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Scoppia la tempesta
capitolo 17 SCOPPIA LA TEMPESTA
Il giorno dopo, nell’accampamento le trombe squillarono di buon mattino. Di lì a poco si vide una staffetta affrettarsi su per lo stretto sentiero. A una certa distanza si fermò, li salutò e domandò se Thorin avrebbe dato ascolto a un’altra ambasciata, poiché incombevano grandi novità e le cose erano cambiate. “Sarà Dain!” disse Thorin quando udì quelle parole. “Avranno avuto sentore del suo arrivo. Sapevo che questo avrebbe cambiato il loro atteggiamento!” Poi si rivolse alla staffetta: “Di’ loro di venire in pochi e disarmati e io li ascolterò!” Verso mezzogiorno, si videro avanzare di nuovo gli stendardi della Foresta e del Lago. Era un drappello di venti persone. All’inizio del sentiero, posarono a terra spade e lance e proseguirono verso la Porta. Stupiti, i nani videro che tra loro c’erano sia Bard sia il Re degli elfi, preceduti da un vecchio avvolto in mantello e cappuccio, che portava uno scrigno di legno fasciato di ferro. “Salute, Thorin!” disse Bard. “Sei sempre dello stesso parere?” “Io non cambio parere con l’alba e il tramonto di qualche sole,” rispose Thorin. “Siete venuti a farmi domande oziose? L’esercito degli elfi non è ancora andato via, come avevo intimato! Fino ad allora, inutilmente venite a trattare con me!” “Non c’è nulla per cui cederesti un po’ del tuo oro?” “Nulla che tu o i tuoi amici abbiate da offrire.” “E se fosse l’Arkengemma di Thrain?” disse Bard, e nello stesso
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istante il vecchio aprì lo scrigno e sollevò la gemma. La luce filtrò dalla sua mano, vivida e bianca nel mattino. Thorin trasecolò, stupefatto e confuso. Per un lungo momento nessuno parlò. Infine Thorin ruppe il silenzio, e la sua voce fremeva di collera. “Quella pietra era di mio padre e appartiene a me,” disse. “Perché dovrei comprare ciò che è mio?” Tuttavia, non resistendo allo stupore, aggiunse: “Come avete fatto a impadronirvi di quel cimelio della mia famiglia ... ammesso che ci sia bisogno di fare una domanda simile a dei ladri?” “Noi non siamo ladri,” rispose Bard. “Ciò che è tuo ti verrà restituito in cambio di ciò che è nostro.” “Come avete fatto a impadronirvene?” urlò Thorin in un crescendo di collera. “Gliel’ho data io!” squittì Bilbo, facendo capolino da sopra il muro, ormai spaventato da morire. “Tu! Tu!” strillò Thorin, voltandosi verso di lui e afferrandolo con entrambe le mani. “Miserabile hobbit! Scassinatore di mezza tacca!” urlò, e scosse il povero Bilbo come un coniglio. “Per la barba di Durin! Quanto vorrei che Gandalf fosse qui! Sia maledetto per averti scelto! Possa cadergli la barba! Quanto a te, ti getterò sulle rocce!” strillò, e alzò Bilbo tra le braccia. “Fermo! Il tuo desiderio è esaudito!” disse una voce. Il vecchio con lo scrigno si tolse il cappuccio e il mantello. “Ecco qua Gandalf! E giusto in tempo, a quel che vedo! Se non ti piace il mio scassinatore, per favore non rovinarlo. Mettilo giù e ascolta prima cosa ha da dire!” “Allora siete in combutta!” disse Thorin, lasciando cadere Bilbo sul ciglio del muro. “Non voglio mai più avere niente a che fare con uno stregone o con i suoi amici. Cos’hai da dire tu, brutto ratto figlio di ratti?” “Povero me! Povero me!” disse Bilbo. “Tutto questo è molto spiacevole. Ricordi di avermi detto che avrei potuto scegliere la mia quattordicesima parte? Forse ti ho preso troppo alla lettera - mi è stato detto che a volte i nani sono più generosi a parole che a fatti. Tuttavia c’è stato un tempo in cui sembravi convinto che vi fossi stato di un certo aiuto. Figlio di ratti, eh? È questo il rispetto che mi hai promesso a nome tuo e della tua famiglia, Thorin? Considera che ho disposto a piacer mio della mia parte e lascia perdere!” “Lo farò!” disse bruscamente Thorin. “E lascerò perdere anche te – e il cielo voglia che non ci incontriamo mai più!” Poi si voltò e parlò dall’alto del muro. “Sono stato tradito,” disse. “Era giusto immaginare che non avrei rinunciato a riscattare l’Arkengemma, il tesoro della mia casata. In cambio darò la
