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dalla terra fino all’arte arte figurativa e cultura materiale dell’Africa occidentale
testi di: Adolfo Bartolomucci Aldo Tagliaferri Giulio Callegari
Direzione del progetto Adolfo Bartolomucci
Indice
Copiright: African Art Gallery Via Caterina da Forlì, 28 - Milano
Adolfo Bartolomucci Dalla terra all’arte From earth to art
p. 7-14
Fotografie: Giovanni Sgura Renata Lang
Aldo Tagliaferri Dalla terra al museo From earth to museum
p. 15-19
Giulio Callegari Travasi di senso The handing down of sense
p. 21-24
Note sulle scoperte di Desplagnes nel Delta del Nilo A note of the discoveries of Desplagnes in the Niger Delta
p. 25-28
Illustrazioni p. 29
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dalla terra fino all’arte
African Art Gallery
Adolfo Bartolomucci
AFRICA
Dalla terra all’arte
From earth to art
La terra è stato uno dei primi materiali ad essere utilizzato fin dai tempi più remoti da tutti i popoli e da tutte le etnie esistenti sul pianeta per creare un riparo e per modellare oggetti d’uso e di rito, e al ricorso a questa materia prima non si sono sottratti i popoli africani. Numerose sono infatti le popolazioni africane che hanno saputo trasformare materiali argillosi in oggetti d’uso e d’arte, escogitando tecniche ingegnose e diversificate per lavorarle, come dimostrano i resti tramandatici da culture antiche come quelle Djenné, Bambara, o Nok. Le prime terrecotte riconducibili alla cultura Djenné, giunte in Europa agli inizi degli anni settanta, prendono il loro nome dalla omonima città maliana e non sono molto antiche, dato che risalgono al massimo al 1200 d. C. e quindi sono relativamente tardive se confrontate, per esempio, con le terrecotte nigeriane di Nok. Djenné non è la città più importante della repubblica del Mali, ma dal punto di vista storico e culturale va annoverata tra i principali centri dell’ Africa occidentale. E’situata fra i due corsi d’acqua più importanti del Mali, il Niger e il Bani, che risalgono verso il Nord formando un reticolo fluviale, noto con il nome di delta interno del Niger, per poi confluire fra loro, all’altezza di Mopti, in un unico corso, il Niger. Nella stagione piovosa le basse terre del delta interno sono soggette a inondazioni. Dalle acque emergono isolotti più o meno alti, detti Toguéré, antichi insediamenti abitati, nei quali è stata trovata la maggior parte delle statuette in terracotta della cultura Djenné. E’ opportuno qui sottolineare che il delta interno, dove l’abbondanza delle acque assicura una possibilità di vita agricola e di pesca, copre un territorio di circa 30.000 km2. Quanto a Djenné, situata proprio al centro del delta interno del Niger, giova precisare che la città attuale non interessa le ricerche archeologiche rivolte allo studio delle terrecotte che portano il suo nome. Secondo Essai, la città attuale sarebbe stata fondata verso l’Ottocento della nostra era da una popolazione pagana ma molto legata all’evoluzione della cultura islamica, mentre l’antica Djenné, chiamata DjennéDjenno o Djenné-Siré, sarebbe stata fondata nel III secolo a.C. Le due Djenné, quella musulmana e quella animista, hanno coesistito durante alcuni secoli senza problemi fra di loro. I risultati delle ricerche archeologiche degli ultimi 40 anni mettono in evidenza che la superficie di distribuzione geografica della statuaria Djenné non è concentrata solo intorno alla città di Djenné-Djenno, bensì si estende in tutto il delta interno del Niger. Pertanto la denominazione generica inizialmente imposta alla statuaria di Djenné non risulta esatta e sarebbe più corretto chiamarla statuaria del
Clay is one of the first materials used by men in ancient times to create objects for daily use and for rituals, and Africans were no exception. In fact, many African ethnic groups were able to transform clay into useful and artistic objects employing ingenious and diversified techniques, as we can see from the discovery of ancient artifacts such as those of the Djenné, Bambara, or Nok cultures. The first clay objects that can be traced back to the Djenné culture arrived in Europe in the beginning of the Seventies, and are named after the homonymous Malian city. These specimens cannot be considered very old, as they are dated around 1200 A.C.: This is fairly recent compared to, for example, Nigerian terracotta from Nok. Djenné is not the major city in the Mali Republic, but from a historical and cultural point of view it can be included among the principle centers of Western Africa. It is located between two of the most important rivers in Mali, the Niger and the Bani, which flow toward the North forming a fluvial network, known as the inland Delta of Niger. When they reach Mopti they converge into one river, the Niger. In the monsoon season, the lowlands of the inland Delta are subject to flooding. Amidst the water, fairly high islands remain called Toguéré, which are ancient inhabited settlements where the majority of the clay statues from the Djenné culture were discovered. One should keep in mind that the inland Delta, where most of the water assures the possibility of agricultural life and fish, covers a territory of about 30,000 square kilometers. The Djenné people, who reside in the center of the inland Delta, like to insist that today’s city has no interest in archeological research aimed at studying the clay named after it. According to Essai, the present city was founded in the 1800’s by a pagan population closely linked to the evolution of the Islamic culture, while the ancient Djenné, called Djenné-Djenno or Djenné-Siré, was founded in the III century B.C. The two Djenné cultures, the Muslim one and the animist, coexisted during a few centuries with no problem. The results of the archeological research during the last 40 years demonstrate that the area of geographical distribution of the Djenné sculptures is not concentrated only around the city of Djenné-Djenno, but extends over the entire inland Delta. Therefore the generic name that was first given to the statuary of Djenné is not quite exact and it would be more correct to call them sculptures of the inland Delta of the Niger, since the culture that we are concerned with developed in an area of about 30,000 square kilometers, going from Ke Macina to beyond Mopti. The ethnic groups that made these statues are essentially
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delta interno del Niger, dato che la cultura di cui stiamo parlando si è sviluppata su una superficie di circa 30.000 km2 che va da Ke Macina a oltre Mopti. I gruppi etnici che hanno modellato queste statuette sono essenzialmente i Sorogo, chiamati anche Bozo o Sorko, noti come muratori, architetti, nonché cacciatori e pescatori. In pratica queste statuette prodotte dai Sorogo erano utilizzate da tutte le etnie presenti nel delta interno, dai Soninke, Marka-Nonon, Peuls, Sungulate. L’epoca di produzione, valutata con il metodo della termoluminescenza è compresa fra il XII e il XVI secolo d. C. Le statue, in terracotta, possono essere considerate immagini sacre. L’iconografia è varia e composita. Prevalgono le opere antropomorfe ma ci sono anche forme ricorrenti di animali (quadrupedi, rettili) concepite come forme autonome. Nella statuaria del delta interno del Niger sono numerosi i personaggi rappresentati nelle vesti di cacciatori, prigionieri, divinità, personaggi colpiti da malattie e deformità, equilibristi, donne incinte, figure equestri. Le figure femminili, numerose e caratterizzate dai seni evidenziati, sono ritratte in posizione inginocchiata o stante, o come maternità con uno o più figli in braccio. La caratteristica formale della statuaria del delta interno del Niger risiede nella varietà dei gesti e degli innumerevoli atteggiamenti rappresentati. Dagli studi comparati risulta che la posizione più frequente nella rappresentazione delle figure umane è quella di una figura inginocchiata; un’altra posizione frequente è quella seduta. Un tentativo di classificazione stilistica proposta da De Grunne (1980) utilizza la forma dell’occhio come elemento morfologico che ha originato due stili fondamentali: uno con palpebre multiple e l’altro a ciglia incise. La testa, spesso rivolta verso l’alto, mostra cranio cilindrico, naso triangolare, un ombelico spesso ben pronunciato, e seni molto evidenziati nei personaggi femminili. Tutti gli informatori locali più attendibili sono concordi nel sostenere che in gran parte si tratta di antenati deificati o di celebri fondatori dell’etnia. Le statue in terracotta erano venerate dagli uomini e dalle donne in edifici particolari chiamati Kordodjan, dove i riti connessi alla statuaria consistevano in preghiere e sacrifici nella cui realizzazione le vittime designate potevano essere umane, o animali come il montone e il pollo. Le statue, realizzate dai fabbri o dalle loro mogli, servivano a tutti i gruppi etnici della zona e il materiale usato nella loro realizzazione era un’argilla rossobruna, fine, senza sabbia, compatta e non porosa. La frequenza con la quale ricorre il tema del serpente, riconoscibile su numerose statuette e vasi, trova una spiegazione nel fatto che l’animale era il totem dell’etnia, ma trova anche fondamento nelle radici profonde del sistema mitico proprio di questa etnia. Le figure umane coperte di serpenti rappresentano sempre i potenti, re e regine, grandi capi in grado di dominare i rettili, giacché veniva presupposta una equivalenza simbolica tra la natura del rettile e la potenza. Numerose sono anche le statue equestri in terracotta che, trovate nel delta interno del Niger,
Sorogo, also called Bozo or Sorko, who were usually masons, architects, hunters or fishermen. Basically these statues made by the Sorogo were used by all the ethnic cultures located in the inland Delta, the Soninke, Marka-Nonon, Peuls, and Sungulate. The era of production, measured with thermoluminescence is between the XII and XVI century A.C. The clay statues may be considered sacred images. The iconography is varied and a mix of styles. There is a prevalence of anthropomorphic works but there are also recurring forms of animals (quadrupeds, reptiles) created as independent forms. Within the statues of the inland Delta, there are numerous subjects depicted as hunters, prisoners, divinities, and subjects suffering from illness or deformities, acrobats, pregnant women and horses. The female figures, in abundance and with evident breasts, are drawn in either kneeling or standing positions, or in motherhood with one or more than one child in their arms. The formal characteristics of the statues of the inland Delta of the Niger lie in the gestures and numerous behaviors depicted. From comparative studies we find that the most frequent position seen in the human figure is the kneeling position; another frequent position depicted is sitting. An attempt to classify the style proposed by De Grunne (1980), considers the form of the eye a morphologic element that gave way to two fundamental styles: one with multiple eye lids and the other with scored eyebrows. The head, often tilted upwards, shows a cylindrical cranium, triangular nose, often a very pronounced navel, and very evident breasts in the female figures. All the most reliable local experts have agreed that mostly we are dealing with exalted ancestors or famous founders of the ethno. The clay statues were venerated by men and women in particular buildings called Kordodjan, where the rituals connected to the statues consisted in praying and sacrifice where the victims could have been human or animal such as the ram and chicken. The statues made by metalworkers or their wives were used by all the ethnic groups in the area and the material used to make them was a fine, reddish-brown clay without sand that was compact and non-porous. The frequency in which the theme of the snake is used, which is seen in many statues and vases, shows how this animal was the totem of the ethno, but is also based on the deep roots of the mythical system of this ethno. The human figures covered with snakes always depict powerful subjects, kings and queens, or figureheads capable of dominating reptiles, since a symbolic equivalent was proposed between the nature of reptiles and power. There are also many subjects of the Kamura and Konate clan from the ethnic Kagoro family. These figures, who represent horsemen dressed with short pants, embroidered and cut on the hips, wear necklaces made of strung seeds. In the iconography of the statues typical of the inland Delta, the theme of the equestrian statue has a particular role. The horsemen are generally associated with richness, speed and elegance.
potrebbero rappresentare personaggi dei clan Kamura e Konate della famiglia etnica Kagoro. Queste figure, che rappresentano cavalieri vestiti con pantaloncini ricamati e tagliati sui fianchi, portano collane di semi. Nella iconografia della statuaria caratteristica del delta interno, al tema della statua equestre viene assegnato un ruolo particolare. I cavalieri sono generalmente associati ai temi della ricchezza, della velocità e dell’eleganza. Essi rappresentano un potere che non è solo politico, militare e legale, ma anche mistico. In merito alla funzione di queste statuette non può essere escluso totalmente l’uso funerario, ma fino a questo momento nessuna statuetta è stata mai trovata in un contesto funerario o in associazione diretta con resti umani, o in urne funerarie. L’avanzata dell’ Islam pose fine alla produzione e alle pratiche d’uso di questa statuaria: furono distrutti i Kordodjan e costruite le moschee.
Bankoni Bambara
Un’altra cultura importante sviluppatasi nel Mali fra il XII e il XVI secolo d.C. è quella erroneamente chiamata Bankonì, dal nome di una zona rurale periferica della capitale Bamako, anticamente zona desertica e ora centro abitato inglobato nell’area della capitale. La denominazione Bankoni fu data basandosi esclusivamente sullo studio di due o tre oggetti (compresa la statuetta presente nel museo di Bamako) scoperte dall’archeologo francese Szumowski nel sito di Bankonì nel 1958. Poche o nulle sono state le ricerche archeologiche ufficiali fatte in seguito, mentre una grande quantità di oggetti sono venuti alla luce nel corso di scavi non ufficiali. D’altra parte, vastissima è la superficie geografica in cui sono stati rinvenuti manufatti in terracotta di questa cultura. Tra le principali zone interessate troviamo la regione di Dioila, la regione di Ségou, la regione di Kutiala, la regione di Bougouni, la regione di Kolomdieba, la regione di Kadiolo, e quella di Massigui, tutte zone abitate da popolazione Bambara. A mio parere sarebbe pertanto più esatto attribuire a questa cultura il nome di cultura Bambara, stabilendo poi ulteriori distinzioni a seconda della regione di provenienza e delle tipologie, del genere cultura Bambara di stile Ségou, o Dioila, tenendo conto ogni volta della specifica regione di provenienza. Queste distinzioni risultano indispensabili, perché le tipologie delle varie zone sopra menzionate sono diverse fra di loro, anche se hanno qualche elemento stilistico in comune. La principale caratteristica che li accomuna è il trattamento longilineo e cilindrico delle diverse parti del corpo. Le figure, presentate quasi sempre frontalmente e costruite in genere seguendo il criterio della simmetria, sono piene, plasmate in argilla di colore rosso-grigio, ricca di inclusioni di quarzo e granato. Si può dedurre il loro sesso, non evidenziato, dalla presenza di seni abbastanza sviluppati in alcune statue femminili. Le società iniziatiche Bambara Jo e Gwan facevano uso di figure umane lignee in grandezza naturale che presentavano alcune somiglianze con queste terrecotte. Si tratta di una statuaria che rappresentava antenati deificati, grandi re e regine dell’antichità, storica
They represent power that is not only political, military and legal but also mystical. In regards to the purpose of these statues, we cannot completely exclude a funerary use, but up till this time, no statue has been found in a funerary context or in direct association with human remains or in urns. The advance of Islam brought an end to the production and use of these statues: the Kordodjan were destroyed and mosques were built.
Bankoni Bambara
Another important culture that developed in Mali between the XII and the XVI century A.C. is the one erroneously called Bankoni, from the name of a rural area in the periphery of the capital Bamako, which in ancient times was a desert zone and now is an inhabited center incorporated into the area of the capital. The name Bankoni was given based exclusively on the studies of two or three objects (including the statues in the museum of Bamako) that were discovered by the French archeologist Szumowski at the dig site of Bankoni in 1958. There was very little or no official archeology research carried out after this, while a great amount of objects came to light during unofficial diggings. On the other hand, the geographical area in which clay artifacts from this culture were found is quite vast. Among the primary zones of interest, we have the Dioila region, the Ségou, Kutiala, Bougouni, Kolomdieba, Kadiolo, and the Massigui regions, all areas inhabited by Bambara peoples. In my opinion, it would therefore be more exact to call this culture Bambara, and then distinguish between the regions where they originated and the type of Bambara culture, whether a Ségou or Dioila style, while each time, considering the specific region they came from. This type of distinction is fundamental, since the characteristics of the various zones are different from one another, even if they have a few stylistic elements in common. The main characteristic that they have in common is the longilineal and cylindrical shape of the diverse parts of the body. The figures, shown almost always from the front and generally drawn symmetrically, are solid and are molded out of reddish-gray clay, rich with pieces of quartz and granite. We can determine the sex, not shown, by the presence of large breasts in a few female statues. The initiatory Bambara Jo and Gwan societies used life size wooden human figures that had a few similarities to these clay ones. There are statues that represented deceased ancestors, important kings and queens from antiquity, history or mythology, which were not produced by only one ethnic culture but were used in cultures that venerated these figurations. The Bambara statues represented subjects, horsemen or animals that are not always identifiable as well as pregnant woman and woman in motherhood with children. A few subjects were represented with a human body and animal head. Many figures were kneeling with the hands on the knees, others sitting with legs crossed, many standing.
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o mitica, e non era prodotta da una sola etnia, bensì era utilizzata da più etnie che veneravano queste raffigurazioni. La statuaria Bambara rappresentava personaggi, cavalieri, animali non sempre identificabili, donne incinte e maternità con figli. Alcuni personaggi sono rappresentati con un corpo umano e una testa animale. Molte figure umane sono inginocchiate con le mani sulle ginocchia, altre sedute con gambe incrociate, molte quelle in piedi. Le dimensioni di queste statue, che datate mediante test con la termoluminescenza risalgono al XII - XVI secolo d. C., possono variare dai 10 ai 90 cm. Luogo di ritrovamento delle statuette Bambara sono pseudotumuli così definiti per il fatto di non offrire il minimo segno di inumazione; potrebbero essere legati al culto del Jo e del Gwan e questo particolare potrebbe spiegare perché nessuna statua in terracotta sia stata ritrovata in superfici abitate. Infine, le condizioni in cui sono state recuperate le statuette all’interno dei tumuli lascia pensare che una mutilazione volontaria sia stata loro inferta al momento della introduzione delle statuette nei tumuli.
Nok
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Al contrario delle sculture in legno, le terrecotte antiche per loro natura hanno resistito al tempo ma, come del resto quelle moderne, rimangono sempre fragili, esposte al pericolo del deterioramento, o della distruzione. E’ a Bernard Fagg che risale la paternità del termine cultura Nok. Il talento artistico unico dei Nok solleva domande che per il momento restano senza risposta, in mancanza di ricerche approfondite e sistematiche. Negli anni 1880 alcuni commercianti britannici che lavoravano per la compagnia Royale du Niger, acquistavano lo stagno fuso nei villaggi della valle della Benué. Incuriositi dall’origine di questo metallo, scoprirono che esso proveniva dalle miniere dell’altopiano di Jos. Comincia così lo sfruttamento in grande scala di queste miniere a cielo aperto da parte delle compagnie inglesi. Nel 1928 il colonnello Dent Young, capocantiere delle regione di Jos, raccoglie una prima scultura emergente dai minerali di stagno, una piccola testa umana dai lineamenti infantili. Nel 1942 una seconda testa con una elaborata pettinatura a cascata viene scoperta sotto 10 metri di depositi alluvionali sul sito di Tsani, nelle vicinanze del villaggio di Jemaa. Questo reperto, battezzato testa di Jemaa, fu segnalata a Bernard Fagg, amministratore civile e archeologo a tempo perso, che colse immediatamente un nesso fra la testa raccolta da Joung e la testa di Jemaa e ordinò agli operai delle miniere di recuperare tutti i manufatti di terracotta che trovavano mescolati al minerale. Numerosi furono gli oggetti in terracotta trovati in diverse zone dell’ altopiano, anche a molta distanza da Nok e Jemaa, quando furono fatti degli scavi specifici in varie località portando alla luce molti frammenti di grosse figure sedute su sgabelli e teste di varie dimensioni. Fagg capì l’importanza di queste scoperte, ne pubblicò le prime descrizioni e diede a queste sculture il nome di cultura Nok. Un museo archeologico creato nel 1952 nella città di Jos conteneva circa una cinquantina di pezzi. Le prime datazioni al carbonio 14 della cronologia
The dimensions of these statues, which were dated with thermoluminescence and go as far back as the XII- XVI century A.C., can vary between 10 and 90 cm. The location of the discovery of the Bambara statuary is pseudo tumuli, called thus due to the fact that they do not offer the slightest sign of inhumation. They could be tied to the cult of Jo and Gwan and this fact could explain why no clay statue was discovered in inhabited areas. Lastly, the conditions in which the statues were found within the tumuli lead us to believe that a voluntary mutilation was inflicted upon them at the time they were placed into the tumuli.
