35 minute read

NOTIZIE DALL’INTERNO

Next Article
NESSUNO IN CASA

NESSUNO IN CASA

CAPITOLO 12

NOTIZIE DALL’INTERNO

Advertisement

I nani rimasero a lungo a discutere nell’oscurità davanti alla porta, finché Thorin parlò: “È giunto il momento per il nostro egregio signor Baggins, che si è dimostrato un buon compagno per tutto il nostro lungo cammino, nonché uno hobbit pieno di coraggio e di risorse di gran lunga superiori alla sua taglia e, se posso dirlo, dotato di una fortuna di gran lunga superiore a quella normale; è giunto il momento per lui di svolgere il compito per cui è stato incluso nella nostra Compagnia; è giunto il momento di guadagnarsi la sua Ricompensa.” Siete ormai abituati allo stile di Thorin nelle occasioni importanti, perciò vi risparmierò il resto, anche se egli andò avanti per un bel pezzo. Quella era sicuramente un’occasione importante, ma Bilbo si spazientì. Ormai conosceva abbastanza bene Thorin da sapere a cosa mirasse. “Se vuoi dire che per te il mio compito consiste nell’entrare per primo nel passaggio segreto, o Tho-

rin Scudodiquercia, figlio di Thrain, possa la tua barba allungarsi sempre di più,” disse irritato, “dillo subito e facciamola finita! Potrei rifiutare. Vi ho già tirato fuori dai pasticci per ben due volte, e questo non rientrava di sicuro nel patto iniziale, quindi penso di essermi già guadagnato una certa ricompensa. Ma ‘la terza volta è quella buona’, come diceva mio padre, e per un motivo o per l’altro non credo che rifiuterò. Forse ho cominciato ad avere fiducia nella mia fortuna più di quanto facessi ai vecchi tempi,” – si riferiva a quella primavera, prima di partire da casa, ma sembravano passati secoli – “comunque penso che andrò subito a dare un’occhiata per togliermi il pensiero. Dunque, chi viene con me?” Non si aspettava un coro di volontari, perciò non restò deluso. Con aria imbarazzata, Fili e Kili mossero una gamba, ma gli altri non fecero neanche finta di offrirsi – tranne il vecchio Balin, la sentinella, che aveva molta simpatia per lo hobbit. Disse che sarebbe almeno entrato e forse l’avrebbe addirittura accompagnato per un po’, pronto a chiamare aiuto in caso di bisogno. Il massimo che si possa dire in favore dei nani è questo: intendevano davvero ricompensare generosamente Bilbo per i suoi servigi; lo avevano assoldato per compiere un lavoro pericoloso per conto loro, e importava solo che lo portasse a termine; ma avrebbero fatto del proprio meglio per toglierlo dai guai, se ci fosse capitato in mezzo, come era avvenuto coi troll all’inizio delle loro avventure, quando ancora non avevano alcun motivo particolare per essergli riconoscenti. Ecco il punto: i nani non sono eroi, bensì una razza calcolatrice con un gran concetto del

valore del denaro; ce ne sono di scaltri, infidi e sleali; altri, invece, sono tipi abbastanza ammodo, come Thorin e Compagnia, purché non vi aspettiate troppo da loro. Le stelle cominciavano ad apparire in un cielo pallido striato di nero quando lo hobbit strisciò attraverso la porta incantata ed entrò furtivamente nella Montagna. Era un percorso molto più facile di quanto si aspettasse. Quello non era un andito da orchi, o una rozza caverna da elfi silvani. Era un passaggio sotterraneo costruito dai nani al culmine della loro opulenza e abilità: dritto come un righello, liscio il suolo e lisce le pareti; con una pendenza lieve e costante che portava verso un’oscura meta lontana, nelle tenebre sottostanti. Dopo un po’, Balin augurò a Bilbo “Buona fortuna!” e si fermò dove riusciva ancora a vedere la fioca sagoma della porta e a udire, grazie a un particolare gioco di echi della galleria, il fruscio delle voci degli altri che bisbigliavano là fuori. Allora lo hobbit si infilò l’anello e, esortato dagli echi a far meno rumore di quanto siano soliti farne gli hobbit, cominciò silenziosamente a scendere giù, giù, giù nelle tenebre. Tremava di paura, ma l’espressione del suo piccolo viso era decisa e risoluta. Era già uno hobbit molto diverso da quello che tanto tempo prima era uscito di corsa da Casa Baggins senza fazzoletto. Era da secoli che non aveva più un fazzoletto. Allentò il pugnale nella custodia, si strinse la cintura e avanzò. ‘Adesso ci sei proprio dentro, Bilbo Baggins,’ disse tra sé e sé. ‘Quella notte della riunione ci sei cascato in pieno, e adesso ti tocca uscirne fuori e pagare lo scotto! Povero me, che sciocco sono stato e sono!’

disse la parte meno Tuc di lui. ‘Non so assolutamente cosa farmene di tesori sorvegliati da draghi, e per me quel mucchio di roba potrebbe star lì per sempre, se solo potessi svegliarmi e scoprire che questa abominevole galleria è l’ingresso di casa mia!’ Naturalmente non si svegliò, e continuò ad avanzare finché ogni traccia della porta alle sue spalle non fu scomparsa del tutto. Era completamente solo. Presto gli sembrò che cominciasse a far caldo. ‘Sbaglio o è una specie di luccichio quello che vedo laggiù?’ pensò. Lo era. E lo vide farsi più intenso man mano che avanzava, finché non ebbe più dubbi. Era una luce rossa che diventava sempre più rossa. Inoltre, adesso faceva indubbiamente caldo nella galleria. Sbuffi di vapore fluttuavano intorno a lui e sopra la sua testa, e cominciava a sudare. E un rumore cominciava a rimbombargli nelle orecchie, una specie di brontolio, come di un pentolone che bollisse sul fuoco, misto alle fusa di un gatto gigantesco. Il rumore crebbe fino a diventare l’inequivocabile suono gorgogliante di un qualche enorme animale che nel sonno russasse laggiù, oltre il rosso luccichio di fronte a lui. A quel punto Bilbo si fermò. E proseguire fu la cosa più coraggiosa che avesse mai fatto. Gli eventi tremendi che accaddero in seguito furono niente al confronto: la sua vera battaglia la combatté da solo in quella galleria, ancor prima di vedere l’enorme pericolo che giaceva in attesa. A ogni modo, dopo quel breve indugio riprese ad avanzare; e potete immaginarlo arrivare in fondo alla galleria, trovando un’apertura simile per dimensioni e forma alla porta iniziale. Da lì fa capolino la piccola testa dello hob-