quattordicesima parte del tesoro in oro e argento, escludendo le gemme; ma tutto ciò verrà calcolato come la parte promessa a questo traditore, che con tale ricompensa se ne andrà, e potrete dividervela come vi pare. A lui non toccherà granché, ne sono certo. Prendetevelo, se volete che viva; e la mia amicizia non lo accompagna. “E adesso va’ dai tuoi amici!” disse a Bilbo. “O ti butto giù io.” “E l’oro e l’argento?” domandò Bilbo. “Verranno dopo, nel modo che stabiliremo,” disse Thorin. “Va’ via!” “Fino ad allora terremo noi la pietra,” gridò Bard. “Non stai facendo una gran figura come Re sotto la Montagna,” disse Gandalf. “Ma le cose possono ancora cambiare.” “Possono eccome,” disse Thorin. E il fascino che il tesoro esercitava su di lui era così forte, che stava già chiedendosi se con l’aiuto di Dain non potesse riprendersi l’Arkengemma e trattenere la quota del riscatto. E così Bilbo fu calato dal muro, e andò via senza ricevere niente in cambio della pena che si era dato, a parte l’armatura che Thorin gli aveva regalato. Nel vederlo andare via, molti nani provarono vergogna e dispiacere. “Addio!” gridò loro lo hobbit. “Spero che un giorno ci rivedremo da amici.” “Vattene!” urlò Thorin. “Indossi un’armatura forgiata dalla mia gente, e non ne sei degno. Le frecce non possono scalfirla; ma se non ti sbrighi, ti bucherò quei miserabili piedi. Perciò spicciati!” “Senza tanta fretta!” disse Bard. “Ti diamo tempo fino a domani. A mezzogiorno torneremo a vedere se hai prelevato dal tesoro la porzione da barattare con la pietra. Se sarà fatto senza inganni, andremo via e l’esercito degli elfi tornerà nella foresta. Nel frattempo, addio!” Detto ciò, tornarono all’accampamento; ma Thorin inviò a Dain i messaggeri di Roäc per informarlo dell’accaduto e ordinargli di avanzare con cautela ma in fretta. Passò il giorno e passò la notte. L’indomani, il vento prese a soffiare da ovest; l’aria era scura e tetra. Il mattino era ancora acerbo quando nell’accampamento si udì un grido. Alcune staffette vennero a riferire che un esercito di nani era apparso dietro lo sperone orientale della Montagna e avanzava spedito verso la valle. Dain era arrivato. Aveva forzato la marcia durante la notte e piombava su di loro prima di quanto si aspettassero. I nani del suo esercito indossavano un ausbergo di maglia d’acciaio che arrivava fino alle ginocchia, e le gambe erano protette da schinieri fatti di una lega metallica fine e flessibile, il cui segreto era noto solo al popolo di Dain. I nani
sono eccezionalmente forti per la loro statura, ma quelli di Dain erano perfino più forti degli altri nani. In battaglia brandivano a due mani pesanti gravine; ma ciascuno di loro aveva al fianco anche una spada corta e larga, e uno scudo rotondo gli pendeva sulla schiena. Portavano la barba divisa in due, intrecciata e infilata nella cintura. Avevano elmi di ferro, scarpe ferrate e facce truci. Le trombe chiamarono alle armi uomini ed elfi. Di lì a poco si videro i nani risalire la vallata a passo spedito. Si fermarono tra il fiume e lo sperone orientale; ma alcuni continuarono ad avanzare e, attraversato il fiume, si avvicinarono all’accampamento; lì deposero le armi e alzarono le mani in segno di pace. Bard andò loro incontro, e Bilbo lo seguì. “Ci manda Dain figlio di Nain,” dissero quando furono interrogati. “Dobbiamo raggiungere in fretta i nostri fratelli sulla Montagna, poiché abbiamo saputo che l’antico regno è risorto. Ma chi siete voi che state acquartierati in questa pianura come nemici di fronte a mura ostili?” Questo, nel linguaggio formale e antiquato che si usava in tali occasioni, significava semplicemente: “Qui non avete niente da fare. Noi andiamo avanti, dunque toglietevi di mezzo o vi facciamo guerra!” Avevano in animo di inoltrarsi tra la Montagna e l’ansa del fiume, ritenendo che quella stretta