Nok
Contrary to the wood sculptures, the antique clay due to its nature resisted over time but, as with all things, the modern ones are fragile, having been exposed to deterioration or destruction. It is thanks to Bernard Fagg that the culture was named Nok. The unique artistic talent of the Nok gives rise to questions that for the moment have not been answered, due to a lack of in-depth organized research. Around 1880 a few British merchants who worked for the company Royale du Niger, purchased the cast tin in the villages of the Benué valley. Intrigued by the origins of this metal, they discovered that it came from the mines of the high plain of Jos. The large scale use of these open mines by the British company thus began. In 1928, Colonel Dent Young, Site Director of the Jos region, found the first sculpture that was taken out of the tin mines, a small human head with an infant shape. In 1942, a second head with an elaborate cascading hair style was discovered beneath 10 meters of flood debris at the Tsanis site, near the Jemaa village. This discovery, called the head of Jemaa, was discovered by Bernard Fagg, a part-time civil and archeology administrator who immediately recognized the connection between it and the head discovered by Joung and ordered the mine workers to gather all the clay artifacts that they saw mixed with the minerals. Many were clay objects found in diverse zones of the high plain, even far from Nok and Jemaa, during specific digs made in various locations. These findings lead to the discovery of many fragments of large figures seated on stools as well as heads of various dimensions. Fagg understood the importance of these discoveries, published the first descriptions and named these sculptures after the Nok people. An archeology museum founded in 1952 in the city of Jos contained about fifty pieces. The first uses of carbon 14 within the Nok chronology made by Fagg were between 500 B.C. and 450 A.C., consisting in a time frame of about one millennium. More recent research made by specialists lengthens the Nok period from 900 years B.C. to 850 years A.C.. In regards to the fabrication techniques, the Nok sculptures are hollow, modeled by hand, without using molds and while using a coil pottery method; the traces are easily seen and the inside of the sculptures are not smooth. A few of the sculptures were molded with more pieces inserted inside
Nok fatte da Fagg erano comprese fra il 500 a. C. e il 450 d.C., comprendendo un lasso di tempo di circa un millennio. Ricerche più recenti fatte da specialisti allungano il periodo Nok portandolo da 900 anni a. C. a 850 anni d. C. Quanto alla tecnica di fabbricazione, tutte le sculture Nok sono vuote all’interno, modellate a mano, senza ricorrere a stampi e ricorrendo a una costruzione a colombino; le tracce sono ben visibili e l’interno delle sculture non lisciate. Alcune sculture sono modellate con più pezzi inseriti uno nell’altro. I dettagli delle pettinature e degli ornamenti sono fatti separatamente e poi applicati. Le sculture di grossa taglia sono costruite con una armatura in legno interna per sostenere l’argilla di sua natura molle e debole. Al momento della cottura questa armatura in legno brucia carbonizzandosi, ed è stato grazie a questi resti di carbone e di legno non bruciato a permettere di stabilire delle datazioni al C.14. Quattro caratteristiche formali permettono di identificare le opere Nok. La pupilla è bucata con un foro circolare che rende profondo lo sguardo, mentre la palpebra superiore, cadente, è equilibrata dall’arco della sopracciglia; una seconda caratteristica è il realismo delle labbra, orlate e sensuali, del naso dritto con narici larghe e ben disegnate. Terza caratteristica: le narici, le orecchie e la bocca sono bucate. Quarta, la presenza permanente di pettinature complesse a forma di bande e trecce, nonché la ricchezza di ornamenti come collane di perle, ciondoli e altri gioielli.Osservando questo insieme di sculture Nok notiamo la varietà della gestualità, che permette di proporre una classificazione. Un primo criterio di classificazione può essere fissato in base alla posizione assunta dalla statua: in piedi, seduta o genuflessa. Un secondo criterio concerne la posizione delle braccia , delle mani e dei ginocchi. Quanto alle pettinature, numerose e varie, non è possibile stabilire un legame fra il tipo di pettinatura e il sesso del personaggio. Le caratteristiche sessuali sono abbastanza evidenti grazie a altri elementi quali l’astuccio penico, barba e baffi, cachesex tipicamente femminile o seni molto visibili. Nessuna opera Nok è stata mai trovata in un contesto funerario, e pertanto si può affermare che l’arte Nok aveva una destinazione di altra natura. Pochi sono i dati sull’uso e sulla funzione di queste sculture: immagini di personaggi importanti, re, regine, sacerdoti o divinità, erano certamente venerate e adorate in alcuni luoghi sacri dai fedeli che si rivolgevano a loro per ottenere grazie o privilegi.La ripartizione geografica nella cultura Nok, sviluppatasi durante un millennio e molto vasta per estensione, abbinata alla diversità degli stili che la caratterizzano suggerisce la possibilità di procedere per distinzioni tenendo presenti le zone di provenienza: stile Nok di Jemaa, statue pilastri di Kuchamfa, stile Katsina-ala. I metodi per la datazione di queste opere sono stati prima il C14, poi la termoluminescenza, e quest’ultimo metodo è stato applicato solo dopo gli anni 1970.
Sokoto
Nel 1992 terrecotte di stile diverso dall’arte Nok compaiono sul mercato dell’arte africana in Francia. Provengono da
another. The details of the hairstyles and ornaments are made separately and then applied. The larger sculptures are made with wood reinforcement inside to support the clay, which is by nature soft and week. When the clay is fired this wood reinforcement is carbonized, and it is thanks to these remains in carbon and un-burnt wood that we can date these objects back to the time of C.14. Four formal characteristics permit us to identify the Nok works. One has consists in the pupil with a circular hole that makes the gaze deep, while the upper eyelid, which is droopy, is balanced by the arch of the eyebrow. A second characteristic is the realism of the lips, curved and sensual and the straight nose with large, well designed nostrils. A third characteristic is that the nose, eyes and mouth have holes. Fourth, is the permanent presence of complex hairstyles with bands and braids, as well as a richness of ornaments like pearl necklaces, pendants and other jewelry. Observing these along with the Nok sculptures, we see a variety of gestures that permits us to make a classification. A first criteria for classification can be based on the position of the statue: standing, seated or genuflect. A second criterion concerns the position of the arms, hands and knees. The hairstyles, numerous and various, do not permit us to make a connection between the type of style and the sex of the subject. The sexual characteristics are evident enough thanks to elements like penis sheaths, beards and mustaches, or micro-skirts that are typically female or very evident breasts. No Nok work was ever found in a funerary context and therefore we can safely say that the Nok art was designed for other uses. There is not a lot of data concerning the use and the purpose of these sculptures: images of important people, kings, queens, priests or divinities were certainly venerated and adored in a few sacred places by faithful subjects who turned to them to obtain grace and privileges. The geographic division of the Nok culture that developed over a millennium is vary vast due to a combination of its extension and the diversity of the styles that it manifested and suggest a possible distinction based on the zones of origin: The Nok style of Jemaa, column statues of Kuchamfu, and Katsina-ala style. The methods used for dating these works were first the C14, then thermoluminescence, and this last method was only used after 1970. Sokoto In 1992, clay objects of styles different from those of the Nok culture appeared on the African art market in France. They came from sites in the regions between Jado Maru and Anka Nozol, in Nigeria. During oil drilling in the north of Nigeria various clay sculptures were discovered that are similar to the Nok sculptures in composition, but are very different in their gestures and esthetic detail. The objects found are essentially heads, while the rest of the bodies were probably destroyed during oil surveys. According to Frank Willett, these sculptures correspond to a variation of the Nok art, even though there are formal differences between the two
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siti della regione compresa fra Jado Maru e Anka Nozol, in Nigeria. In occasione di prospezioni petrolifere, nel nord della Nigeria erano state portate alla luce varie sculture in terracotta simili alle sculture Nok come composizione, ma molto diverse nella gestualità e nella rifinitura estetica. Gli oggetti trovati sono essenzialmente teste, mentre il resto dei corpi probabilmente è andato distrutto nel corso degli scavi. Secondo Frank Willett queste sculture corrispondono a una variante dell’arte Nok, nonostante le differenze formali riscontrabili tra le due culture. A questa cultura venne comunque dato il nome di Sokoto, con riferimento al luogo dove sono stati scoperti i primi reperti. La datazione stabilita con la termoluminescenza attribuisce a queste opere un periodo che va dal 100 a.C. al VII -VIII secolo d. C. Caratteristiche dello stile Sokoto sono le pettinature a forma di casco e le sopracciglia folte, sporgenti e curve, che conferiscono al volto una espressione severa. La barba, molto diffusa, può essere a una punta, a due o tre punte, o a collare. Le teste gianiformi hanno un lato con barba e uno imberbe.
Katsina
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Lo stile Katsina, così denominato con riferimento alla città di Katsina, primo luogo di ritrovamento, è apparso allo stesso tempo che lo stile Sokoto (1992). Lo stile Katsina comprende statue a forma di cono tronco, con corpo appena modellato, testa grande e membra ridotte. Tutte le figure rappresentate sono sedute, con le mani sulle ginocchia, gli occhi bucati a mandorla. Spesso sono figure gianiformi. Le teste di stile Katsina mostrano una sensibilità realista, più vicina all’arte di Ife che a quella Nok. La provenienza geografica è situata nei dintorni della città di Katsina (nord Nigeria) e l’epoca di produzione va dal I secolo a.C. al V d.C.
Bura - Asinda - Sikka
Il sito delle necropoli di Bura -Asinda- Sikka è stato scoperto in modo fortuito nel 1975 a nord - ovest di Niamey, capitale del Niger . Un giovane del villaggio durante una partita di caccia trova nel suolo due teste di statuette in terracotta che porta nel villaggio e poi abbandona in casa. Nel 1978 le due teste finiscono nelle mani di suo fratello, un autista presso l’ IRSH, il quale intuisce l’importanza della scoperta e le porta al dipartimento d’arte e archeologia della capitale. Nel sito del ritrovamento viene effettuata una prima ricognizione nel corso del 1978, senza che venga trovato alcun reperto significativo. Nel 1980, a causa delle piogge abbondanti un’erosione mise allo scoperto un certo quantitativo di materiale archeologico, donde la decisione da parte del dipartimento di delimitare un sito da scavare in profondità. Nel gennaio 1983 cominciarono i primi scavi che, programmati per la durata di 20 giorni, in realtà continueranno sino a fine maggio. Il sito preso in esame comprendeva tre tipi di insediamento, uno a necropoli, uno con destinazione rituale e uno riservato all’abitazione. La superficie scavata equivaleva a una superfice di circa
cultures. This culture was nonetheless given the name, Sokoto, which refers to the place where the first discoveries were found. The objects were dated with thermoluminescence and are from the period from 100 B.C. to VII – VIII century A.C. The distinctions of the Sokoto style are the cascading hairstyles and the thick eyebrows, which are protruding and curved and give the face a severe expression. The beard, quite diffused, has either one, two or three points or a band. The janiform heads have one side with a beard and one side without.
Katsina
The Katsina style, which is named after the city of Katsina, the first place where discoveries were made, appeared at the same time as the Sokoto style (1992). The Katsina style includes statues with a truncated cone shape, with the body barely shaped, large heads and a reduced male sexual organ. All the figures are seated, with the hands on the knees, the eyes are almond shaped holes. Often they are janiform figures. The Katsina style heads show realistic details, closer to the art of Ife than the Nok art. The geographical origins are around the city of Katsina (north of Nigeria) and the era of production goes from the first century B.C. to the fifth century A.C.
Bura -Asinda -Sikka
The style of the necropolis of Bura -Asinda- Sikka was discovered by accident in 1975 to the north–west of Niamey, the capital of Nigeria. A youngster of the village during a hunting outing found two clay statues of heads in the dirt, which he took back to the village and left in his house. In 1978, the two heads ended up with his brother, a driver for IRSH, who understood the importance of the discovery and took them to the department of Art and Archeology of the capital. At the discovery site, initial research was carried out in 1978 without anything significant being found. In 1980, due to the heavy rains, the erosion unveiled a certain quantity of archeological material, after which the department decided to cordon off a site for deeper digging. In January 1983, the first digs began which were scheduled to last for 20 days. In reality, they continued until May. The site included three types of settlements, one a necropolis, one used for rituals, and one for habitations. The combined area of the digging is equivalent to an area of about 25 meters in length and 20 meters wide: the anthropomorphic funeral urns made of clay, originally placed in the soil upside down, contained human bones but most of all entire craniums and the thickening of sand and soil in the urns took place later due to infiltration in the openings. These urns were surmounted from heads or anthropomorphic statues or from hairstyles of human faceless heads. A large number of clay statues and stone statues were found as well as vases. The clay statues, about 30 cm. To 110 cm are in a phallic cone form with the outer surface decorated with relief. The date determined on a few pieces indicated a production period that goes from the III century to the XI
25 mt. di lunghezza e 20 di larghezza: le urne funerarie antropomorfe, in terracotta, originariamente deposte sul suolo capovolte, contenevano ossa umane ma sopratutto crani interi, e l’addensarsi di sabbia e terra nell’ urna ha avuto luogo successivamente, per infiltrazione nelle aperture rimaste. Queste urne erano sormontate da teste o da statuette antropomorfe o da pettinature di teste umane senza volto. E’ stato trovato un numero considerevole di stele in terracotta e in pietra e vasellame d’uso. Le stele in terracotta, di grandezza variante fra 30 cm. e 110 cm., sono di forma conica fallica con le superfici esterne decorate in rilievo. Le datazioni fatte su alcuni reperti indicano un periodo di produzione che va dal III sec. al XI secolo d.C.
Komaland
Altra cultura sorprendente per forme e diversità di tipologia è quella detta Komaland, fiorita nel Ghana settentrionale, nella valle che si estende fra i fiumi Kulpawan e Sisili, dove si estende una regione di savana con basse colline a un altitudine media fra 140 e 200 mt. dal livello del mare. La vegetazione monotona consiste in una combinazione di radi arbusti con vaste distese di alte erbe e un suolo sabbioso di colore rossastro. La lingua parlata è il Gur. L’occupazione principale della popolazione, composta da più gruppi etnici (Sisala, Kasena, Koma, Bulsa e Manprus) è l’agricoltura. Fino al 1983 nulla si conosceva di questa misteriosa cultura, tranne qualche piccolo oggetto in terracotta raccolto da pastori del luogo che ne ignoravano la provenienza. Nel 1994 il Ghana Museum and Monument Board emise un permesso di scavo a Komaland, con un progetto di ricerche messo in opera nel mese di marzo del 1985 sotto la direzione del dott. James Anquandah, capo del dipartimento di archeologia dell’università Legun di Accra. Furono così trovati circa 40000 oggetti d’uso e più di 500 sculture in terracotta. L’epoca di produzione di questi oggetti, stabilita con test alla termoluminescenza, si aggira intorno al XII e il XV secolo d. C. Due anni dopo il primo scavo fatto dal dipartimento del museo, nel 1987, gli abitanti della regione del villaggio di Yikbabongo cominciarono a scavare, in modo non ufficiale, e così recuperarono numerosi oggetti in terracotta , tra i quali si contavano anche sculture di grande dimensione. Questi oggetti in gran parte erano depositati sul suolo in cerchio intorno a tombe ricoperte di pietre e tale disposizione delle statue lascia supporre che esse fossero associate a riti funerari. Varie sono le tipologie rappresentate in questi oggetti: personaggi maschili e femminili, maternità, re, regine, cavalieri, animali di varie specie, rettili e uccelli. Tra i personaggi le posizioni più ricorrenti sono: seduti, in piedi e inginocchiati. Anche se questi oggetti sono stati prodotti come accessori funerari che rappresentano antenati, o comunque figure di culto, non si può tralasciare di sottolineare l’ingegnosità della realizzazione e la potenza espressiva di queste figure. Esiste una diversità formale fra queste sculture, al punto da indurre a ritenere che si tratta di
century A.C.