bit. Davanti a lui si stende la grande e profondissima cantina o sala sotterranea degli antichi nani, scavata proprio alle radici della Montagna. Il buio è quasi assoluto, quindi la vastità della sala può essere intuita solo vagamente, ma dalla parte più vicina del pavimento di roccia si leva un gran bagliore. Il bagliore di Smaug! Eccolo lì, un enorme drago di un rosso sfumato d’oro, profondamente addormentato; dalle sue fauci e dalle narici usciva solo un borbottio accompagnato da sbuffi di fumo, perché quando dormiva le sue fiamme erano basse. Sotto di lui, sotto tutte le sue membra e l’enorme coda avvolta in spire, e tutt’intorno a lui, ovunque sul pavimento invisibile, giacevano innumerevoli cumuli di cose preziose, oro lavorato e oro grezzo, gemme e gioielli, e argento macchiato di rosso nella luce vermiglia. Le ali raccolte come un immenso pipistrello, Smaug giaceva girato parzialmente su un fianco, e lo hobbit poteva così vedere la parte inferiore del suo corpo, con il lungo e pallido ventre incrostato di gemme e scaglie d’oro a furia di star sdraiato su quel sontuoso letto. Dietro di lui, dove le pareti erano più vicine, si scorgevano appesi elmi e cotte di maglia, asce, spade e lance; e lì accanto c’erano file di grossi orci e recipienti colmi di inimmaginabili ricchezze. Dire che a Bilbo si mozzò il fiato non rende affatto l’idea. Non esistono più parole in grado di esprimere il suo sbalordimento, da quando gli Uomini cambiarono il linguaggio appreso dagli elfi al tempo in cui tutto il mondo era meraviglioso. Bilbo aveva sentito raccontare e cantare le ricchezze accumulate dai draghi, ma non avrebbe mai neppure immaginato

lo splendore, lo sfarzo e la magnificenza di un tesoro come quello. Il suo cuore fu riempito e trafitto dall’incanto e dal desiderio dei nani; ed egli rimase immobile, quasi dimentico dello spaventoso guardiano, a fissare quell’oro di inestimabile valore e incalcolabile quantità. Rimase a fissarlo per quello che gli parve un secolo, poi, quasi contro il proprio volere, cominciò a strisciar fuori dall’ombra della porta, lungo il pavimento e fino al bordo più vicino dei mucchi del tesoro. Sopra di lui giaceva il drago addormentato, atroce minaccia persino nel sonno. Bilbo afferrò una grande coppa a due manici, la più pesante che potesse portare, e lanciò un’occhiata timorosa verso l’alto. Smaug scosse un’ala, aprì un artiglio, il rombo del suo russare cambiò di tono. Bilbo fuggì. Ma il drago non si svegliò, non ancora; scivolò in altri sogni di avidità e violenza, adagiato in quella sala usurpata, mentre il piccolo hobbit si affannava a risalire la lunga galleria. Aveva il cuore che batteva forte, e le gambe scosse da un tremito più febbrile rispetto a quando era disceso, e tuttavia teneva ben stretta la coppa e il suo pensiero principale era: ‘Ce l’ho fatta! Adesso vedranno. «Più un bottegaio che uno scassinatore», eh? Be’, adesso non diranno più niente del genere’. Infatti fu così. Balin fu felicissimo di rivedere lo hobbit, tanto contento quanto sorpreso. Sollevò Bilbo e lo portò fuori, all’aria aperta. Era mezzanotte e le nubi avevano nascosto le stelle, ma Bilbo era lì con gli occhi chiusi, trafelato, assaporando la ritrovata sensazione dell’aria fresca, accorgendosi a malapena dell’eccitazione dei nani, che lo elogiavano e gli dava-

no pacche sulle spalle, e mettevano al suo servizio se stessi e le proprie famiglie per tutte le generazioni a venire. I nani stavano ancora passandosi la coppa di mano in mano, parlando allegramente della riconquista del loro tesoro, quando all’improvviso un rombo assordante si sprigionò dalle viscere della Montagna, come se un vecchio vulcano avesse deciso di ricominciare le sue eruzioni. Avevano accostato la porta alle loro spalle, bloccandola con una pietra per impedirle di chiudersi, ma dalla lunga galleria, giù dall’abisso profondo, giungevano gli echi spaventosi di un mugghiare e pestare che faceva tremare il suolo sotto di loro. Allora i nani dimenticarono la gioia e le fiduciose vanterie di un momento prima e si acquattarono a terra, pieni di paura. Bisognava ancora fare i conti con Smaug. Non è saggio escludere dai propri piani un drago vivo e vegeto, se si vive vicino a lui. È probabile che i draghi non si servano davvero di tutta la loro ricchezza, ma di regola la conoscono fino all’ultimo grammo, specie dopo averla posseduta a lungo; e Smaug non faceva eccezione. Era passato da un sogno agitato (in cui un guerriero – di taglia assolutamente insignificante ma dotato di una spada tagliente e di grande coraggio – aveva una parte molto sgradevole) al dormiveglia; e dal dormiveglia al risveglio completo. Nella caverna c’era uno strano soffio d’aria. Forse uno spiffero che usciva dal quel buchetto? Non si era mai sentito molto tranquillo al riguardo, anche se era così piccolo, e lo scrutò sospettoso, chiedendosi perché non l’avesse mai tappato. Recentemente gli era parso di udire la debole eco di un suono martellante, che veniva dall’alto e arrivava nel-