striscia di terra non fosse abbastanza protetta. Bard, ovviamente, rifiutò di permettere ai nani l’accesso alla Montagna. Voleva trattenerli finché l’oro e l’argento non gli fossero stati consegnati in cambio dell’Arkengemma; pensava infatti che il passaggio non sarebbe avvenuto se la fortezza fosse stata difesa da rinforzi così numerosi e agguerriti. Avevano portato con sé una grande scorta di provviste; i nani riescono a caricarsi sulle spalle pesi ingenti, e quasi tutti i soldati di Dain, nonostante la rapida marcia, trasportavano grossi fagotti, oltre alle armi. Avrebbero resistito a settimane di assedio, e nel frattempo altri nani sarebbero potuti arrivare, e altri ancora, poiché Thorin aveva molti parenti. Inoltre sarebbero riusciti a riaprire e difendere qualche altro accesso, e così gli assedianti avrebbero dovuto circondare l’intera Montagna; ma loro non erano abbastanza numerosi per farlo. In effetti quelli erano proprio i piani dei nani (poiché i corvi-staffetta avevano fatto un gran viavai fra Thorin e Dain); ma per il momento la via era sbarrata, perciò, dopo aver proferito qualche parola minacciosa, i messi di Dain si ritirarono bofonchiando sotto le barbe. Allora Bard inviò subito i suoi messi alla Porta, dove però non trovarono né oro né argento. Vennero investiti dalle frecce appena furono a tiro, e di corsa tornarono indietro scornati. L’accampamento era ormai in
gran fermento, come se la battaglia fosse imminente; i nani di Dain, infatti, stavano avanzando lungo la riva orientale. “Sciocchi!” rise Bard. “Avvicinarsi così al contrafforte della Montagna! Qualunque cosa sappiano di battaglie nelle miniere, non capiscono niente di guerra in campo aperto. Ho fatto appostare molti arcieri e lancieri tra le rocce sul loro fianco destro. Le armature nanesche saranno anche buone, ma presto verranno messe a dura prova. Attacchiamoli subito da entrambi i lati, prima che si siano riposati!” Ma il Re degli Elfi disse: “Indugerò a lungo prima di dare inizio a questa guerra per l’oro. I nani possono farcela soltanto col nostro benestare, o per un caso che non dipenda dalla nostra volontà. Conviene continuare a sperare che qualcosa porti alla riconciliazione. E se alla fine si rivelerà inevitabile il malaugurato ricorso alle armi, la nostra superiorità numerica sarà sufficiente”. Ma faceva i conti senza i nani. Sapere che l’Arkengemma era in mano agli assedianti non gli dava pace; e così, intuendo l’esitazione di Bard e dei suoi amici, decisero di attaccare mentre loro discutevano. All’improvviso, senza alcun segnale, balzarono silenziosamente in avanti per sferrare l’attacco. Gli archi si tesero, le frecce sibilarono: la battaglia stava per cominciare. Ma, ancor più all’improvviso, una fitta oscurità scese in un baleno! Un’immensa nuvola nera invase il cielo. Una tempesta d’inverno, sospinta da un vento fortissimo, si avventò tuonando contro la Montagna, e la vetta sfolgorò di fulmini. E sotto la nuvola si vide avanzare vorticando un altro ammasso nero; ma non veniva col vento, veniva da nord, un’immensa nube di uccelli, così fitta che tra le loro ali non passava neanche un filo di luce. “Fermi!” gridò Gandalf, che apparve a un tratto e si stagliò, con le braccia levate, fra i nani che avanzavano e le schiere che li aspettavano. “Fermi!” gridò con voce tonante, e dal suo bastone si sprigionò un bagliore simile a un fulmine. “Il terrore piomba su tutti voi! Ahimè! È arrivato prima di quanto immaginassi. Incombono gli orchi! O Dain, dal nord sta arrivando Bolg, figlio di colui che uccidesti a Moria! Guardate! I pipistrelli accompagnano il suo esercito come una marea di locuste. Orchi a cavallo di lupi, coi Mannari al seguito!” Tutti erano in preda a sgomento e confusione. Il buio si era fatto più fitto mentre Gandalf parlava. I nani si erano fermati e guardavano il cielo. Gli elfi urlavano con gran clamore. “Venite!” disse Gandalf. “C’è ancora tempo per un consiglio. Mandate subito da noi Dain figlio di Nain!”