Komaland
Another remarkable culture due to form and diverse types is the Komaland, which developed in the south of Ghana, in the valley that runs between the Kulpawan and Sisili rivers, where there is a savana region with low hills with an average altitude of 140 to 200 meters above sea level. The monotonous vegetation consists in a combination of sparse shrubs with vast open areas with high grass and a sandy reddish soil. The language spoken is Gur. The principle occupation of the population, which is made up of more than one ethnic group (Sisala, Kasena, Koma, Bulsa and Manprus) is agriculture. Until 1983 nothing was known about this mysterious culture, with the exception of a few small clay objects that were gathered by pastors in the area who ignored their origins. In 1994, the Ghana Museum and Monument Board issued a permit for digging in Komaland, with a research project that began in March of 1985 beneath the direction of James Anquandah, head of the Archeology Department of the University of Legun di Accra. This is how about 40000 utensil objects were found and more than 500 clay sculptures. The era of production of these objects, determined with thermoluminescence, is around the XII and the XV century A.C. Two years after the first dig made by the department of the museum in 1987, the inhabitants of the region from the village of Yikbabongo began to dig in an unofficial manner and thus numerous clay objects were discovered, including large sculptures. These objects were mostly deposited in the soil in a circle around tombs covered with stones and the positioning of the statues lead us to believe that they pertained to funeral rituals. The types of representations in the objects are various: male and female subjects, maternity, kings, queens, horsemen, various species of animals, reptiles and birds. Among the human subjects, the most frequent are either seated, standing or kneeling. Also if these objects were produced as funeral accessories that represent ancestors, or at any rate cult figures, we cannot fail to point out the ingeniousness in the crafting and the powerful expressiveness of these figures. There is a formal difference in these sculptures, to the point of allowing us to believe that they are of different styles, almost of diverse cultures that existed in different times in the same zone. Many figures have the facial movements deliberately altered in a way to give the face an unsettling expression of panic. The seated figures have collars with dignitary shields or ornate knife bands on the forearms. The hands are almost always placed on the knees, the sexual organs are undersized and modeled with precision. There are numerous single heads made in a crude manner with a style that is rather primitive. The elementary form of these heads is conic, rounded toward the top, narrow and pointed toward the bottom. The lower part has a phallic form and ends in a point so that it can be placed in the ground around the tomb to act as a symbol of
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stili diversi, quasi di culture diverse succedutesi in epoche diverse nella stessa zona. Molti personaggi hanno i movimenti del viso deliberatamente spostati in modo da conferire al viso una espressione inquietante di panico. I personaggi seduti portano collari con insegne di dignitari o un bracciale ornato di coltello nell’avambraccio. Le mani quasi sempre sono posate sulle ginocchia, gli organi sessuali sono sottodimensionati e modellati con precisione. Numerose sono le teste singole eseguite in modo grossolano con uno stile alquanto primitivo. La forma elementare delle teste appena menzionate è conica, arrotondata verso l’alto, sottile e affilata verso il basso. La parte inferiore ha una forma fallica e termina a punta in modo da poter essere infilata nella terra intorno alla tomba e simboleggiare un rapporto sessuale con la terra, con una disposizione che permette di depositare offerte al defunto. Gli autori di questa cultura devono aver attribuito particolare importanza alle teste gianiformi e a esseri policefali, dato che sono stati trovati numerosi esemplari rispondenti a queste tipologie. La terra, che è stata uno dei primi materiali utilizzati dall’uomo, è ancora oggi materiale importante e prezioso per molti popoli africani. Le case sono fatte di terra, le strade sono spesso terra battuta, utensili e vasellame sono terrecotte e la terra è anche spesso la materia prima per creare gli oggetti di culto. Questo rapporto primordiale con la terra è forse anche la ragione profonda della mia passione per le terrecotte africane. Gli anni di viaggi, di studio e di ricerca che ho dedicato alla terra e alla terrecotte in Africa sono il mio sincero ed appassionato ringraziamento ad una terra a cui molto ho dato e che molto di più mi ha donato.
the sexual relationship with the ground, with a position that permits depositing offers to the defunct. Those who created this culture, must have attributed particular importance to the janiform heads and to being polycentric, given that numerous examples were found of these types. Earth, which is one of the first raw materials used by man, is still today an important and precious material for many African peoples. Houses are made from earth and the roads are often packed mud. Utensils and vases are made from clay and the earth is also often the raw material when creating cult objects. This primordial relationship with the earth is perhaps also the deepest reason for my passion with African clay.
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Aldo Tagliaferri
Dalla terra al museo
From earth to museum
L’apprezzamento delle terrecotte africane, largamente diffuso a partire dal 1972-1973, anni in cui ad esse vennero dedicate importanti mostre presso l’Art Institute di Detroit e il British Museum, costituisce il risultato della convergenza di molti fattori, tra i quali primeggiano le scoperte archeologiche che hanno ampliato le nostre conoscenze circa la straordinaria varietà delle terrecotte africane e la lunghissima storia che esse testimoniano in aree molto distanti tra loro, come il Kenya, dove la loro storia risale al paleolitico superiore, e la Nigeria, o il Transvaal. Gli scavi compiuti a Djenné (Mali), a Bura (Repubblica del Niger) e nel Ghana settentrionale e i nuovi ritrovamenti di sculture Nok in Nigeria non solo hanno rinnovato i fasti delle arti africane ma hanno concorso ad attribuire forte rilievo alle opere in terracotta. Il fatto che queste terrecotte oggi ci giungano cariche di implicazioni storiche, di notizie etnografiche e di significati simbolici ha fatto sì che, benché la maggior parte del vasellame africano sia stato prodotto per rispondere a fini eminentemente pratici (per conservare granaglie, acqua, birra o vino di palma), un discorso sopra di esse non sia più circoscrivibile entro l’àmbito della pura funzionalità e investa lo statuto di quella che possiamo senz’altro definire un’arte. Entro l’orizzonte formale delineato dalle terrecotte africane, molto eterogeneo per ragioni intorno alle quali ci soffermeremo , si situano anche straordinarie sculture impiegando quest’ultimo termine in una eccezzionale e moderna più comprensiva ed elastica di quella classica, per cui un César o un Melotti, per esempio, possono ancora essere considerati scultori in quanto conferiscono forma plastica a una materia. La mostra dalla quale prende lo spunto la presente nota non pretende di esaurire in alcun senso l’immenso orizzonte geografico e culturale al quale esse rinviano, e tuttavia è abbastanza ricca e articolata da illustrare tali premesse e da esemplificare alcune morfologie tipiche dell’Africa occidentale. Come altre forme artistiche coltivate dalle donne africane, come l’arte della cestaia, o dei dipinti parietali, o della cucitrice (si pensi ai famosi tessuti Kuba), l’arte della vasaia affonda radici profonde in un sistema sociale di cui tramanda, da secoli o addirittura da millenni, usi e simboli, e deve il particolare prestigio che la circonda allo stretto vincolo che, fin dalle origini, essa implica con la terra, col fuoco e con gli sviluppi della metallurgia africana. Proprio per l’importanza simbolica che le viene riconosciuta, e per il gemellaggio che implica con l’altra arte del fuoco, quella del fabbro, la realizzazione di molte terrecotte viene spesso accompagnata, fin dalla estrazione dell’argilla dai giacimenti, solitamente lungo le rive di un fiume, da invocazioni o da cerimonie rituali propiziatorie indirizzate
The appreciation of African pottery began to grow in the early 70’s, following two important exhibitions hosted by the Art Institute of Detroit and the British Museum, respectively. Many factors contributed to this development. Firstly, archeological discoveries broadened our knowledge of the extraordinary variety of African pottery, bearing witness to the long history of areas as far apart as Kenya, where traces date back to the Paleolithic period, Nigeria and the Transvaal. Diggings in Djenné (Mali), Bura (Republic of Nigeria) and southern Ghana, and the discovery of Nok sculptures in Nigeria have not only renewed the glory of African arts but, together, helped attribute an importance to pottery. Now that ethnographic research has uncovered the historical implications and symbolic significance of these clay objects we can no longer judge them as mere utensils, but must consider them a form of art, even though the majority of African vessels were produced to fulfill practical needs (to hold grain, water, beer or palm wine). Within the formal horizon of African art, very heterogeneous, there are also outstanding terracotta sculptures, though this term is used in a flexible, modern and more comprehensive way as opposed to the classic term, so that César or Melotti, for example, can still be considered sculptors since they give a plastic form to a material. The exhibition that inspired this text does not pretend to cover the vast geographical and cultural range of the works we are concerned with; nonetheless it is rich and articulated enough to illustrate our preliminary remarks with examples of a few typical morphologies of western Africa. Like other artistic forms cultivated by African women, such as basket weaving, mural paintings or embroidery (e.g. the famous Kuba textiles), the art of making vases is deeply rooted in a social system which over centuries or even millenniums has handed down uses and symbols. Pottery owes the particular prestige that surrounds it to its close connection with the earth, firing techniques and the development of metalworking in Africa. Because of the well-established symbolic importance and the relationship it has with the other art of fire, metalworking, the creation of many pottery pieces is often accompanied at the time of extraction of the clay from alluvional deposits, usually along river banks, by invocations or ritual propitiatory ceremonies aimed at keeping pottery safe from the intromission of adverse forces or wicked spirits. The importance of such a symbolic meaning is confirmed by social circumstances that are particularly relevant such as funerals during which the vases were often broken, or weddings, for which new vases were made in order to celebrate.
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a tenere il lavoro della vasaia al sicuro dalle intromissioni di forze avverse, o di spiriti maligni. L’importanza di tale valenza simbolica trova poi conferma in circostanze sociali di particolare rilevanza, come i funerali, nel corso dei quali vengono spesso spezzati dei vasi, o come i matrimoni, per la cui celebrazione nuovi vasi vengono plasmati. Ribadendo il già consolidato presupposto secondo il quale l’arte della vasaia “è una invenzione femminile”, Lévi-Strauss scrisse pagine magistrali, ne La vasaia gelosa, trattando dei miti degli indiani delle Americhe, ma l’argomento si presta ad essere ripreso e sviluppato anche trattando delle arti africane e al di là del campo degli studi sui sistemi mitolog ici. Nel vaso, spesso modellato in modo da suggerire la struttura di un corpo umano, e dunque passibile di essere concepito e accolto come vettore di significati più o meno reconditi e suggestivi, si ripete potenzialmente il mistero del venire al mondo, del riprodursi della vita attraverso la femminilità agente come mediatrice tra il prima e il poi, tra il sacro e il profano, e non è infrequente che l’impiego cui un vaso viene destinato mantenga quest’ultimo in bilico tra un uso pratico e uno magico, tra forme elementari e forme potentemente plastiche che trasformano il contenitore in un ponte con la sacralità. Tra una modesta pignatta e un solenne contenitore da conservare sull’altare riservato agli avi, tra impegno artigianale e ambizione artistica, si estende insomma un ricco repertorio di variazioni, invenzioni formali e ibridazioni stilistiche. Poiché in Africa l’argilla si trova in numerose aree geografiche e però non sempre è di facile estrazione, talora gli uomini collaborano alla ricerca della preziosa materia prima e al mantenimento delle condizioni materiali ottimali per ottenere la miglior cottura dell’argilla, ma presso certe etnie agli uomini è persino vietato l’accesso alle cave. Il compito di plasmare la nuda materia spetta soprattutto alle donne, che la trasformano in un prodotto culturale, e solo in seno ad alcune etnie, come si avrà modo di evidenziare, la fabbricazione delle terrecotte viene divisa tra le donne e gli uomini, che in questi casi si dedicano di solito a opere ben distinte da quelle più comunemente assegnate alle donne: nel testo stilato in occasione di una mostra allestita dal British Museum, Nigel Barley ricorda, per esempio, che in regioni distinte del Burkina Faso sono gli uomini oppure le donne a occuparsi della lavorazione dell’argilla, mentre tra i Bamessing del Camerun occidentale sono gli uomini ad essere investiti della responsabilità di produrre terrecotte destinate a far parte dei tesori regali (1994, 61). La vasaia più abile si trova ad occupare una posizione sociale rilevante in quanto l’espletamento del suo compito esige una notevole quantità di conoscenze, dato che spetta a lei non solo valutare la qualità della materia prima (spesso mista per adeguare un vaso a un uso determinato garantendogli un certo grado di robustezza o di maneggevolezza o di porosità o di eleganza), ma anche affrontare problemi che entrano in gioco nel corso della realizzazione dell’opera, quali la scelta dei combustibili, degli eventuali coloranti, delle tecniche di cottura e così via. A seconda delle circostanze,
Returning again to the belief shared by many that pottery is a “female invention”, Lévi-Strauss wrote masterful pages in The Jealous Potter about the myths of the American Indians, yet the argument also applies to African pottery and its mythological relevance. The vase, which is often formed in a way to suggest the structure of a human body, can be considered a vehicle of a more or less secret and suggestive significance: it potentially represents the mystery of birth as well as the reproduction of life through femininity, it mediates between the before and after, between the sacred and the profane; it is not rare that a vessel has both a practical and a magical use, and its shape, although elementary, can also be strongly sculptural, evoking a sacred presence. From a modest cooking pot to a solemn receptacle to be kept on the altar reserved for ancestors, from tradecraft to artistic ambition, there is quite a rich repertory of variations, formal inventions and stylistic hybrids. Since African pottery is found in numerous geographic areas but is not always easily extractable, men may participate in the search of precious raw materials and in the effort of maintaining optimal physical conditions that permit the best firing of pottery. However, in certain ethnic cultures, men are even prohibited from accessing the clay pits. The task of molding the raw material is usually performed by women who transform it into a cultural product and only at best in a few cultures, as we will show, the production of pottery objects is divided between women and men, who in this case are usually dedicated to works that are well distinguished from those handled by women. In the text that was published during an exhibition at the British Museum, Nigel Barley points out, for example, how in certain regions of Burkina Faso potters can be men or women, while among the Bamessing of west Camerun, pottery that is to become part of the regalia is produced by men only (1994,61). The most able woman potter holds a prominent social position in view of the considerable knowledge she must possess, not only to evaluate the quality of the raw material (often mixed to ensure a certain degree of strength, handiness, porosity or elegance, depending on the function) but to solve the problems that arise during the creation of the piece, such as the choice of combustible, coloring, firing technique etc. According to the circumstances, obviously, a vase must be suitable to keep a liquid cold, or must be capable of undergoing thermal shock without breaking, which further justifies the social consideration in which superior potters are held. In the immense territory that extends along the Western coast of Africa between Senegal and Camerun, utensils appear rudimentary compared to the more elaborate artifacts of Northern Africa (such as the pedal wheel used by the Berbers). But no less creativity is required to produce these simple vessels. Without offending unrelenting functionalists or evoking a hazy “African Aesthetics”, one must acknowledge that making a vessel implies a capacity for cultivating “the gratuity and pleasure of a well made utensil”, a capacity that the archeologist Louis-René
ovviamente, un vaso deve essere adatto a mantenere fresco un liquido, oppure in grado di superare uno shock termico senza spezzarsi, e anche tale genere di considerazioni vale a confermare l’importanza del ruolo sociale riconosciuto alla vasaia. Il fatto che tra le vasaie operanti negli immensi territori che si estendono lungo la costa africana occidentale tra il Senegal e il Camerun gli utensili impiegati siano rudimentali, a differenza di quanto avviene nei paesi settentrionali (ricordiamo la ruota a pedale utilizzata dai Berberi), e siano le mani a imporsi come strumento supremo, non esclude affatto la presenza di un notevole quoziente di creatività nella produzione delle terrecotte. Nella realizzazione di un vaso entra infatti in gioco, con buona pace dei funzionalisti più accaniti e senza bisogno di ricorrere alla labilissima nozione di “estetica africana”, anche quella capacità di coltivare “la gratuità e il piacere di un utensile ben fatto” che l’archeologo Louis-René Nougier riconosceva già ai nostri antenati preistorici. Certe vasaie oggi non disdegnano di lasciare un marchio esplicito della loro destrezza manuale sulle proprie opere, che vengono così personalizzate, o addirittura firmate, e questa tendenza, che si accompagna a una minor resistenza opposta dai canoni tradizionali all’avanzata dell’influenza occidentale e a un più deciso intervento soggettivo sulla materia, costituisce, comunque la si voglia interpretare, un segnale non solo di trasformazione delle modalità di produzione ma anche un declino dei valori pratici e simbolici propri dell’Africa prima della espansione degli imperialismi europei. I vasi dunque sono (e sempre più frequentemente erano, per le ragioni sopra accennate) plasmati in vista di un uso specifico, e tuttavia anche quando serializzati, cioè prodotti secondo criteri aderenti a un canone etnico e a un uso prestabiliti, possono attrarre la nostra attenzione per la varietà delle decorazioni che le contraddistinguono, per l’abilità che rivelano nel coniugare l’eleganza con la funzionalità (per esempio nell’affrontare la forma degli orifizi, che varia appunto secondo l’impiego pratico cui sono destinati i vasi), o per la pura invenzione con la quale una vasaia contribuisce ad arricchire uno stile, o agevolare un uso determinato Presso alcune etnie, alle superfici dei vasi si aggiungono cordoncini o grumi di argilla che, opportunamente modellati, conferiscono alle opere un carattere più plastico, sia che si tratti di elaborare cordonature stilizzate, come quelle in uso presso gli Igbo, che da secoli ricorrono a un repertorio di intrecci ispirati ai nodi fatti con una corda, come in esemplari qui riprodotti (98), sia che si scelga di modellare figure aggettanti che rappresentano simboli o scene più o meno marcatamente simboliche, come quelle riscontrabili in vasi Bariba della Nigeria e del Benin (96 e 97). Certi particolari possono rendere realisticamente oggetti di uso comune, come gioielli o insegne, e talora forniscono preziose informazioni circa le culture dalle quali provengono, come avviene nelle terrecotte Nok, dalle quali ricaviamo quanto in sostanza sappiamo circa una cultura che fiorì tra il 900 a.C e il 200 d.C. lasciando numerose
Nougier had already recognized in the artifacts of our prehistoric ancestors. Some potters today go so far as to leave an explicit sign of their manual dexterity on the objects they make so that these are personalized or even signed. This tendency is gaining ground where traditional customs cease to be widely observed, demonstrating how the spread of western influence induces a more decisive, subjective approach to the material. However we interpret this phenomenon, what we are actually witnessing is not only a change in the mode of manufacture but a decline in the beliefs and symbolic values of pre-colonial Africa. Vases are made for a specific use, as they were in the past, although less frequently, as explained above. But even when they are mass-produced in accordance with precise ethnic rules for a given purpose, the variety in their decorations, their extraordinary functional elegance (for example, the ingenious openings devised for different uses), the sheer inventiveness with which a particular style is enriched, or the improvements in a vessel’s efficiency fill us with admiration. In a few ethnic cultures, on the surface of the vases, cord like strings or spiky knobs of clay are added that when modeled appropriately confer the work a more plastic characteristic. This characteristic could be from an elaborate stylized cord like the one used by the Igbo, who for centuries resorted to a vast quantity of braids inspired by the knots made with a cord, like the samples shown here (98), or from jutting figures that represent symbols or scenes that are more or less symbolic, like those seen in the Bariba vases of Nigeria and Benin (96 and 97). Certain realistic details of commonly used objects such as jewelry or plaques provide precious information concerning the culture that inspired them. This is the case of Nok terracottas, which tell us all we know about a culture that, flourished between 900 B.C. and 200 A.C., left behind numerous works, some of which are true masterpieces. Fragments No. 194 and 195 retain such a documentary importance and are easier to decipher when they are compared to whole figural sculptures like those, by now famous, that were shown in the Louvre in 2000. In a more general view, decorations can have a purely esthetic, aniconic, geometrical or informal value (using the term “informal” as our art critics do), and at the same time can refer to beliefs of a specific ethnic group. For example, the vases of the Mosi and the Lobi of Burkina Faso have little knobs covering their entire surface with transversal rows. Their users believed that these vases gave them powers to protect them against bad luck and illness, or guaranteed them protection during initiation ceremonies (84). In Africa, as we mentioned above, there are works whose functionality and inventiveness can be combined or mixed, creating a vast range of possible formal solutions that leave western scholars uncertain as to how to categorize them. Among the intermediary solutions that are most enigmatic are the pseudo-vases of the Calabar, sealed yet completely empty, the magical sculptures made in Nigeria along the Benue river and used for curing the ill (158-164),
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opere in terracotta tra le quali si contano noti capolavori. I frammenti 194 e 195 conservano questo valore documentale e sono più agevolmente decifrabili se li si confronta con terrecotte integre come quelle, ormai celebri, mostrate al Louvre nel 2000. In una prospettiva più generale, le decorazioni possono avere un valore estetico puramente segnico, aniconico, geometrico o “informale”, nel senso attribuito a quest’ultimo termine dalla nostra critica d’arte, e al contempo rinviare a specifiche credenze proprie di una determinata etnia. Per esempio, alle bugnette che ricoprono a ranghi serrati l’intera superficie di vasi dei Mossi e dei Lobi del Burkina Faso viene attribuito dai loro fruitori il potere di proteggere contro il malocchio e la malattia, o di garantire protezione durante cerimonie iniziatiche (84). In Africa, come si è detto sopra, si danno opere nelle quali funzionalità e invenzione possono sommarsi, o intrecciarsi, creando una vasta gamma di soluzioni formali possibili che lasciano incerti gli studiosi occidentali circa la categoria nella quale far ricadere una determinata opera. Tra le soluzioni intermedie più enigmatiche possiamo collocare gli pseudovasi dei Calabar, sigillati e del tutto vuoti, le sculture magiche fatte in Nigeria lungo il fiume Benue e adibite alla cura delle malattie (158-164), ma anche gli pseudovasi tramandati dalle antiche culture maliane (es. 6 e 7). Un’altra famiglia con un largo spettro di varianti formali, in seno alla quale la funzionalità del contenitore e la sua forma scultorea sono inscindibili è quella costituita dai “recipienti degli spiriti” con attributi umani, realizzati per rituali propiziatori di guarigione o per commemorare gli antenati nell’area tra il fiume Gongola, nella Nigeria nordorientale e del Camerun nord-occidentale, ovvero in una regione dove si è consolidata una stratificazione di stili e di influenze reciproche che rendono spesso ardua l’attribuzione di un’opera a una precisa etnia. Alcuni di questi ricettacoli, nei quali gli africani ritenevano fossero rinchiusi gli spiriti dei defunti per impedire che questi vagassero causando effetti nefasti, furono portati in Europa da studiosi tedeschi, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e attribuiti agli Jen della Nigeria, ma altri, introdotti nel mercato europeo a partire dagli anni Settanta, e non senza fondamento ritenuti spesso “manieristici” da Schaedler (1997, 270) risalgono ad altre etnie residenti nella regione montuosa dell’Adamawa. I proprietari di queste sculture, esposte alle ire degli incalzanti monoteisti, che mirano a distruggerle, cercavano di mantenere buoni rapporti con gli spiriti dei defunti nutrendoli ciclicamente con una bevanda rituale appositamente fermentata che veniva versata nella bocca delle sculture. Tuttavia, dalla vasta regione della Adamawa, dove si trovano enclaves intorno alle quali tuttora scarseggiano informazioni scientificamente documentate, provengono anche pseudovasi che, per alcuni versi analoghi a quelli sopra descritti, hanno caratteristiche originali conseguenti talora dalla delocalizzazione delle vasaie, spostatesi da un area all’altra per via matrimoniale, in altri casi da contaminazioni tra modelli culturali che piccole etnie hanno mutuato dai loro vicini.