la sua tana passando proprio da quel buco. Si agitò e allungò il collo per annusare. Fu allora che si rese conto che mancava la coppa! Ladri! Fuoco! Assassinio! Una cosa del genere non era mai successa da quando era venuto per la prima volta sulla Montagna! Smaug era in preda a una collera impossibile da descrivere: il tipo di collera che si può vedere solo quando i ricchi che possiedono più di quanto possano godere perdono all’improvviso qualcosa che hanno posseduto a lungo ma non hanno mai usato o voluto prima di quel momento. Il drago eruttò fiamme, riempì la sala di fumo, scosse le radici della Montagna. Cercò invano di ficcare la testa nel forellino, e poi, serpeggiando per tutta la sua lunghezza, ruggendo come un tuono sotto terra, si precipitò fuori dalla tana profonda attraverso la grande porta, sfrecciando tra i larghi passaggi del palazzo della Montagna e poi in su, verso la Porta Principale. Il suo unico pensiero era dar la caccia al ladro per tutta la Montagna finché non lo avesse preso, dilaniato e calpestato. Quando uscì dalla Porta, le acque si alzarono con un violento vapore sibilante, ed eccolo levarsi in volo fiammeggiando e posarsi sulla cima della montagna in una vampa di fiamme verdi e scarlatte. I nani udirono il terribile rombo del suo volo e si rannicchiarono contro le pareti dello slargo erboso, accucciandosi ai piedi dei massi, sperando di fuggire in qualche modo agli occhi spaventosi del drago che li cercava. Sarebbero stati uccisi tutti, se Bilbo non fosse intervenuto ancora una volta. “Presto! Presto!” egli ansimò. “La porta! La galleria! Via di qui!” Scossi da quelle parole, i nani stavano per strisciare

dentro la galleria, quando Bifur lanciò un grido: “I miei cugini! Bombur e Bofur, li abbiamo dimenticati, sono giù nella valle!” “Verranno massacrati, e anche i nostri pony, e perderemo tutte le provviste!” gemettero gli altri. “Non possiamo farci niente!” “Sciocchezze!” disse Thorin, ritrovando la sua dignità. “Non possiamo abbandonarli. Andate dentro, signor Baggins e Balin, e anche voi due, Fili e Kili – il drago non ci avrà tutti. Adesso voialtri, dove sono le corde? Sbrigatevi!” Quelli furono forse gli istanti peggiori che avessero passato fin lì. Gli orribili suoni dell’ira di Smaug echeggiavano nelle cavità rocciose in alto; da un momento all’altro il drago avrebbe potuto scendere fiammeggiando o volare roteando sopra di loro e scoprirli mentre sul ciglio periglioso del dirupo issavano freneticamente le corde. Bofur arrivò su e tutto andava ancora bene. Arrivò Bombur, ansimando e sbuffando mentre le corde si sfilacciavano, e tutto andava ancora bene. Arrivarono su alcuni attrezzi e diversi pacchi di provviste, e il pericolo piombò su di loro. Si udì un sibilo assordante. Una luce rossa sfiorò le cime delle alte rocce. Giungeva il drago. Ebbero appena il tempo di scappare a gambe levate nella galleria, trascinando con sé i loro fardelli, quando Smaug arrivò in picchiata da nord, lambendo di fiamme i fianchi della montagna, sbattendo le grandi ali con un rumore simile al ruggito del vento. Il suo fiato ardente incenerì l’erba davanti alla porta e penetrò attraverso lo spiraglio del battente socchiuso e li bruciacchiò mentre stavano nascosti lì dietro. Si le-

varono fiamme guizzanti, nere ombre di roccia danzarono. Poi il buio ricadde, mentre il drago passava. Nitrendo per il terrore, i pony spezzarono le corde che li legavano e galopparono via selvaggiamente. Il drago planò, invertì la rotta, scomparve. “Questa sarà la fine delle nostre povere bestie!” disse Thorin. “Se Smaug avvista qualcosa, non le lascia possibilità di scampo. Noi qui siamo e qui ci toccherà stare, sempre che qualcuno non voglia farsi a piedi tutta la strada allo scoperto da qui al fiume, con Smaug di guardia!” Non era certo un pensiero piacevole. Strisciarono più in giù nella galleria e si appostarono lì, rabbrividendo nonostante il caldo opprimente, in attesa che la pallida alba filtrasse dallo spiraglio della porta. Per tutta la notte udirono il rombo del drago farsi più forte quando si avvicinava, per poi passare e svanire nella sua caccia tutt’intorno alle pendici della montagna. Dai pony e dalle tracce di accampamenti che aveva scoperto, il drago dedusse che alcuni uomini fossero risaliti dal fiume e dal lago e avessero scalato il fianco della Montagna dalla parte della valle dove erano rimasti i pony; ma la porta sfuggì al suo occhio attento, e il piccolo slargo, protetto dalle alte pareti, eluse le sue fiamme più violente. A lungo e invano il drago cacciò, finché l’alba raffreddò il suo furore ed egli tornò sul suo aureo giaciglio a dormire e a ritemprare le forze. Non avrebbe dimenticato né perdonato quel furto nemmeno se, passati mille anni, si fosse tramutato in brace rovente; nel frattempo poteva aspettare. Lento e silenzioso, strisciò di nuovo nella sua tana e chiuse a metà gli occhi.

