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Fuoco e acqua

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Nessuno in casa

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capitolo 14

FUOCO E ACQUA

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Se adesso, come i nani, volete notizie di Smaug, dovete tornare alla sera in cui distrusse la porta e volò via pieno di collera, due giorni prima. Quella sera gli uomini della Città del Lago, Esgaroth, erano perlopiù in casa, perché il vento veniva dal nero Oriente ed era freddo; alcuni di loro, però, passeggiavano sulle banchine e osservavano, come amavano fare, le stelle che si riflettevano sulla superficie del lago man mano che sbocciavano nel cielo. Dalla loro città, la Montagna Solitaria era perlopiù schermata dalle basse colline sul lato opposto del lago, dove affluiva da nord il Fiume Fluente. Solo la sua alta vetta si poteva vedere quando il cielo era limpido, ed essi la guardavano di rado, perché era minacciosa e cupa perfino alla luce del mattino. Ora era sparita del tutto, inghiottita dal buio. A un tratto riapparve per un attimo alla vista; un bagliore fulmineo la sfiorò e svanì. “Guarda!” disse uno. “Di nuovo le luci! La notte scorsa le sentinelle le hanno viste apparire e sparire da mezzanotte fino all’alba. Lassù sta succedendo qualcosa.” “Forse il Re sotto la Montagna sta forgiando dell’oro,” disse un altro. “È passato tanto tempo da quando è andato a nord, e sarebbe ora che le canzoni cominciassero a dimostrarsi vere.” “Quale re?” disse un altro con voce rude. “È più probabile che sia il fuoco predatore del drago, l’unico re sotto la Montagna che abbiamo mai conosciuto.”

“Non fai altro che predire malanni!” dissero gli altri. “Qualsiasi cosa, dalle alluvioni all’avvelenamento del pesce. Pensa a qualcosa di allegro!” Ma all’improvviso apparve una grande luce in un punto basso delle colline, e l’estremità settentrionale del lago si fece tutta dorata. “Il Re sotto la Montagna!” urlarono. “La sua ricchezza è come il sole, il suo argento come una fontana, i suoi fiumi sono d’oro! Il fiume sta portando l’oro giù dalla Montagna!” gridarono, e dappertutto ci furono finestre che si spalancavano e piedi che correvano. Ancora una volta nella Città del Lago si accesero eccitazione ed entusiasmo. Ma il tizio dalla voce rude si precipitò dal Governatore. “O sta arrivando il drago o io sono pazzo!” gridò. “Tagliate il ponte! All’armi! All’armi!” Allora le trombe suonarono l’allarme ed echeggiarono lungo le rive rocciose. L’allegria cessò e la gioia si mutò in terrore. E così il drago non li trovò del tutto impreparati. Di lì a poco, tanta era la sua velocità, lo videro sfrecciare verso di loro come una palla di fuoco, che diventava sempre più grande e vivida, e neanche il più sciocco dubitò che le liete profezie fossero errate. Ma gli abitanti di Esgaroth avevano ancora un po’ di tempo. Ogni recipiente in città fu riempito d’acqua, ogni guerriero si armò, vennero approntati i dardi e le frecce, e il ponte che univa alla terraferma venne abbattuto e distrutto, prima che il terribile ruggito dell’appressarsi di Smaug si facesse più forte e il lago si increspasse, rosso come il fuoco, sotto il battito orrendo delle sue ali. Tra gli strilli e le urla degli uomini, Smaug discese su di loro, planò verso il ponte, e rimase di stucco! Il ponte era sparito, e i suoi nemici stavano su un’isola in mezzo all’acqua profonda – troppo profonda, fredda e scura per i suoi gusti. Se vi si fosse tuffato, avrebbe sprigionato vapori e fumi sufficienti a coprire di nebbia tutte le terre per giorni e giorni; ma il lago era più potente di lui, lo avrebbe soffocato prima che fosse riuscito a solcarlo. Ruggendo, Smaug si volse verso la città. Un nugolo di frecce nere si levò in aria e tintinnò spuntandosi sulle sue scaglie e sulle sue gemme, e i dardi ricaddero sul lago incendiati dal suo respiro bruciante e sibilante. Nessun fuoco d’artificio che abbiate mai immaginato avrebbe potuto eguagliare lo spettacolo di quella notte. Con il sibilo delle frecce e lo squillo delle trombe, il furore del drago raggiunse il culmine, fino a renderlo cieco e pazzo. Da tanto tempo nessuno osava muovergli battaglia; né avrebbero osato adesso, se non fosse stato per l’uomo dalla voce rude (Bard era il suo nome), che correva avanti e indietro