and also the pseudo-vases that have been passed down from the antique Malian culture (6 and 7). Another family with a large spectrum of formal variations, in the sense that the functionality of the container and its sculptural form are indivisible, is the propitiatory ritual of healing or commemorating ancestors in the area between the Gongola river, north-west Nigeria and north-west Camerun, or rather in a region where a stratification of styles and reciprocal influences have consolidated that often make attributing a work to a precise ethnic culture difficult. Receptacles believed by Africans to harbor the spirits of the dead, keeping them from wandering and making mischief, were brought to Europe by German researchers between the end of the 1800’s and the beginning of the 1900’s and were attributed to the Jen of Nigeria, but others that reached the European market from the 70’s onwards - considered sometimes “manneristic” by Schaedler (1997, 270), and with good cause – can be traced to ethnic groups living in the mountain regions of Adamawa. The owners of these sculptures, subject to the anger of the unrelenting monotheists, who want to destroy them, tried to maintain a good relationship with the spirits of the deceased by giving them a cyclical ritual drink that was purposely fermented and then poured into the mouth of the sculpture. Nonetheless, from the vast region of Adamawa, where there are enclaves about which, still today, there is scarce scientific information that is documented, there are pseudo-vases, which in some ways are similar to those described above that have original characteristics consequent to the delocalization of the vases that were moved from one area to another due to marriage and in other cases due to contamination between cultural models that small ethnic peoples mutated from their neighbors. The Fon, who practice the syncretistic religion of voodoo, diffused in the vast region that goes from Ghana to Nigeria, crossing Benin and Togo (not to mention its off-shoots which are practiced in the Americas), reserve pseudo-vases with various decorations for sacrificial uses, or sculptures in the form of an upside down vase, with the opening that acts as a base and with a head or an entire human figure on the upper portion (150-154). Usually the upper portion of these figures show the remains of the offerings poured over them during the voodoo ritual. On the interior empty space, a strong symbolic value is attributed and therefore even in this case the sculpture is the holder of a content that is surrounded by mystery and in its ambiguous power conserves a sacred value. Containers produced for the same reasons are also found between the ethnic areas surrounding the Fon who, like the Eveh, are dedicated to voodoo rituals and produce also votive statues dedicated to specific divinities, which are conserved in specific sanctuaries.
I Fon, che praticano la religione sincretica vodu diffusa nell’ampia regione che va dal Ghana alla Nigeria passando per il Benin e il Togo (per non parlare delle sue propaggini in piena fioritura nelle Americhe), riservano a un uso sacrificale pseudovasi variamente decorati, o sculture a forma di vaso capovolto, con l’imboccatura che funge da base e una testa, o una intera figura umana, nella parte superiore (150-154). Abitualmente queste figure mostrano sulla parte superiore i resti di offerte versate sopra di esse nel corso di riti vodu. Al loro spazio interno, vuoto, viene attribuito un potente valore simbolico e pertanto anche in questo caso la scultura risulta depositaria di un contenuto che, avvolto dal mistero, nella sua ambigua potenza conserva un valore sacrale. Contenitori prodotti per gli stessi fini si trovano anche tra le etnie limitrofe ai Fon che, come gli Eveh, si dedicano a rituali vodu e producono anche statue votive dedicate a divinità specifiche e conservate in appositi santuari.
BIBLIOGRAFIA SCELTA (I numeri nel testo rinviano alla data di pubblicazione e alla pagina dove si trovano riferimenti alle opere qui elencate) AA.VV., Vallées du Niger, Réunion des musées nationaux, Paris 1993. AA.VV., Hier et aujourd’hui des poteries et des femmes. Ceramiques traditionelles du Mali, Université de Genève, Genève 1996. AA.VV., Arte y Barro. Céramica de Africa Negra, Barcellona 2007. Barley Nigel, Smashing Pots. Feats of Clay from Africa, British Museum, Londra 1994. Berns Marla, Pots as People, Yungur Ancestral Portraits, in “African Arts”, vol.XXIII, n.3, 1990. Bickford Berzock Kathleen, For Earth and Altar, Art Institute of Chicago, Yale U.P. 2005. Forni Silvia, Il ventre e la pentola. Ceramiche, genere e società nei Grassfields del Camerun, Il Segnalibro Ed., Torino 2007. Hare John, Itinate and Kwandalowa. Ritual pottery of the Cham, Mwana and Longuda peoples of Nigeria, Ethnographica, London 1983. Schaedler Karl Ferdinand, Keramik aus Schwarz-Afrika und Altamerika aus der Sammlung Hans Wolf, Ed.Primart, Zürich 1985. Schaedler Karl Ferdinand, Earth and Ore. 2500 Years of African Art in Terra-cotta and Metal, Panterra Verlag, München 1997. Stőssel Arnulf, Traditionelle Handwerkskunst Sűdlich der Sahara, Hirmer Verlag, Műnchen 1984. Jerome Vogel, African Ceramics, in AA.VV., Material Differences, Museum of African Art, New York 2003.
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Giulio Callegari
Sarè Mala, Malì: tradizione Peul. Costruzione di un luogo di cottura.
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Mercato di Ségou, Mali: deposito vasi sulla riva del fiume
Travasi di senso
The handing down of sense
In certe calde, estive, giornate milanesi, un lieve grasso sentore di burro di karité aleggia nel mio salotto. Il profumo emana da due bei vasi bariba, decorati a rilievi plastici, che fan bella mostra in un angolo di casa mia. Son belli a vedersi e, al tocco, suonano bene. Il coperchio, modellato a figurina antropomorfa, è impregnato di un blu intenso, oltremare direi. Il blu si scorge anche all’interno dei recipienti, spolverato o colato sul fondo e sulle pareti in ombra… mischiato al buio. Mi piace pensare che vasi di questo genere contengano soprattutto spazi d’ombra, o custodiscano suoni e, perché no, invisibili silenzi. Di certo, ogni manufatto, specie se archeologico o prodotto da culture che noi amiamo definire “di interesse etnologico” conserva, come un libro, infinite conoscenze. Nel manufatto il sapere e la comunicazione sociale si raccolgono e irradiano anche in una sorta di multimedialità che dialoga con le conoscenze pratiche e il sapere collettivo nelle sue forme visibili e invisibili. La nostra cultura del consumo e dell’omologazione, che ha perso in fretta la memoria del “sapere della mano”, sovente neppure immagina gli infiniti messaggi racchiusi nella maggior parte degli oggetti che ci giungono da antichi ambiti tradizionali, vicini o lontani nel tempo e nello spazio. Messaggi che ci chiedono, per essere compresi, di mettere in gioco tutti i sensi. Per questo, a volte, ascolto i miei vasi annusandoli, cercando di riconoscervi la figura di Bakesoba, la dea-madre, unta di burro di Karité. L’oggetto cui è affidata la memoria, e il vaso per sua natura di recipiente è tra i più adatti, si situa come parte di un sistema complesso e globale che, coinvolgendo ogni aspetto del quotidiano, dal segno al rapporto col territorio, dalla forma al gesto, alla tradizione orale, contiene ed elabora il sapere e la tradizione. Il manufatto, attraverso la fusione e l’interconnessione con altri elementi culturali “portatori di senso” contribuisce a costruire e memorizzare una visione globale del mondo. La polisemia espressa da ogni manufatto rischia però, in certi casi, di far venire il capogiro a studiosi e collezionisti che, pur da sentieri differenti, convergono al luogo deputato a immobilizzarne il senso: luogo di esposizione o esibizione. La necessità è quella di spiegare e valorizzare l’oggetto e i messaggi da esso veicolati: pratici o simbolici, estetici o funzionali, in una collocazione e classificazione cronologicoculturale che soddisfi il desiderio di capire il diverso da Sé, secondo le modalità della Cultura occidentale che favorisce un mosaico di saperi settorializzati che, se va bene, riescono a organizzarsi in un gioco di sincronie connettive. Ciò che è di tutti i giorni si trasforma rapidamente in “archeologico” precipitando nel tempo già trascorso. Della cultura materiale e di quella “spirituale” non restano che poche tracce affidate al tempo, sempre più consumate, sempre meno leggibili o sul punto di diventare invisibili .
In a few hot, summer Milan days, a slight fatty odor of Karité butter drifts into my living room. The sent comes from two beautiful Bariba vases decorated with plastic relief that make a lovely exhibit in a corner of my house. They are beautiful to look at and touch and give off a pleasant sound. The lid, molded into an anthropomorphic figure has an engobe of intense blue; ultramarine I would say. The blue is also seen inside the container, dusted and dripped onto the bottom and the sides have burnt umber mixed with the blue. I like to think that the vases of this type contain, above all, shady areas or sounds and, why not, an invisible silence. Certainly, each work, especially if it is archeological or produced by cultures that we like to call “of an ethnological interest”, like a book, conserves an infinite knowledge. In these pieces, know-how and social communication are gathered and irradiate also in a kind of multimodality that speaks to the practical conscience and the collective knowledge in its visible and invisible form. Our culture of consumerism and homologation, which quickly lost any remembrance of “the flavor of the hand”, often does not even imagine the infinite messages that are closed inside most of the objects that come from antique traditional dwellings, near or far in time and space. Messages that demand, in order to be understood, that we call upon all of our senses. For this reason, sometimes, I listen to my vases and smell them and try to visualize the figure of Bakesoba, mother-god, anointed with Karité butter. The object that we entrust with or memories may be a vase due to its nature as a container and, being one of the most suitable, it is part of a complex global system that, involving each aspect of the daily regime, from the sign of a relationship with the earth, from a gesture to oral tradition, contains and elaborates flavor and tradition. This tradecraft, through fusion and interconnection with other cultural elements, “a carrier of senses”, contributes to building and memorizing a global vision of the world. In a few cases however the multiple significance of each work at times give scholars and collectors a headache when, even though from different roads, they converge in a place that is empowered to mobilize the senses: exhibit areas or expos. There is a need to explain and enhance the value of the object and the message that it brings. To arrange the practical or symbolic, esthetic or functional, into a chronological and cultural placement and classification that satisfies the desire to understand what is different from us based on the manners of the western culture. A culture that prefers a mosaic of sectored flavors that, when all is well, is able to organize itself into a blend of connective synchronism. What pertains to every day is quickly transformed into “archeological” and falls within an era already passed.
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immagini mosse, lo studioso cercherà un punto di vista privilegiato, il meno traballante possibile, che gli permetta una visione “da fermo”, collocando l’oggetto al “suo posto”. Nel mondo dell’archeologia e del collezionismo etnografico del resto, ogni cosa ha il vizio del reperto, che in sé porta il germe dell’immobilità. Anche se nulla è più lontano dall’arte che l’immobilità. Il manufatto è comunque sempre pronto a raccontare la storia e le conoscenze in esso riposte e, anche nelle molteplici espressioni di differenti Società e Culture, egli si rivelerà un veicolo di conoscenza globale. Un manufatto richiede la cognizione esatta della materia prima e dei luoghi e tempi ove reperirla, con l’insieme dei rituali e delle interdizioni che a questi si legano; richiede la conoscenza tecnica per la sua realizzazione, coi ritmi esecutivi e le regole per tramandarla. Il manufatto pretende ed esprime nella sua produzione e utilizzo, così come nelle sue forme e nella creatività artistica, una conoscenza simbolica. In esso sono riposti i gesti con cui fu realizzato e che con esso si eseguono, e il rumore-suono, sorta di racconto, che accompagnò la sua realizzazione. In molti anni di archeologia sperimentale, nel riprodurre industria litica preistorica, ad esempio, ci siamo accorti che la ricostruzione più fedele, quella che ci metteva “in rapporto” al passato, più che la copia esatta e le modalità di realizzazione dell’oggetto, era il suono che la pietra emetteva quando veniva scheggiata correttamente. Lo stesso che sicuramente avevano ascoltato gli uomini i cui strumenti cercavamo di ricostruire. Non è un caso che, in alcune fasi della realizzazione di vasi, il suono, il ritmo, siano chiamati in causa come ausilio alla fatica o al coordinamento del lavoro e all’immagine che esso suscita, richiamando altri gesti, per similitudine o significati. In Bambara, don, la danza, è il termine che si usa per indicare l’operazione di impastatura con la quale l’argilla viene amalgamata con il degrassante. L’operazione, come ci dice Michel Raimbault in un suo interessante lavoro dedicato agli ateliers di vasaie di Kalabougou, nel Mali, viene svolta pestando a piedi nudi, su una pelle di bovino, la terra resa plastica con l’aggiunta della giusta quantità d’acqua. Persino manufatti semplici, oggetti d’uso quotidiano come sovente sono i vasi, si scoprono dunque carichi di richiami e associazioni, legate alla pratica o alla metafora, che si intrecciano in una continua “multimedialità e interazione”. Basti pensare alla prima fase del lavoro della vasaia, quello di estrazione dell’argilla, e alle interdizioni legate ai giorni propizi, quelli dove non si rischia di incontrare geni o entità negative o malvagie, per riconoscere come, anche la più banale delle terrecòtte nasca sotto gli auspici di valori simbolici. Lo stesso rapporto col fuoco, la capacità di controllare la sua azione sulla materia, modificandola e plasmandola in associazione alla mano, è già tema di considerazioni che conducono a creazione di miti e valenze simboliche. A un pensiero trasmutativo. L’arte della ceramica è, in genere, attività femminile. Nell’area africana oggetto del nostro interesse, è praticata da appartenenti a famiglie o a “caste” di vasaie, sovente associate in vario modo ad altri “operatori del fuoco”, i fabbri. Anche se con differenze locali, la tecnica di
From material and “spiritual” cultures only a few traces are left over time, always more consumed, always less legible or about to become invisible. To avoid blurred images, scholars will try to find a privileged point of view, the least blurred possible, which permits them to have a “still” vision, placing the object appropriately in “its place”. In the world of archeology and ethnic collections, everything has the vice of discovery, which in itself brings the seed of immobility. Even if nothing is more further from art than immobility. Tradecraft is nonetheless always ready to tell a story and the knowledge placed in its works and, even in the multiple expressions of different societies and cultures, it turns out to be a vehicle of global awareness. The work requires a precise cognition of the raw material and the places and times where it can be obtained, a knowledge of the rituals and prohibitions pertaining to it, the rhythms and the rules for handing it down. The object presumes and expresses a symbolic knowledge by its production and use, as in its form and artistic creativity. The gestures with which it is made are placed in it and these gestures tell, through noise or sounds, a kind of story, which accompanies its creation. Throughout many years of experimental archeology, in reproducing the prehistoric lithic industry, for example, we discovered that the most faithful reconstruction, the one that puts us in contact with the past, is not so much an exact copy or the way the object was produced, but is the sound that the stone gives off when it is correctly chiseled. The same sound that certainly the men heard, whose instruments we tried to reconstruct. It is not by chance that in a few phases of pottery, sound and rhythm are used to assist a worker in coordination or through fatigue and the images that they inspire lead to details, similitude or significance. In Bambara, “don”, a dance, is the word that is used to indicate the operation of kneading, which is what is done to mix the clay with degreasers. The operation, as Michel Raimbault has explained in his interesting work dedicated to the potters in Kalabougou, in Mali, is performed by stamping the earth with naked feet over cow skins and the earth is plasticized with the addition of the correct quantity of water. Even in simple objects for daily use, as vases often are, we find a multitude of references and associations, tied to the practice or metaphors that are entwined into continuous “interaction and multimedia”. We need only think about the first phase of pottery when the clay was extracted, and the prohibitions enforced so that there was no risk of meeting negative or wicked entities, to understand how, even the most banal of pottery comes about under the influence of auspice symbolic values. The relationship with fire, the capability of controlling its action on the material, modifying it and molding it in association with the hand, is already a topic of discussion that leads to the creation of myths and symbolic meanings. A transmutative path. The art of ceramics is in general a female activity. In the African area that we are speaking about, it is practiced by members of families or “castes” of potters, often associated in various ways with other “fire workers”, metal workers. Even if there are local differences, the technique for producing ceramic, the context of African ethnic culture, can
produzione di ceramiche nel contesto delle culture di interesse etnologicoafricane, si può grosso modo riassumere in una serie di operazione precise, sempre svolte da donne. Innanzitutto l’estrazione dell’argilla da località dove è reperibile questa materia prima e il trasporto al villaggio della quantità ritenuta necessaria. Dopo una breve fase di essicazione, l’argilla, a volte frantumata o polverizzata, viene progressivamente idratata con la giusta quantità d’acqua necessaria ad ottenere una pasta della consistenza e plasticità adeguate, cui viene aggiunto e amalgamato, con l’azione che abbiamo visto richiamare una danza, il degrassante. Si tratta in genere di elementi minerali o frammenti di terre cotte macinati e setacciati: una sorta di graniglia della stessa granulometria che, mischiata all’argilla rende l’impasto equilibrato, riducendone l’eccessiva plasticità e aumentando la resistenza meccanica delle pareti del recipiente, dosando il “ritiro” in fase di disidratazione e durante la cottura, diminuendo i rischi di screpolatura e fessurazione. Elementi degrassanti più o meno grossi sono, in certe tradizioni, impiegati per differenti tipi o parti dei vasi, come il fondo dei grandi recipienti per i quali si utilizzano frammenti di maggior granulometria rispetto a quelli mischiati all’argilla usata per la parte superiore. La vera e propria tecnica di realizzazione dei vasi ha naturalmente infinite varianti, essi, ad ogni buon conto, sono sempre realizzati a mano, modellati con l’aggiunta progressiva dell’argilla, con varie soluzioni ma senza l’uso del tornio. Tutt’al più, in certi ambiti, come quello già citato di Kalabougou, è utilizzato una sorta di piatto di legno che, appoggiato al terreno e fatto lentamente ruotare, permette, non certo di formare il vaso, ma di farlo girare tra le mani rendendone più comoda la lavorazione. In certi casi, per esempio in Mali e in Togo, i vasi sono realizzati in due tempi e parti separate. Abbiamo documentato un aspetto inedito di questa tecnica per la realizzazione di vasi di forma sferica, in Togo, presso le vasaie del villaggio di Notsé. In questo caso, nella prima fase, viene eseguita solo la metà superiore del recipiente, partendo da un cono di argilla, posto sul terreno, che la vasaia lavora girando attorno al manufatto come un “tornio umano esterno”. Dopo un breve periodo di asciugatura, il vaso viene capovolto, con la bocca sul terreno, e la vasaia lo completa nella sua metà inferiore dando forma perfettamente globulare al recipiente , lavorando solo con le mani e con l’aiuto di una pannocchia sgranata di miglio. Nella lavorazione, l’argilla viene via via aggiunta e le mani operano contrapposte all’interno e all’esterno del recipiente dando forma e spessore alle pareti. Ma, tornando a una descrizione generale e sintetica delle fasi esecutive di vasi, dopo essere stati formati, essi vengono lasciati ad essiccare e, in molti casi, dopo una leggera ingubbiatura, levigati o lucidati con semi o ciottoli, anche per renderli più impermeabili. La decorazione, semplice o complessa, è quasi sempre applicata prima della cottura e può essere a impressione sull’argilla ancora molle, a incisione, a pittura o a rilievo applicato. Molti attrezzi servono a questi scopi, da spatole a tamponi, a rulli incisi, da rotelle dentate a cordicelle intrecciate o spighe sgranate di mais, per citarne solo alcuni. L’eventuale decorazione pittorica è in genere ricavata dai colori bruni o rossi dell’
