con sistema radiante a pavimento e generatori di calore con pompe di calore elettriche aria-acqua, si ha la quasi totale autosufficienza energetica dell’intero complesso (più dell’80%).
La sede del Parco Naturale Adamello Brenta con pannelli fotovoltaici.
Sempre nel comune è stato installato anche un impianto fotovoltaico parzialmente integrato alla copertura della scuola primaria. Grazie ad un mutuo e un finanziamento da parte della provincia di Novara, il comune ha potuto affrontare i costi, traendo diversi benefici, tra cui la riduzione dei costi energetici, della bolletta elettrica, oltre che ovviamente la riduzione delle emissioni in atmosfera di anidride carbonica.
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Legenda
Sottostazioni di smistamento Rete di trasmissioni nazionale
Somma di irradiazione annua [kWh/m2*]
Ci sono poi degli interventi di piccola scala che possono fare la differenza: la società in-house Archimede Servizi, del comune di San Martino Buon Albergo ha dotato il nuovo parco comunale di impianti di illuminazione a led, panchine con tettoie fotovoltaiche nonché una casetta con servizi igienici e un’area ristoro con tetto fotovoltaico. La particolarità sta nell’aver costruito un impianto di accumulo che garantisce oltre che il corretto funzionamento del parco anche l’illuminazione pubblica di due strade limitrofe e un parcheggio adiacente.
< 800
< 600
1.000
750
1.200
900
1.400
1050
1.600
1.200
1.800
1.350
2.000
1.500
>2.200
>1.650
Somma annua di elettricità solare generata da 1kWp [kWh/kWpeak]
Piccoli interventi
Il sistema è stato progettato inoltre in maniera modulare, così da poter aggiungere batterie e/o pannelli fotovoltaici, ampliando i tratti di strada sui quali la pubblica illuminazione è completamente autosostenuta dall’energia immagazzinata negli accumuli.
Due imagini del parco comunale di San Martino Buonalbergo con gli impianti fotovoltaici installati..
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Lâ&#x20AC;&#x2122;Italia del Fotovoltaico e del Solare termico
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Continua anche la crescita dell’eolico nel mondo, che ha raggiunto complessivamente i 564 GW installati. Nel 2018 è ancora la Cina il Paese con il maggior investimento nel settore, con più di 20 GW realizzati e una potenza complessiva di circa 185 GW. In Europa sono stati invece Germania, Regno Unito e Francia i paesi che più hanno installato nel 2018, rispettivamente con 3.702 MW (+6,6%), 1.901 MW (+9,6%) e 1.596 MW (+11,8%). L’Italia si assesta a 10,3 GW di installati di cui 573 MW nell’ultimo anno.
Diffusione dell’eolico nel mondo.
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L’articolazione e la diversità del paesaggio italiano ci mostra quanto siano interessanti le prospettive di sviluppo degli impianti eolici, anche se la sfida più grande sta nel costruire regole certe per realizzare nuovi impianti e per accompagnare il repowering di quelli esistenti con macchine di maggiore dimensione e potenza, magari migliorando l’integrazione paesaggistica e la possibilità di fruizione delle aree per le comunità che vivono intorno.
La grande maggioranza degli impianti si trova al Sud, dove si trovano le aree più ventose. La Puglia è la Regione che ospita più impianti (quasi 2,5 GW, seguita da Sicilia, Campania, Calabria e Sardegna), per quanto abbia adottato nel corso degli anni politiche sempre più restrittive nell’autorizzazione di nuovi parchi. Di contro la Basilicata è la Regione in cui negli ultimi 5 anni si è concentrata la maggior parte del nuovo sviluppo, proprio grazie all’apertura dell’amministrazione alla realizzazione di nuovi progetti. Ricordiamo anche che ad oggi nessun progetto è stato realizzato off-shore, ossia al largo della costa: si tratta di un’eccezione quasi unicamente italiana, giustificata dalle Amministrazioni con la tutela dell’unicità del paesaggio costiero italiano.
EOLICO, crescita delle installazioni in Italia. Rapporto Comuni Rinnovabili 2017 di Legambiente.
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Ce lo dimostra bene il Parco Eolico di Rivoli Veronese, entrato in esercizio nel marzo 2013: un perfetto esempio di estrema cura e protezione dei caratteri naturalistici, morfologici e pedologici dell’area interessata.
Oltre ad un processo di partecipazione che ha coinvolto i cittadini residenti, attraverso assemblee pubbliche, dalla progettazione alla realizzazione, associazioni territoriali e oltre all’Amministrazione Comunale. L’impianto composto da 4 aerogeneratori da 2 MW ciascuno per complessivi 8 MW di potenza, è stato realizzato sul Monte Mesa. La realizzazione del Parco eolico ha comportato numerosi studi e azioni finalizzate al mantenimento e salvaguardia delle bellezze naturalistiche di questa area. Una nota particolare: le orchidee presenti sono state mappate in tutte le loro diverse specie, tecnici specializzati hanno poi raccolto le sementi che poi sono state riprodotte a centinaia nel laboratorio del “Parco Barro”. Quest’ultimo ne ha curato il successivo trapianto in sito nei prati aridi precedentemente disboscati e puliti.
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Altra particolarità è stata il setaccio e il vaglio del terreno scavato in cantiere per realizzare piste e piazzole, sia la parte vegetale che inerte, che ha consentito dopo il montaggio degli aerogeneratori, di ricostruire non solo la morfologia del Monte Mesa ma anche la sua pedologia.
È stato infine creato un “percorso didattico” che, seguendo il crinale del Monte Mesa, permette di visitare gli aerogeneratori passando a fianco dei prati aridi e di documentarsi sulle particolarità tecnico-ambientali del sito, usufruendo di pannelli e didascalie di spiegazione dell’impianto eolico e delle specie floristiche del sito. Dalla sua inaugurazione l’impianto ha prodotto 80.000 MWh soddisfacendo il fabbisogno di circa 5.000 famiglie all’anno. Grazie alla produzione di energia elettrica di questo Parco Eolico, oltre alle royalties previste per il Comune, i residenti del Comune di Rivoli Veronese potranno aderire ad un nuovo contratto di fornitura dell’energia elettrica, fornita dalla stessa AGSM a prezzi agevolati. Un perfetto connubio tra salvaguardia del territorio e domanda di energia pulita.
Forte Wohlgemuth a Rivoli Veronese.
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Immagini delle pale eoliche nel Parco di Rivoli Veronese.
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Un uso totalmente diverso di eolico sorge a Pietragalla, in Basilicata: il primo impianto eolico italiano integrato con un sistema di storage, realizzato da Enel Green Power, come integrazione per la produzione da rinnovabile. Di fatto, uno dei più grandi svantaggi dell’impiego di fonti rinnovabili nella produzione di energia è la difficoltà nel controllarne la produzione, queste condizioni di funzionamento non sono dunque ottimali per il sistema elettrico che richiederebbe un andamento della produzione più regolare. Per rispondere a questa esigenza e migliorare l’efficienza del sistema, all’impianto eolico di Pietragalla già esistente da 18 MW installato nel 2012, vengono impiegati sistemi di storage dell’energia elettrica. L’impianto di Pietragalla evidenzia un’elevata efficienza e una buona affidabilità, a dimostrazione che l’integrazione dei due sistemi (il sistema di accumulo e il sistema elettrico) costituisce una soluzione ottimale sia dal punto di vista economico che tecnologico. La validazione del modello lucano potrebbe dare nuovo impulso allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e certamente costituisce una best practice a livello internazionale21.