Cominciò dunque una battaglia che nessuno si aspettava; venne chiamata Battaglia dei Cinque Eserciti, e fu tremenda. Da un lato, Orchi e Lupi Selvaggi; dall’altro, Elfi, Uomini e Nani. Ecco com’era maturata. Quando era caduto il Grande Orco delle Montagne Nebbiose, l’odio della sua razza nei confronti dei nani si era riacceso più violento che mai. Messaggeri avevano fatto la spola fra tutte le città, le colonie e le roccaforti degli orchi, che avevano infine deciso di assicurarsi il dominio del nord. Avevano raccolto informazioni in gran segreto, mentre sui monti forgiavano armi e si preparavano allo scontro. Poi si erano messi in marcia scendendo per valli e colline, confluendo da ogni dove e avanzando sempre sotto terra o al buio, finché, ai piedi della Grande Montagna di Gundabad a nord, dov’era la loro capitale, non avevano radunato un vasto esercito pronto a riversarsi a sud, di sorpresa, durante una tempesta. Poi avevano saputo della morte di Smaug, e i loro cuori si erano riempiti di gioia; a marce forzate, notte dopo notte, avevano superato le montagne per poi arrivare, all’improvviso, proprio alle calcagna di Dain. Neanche i corvi si erano accorti del loro arrivo finché non li avevano visti sbucare nelle terre desolate tra la Montagna Solitaria e le colline alle sue spalle. È impossibile dire cosa ne sapesse Gandalf, ma è chiaro che non si aspettava un attacco così improvviso. Ed ecco il piano che egli elaborò in consiglio con il Re degli Elfi e Bard; e anche con Dain, giacché il signore dei nani aveva deciso di unirsi a loro: gli orchi erano nemici di tutti, e il loro arrivo aveva fatto dimenticare ogni altro dissidio. L’unica speranza che avessero era quella di attirare gli orchi nella vallata tra i contrafforti della Montagna, e di riuscire a occupare i grandi speroni che sporgevano a sud e a est. C’era il rischio che gli orchi fossero così numerosi da poter invadere la Montagna stessa, attaccandoli così anche da dietro e dall’alto: ma non c’era più tempo per fare un altro piano, né per chiedere aiuto. Presto la tempesta passò, rotolando verso sud-est; ma la nube di pipistrelli, volando più bassa, giunse sopra il dorso della Montagna, e volteggiò su di loro oscurando il cielo e riempiendoli di terrore. “Alla Montagna!” gridò Bard. “Alla Montagna! Prendiamo posizione finché c’è ancora tempo!” Sullo sperone meridionale, tra le rocce ai suoi piedi e sulle pendici più basse, si disposero gli elfi; sullo sperone orientale si appostarono uomini e nani. Bard e alcuni fra gli elfi e gli uomini più agili, invece, si arrampicarono sulla cresta orientale, per avere una visuale del versante nord. Di lì a poco videro il terreno ai piedi della Montagna farsi nero di truppe nemi-
che. Ben presto un’avanguardia di orchi aggirò la punta dello sperone e irruppe nella valle. Erano i più veloci tra quelli che cavalcavano i lupi, e già da lontano si udivano le loro urla e gli ululati delle bestie squarciare l’aria. Un intrepido drappello di uomini gli si parò davanti per tentare una resistenza, ma presto fu costretto a ritirarsi e a ripiegare sui lati lasciando sul terreno diversi caduti. Come Gandalf aveva sperato, l’esercito degli orchi si era ammassato dietro l’avanguardia bloccata da quei valorosi, e adesso eccolo riversarsi impetuoso nella valle e sciamare alla spicciolata tra i due contrafforti della Montagna in cerca del nemico. I loro stendardi erano innumerevoli, rossi e neri, e avanzavano come una marea furibonda e disordinata. Fu una battaglia terribile. Per Bilbo fu l’esperienza più spaventosa che avesse mai vissuto, e quella che sul momento sentì di detestare più di ogni altra - vale a dire quella di cui sarebbe stato più