be roughly summarized by a series of precise operations, always performed by woman. First of all, there is the extraction of the clay from the area where this raw material can be found and then the transportation to the village in the necessary quantities. After a brief phase of drying, the clay, sometimes cracked or pulverized, is then hydrated with the correct amount of water in order to obtain a paste of the adequate consistency and plasticity, to which degreasers are added and amalgamated with the method that, as we have mentioned, is similar to a dance. Normally there are mineral elements or fragments of ground and sieved earth: a sort of grain of the same size that when mixed with clay makes the paste more uniform, reducing the excessive plasticity and increasing the mechanical resistance during baking, reducing the risk of cracking or chipping. Small or large degreasing elements in certain traditions are used for different types or parts of vases, like the bottom of the large containers for which fragments of larger sized grains are used than those mixed with the clay used for the upper part. The true technique for creating a vase has naturally an infinite number of variations and at each good firing they are always made by hand, modeled with the progressive addition of clay, with various solutions but without the use of a potter’s wheel. In certain areas, like the one already mentioned in Kalabougou, a sort of wooden plate is used that is rested on the ground and turned slowly, which certainly does not form the vase but allows it to turn between the workers hands making the job easier. In a few cases, for example in Mali and in Togo, the vases are made in two different separate times and parts. We documented a novel aspect of this technique used for making spherical vases in Togo at the potters shop in the village of Notsé. In this case, in the first phase, only half of the upper part of the vase is made, beginning with a cone of clay placed on the ground, which the potter works by moving around the piece like an “external human wheel”. After a brief period of drying, the vase is turned upside down, with the opening on the ground, and the potter completes the lower portion giving a perfect globular form to the vase, working only his hands and with the help of a husked corn cob. During the working, the clay is bit by bit added and the hands operate while placed both on the inside and outside of the vase giving thickness and form to the walls. But, going back to a general and brief description of the working phases of vases, after they have been formed, they are left to dry and in many cases, after are lightly decorated, sanded or shined with seeds or pebbles, even to make them more waterproof. Decorations whether simple or complex, are almost always applied before firing and may be performed by making an impression in the still soft clay, marks from tapping a spatula, engravings from rollers, teethed rollers with braided cords or husked corn cobs, just to mention a few. The eventual painting decorations are generally done with brown or reds from hematite or, more rarely for white, even from shells or river crustaceans. The firing is not done in an enclosure but open, often with the use of broken vases that are sometimes fired to give support to the structure or to be used as a base for the stack. The vases are placed on a layer of dried wood
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ematite o, più raramente per il bianco, anche da conchiglie di molluschi fluviali. La cottura viene realizzata a cielo aperto, a volte con il riutilizzo di vasi rotti in altre infornate a far da supporto alla struttura o come piano di base della catasta. I vasi sono posti su uno strato di legname secco e ricoperti accuratamente con una gran quantità di legni e soprattutto di vegetazione erbacea secca. Nella cottura di gran quantità di vasi d’uso, i recipienti sono ordinati e accatastati in un ordine preciso che prevede una prima disposizione dei vasi più grandi al centro, con la bocca rovesciata; attorno ai quali vengono disposti i pezzi di media grandezza coricati sul fianco con la bocca verso l’esterno. I vasi più piccoli sono collocati sopra i precedenti, con l’apertura verso il basso. Una volta acceso il fuoco tutt’attorno alla catasta, la combustione avviene molto rapidamente raggiungendo subito alte temperature, comprese tra i 600 e 800 gradi centigradi. Le fiamme lambiscono direttamente il vasellame che cuoce nel giro di trenta, quaranta minuti. In certi casi, le vasaie attendono che il calore sia diminuito per ritirare i vasi aiutandosi con una lunga canna di bambù che infilano nella bocca del recipiente, in altri come ci descrive sempre Raimbault, le vasaie ritirano i vasi (non certo quelli grandi) ancora roventi e li “temprano” immergendoli in una giara che contiene una soluzione liquida composta con sostanze vegetali (frutti schiacciati Diospyros mespiliformis o cortecce pestate di Ximenia americana). Ad alcuni recipienti viene donata una colorazione nera brillante ponendoli, subito dopo averli tolti dal fuoco, su un letto di paglia di miglio o di sterco di asino. La vasaia, dunque, ancor più come donna, ha l’opportunità e la responsabilità di dar vita e forma, mettendo al mondo contenitori di senso che, per processo di gestazione o analogia, evocano o attendono l’essere umano. I vasi stessi, a volte, hanno forma antropomorfa o la richiamano nei tratti fisici o negli attributi ornamentali. Se proprio vogliam vedere, quasi tutti gli oggetti che l’uomo realizza son fatti, per un verso o per l’altro, a sua immagine e somiglianza; in essi egli travasa il senso della sua realtà, la sua presenza visibile e invisibile. La “verità” del vaso, forse, la sua complessità, è racchiusa nel suo spazio interno, vuoto, che la forma delimita. La terracòtta, come materia, è solo il confine che lo separa dal mondo, come per l’uomo la pelle, che contiene la persona e il suo vissuto e si pone, con tutte le decorazioni che può accogliere, come luogo di relazione con il mondo, in uno scambio che invita tutti i sensi a risuonare, in associazione totale, in un continuo ascolto.
Bibliografia: Calegari G. 2002 – Le vasaie di Notsé, Togo, Atti 3ºConvegno Nazionale di Etnoarcheologia, in stampa. Gallay A. 1970 – La poterie en pays Sarakolé (Mali, Afrique Occidentale), Journal de la Société des\Africanistes, tome XL, fasc.1, pp.7-84. Priuli A. 2004- La produzione ceramica nel sud del Togo e la sperimentazione archeologica in Valle Camonica, Atti 2° Convegno Nazionale di Etnoarcheologia 2001, Raffaelli
with a large quantity of wood and most of all with dried grass. In the making of large quantities of vases for daily use, the vases are put in order and stacked in a precise manner that allows first the placement of larger vases in the center with the opening turned down. Around those, the medium sized pieces are placed on their sides with the opening toward the outside. The smaller vases are placed above the first ones with the opening toward the bottom. Once the fire is ignited around the stack, the combustion takes place very rapidly reaching immediately high temperatures, between 600’ and 800 degrees centigrade. The flames lick directly on the vases that bake in about 30- 40 minutes. In some cases, the potters wait until the heat has diminished to remove the vases with the aid of a long bamboo rod which is inserted into the opening of the vase. In other cases, as Raimbault describes, the potters pull the vases (certainly not the large ones) still hot and they “temper” them by dipping them in a receptacle that contains a liquid solution made with vegetable substances (pressed fruit: Diospuros Mespiliformis or American Ximenia crushed bark). A few bases are colored with a brilliant black by brushing them immediately after having removed them from the fire and placing them on a bed of corn or donkey dung. The potter, more so the woman potters, have the opportunity and the responsibly of giving life and form, by bringing into the world containers of senses, that due to the process of gestation or analogous processes, evoke or await mankind. The vases themselves at times have an anthropomorphic form or refer to this form in their physical detail or ornamental attributes. If we really want to take a close look, we will see that almost all objects that man has created have been, for one reason or another, made in his image or resemble him; through the vase he pours out the sense of his reality, his visible and invisible presence. The “truth” of the vase, in its complexity, is enclosed in its internal space, empty, which only the form outlines. The clay as a material is only the boundary that separates it from the world, like skin does for man, which contains the person and life. With all its decorations and all the secrets it can hold, like the place it was made in the world, it entices all the senses to come forward in complete association.
Editore, Rimini, pp. 161-169. Raimbault M. 1980 –La poterie traditionelle au service de l’arcchéologie: les ateliers de Kalabougou (cercle de Ségou, Mali), Bulletin de l’I:F.A.N., T.42, sér.B, n°3, Dakar, pp.441474. Savoia D. 2006 – Il mondo in un vaso: oggetti, estetiche e cosmologie a confronto. Uno sguardo etnologico, Origini XXVIII, Roma, pp.281-311.
Nota sulle scoperte di Desplagnes nel Delta del Niger I vasi genericamente denominati di Tomboctou o di Leré occupano la posizione più alta nella produzione ceramica del delta interno nigerino databile tra il XI e XVI secolo. Le loro peculiarità consistono essenzialmente in un ingobbio rosso bruno che le rende lucide e brillanti e nelle loro forme elegantissime tra le quali spicca come emblematica quella delle bottiglie a lungo collo sottile e a corpo carenato. A distanza di 100 anni lo studio più completo sulla cosidetta ceramica di Tomboctou o di Leré rimane quello del luogotenente francese Louis Desplagnes del II° reggimento Tirailleurs Senegalais, Commandant de la Poste di Goundam nel 1901. Tra il 1901 e il 1903 egli aveva infatti condotto le prime campagne di scavo sui tumuli di Killi e di El Oualedji, portando alla luce ceramiche, terracotte votive e bronzi di qualità sorprendente, associati alla sepoltura di governatori o capi militari di quel territorio, periferico ma assoggettato all’Impero del Ghana già prima del XI secolo (Fig. 1) I Peuls chiamano i tumuli Tongomare, che significa piccola montagna fatta con le mani, mentre il loro nome in lingua songhai è Koy Gourrey, che significa Tumulo del Capo: messe insieme le denominazioni peul e songhai indicano senza possibilità di equivoco la destinazione di quelle colline artificiali: Tumuli-tombe costruiti in onore di un Capo. I risultati degli scavi di Desplagnes fornivano, per la prima volta, conferma alla intuizione di Felix Dubois che, nel 1894 durante una sosta al forte di El Oualedji diretto a Timboctou aveva annotato: “Ce n’est assurément pas une œuvre de la nature. Deci, delà, on y retrouve des pierres, des briques, qui ne manquèrent pas d’intriguer le capitaine Philippe, constructeur du fort d’El-Oual-Hadj, un des rares survivants de la colonne Bonnier, par ce fait que la garde de Tombouctou lui avait été confiée durant cette fatale reconnaissance. Interrogés, les indigènes racontèrent que plusieurs monticules semblables existaient dans les pays environnants, sur la rive droite comme sur la rive gauche du fleuve: la légende courait que c’étaient les demeures des chefs d’autrefois, tombées en ruine. Tel n’est pas mon avis. Je crois que ces monticules sont les tombeaux et non les palais de ces mêmes chefs. El Bekri, un arabe qui visita ces pays-ci vers le milieu du XIème siècle, décrit leurs funérailles en ces termes: “ A la mort du roi, ces nègres construisent avec du bois de rônier un grand dôme qu’ils établissent sur le lieu qui doit servir de tombeau. Ensuite ils étendent le corps sur une couche garnie de tapis et de coussins et le placent à l’ intérieur du dôme. Ils disposent auprès du mort ses parures, ses armes,les plats et les tasses dans lesquels il avait mangé et bu, et diverses espèces de mets ou boissons. Alors ils enferment avec le corps de leur souverain plusieurs de ses cuisiniers et
Note on the discoveries of Desplagnes in the Niger Delta The vases that are generically called Tomboctou or Leré hold the highest position in the production ceremony of the internal Delta of Niger which dates as far back as the XI and VVI century. Their peculiarity consists essentially in an engobe of reddish brown that makes them shiny and bright and in their elegant form among which a remarkable one is emblematic; the bottle with a long slender neck and a carinated body. After 200 years, the most complete study on the so called ceramic of Tomboctou or Leré is still the research by the French Lieutenant Louis Desplagnes of the II° regiment Tirailleurs Senegalais, Commandant of the Post of Goundam in 1901. Between 1901 and 1903, he conducted the first digging expeditions on the tombs of Killi and El Oualedji, finding ceramic, clay votives and bronze of incredible quality, associated with the burial of governors or military leaders of that area, peripheral but associated with the Empire of Ghana as far back as before the XI century (Fig. 1). The Peuls call the tombs, Tongomare, which means small mountain made by hand, while the name in the Songhai language is Koy Gourrey, which means Tomb of the Chief: put together the Peul and Songhai names tell us without any misunderstanding the use of those artificial hills: Tumulitomb built in honor of the Chief. The results of the diggings of Desplagnes for the first time provided a confirmation of the intuition of Felix Dubois who, in 1894 during a stop at the fort of El Oualedji on his way to Timboctou wrote: “Ce n’est assurément pas une ?uvre de la nature. Deci, delà, on y retrouve des pierres, des briques, qui ne manquèrent pas d’intriguer le capitaine Philippe, constructeur du fort d’ElOual-Hadj, un des rares survivants de la colonne Bonnier, par ce fait que la garde de Tombouctou lui avait été confiée durant cette fatale reconnaissance. Interrogés, les indigènes racontèrent que plusieurs monticules semblables existaient dans les pays environnants, sur la rive droite comme sur la rive gauche du fleuve: la légende courait que c’étaient les demeures des chefs d’autrefois, tombées en ruine. Tel n’est pas mon avis. Je crois que ces monticules sont les tombeaux et non les palais de ces mêmes chefs. El Bekri, un arabe qui visita ces pays-ci vers le milieu du XIème siècle, décrit leurs funérailles en ces termes: “ A la mort du roi, ces nègres construisent avec du bois de rônier un grand dôme qu’ils établissent sur le lieu qui doit servir de tombeau. Ensuite ils étendent le corps sur une couche garnie de tapis et de coussins et le placent à l’ intérieur du dôme. Ils disposent auprès du mort ses parures, ses armes,les plats et les tasses dans lesquels il avait mangé et bu, et diverses espèces de mets ou boissons. Alors ils enferment avec le corps de leur souverain plusieurs de ses cuisiniers et fabricants de boissons. On recouvre l’édifice de nattes et de
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fabricants de boissons. On recouvre l’édifice de nattes et de toiles, et la foule assemblée s’empresse de jeter de la terre sur ce tombeau et d’y former ainsi une grande colline. Ils entourent ce monument d’un fossé qui offre un seul passage à ceux qui voudraient s’en approcher. Ils sacrifient des victimes à leurs morts et leur apportent comme offrande des boissons enivrantes. Je n’ai malheureusement pu vérifier si le monticule mirador renfermait encore son dépôt macabre: le fort se serait difficilement passé d’un perchoir aussi commode.Mais des temps meilleurs ne peuvent tarder. Et quand les touaregs auront définitivement réintégré le désert, leur patrie première, j’espère qu’il se trouvera parmi les commandants d’El-Oual-Hadj un esprit assez curieux pour demander au monticule son secret”1 Lo stesso Desplagnes confrontando i risultati degli scavi di Killi e El Oualedji con le annotazioni di Felix Dubois aveva scritto: “En continuant les fouilles vers le milieu du monument, la terre parut bien plus mélangée de cendres et la masse dans laquelle on avait pénétré n’étaits plus uniformément compacte; on y rencontrait des vides, des voûtes irrégulières, comme formées (fiasques de terre vernissée, lampes, canaris) qui parsemaient la masse terreuse étaient écrasées sur leur base. Tout indiquait un effondrement. Dans cette partie centrale du monument, après avoir découvert quelques ossements d’animaux (dents de cheval ou d’âne, os de gros poissons) mélangés à des débris de poteries de toutes formes, les travailleurs ont mis à jour un enchevètrement de cadavres de femmes et d’enfants amoncelés en désordre les uns sur les autres, dans toutes les positions. La plupart des ossements de ces 25 à 30 squelettes humains tombaient en poussière: toutefois on a pu recueillir quelques gros os, une machoire supérieure, des fémurs, des tibias avec les bracelets qui les entouraient, des phalanges de doigts avec leurs bagues. Mais, en revanche, l’émail des dents était intact et l’on pouvait remarquer, à côté de vieilles et larges dents noires à la couronne usée et aplatie, de brillantes dents d’adultes ou d’enfants, petites et aiguës»2, et nel Le Plateau Central Nigerien: «Les noms de El Massarah, l’Egyptien, Fallah etc… attribués à quelques-uns de ces tumuli, l’habitude d’enterrer les morts sous d’immenses monuments artificiels, et celle de leur apporter des vivres et des libations pour leur existence dans les régions de l’au-delà, la céramique et les petites figurines en bronze et en terre trouvées dans les fouilles et ressemblant plus ou moins vaguement à un ibis, à un caïman, à un sphinx, etc…, semblent indiquer chez ce peuple des réminiscences égyptiennes ou puniques”. I punti in comune tra le sepolture sudanesi e quelle egiziane sono numerosi, ma una differenza sostanziale li separa; mentre nelle sepolture egiziane il corteo che accompagna il morto nell’al di là è ridotto a simbolo attraverso le statuette degli Usciabti che rappresentano servitori e guardie, nelle sepolture sudanesi, al contrario, tutto è vero; i servitori, le guardie e anche i cavalli che avevano servito il Signore
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L. Desplagnes: Études sur le tumuli du Killi dans la region de Goundam, p. 158-159.