21 Secondo lo studio redatto da RSE (Ricerca sul Sistema
Energetico) e Anie-Energia con la collaborazione di Enel Produzione, Enel Green Power e il Politecnico di Milano.
162
Interessante è anche lo sviluppo del mini eolico, ovvero torri con potenza massima di 200 kW. Sparse per lâ&#x20AC;&#x2122;Italia ci sono esperienze di comuni e piccole aziende che hanno deciso di investire in questa tecnologia con vantaggi sia ambientali che di migliore integrazione negli ambienti rurali e soprattutto urbani.
Impianto mini eolico.
Esistono circa 770 comuni, pari al 9,6% del totale che possiedono sul proprio territorio impianti mini eolici per una potenza complessiva di 122,6 MW. I comuni del mini eolico sono tutti piccoli comuni dove, teoricamente, giĂ oggi il 100% dei consumi elettrici delle famiglie potrebbero essere soddisfatti dagli impianti mini eolici presenti.
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Esperienze positive le possiamo trovare, come l’Azienda Agricola Val Paradiso a Naro, in provincia di Agrigento, dove si coltivano oltre 100 ettari di ulivi secondo i disciplinari dell’agricoltura biologica e l’intero processo produttivo è alimentato con energia pulita proveniente da fonte rinnovabile. Nata nel 1980 e proprietaria di un moderno frantoio con estrazione a freddo dedicato alla molitura delle proprie olive, la struttura, di circa 1.800 mq coperti, dispone di olivaio, frantoio oleario, cantina dell’olio, laboratorio chimico interno, imbottigliamento e sala di assaggio. Tutte le strutture aziendali sono alimentate con sola energia pulita da fonte rinnovabile, grazie all’uso combinato di un impianto mini-eolico da 11 kW, da un impianto fotovoltaico da 52 kW e da un impianto termico a biomasse. La produzione elettrica totale annua è di 100.000 kWh pari a 44,65 tonnellate di CO2 non emesse per un risparmio di 18,70 tonnellate equivalenti di petrolio.
Impianto mini eolico e fotovoltaico nell’Aziena agricola Val Paradiso.
164
165
L’Italia dell’eolico
Legenda
Impianti eolici maggiori CittĂ principali Sottostazioni di smistamento Rete di trasmissioni nazionale
VelocitĂ media annua del vento a 25 m.s.l.s (m/s) 7-8 6 5 4
3
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Ma è l’idroelettrico che tira le redini del settore delle rinnovabili: è la più antica e importante fonte pulita nel nostro Paese. Dalla fine del IX secolo questi impianti sono fondamentali nella produzione energetica italiana. Fino alla fine degli anni ’60, circa l’80% dei fabbisogni elettrici italiani era soddisfatto da questa tipologia di impianti, sparsi dalle Alpi all’Appennino, fino alla Sicilia. Nel 2016 l’idroelettrico ha infatti contribuito con il 15,3% sul totale della produzione elettrica del nostro Paese. C’è stato poi un incremento del 118% nel novembre del 2017, sfiorando di poco il dato del 2014 (4,7 TWh), un anno caratterizzato da una notevole produzione idrica. Si tratta dunque di una risorsa preziosa da un punto di vista energetico ma che va considerata con grande attenzione dentro un quadro di uso corretto e di tutela dei bacini idrografici, in uno scenario complesso come quello dei cambiamenti climatici.
Evoluzione del numero e della potenza degli impianti idroelettrci
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Cresce anche il mini idroelettrico, ovvero quegli impianti con potenza fino a 3 MW, ossia quelli che vengono definiti impianti mini idroelettrici (micro idroelettrico invece sono quelli sotto i 100 KW). Secondo il rapporto Legambiente, sono 1.489 i comuni che presentano sul proprio territorio impianti mini idroelettrici, per una potenza complessiva di 1.568 MW.
Come per l’eolico, anche l’impatto ambientale dell’idroelettrico ha i suoi riscontri a livello ambientale, basti pensare all’influenza di questo sui bacini idrici. Le norme vigenti italiane riguardo la valutazione dei progetti in questo ambito sono quadri del tutto inefficaci, rispetto alla tutela della risorsa stessa nonché alla biodiversità dei bacini idrografici.
Complessivamente gli impianti mini idroelettrici sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico elettrico di 2,3 milioni di famiglie circa, evitando l’immissione in atmosfera di 3,7 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica.
Bisogna dire però che negli ultimi anni, le potenzialità di sviluppo dell’idroelettrico, per evitare ulteriori danni a livello ambientale, riguardano difatti piccoli salti di quota, sistemi in stretto rapporto con gli acquedotti, e ancora condotte laterali22.
Gli impianti mini idroelettrici sono localizzati soprattutto lungo l’arco alpino e l’Appennino centrale, ma sono presenti impianti anche in Puglia, Sicilia e Sardegna.
MINI IDROELETTRICO, crescita delle installazioni in Italia. Rapporto Comuni Rinnovabili 2017 di Legambiente.
22 I comuni dell’idroelettrico, Rapporto Legambiente, 2017.
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Il mini idroelettrico si presta molto bene a lavorare assieme ad altre risorse “verdi”. In alcuni comuni, la combinazione di diverse energie rinnovabili ha permesso loro di diventare a tutti gli effetti comuni 100% rinnovabili.
Il comune di Val di Vizze garantisce la produzione di energia elettrica e termica attraverso il mix di ben cinque tecnologie da fonti rinnovabili. A soddisfare i fabbisogni elettrici di poco meno di 3mila abitanti contribuiscono 2,3 MW di impianti mini idroelettrici e 4,2 MW di impianti solari fotovoltaici distribuiti tra i tetti di edifici pubblici e privati. A questi, si aggiunge un impianto idroelettrico risalente al 1927, che è stato rinnovato tra il 1997 e il 1998. Sono diversi i progetti innovativi messi in campo dal Comune di Val di Vizze: l’efficientamento di 13 km di rete elettrica locale a 20 kV, dove l’intervento di manutenzione, oltre a prevedere l’interramento della linea, la renderà più capace di ricevere e gestire l’energia prodotta dai diversi impianti da fonti rinnovabili presenti nel territorio.
Impianto mini idroelettrico di Val di Vizze.