Quando venne il mattino, il terrore dei nani scemò. Si resero conto che pericoli di quel genere erano inevitabili avendo a che fare con un simile guardiano, e che non era ancora il caso di rinunciare alla loro ricerca. Né potevano andarsene proprio allora, come sottolineò Thorin. I pony erano dispersi o uccisi, e avrebbero dovuto aspettare un bel po’ prima che Smaug allentasse la sorveglianza tanto da consentire l’ardire di percorrere a piedi la lunga strada. Per fortuna avevano salvato provviste sufficienti per un po’ di tempo. Discussero a lungo su ciò che bisognava fare, ma non riuscivano a trovare alcun sistema per sbarazzarsi di Smaug – e quello era sempre stato un punto debole dei loro piani, come Bilbo non esitò a far notare. Poi, con l’atteggiamento tipico di chi sia profondamente insicuro, cominciarono a lamentarsi dello hobbit, biasimandolo per ciò di cui dapprima si erano tanto compiaciuti: aver portato via una coppa e avere scatenato così presto la furia di Smaug. “Che altro dovrebbe fare uno scassinatore, secondo voi?” chiese rabbiosamente Bilbo. “Sono stato assunto non per uccidere draghi, essendo un lavoro da guerrieri, bensì per rubare un tesoro. Ho iniziato come meglio potevo. Vi aspettavate che tornassi trotterellando con tutto il gruzzolo di Thror sulle spalle? Se c’è da recriminare, penso di avere anch’io qualcosa da dire. Avreste dovuto portare cinquecento scassinatori, non uno. Thorin, è un gran merito di tuo nonno l’avere ammassato una ricchezza così enorme, ma non puoi sostenere di avermi mai dato un’idea precisa della sua enormità. Avrei bisogno di varie centinaia d’anni per portarla tutta qui sopra, anche

se fossi cinquanta volte più grosso e se Smaug fosse docile come un coniglio.” Dopo di ciò, naturalmente, i nani gli chiesero scusa. “Dunque, cosa ci suggerisci di fare, signor Baggins?” domandò educatamente Thorin. “Al momento non ne ho idea, se ti riferisci al portar via il tesoro. Ovviamente dipende tutto da qualche nuovo colpo di fortuna che ci consenta di sbarazzarci di Smaug. Sbarazzarmi di draghi non è il mio campo, ma farò del mio meglio per pensarci sopra. Personalmente, non sono affatto fiducioso e vorrei essere sano e salvo a casa mia.” “Lascia perdere per il momento! Cosa dobbiamo fare oggi?” “Be’, se proprio volete il mio parere, direi che possiamo solo restare dove siamo. Di giorno potremmo strisciar fuori abbastanza tranquillamente per prendere aria. Magari tra un po’ scegliamo un paio di noi che tornino al fiume a caricarsi una parte delle provviste che abbiamo lasciato lì. Nel frattempo, finché non fa giorno, dovremmo stare tutti quanti nascosti nella galleria. “E adesso vi farò una proposta. A mezzogiorno – sempre che Smaug non si sia ancora svegliato – io infilerò il mio anello e striscerò giù, per cercare di capire che intenzioni ha. Forse ne verrà fuori qualcosa. ‘Ogni verme ha il suo punto debole’, come diceva mio padre, anche se sono certo che non lo dicesse per esperienza personale.” Ovviamente i nani accolsero con entusiasmo la sua proposta. Avevano già cominciato a nutrire un certo rispetto per il piccolo Bilbo, ma adesso lo consideravano il vero capo della loro avventura, visto che

continuava a sfornare idee e piani d’azione. Quando si fece mezzogiorno, lo hobbit si preparò a un altro viaggio nelle viscere della Montagna. Certo non era contento, ma non gli sembrava più tanto terribile adesso che, più o meno, sapeva a cosa andava incontro. Se ne avesse saputo di più sui draghi e sui loro modi astuti, sarebbe stato più spaventato e meno speranzoso di sorprendere Smaug mentre sonnecchiava. Quando si avviò, il sole era alto ma la galleria era buia come se fosse notte. La luce proveniente dalla porta, quasi chiusa, svanì presto mentre scendeva. I suoi passi erano così silenziosi che neanche del fumo ondeggiante nella brezza avrebbe potuto esserlo di più, e Bilbo cominciò a sentirsi abbastanza fiero di sé mentre si avvicinava alla porta inferiore. Si vedeva solo un bagliore molto tenue. ‘Il vecchio Smaug è stanco e addormentato,’ pensò. ‘Non può vedermi e non mi sentirà. Su con la vita, Bilbo!’ Si era dimenticato, o non ne aveva mai sentito parlare, dell’olfatto dei draghi. Un altro fatto imbarazzante è che i draghi, se sono insospettiti, riescono a dormire tenendo un occhio mezzo aperto per fare la guardia. Di sicuro, quando Bilbo fece di nuovo capolino dall’ingresso, Smaug sembrava profondamente addormentato, scuro e immobile come un morto, ronfando con appena uno sbuffo di vapore quasi impercettibile. Lo hobbit stava per entrare nella sala, quando vide balenare da sotto la palpebra calante dell’occhio sinistro di Smaug un improvviso raggio di luce rossa, sottile e penetrante. Stava solo fingendo di dormire! Teneva d’occhio l’ingresso della gal-