fiero per tanti anni a venire, e che avrebbe raccontato con più piacere, pur avendovi svolto un ruolo del tutto insignificante. In effetti posso dire che il piccolo hobbit si infilò l’anello quasi subito, scomparendo così alla vista se non al pericolo. Gli anelli magici di quel tipo non sono una protezione assoluta durante una carica di orchi, non fermano frecce scoccate né lance scagliate; però ti aiutano a svignartela, ed evitano alla tua testa di essere prescelta da un orco per menare un fendente. Gli elfi furono i primi a caricare. Il loro odio nei confronti degli orchi è freddo e spietato. Nella penombra, dalle loro lance e dalle loro spade guizzava un bagliore di fiamma, tanto era letale l’ira delle mani che le brandivano. Appena le schiere nemiche si infittirono nella vallata, gli elfi scagliarono una pioggia di frecce, le cui punte scintillarono come se fossero intrise di fuoco. Dopo le frecce, mille lancieri balzarono giù dalle rocce e si avventarono verso il nemico. Le urla erano assordanti. Le rocce erano chiazzate di nero dal sangue degli orchi. Mentre questi reagivano all’assalto furioso rintuzzando la carica degli elfi, un ruggito vibrante solcò la valle di Conca. Tra grida di “Moria!” e “Dain, Dain!”, i nani dei Colli Ferrosi sferrarono l’attacco sul fianco opposto brandendo le gravine; e dietro di loro venivano gli Uomini del Lago con le loro lunghe spade. Gli orchi furono presi dal panico; e, mentre si voltavano a fronteggiare quel nuovo attacco, gli elfi tornarono alla carica con altri rinforzi. Già molti orchi fuggivano giù per il fiume per sfuggire alla duplice morsa; e molti dei loro lupi si rivoltavano loro contro e facevano scempio di morti e feriti. La
vittoria sembrava a portata di mano, quando un grido risuonò sulle alture sovrastanti. Centinaia di orchi avevano scalato la Montagna dall’altro lato, e già in molti avevano raggiunto i pendii sopra la Porta; e altri ancora scendevano a frotte per attaccare gli speroni dall’alto, incuranti delle urla di quelli che cadevano da rupi e precipizi. Ai due speroni si arrivava percorrendo i sentieri che scendevano dal massiccio centrale della Montagna; e i difensori erano troppo pochi per poter resistere a lungo. Ecco dunque svanire ogni speranza di vittoria. Avevano solo arginato il primo assalto furioso della marea nera. Passarono le ore. Gli orchi si raccolsero di nuovo nella valle. Sopraggiunse un branco di Mannari famelici, seguito dalla guardia del corpo di Bolg, enormi orchi dalle scimitarre d’acciaio. Presto il buio si infittì nel cielo tempestoso; i grandi pipistrelli continuavano a vorticare intorno alla testa e alle orecchie degli elfi e degli uomini, o si avventavano sui caduti per succhiarne il sangue. Bard si batteva per difendere lo sperone orientale, ma a poco a poco cedeva terreno; e i nobili elfi erano arroccati con il loro re sullo sperone meridionale, vicino al posto di guardia di Collecorvo. All’improvviso si udì un grido fortissimo, e dalla Porta venne uno squillo di tromba. Avevano dimenticato Thorin! Parte del muro, azionata da leve, si abbatté all’esterno e rovinò nella pozza. Dal varco balzarono fuori il Re sotto la Montagna e i suoi compagni. Cappucci e mantelli erano spariti: indossavano tutti armature luccicanti, e vampe rosse guizzavano dai loro occhi. Il Grande Nano brillava nell’oscurità come oro in un fuoco morente. Dall’alto, gli orchi rovesciarono su di loro un diluvio di macigni; ma i nani tennero duro, si lanciarono ai piedi della cascata e si avventarono sul nemico. Davanti a loro, lupi e cavalieri stramazzavano o si davano alla fuga. Thorin assestava colpi possenti con la sua ascia, e sembrava invulnerabile. “A me! A me! Elfi