toiles, et la foule assemblée s’empresse de jeter de la terre sur ce tombeau et d’y former ainsi une grande colline. Ils entourent ce monument d’un fossé qui offre un seul passage à ceux qui voudraient s’en approcher. Ils sacrifient des victimes à leurs morts et leur apportent comme offrande des boissons enivrantes. Je n’ai malheureusement pu vérifier si le monticule mirador renfermait encore son dépôt macabre: le fort se serait difficilement passé d’un perchoir aussi commode.Mais des temps meilleurs ne peuvent tarder. Et quand les touaregs auront définitivement réintégré le désert, leur patrie première, j’espère qu’il se trouvera parmi les commandants d’El-Oual-Hadj un esprit assez curieux pour demander au monticule son secret” Again Desplagnes when comparing the results of the diggings of Killi and El Oualedji with the notes written by Felix Dubois, himself wrote: “En continuant les fouilles vers le milieu du monument, la terre parut bien plus mélangée de cendres et la masse dans laquelle on avait pénétré n’étaits plus uniformément compacte; on y rencontrait des vides, des voûtes irrégulières, comme formées par un éboulement. Les nombreuses poteries (fiasques de terre vernissée, lampes, canaris) qui parsemaient la masse terreuse étaient écrasées sur leur base. Tout indiquait un effondrement. Dans cette partie centrale du monument, après avoir découvert quelques ossements d’animaux (dents de cheval ou d’âne, os de gros poissons) mélangés à des débris de poteries de toutes formes, les travailleurs ont mis à jour un enchevètrement de cadavres de femmes et d’enfants amoncelés en désordre les uns sur les autres, dans toutes les positions. La plupart des ossements de ces 25 à 30 squelettes humains tombaient en poussière: toutefois on a pu recueillir quelques gros os, une machoire supérieure, des fémurs, des tibias avec les bracelets qui les entouraient, des phalanges de doigts avec leurs bagues. Mais, en revanche, l’émail des dents était intact et l’on pouvait remarquer, à côté de vieilles et larges dents noires à la couronne usée et aplatie, de brillantes dents d’adultes ou d’enfants, petites et aiguës», et nel Le Plateau Central Nigerien: «Les noms de El Massarah, l’Egyptien, Fallah etc… attribués à quelques-uns de ces tumuli, l’habitude d’enterrer les morts sous d’immenses monuments artificiels, et celle de leur apporter des vivres et des libations pour leur existence dans les régions de l’au-delà, la céramique et les petites figurines en bronze et en terre trouvées dans les fouilles et ressemblant plus ou moins vaguement à un ibis, à un caïman, à un sphinx, etc…, semblent indiquer chez ce peuple des réminiscences égyptiennes ou puniques”. The common points between the Sudanese burials and the Egyptian burials are numerous, but a substantial difference separates them; in the Egyptian burials, the procession that accompanies the deceased in the afterworld is reduced to a symbol through the statue of the Usciabti which represents servant and guard, while in the Sudanese burials, on the contrary, the servant, the guard and even the horses who served the Master during his life accompany him in death and are buried alive with him. Surprised with the very high quality, both technical and
durante la vita, lo accompagnano nella morte, sepolti vivi con lui. Sorpreso della altissima qualità sia tecnica che estetica delle ceramiche ad ingobbio rosso rinvenute negli scavi, Desplagnes aveva annotato: “Il est à remarquer que les poteries découvertes dans les tumuli dénotent une industrie céramique bien plus avaneée que celle des indigènes actuels de la région. L’engobe des vases anciens, l’élégant décor au pointillé que montre un certain nombre d’entre eux, ne se retrouvent plus sur les produits modernes qui, en outre, sont loin de présenter les variétés de types que nous avons rencontrées”3. La quantità di forme indicava infatti una inattesa quantità di usi, compatibili unicamente con una civiltà ad altissimo grado di sviluppo quale era stata quella dell’Impero del Ghana. Ricercando l’uso di ciascuna forma, Desplagnes aveva redatto una meticolosa classificazione articolata in tipologie che aveva rappresentato in una illustrazione allegata al suo Étude sur les tumuli du Killy (Fig. 2). Nella illustrazione comparivano: coppe doppie: usate come supporto per vasi e fiasche a corpo emisferico (Fig. 4 – 5). fiasche o bottiglie a lungo collo: dal corpo piriforme, arrotondato o carenato e dal lungo collo sottile (Fig. da 6 a 11). coppe e coppelle: forse lampade, dotate di un bottone interno che doveva servire come supporto di uno stoppino (Fig. 12 – 13). vasi sormontati da collo svasato: (Fig. 14). vasi a grande apertura e bicchieri (Fig. 15 – 16). I decori di questi recipienti si articolano essenzialmente in tre tipologie, realizzate per incisione, modellazione o con pittura. La prima tipologia di decorazione si riduce a incisioni di puntini e righe alla base del collo e sulla spalla del vaso formanti scannellature concentriche. L’ingobbio è rosso bruno, brillante e lucido, spesso macchiato da intenzionali focate. E’ presente sulle ceramiche più antiche. La tipologia di decoro modellato si riduce a orli a toro o collari sfrangiati alla cima del collo e in anelli realizzati alla base del collo. E’ presente su produzioni più o meno antiche che presentano un ingobbio di colore meno bruno o aranciato. La tipologia di decoro dipinto con vernici bianche e nere, formanti motivi a chevron, a dente di lupo, fasce e occhi di serpente, sulle spalle del vaso e sulla circonferenza equatoriale, sembra la più recente. L’ingobbio è quasi assente e il colore è aranciato. Mentre i decori incisi e puntinati possono convivere con motivi modellati, questo non accade mai in presenza di motivi dipinti. Il lungo studio di Desplagnes si conclude con una ulteriore comparazione tra ceramica antica e moderna: “Nous avons déjà signalé l’absence d’engobe sure les poteries modernes, dons la décoration consiste uniquement en quelques dessins linéaires tracés à l’ocre rouge. Nous avons dit également que les potiers actuels ne fabriquent qu’un très petit nombre de types, qui sont. Il est bien évident que les céramistes d’aujourd’hui ne sont pas les héritiers de ceux qui ont confectionné les poteries dont il vient d’ètre question”.
esthetic, of the ceramic engobed with red found in the diggings, Desplagnes wrote: “Il est à remarquer que les poteries découvertes dans les tumuli dénotent une industrie céramique bien plus avaneée que celle des indigènes actuels de la région. L’engobe des vases anciens, l’élégant décor au pointillé que montre un certain nombre d’entre eux, ne se retrouvent plus sur les produits modernes qui, en outre, sont loin de présenter les variétés de types que nous avons rencontrées”. The quantity of forms indicated, in fact, an unexpected quantity of uses that are compatible only with a civilization with a superior capability of development like the Empire of Ghana. When researching the use of each form, Desplagnes drew up a meticulous articulated classification of types that he illustrated and attached to his Étude sur les tumuli du Killy (Fig. 2). In the illustration we see: dual cups: used as supports for vases and flasks with hemispheric bodies (Fig. 4-5). flasks or bottles with long necks: with a pear shaped, rounded or carinated body, with a long slender neck (Fig. 6 – 11). Cups and cupules: perhaps lamps, with an internal button that was supposed to be used as a support for a wick (Fig. 12-13). Vases with flared necks: (Fig. 14). Vases with large brimmed openings (Fig. 15-16). The decorations on these vases are essentially three types, made by incision, modeled or painted. The first type of decoration is merely carved with dots and lines at the base of the neck and on the shoulder of the vase forming concentric grooves. The tint is reddish brown, shiny and bright, often spotted due to intentional blending. This is seen on the more antique pieces. The type of molded decoration is basically bull nosed or frayed at the edge of the neck and in rings made at the base of the neck. This is seen on productions that are of various ages that are engobed with color that is not so brown or orange. The type of decoration painted with black and white paint, forming chevron shapes, hound’s-tooth, snake bands and eyes on the shoulder of the vase and on the equatorial circumference, seems to be the most recent. Here engobe is almost absent and the color is orange. While the decorations with carvings of dots can go along with a modeled motif, this never happens in the presence of painted motifs. The long research of Desplagnes concluded with a further comparison between antique and modern ceramic, “Nous avons déjà signalé l’absence d’engobe sure les poteries modernes, dons la décoration consiste uniquement en quelques dessins linéaires tracés à l’ocre rouge. Nous avons dit également que les potiers actuels ne fabriquent qu’un très petit nombre de types, qui sont. Il est bien évident que les céramistes d’aujourd’hui ne sont pas les héritiers de ceux qui ont confectionné les poteries dont il vient d’ètre question”.
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vasellame (foto di Desplagnes)
disegni di varie forme di vasellame
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4.Vaso rituale. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XV-XVI sec. H.42 cm.
Collo fallico a ripiani. Decorazione nella parte inferiore della calotta.
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32 in alto a sinistra:
1.Vaso rituale. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XV-XVI sec. H.36 cm. Decorazione a incisione circolare nella parte superiore della calotta. Testimonianze di un notevolissimo livello sia tecnico sia estetico delle antiche culture maliane, vasi di questo genere sono stati trovati in tumuli funerari insieme con gioielli in leghe di rame, armi di ferro e oggetti di prestigio.
in alto a destra:
2.Vaso rituale. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XV-XVI sec. H.36 cm. Decorazione a solchi circolare nella parte inferiore della calotta.
di lato:
3.Vaso rituale. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XV-XVI sec. H.37 cm. Decorazione nella parte superiore della calotta
4 bis. Vaso rituale. Terracotta. Djenné. Regione di Djenné, Mali. XV-XVI sec. H.41 cm. Decorazione a fascia circolare.
5 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Banamba, Mali. XVIII sec. H.52 cm.
Decorazioni geometriche in bassorilievo. Quale che sia la loro funzione, di solito i vasi africani hanno un fondo tondeggiante per essere posati in una depressione del suolo o sopra un anello di fibre vegetali.
in basso a sx:
6 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Banamba, Mali. XVIII sec. H.48 cm.
Collo a forma di tucano, decorazioni geometriche in bassorilievo.
in basso a dx:
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7 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Banamba, Mali. XVIII sec. H.50 cm.
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Collo a forma di tucano, decorazioni geometriche a rilievo.
8 Vaso. Terracotta.Bambara. Regione di Banamba, Mali. XVIII sec. H.49cm.
a lato: 9 Vaso.Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.37 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. La decorazione a fascia orizzontale e verticale è ripresa con pigmento bianco.
in basso a sinistra: 10 Vaso. Terracotta. Delta interno del Niger, Mali. XVIII sec. H.38 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. La calotta è decorata con incisioni circolari e verticali a solco profondo riprese con pigmento chiaro.
in basso a destra: 11 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.34 cm.
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Ingobbio rosso cristallizzato. La decorazione a solco largo è ripresa con pigmento bianco.
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12 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.40 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. Decorazione con incisioni circolari e verticali a solco profondo riprese con pigmento chiaro.
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38 in alto a sinistra:
13 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.41 cm.
in alto a sinistra:
16 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XIII sec. H.39 cm.
Ingobbio rosso. Incisioni circolari a solco largo sul collo.
Ingobbio rosso cristallizzato con linee a solco profondo riprese con pigmento bianco.
in alto a destra:
14 Vaso. Terracotta. Regione dei Laghi, Mali. XVIII sec. H.29 cm.
Ingobbio rosso chiaro con incisioni a solco nella parte inferiore del collo.
a lato:
15 Vaso. Terracotta. Regione di Tonka, Mali. XVIII sec. H.32 cm.
Ingobbio chiaro e collo accentuatamente svasato.
in alto a destra:
17Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.39 cm.
Ingobbio rosso. Incisioni circolari a solco profondo nel collo.
a lato:
18 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.40 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. Sul collo 7 linee incise a solco profondo riprese con pigmento bianco.
22 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.43 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. Incisioni circolari a solco largo nella parte superiore del collo.
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40 in alto a sinistra:
19 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.32 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Sul collo 6 linee incise a solco profondo riprese con pigmento bianco.
in alto a destra:
20 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.24 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Sul collo 7 linee incise a solco profondo riprese con pigmento bianco.
in basso a sinistra:
21 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.27 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato con incisioni circolari a solco largo riprese con pigmento bianco.
23 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.29 cm. Ingobbio rosso brillante cristallizzato. Incisioni a solco e a fasce nella parte superiore della calotta.
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42 in alto a sinistra:
24 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.32 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Motivo a rilievo nella parte superiore del collo, accentuatamente svasato.
in alto a destra:
25 Vaso. Terracotta. Regione di Tonka, Mali. XVIII sec. H.35 cm. Vaso di impasto fine, ocra chiaro, con ingobbio rosso brillante nella parte inferiore della calotta.
in basso a sinistra:
26 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.37 cm. Vaso di impasto fine, ocra chiaro, con ingobbio rosso brillante nella parte inferiore della calotta. L’orlo dell’imboccatura è caratterizzato da una linea incisa con ingobbio rosso brillante che continua nell’interno del vaso.
27 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali XVIII sec. H.26 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Presenta un motivo in rilievo nella parte superiore del collo svasato. Incisione circolare a solco largo nella parte superiore della calotta.
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44 in alto a sinistra:
28 Vaso. Terracotta. Regione di Tonka, Mali. XVIII sec. H.36 cm.
ngobbio rosso cristallizzato con incisioni a fasce a solco largo sul collo e linee dipinte a pigmento bianco perpendicolari sulla parte superiore della calotta.
in alto a destra:
29 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.38 cm.
Ingobbio rosso. Incisione a fascia circolare a solco largo nella parte inferiore del collo e a solco profondo nella parte superiore.
in basso a sinistra:
30 Vaso. Terracotta. Regione di Diré. Mali. XVIII sec. H.35 cm.
Ingobbio rosso. Incisioni a fasce circolari e solco largo nella parte inferiore del collo. Decorazione con motivi geometrici nella parte superiore della calotta.
31 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.35 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato. Incisioni circolari a solco largo con pigmento bianco.
35 Vaso. Terracotta. Regione di Tombouctou, Mali. XVIII sec. H.22 cm.
Ingobbio rosso cristallizzato e incisioni circolari nel collo.
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46 in alto a sinistra:
32 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.35 cm.
Ingobbio rosso. Incisioni a fascia circolare a solco largo nella parte inferiore del collo. Decorazione con motivi geometrici nella parte superiore della calotta.
in alto a destra:
33 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.40 cm.
Ingobbio rosso bruno cristallizzato. Incisioni a fasce nella parte inferiore del collo. Decorazione con motivi geometrici nella parte superiore della calotta.
in basso a sinistra:
34 Vaso. Terracotta. Regione di Diré, Mali. XVIII sec. H.38 cm.
Colore ocra chiaro con ingobbio rosso nella parte inferiore della calotta. La parte superiore della calotta è decorata a fascia con motivi geometrici.
36 Vaso. Terracotta. Regione di Diré. Mali. XVIII sec. H.26 cm.
Ingobbio rosso brillante cristallizzato con incisioni a solco largo nella parte superiore della calotta e nella parte superiore del collo.
47 in alto a sx:
37 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.32 cm.
Ingobbio rosso chiaro con decorazioni a fascia circolare nella parte centrale.
in alto a dx:
38 Vaso. Terracotta. Regione di Tonka, Mali. XVIII sec. H.30 cm.
Ingobbio rosso con fasce a solco largo e motivi geometrici nella parte superiore della calotta.
in basso:
39 Vaso. Terracotta. Regione di Tonka, Mali. XVIII sec. H.30.
Ingobbio rosso chiaro e incisioni a solchi circolari nella parte superiore della calotta.
40 Vaso. Terracotta. Regione di Léré, Mali. XVIII sec. H.37 cm.
Ingobbio rosso brillante. Presenta un motivo a rilievo nella parte superiore del collo.
41 Grande vaso di famiglia per l’acqua. Terracotta. Bambara. Regione di Mopti, Mali. H.56 cm. D.42 cm.
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43 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Modjodje-Le, Mali. H.40 cm., D.40 cm. Decorazione a bugnette aggiunte.
Ingobbio rosso brillante. Decorazione circolare a rilievo con motivi geometrici nella parte superiore della calotta.
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44 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Modjodje-Le, Mali. H.39 cm., D.40 cm.
Decorazione geometrica nera nella parte superiore della calotta.
42 Grande giara per i cereali. Terracotta. Bambara. Regione di SĂŠgou, Mali. H.57 cm., D.47 cm. Decorazioni in rilievo.
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45 Grande vaso di famiglia per l’acqua. Terracotta. Bambara. Regione di Mopti, Mali. H.46 cm., D.38 cm.
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Ingobbio rosso scuro. Decorazione circolare in rilievo.
47 Grande vaso di famiglia per l’acqua. Terracotta. Bambara. Regione di Mopti, Mali. H.57 cm., D.50 cm. Ingobbio rosso brillante. Decorazione circolare con motivi geometrici nella parte superiore della calotta. 46 Grande vaso di famiglia per l’acqua. Terracotta. Bambara. Regione di Mopti, Mali. H.42 cm., D.40 cm. Ingobbio rosso scuro. Decorazione circolare in rilievo.
48 Vaso a tre piedi. Terracotta. Bambara. Regione di Mopti, Mali. H.46 cm., D.32 cm. Ingobbio rosso chiaro. Decorazione a fascia con motivi geometrici.
in basso a sinistra
49 Vaso. Terracotta. Bamana-Bozo. Regione di SĂŠgou, Mali. H.58cm, D.32 cm. Ingobbio rosso mattone. Decorazione a fasce circolari con motivi geometrici. in basso a destra
50 Grande vaso di famiglia per l’acqua. Terracotta. Somono. Regione di Sahona, Mali. H.43 cm., D.42 cm. Vaso a due anse decorato con cordonature. Incisioni a pettine di ferro e legno trascinato.
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51 Grande vaso con base. Terracotta. Bambara. Regione di Bougouni, Mali. H.58 cm., D.44 cm. Vernice nera. Incisioni in rilievo nella parte superiore.