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Nel comune di Berbenno di Valtellina, in provincia di Sondrio è entrata in funzione una centralina idroelettrica integrata nell’acquedotto “Caldenno”. L’introito ricavato dalla produzione energetica e dalla conseguente vendita sia dei certificati verdi che dell’energia prodotta in eccesso ha permesso di ripagare senza problemi le rate del mutuo per il finanziamento dell’impianto stesso. La centrale funziona grazie ad una turbina da 611 kW che, con un salto di 933,5 metri, sfrutta l’acqua delle quattro sorgenti che già alimentavano l’acquedotto. La producibilità media dell’impianto soddisfa la richiesta energetica di circa 1000 famiglie. I ricavi annuali, nelle casse comunali vengono utilizzati per realizzare opere a beneficio della collettività: il rifacimento dei marciapiedi, i parcheggi, il recupero di strutture e altri investimenti di tipo energetico come la riqualificazione termica della scuola secondaria di primo grado. Per mantenere informati i cittadini, e soprattutto gli studenti su quanto concerne il tema delle rinnovabili, vengono organizzati dei meeting e delle visite guidate all’interno della centrale.
170
Legenda
Sottostazioni di smistamento Rete di trasmissioni nazionale Altimetria (m) 0
4810
Corsi dâ&#x20AC;&#x2122;acqua
Curve di livello
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Lâ&#x20AC;&#x2122;Italia dellâ&#x20AC;&#x2122;idroelettrico
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La geotermia è una forma di energia che trova origine dal calore della terra, che si propaga fino alle rocce prossime alla superficie, dove può essere sfruttato essenzialmente in due modi diversi.
Sembra infatti accrescere l’uso degli impianti a bassa entalpia per l’uso diretto del calore ai fini della copertura dei fabbisogni energetici termici sia di singole unità abitative, ma anche condomini e piccole e medie imprese, con la tecnologia del teleriscaldamento.
Quando si parla di temperature superiori ai 150°C ci rivogliamo alla geotermia ad alta entalpia, sfruttata principalmente in Toscana, nel Lazio e nella Sardegna, potenzialità interessanti sono riscontrate anche in Sicilia e in alcune zone del Veneto, dell’EmiliaRomagna, della Campania e della Lombardia. Per temperature comprese tra 150 e 90°C si parla di media entalpia, idonea ad usi diretti o pompe di calore. Invece per temperature che risultano inferiori ai 90°C si parla di geotermia a bassa entalpia.
GEOTERMIA, crescita delle installazioni in Italia. Rapporto Comuni Rinnovabili 2017 di Legambiente.
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Per le aree geografiche dunque caratterizzate da falde acquifere relativamente superficiali il teleriscaldamento rappresenta un modo semplice, veloce, e soprattutto non invasivo per qualificare energeticamente gli impianti di produzione di calore di edifici pubblici, esistenti o da ristrutturare, utilizzando fonti energetiche rinnovabili.
Il comune di Sale Marasino, nel bresciano, per soddisfare le esigenze termiche del Polo scolastico composto dalla scuola elementare media, scuola materna, biblioteca e palazzetto dello sport, ha deciso di puntare proprio su questa tecnologia.
Qui infatti una rete di teleriscaldamento freddo connessa a 3 pompe di calore alimentate da un bacino posto a 50 metri di profondità, soddisfa le esigenze termiche di un edificio del 1960 servito da radiatori in ghisa, un secondo edificio del 1975 fornito sia di radiatori in ghisa che pavimento radiante e un terzo edificio più recente del 2014 servito da pavimento radiante.
L’innovazione di queste reti è nella possibilità di trasferire il calore prodotto attraverso le pompe di calore, direttamente alle centrali termiche da riqualificare poste al servizio di stabili esistenti, risolvendo le criticità legate all’utilizzo di queste tecnologie ad esempio nei centri storici, o in aree con pochi spazi comuni o con vincoli di tutela paesaggistica, storica o architettonica.
Tubature per l’acqua del l’impianto di teleriscaldamento di San Marsiano.
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Legenda
Sottostazioni di smistamento Rete di trasmissioni nazionale Heatflow mW/m2
30 < HF ≤ 40 40 < HF ≤ 50 50 < HF ≤ 60 50 < HF ≤ 75 60 < HF ≤ 70 70 < HF ≤ 80
50 < HF ≤ 100
80 < HF ≤ 90
75 < HF ≤ 100
90 < HF ≤ 100
30 < HF ≤ 40 30 < HF ≤ 40 150 < HF ≤ 200 30 < HF ≤ 40 30 < HF ≤ 40 30 < HF ≤ 40
Aree acquifere a 5000m
Aree acquifere a 3000m
Aree acquifere a 1000/2000m
Centrali geotermiche
Aree di concentrazione delle risorse geotermiche di sfruttamento
175
Lâ&#x20AC;&#x2122;Italia del geotermico
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Secondo i dati più recenti di Italia (Italian Biomass Association) il quantitativo annuo di biomasse residuali disponibili in Italia si attesta oltre i 25 milioni di tonnellate di sostanza secca, considerando realisticamente i soli scarti organici derivanti dai cinque comparti più idonei: agricoltura, foreste, agroindustria, industria del legno e rifiuti urbani. Questa disponibilità, al netto degli usi competitivi e alternativi, può essere tradotta con buona approssimazione in un valore compreso fra 24 e 30 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno. Ma quali sono le aree interessate per lo sviluppo della produzione energetica da biomassa? In Italia abbiamo visto che le regioni alpine, prealpine e appenniniche, vale a dire i territori che vengono a delinearsi nella aree interne, sono molto ricche di vegetazione sono ricchissime dunque di materia prima.
Secondo uno studio recentemente pubblicato da EurObserv’ER, il comparto europeo delle biomasse solide ha sfiorato nel 2017 i 100 Mtep di energia primaria, derivante da legna, cippato, pellet, black liquor dell’industria cartiera e scarti agricoli lignocellulosici.
Le biomasse solide possono giocare quindi un ruolo importante nel contribuire al fabbisogno energetico italiano, ponendo sempre molta attenzione alle risorse presenti nei territori e alla sostenibilità dei processi, come per esempio tenere un raggio di circa 70 km per l’approvvigionamento delle materie prime (produzione agricola, manutenzione di boschi, alvei fluviali), rimanendo nel concetto di filiera corta.
L’Italia è il quarto consumatore in termini di energia primaria, ma non precisamente il più virtuoso, infatti dei 9 Mtep di energia primaria da biomassa solida consumata nel 2017, ben 1,3 Mtep provengono da biomasse importate23. In Italia l’uso razionale della biomassa solida, ovvero l’impiego in impianti di cogenerazione e teleriscaldamento, è da sempre osteggiato dai “comitati del no” e dai gruppi politici che li cavalcano.
Secondo i dati della Fiper (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili) nei prossimi 10 anni sarà possibile creare 900mila nuovi posti di lavoro nel solo settore delle biomasse per il teleriscaldamento.
Utilizzare questa fonte energetica vorrebbe dire limitare i problemi nella gestione dei boschi, il dissesto idrogeologico o la fermentazione (la decomposizione per mano dei batteri, che producono anidride carbonica, idrogeno e metano), o ancora incendi o scarti bruciati all’aria aperta, che contribuiscono in maniera pesante all’inquinamento atmosferico. 23 Eurobarometro delle biomasse solide 2018 pubblicato da
EurObserv’ER.
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BIOENERGIE, crescita delle installazioni in Italia. Rapporto Comuni Rinnovabili 2017 di Legambiente.