leria! Bilbo balzò indietro e benedisse la fortuna di avere l’anello. Poi Smaug parlò. “Allora, ladro! Ti fiuto e sento la tua aria. Odo il tuo respiro. Vieni avanti! Serviti ancora, ce n’è in abbondanza e d’avanzo!” Ma Bilbo non era a tal punto ignorante in materia di draghi, e, se Smaug sperava di farlo avvicinare così facilmente, rimase deluso. “No, grazie, o Smaug il Terribile!” replicò. “Non sono venuto per ricevere regali. Volevo solo darti un’occhiata e vedere se fossi davvero così grande come si racconta. Non credevo a quello che mi dicevano.” “E adesso ci credi?” disse il drago, vagamente lusingato pur non avendo nessuna fiducia nelle parole dello hobbit. “In verità canti e racconti sono molto inferiori alla realtà, o Smaug, Principale e Massima Calamità,” replicò Bilbo. “Hai modi garbati per essere un ladro e un bugiardo,” disse il drago. “Sembra che tu conosca bene il mio nome, ma io non ricordo di averti mai fiutato prima d’ora. Posso chiederti chi sei e da dove vieni?” “Altroché se puoi! Io vengo da sotto il colle, e sotto i colli e sopra i colli mi portò il cammino. E attraverso l’aria. Io sono colui che avanza non visto.” “Non stento a crederlo,” disse Smaug, “ma non può essere il tuo vero nome.” “Io sono lo sciogli-indovinelli, lo strappa-ragnatele, la mosca che punge. Io fui scelto per il numero fortunato.” “Vezzosissimi appellativi!” sghignazzò il drago. “Ma non sempre i numeri fortunati sono tali.” “Io sono colui che seppellisce vivi i suoi amici e li

annega e li trae daccapo vivi dall’acqua. Uscii dal cieco di un vicolo, ma ci vedo benissimo.” “Non mi sembrano cose tanto lusinghiere,” lo schernì Smaug. “Io sono l’amico degli orsi e l’ospite delle aquile. Io sono il Vincianello e l’Indossafortuna; e sono il Cavalcabarile,” continuò Bilbo, che cominciava a compiacersi dei propri enigmi. “Così va meglio!” disse Smaug. “Ma non farti portare troppo in là dall’immaginazione!” Ovviamente è proprio così che bisogna parlare con i draghi se non si vuole rivelare il proprio nome (il che è cosa saggia) e non si vuole irritarli con un netto rifiuto (il che è altrettanto saggio). Nessun drago sa resistere al fascino di una conversazione enigmatica e al piacere di perder tempo cercando di capirla. Lì c’erano un sacco di cose che Smaug non capiva affatto (sebbene io ritenga che voi le capiate, visto che sapete tutto sulle avventure di Bilbo cui si riferiva), ma credette di averne capito abbastanza, e ridacchiò nel suo cuore malvagio. ‘È proprio come pensavo la notte scorsa,’ sorrise tra sé e sé. ‘Uomini del Lago, qualche sporco intrigo di quei miserabili uomini commercianti di botti del lago, o io sono una lucertola. È da troppo tempo che non scendo da quelle parti; ma presto cambierà!’ “Benissimo, o Cavalcabarile!” disse ad alta voce. “Forse Barile era il nome del tuo pony; e forse no, anche se era grasso abbastanza. Potrai avanzare non visto, ma non hai ancora percorso tutta la strada. Permettimi di dirti che la notte scorsa ho mangiato sei pony e tra non molto catturerò e mangerò tutti gli altri. Per sdebitarmi dell’ottimo pasto ti darò un con-

siglio per il tuo bene: non avere niente a che fare con i nani se puoi farne a meno!” “Nani?” disse Bilbo con finta sorpresa. “Zitto, zitto!” disse Smaug. “Conosco bene l’odore (e il sapore) dei nani: non c’è niente di meglio. Non venirmi a raccontare che posso mangiare un pony montato da un nano e non accorgermene! Farai una brutta fine, se vai in giro con amici del genere, o Ladro Cavalcabarile. Puoi anche andare a dirglielo da parte mia.” Ma non disse a Bilbo che c’era un odore che non riusciva a identificare, l’odore di hobbit: era del tutto estraneo alla sua esperienza, e questo lo sconcertava molto. “La notte scorsa hai ricavato un bel guadagno da quella coppa?” continuò. “Su, dimmelo! Niente di niente? Be’, è tipico dei nani. E immagino che ora se ne stiano rintanati là fuori, e tocchi a te fare il lavoro più pericoloso arraffando tutto quello che puoi mentre io non guardo – per conto loro! E ti daranno una ricompensa adeguata? Non crederci! Sarai fortunato se riuscirai a portare a casa la pelle.” Bilbo cominciava a sentirsi molto a disagio. Ogni volta che l’occhio errante di Smaug, cercandolo nell’ombra, dardeggiava su di lui, egli tremava e veniva preso da un inspiegabile desiderio di balzar fuori, rivelarsi e raccontare a Smaug tutta la verità. In realtà stava rischiando di cadere sotto l’influsso magico del drago. Ma, ripreso il coraggio, parlò di nuovo. “Non sai ancora tutto, o Smaug il Possente,” disse. “Noi non siamo venuti qui soltanto per l’oro.” “Ah! Ah! Dunque ammetti il ‘noi’,” rise Smaug. “Perché non dici ‘noi quattordici’ e la fai finita, signor Numero Fortunato? Sono contento di sapere

che avevi altre cose di cui occuparti da queste parti, oltre al mio oro. In tal caso potresti anche non aver perso del tutto il tuo tempo. “Ma dimmi, hai mai considerato che, se anche riuscissi a rubarmi l’oro a poco a poco – questione di un centinaio d’anni, più o meno – non riusciresti comunque a portarlo lontano? Inutile tenerlo lì fuori, sul fianco della Montagna… Inutile portarlo nella foresta… Che il cielo mi fulmini! Non hai capito il trucco? Un quattordicesimo del tesoro, immagino, o qualcosa di simile, questi erano i patti, eh? Ma come risolvere il problema della consegna? E quello del trasporto? E quello delle guardie armate e del pedaggio?” E Smaug rise forte. Aveva un animo malvagio e scaltro, e sapeva che le sue congetture non erano lontane dal vero, anche se sospettava che dietro quelle manovre ci fossero gli Uomini del Lago, e che la maggior parte del bottino fosse destinata a rimanere lì, in quella città lacustre che ai tempi della sua giovinezza si chiamava Esgaroth. Stenterete a crederlo, ma il povero Bilbo si sentì colto proprio alla sprovvista. Fino a quel momento aveva concentrato tutti i suoi pensieri e le sue energie su come raggiungere la Montagna e trovare l’ingresso. Non si era mai dato la pena di domandarsi in che modo si potesse portar via il tesoro, e men che mai in che modo trasportare fino a Vicolo Cieco Sottocolle la parte che gli sarebbe spettata. Un brutto sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente: anche i nani avevano trascurato quell’importante dettaglio, o per tutto il tempo avevano riso di lui sotto i baffi? Questo è l’effetto che le parole dei draghi hanno sugli inesperti. Ovviamente Bilbo sa-