52 Grande giara per i cereali. Terracotta. Bambara. Regione di SĂŠgou, Mali. H.52 cm., D.44 cm. Decorazione in rilievo.
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54 Grande giara per i cereali. Terracotta. Bambara. Regione di SĂŠgou, Mali. H.48 cm., D.42. Vaso a piede anulare. Decorato con fasce circolari nella parte superiore. 53 Vaso. Terracotta. Bambara. Regione di Sofara, Mali. H.51 cm., D.42 cm. Ingobbio rosso chiaro. Decorazione sulla parte superiore della calotta.
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58 55 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.45 cm. Ingobbio rosso mattone. Incisioni circolari a fasce.
56 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.37 cm. Ingobbio rosso mattone. Incisioni circolari a fasce.
57 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.48 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Incisioni circolari a fasce.
59
58 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.46 cm.
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Ingobbio rosso mattone. Incisioni circolari a fasce.
59 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.46 cm. Ingobbio rosso mattone. Incisioni circolari a fasce.
60 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.46 cm. Ingobbio rosso chiaro. Incisioni circolari a fasce.
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61 Piede di letto. Terracotta. Regione di Kami, Mali. XVI sec. H.37 cm.
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Ingobbio rosso chiaro.
62 Piede di letto. Terracotta. Regione di Kami, Mali. XVI sec. H.39 cm. Ingobbio rosso chiaro.
63 Piede di letto. Terracotta. Regione di DialoubĂŠ, Mali. XVI sec. H.47 cm. Ingobbio rosso chiaro. Incisioni circolari a fasce.
64 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.43 cm. Ingobbio rosso chiaro. Incisioni circolari a solco profondo.
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64 65 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.41 cm.
Ingobbio rosso mattone. Incisioni a solco profondo con forme geometriche nella parte superiore.
66 Piede di letto. Terracotta. Regione di Dialoubé, Mali. XVI sec. H.48 cm. Ingobbio rosso cristallizzato. Incisioni circolari a fasce.
67 Sedile. Terracotta. Djenné. Regione di Djenné, Mali. H.21 cm, D.44 cm.
Il buco centrale serve ad agevolare la presa. Decorato con incisioni al pettine di ferro e di legno trascinato. Sedile usato dai capi e chiamato “tinge” in lingua Bozo.
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69 Sedile. Terracotta. Djenné. Regione di Djenné, Mali. H.20 cm., D.33.
Il buco centrale serve ad agevolare la presa. Decorato con incisioni al pettine di ferro e di legno trascinato. Sedile usato dai capi e chiamato “tinge” in lingua Bozo.
68 Sedile. Terracotta. Djenné. Regione di Djenné, Mali. H.21 cm., D.20.
Il buco centrale serve ad agevolare la presa. Decorato con incisioni al pettine di ferro e di legno trascinato. Sedile usato dai capi e chiamato “tinge” in lingua Bozo.
70 Piatto. Terracotta. Somono. Mali. H.11 cm., D.58 cm.
Bordatura superiore a chevrons. Fondo impresso a canestro. Oggetto di uso comune, serve anche come fondo per modellare i vasi. Vasi di uso comune ma finemente decorati sono spesso portati in dote dalle giovani Somono, che li conservano gelosamente.
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71 Piatto. Terracotta. Somono. Mali. H.8 cm., D.30 cm.
Bordatura superiore a chevrons. Fondo impresso a canestro. Oggetto d’uso comune, serve anche come fondo per modellare i vasi
72 Vaso. Terracotta. Somono. Regione di Sahana, Mali. H.12 cm., D.32 cm. Bacile per le abluzioni chiamato “salidjidegi� in lingua Bozo.
73 Ciotola. Terracotta. Bozo. Regione di Mopti, Mali. H.39 cm., D.12. Manico tronco conico. Ingobbio rosso chiaro.
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74 Vaso. Terracotta. Somono. Regione di Sahona, Mali. H.29 cm., D.39 cm.
Grande coppa con piede anulare leggermente svasato, di colore rosso mattone, chiamata “bérébië kouarou” in lingua Bozo, comunemente parlata dai Somono.
75 Vaso. Terracotta. Somono. Regione di Djenné, Mali. H.23 cm., D.64
Bacile per le abluzioni, di colore rosso brillante, chiamato “salidjidegi” in lingua Bozo.
76 Terracotta. Djenné. Regione di Djenné. Mali. H.18 cm. D.40 cm.
Appartiene a un genere di vasellame utilizzato come coperchio e chiamato “hambogal” in lingua Peul.
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77 Ciotola. Terracotta. Djenné. Regione di Djenné, Mali. H.12 cm., D.21 cm. Ingobbio rosso chiaro. Decorazione in rilievo all’esterno.
78 Vaso. Terracotta. Tellem-Dogon. Regione di Ireli, Mali. H.19 cm.
Antica coppa funeraria a tre piedi su base. I riti funerari si svolgevano in grotte situate sopra le necropoli.
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79 Giara funeraria. Terracotta. Regione di Sofara, Mali. H.72 cm., D.54 cm.
Le giare funerarie erano usate per l’inumazione e ciascuna di esse conteneva i resti di una sola persona adulta.
80 Giara funeraria. Terracotta. Regione di Sofara, Mali. H.70 cm., D.48 cm.
Un’urna funeraria era composta da due elementi a contatto collocati verticalmente: una grande giara, dove veniva deposto il corpo del defunto, munita di un foro nel fondo, e una piÚ piccola che fungeva da coperchio.
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BURKINA FASO
81 Giara funeraria. Terracotta. Regione di Sofara, Mali. H.105, D.56 cm.
Le inumazioni venivano eseguite nelle giare posizionate sia verticalmente che orizzontalmente. Giare di questo tipo erano fabbricate anche per uso domestico.
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82 Vaso. Terracotta. Lobi. Regione di Gaoua, Burkina Faso. H.43 cm., D.37 cm. Ingobbio rosso scuro con decorazione a solco e punti.
83 Vaso. Terracotta. Lobi.Regione di Gaoua, Burkina Faso. H.43 cm., D.37 cm. Ingobbio rosso scuro con decorazione a solco e punti.
84 Vaso. Terracotta. Mossi. Regione di Boulsa, Burkina Faso. H.53 cm., D.42 cm.
Contenitore per acqua o cereali, con coperchio. Colore rosso mattone. L’intera superficie esterna è ricoperta di bugnette aggiunte
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80 85 Vaso. Terracotta. Mossi.Regione di Yako, Burkina Faso. H.24 cm., D.24 cm.
Vaso sacro utilizzato nelle abluzioni per rendere invulnerabili i neofiti durante e dopo le cerimonie di iniziazione. Viene conservato in un luogo appartato della casa.
86 Vaso. Terracotta. Lobi.Regione di Gaoua, Burkina Faso. H.45 cm., D.35 cm.
Ingobbio rosso scuro con decorazione a solco e a dente di lupo verticale.
87 Vaso. Terracotta. Mossi. Regione di Yako, Burkina Faso. H.19 cm., D.22 cm.
Vaso sacro utilizzato nelle abluzioni per rendere invulnerabili i neofiti durante e dopo le cerimonie di iniziazione. Viene conservato in un luogo appartato della casa.
88. Vaso. Terracotta. Mossi. Regione di Boulsa, Burkina Faso.H.51 cm., D.38 cm.
Contenitore per acqua o cereali, con coperchio. L’intera superficie esterna è ricoperta di bugnette aggiunte.
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89. Vaso. Terracotta. Mossi.Regione di Boulsa, Burkina Faso. H,45 cm., D.43 cm.
Contenitore per acqua o cereali, con coperchio. La superficie esterna è ricoperta di bugnette aggiunte.
90. Vaso. Terracotta. Mossi Regione di Boulsa, Burkina Faso. H,45 cm., D.43 cm.
Contenitore per acqua o cereali, con coperchio. La superficie esterna è ricoperta di bugnette aggiunte. 91. Vaso. Terracotta. Gourounsi. Regione di Yako, Burkina Faso. H.45 cm cm., L.44 cm.
Grande vaso d’uso con coperchio a cupola e manico. Ingobbio rosso mattone con macchie nere di combustione.
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84
92. Vaso. Terracotta. Mossi. Regione di Boulsa, Burkina Faso. H.38 cm., D.37 cm.
Vaso d’uso a pareti verticali su base color rosso chiaro. Decorazione con animali sulla parte centrale della calotta.
93. Vaso. Terracotta. Mossi. Regione di Kaya, Burkina Faso. H.38 cm., D.35 cm.
Collo accentuatamente svasato. Ingobbio rosso lucido. Due anse al centro della calotta. Parte inferiore della calotta con decorazione Ă cordelette.
NIGERIA
85 94. Vaso. Terracotta. Lobi.Regione di Gaoua,BurkinaFaso. H.49 cm., D.36 cm.
Grande vaso d’uso con ingobbio rosso scuro. Decorazioni geometriche.
95. Vaso Terracotta. Lobi. Regione di Gaoua, Burkina Faso. H.43 cm., D.38 cm.
Grande vaso d’uso con ingobbio rosso scuro. Decorazione a solco.
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88 96. Vaso. Terracotta. Bariba. Regione di Yaskikera, Nigeria. H.38 cm.
L’emisfero inferiore della calotta è di color bruno scuro lucido, mentre quello superiore è decorato con personaggi in rilievo.
97. Vaso. Terracotta. Bariba. Regione di Yashikera, Nigeria. H.34 cm., D.53 cm.
L’emisfero inferiore della calotta ha un ingobbio rosso lucido, mentre quello superiore è decorato con personaggi in rilievo.
98. Vaso. Terracotta. Igbo. Regione di Enugu, Nigeria. H.48 cm.
La parte inferiore del collo e la parte superiore della calotta sono decorati a rilievo con forme geometriche. Ingobbio rosso mattone con tracce nere di combustione.
99. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.40 cm., D.36 cm.
Contenitore per acqua o cereali. Superficie decorata a rilievo.
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100. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.37 cm., D.31 cm. Contenitore per acqua o cereali. Superficie decorata.
101. Vaso. Terracotta. Igbo. Regione di Enugu, Nigeria. H.45 cm.
La parte inferiore del collo e la parte superiore della calotta sono decorate a solco profondo verticale e orizzontale. Ingobbio rosso mattone con tracce nere di combustione.
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in alto a sx:
102. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.26 cm.
Vaso tronco conico con quattro anse disposte a croce. Ricoperto di decorazioni in rilievo. in alto a dx:
103. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.29 cm.
Vaso tronco conico con tre anse. Ricoperto di decorazioni in rilievo.
104. Vaso. Terracotta. Bariba. Regione di Yashikera, Nigeria. H.35 cm.
Vaso d’uso, sferico, su base. La parte superiore della calotta con decorazioni a rilievo.
105. Vaso. Terracotta. Adja. Regione del Cross River, Nigeria. H.35 cm.
Lungo collo decorato con anelli sferici in rilievo. La parte superiore della calotta è decorata con dei quadrupedi in rilievo.
106. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.39 cm., D.30 cm.
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La calotta sferica, colorata, è percorsa da motivi lineari orizzontali che creano interspazi punteggiati e rigati. Il collo si apre formando una coppa a sua volta ornata di motivi circolari. I vasi Nupe sono spesso elegantemente decorati alternando motivi geometrici e superfici lisce ora lucide ora opacizzate.
94
108. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.36 cm., D.35 cm.
Vaso sferico con apertura a collo largo svasato. Colore bruno scuro verniciato. Decorato con disegni geometrici. 107. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.39 cm., D.31 cm.
La calotta sferica è percorsa da motivi lineari orizzontali che tracciano interspazi punteggiati e rigati. Il collo si apre formando una coppa ugualmente ornata di motivi circolari.
109. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.63 cm., D.30 cm.
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Vaso cilindrico con base. Colore rosso mattone nella parte inferiore, scuro in quella superiore. Decorazioni in rilievo. Questi vasi sono usati nella parte inferiore per contenere indumenti o materiali solidi e in quella superiore per sostenere un vaso a fondo tondo.
110. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.57 cm., D.27 cm.
Vaso cilindrico con base. Colore rosso mattone nella parte superiore, rosso chiaro in quella inferiore. Decorazioni in rilievo.
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111. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.60 cm. Vaso cilindrico con base. Colore rosso chiaro nella parte inferiore, scuro in quella superiore. Decorazioni in rilievo.
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98 112. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.59 cm.
Vaso cilindrico con base. Colore scuro nella parte superiore, rosso chiaro in quella inferiore. Decorazioni in rilievo.
113. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.50 cm., D.28 cm. Vaso cilindrico con base. rilievo.
Collo molto svasato.
Decorazione in
114. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.54 cm., D.29 cm. Vaso cilindrico con base. Collo svasato. Decorazione in rilievo.
115. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.39 cm., D.30 cm.
Recipiente a calotta sferica percorsa da motivi lineari orizzontali tracciando interspazi punteggiati e rigati. Il collo cilindrico si apre formando una coppa ugualmente ornata con motivi circolari.
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117. Vaso. Terracotta. Mambila (?). Regione di Gembu, Nigeria. H.72 cm.
Grande vaso a forma di busto umano con braccia addossate al corpo e un collare al collo. Decorazioni in rilievo su tutto il corpo. Bocca aperta. 116. Vaso. Terracotta. Nupe. Regione di Bida, Nigeria. H.40 cm., D.31 cm.
Recipiente a calotta sferica percorsa da motivi lineari orizzontali tracciando interspazi punteggiati e rigati. Il collo cilindrico si apre formando una coppa ugualmente ornata con motivi circolari.
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102 in alto a sinistra:
118. Vaso. Terracotta. Cham. Regione di Gembu, Nigeria. H.32 cm. Personaggio con un doppio collare di cauri al collo e uno presumibilmente metallico in rilievo. Bocca spalancata.
in alto a destra:
119. Figura antropomorfa. Terracotta. Cham. Regione di Gembu, Nigeria. H.33 cm. Personaggio con braccia addossate al corpo e mani sul ventre.
in basso a destra:
120. Vaso. Terracotta. Mambila. Regione di Gembu, Nigeria. H.68 cm.
Ingobbio rosso lucido. Parte superiore della calotta decorata con disegni geometrici punteggiati. Tre cerchi in rilievo sulla parte centrale. Collo altissimo cilindrico terminante in una testa con la bocca aperta.
121. Vaso. Terracotta. Mambila. Regione di Gembu, Nigeria. H.43 cm.
Personaggio in rilievo con le braccia addossate al corpo, una mano sulla lunga barba e la bocca aperta.
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104 in alto a sinistra:
122. Cavaliere. Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.48 cm., D.34 cm.
Figura equestre commemorativa. Presso questa etnia qualsiasi donna può imparare a modellare vasi per uso domestico, ma il privilegio di realizzare sculture commemorative è concesso solo ai rappresentanti di alcune famiglie incaricate di ornare i tumuli di personaggi importanti (capi di villaggio o di una società segreta, o cacciatori famosi). in alto a destra:
123. Animale . Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.46 cm., D.32 cm. Monumento commemorativo.
125. Figura . Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.86 cm. Figura commemorativa da altare. in basso a sinistra :
124. Animale . Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.30 cm., D.27 cm. Il corpo del quadrupede è ricoperto di bugnette aggiunte.
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106 in alto a sinistra:
126. Figura. Terracotta. Dakakari. Regione di Yelwa, Nigeria. H.58 cm.
Personaggio femminile seduto su un vaso sferico. Il viso, con la bocca aperta, che in queste sculture sta a simboleggiare cordoglio, è coperto di scarificazioni a solco profondo. in alto a destra:
127. Figura .Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.60 cm. Personaggio maschile in piedi su un vaso sferico. La bocca è aperta. Scarificazioni in rilievo su tutto il corpo.
in basso a destra:
128. Figura . Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.37 cm., D.47 cm. Monumento commemorativo con un elefante. Tra i Dakakari il pachiderma è evocato in sculture dedicate a capi o cacciatori di chiara fama ed è riconoscibile per via delle grandi orecchie aperte a ventaglio.
129. Figura . Terracotta. Dakakari. Regione nordoccidentale della Nigeria. H.67 cm., D.60 cm. Monumento commemorativo con un elefante.
NIGER
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130. Vaso. Terracotta. Mambila. Regione di Gembu, Nigeria. H.56 cm.
Vaso rituale con base. Il coperchio è sormontato da un busto umano con la bocca aperta.
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110 in alto a sinistra:
131. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura-Tera, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.17 cm. Ingobbio rosso. Decorazione in rilievo sulla parte superiore.
in alto a destra:
132. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.23 cm.
Ingobbio rosso. Decorazione in rilievo sulla parte superiore. Collo svasato.
134. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.27 cm. Vaso conico con un viso nella parte superiore. Colore rosso mattone. in basso a sinistra:
133. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.26 cm. Ingobbio rosso. Decorazione in rilievo sulla parte superiore.
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112 in alto a sinistra:
135. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.15 cm.
Ingobbio rosso. Decorazione in rilievo sulla parte superiore. Collo svasato.
in alto a destra:
136. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.20 cm.
Ingobbio rosso. Decorazione in rilievo sulla parte superiore. Collo svasato.
138. Busto in terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.40 cm.
Busto femminile color rosso mattone. Decorazioni in rilievo sulla superficie anteriore. in basso a sinistra:
137. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.28 cm. Vaso treppiede. Ingobbio rosso mattone. orizzontali in rilievo. Collo svasato.
Decorazioni verticali e
139. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.44 cm. Vaso a bottiglia chiusa con testa antropomorfa. Colore rosso mattone.
113
114 140. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, repubblica del Niger. III-XIII sec. H.25 cm. Vaso conico con viso umano nella parte superiore. Colore rosso mattone
in alto a sinistra:
140 a. Stele di pietra. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.43 cm.
La datazione di queste stele secolari, deposte nei cimiteri come corredo funerario, non è certa, ma alcune di esse mostrano evidenti analogie con delle terrecotte funerarie portate alla luce con gli scavi di BuraAsinda.
in alto a destra:
140 b. Stele di pietra. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.37 cm. Scultura deposta nei cimiteri come corredo funerario.
in basso:
140 c. Stele di pietra. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H. 43 cm. Scultura deposta nei cimiteri come corredo funerario.
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141. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H.95 cm.
Vaso funerario con profusione di incisioni decorative. Queste stele, la cui superficie esterna è decorata con incisioni e, come in questo caso, con aggiunte modellate in rilievo, provengono dalla necropoli di BuraAsinda, scoperta per caso nel 1975 e divenuta presto celebre per le terrecotte che vi sono state dissepolte.
142. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H. 74 cm.
Questo genere di stele funerarie, spesso di forma esplicitamente fallica, si trovava deposto al di sopra di un altro vaso con i resti di un defunto che veniva cosĂŹ ricordato.
TOGO BENIN
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143. Vaso. Terracotta. Bura-Asinda. Regione di Bura, Repubblica del Niger. III-XIII sec. H. 98 cm. Vaso funerario di forma fallica decorato con incisioni fitte e particolarmente elaborate.
144. Figura . Terracotta. Evhé. Regione del fiume Mono, Togo. H.64 cm.
Busto di personaggio maschile con il sesso accentuato. Ricoperto di uno strato sacrificale di caolino. Nella regione in cui vigono i culti vodu il fallo è solitamente un attributo evidenziato di Legba, divinità associata al pericolo e all’inganno.