Il Comune di Primiero San Martino di Castrozza (unione di comuni dal 2016) attraverso la società ACSM S.p.Aa gestisce complessivamente 14 impianti idroelettrici (di cui 4 realizzati su acquedotti comunali). Questa energia viene distribuita ai 12.000 punti di fornitura locali, mediante una rete di distribuzione di proprietà della municipalizzata che si estende per circa 510 km. La produzione idroelettrica del Primiero è in grado di soddisfare il fabbisogno medio annuo di circa 148.000 famiglie.
178
A questo sistema si aggiunge la realizzazione da parte della società di due impianti di teleriscaldamento a biomassa legnosa, energia prodotta mediante la combustione di legno vergine (cippato) proveniente da scarti di lavorazioni boschive locali, reperiti prevalentemente in valle e comunque non oltre i 70 km dagli impianti. Grazie a queste nuove economie, la società ha inoltre avviato sul territorio la sperimentazione di una mobilità elettrica integrata, con l’acquisto di veicoli elettrici adibiti ai servizi pubblici locali e l’installazione di 16 punti di ricarica pubblica, sparsi per il territorio, ampliati successivamente anche presso alcuni alberghi e strutture ricettive della zona.
Utilizzare biomassa anche da alvei fluviali è possibile: nel comune di Calenzano, in Provincia di Firenze, nel 2010 è stato installato un impianto a biomasse in cogenerazione connesso ad una rete di teleriscaldamento.
La particolarità dell’impianto è data proprio dal tipo di biomassa utilizzata: quella derivante dalla pulizia degli alvei fluviali, contribuendo così sia alla pulizia dei fiumi sia alla bonifica del territorio. L’energia termica prodotta, circa 5.900 kWh/anno è in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 1.500 utenze, tra pubbliche e private, tra cui anche il palazzetto dello sport ed alcuni edifici comunali.
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Legenda
Sottostazioni di smistamento Rete di trasmissioni nazionale Altimetria (m) 0
4810
Foresta di latifoglie
Foresta di conifere Foresta mista
Curve di livello
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Lâ&#x20AC;&#x2122;Italia della biomassa
182
183
Esperenze rinnovabili
184
185
I comuni rinnovabili
3.3
UNA NUOVA RELAZIONE DI INTERDIPENDENZA
Quando parliamo di aree interne come grande bacino di energia rinnovabile non possiamo non pensare a quale tipo di rapporto si verrebbe a formare con i grandi poli industrializzati. Giovanni Carrosio prova a immaginare questa relazione urbano-rurale in un contesto di progressiva affermazione delle fonti rinnovabili a discapito di quelle fossili24.
24 Interdipendenze energetiche tra cittĂ e aree interne, Giovanni
Carrosio in La questione energetiche vista dalle aree interne, Riabitare lâ&#x20AC;&#x2122;Italia a cura di Aldo Rossi, 2018.
186
Lo scenario di differenziazione I grandi centri urbani continueranno ad essere dominati dalle fonti fossili, secondo logiche di interdipendenza attraverso sistemi a rete globali, mentre nelle aree interne prevarrebbero le fonti energetiche pulite, con la conseguente creazione di vere proprie riserve energetiche e ambientali libere dal carbonio.
187
Lo scenario di conflitto Gli agglomerati urbani continuerebbero a colonizzare le aree interne per rifornirsi di materia prima, mettendo in gioco lo schema novecentesco, ovvero grandi centrali di produzione collegate a reti che conducono lâ&#x20AC;&#x2122;energia nelle cittĂ . Le aree interne sarebbero dunque solo delle semplici riserve energetiche, con una continua esportazione di beni. 188
Lo scenario di integrazione Gli agglomerati urbani lavorano sulla riqualificazione energetica degli edifici, adottando sistemi di autoproduzione attraverso piccoli dispositivi a fonte rinnovabile. Le aree interne, invece, sovraprodurrebbero, scambiando energia con le città25. In questo caso, le aree interne contaminano la città , mentre queste ultime rimodellano la propria struttura e investono nel ridurre gli input di energia provenienti dall’esterno.
25 Alberto Magnaghi – Franco Sala, Il territorio fabbrica energia,
Wolters-Kluwer, Assago, 2013.
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Ad oggi non possiamo comprendere verso quale scenario ci stiamo dirigendo. Secondo Carrosio “nel Sud Italia prevale il modello della colonizzazione, con grandi centrali scollegate dai contesti locali e perciò incapaci di generare sviluppo locale”. La stessa cosa succede anche nel Nord, nelle montagne lombarde: una volta le grandi dighe posizionate nelle aree interne producevano occupazione stabile e quindi sviluppo locale, ora, con l’innovazione tecnologica e con la gestione a distanza dei bacini idrici e degli impianti di trasformazione non più. In Alto Adige invece sussiste uno scenario di differenziazione: la provincia di Bolzano sta puntando alla totale autosufficienza energetica tramite sistemi comunitari di produzione e consumo. Essere distanti dai più grandi centri è una condizione favorevole per l’Alto Adige, che ragiona in termini di autonomia e non è costretto a relazionarsi con gli agglomerati urbani e industriali limitrofi.
Non è uno scenario idilliaco, ma ci sono ancora delle questioni critiche da sviscerare: se guardiamo alla Strategia Energetica Nazionale vediamo come le politiche di incentivo per la produzione di rinnovabili o quelle per il risparmio e l’efficienza energetica non hanno riscontro in termini territoriali.
Lo scenario auspicabile sarebbe quello dell’integrazione e nel Nord-ovest ci troviamo di fronte a forme di integrazione tra montagna e città, sebbene queste ultime non abbiano ancora intrapreso la via della transizione verso un sistema a basse emissioni di gas dannosi per l’ambiente.
Il sistema energetico “viene pensato dai decisori pubblici come se fosse indifferente alle risorse naturali localizzate, alle traiettorie di sviluppo dei territori, alla varietà dei sistemi socio-tecnici” (basti pensare all’eliminazione degli incentivi al mini-idroelettrico, così come l’assenza degli incentivi per i piccoli impianti cogenerativi capaci di produrre da cippato di legna energia termica ed elettrica). Se le aree interne sapranno tradurre una diffusa intenzionalità in iniziative concrete di cambiamento dei propri assetti socio-energetici, influendo i territori esterni e costruendo relazioni diverse con le città, potranno anche rimettere in discussione gli scenari dominanti della transizione energetica.
190
3.4
PROGETTARE CON NUOVI STRUMENTI
Borghi arroccati sparsi sui rilievi della nostra penisola, remoti insediamenti di migliaia di anni, centri storici con valenze patrimoniali inestimabili, dai castelli alle rocche, dai monumenti storici alle ville di grande pregio architettonico. Ma ancora: strutturazioni agro-silvo-pastorali, testimonianze del passaggio di culture differenti, interventi tecnici di operazioni idrauliche di rilievo e tante altre. Se tutto questo palinsesto patrimoniale lo incrociassimo con le opportunità del nostro territorio, ciò che ne risulterebbe è una fitta maglia di spot potenziali che possono accendersi quando vengono connessi da relazioni da ripensare oppure totalmente nuove.