rebbe dovuto stare in guardia; ma Smaug aveva una personalità a dir poco travolgente. “Posso assicurarti,” disse lo hobbit, sforzandosi di non tradire i suoi amici e di fare fino in fondo la sua parte, “che per noi l’oro è solo un accessorio. Se abbiamo affrontato salite e discese, sulle onde e nel vento, è stato per vendetta. Possibile, o Smaug Immensamente Ricco, che tu non ti renda conto di come il tuo successo ti abbia procurato una quantità di acerrimi nemici?” Allora Smaug rise proprio di cuore – un suono devastante che scagliò Bilbo al suolo, mentre lontano, su nella galleria, i nani si stringevano l’uno all’altro e immaginavano che lo hobbit avesse fatto una brutta e repentina fine. “Vendetta!” sbuffò il drago, e lo sfolgorio dei suoi occhi illuminò di luce scarlatta l’intera sala, dal pavimento al soffitto. “Vendetta! Il Re sotto la Montagna è morto, e dove sono i suoi parenti che osino cercare vendetta? Girion Signore di Conca è morto, e io ho mangiato la sua gente come un lupo le pecore, e dove sono i figli dei suoi figli che osino avvicinarsi a me? Io uccido dove voglio e nessuno osa opporsi. Ho umiliato i guerrieri del passato, e oggi non c’è nessuno al mondo che sia alla loro altezza. Allora ero giovane e smidollato. Ora sono vecchio e forte, forte, forte, Ladro nelle Tenebre!” esultò. “Le mie scaglie sono come scudi dieci volte più possenti, i miei denti sono spade, i miei artigli lance, lo schiocco della mia coda saetta, le mie ali uragano e il mio alito morte!” “Ho sempre saputo,” disse Bilbo con uno squittio terrorizzato, “che i draghi sono più molli nella parte inferiore, soprattutto nella zona del… ehm… del

petto; ma immagino che un drago temprato come te sappia come ovviare a questo problema.” Il drago interruppe di colpo le sue vanterie. “Le tue informazioni sono antiquate,” rimbeccò. “Io sono corazzato sopra e sotto con scaglie di ferro e gemme dure. Nessuna lama può trafiggermi!” “Avrei dovuto indovinarlo,” disse Bilbo. “In verità, in nessun luogo si può trovare l’eguale del Nobile Smaug l’Impenetrabile. Che magnificenza possedere un corpetto di diamanti purissimi!” “Sì, è un oggetto raro e stupendo,” disse Smaug, incredibilmente compiaciuto. Non sapeva che già durante la visita precedente lo hobbit aveva dato un’occhiata al bizzarro rivestimento del suo ventre, e moriva dalla voglia di guardarlo più da vicino per motivi personali. Il drago si rotolò pancia all’aria. “Guarda!” disse. “Che ne dici?” “Abbagliante! Meraviglioso! Perfetto! Impeccabile! Impressionante!” esclamò Bilbo ad alta voce, ma dentro di sé pensava: ‘Vecchio stolto! Guarda quella gran chiazza scoperta nell’incavo sinistro del petto, nuda come una lumaca fuori dal guscio!’ Dopo aver visto quel che gli interessava, il signor Baggins pensava solo ad andarsene. “Be’, non voglio disturbare oltre Vostra Magnificenza,” disse, “o trattenerla dal riposo di cui ha certo bisogno. Penso che dare la caccia ai pony sia un po’ faticoso, quando si ricomincia a farlo dopo tanto tempo. E lo stesso è con gli scassinatori!” aggiunse come frecciata finale, balzando via e dandosela a gambe su per la galleria. Fu un’osservazione infelice, perché il drago gli sputò dietro fiamme spaventose, e Bilbo, per quanto risalisse di corsa il pendio, non si era ancora allontanato

abbastanza per trovarsi al sicuro quando l’orrenda testa di Smaug si avventò contro l’apertura alle sue spalle. Per fortuna l’intera testa e gli artigli non riuscirono a infilarsi, ma le narici sprigionarono fiamme e vapore infuocato che lo inseguirono fin quasi a raggiungerlo, mentre avanzava alla cieca, spaventato e dolorante. Aveva provato una gran soddisfazione per l’astuzia del suo dialogo con Smaug, ma lo sbaglio finale lo ricondusse bruscamente a un maggior buon senso. ‘Mai burlarsi di un drago vivo, stupido Bilbo!’ disse tra sé e sé, e quello sarebbe diventato uno dei suoi modi di dire preferiti, fino a trasformarsi in proverbio. ‘Non sei ancora arrivato alla fine di quest’avventura,’ aggiunse, e anche quello era verissimo. Il pomeriggio stava volgendo alla sera quando Bilbo arrivò alla fine della galleria, inciampò e cadde svenuto sulla “soglia”. I nani lo rianimarono e medicarono le sue bruciature come meglio potevano; ma sarebbe passato molto tempo prima che i capelli sulla sua nuca e i peli sui suoi talloni riprendessero a crescere normalmente: erano stati bruciacchiati e abbrustoliti fin sotto la pelle. Frattanto, i suoi amici fecero del loro meglio per rincuorarlo; non vedevano l’ora di ascoltare il suo racconto, desiderando specialmente sapere perché il drago avesse fatto un rumore così terribile, e come Bilbo fosse riuscito a fuggire. Ma lo hobbit era preoccupato e a disagio, e i nani stentarono a cavargli fuori qualcosa. Ripensando all’accaduto, Bilbo si rammaricava di aver detto certe cose al drago, e non aveva molta voglia di ripeterle. Il vecchio tordo stava appollaiato su una roccia lì accanto con la testa piegata su un lato, ascoltando tutto