e Uomini! A me, miei consanguinei!” gridava, e la sua voce squillava come un corno nella valle. I nani di Dain accorsero in suo aiuto, incuranti dello schieramento. Accorsero anche molti Uomini del Lago, ché Bard non era riuscito a trattenerli; e dall’altro versante arrivarono molti lancieri elfici. Ancora una volta gli orchi furono sopraffatti; e vennero abbattuti in mucchi sempre più alti finché la valle non fu nera e orrida dei loro cadaveri. I Mannari vennero dispersi e Thorin puntò dritto contro le guardie di Bolg. Ma non riuscì a sfondare i loro ranghi. Già dietro di lui, tra gli orchi abbattuti, giacevano in gran
quantità uomini e nani, e anche nobili elfi che avrebbero dovuto vivere ancora a lungo e allegramente nei loro boschi. E man mano che la valle si allargava, l’attacco di Thorin si faceva più fiacco. Le sue truppe non erano abbastanza numerose. I suoi fianchi erano sguarniti. Di lì a poco gli attaccanti si ritrovarono attaccati, stretti in un gran cerchio di nemici, fronteggiati da ogni lato, assaliti da orchi e lupi che tornavano alla carica. Le guardie di Bolg vennero avanti ululando, e si avventarono sui loro ranghi come onde su rive di sabbia. I loro amici non potevano aiutarli, poiché l’attacco dalla Montagna era ripreso con raddoppiato vigore, e su entrambi i lati uomini ed elfi stavano lentamente cedendo. Bilbo assisteva a tutto ciò con grande sconforto. Aveva preso posizione su Collecorvo in mezzo agli elfi - in parte perché da lì le possibilità di fuga erano maggiori, e in parte (la parte più Tuc del suo cervello) perché se avesse dovuto partecipare a una difesa disperata, tutto sommato avrebbe preferito difendere il Re degli Elfi. Va detto che lì c’era anche Gandalf, seduto a terra come per una profonda riflessione, preparando, presumo, un ultimo colpo di magia prima della fine. Fine che non sembrava molto lontana. ‘Ancora poco,’ pensò Bilbo, ‘e gli orchi conquisteranno la Porta, e noi verremo tutti massacrati o inseguiti e catturati. Ce n’è a sufficienza per piangere, dopo tutto quello che abbiamo passato. Sarebbe stato meglio se quel maledetto tesoro fosse rimasto tra le grinfie del vecchio Smaug, così adesso non cadrebbe in mano a questi esseri abominevoli, e il povero Bombur e Balin e Fili e Kili e tutti gli altri non rischierebbero di fare una brutta fine; e con loro Bard e gli Uomini del Lago e gli allegri elfi. Povero me! Ho udito canti di molte battaglie, e ne ho sempre dedotto che anche la sconfitta possa essere gloriosa. Invece ha tutta l’aria di essere spiacevole, per non dire angosciosa. Vorrei proprio lasciarmela alle spalle.’ A un tratto, le nuvole vennero spazzate via dal vento, e un rosso tramonto squarciò l’Occidente. Vedendo quell’improvvisa luce squarciare le tenebre, Bilbo si guardò attorno. Lanciò un grido; aveva visto qualcosa che gli faceva balzare il cuore in petto: su quel chiarore lontano si stagliavano sagome scure, ancora piccole eppur maestose. “Le aquile! Le aquile!” gridò. “Stanno arrivando le aquile!” Era raro che gli occhi di Bilbo si ingannassero. Le aquile stavano arrivando col vento, a ranghi ravvicinati, ed erano così numerose che dovevano essere accorse da tutti i nidi del Nord. “Le aquile! Le aquile!” gridò Bilbo, ballando e agitando le braccia. Gli elfi non potevano vederlo, però potevano udirlo. Pre-
sto ripresero il suo grido, facendolo echeggiare nella valle. Molti occhi stupiti si volsero in alto, sebbene non si potesse vedere ancora niente, tranne dallo sperone meridionale della Montagna. “Le aquile!” gridò di nuovo Bilbo, ma in quell’istante una pietra precipitata dall’alto colpì con forza il suo elmo, e lo hobbit cadde con un tonfo e non sentì più niente.