Quello delle aree interne è un gigantesco dispositivo territoriale sostenibile e soprattutto contemporaneo, in primo luogo alle necessità di cambio di rotta sulla questione del cambiamento climatico.
Si sono voluti identificare dunque due scenari di supporto, uno di tipo turistico-culturale e uno di impronta sociale-produttiva, che venissero accesi grazie allo scenario di stampo rinnovabile, che mette in evidenza le conformazioni energetiche potenziali del territorio italiano, vera forza motrice, che sottolinea ulteriormente l’importanza delle aree interne.
191
192
Legenda
Castelli Siti archeologici Monumenti storici Borghi a “bandiera arancione” Sentieri turistici Reti ferrovierie dismesse
Un territorio costellato da infiniti spot di interesse storico e culturale, che mette in moto un turismo soft, ovvero responsabile, caratterizzato da spazi ricettivi che accolgono un flusso di viaggiatori che desiderano conoscere i luoghi, le culture e le comunità.
Rete ferroviaria Rete stradale principale Rete stradale secondaria Rete marine principali
Un turismo consapevole della sostenibilità ambientale, che si muove tramite una mobilità lenta, che prende in considerazione la ferrovia esistete oppure quella ripristinata da vecchie ferrovie dismesse, caratterizzata da sentieri e percorsi storici a carattere religioso, e ancora costituita dalle innumerevoli piste ciclabili.
Numero di posti letto nelle strutture ricettive 0 - 50 51 - 70 71 - 197 198 - 643 644 - 2142 Precentuale di edifici disabitati 1% - 5,4% 5,5% - 12,7% 12,8% - 30,2% 30,3% - 68% Parchi Nazionali Parchi Regionali Aree marine protette
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Scenario turistico-culturale
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Legenda
Porti di sbarco dei migranti Carceri Sprar Cie Cda e cara Cpsa
Si mettono in gioco gli interruttori sociali, che accendono i luoghi della comunitĂ , in particolare gli spazi dellâ&#x20AC;&#x2122;accoglienza, che entrano in stretto contatto con il territorio circostante, cogliendo lâ&#x20AC;&#x2122;occasione di tutelare gli spazi agricoli abbandonati, contribuendo allâ&#x20AC;&#x2122;economia locale.
Agriturismi Autostrade Rete stradale secondaria Rete marine principali Ferrovie
Economia tenuta in vita dai prodotti a km 0 dei piccoli produttori locali e dei loro agriturismi, economia fatta di eccellenze che trovano ora uno spazio di rivalsa.
Rotte dei migranti
Percentuale di edifici disabitati 1% - 5,4% 5,5% - 12,7% 12,8% - 30,2% 30,3% - 68%
Sueperficie agricola non utilizzata in ettari 16 - 54 55 - 130 131 - 316 316 - 622
197
Scenario sociale-produttivo
198
199
200
201
Mappa del consumo energetico
Lo scenario rinnovabile
202
Occorre una nuova prospettiva di ampie vedute, ma soprattutto un grande lavoro di ripensamento, di riattivazione, di riconversione, fatto di estesi riusi e nuove operazioni puntuali, dove non servono grandi opere, ma una grande capacitĂ di ragionare in termini sistemici.
203
4.1 4.1.1
IV
APPLICARE IL METODO Introduzione
Al di là del suo patrimonio storico e culturale, quale può essere dunque il ruolo di questo territorio quando si mette in gioco un progetto che pone al centro la questione del riabitare? Sembrerebbe infatti che a mancare sia un quadro completo, che consideri lo spazio non solo come un contenitore di risorse da valorizzare, e nemmeno come una superficie indifferente su cui posizionarvi elementi arbitrari. “Rovesciando le modalità consuete della concezione novecentesca, si potrebbe dire che è proprio dal progetto fisico, di un luogo che possono prendere forma progettualità economiche e sociali inedite, fino a quel momento non colte.” (Antonio De Rossi, Riabitare l’Italia)
204
“Proprio le attuali iniziative di rigenerazione e riattivazione, con il loro portato di pratiche di riterritorializzazione, mostrano quanto la spazializzazione fisica delle risorse, dei bisogni, delle progettualità, il corpo a corpo con la matericità dei luoghi possano risultare decisivi nella costruzione di istanze di futuro capaci al contempo di intrecciarsi con le molte dimensioni temporali, storiche, culturali, simboliche inscritte in questi spazi”. (Vittorio Cogliati Dezza1 , Alla scoperta della green society) Come bisogna agire per evitare di ritrovarsi con un’Italia che è la semplificazione di una cartolina di bei borghi e bei paesaggi? Come bisogna comportarsi per non cadere nella ripetizione e nell’omologazione?
4.1.2
I temi
Quello che si punta a realizzare è un intrecciarsi di infrastrutture e architetture dei luoghi, di conoscenze rurali e geomorfologiche, di pratiche culturali, di paesaggio, e contemporaneamente mettere in gioco le figure del riuso e del riciclo col tema di innovazione sociale, culturale e soprattutto economica, costruendo una nuova rete. Bernardo Secchi, indagando le strutturazioni storiche a partire dallo studio delle loro configurazioni costruttive, parla di architettura delle superfici e di architettura degli spazi di mediazione. Ovvero il disegno proprio del terreno, i salti di quota, il disegno in sezione, che si intrecciano con gli spazi del tra, la trama dei percorsi, degli attraversamenti, la costruzione di narrazioni2.
FILI PRO E DUTRE TIVE IENTALE
AMB INGEGNERIA
GESTIONE DEI RISCHI CAM GESTI O BIA MEN NE DEL TO C LIMA T PICCOLE INFRASTRUTTURE
1 Vittorio Cogliati Dezza, ex presidente di Legambiente. 2 Bernardo Secchi, Nuovi luoghi della sociabilità: il progetto della
discontinuità, in Città e territori. I nuovi spazi del commercio, a cura di U. Trame, Compositori, Bologna, 2001.
205
ICO
I T N E IAM
D E S N I RE
NUOVA AGRICOLTURA
RURALI
L’attenzione si sposta dunque nel capire chi sono i soggetti che vanno a conformare questo nuovo territorio. Si parla di una società nuova, in movimento, costituita da cooperative, da gruppi di cittadini, associazioni, una green society, i cui fondamentali non si riscontrano solo nei valori legati alla sostenibilità ambientale, ma anche valori che si intrecciano a temi quali la solidarietà, l’accoglienza, la cura del territorio, le creazioni di nuove forme di economia locale e circolare.
ECONOM IE
O S U I R
ENERGIA CULTURÀA T I L
I B O
M
TURISMO DOLCE
Bisogna provare a snaturare alcune retoriche diffuse e presunti automatismi di oggi, come se fosse sufficiente spingere sulla leva del riuso e del non consumo di suolo per dare vita ad un progetto consistente, ma soprattutto pertinente e sostenibile. La dimensione morfologica, se utilizzata non come fine ma come mezzo, può assumere un valore decisivo. Le interpretazioni costruttive della morfologia della sostruzione geologica, del ciclo delle acque, della pedologia del suolo, dell’energia da un lato e la dimensione dialogica del progetto dall’altro, diventano due capisaldi di un possibile nuovo modo di pensare il tema della modificazione del territorio, e del suo ordinamento spaziale3.
Qui non esistono regole abituali, logiche istituzionali, non ci sono competitors. In questi territori si colgono nuove opportunità. Proprio la costituzione di questa nuova comunità è la chiave per riattivare e rigenerare questi luoghi caduti da troppo tempo nell’oblio dell’indifferenza.
OVATIVI N IN I IZ V R E S
MAN DEL UTEN PAT ZIO RIM NE ONI O
SAPERI ARTIGIANALI LOCALI 3 Antonio De Rossi, Una nuova visione e cultura progettuale,
Riabitare l’Italia, 2018.
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In tutto questo si vengono a delineare una serie di strategie che possiamo definire sia per punti, cioè piccoli interventi che delineano delle conseguenze sull’intorno, che mostrano una strategia d’insieme; altre volte si parla di oggetti-calamita, intorno a cui si forma un tessuto o una rete, come possono essere i musei o gli ecomusei, strutture per la cultura o comunitarie, nuove strutture scolastiche, luoghi che ospitano attività legate alla produzione, nonché mercati agricoli a km 0.
Le aree interne non devono quindi essere riattivate in modo isolato, ma entrare in ampie strategie di sviluppo regionale e territoriale, rafforzando inoltre i legami con le aree urbane creando legami solidi di interscambio: di energia, di flussi di persone, di conoscenze e di cultura. Le aree interne devono far leva sui loro punti di forza e sullo sviluppo di nuove opportunità, sulle tecnologie digitali e le innovazioni, migliorando le reti e i servizi tradizionali. Bisogna far leva su un uso più razionale delle risorse, promuovendo la qualità della vita, creando nuove opportunità.
Nell’ottica proprio di una nuova concezione dell’agricoltura e dell’artigianato, possiamo vedere come le nuove economie messe in gioco muovano nuovi fili, contribuendo alla creazione di nuove piccole trame, reti di luoghi per la produzione e per la vendita, ma anche laboratori e attività outdoor.
Si parla di smart rural development, un approccio ancora nuovo e poco esplorato ma che mette in gioco una serie di temi antichi, aprendosi al contempo a nuove necessità: stalle, serre, orti, fienili, ricoveri per attrezzi, spazi di lavorazione dei derivati dalle produzioni, filiere locali, mulini, caseifici, filande, case agricole, falegnamerie, laboratori di co-working artigianale, mercati agricoli, spazi di rivendita dei prodotti4.
Tutta la questione energetica e ambientale smuove il territorio sia a livello di gestione, ovvero tutto ciò che concerne gli impianti, dai luoghi dei servizi dedicati alla produzione, agli spazi di stoccaggio, alle filiere locali, al trattamento delle materie prime nel suo ciclo vitale; ma smuove anche i fili della manutenzione del territorio, con annessa tutta la questione del progetto ambientale dei territori fragili, della prevenzione dei rischi, della messa in sicurezza del terreno.
Questa fitta trama di spot e relazioni si incrocia inevitabilmente con un nuovo flusso di persone, di esploratori curiosi alla scoperta di nuovi luoghi ancora poco noti. Un turismo soft che disegna un nuovo territorio, costellato da spazi della ricettività e spazi dell’accoglienza. Un flusso che si muove in modo consapevole, che ha a disposizione un’infrastruttura all’insegna della sostenibilità ambientale, in cui l’intermodalità è alla base del percorso.
4 Nuovi temi di progetto, Antonio De Rossi.
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208
4.2 4.2.1
L’ESPLORAZIONE Territorio 2050
Per renderci meglio conto del territorio che si verrebbe a creare intrecciando le potenzialità dei luoghi e le loro ricadute spaziali in termini di relazioni, con il motore delle energie rinnovabili, con lo scopo di delineare lo scenario di integrazione di Giovanni Carrosio abbiamo deciso di analizzare un transetto della regione del Veneto, che prenda diverse conformazioni morfologiche del paesaggio: mare, pianura, montagna. La mappa mostra le caratteristiche essenziali per ogni tipo di rinnovabile: le grandi masse boschive, i tratti fluviali più consistenti, l’heat flow del sottosuolo, le aree ventose.
Velocità media annua del vento a 25 m (m/s)
Boschi
3
Edificato
4
Bordo Aree interne
5
Rete elettrica
Heat flow
Corsi d’acqua Acque
Aree acquifere a 1000/2000m
Laguna
80 < HF ≤ 90
Sentieri di montagna
70 < HF ≤ 80
Autostrade
60 < HF ≤ 70
Strade principali
50 < HF ≤ 60
Strade secondarie
40 < HF ≤ 50
Ferrovia Rischio frane P4 Rischio idrico P3
Rischio frane P3
Rischio idrico P4
Aree attenzione AA 209
Il potenziale energetico
Vicenza
Padova
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2050 - Nuovo territorio rinnovabil
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4.2.2
Progetti di sistema
1
Raccolta biomassa e manutenzione del bosco, il produttivo e il turistico.
Sentieri per escursioni.
Piccoli bivacchi con riscaldamento autonomo con materiale del bosco.
I bivacchi possono essere anche utilizzati come piccoli spot di stockaggio del materiale. Percorsi capillari di raccolta materiale nel bosco. Aree incolte utilizzate per la silvicoltura da biomassa, contenendo rischi di frana.
Spot puntuali di raccolta del legno
Grande centrale a biomassa.
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Stockaggio maggiore del materiale per la biomassa, con piccoli impianti di produzione energetica per lâ&#x20AC;&#x2122;autosostentamento delle zone limitrofe.
2
Impianti di teleriscaldamento.
3
Piccoli interneventi rinnovabili e buone tecniche di risparmio energetico in cittĂ .
214
4
5
Un bacino di raccolta delle acque per il mini idroelettrico può diventare uno spazio per lâ&#x20AC;&#x2122;allevamento ittico o la coltivazione di alghe.
Piantumazione con vegetazione arborea le zone a rischio inondazione.
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6
7
Piantumazione con vegetazione arborea i bordi dei campi e dei canaliper diminuire lâ&#x20AC;&#x2122;effetto dei venti radenti.
Gli scarti agricoli e il materiale ricavato dallâ&#x20AC;&#x2122;arboricoltura nelle zone limitrofe dei campi utilizzato per la biomassa.
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8
9
Lâ&#x20AC;&#x2122;infrastruttura necessaria per il parco eolico diventa parte del percorso cicloturistico con spot per la ricarica delle bici a pedalata assistita.
Le piccole realtĂ produttice si collegano con il circuito cicloturistico dando la possibilitĂ di esperienze nuove al turista.
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10
11
Una marci in più che le scuole delle aree interne possono avere è quello di un contatto più stretto con il territorio. Tramite laboratori o progetti di integrazione scuola lavoro sono un’opportunità non solo lavorativa ma di tutela di tecniche tradizionali.
Uno sviluppo sostenibile della mobilità lenta tra centri e aree interne offre nuove possibilità. Sia dal punto di vista dei pendolari che turistico.
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219
4.2.3
Economie circolari
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L’energia elettrica pulita da biomassa
I luoghi interessati dalla raccolta del legno per la biomassa vengono manutenuti così da evitare dissesti come frane o incendi. Di conseguenza anche i percorsi turistici nel verde vengono valorizzati. Grazie alla manutenzione del bosco anche il turismo ne risente positivamente con potenziamento dei percorsi e l’attuazione di nuove strategie in cui il turista viene guidato alla scoperta del territorio. Anche i piccoli produttori inseriti in questo circuito di turismo consapevole hanno i loro vantaggi e la possibilità di far conoscere meglio i prodotti tipici del luogo. Tutti gli attori di questo circuito possono reinvestire nel luogo il nuovo capitale potenziandone l’efficacia con tecniche virtuose, senza intaccare le qualità naturalistiche del luogo. L’ambiente naturale e la città hanno la possibilità di essere manutenuti e controllati grazie ai nuovi investimenti e al capitale introdotto dall’energia e dalle attività che ne hanno beneficiato.
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Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio
Manutenzione del territorio
Creazione di percorsi naturalistici Prodotti locali tipici come centralitĂ produttiva e turistica
Riuso architettonico
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Energia elettrica pulita da turbine eoliche.
A seconda delle necessità, il luogo viene infrastrutturato e manutenuto, attraverso il disboscamento, la sistemazione di strade, l’installazione di punti di accumulo, l’allaccio alla rete elettrica. Modificando il territorio questo viene innanzitutto messo in sicurezza per evitare dissesti che andrebbero a danneggiare l’infrastruttura. Grazie alla manutenzione anche il turismo ne risente positivamente con potenziamento dei percorsi e l’attuazione di nuove strategie in cui il turista viene guidato alla scoperta del territorio. Le tracce dell’infrastruttura possono avere così una doppia valenza e l’energia a basso costo sul territorio avere anche un secondo scopo. Nel nuovo utilizzo del territorio tutti i manufatti sia piccoli che non, possono avere nuova vita, sia per motivi infrastrutturali, che turistici, ma anche a scopo residenziale o produttivo. Anche i piccoli produttori inseriti in questo circuito di turismo consapevole hanno i loro vantaggi e la possibilità di far conoscere meglio i prodotti tipici del luogo. Tutti gli attori di questo circuito possono reinvestire nel luogo il nuovo capitale potenziandone l’efficacia con tecniche virtuose, senza intaccare le qualità naturalistiche del luogo.
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Manutenzione del territorio
Prodotti locali tipici come centralitĂ produttiva e turistica
Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali
Laboratori didattici di arti e mestieri
Riuso architettonico Creazione di percorsi naturalistici
Manutenzione/ristrutturazione di edifici storici
Valorizzazione di beni culturali
Interventi volti allâ&#x20AC;&#x2122;autosufficienza eergetica
Creazione itinerari storico-culturali
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Realizzazione di aree museali su attivitĂ storiche del borgo
Energia elettrica pulita da impianti mini idroelettrici.
L’idroelettrico anche di piccole dimensioni ha bisogno di piccole vasche di raccolta dell’acqua e di tubature, spesso interrate, che permettano di avere un salto di quota più importante di quello che l’acqua avrebbe naturalmente. Ciò permette innanzitutto un controllo e una manutenzione del corso del fiume a monte che può evitare problemi secondari a valle. L’infrastruttura necessaria al mini-idroelettrico può essere valorizzata tramite destinazioni secondarie come a esempio vasche per l’itticoltura, la coltivazione di alghe o per la pesca. Questi nuovi spazi della produzione uniti alla nuova energia a basso costo aiuta le piccole produzioni del territorio a diventare più forti nel loro insieme mantenendo le qualità naturalistiche del luogo. Le nuove infrastrutture e le nuove risorse permettono politiche vantaggiose per chi vive in questi luoghi come ad esempio l’acqua gratuita o impianti di depurazione delle acque. Ad inserirsi in questo circuito è sicuramente un turismo consapevole che scopre le tipicità naturalistiche agroalimentari del territorio in maniera sostenibile. Tutti gli attori di questo circuito possono reinvestire nel luogo il nuovo capitale potenziandone l’efficacia con tecniche virtuose, senza intaccare le qualità naturalistiche del luogo.
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Realizzazione di aree museali su attivitĂ storiche del borgo
Manutenzione del territorio Manutenzione/ristrutturazione di edifici storici
Creazione di percorsi naturalistici
Interventi volti allâ&#x20AC;&#x2122;autosufficienza eergetica
Recupero luoghi pubblici (strade piazze)
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio
Ripristinare servizi primari
Aiuto a famiglie meno abbienti
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Energia geotermica pulita.
Un impianto a biomassa in un territorio prevalentemente pianeggiante può venire alimentato da arbusti, precedentemente inseriti nel territorio agricolo, il cui compito è la regolazione dell’umidità dei campi. La biomassa produce dunque energia dallo scarto del settore produttivo agricolo. Grazie alle nuove tecniche la produttività ne gioverà, portando questo settore al centro del sistema del territorio. Questo sistema induce le strutture scolastiche ad inserire nel loro percorso di studi uscite e gite, permettendo così ai giovani di studiare e imparare sul campo le nuove tecnologie e al tempo stesse conoscere le tecniche più remote, evitando così di perdere la tradizione e la cultura del lavoro della terra. Grazie alla crescita e alla valorizzazione dei prodotti locali e al loro legame col territorio, il turismo lento e sostenibile porterà le persone alla scoperta del territorio, promuovendo l’intervento virtuoso nel territorio circostante. Tutti gli attori di questo circuito possono reinvestire nel luogo il nuovo capitale potenziandone l’efficacia con tecniche virtuose, senza intaccare le qualità naturalistiche del luogo.
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Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali
Riqualifica del verde pubblico
Riuso architettonico
Creazione di percorsi naturalistici
Interventi volti allâ&#x20AC;&#x2122;autosufficienza energetica
Creazione di percorsi naturalistici
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Energia elettrica da biomassa pulite in zone non boschive.
L’energia termoelettrica pulita da geotermico e fotovoltaico è un’occasione per recuperare vecchi edifici e riqualificare la classe energetica. Alcuni edifici potranno essere dotati di una piena autosufficienza energetica, creando una nuova richiesta edilizia. Si generà un nuovo flusso di persone che si appoggerà ad un circuito di mobilità lenta, che verrà adeguatamente potenziato, portando un aumento demografico della zona, la quale sarà ora meno isolata e più accessibile. Ne risentirà quindi il settore turistico, che promuoverà esperienze nel campo dell’agricoltura o nelle fattorie didattiche del luogo. Tutti gli attori di questo circuito possono reinvestire nel luogo il nuovo capitale potenziandone l’efficacia con tecniche virtuose, senza intaccare le qualità naturalistiche del luogo.
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Creazione di percorsi naturalistici
Riqualifica del verde pubblico
Interventi volti allâ&#x20AC;&#x2122;autosufficienza energetica
Recupero infrastrutture utili al trasporto di persone e/o materiali
Creazione/manutenzione di zone naturali
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio
Manutenzione del territorio
Utilizzo di risorse territoriali come modo per gestire il territorio
230
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4.2.4
La Rete dei tracciati
Nello specifico abbiamo deciso di prendere a campione il sistema della Valle del Chiampo e la cittĂ di Vicenza, cercando di comprenderne lâ&#x20AC;&#x2122;interdipendenza.
Comune e numero di abitanti Corsi dâ&#x20AC;&#x2122;acqua Strade Abitato Comuni in via di spopolamento Aree interne
232
Tracciati turistico culturali
Campeggi e postazioni camper Hotel e appartamenti Baite Aree pic-nic Agriturismi Ville Venete Attrazioni turistiche Fermate bus e treno Castelli Siti Archeologici Noleggio bici Strade Corsi dâ&#x20AC;&#x2122;acqua Relazioni Ferrovia Parchi regionali Centri storici
233
Piccole produzioni
Cantine e birrifici Aziende agricole Apicolture Caseifici Strade Corsi dâ&#x20AC;&#x2122;acqua Olivi Frutteti Vigneti
234
Tracciati della comunitĂ
Aziende vinicole e cantine Caseifici Fattorie Apicolture Aziende agricole Centri sociali , comunitĂ , sprar Centri abitati Scuole e biblioteche Relazioni
235
Rischi e opportunità
Bosco Rischio Frane P4 Rischio frane P3 Pericolosità idraulica Corsi d’acqua
236
Relazioni energetiche
Energia da Biomassa Energia da idroelettrico Energia da eolico Zona ad alto consumo energetico Bosco Aree franose Aree ventilate Corsi dâ&#x20AC;&#x2122;acqua Rete elettrica
237
Energia da Idroelettrico Energia da Biomassa
Punti di interesse naturalistico MobilitĂ lenta Agriturismi Strutture ricettive Punti di interesse storico culturale Bosco Incolto Campi agricoli Vigneti Settore produttivo locale Centri sociali, comunitĂ e sprar Scuole Relazioni energetiche Relazioni turistiche Energia da eolico Relazioni produttive Relazioni sociali Area boschiva Strade
238
Relazioni di interdipendenza
Energia da eolico
4.3
CONCLUSIONE
Ridare senso e valore ai territori delle aree interne non è solo una questione di giustizia sociale, ma è una questione di sopravvivenza: una corrente di pensiero oggi molto accreditata sostiene che il futuro delle società umane dipenda essenzialmente dalle città, in particolare dalle mega-città5. Se consideriamo l’Europa e Paesi come la Gran Bretagna o la Francia, possiamo affermare che il dualismo centro-periferia si traduca nella dominanza assoluta della capitale nei confronti dell’intero Paese. In Germania invece dà luogo a un’aggregazione metropolitana talmente estesa da diventare una città-regione.
E noi? Se il futuro che ci aspetta è il trionfo delle mega-città si tratta di una storia che in gran parte ci scavalca e non ci apparterrà, se non in misura limitata. Ed è proprio qui la fondamentale importanza del valore delle aree interne:
“se non sapremo innovare nella nostra capacità di ridare senso e valore a questi territori, e quindi a far leva sulla nostra specificità geografica e culturale, ci stiamo condannando da soli a entrare sempre più nel cono d’ombra”.
Se prendiamo le difese delle città, notiamo che ci sono molteplici occasioni di opportunità e di relazioni che questa ci mette sul piatto. D’altro canto, però la network science ci mostra quali siano i nostri limiti riguardo alla quantità di relazioni significative che riusciamo a tenere in piedi, e che la saturazione delle nostre capacità relazionali sia solo che controproducente, a livello fisico ma soprattutto psicologico. Se prendiamo invece in considerazione la scienza comportamentale essa ci insegna che in presenza di un eccessivo ventaglio di alternative, tendiamo a non scegliere o quantomeno a semplificare la scelta.
5 Edward Glaeser, Triumph of the City. How our smartest
invention makes us richer, smarter, greener, healthier and happier, Nwe York, 2012.
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Dunque non è detto che la densità esperienziale dei modelli di vita urbani sia necessariamente la base per una qualità del vivere più soddisfacente. Il desiderio di vivere nelle aree interne non è riconducibile solo alla presenza di lavoro e servizi: esiste in questi luoghi una sfera culturale più profonda rispetto alle periferie degli agglomerati urbani, ci sono delle dimensioni che riguardano lo spazio e il tempo, caratterizzate da un senso di lentezza e un senso di appartenenza al luogo. Ed è questo che le contraddistingue dalle città, frenetiche, veloci. C’è bisogno di un modello culturale che rimetta al centro del desiderio individuale e collettivo la lentezza e l’appartenenza territoriale.6
Inoltre il problema delle aree interne non deve essere trattato in primis in termini di contenimento del danno, perché non sono solo delle aree fragili del nostro territorio, ma sono il nostro territorio. E dopo aver trovato il vero motore per farle ripartire, è proprio dalla sfera culturale che dobbiamo tessere le prime tele, per farci capire quanto queste aree oggi costituiscano un potenziale innovativo per rigenerarsi, ma soprattutto per comprendere il futuro dell’Italia stessa.
“Ora che in Italia non esiste alcun ragionamento coerente e condiviso sul progetto di Paese che vogliamo diventare da qui a dieci anni, le aree interne sono il posto giusto per ricominciare a lavorare su una progettualità dal basso, centrata sulle persone e sulla comunità, ma anche sostenuta da una visione di politica del territorio chiara, ben progettata, trasformativa. Si può solo sperare che qualcuno inizi a capirlo prima che sia troppo tardi” (Pier Luigi Sacco7) 6 Gino Pollini, Capitale comunitario, appartenenza socio-
territoriale e senso civico, in “Annali di sociologia”, in corso di pubblicazione. 7 Pier Luigi Sacco, insegnante di Economia della cultura presso l’università Iulm di Milano, è special advisor del commissario europeo all’Educazione e alla cultura e senior researcher presso il Metalab at Harvard. Fa inoltre parte della commissione Mibac sui musei e l’economia della cultura, e di commissioni scientifiche della Repubblica Ceca (ricerca e innovazione), della Europeana Foundation (patrimonio digitale) e di Creative Georgia (industrie culturali e creative).
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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II Atlante Qualivita, 2008. Fabrizio Barca, An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A Placed-based Approach to Meeting European Union Challenges and Expectations, Indipendent report, 2009
Atlante Qualivita, 2008. Manifesto dei borghi autentici, Le aree interne italiane protagoniste della ripartenza, 2015 Dossier Legambiente, Scatti di futuro, viaggio nell’Italia dei piccoli comuni che innova, 2017 Valentina Silvestrini, L’Italia possibile delle aree interne, Articolo pubblicato su Artribune Magazine n. 38, 2017 Rapporto Coldiretti-Fondazione Symbolia , Piccoli comuni e tipicità, 2018 Arcipelago Italia, Progetti per il futuro dei territori interni del Paese, Quodlibet editore, 2018 Confcooperative, presentazione della Rete dei borghi della regione Abruzzo Agenzia per la coesione territoriale, Strategia delle aree interne Politecnico di Milano, borghi-reloaded, riattivazione di borghi abbandonati Dati Istat – Istituto nazionale di Statistica
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