quello che veniva detto. E, a riprova di quanto Bilbo fosse di cattivo umore, basti dire che raccolse una pietra e la scagliò contro il tordo, che si limitò a svolazzare da un lato e tornò indietro. “Uccellaccio della malora!” disse Bilbo irritato. “Credo che stia ascoltando, e non mi piace il suo aspetto.” “Lascialo in pace!” disse Thorin. “I tordi sono buoni e affabili; e questo in particolare è un uccello vecchissimo, forse l’ultimo superstite dell’antica stirpe che viveva da queste parti, docile alle carezze di mio padre e di mio nonno. Erano uccelli di una razza longeva e fatata, e questo potrebbe essere uno di quelli che vivevano allora, un paio di centinaia d’anni fa o forse più. Gli Uomini di Conca possedevano la chiave per capire il loro linguaggio, e li usavano come messaggeri da mandare in volo agli Uomini del Lago e altrove.” “Allora avrà proprio delle belle notizie da portare alla Città del Lago, se è questo che vuole,” disse Bilbo, “anche se non credo che laggiù ci sia ancora qualcuno interessato al linguaggio dei tordi.” “Ma che diamine è successo?” gridarono i nani. “Forza, deciditi a raccontarci tutto!” Così Bilbo raccontò tutto quello di cui riusciva a ricordarsi, e confessò di avere avuto la brutta sensazione che il drago avesse capito troppe cose grazie ai suoi indovinelli, in aggiunta agli accampamenti e ai pony. “Sono sicuro che sa che veniamo dalla Città del Lago e che lì abbiamo trovato aiuto; e ho l’orribile sensazione che la sua prossima mossa possa essere proprio in quella direzione. Volesse il cielo che non avessi mai parlato di Cavalcabarile: da queste parti

farebbe venire in mente gli Uomini del Lago anche a un coniglio cieco!” “Su, su! Ormai è fatta, ed è difficile non fare passi falsi parlando con un drago, almeno così ho sempre sentito dire,” disse Balin, ansioso di confortarlo. “Penso che tu ti sia comportato molto bene, se vuoi il mio parere: almeno hai scoperto una cosa utilissima e sei tornato indietro vivo, e questo è più di quanto possa vantare la maggior parte di coloro che si sono trovati a discutere con i simili di Smaug. Sapere che il vecchio Mostro ha una chiazza scoperta sul suo corpetto di diamanti può essere una fortuna e una benedizione.” Questo diede un nuovo indirizzo alla conversazione, e si misero tutti a discorrere di uccisioni di draghi storiche, dubbie, e mitiche, e dei vari tipi di pugnalate, stilettate e colpi dal basso, e dei diversi metodi, trucchi e stratagemmi grazie ai quali erano state compiute. L’opinione generale era che sorprendere un drago nel sonno non fosse facile come sembrava, e che il tentativo di colpirne o pugnalarne uno addormentato avesse più probabilità di risolversi in un disastro rispetto a un ardito attacco frontale. Per tutto il tempo in cui parlarono, il tordo rimase ad ascoltarli, finché, quando le stelle cominciarono ad affacciarsi in cielo, spiegò silenziosamente le ali e volò via. E per tutto il tempo in cui parlarono, mentre le ombre si allungavano, Bilbo si sentì sempre più mesto e il suo brutto presentimento crebbe. Infine li interruppe. “Sono sicuro che siamo in grave pericolo,” disse, “e non vedo il motivo di starcene seduti qui. Il drago ha fatto avvizzire tutto quel bel verde, e comunque è scesa la notte e fa freddo. Ma me

lo sento nelle ossa che questo posto verrà attaccato di nuovo. Adesso Smaug sa come ho fatto a scendere nella sua tana, e potete scommettere che non ci metterà molto a capire dov’è l’altra estremità della galleria. Farà a pezzi tutto questo fianco della Montagna, se necessario, per ostruire la nostra entrata, e se resteremo sotto le macerie sarà ancor più soddisfatto.” “Sei molto scoraggiato, signor Baggins!” disse Thorin. “Perché Smaug non ha ostruito l’estremità inferiore, allora, se ha tanta voglia di tenerci fuori? Non lo ha fatto, altrimenti l’avremmo udito.” “Non lo so, non lo so – forse perché all’inizio voleva provare a farmi tornare all’interno, e forse perché adesso vuole aspettare fin dopo la caccia di stanotte, o perché non gli va di rovinare la sua camera da letto se può farne a meno; ma vorrei proprio che non stessimo qui a discutere. Ormai Smaug può uscire da un momento all’altro, e la nostra unica speranza è quella di rintanarci nella galleria e chiudere la porta.” Era così risoluto, che alla fine i nani fecero come diceva, anche se rimandarono a più tardi la chiusura della porta – sembrava, infatti, un piano disperato, perché nessuno sapeva se e come fosse possibile riaprirla dall’interno; e la prospettiva di rimanere rinchiusi in un posto la cui unica via d’uscita portava nella tana del drago non era di loro gradimento. D’altronde, tutto sembrava abbastanza tranquillo, sia fuori sia in fondo alla galleria. Così, per un bel po’, rimasero seduti non molto lontano dalla porta semiaperta e continuarono a parlare. La conversazione passò alle maligne parole del drago sui nani. Bilbo desiderava non averle mai udite, o almeno avere la certezza che adesso i nani fossero