rincuorando gli arcieri e sollecitando il Governatore a ordinare loro di combattere fino all’ultima freccia. Le fauci del drago sprigionarono fiamme. Per un po’ Smaug volteggiò alto sopra di loro, illuminando tutto il lago; gli alberi sulle sponde risplendevano come rame e come sangue, proiettando tutt’intorno ombre guizzanti. Poi si avventò a capofitto nella tempesta di frecce, reso imprudente dalla collera, senza preoccuparsi di offrire ai nemici solo le parti ricoperte di scaglie, con l’unico intento di incendiare la loro città. A ogni passaggio di Smaug, il fuoco divampava dai tetti di paglia e dalle travi di legno, benché prima del suo arrivo ci si fosse premurati di inzuppare d’acqua tutti gli edifici della città. E altra acqua veniva gettata da centinaia di mani ovunque apparisse una scintilla. Eccolo tornare indietro turbinando. Una sferzata della coda, e il tetto del Municipio si sgretolò rovinando al suolo. Fiamme inestinguibili si levavano alte nella notte. Un’altra picchiata, e un’altra ancora, e un’altra casa e ancora un’altra divamparono e crollarono; e ancora non c’era freccia che avesse intralciato o ferito Smaug più di una mosca delle paludi. Da ogni parte ormai la gente si gettava in acqua. Donne e bambini venivano stipati in barche stracariche nel porticciolo del mercato. Le armi venivano abbandonate a terra. Lamenti e pianti si levavano lì dove solo poco tempo prima si erano cantate per i nani le vecchie canzoni che parlavano della gioia imminente. Adesso la gente malediceva il loro nome. Il Governatore stesso stava avviandosi verso la sua grande barca dorata, cercando di approfittare della confusione per mettersi in salvo. Presto tutta la città sarebbe stata un deserto carbonizzato in mezzo al lago. Era proprio quello che il drago sperava. Per quel che gliene importava, potevano scappare con le barche tutti quanti. Si sarebbe divertito a dar loro la caccia, oppure potevano starsene lì fino a morire di fame. Se avessero cercato di raggiungere la terra ferma, sarebbe stato pronto ad accoglierli. Presto avrebbe incendiato tutti i campi e i pascoli. Per ora se la spassava a tormentare la città, ed erano anni che non si divertiva tanto. Ma c’era ancora una compagnia di arcieri che resisteva tra le case in fiamme. Il loro capitano era quel Bard dalla voce rude e dalla faccia severa che gli amici avevano accusato di profetizzare alluvioni e pesci avvelenati pur conoscendo il suo valore e il suo coraggio. Era un lontano discendente di Girion, Signore di Conca; sua moglie e suo figlio erano sfuggiti alla rovina lungo il Fiume Fluente tanto tempo prima. Scagliava le frecce col suo grande arco di tasso, e ormai gliene era rimasta soltanto

una. Le fiamme lo incalzavano. I compagni lo abbandonavano. Tese l’arco per l’ultima volta. All’improvviso, qualcosa volò fuori dal buio e si posò sulla sua spalla. Bard trasalì - ma era solo un vecchio tordo. L’uccello, chinatosi senza timore sul suo orecchio, gli portava notizie. Meravigliato, Bard scoprì di capire la sua lingua, poiché apparteneva alla stirpe di Conca. “Aspetta! Aspetta!” gli disse il tordo. “Sta levandosi la luna. Mira all’incavo sulla parte sinistra del petto, ora che Smaug viene volando verso di te!” E mentre Bard esitava stupefatto, gli riferì le notizie dalla Montagna e tutto quello che aveva udito. Allora Bard tese l’arco fino all’orecchio. Il drago stava tornando indietro, volando sempre più basso, e, mentre si avvicinava, la luna si levò sopra la riva orientale e inargentò le sue grandi ali. “Freccia!” disse l’arciere. “Freccia nera! Ti ho lasciata per ultima. Tu non mi hai mai tradito e io ti ho sempre recuperata. Ti ho avuta da mio padre ed egli ti ebbe dai suoi antenati. Se davvero provieni dalla fornace del vero Re sotto la Montagna, va’ dritta al bersaglio, e buona fortuna!” Il drago planò ancora una volta, e, mentre virava e si tuffava giù, il suo ventre brillò di luce bianca per lo scintillio delle gemme sotto la luna, tranne che in un punto. Il grande arco vibrò. La freccia nera schizzò via dalla corda, puntando dritta all’incavo scoperto sulla sinistra del petto, dove la zampa anteriore si era scostata dal corpo. Lì si conficcò e penetrò tutt’intera, punta, asta e piuma, tanto violento era il suo impeto. Con un grido stridente che assordò uomini, abbatté alberi e spaccò pietre, Smaug schizzò schiumante nell’aria, si capovolse e rovinò giù, schiantandosi al suolo. Cadde tutt’intero sulla città. I suoi ultimi spasmi la ridussero a un cumulo di scintille e braci roventi. Il lago la invase ruggendo. Un’enorme massa d’acqua si sollevò, bianca nell’improvviso buio sotto la luna. Ci fu un sibilo, un vortice ribollente, e poi silenzio. E questa fu la fine di Smaug e di Esgaroth, ma non di Bard. La luna crescente si librò sempre più in alto, e il vento si fece più violento e freddo: attorcigliò la bianca nebbia, ne fece colonne oblique e nuvole frementi che trascinò verso ovest, per spargerle a brandelli sulle paludi davanti a Boscotetro. Allora si videro le molte barche che punteggiavano scure la superficie del lago, e il vento portò le voci degli abitanti di Esgaroth che piangevano la perdita della città, dei beni e delle case. In realtà, se avessero riflettuto, avrebbero avuto molte ragioni di essere grati, benché riflettere fosse l’ultima cosa che ci si po-

teva aspettare da loro in quel momento: tre quarti della popolazione di Esgaroth, infatti, aveva portato in salvo almeno la vita; i boschi, i campi, i pascoli e il bestiame non erano stati danneggiati; e il drago era morto. Ma non si erano ancora resi conto di cosa tutto ciò significasse per loro. Si affollarono mesti sulla sponda occidentale, rabbrividendo nel vento freddo, e il primo bersaglio della loro rabbia e delle loro lagnanze fu il Governatore, che aveva abbandonato la città troppo presto, quando in tanti erano ancora pronti a difenderla. “Avrà anche un certo talento per gli affari, specialmente i suoi,” mormorarono alcuni, “ma non è di alcuna utilità quando succede qualcosa di grave!” E lodarono il coraggio di Bard e il suo ultimo tiro possente. “Se solo non fosse morto,” dissero tutti, “lo faremmo re. Bard, l’Uccisore del Drago, della stirpe di Girion! Ahimè, l’abbiamo perduto!” Udite quelle parole, dall’ombra sbucò un’alta figura d’uomo. Era zuppo d’acqua, i capelli neri gli spiovevano bagnati sul viso e sulle spalle, e una luce intensa brillava nei suoi occhi. “Bard non è perduto!” gridò. “Si era tuffato nel lago dopo aver ucciso il nemico. Io sono Bard, della stirpe di Girion; io sono l’uccisore del drago!” “Bard re! Bard re!” urlarono quelli; ma il Governatore digrignò i denti che fin lì aveva battuto per il freddo e la paura. “Girion era signore di Conca, non re di Esgaroth,” disse. “Nella Città del Lago abbiamo sempre eletto i Governatori tra i vecchi o i saggi, e non abbiamo mai sostenuto l’autorità di semplici guerrieri. Che ‘Re Bard’ torni al suo regno. Conca è ormai libera grazie al suo valore, e nulla gli impedisce di tornarvi. Chiunque voglia andare con lui può farlo, se preferisce le fredde pietre dell’ombra della Montagna alle verdi sponde del lago. I saggi rimarranno qui con la speranza di ricostruire la nostra città e di godere ancora, tra non molto, della sua pace e delle sue ricchezze.” “Vogliamo Bard come nostro re!” gridarono per tutta risposta i più vicini. “Ne abbiamo abbastanza di vecchi e conta-soldi!” E i più lontani ripresero il grido: “Viva l’Arciere, abbasso Sacco di Denaro!” finché il clamore echeggiò lungo l’intera sponda. “Non sarò certo io a sottovalutare Bard l’Arciere,” disse guardingo il Governatore (poiché adesso Bard era proprio accanto a lui). “Questa notte si è guadagnato un posto eminente nell’elenco dei benefattori della nostra città; ed è degno di molte canzoni imperiture. Ma perché, o Popolo?” – e qui il Governatore si alzò in piedi e parlò con voce molto alta e chiara – “Perché tutto il biasimo tocca a me? Per quale colpa debbo

essere deposto dalla mia carica? Consentitemi di chiedere: chi ha destato il drago dal suo sonno? Chi ha ottenuto da noi ricchi doni e ampio aiuto e ci ha fatto credere che le antiche canzoni potessero avverarsi? Chi si è fatto gioco del nostro buon cuore e delle nostre belle illusioni? Che tipo di oro hanno mandato giù per il fiume per compensarci? Fuoco di drago e rovina! Da chi dovremmo pretendere adesso il rimborso dei danni che abbiamo subito, e l’aiuto per le vedove e gli orfani del nostro popolo?” Come vedete, non per nulla il Governatore aveva conquistato quella carica. Il risultato delle sue parole fu che per il momento il popolo abbandonò l’idea di avere un nuovo re e rivolse la propria ira contro Thorin e la sua Compagnia. Parole aspre e crudeli furono urlate da molte parti; e alcuni di quelli che prima avevano cantato con più forza le antiche canzoni, adesso urlavano con altrettanta forza che i nani avevano deliberatamente aizzato il drago contro di loro! “Sciocchi!” disse Bard. “Perché sprecare parole e rabbia per quegli infelici? Sono stati senz’altro i primi a morire nel fuoco, prima che Smaug venisse da noi.” E lì, proprio mentre stava parlando, nel suo cuore si affacciò il pensiero che il favoloso tesoro della Montagna giaceva senza guardiano né padrone, e allora tacque. Pensò alle parole del Governatore, e a Conca ricostruita e riempita di campane d’oro, se solo fosse riuscito a trovare aiuto. Poi riprese a parlare: “Questo non è il momento di litigare, Governatore, né di decidere grandi cambiamenti. C’è del lavoro da fare. Sono ancora al tuo servizio, anche se è possibile che tra un po’ ripensi alle tue parole e vada a nord, con chiunque voglia seguirmi”. Ciò detto, si avviò senza indugi per aiutare a organizzare gli accampamenti e a prendersi cura dei malati e dei feriti. Ma il Governatore gli lanciò un’occhiata torva mentre si allontanava, e rimase seduto a terra. Pensò molto ma parlò poco, se non per urlare ai suoi uomini di portargli fuoco e cibo. Lasciato il Governatore, Bard si accorse che dovunque andasse sentiva divampare come fiamme i discorsi sull’enorme tesoro ormai incustodito. La gente discuteva della ricompensa che avrebbe ricavato dal tesoro per i danni che aveva subito, sostenendo che ne sarebbe derivata una gran ricchezza con cui tutti sarebbero andati a sud per fare acquisti sfarzosi; ed erano discussioni che li rasserenavano in quel momento di sconforto. Era proprio quel che ci voleva, perché la notte sarebbe stata lunga e penosa. Fu possibile trovare un riparo solo ad alcuni (col Governatore tra questi) e il cibo era poco (nemmeno il Governatore ne ebbe a sufficienza). Tra coloro che erano scampati

incolumi alla rovina della città, molti quella notte si ammalarono per il freddo, l’umidità e l’affanno, e alcuni morirono; e nei giorni successivi ci furono molte malattie e tanta fame. Nel frattempo Bard prese il comando e ordinò quello che voleva, pur sempre in nome del Governatore, ed ebbe il difficile compito di governare il popolo e di dirigere i preparativi per dare una casa e una difesa a tutti. Sarebbero stati in molti a morire per i rigori dell’inverno incombente, se non si fosse trovato qualcuno che li aiutasse. Ma gli aiuti giunsero rapidamente, poiché Bard aveva subito spedito veloci messaggeri su per il fiume, col compito di recarsi nella foresta e chiedere soccorso al Re degli Elfi Silvani, e i messaggeri lo avevano trovato già in marcia, benché a quel punto fossero trascorsi appena tre giorni dalla caduta di Smaug. Il Re degli Elfi aveva ricevuto notizie dai suoi messaggeri personali e dagli uccelli che amavano la sua gente, e sapeva già molto di quanto era successo. L’emozione fra le creature alate che dimoravano al confine della Desolazione del Drago era davvero enorme. L’aria pullulava di stormi volteggianti, e i loro messaggeri più veloci volavano avanti e indietro nel cielo. Sul limitare della foresta si bisbigliava, gridava, cinguettava. La notizia si sparse anche molto al di là di Boscotetro: “Smaug è morto!” Le foglie fremettero e orecchie stupefatte si rizzarono. Ancor prima che il Re degli Elfi si mettesse in cammino, la notizia si sparse a Occidente fino ai boschi di pini delle Montagne Nebbiose; Beorn la udì nella sua casa di legno, e gli orchi tennero concilio nelle loro caverne. “Temo che non sentiremo più parlare di Thorin Scudodiquercia,” disse il Re degli Elfi. “Avrebbe fatto meglio a rimanere mio ospite. Ma è comunque una brutta faccenda,” aggiunse, “che non porta bene a nessuno.” Neanche lui, infatti, aveva dimenticato la leggenda della ricchezza di Thror. Fu così che i messaggeri di Bard lo trovarono in marcia con molti fanti e arcieri; e sopra di lui si addensavano le cornacchie, convinte che stesse per scoppiare una guerra come non se ne vedevano da tempo in quella regione. Ma il re, ricevute le richieste di Bard, si mosse a compassione, perché era il signore di un popolo buono e gentile; perciò, cambiando rotta alla sua marcia, che dapprima aveva diretto verso la Montagna, si affrettò a costeggiare il fiume verso Lago Lungo. Non aveva abbastanza barche o zattere per le sue truppe, che quindi furono costrette a marciare, rallentando l’avanzata; però si premurò di mandare avanti una gran quantità di provviste via fiume. Ma gli elfi hanno il piede leggero, e, sebbene a quei tempi non fossero molto abituati alle paludi

e alle terre insidiose tra la foresta e il lago, il loro cammino fu abbastanza spedito. Appena cinque giorni dopo la morte del drago raggiunsero il lago e videro le rovine della città. Ricevettero un benvenuto caloroso, com’era prevedibile, e tanto il popolo quanto il Governatore si dichiararono disposti a stringere qualsiasi patto per il futuro in cambio dell’aiuto offerto dal Re degli Elfi. Il piano fu presto fatto. Il Governatore rimase lì insieme alle donne e ai bambini, ai vecchi e ai malati; con loro restarono alcuni bravi artigiani e molti elfi ingegnosi, che si dedicarono ad abbattere alberi e a radunare il legname inviato dalla foresta. Poi si accinsero a costruire lungo la sponda molte capanne che offrissero riparo dall’inverno imminente; inoltre, sotto la direzione del Governatore, cominciarono a progettare una nuova città, destinata a essere perfino più bella e più grande di prima, ma non nello stesso posto. Si spostarono più a nord lungo la sponda; perché da allora ebbero paura dell’acqua dove giaceva il drago. Smaug non sarebbe mai tornato al suo giaciglio d’oro, ma il suo corpo sarebbe rimasto comunque lì, stecchito e freddo come la pietra, contorto sul fondo delle acque basse. Lì, nelle giornate di cielo sereno, le sue enormi ossa avrebbero fatto capolino tra le macerie della vecchia città. Pochi avrebbero osato attraversare quel punto maledetto, e nessuno si sarebbe azzardato a tuffarsi in quell’acqua torbida per recuperare le gemme cadute dalla sua carcassa putrefatta. Ma tutti gli uomini ancora in grado di combattere e la maggior parte dei soldati del Re degli elfi si prepararono a marciare a nord verso la Montagna. Fu così che, undici giorni dopo la rovina della città, l’avanguardia delle loro schiere passò i valichi delle rocce all’estremità del lago e giunse nelle Terre Desolate.

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