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146. Figura. Terracotta. Evhé. Regione del fiume Mono, Togo. H.65 cm.
Busto di personaggio maschile itifallico. Ricoperto di uno strato sacrificale di caolino. 145. Figura. Terracotta. Evhé. Regione del fiume Mono, Togo. H.64 cm. Busto di personaggio femminile ricoperto di uno strato sacrificale di caolino.
147. Figura . Terracotta. Evhé. Regione del fiume Mono (Vogan), Togo. H.46 cm.
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Donna seduta su una coppa. Colore rosso chiaro coperto di uno strato sacrificale di caolino. Figura votiva adibita alla protezione dei bambini.
148. Figura. Terracotta. Evhé. Regione del fiume Mono (Vogan), Togo. H.43 cm.
Personaggio seduto su una coppa di colore rosso chiaro. Ricoperto di uno strato sacrificale di caolino. Figura votiva con serpenti arrotolati sul corpo.
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149. Statua. Terracotta. Fon. Regione di Ouidah, Benin. H.62 cm.
Rappresentazione di Mammy Wata, divinità delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Colore bianco rossiccio. Due serpenti neri sono sorretti dalla divinità.
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150. Statua .Terracotta. Fon. Regione di Ouidah, Benin. H.68 cm.
Figura di altare per il culto vodu. Rappresentazione di Mammy Wata, divinitĂ delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Braccia protese, come spesso in questo genere di rappresentazioni. Decorazioni in rilievo. Strato sacrificale di caolino.
151. Busto. Terracotta. Fon. Benin o Togo. H.70 cm.
Figura di altare per il culto vodu. Rappresentazione tricipite di Nana Densò, divinità delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Decorazioni in rilievo sul petto. Strato sacrificale di caolino.
152. Busto. Terracotta. Fon. Benin o Togo. H.61 cm.
Figura di altare per il culto vodu. Rappresentazione tricipite di Mammy Wata, divinità delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Colore rossiccio. Macchie sacrificali di caolino.
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153. Busto. Terracotta. Fon. Benin o Togo. H.63 cm.
Figura di altare per il culto vodu. Rappresentazione bicipite di Mammy Wata, divinità delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Braccia protese. Due serpenti in rilievo sul petto. Colore rossiccio. Macchie sacrificali di caolino.
154. Busto. in terracotta. Fon. Benin. H.70 cm.
Figura di altare. Rappresentazione quadricipite di Nana Densò, divinità delle acque cui ci si rivolge a salvaguardia della propria salute. Decorazioni in rilievo sul petto. Strato sacrificale di caolino.
Oggetti di rito A d a m a w a 155 a. Vaso. Terracotta. Adamawa, Nigeria. H.43 cm. Vaso sferico a collo lungo con volto umano a bocca aperta nella parte superiore. Chiusura a cono.
Maghi della pioggia Latuku preparano un rito magico per la pioggia. I vasi contengono cristalli di quarzo che svolgono un ruolo importante nei riti magici per la pioggia presso molti popoli in tutto il mondo.
155 b.Vaso. Terracotta. Adamawa, Nigeria. H.39 cm. Vaso sferico antropomorfo a collo lungo con figura a bocca aperta nella parte superiore.
128
B a o u l è 129
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156. Vaso. Terracotta. Baoulé. Regione di Bouaké, Costa d’Avorio. H.25 cm., D.21 cm. Vaso per il rito della divinazione mediante un topo.
157. Vaso. Terracotta. Baoulé. Regione di Bouaké, Costa d’Avorio. H.14 cm., D.15 cm.
Vaso per il rito della divinazione mediante un topo. L’indovino interpreta il tracciato di un topo che si muove tra i due piani interni del vaso.
C h a m M w a n a 131
132 in alto a sinistra:
158. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.15 cm. Terracotta antropomorfa, chiamata itinate, usata per propiziare la guarigione di uomini o animali malati, o per la protezione di un bambino ancora in grembo alla madre. Tra i Cham e i Mwana, due etnie profondamente affini che parlano la stessa lingua, la produzione di questi vasi, di fogge e dimensioni diverse e adibiti alla cura di malattie specifiche, è affidata solo agli uomini, mentre i Longuda, loro vicini, la affidano alle donne. Oggi gli itinate sono caduti quasi completamente in disuso.
in alto a sinistra:
161. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.18 cm. Terracotta rituale antropomorfa chiamata itinate. in alto a destra:
162. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.20 cm. Terracotta rituale antropomorfa chiamata itinate.
in alto a destra:
159. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.17 cm. Terracotta antropomorfa, chiamata itinate, usata per propiziare la guarigione di persone o animali malati. Questi vasi, nei quali vengono fatti confluire mediante riti magici gli spiriti maligni che originano le malattie, quando hanno sembianze umane o animali mostrano solitamente espressioni grottesche o stravolte e vengono maneggiate con estrema circospezione a causa dei rapporti che stabiliscono con forze oscure e pericolose.
160. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.22 cm. Terracotta rituale antropomorfa chiamata itinate. E’ significativo che un indovino sia consultato per garantire un uso corretto di questi vasi, tanto sono considerate temibili le forze negative con le quali esse entrano in contatto.
in basso a sinistra:
163. Vasetto. Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.17 cm. Terracotta rituale antropomorfa chiamata itinate.
I g b o
133
134 in alto a sinistra:
165. Coppa. Terracotta. Igbo-Izi. Regione di Onitsha, Nigeria. H.11 cm., D.11 cm.
Coppa rituale per la divinazione. Questo particolare genere di vasi ha la forma di un volto con la bocca spalancata attraverso la quale venivano introdotte offerte con effetti magici. Talora la coppa è ornata con figure animali.
in alto a destra:
166. Coppa. Terracotta. Igbo-Izi. Regione di Onitsha, Nigeria. H.13 cm., D.14 cm. Coppa rituale per la divinazione. Ha la forma di un volto con la bocca spalancata.
164. Vasetto . Terracotta. Cham-Mwana. Regione di Cham, Nigeria. H.23 cm. Terracotta rituale antropomorfa chiamata itinate.
in basso a sinistra:
167. Coppa. Terracotta. Igbo-Izi. Regione di Onitsha, Nigeria. H.14 cm., D.11 cm. Coppa rituale per la divinazione. Ha la forma di un volto con la bocca spalancata.
169. Statua. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XII-XVI sec. H.35 cm.
Figura femminile inginocchiata Braccio destro lungo il corpo, mano sul ginocchio, braccio sinistro alzato con mano appoggiata sul cranio. Tutte le statue Djenné presentano una comune tecnica di lavorazione, pur differenziandosi per la varietà iconografica e stilistica.
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168. Coppa. Terracotta. Igbo-Izi. Regione di Onitsha, Nigeria. H.14 cm., D. 12 cm.
Coppa rituale per la divinazione. Ornata con un personaggio seduto.
170. Statua. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XII-XVI sec. H 43cm Figura maschile in piedi su base. Colore rosso mattone, lunga barba, scarificazioni tribali sulle tempie. Tra le sculture di Djenné si osservano forme tanto realiste quanto fantasiose.
D j e n n é 136
137
138 in alto a sinistra:
171. Statua femminile seduta. Terracotta. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XII-XVI sec. H.17 cm.
Figura seduta, le mani sui seni. L'argilla, materia duttile, si presta alla fantasia e all'estro.
in alto a destra:
172. Cavaliere. Terracotta. Djenné. Regione di Sevaré, Mali. XII-XVI sec. H.22/18 cm.
Il personaggio è seduto di traverso sul cavallo, in gran parte mancante.
173. Statua in ginocchio. Djenné. Regione di Sofara, Mali. XII-XVI sec. H.19 cm.
Faccia piatta, occhi sporgenti, bocca aperta, mani posate sulle gambe. I riti connessi alla statuaria di terracotta consistevano in preghiere e in sacrifici, che potevano essere anche umani.
174. Statua seduta. Terracotta. Djenné. Regione Djenné, Mali XII-XVI sec. H.17 cm.
Personaggio seduto con pettinatura faraonica e bocca aperta nell’atto di mostrare la lingua .
177. Quadrupede. Terracotta, Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIII-XVI sec. H.25 cm., L. 40 cm.
Animale antropomorfo, volto umano di forma sferica, bocca aperta. Decorazioni in rilievo a forma di serpente al collo e sul dorso.
175. Statua in ginocchio. Terracotta. Djenné. Regione Sevaré, Mali XIV-XVI sec. H. 23cm.
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Il corpo è coperto di piccole incisioni circolari e decorato con serpenti in verticale.
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178. Quadrupede. Terracotta. Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIII-XVI sec. H.35 cm., L. 38 cm.
Il volto dell’animale è ovoidale, antropomorfo, con ampie orecchie e bocca aperta.
176. Statua in ginocchio. Terracotta. Djenné. Regione Djenné, Mali XII-XVI sec. H.26 cm.
Figura con cranio dolicocefalo, mani posate sulle gambe, labbra sporgenti, occhio a chicco, un serpente sulla fronte.
T e n e n k o u
179. Quadrupede. Terracotta. Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIIIXVI sec. H.36 cm., L. 39 cm. Il volto dell’animale è ovale, con ampie orecchie, collare, corpo e zampe cilindriche.
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180. Quadrupede. Terracotta, Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIII-XVI sec. H.39 cm., L. 40 cm. Il volto dell’animale è piatto, con ampie orecchie, collare, corpo e zampe cilindriche.
181. Figura antropomorfa. Terracotta, Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIII-XVI sec. H.37 cm. Figura seduta con volto animale sollevato, bocca aperta, orecchie sporgenti e forate.
B a m b a r a 143
144
in alto a sinistra:
183. Statua seduta. Terracotta. Bambara. Regione di Massigni, Mali XII-XVI sec. H 33 cm. Braccio destro mancante, mano sinistra sulla gamba, cintura di cauri nella parte bassa del ventre.
in alto a destra:
184. Statua seduta. Terracotta. Bambara. Regione di Massigni, Mali XII-XVI sec. H.32 cm. Braccio destro mancante, mano sinistra sulla gamba, cintura di cauri nella parte bassa del ventre.
182. Quadrupede. Terracotta. Tenenkou. Regione di Thial, Mali XIII-XVI sec. H. 34 cm., L. 49 cm. Animale di grandi dimensioni con un muso allungato e arrotondato, grosso collare a rilievo, narici e orecchie scavate.
in basso a sinistra:
185. Statua seduta. Terracotta. Bambara. Regione di Djoila, Mali XII-XVI sec. H.26 cm. Gambe mancanti, mani posate sulla testa, bracciali.
145
146
187. Statua seduta. Terracotta. Bambara. Regione di Klele Sikano, Mali XII-XVI sec. H.29 cm.
Gamba destra in avanti, gamba sinistra mancante, collare a rilievo, faretra sul dorso.
186. Statua femminile seduta. Terracotta. Bambara. Regione di Dioila, Mali XII-XVI sec. H.38 cm. Gambe mancanti, braccio sinistro alzato, braccio destro sul ventre, bracciali, collare.
188. Statua seduta. Terracotta. Bambara. Regione di SĂŠjou, Mali XII-XVI sec. H.37 cm.
Personaggio seduto su sgabello a forma di quadrupede, mani sulle gambe, bracciali.
N o k
148 in alto a sinistra:
190. Testa. Terracotta. Nok. Regione di Jemmaa, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 33. cm. Viso lungo, barba con legatura a nodo, colore rosso mattone.
in alto a destra:
191. Testa. Terracotta. Nok. Regione di Jos, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 28 cm. Piccola barba, colore rosso mattone.
189. Statua seduta. Terracotta, Bambara. Regione di Kolondienba, Mali XII-XVI sec. H.43 cm. Braccia e gambe mozze, collare a rilievo, bracciale negli avambracci.
in basso:
192. Testa. Terracotta. Nok. Regione di Awara, Nigeria. VIII sec. a.C. H.23 cm. Testa femminile, colore grigio rossiccio.
194. Frammento di vaso. Terracotta. Nok. Regione di Nok, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 23 cm., L.21 cm. frammenti di un vaso chiuso sopra che serviva da base a una grande statua.
195. Frammento di vaso. Terracotta. Nok. Regione di Nok, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 21 cm., L.16 cm. Scene e personaggi della vita quotidiana.
196. Frammento di vaso. Terracotta. Nok. Regione di Nok, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 17 cm., L.12 cm. Scene e personaggi della vita quotidiana.
197. Frammento di vaso. Terracotta. Nok. Regione di Nok, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 12 cm., L.13 cm. Rappresentazione di un elefante.
193. Statua busto. Terracotta. Nok. Regione di Jemmaa, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 56 cm.
Rappresenta una giovane donna in piedi, con le mani poste ai lati dei seni. L’intera figura è ornata di collane e bracciali.
150
S o k o t o 151
152 in alto a sx:
198. Busto. Terracotta. Nok. Regione di Jemmaa, Nigeria VIII sec. a.C. H. 41 cm. Grande testa colore rosso mattone. in alto a dx:
199. Busto. Terracotta. Nok. Regione di Jemmaa, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 38cm.
Busto femminile di giovane donna con le mani poste ai due lati dei seni.
200. Busto. Terracotta. Nok. Regione di Bauchi, Nigeria. VIII sec. a.C. H. 31cm.
Busto maschile, con baffi, collari, ciondolo a rilievo sul petto, un'ascia nella mano sinistra.
201. Personaggi. Terracotta. Sokoto. Regione di Dange, Nigeria. II sec. a.C. H. 31cm.
Due personaggi seduti su un vaso cilindrico, colore rosso mattone.
202. Personaggi. Terracotta Sokoto. Regione di Dange, Nigeria II sec. a.C. H. 34cm.
Tre personaggi seduti su un vaso cilindrico, quello centrale con sesso maschile accentuato.
153
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204 a. Busto gianiforme. Terracotta. Sokoto. Regione di Sokoto, Nigeria. II sec.- I sec a.C., H. 33cm.
Colore rosso mattone, barba a triangolo, braccia corte ripiegate sul corpo.
203. Busto. Terracotta. Sokoto. Regione di Sokoto, Nigeria. II sec.- I sec a.C. H. 43cm. Due collari a rilievo, baffi, barba a triangolo. Decorazioni solo sul busto.
204 b. Statua. Terracotta. Sokoto. Regione di Dange, Nigeria. III sec.- II sec a.C. H. 42cm.
Personaggi maschili seduti, braccia sulle ginocchia, lunga barba a triangolo.
K a t s i n a 155
156 in alto a sinistra:
205. Testa. Terracotta. Katsina. Regione di Katsina, Nigeria. I sec. a.C. H. 29cm.
Colore rosso mattone, occhi e bocca a fessura, lungo collo cilindrico
in alto a dx:
206. Busto. Terracotta. Katsina. Regione di Dadiba, Nigeria. II sec.- I sec.a.C. H. 58 cm.
Grande busto con collare a rilievo, barba, braccia in gi첫.
208. Statua. Terracotta. Katsina. Regione di Katsina, Nigeria. II sec.- I sec.a.C. H. 66 cm. 207. Testa. Terracotta. Katsina. Regione di Kaita, Nigeria. I sec. a.C. H. 26cm.
Testa gianiforme con barba a triangolo, colore rossiccio.
Figura barbuta seduta su vaso cilindrico, braccia in gi첫 lungo il corpo.
210/sx Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle Valli del Sisili, Ghana settentrionale. XII-XVI sec. H. 25 cm. Personaggio seduto, sporgente.
mani sulle ginocchia, bocca aperta, barba
210/dx Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle valli del Sisili, Ghana settentrionale. XII-XVI sec. H. 25 cm. Personaggio maschile seduto, copricapo svasato, bocca aperta, barba sporgente.
211/sx Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle Valli del Sisili, Ghana settentrionale. XII-XVI sec. H. 27 cm. Personaggio maschile seduto, collari con ciondoli, bocca aperta e barba sporgente.
211/dx Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle Valli del Sisili, Ghana settentrionale. XII-XVI sec. H. 28 cm. Personaggio maschile seduto, mani sulle ginocchia, collari con ciondoli circolari, bocca aperta, barba sporgente.
157
K o m a l a n d 158
209. Statua. Terracotta. Katsina. Regione di Dadiba, Nigeria II sec. I sec.a.c. H. 57 cm. Figura maschile barbuta seduta su un vaso cilindrico.
212. Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle Valli del Sisili, Ghana settentrionale. H. 30 cm.
Personaggio seduto, collare con ciondolo pendente, bocca aperta, mani sulle ginocchia.
213. Statua. Terracotta. Komaland. Regione delle Valli del Sisili, Ghana settentrionale. H. 31 cm.
Personaggio seduto su di un seggio a base circolare fuso con il corpo. Stile relativamente astratto con forme cilindriche e andamento curvilineo.
N i o n i o s s e 160
159 in alto a sinistra:
214 a. Stele in pietra. Nioniosse. Regione di Aribinda, Burkina Faso. H. 37cm. Stele funeraria con patina terrosa, colore bruno chiaro I Nioniose sono gli antenati dei Kuzumba, che occupano il nord del Burkina Faso. Hanno radici in comune con i Dogon della falesia di Bandiagara.
in alto a destra:
214 b. Stele in pietra. Nioniosse. Regione di Aribinda, Burkina Faso. H. 29 cm. Stele funeraria con patina terrosa, colore bruno chiaro.
215 . Monolite antropomorfo. Ejagham. Area Ikom, Cross River. Nigeria. H. 130 cm. Erette sul terreno e alte mediamente tra 100 e 150 cm., sculture di questo genere, la cui esistenza è nota da un secolo, sono chiamate Akwanshi (lett. “morto nel suolo”). Si conviene che rappresentino figure ancestrali e sacerdotali alle quali fino a poco tempo fa venivano fatte offerte votive annuali. La notevole varietà di stili che si possono distinguere fra le Akwanshi va messa in rapporto col fatto che esse sono state prodotte in un lasso di tempo compreso tra il XVI el XX secolo, in un territorio che ha visto l’alterno prevalere di diverse etnie in lotto fra di loro ( con ogni probabilità gli antenati degli attuali Ekoi) rispetto ai quali gli Ejagham costituiscono un sotto gruppo.
214 c. Stele in pietra. Nioniosse. Regione di Aribinda, Burkina Faso. H. 47 cm. Stele funeraria con patina terrosa, colore bruno chiaro.
E j a g h a m 161
162 in alto a sinistra:
216. Monolite antropomorfo. Ejagham. Area Ikom Cross River, Nigeria. H. 116 cm. in alto a destra:
217. Monolite antropomorfo. Ejagham. Area Ikom Cross River, Nigeria. H. 100 cm.
219. Monolite antropomorfo. Ejagham. Area Ikom Cross River, Nigeria. H. 103 cm.
218. Monolite antropomorfo. Ejagham. Area Ikom Cross River, Nigeria. H. 106 cm.
finito di stampare nel mese di febbraio 2009 presso le arti grafiche