assolutamente sinceri quando sostenevano di non aver mai pensato a cosa sarebbe successo dopo aver conquistato il tesoro. “Sapevamo che sarebbe stata un’impresa disperata,” disse Thorin, “e lo sappiamo tuttora; ma sono convinto che quando lo avremo recuperato ci sarà abbastanza tempo per pensare al da farsi. Per quanto riguarda la tua parte, signor Baggins, ti assicuro che ti siamo più che riconoscenti e che sceglierai il tuo quattordicesimo appena avremo qualcosa da dividere. Mi dispiace che tu sia preoccupato per quanto riguarda il trasporto, e ammetto che le difficoltà sono grandi: col passare del tempo le contrade non sono diventate meno selvagge, semmai il contrario; ma faremo tutto quello che possiamo per te, e quando verrà il momento ci accolleremo la nostra parte delle spese. Sentiti libero di credermi oppure no!” Da lì la conversazione passò allo sterminato cumulo di ricchezze e ai beni che Thorin e Balin ricordavano. In particolare, si domandavano se nella sala laggiù ci fossero ancora, intatte, queste cose: le lance che avevano fabbricato per gli eserciti del gran Re Bladorthin (morto da tanto tempo), ciascuna con la punta a forgiatura tripla e con l’asta abilmente intarsiata d’oro, e che non erano mai state né consegnate né pagate; gli scudi fabbricati per guerrieri morti da tanto tempo; la grande coppa aurea di Thror, con due manici, cesellata e intagliata con uccelli e fiori dagli occhi e dai petali di gemme; cotte di maglia dorate, argentate e impenetrabili; la collana di Girion, Signore di Conca, fatta di cinquecento smeraldi verdi come l’erba, che aveva dato ai nani perché la incastonassero nell’armatura del figlio maggiore, una cotta 298

di anelli saldati come non se n’erano mai viste prima di allora, essendo di argento puro lavorato fino a divenire tre volte più potente e robusto dell’acciaio. Ma più bella di tutto era la grande gemma bianca, che i nani avevano trovato sotto le radici della Montagna, ovvero il Cuore della Montagna, l’Arkengemma di Thrain. “L’Arkengemma! L’Arkengemma!” mormorò Thorin al buio, sognante, con il mento poggiato sulle ginocchia. “Era come un globo dalle mille facce: splendeva come argento alla luce del fuoco, come acqua al sole, come neve sotto le stelle e come pioggia sulla luna!” Ma il desiderio ammaliante del bottino era caduto dal cuore di Bilbo. Ormai ascoltava quella conversazione solo per metà. Sedeva vicinissimo alla porta con un orecchio teso a qualsiasi barlume di suono, e con l’altro all’erta per cogliere, dietro il mormorio dei nani, un fremito o un qualsiasi fruscio che annunciasse un movimento proveniente dal basso. Il buio si fece sempre più fitto e lo hobbit divenne sempre più inquieto. “Chiudete la porta!” li implorò. “Il terrore per quel drago mi arriva fin dentro il midollo. Questo silenzio mi piace molto meno del rombo dell’altra notte. Chiudete la porta prima che sia troppo tardi!” Qualcosa nella sua voce provocò nei nani una sensazione di disagio. Lentamente, Thorin si riscosse dai suoi sogni e, alzatosi, fece ruzzolare via la pietra che faceva da fermaporta. Poi spinsero tutti insieme, e il battente si chiuse con uno scatto secco e metallico. All’interno non c’era nessuna traccia di buco della serratura. Erano chiusi nella Montagna!

E giusto in tempo! Avevano a malapena percorso pochi metri giù per la galleria, quando un urto immenso investì il fianco della Montagna, come lo schianto di mazze fatte di querce secolari e brandite da giganti. La roccia rimbombò, le pareti si squarciarono e dal soffitto cominciarono a piovere sassi sulle loro teste. Meglio non pensare a cosa sarebbe successo se la porta fosse stata ancora aperta. Si precipitarono nella galleria a gambe levate, lieti d’essere ancora vivi, mentre all’esterno, alle loro spalle, udivano il ruggito e il rombo della furia di Smaug. Stava facendo a pezzi le rocce, abbattendo pareti e rupi con le sferzate della coda poderosa, finché il loro piccolo slargo, l’erba bruciacchiata, il masso del tordo, le pareti con le chiocciole, la stretta cornice, tutto scomparve in una nube di frantumi e in una valanga di pietre scheggiate che rovinò oltre la rupe e nella valle sottostante. Smaug aveva lasciato la sua tana in silenzio e di soppiatto; nel buio, si era quietamente librato nell’aria per poi volare via, pesante e lento come un corvo mostruoso, trasportato dal vento verso la parte occidentale della Montagna, nella speranza di cogliervi di sorpresa qualcuno o qualcosa e di scoprire l’uscita del passaggio di cui il ladro si era servito. E quell’esplosione era il risultato della sua furia quando non era riuscito a trovare alcuno né a vedere alcunché, neanche dov’era convinto ci fosse l’apertura. Dopo aver sfogato così la sua collera, si sentì meglio e pensò in cuor suo che da quel lato non avrebbe avuto più noie. Nel frattempo, aveva un’altra vendetta da compiere. “Cavalcabarile!” sbuffò. “I tuoi piedi venivano dal fiume, e su per il fiume sei senz’altro 300

venuto. Non conosco il tuo odore, ma, se non sei uno degli Uomini del Lago, da loro ti sei fatto aiutare. Adesso mi vedranno e si ricorderanno chi è il vero Re sotto la Montagna!” In una nube di fuoco si levò e volò a sud, verso il Fiume Fluente.

This article is from: