IL SISTEMA DELLA GRIGLIA RISPETTO ALLO SPAZIO E ALLA FORMA
Universitá degli Studi di Roma Tre Dipartimento di Architettura Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura Laureanda: Ginevra Nazzarri Tutor: Dott. Stefano Gabriele Matricola: 476485 Anno Accademico 2015/2016
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INTRODUZIONE NEGLI ALTRI AMBITI:
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INDICE RID -G
IL SISTEMA DELLA GRIGLIA NELL’ AMBITO DELL’ ARTE:
Albrecht Durer Piet Mondrian Lebbeus Woods IL SISTEMA DELLA GRIGLIA NELL’ AMBITO DELLA BIOLOGIA: Darcy Thompson IL SISTEMA DELLA GRIGLIA COME TOPOLOGIA DELLA TRASFORMAZIONE
IN ARCHITETTURA:
L’EVOLUZIONE DELL’ IDEA DI GRIGLIA:
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2D-GRID L’USO DELLA GRIGLIA NELLO SPAZIO: STRUTTURALISMO: 11 1. ALDO VAN EYCK 2. LOUIS KAHN 12 13 3. KENZO TANGE 15 4. KISHO KUROKAWA 16 5. JOHN HABRAKEN E HERMAN HERTZBERGER 18 6. LE CORBUSIER
4D-GRID L’USO DELLA GRIGLIA NELLO SPAZIO E COME MATERIA: 1. GAUDÌ 2. FREI OTTO 3. LARS SPUYBROEK
CONCLUSIONE: PROGETTO FINALE:
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SOFT WAVES
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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ID
3D-GRID L’USO DELLA GRIGLIA COME MATERIA: 1. BUCKMINSTER FULLER 2. SHIGERU BAN 3. ACHIM MENGES
3D -GR
RID
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INTRODUZIONE
Premessa Quando mi è stato chiesto di studiare un tema che mi interessasse e di relazionarlo con i miei progetti, ho iniziato a pensare cosa potesse accumunare tutti i miei progetti, e cosa più in generale accumunasse tutti i progetti di architettura.
quadrati, triangoli... In questo caso però potremmo non limitarci a studiarla nello spazio piano ma anche in quello curvo, dove però muterebbe di forma, come per esempio fa un triangolo quando essendo trasportato nello spazio curvo, cambia la dimensione dei suoi angoli.
Mi è quindi venuto in mente di studiare come la forma ha origine nei miei progetti e cosa c’è alla base di questa forma, da cosa quindi è generata. A questo punto ho iniziato ad interrogarmi su cosa, pur essendo diversa ogni volta, è comunque presente alla base di ogni architettura. Quindi ho deciso di studiare il tema della griglia.
Interessante ci sembra però soprattutto considerare le affinità che ritroviamo tra lo stesso elemento della griglia considerato nei diversi ambiti, e la relazione con lo stesso elemento nell’ambito architettonico. Spiegandomi meglio, possiamo per esempio notare come architetti come Kahn o Eisenman hanno preferito considerare la griglia nello spazio piatto mentre Mayer e Shigeru Banu con le loro forme curve, hanno considerato la griglia come un elemento più complesso. Inoltre anche in ambito urbanistico, considerando ad esempio il Land ordinance Act del 1785, la griglia ha assunto un ruolo fondamentale, in quanto è stata trasformata in uno strumento urbanistico universale, in questo caso quindi “reticolo”, in grado di suddividere qualunque superficie.
Il termine griglia può essere definito in modo diverso a seconda dei diversi ambiti ma se volessimo provare a darne una definizione più generale, nell’enciclopedia Treccani possiamo leggere che è definita come “Qualsiasi struttura, di materiale vario, o anche tracciato, disegno, in cui più linee siano disposte parallelamente o si intersechino tra loro in modo da dare luogo a una serie di caselle” In generale comunque, considerando l’ampio raggio d’azione che ha la stessa parola griglia, andrebbe analizzata in modo diverso in ogni ambito, ma prima di considerarla nell’ambito che ci interessa, è interessante provare a capire come viene utilizzata in alcuni ambiti che in qualche modo possono influenzare il processo architettonico. Se proviamo a digitare la parola griglia in Wikipedia arriviamo ad una pagina di disambiguazione, infatti il termine griglia lo ritroviamo in qualsiasi ambito, a partire da quello artistico, per esempio con il matematico e pittore tedesco, Durer, che usava nei suoi disegni una griglia rettilinea, e trasformando essa, modificava a sua volta i volti che disegnava; usando in qualche modo la griglia come un sistema di coordinate. Fino ad arrivare all’esempio più lampante che sono le mappe, o la stessa terra, infatti anch’essa come sappiamo è formata da una griglia descritta da meridiani e paralleli. Ritroviamo poi l’elemento della griglia anche ovviamente nell’ambito matematicogeometrico, in quanto una griglia può sicuramente essere fatta di più elementi geometrici, 2
Che cos’è quindi una griglia? Risulta difficile darne una definizione univoca in quanto la sua definizione tende a cambiare a seconda dell’ambito in cui la consideriamo. In questo caso però non ci interessa darne una definizione, ci limiteremo a studiarla nell’ambito che ci appartiene, quello architettonico, ponendoci alcune tra le domande più frequenti in architettura, come: “è riconoscibile in questo progetto un’idea di griglia?” Oppure “la griglia strutturale ci sembra corrispondere alla distribuzione funzionale?”
NEGLI ALTRI AMBITI IL SISTEMA DELLA GRIGLIA NELL’ AMBITO ARTISTICO Albrecht Durer Durer è stato un pittore e anche un matematico. Ha vissuto tra il 1471 e il 1528. E ‘stato un rappresentante del Rinascimento tedesco. Ha vissuto a Norimberga e viaggiato in Italia e nei Paesi Bassi. Diffondendo le nuove tecniche della prospettiva. Ha scritto due libri in tedesco di particolare interesse per noi. Il primo è un trattato di geometria descrittiva (Underweysung Underweysung der Messung) Il secondo libro è “ The four Books of Human Proportions” ( “Vier Bücher von Menschlicher Proportionen”), che contiene anche nozioni di carattere matematico. Nel secondo libro egli descrive i metodi per modificare le proporzioni delle figure, in particolare, le teste e le facce. Durer ha inoltre utilizzato griglie rettilinee nei suoi disegni. Niente di nuovo perché queste griglie erano giá note migliaia di anni prima di lui e vi sono infatti prove archeologiche che gli antichi Egizi,per esempio, utilizzarono griglie rettilinee nei loro disegni. Durer peró ha usato un nuovo approccio, infatti trasformando la griglia modificava a sua volta teste e volti. In qualche modo ha quindi usato la griglia come un primitivo “sistema di coordinate”.L´approccio di Durer si basava su trasformazioni geometriche di diversi tipi, alcuni di queste possono essere definite come “trasformazioni affini”. Le trasformazioni affini sono trasformazioni lineari che conservano il parallelismo (le linee parallele rimangono parallele dopo la trasformazione), come la compressione in una direzione (stretching). Infatti nel suo “Trattato delle Proporzioni” Durer aveva impiegato in un modo simile a come poi farà il naturalista scozzese Thompson, dei diagrammi di trasformazione per illustrare il modo in cui i caratteri del viso umano si modificano in relazione a delle deformazioni geometriche. Albrecht Durer, “The four Books of Human Proportions”, 1528.
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Piet Mondrian Attorno al 1917, Mondrian conosce il pittore Theo van Doesburg, principale fondatore del gruppo De Stijl e della rivista omonima concepita per diffonderne le idee. Per van Doesburg e per il designer Gerrit Rietveld, un altro membro del gruppo divenuto celebre grazie alla sua Sedia rosso-blu, il colore è il fondamento dell’arte. Sotto la loro influenza, Mondrian inizia a usare il colore come elemento essenziale delle sue composizioni, optando per la forma più basilare: i tre colori primari, cioè rosso, giallo e blu; e i tre non-colori, ossia nero, bianco e grigio. Secondo la teoria che lo stesso Mondrian definì neoplasticismo, lo scopo ultimo dell’artista consiste nel ridurre la rappresentazione alla sua funzione più elementare: “In pittura si deve cercare, in primo luogo, di vedere la composizione, il colore e la linea, e non la rappresentazione in quanto tale. Alla fine si perverrà a percepire il soggetto come un impedimento”. Le opere più note di Mondrian perseguono questo scopo: esse consistono infatti in una serie di rettangoli nei colori primari, separati da una griglia di linee nere verticali e orizzontali, indispensabili per evitare che un rettangolo dipinto suggerisca un’illusione di profondità. Dipinti come Composizione con rosso, giallo e blu intendono essere totalmente impersonali, controllati e armoniosi, e vogliono trasmettere un senso di equilibrio che, per Mondrian, riveste un forte significato spirituale. Queste tele lo portano ad un particolare ascetismo pittorico, che lo spinge a rifiutare ogni legame con la realtà materiale, per cercare nella semplicità geometrica un’armonia e una grazia che lo conducano a contatto con l’assoluto. Egli conserverà quest’austera visione artistica per il resto della vita, sviluppando variazioni sui principi essenziali delle sue composizioni, ad esempio usando tele romboidali come base per i suoi raggruppamenti di linee e colori.
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Infatti, tra il 1921 e il 1925 Mondrian abbandona il formato tradizionale dei suoi dipinti ed esegue la serie delle losanghe, in risposta alle composizioni realizzate negli stessi mesi da Van Doesburg. Uno dei temi più dibattuti all’interno del gruppo De Stijl è la divisione tra chi usa solo linee verticali e orizzontali e chi, invece, ammette anche quelle diagonali. Così facendo, Mondrian sembra suggerire una sorta di compromesso, dipingendo solo linee ortogonali ma ruotando la composizione al fine di creare linee oblique. Come detto, il dibattito più acceso all’interno del gruppo De Stijl si svolge tra chi usa solo linee orizzontali e verticali e chi accetta l’introduzione, nelle composizioni, di linee diagonali. Con la serie delle Losanghe, Mondrian sembra suggerire una sorta di compromesso: dipinge solo linee ortogonali, ruotando però la composizione. Così facendo, si viene a creare all’interno della “griglia” una forma geometrica fino a quel momento sconosciuta nelle opere di Mondrian: il triangolo. Negli ultimi anni i critici hanno approfondito i rapporti tra Mondrian e le teorie teosofiche alle quali si è ispirato. Queste lo portano a un particolare ascetismo pittorico, che spinge l’artista a rifiutare ogni legame con la realtà materiale per cercare nella semplicità geometrica un’armonia e un equilibrio superiori, di tipo spirituale. In questa splendida composizione si vede come la suddivisione geometrica, formata da spesse linee ortogonali nere, formi quadrati e rettangoli, ma anche triangoli, disposti in maniera asimmetrica e irregolare. Questi sono bianchi o dipinti con i colori primari, il rosso, il giallo e il blu, mentre i due quadrati e il rettangolo rimangono bianchi.
Piet Mondrian, “Composizione con rosso,giallo e blu”, 1921.
Piet Mondrian, “Losanga con rosso, giallo e blu”, 1921 - 1925
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Lebbeus Woods “It was almost a badge of honor to never have anything built, because you were not a victim of the client” Invece di lavorare con le imprese di costruzione e Ingegneria,Woods ha ideato creazioni provocanti che non sono state vincolate dalle regole della società o persino dalla natura.
Lo spazio è stato progettato per ampliare la portata e la profondità delle nostre esperienze. Questo è il suo unico scopo, la sua unica funzione. Se uno dovesse dare una motivazione agli scettici per la creazione di tali spazi sperimentali nel contesto di questo grande progetto di sviluppo urbano, sarebbe questa: il nostro mondo in rapida evoluzione ci mette di fronte costantemente con nuove sfide per la nostra capacità di comprendere e di agire, incoraggiandoci incontrare nuove dimensioni di esperienza.
L’impatto di Woods nel mondo dell’architettura, e’stato principalmente l’affermare che gli spazi umani nel tempo sono diventati noiosi e ripetitivi e gli esseri umani hanno iniziato ad abituarsi a viverci, Woods al contrario durante la sua carriera ha porttao avanti una sfida contro quella che lui definiva la “onnipresenza della griglia cartesiana”. Le visioni fantastiche di Woods includevano edifici progettati per le zone sismiche che potrebbero muoversi in risposta a terremoti, o una città tentacolare che esisterebbe sotto una Berlino divisa, fornendo una sorta di salone sotterraneo in cui persone provenienti da Oriente e Occidente possono mescolarsi, libere da le ideologie contrastanti dei loro governi. The Light Pavilion by Lebbeus Woods in collaboration with Christoph a. Kumpusch, in the Raffles City complex in Chengdu, China, by Steven Holl Architects Situato all’interno di un più nota geometria tridimensionale e incorniciato da essa, il Padiglione Luce esercita le sue differenze. Apparentemente gli elementi che lo definiscono non seguono la nota geometria rettilinea della sua impostazione architettonica.Le colonne che supportano le scale e piattaforme di osservazione obbediscono ad una geometria definita da una dinamica di movimento. La loro deviazione dalla griglia rettilinea sposta i gli spazi da una stabilità statica e li mette in moto, incoraggiando i visitatori ad esplorarli.
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Lebbeus Woods in collaboration with Christoph a. Kumpusch, “Light Pavilion”, 2007 - 2012.
IL SISTEMA DELLA GRIGLIA NEL MONDO DELLA BIOLOGIA Darcy Thompson “il mio unico proposito è di mettere in rapporto con le definizioni matematiche e le leggi fisiche alcuni dei più semplici fenomeni esteriori dell’accrescimento organico, della struttura e della forma, considerando come ipotesi che ilcomplesso dell’organismo sia un insieme meccanico e naturale” D’Arcy Wentworth Thompson era un naturalista scozzese che nel 1917 ha scritto un libro chiamato “On Growth and Form” , tradotto in italiano con il titolo “Crescita e forma” . Questo libro rappresenta il tentativo di condurre una coerente indagine di carattere fisicalista sulla forma nonché sulle dinamiche di accrescimento degli organismi viventi. Il famoso biologo infatti utilizzava dei diagrammi geometrici di deformazione, ovvero delle griglie deformabili per studiare la variazione delle forme degli organismi viventi appartenenti ad una stessa specie. Nei suoi disegni il profilo dell’organismo viene inscritto in un sistema di coordinate cartesiane che viene sottoposto a vari tipi di deformazioni in modo da ottenere la conseguente alterazione della figura inscritta nel diagramma; Darcy Thompson indagava così le forme organiche che studiava come risultati di trasformazioni geometriche. Le opere di Thompson, così come quelle del Durer costituiscono infatti dei riferimenti culturali per molti architetti contemporanei che nella progettazione si mostrano interessati ai processi formali basati su tecniche di deformazione e distorsione della forma.
Darcy Thompson, “On Growth and Form”, 1917.
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IL SISTEMA DELLA GRIGLIA COME TOPOLOGIA DELLA TRASFORMAZIONE
L’ Architettura intesa come topologia della trasformazione riguarda una parte della sperimentazione architettonica che punta verso una crescente libertà nella configurazione degli edifici producendo opere dalle forme curvilinee, piegate,ondulate, ritorte, in altre parole delle architetture plastiche, con un approccio geometrico nella progettazione riferibile agli aspetti dinamici della geometria topologica, e quindi ai più generali processi di trasformazione continua delle figure geometriche. Topologia Come è noto la Topologia, che fa parte della matematica moderna e che nasce ufficialmente nel 1895, è anche chiamata la geometria del foglio di gomma perchè consente tutte le trasformazioni possibili di una figura costruita con materiale deformabile quando si manipola la figura così costruita in qualsiasi modo, ad esempio stirandola, curvandola,piegandola, ecc.. senza però strapparla o lacerarla. La geometria topologica è una geometria flessibile e dinamica che, a differenze della geometria euclidea, consente le deformazioni elastiche delle figure. Ad esempio, la topologia pone l’equivalenza tra una figura geometrica regolare, quale può essere quella di un cerchio, di un quadrato, di un rettangolo, e la stessa figura deformata. Esse si dicono infatti topologicamente equivalenti perchè l’una può essere trasformata nell’altra mediante una trasformazione continua, ovvero attraverso un movimento elastico. Ancora, ad esempio, un cerchio ed un quadrato per un topologo sono sempre la stessa figura perchè l’uno è trasformabile nell’ altro in modo continuo; insomma in topologia la forma e le dimensioni sono trascurabili. Così si potrebbe anche immaginare che attraverso alcune fasi di un processo dinamico di trasformazione di un toro, che è una superficie a forma di ciambella, possa essere deformato con continuità nella superficie, ad esempio, di una tazza. Quindi dal punto di vista topologico possiamo considerare le forme come il prodotto della trasformazione continua di altre forme.
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Trasformazione topologica, una deformazione continua di una tazza di caffè in un toro .
IN ARCHITETTURA
Premessa Il sistema della griglia, e la ripetizione di un sistema, é visibile in architettura in quasi tutta la sua storia, ma é più comunemente associato con l’architettura moderna della metà del 20 ° secolo. La funzione di base degli elementi che compongono la griglia é di promuovere la ripetizione e fornire un modello, elementi chiaramente dimostrati nell’arte e l’architettura dei secoli precedenti e che hanno quindi radici molto prima del periodo modernista. Il sistema della griglia può essere visto nella ripetizione di modelli all’interno di numerose forme di arte antica. Evidente nell’antica arte della tessitura, una delle più antiche forme d’arte, che è composta di molti nodi ripetuti organizzati poi in un unico modello che costituisce l’intera opera d’arte. La griglia, nella sua forma più semplice, non è altro che l’elaborazione di ordine, coordinate geometriche . Con l’uso continuo di queste coordinate, viene creata la ripetizione, che è uno dei più antichi motivi visibili sia in arte che in architettura. La ripetizione é stata utilizzata da quasi tutte le generazioni di artisti. Anche nelle prime forme di arte, persino gli uomini delle caverne usavano strutture ripetute di simboli e animali sulle pareti delle loro abitazioni o nei geroglifici egiziani che sono scritti in una griglia verticale. Inoltre, probabilmente abusato dai modernisti, il sistema di griglia è largamente dimostrato non solo dai piani, ma anche all’interno delle finestre e dei sistemi di facciate continue per il vuoto tra vetro e montante. Questo concetto è stato utilizzato prima dai simbolisti dove la griglia appare sotto forma di finestre, attraverso i vuoti tra reticolati vetro della finestra e montanti. Il sistema di griglia è molto visibile nell’arte di Piet Mondrian e l’architettura di Le Corbusier. La capacità di questi artisti di sfruttare i vantaggi della griglia ha ispirato i futuri artisti a portare la geometria e l’ordine della griglia al livello successivo. Il sistema della griglia ha avuto un effetto molto influente nella storia delle arti. La sua capacità di infondere ordine e portare ripetizione ha permesso agli elementi di essere suddivisi nelle loro componenti più elementari.
In questo modo gli artisti possono creare partendo da elementi di base, griglie piú complesse che differenziano le une dalle altre mantenendo comunque elementi comuni. Per esempio i progetti di Le Corbusier seguono spesso il concetto di dividere le funzioni secondo una griglia,funzioni che poi si sovrappongono e creano spazi dinamici. Infatti molti dei disegni di Le Corbusier non sarebbero apparsi proporzionale senza un sistema di griglia nel quale inquadrare il suo lavoro. Per esempio anche la città di Manhattan sarebbe molto diverso se non fosse stata progettata con un sistema di blocchi uniformi e proporzionali tra loro. In ogni caso Il sistema della griglia ha influenzato l’arte e l’architettura molto tempo prima dell’avvento del design modernista. I benefici dell’uso della griglia infatti possono essere visti in molte forme d’arte, partendo dall’arte e l’architettura di civiltà primitive, i dipinti stilizzati di modernisti come Mondrian, fino alla partitura di un brano musicale di Mozart. Possiamo quindi analizzare il sistema della griglia in architettura partendo da un esempio di griglia più regolare,dove essa mantiene una sua rigidità , fino ad arrivare a sistemi più complessi come ad esempio con Lars Spuybroek dove la griglia essendo costituita da un sistema biologico, finisce per organizzarsi da sola. Partiremo quindi analizzando il movimento dello Strutturalismo e del Metabolismo con le sue griglie regolari ma la costante attenzione alla relazione che esiste tra la griglia strutturale e lo spazio che essa racchiude. Passeremo poi attraverso un uso della griglia più materico, come nella costruzione delle grid shell o delle cupole geodetiche, dove la griglia viene trasportata nello spazio curvo e assume nuove forme. Concluderemo infine analizzando un uso più complesso della griglia,arrivando a parlare di griglia intesa nelle quattri dimensioni come oggeto in costante movimento, quindi dinamico, dove ritroviamo quell’attenzione riguardo la relazione tra lo spazio e la struttura della griglia, ma allo stesso tempo un’idea alquanto evoluta e più astratta rispetto a quella da cui eravamo partiti con il movimento dello strutturalismo e del metabolismo.
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L’EVOLUZIONE DELL’IDEA DI GRIGLIA L’USO DELLA GRIGLIA NELLO SPAZIO Strutturalismo “Structuralism is the belief that phenomena of human life are not intelligible except through their interrelations. These relations constitute a structure, and behind local variations in the surface phenomena there are constant laws of abstract culture.” Simon Blackburn Nel nuovo movimento architettonico c’è spesso la tendenza a chiamare strutturalista tutto ciò che assomiglia ad una trama tessuta e ad una griglia. Questo sarebbe però un modo superficiale di guardare le cose. Per sua natura il movimento dello strutturalismo riguarda la configurazione delle unità che costituiscono la forma architettonica, qualunque esse siano (spaziali, comunicative, di costruzione o di altro tipo) a tutte le scale urbane. Solo quando gli utenti hanno preso possesso delle strutture attraverso il contatto, l’interpretazione o lo studio dei dettagli, allora le strutture raggiungono il loro stato completo. Ogni architettura che ha una tendenza verso il movimento del formalismo è quindi esclusa. Inoltre le forme flessibili, che sono state molto discusse, sono anch’esse respinte in quanto definite come un neutrale sistema chiuso, poiché non offre la soluzione appropriata per qualsiasi condizione archittettonica. Nell’architettura dello strutturalista Herman Hertzberger, la forma può essere trovato sia nel più piccolo dettaglio che nella struttura più complessa, sia che si parli in termini di organizzazion dello spazio, dettaglio della facciata o progettazione al livello urbano. Quindi da una parte, vi è un movimento chiamato Aesthethics of number che è stato formulato nel 1959. Questo concetto può essere paragonato a quello di un tessuto cellulare. Il prototipo più influente di questa direzione è l’orfanotrofio ad Amsterdam di Aldo van Eyck, completato nel 1960. Questo movimento può anche essere definito come Spatial Configurations in Architecture.
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Il principio dell’ Aesthethics of number si è rivelato meno adatto per strutturare un’intera città. Tuttavia furono presentati esempi di articolate configurazioni anche al livello urbano. Le prime immagini in questa direzione sono fornite da Aldo van Eyck con le foto aeree sul suo orfanotrofio in Amsterdam (1960). Più tardi ha ideato anche un’altra configurazione architettonica interessante per il Centro Spaziale Estec a Noordwijk (1989). Queste due composizioni possono essere annoverati tra le più belle “icone” dello strutturalismo. D’altra parte, vi è un movimento chiamato Architecture of Lively Variety (Structure And Coincidence) che è stato formulato da John Habraken nel 1961 con l’idea di far partecipare gli utenti nell’ideazione delle abitazioni. Inoltre, nel 1960, molti progetti utopici ben noti sono stati basati sul principio di Structure And Coincidence. Il prototipo più influente di questa direzione è la Camera di Yamanashi Cultura a Kofu di Kenzo Tange, completato nel 1967. Questo movimento resta rilevante fino ad ora, sia per i suoi schemi di edilizia residenziale che in campo urbanistico. Per quanto riguarda gli schemi di edilizia reseidenziale possiamo ricordare alcuni progetti maggiormente influenti: il disegno prospettico del progetto “Forte l’Empereur” ad Algeri di Le Corbusier (1934) e il disegno isometrico del sistema di custodia “Diagoon” di Delft da Herman Hertzberger (1971). Per quanto riguarda invece il livello urbano, progetti importanti sono stati: la baia di Tokyo Piano di Kenzo Tange (1960) e le affascinanti immagini del modello della Free University of Berlin di Candilis Josic & Woods (1963). Inoltre, vale la pena menzionare le utopie del metabolismo, come gli Archigram e Yona Friedman.
AESTHETICS OF NUMBER
Aldo van Eyck L’ architetto olandese Aldo van Eyck ha costruito l’Orfanotrofio ad Amsterdam nel 1960. Il suo progetto è incentrato su un equilibrio di forze per creare al tempo stesso sia una casa che una piccola città nella periferia di Amsterdam. Ha creato quindi un nodo urbano decentrato con molti punti di interazione all’interno del piano. Van Eyck era interessato a uno sviluppo non gerarchico delle città e nel Orfanotrofio di Amsterdam ha creato un edificio con molte condizioni “nel mezzo” per abbattere la gerarchia degli spazi. L’edificio è costruito da moduli di due diverse dimensioni, una dimensione più piccola per le residenze, e una dimensione più grande per gli spazi della comunità. I moduli sono costituiti da quattro colonne rotonde poste agli angoli con un tetto a cupola in calcestruzzo. Le numerose facciate dell’edificio sono costituite o come una parete di vetrata oppure come un solido muro di mattoni marrone scuro. L’orfanotrofio di Van Eyck ad amsterdam si basa su una griglia modulare che definisce il sistema dei percorsi su cui si agreggano I moduli base che formano il volume. Questo assume un perimetro irregolare lungo il quale sono presenti una serie di concavità che si si dispongono secondo una sequenza diagonale. Essa definisce la struttura dell’intero impianto in quanto in questa direzione si collocano i vuoti, spazi aperti verso il cielo e verso l’esterno,che i pieni , gli spazi comuni di relazione e di incontro tra i bambini e infine di connessione tra le parti.
Aldo Van Eych, Orfanotrofio, Amsterdam, Olanda, 1960.
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Louis Kahn Struttura e spazio sono un tutto unico La pianta libera della griglia regolare razionalista, degli indipendenti panelli ondulati o rettilinei per formare un involucro trasparente tra interno ed esterno è un errore. Spazio e struttura formano in Palladio un tutto unico, inscindibile, coesivo. È la stanza l’origine della architettura. Attorno a questa la ragione profonda e simbolica della funzione trova il suo punto di coagulo. Spazio, struttura, luce e persino gli impianti vi trovano la ragione del loro esistere.
è volutamente enfatizzato, al fine di marcare la modularità della griglia di progetto. Quando i pannelli si affacciano sull’esterno sono rivestiti da una lamina d’acciaio brunito.
Yale Center For British Art Quasi venti anni dopo, nel 1969, Kahn ritorna a costruire a Yale. Il lotto a disposizione si trova dall’altra parte della strada rispetto al precedente. (Yale University Art Galery 1951-53) L’occasione fu la donazione all’Università da parte di un benefattore privato di una collezione di arte inglese. Il progetto consiste in una riduzione estrema e definitiva dei temi affrontati nel 1951. Del progetto precedente rimangono molti temi e citazioni: dalla maglia geometrica impostata sulla figura del cubo, alla scala monumentale contenuta nel cilindro. Anche ora l’atteggiamento è discreto e modesto: un’architettura dalle facciate non appariscenti, senza segni distintivi a marcare gli accessi, che pongono i due edifici come presenze discrete nel panorama urbano eterogeneo del Campus universitario.
La definizione dei dettagli è il coronamento di un metodo sperimentato in venti anni di progetti e mai arrivato ad un tale livello di compiutezza. L’edificio funziona come un orologio ed è l’espressione perfetta dell’idea dell’assemblaggio, con infinite variazioni, di elementi modulari uguali.
Montati sulla copertura ci sono imponenti lucernari a tronco di piramide cava, che lasciano cadere dall’alto la luce negli ambienti dell’ultimo piano e nelle due corti interne, in realtà le sale maggiori, sulle quali si affacciano le altre più piccole. Infine isolata al centro, c’è l’imponente e misterioso cilindro in cemento della scala principale.
La galleria esprime nella struttura a traliccio, che emerge fin all’esterno, la sua natura di edificio montato secondo un principio modulare. Sono assenti le masse murarie e la drammaticità dei chiaroscuri che caratterizzavano la gran parte delle architetture di Kahn in quegli anni, scompare il tema della facciata e del suo ruolo costruttivo. L’ossatura portante è una cristallina griglia di cemento a vista che, come un foglio a quadretti, riesce ad ordinare e configurare ogni elemento dell’edificio. All’interno della griglia strutturale sono incastrate le pareti, costituite da pannelli assemblati in legno di quercia, nella cui intercapedine cava passano gli impianti tecnologici. Il segno che lasciano i giunti dei pannelli delle casseforme in cui è colato il cemento liquido 12
Louis Kahn, Yale Center For British Art, New Haven, Connecticut, 1969.
STRUCTURE AND COINCIDENCE Kenzo Tange Strutturalismo e Funzionalismo Nel 1960, l’architetto giapponese Kenzo Tange ha progettato il suo noto piano urbanistico per la Baia di Tokyo. Riflettendo in seguito riguardo la fase iniziale del progetto, ha detto: “ E ‘stato, credo, intorno al 1959 o all’inizio degli anni sessanta, che ho cominciato a pensare a quello che è stato poi chiamato Strutturalismo.” Tange ha anche scritto l’articolo “Function, Structure and Symbol, 1966”, in cui descrive il passaggio da un modo di pensare funzionale a quello strutturale. Egli inoltre considera il periodo tra il 1920 ed il 1960 sotto il titolo di “funzionalismo” e il periodo dal 1960 in poi sotto il titolo di “strutturalismo”. Kenzo Tange - Tokyo Bay Masterplan La trasformazione da una città centralizzata in una città disposta lineramente, come nel progetto di Kenzo Tange, dove le comunità e le città più piccole si dovrebbero predisporre lungo un asse principale si presenta come una soluzione particolarmente sensata per Tokyo. Inoltre pensare alla Tokyo di domani come un sistema lineare con molti centri più piccoli e le persone che vivono lungo un asse di lavoro per imprese decentrate senza perdere la possibilità dell’ interazione fisica sembra una ragionevole conclusione al problema della vicinanza per tutte le persone dei servzi comuni essenziali. Tokyo ha infatti la fortuna di essere situata vicino ad una baia che permette una dilatazione lineare.
Inoltre il progetto di espansione di Tokyo proposto da Kenzo Tange è suddiviso in quattro parti principali: 1) Il Collegamento con la città di Tokyo e l’espansione lineare proposta: Il primo passo nella creazione dell’asse urbano è la costruzione di un sistema di trasporti posto ad una altezza di 40 metri rispetto alla esistente Tokyo e che tocchi la terra solo nei nodi di interscambio. Questo sistema si dovrebbe collegare a tutte le principali autostrade e ferrovie. 2) La circolazione del traffico lungo l’asse urbano: Il sistema di circolazione del traffico si stacca dal terreno e suggerisce una forte separazione tra il traffico automobilistico ed i pedoni. È stato progettato per trasportare fino a 5.000.000 persone ogni giorno. La griglia sulla quale si basa il sitema stradale è composta da una serie di quadrati che si estendono laterlamente di un chilometro. Infine gli edifici pubblici si trovano tra le due strade parallele, mentre le zone residenziali sono distribuite lungo gli assi esterni. 3) Le due forme principali di edifici commerciali: Gli edifici commerciali sono anch’essi staccati da terra e sono disposti sui cosiddetti “cores” che sono organizzati su una griglia composta da quadrati con lato di 200 metri. L’altezza media dei “cores” è tra 150 e 200 metri e lascia circa 40 metri di spazio aperto al di sotto degli edifici. Mentre uno dei tipi edilizi è basato strettamente sulla griglia l’altro ha invece la forma di una spina che punta agli spazi pubblici. 4) La crescita organica e perpendicolare della zona residenziale: Gli edifici residenziali sono collegati all’asse urbano attraverso un sistema di strade perpendicolari. Come le foglie di un albero le zone residenziali sembrano crescere lontano dall’asse urbano. Gli edifici risiedono su enormi piattaforme sull’acqua e ripropongono il vecchio rapporto tra la popolazione di Tokyo e il mare.
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Kenzo Tange, Piano Urbanitisco della Baia di Tokyo, Giappone, 1960.
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Kishō Kurokawa Il Nakagin Capsule Tower è un edificio ad uso misto residenziale e commerciale ubicato tra Shimbashi e Ginza a Tokyo, in Giappone, e progettato dall’architetto Kishō Kurokawa. L’edificio è un raro esempio del movimento metabolista, emblematico della rinascita culturale del Giappone nel dopoguerra e primo esempio al mondo di capsula architettonica costruita per un effettivo utilizzo. L’edificio è ancora in uso ma a partire dal 2010 è stato progressivamente abbandonato. Completato nel 1972, nella sua concezione l’architetto si è ispirato ad alcune delle strutture dell’Expo 1970 di Osaka e l’edificio è stato progettato per andare incontro principalmente alle esigenze abitative dei lavoratori pendolari o comunque da una tipologia di inquilino residente a Tokyo solo per brevi periodi, un neonomade definito da Kurokawa homo movens. L’edificio è composto da due torri, una di tredici piani e una di undici, interconnesse tra loro con passatoie installate ogni tre piani, realizzato con capsule sovrapposte ancorate con supporti e cavi d’acciaio alla struttura di cemento armato delle torri; dal piano terra si accede all’immobile attraverso un ampio atrio. Il numero totale delle capsule è 140 di cui 78 disposte nella prima torre (torre A) e 62 unità nella seconda (torre B). Secondo alcune fonti il numero totale delle capsule non sarebbe 140, bensì 144. Tutte le capsule abitative misurano 2,3 metri di larghezza per 3,8 di lunghezza e 2,1 metri di altezza e l’area di ciascuna di esse dovrebbe essere corrispondente a quella della stanza riservata nelle case giapponesi al tradizionale cha no yu. L’elemento più caratteristico è l’oblò che rappresenta l’unica finestra delle singole capsule abitative prefabbricate e che originariamente era possibile oscurare dall’interno con una tenda circolare costruita a foggia di ventaglio. All’interno, due delle quattro pareti sono arredate da specifici mobili su misura che includono sportelli, televisione, telefono, un registratore audio, radio, una scrivania estraibile e, al di sotto dell’oblò, è ubicato il letto futon, nel più tipico stile giapponese. Le capsule sono tutte dotate di un vano che ospita i servizi igienici del tutto analoghi a quelli presenti a bordo di aerei, navi o treni ma in cui è presente una vasca da bagno, secondo gli usi giapponesi. La cucina non è prevista anche se è disponibile un piccolo frigobar. La struttura principale era stata progettata per una durata di sessanta anni mentre i moduli abitativi si sarebbero dovuti sostituire ogni venticinque/trenta anni, studiati per essere rimovibili indipendentemente dalla loro ubicazione.
Kisho Kurokawa, Nakagin Capsule Tower, Giappone, 1972.
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Herman Hetzberger Central Beheer Il progetto per l’edificio per uffici Centraal Beheer è il più importante contributo di Hertzberger al concetto di ‘Architecture Forum’. Tutte le sue idee su implicazioni sociali dell’architettura sono incluse in questo progetto. La Commissione ( ‘un’area di lavoro per 1000 persone’), e il fatto che i dipendenti in media trascorrono più tempo in ufficio che a casa hanno portato alle seguenti premesse: 1. l’Architettura dovrebbe aumentare il contatto tra i suoi inquilini / utenti e farla finita con inibizione soglie; 2. L’ Architettura dovrebbe formare un intero sociale privo di gerarchie; 3. Le postazioni di lavoro individuali dovrebbero essere sia riconoscibile all’interno del complesso, ma anche liberamente separate da esso; 4. L’ Architettura non dovrebbe essere gerarchica o rappresentativa. L’edificio è costituito da quattro quadranti separati da una zona neutra contenente spazi comuni,servizi igienici e locali tecnici. Tre quadranti servono come spazio per gli uffici, gli altri invece contengono spazi comuni come un ristorante, aree ricreative e funzioni pubbliche. Con la sua struttura flessibile, l’edificio può essere inoltre espanso con facilità. Centraal Beheer è costruito utilizzando un modello standard ripetuto, che collabora a stretto contatto con la struttura di supporto per fissare la suddivisione in zone degli spazi interni.
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John Habraken Habraken è un architetto olandese, educatore e teorico. I suoi contributi teorici sono soprattuto nel campo dell’edilizia di massa e riguardo l’integrazione di utenti e residenti nel processo di progettazione. Nel suo libro “Supports: An Alternative to Mass Housing” - pubblicato nel 1961 - Habraken propone la separazione dei “supports” o edifici di base dagli “infills” o tamponamenti nella costruzione residenziale e afferma che il ruolo del design è quello di fare in modo che gli abitanti possano partecipare significativamente nel processo di progettazione. Secondo Habraken l’attuazione della sua teoria, quindi la messa in pratica è lasciata agli architetti. Il tema “Residente o utente che partecipa” è infatti strettamente conneso in architettura al movimento strutturalista ed al suo principio di Open Building. Open Building John Habraken ha articolato per la prima volta i principi dell’Open Building nel suo libro “Supports: An Alternative to Mass Housing.” Egli sosteneva che l’edificio inteso come abitazione deve sempre riconoscere due domini di azione, quello della comunità e quello del singolo abitante. Infatti quando l’abitante viene escluso, il risultato è uniformità e rigidità. Invece quando viene incluso solo l’individuo, il risultato può essere il caos e il conflitto. Questa formulazione esprime la necessità di equilibrio e controllo tra le due parti ed ha avuto implicazioni per tutti gli ambiti coinvolti nel processo di costruzione, tra cui anche gli architetti.
Herman Hetzberger, Centraal Beheer , Aperldoorn, Olanda, 1972.
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Le Corbusier La “Grille CIAM” di Le Corbusier La “Griglia urbanistica” è stata preparata dal gruppo ASCORAL sotto la guida di Le Corbusier nel 1947 a Parigi12 e presentata al VII CIAM di Bergamo nel 1949. Per descrivere il lavoro eseguito nella preparazione della “Griglia CIAM” Le Corbusier esordiva esaltandone le qualità: «E ora vi parlerò di un genere poetico tutto speciale, il genere poetico della classificazione!». Una prima questione riguarda le possibilità di comunicazione che sono connesse all’uso della Griglia, le sue capacità illustrative, la sua funzione tecnica. Poiché le «montagne di carta impediscono all’urbanista di progredire» e poiché gli occhi registrano con rapidità ciò che la lettura acquisisce molto lentamente, la Griglia consente di comunicare e di vedere simultaneamente molti problemi e il loro intrecciarsi. «L’intersecarsi delle linee verticali e delle linee orizzontali nel tessuto di una Griglia fa affiorare una quantità di elementi utili alla discussione». Ma la Griglia non serve solo a mostrare, essa «è uno strumento, ma ha parecchie possibilità diverse. Prima di tutto è uno strumento per pensare. Si compone di parecchie parti distinte». Dalla complessità del problema urbanistico, messo in evidenza da Le Corbusier, che trova nella griglia una possibilità di ordine e l’appoggio di una chiara «architettura intellettuale in mezzo al caos», si passa ad uno uso della Griglia nella soluzione dei problemi che si pongono nel corso del progetto di architettura e, in una prospettiva ancora più in generale, alla Griglia pensata come luogo in cui il pensiero si rispecchia e si riconosce.
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La terza questione è quella dell’attrezzatura. La Griglia è uno strumento per esporre, un «pannello ed uno schema di presentazione». I problemi a cui si riferisce Le Corbusier a questo proposito sono molti e quasi insormontabili, alcuni tuttavia sono stati, come è noto, brillantemente risolti. La maggior parte di quei problemi sono oggi superati dalle tecniche di riproduzione dei disegni. Tuttavia, fino a quando è stato dominante il supporto cartaceo, il principio costruttivo della griglia e l’obiettivo di disporre in modo ordinato e sintetico i materiali utili alla progettazione su una vasta superficie suddivisa in riquadri al fine di rendere più semplice il ragionamento e di consentire una visione simultanea degli elaborati, è rimasto legato alla geometria euclidea del piano. L’ultimo tema presente nella relazione di Le Corbusier è una specie di invocazione: «vorrei che vi rendeste conto di quanto lavoro essa abbia già realizzato nell’adempimento della sua funzione e come nulla sia stato fatto inutilmente: Migliorate la Griglia in tutti i modi, ma non distruggetela!». Al IX CIAM che si svolse ad Aix-en-Provence nel 1953 furono presentate griglie che interpretavano in modi differenti l’impostazione data dalla Griglia CIAM del 1949. I temi funzionali dell’abitare, lavorare, coltivare il corpo e lo spirito, circolare, furono tuttavia sostituiti da una crescente attenzione per questioni di natura sociale, sia direttamente riferite all’abitazione come nutrirsi, ritrovarsi, aver cura dell’igiene o altri, sia legate alle diverse scale o dimensioni dell’intervento. Tra il 24 e il 30 luglio 1949 si tiene a Bergamo il VII Ciam. Il tema principale del convegno è l’Applicazione della Carta d’Atene attraverso lo strumento della Griglia. Altri due argomenti dibattuti sono la Sintesi delle arti plastiche e la Riforma dell’insegnamento dell’architettura e dell’urbanistica. E’ ancora un Ciam dominato da Le Corbusier. La Griglia è uno strumento per pensare il progetto urbanistico secondo i principi della Carta d’Atene, un modo per rappresentarlo sulla carta e illustrarlo.
Il tema della Griglia è stato annunciato da Le Corbusier a Bridgewater nel 1947 ed è stato successivamente studiato dal gruppo francese dell’Ascoral sotto la guida dello stesso architetto nell’autunno del 1947. Nel giugno 1948 viene pubblicato il volume intitolato Ascoral, Grille Ciam d’urbanisme, che visualizza i criteri di organizzazione grafica del progetto. Nelle intenzioni di Le Corbusier, a Bergamo il congresso avrebbe dovuto discutere una serie di progetti urbanistici, presentati in modo omogeneo e comparativo, ma concepiti all’interno di un’idea di città già data. La Griglia sarebbe stata “la struttura portante di una lingua comune”. Un congresso da pilotare abilmente, come aveva già fatto nel Ciam del 1933, imbrigliandone il dibattito sul tema della Griglia. Si doveva fare un passo avanti in direzione della Carta d’Atene, discutendo i casi urbanistici in cui essa viene applicata.
Le Corbusier, Congrès Internationaux d’Architecture Moderne (CIAM) , 1949.
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L’USO DELLA GRIGLIA COME MATERIA
Buckminster Fuller La Cupola Geodetica Fuller è famoso principalmente per le sue cupole geodetiche, che sono parte anche delle moderne stazioni radar, di edifici civili e tensostrutture. La loro costruzione si basa sull’estensione di alcuni principi base dei solidi semplici, come il tetraedro, l’ottaedro e solidi con numero di facce maggiore che possono considerarsi approssimazione della sfera. Le strutture così concepite sono estremamente leggere e stabili. La cupola geodetica è stata brevettata nel 1954, ed è stata una parte fondamentale del processo creativo di Fuller teso all’esplorazione della natura per inventare nuove soluzioni di design. Una cupola geodetica è una struttura emisferica composta da una rete di travi giacenti su cerchi massimi (geodetiche). Le geodetiche si intersecano formando elementi triangolari che giacciono approssimativamente sulla superficie di una sfera; i triangoli sono tutti molto simili tra loro ed essendo rigidi garantiscono la robustezza locale, mentre le geodetiche formate dai loro lati distribuiscono gli sforzi locali sull’intera struttura. La cupola geodetica è l’unica struttura costruita dall’uomo che diventa proporzionalmente più resistente all’aumentare delle dimensioni. Quando la struttura forma una sfera completa, viene detta sfera geodetica. Fra tutte le strutture costruite con elementi lineari, la cupola geodetica è quella con il massimo rapporto fra volume e peso racchiuso: strutturalmente sono molto più forti di quanto sembrerebbe guardando le travi che le costituiscono.
Padiglione US Montreal ‘67 L’ intero edificio del padiglione geodetico americano pesa 800 tonnellate. Approssimativamente, questo è il peso di una delle colonne in pietra della cattedrale di Siviglia o di S. Pietro. Consiste in una Griglia tridimensionale di 122 per 152 metri sospesa su quattro pilastri reticolari di 24 metri di altezza e modulata su un reticolo composto da tetraedri e ottaedri a spigoli tesi e assi compressi. Questo progetto fu realizzato nel 1950 in Canada perchè negli Stati Uniti l’alluminio era ancora soggetto a razionamento. La cupola geodetica nasce come tipo di triangolazione della sfera. A differenza della cupola tradizionale, gli elementi triangolari che la compongono sono disposti in modo da permettere che la struttura si regga da sola, senza bisogno di muri interni o pilastri di sostegno. La cupola geodetica, inoltre, unisce alla possibilità di coprire enormi aree, la leggerezza, la smontabilità e la semplicità di costruzione. Primi esempi in architettura sono la cupola del Planetario di Jena, nel 1923, la voliera di De Vico del Bioparco di Roma, nel 1935 e il padiglione Expo di Buckminster Fuller, nel 1967. Circa trent’anni dopo, R. Buckminster Fuller riscoprì l’idea apparentemente da solo e battezzò la cupola “geodetica” dopo una serie di esperimenti sul campo con Kenneth Snelson e altri al Black Mountain College nei tardi anni quaranta. Sebbene non si possa affermare che Fuller sia l’inventore della cupola geodetica egli sfruttò e sviluppò l’idea, ricevendo un brevetto americano. La cupola geodetica affascinò Fuller perché era estremamente resistente rispetto al proprio peso, perché la sua struttura “omnitriangolare” era intrinsecamente stabile e perché racchiudeva il massimo volume possibile con la minima superficie; sperava che la sua cupola contribuisse a risolvere la crisi degli alloggi postbellica.
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Infatti da un punto di vista ingegneristico le cupole geodetiche sono molto superiori alle tradizionali costruzioni parallelepipedali formate da pilastri, travi e solai: le costruzioni tradizionali usano i materiali in modo molto meno efficiente, sono molto più pesanti, molto meno stabili e dipendono dalla gravità per restare in piedi. Tuttavia le costruzioni geodetiche presentano anche degli svantaggi: le loro reazioni agli stress sono molto diverse e possono confondere gli ingegneri. Sebbene Fuller stesso vivesse in una cupola geodetica in Illinois, a Carbondale, nel campo dell’edilizia residenziale le cupole geodetiche ebbero molto meno successo, a causa della loro maggiore complessità progettuale e quindi dei maggiori costi: la visione di Fuller era di una industria di costruzione di case geodetiche di tipo aerospaziale, che costruiva abitazioni in un cantiere fisso e poi le trasportava in situ per via aerea.
Buckminster Fuller, Padiglione USA, Montreal, Expó 1967.
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Cupola Geodetica costruita mediante giunti reciproci DEFINIZIONE: oggi, si chiama cupola geodetica un solido topologicamente “semplice” con facce triangolari e vertici di grado 5 e 6. INTERESSANTE: il duale topologico di una cupola geodetica è un “fullerene”, cioè un solido a facce pentagonali ed esagonali, con vertici di grado 3. LE STRUTTURE RECIPROCHE sono costruzioni tridimensionali realizzate con elementi che si sostengono vicendevolmente mediante vincoli di semplice appoggio. La caratteristica di queste strutture è quella di potersi ricomporre in nodi e con geometrie diverse ed essere poi smontate e riutilizzate su punti di appoggio diversamente posizionati. Lo stesso elemento può essere utilizzato a comporre nodi strutturali a tre, quattro, cinque o più aste. Sono già presenti nei disegni di Leonardo, Codice Atlantico. Studiare le POTENZIALITÀ dei giunti reciproci è utile a capire come certe strutture possano giovare di questo tipo di collegamento per ottimizzare al massimo il materiale utilizzato. Un lampante esempio di struttura leggera e già ottimizzata per forma e struttura, che ben si presta a questo tipo di giunto è, appunto, la cupola geodetica. Per la costruzione di questa cupola hanno scelto di far riferimento ad una cupola di frequenza 2, che partendo da un icosaedro, scompone il triangolo di base in quattro triangoli più piccoli. Per quanto riguarda la tipologia di giunti, abbiamo utilizzato giunti reciproci connessi in legature quadre mediante elastici.
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Universitá degli Studi di Roma Tre, Notte Europea dei Ricercatori, Roma, 2016.
Shigeru Ban Gridshell Le gridshell (gusci strutturali a graticcio) sono strutture che incrociano il comportamento strutturale del guscio (shell) con quello del graticcio (grid), due famiglie molto distanti tra loro, una dalle curve morbide e l’altra caratterizzata da geometria e rigore cartesiano. Si assiste ad un graduale passaggio da una concezione bidimensionale ad una tridimensionale, dove gli elementi del graticcio strutturale piano si piegano in configurazioni spaziali resistenti. Il primo a sperimentare questa tecnica è Frei Otto con la Multihalle di Mannheim del 1975, che risulta essere la più grande gridshell autoportante in legno nel mondo, classificata come monumento storico-culturale nel 1998, per la sua forma insolita, l’ampia luce, per l’uso innovativo del legno impiegato per creare un reticolo complesso e flessibile che non aveva precedenti eguali nella storia della carpenteria. Equilibrio, leggerezza e semplicità sono gli aggettivi che meglio identificano questi gusci strutturali a graticcio. Ma anche resistenza, rigidezza, razionalità e consapevolezza delle tecniche costruttive e delle proprietà del materiale. Forme sinuose capaci di coprire spazi considerevoli e garantire grande flessibilità spaziale. Tutte le parti costituenti la maglia strutturale hanno una dimensione ridotta e sono semplici da produrre. Le bacchette sono facilmente sostituibili poiché non sono né incastrate né incollate. E’ una struttura che dura nel tempo, grazie al suo stesso sistema costruttivo. Basti pensare al Multihalle di Mannheim che dopo 40 anni ancora è in piedi, nonostante i limiti tecnologici del tempo in cui è stato pensato e realizzato.
Strutture resistenti per forma Se la materia è flessibile, configurata in una maniera specifica e vincolata a estremità fisse, è in grado di autosostenersi, di sopportare un certo carico e coprire determinate luci. Le gridshell sono considerate pertanto strutture resistenti per forma. Le gridshell in legno si realizzano seguendo le seguenti fasi: • Tessitura e cucitura: gli elementi lineari si assemblano in una trama regolare e si fissano secondo la forma desiderata; questa operazione avviene in piano. La tessitura ha le caratteristiche della produzione industriale e razionale a ricordare il concetto del graticcio, la manifattura quella dell’azione artigianale, organica, più vicina al tema del guscio. • Deformazione: le parti si forzano ad assumere la forma finale, attraverso la flessione degli elementi e la deformazione delle maglie, che da quadrate diventano romboidali. Ciò è possibile grazie alla grande elasticità del legno e quindi sulla sua disponibilità a essere deformato anche in maniera sensibile senza spezzarsi, ma flettendosi dolcemente e cambiando la geometria delle maglie. Una volta formate, quest’ultime si fissano al suolo e si procede alla posa degli irrigidimenti diagonali, cavi metallici o altri elementi lignei, che gli attribuiscono la necessaria rigidezza. Come accade per il fasciame delle barche, la messa in coazione delle bacchette produce la doppia curvatura finale. Tuttavia, è una forma che più che essere imposta al materiale, va calcolata già in fase di progetto. Attraverso appositi programmi di calcolo strutturale bisogna valutare dove e in che misura applicare le pressioni per attribuire alla struttura la forma che si vuole realizzare.
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Japan Pavilion Il padiglione giapponese dell’Expo 2000, tenutosi a Hannover, in Germania, era una struttura a griglia realizzato in tubi di carta riciclabile risultanti in un edificio che ha l’aspetto e la struttura di un nido d’ape. Il progetto di Shigeru Ban, è stato condotto in collaborazione con altri consulenti architettonici, come Frei Otto, creatore dello Stadio Olimpico di Monaco di Baviera. Tra gli obiettivi nella costruzione del padiglione c’era quello di usare metodi tecnologici più semplici possibili, in modo che le giunzioni potessero essere realizzate semplicemente attraverso del “nastro metallico”.
Per le due pareti di estermità semicircolari sono stati usati archi in legno che serrate le estremità della grid shell fatta di tubi di carta, è stata raggiunta la resistenza necessaria tirando i cavi dalla fondazione, come in una racchetta da tennis. Su questa superficie è poi stata attaccata una griglia di carta a forma di triangoli equilateri, a cui sono state aggiunte feritoie per la ventilazione e la membrana. Infine invece di realizzare le fondazioni in cemento, sono state realizzate con scatole formate da una struttura in acciaio e pannelli footing, che sono statie riempite di sabbia per un facile riutilizzo dopo lo smontaggio.
Inoltre, poiché i tubi di carta avrebbero dovuto essere in grado di curvare in modo tale da disegnare una dolce curva a forma di S, la cerniera se realizzata attraverso l’uso di nastro metallico avrebbe permesso il movimento. La soluzione adottata, infine, è stata scelta, tra le molte altre idee presentate da architetti e ingegneri, durante i 3 anni di progettazione. Frei Otto propose un telaio fisso in travi in legno disposte a creare delle volte, in modo tale da creare una rigida e resistente griglia, alla quale potesse poi essere collegata la membrana di copertura. Tuttavia, il PVC utilizzato nelle membrane convenzionali non può essere riciclato e sprigiona diossina durante la combustione. In seguito hanno però scoperto per caso un sacchetto impermeabile utilizzato da un servizio di consegna, dopo aver parlato con il produttore delle buste, egli ha detto che potrebbe essere possibile sviluppare qualcosa di simile a quello che serviva a Shigeru Ban nella costruzione. Shigeru Ban, Japan Pavilion, Hannover Expo, 2000.
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Achim Menges La Ricerca Progettuale L’ architettura come pratica materiale è prevalentemente basata su un approccio alla progettazione che si caratterizza per dare priorità all’elaborazione della forma piuttosro che alla sua successiva materializzazione. A partire dal Rinascimento infatti la divisione tra i processi di progettazione e quelli di realizzazione ha portato allo sviluppo secolare ed alla crescente dipendenza da strumenti di rappresentazione destinati ad esplicite descrizioni geometriche scalari che allo stesso tempo servono come istruzioni per la traduzione dal disegno alla costruzione. Inevitabilmente, e con poche eccezioni, anche nella digitale pratica attuale, gli architetti di oggi tendono ad abbracciare metodi di progettazione che incarnano la separazione gerarchica di definizione della forma e della sua conseguente materializzazione.
Ciò permette di concepire i sistemi materiali come il risultato sinergico di calibrazione e bilanciamento di molteplici variabili che influenzano e criteri di progetto divergenti, che già comprendono sempre l’interazione del sistema con l’ambiente esterno. Le modulazioni ambientali risultanti possono ora essere intesi come modelli altamente specifici, in relazione diretta con gli interventi materiali da cui hanno origine. La progettazione di spazio, struttura e tempo può essere sintetizzata in processi di progettazione computazionali integrativi. La materialità quindi non rimane più una proprietà fissa e un recettore passivo della forma, ma può invee essere trasformata in un generatore attivo del processo di desing e un agente strettamente connesso sia alle prestazioni strutturali che a quelle architettoniche.
La ricerca di Achim Menges esplora un alternativo approccio morfogenetico verso il design che si dispiega tra la complessità morfologica e la capacità performativa dei materiali senza distinzione tra processi di ideazione e di materializzazione. Ciò richiede una comprensione della forma, del materiale, della struttura e dell’ambiente non come aspetti separati, ma piuttosto come interrelazioni complesse che sono esplorate attraverso processi computazionali integrati. Il concetto di sistema materiale costituisce un aspetto centrale di questa ricerca. Sistema materiale non si riferisce solo alle componenti materiali di un solo edificio, ma descrive, in linea teorica, il complesso sistema di reciprocità tra materialità, forma, struttura e spazio, i relativi processi di produzione e montaggio, e la moltitudine di effetti che hanno origine dall’interazione con le influenze ambientali e le forze. Questa concettualizzazione dei sistemi materiali permette l’utilizzo di processi di progettazione computazionali. Achim Menges, Aggregate Architectures, Research Project, ICD Stuttgart, 2010.
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HYBGRID Questo progetto di ricerca è concentrato sullo sviluppo di un metodo di progettazione nel quale la forma finale del progetto sia il risultato di vari elementi connessi tra di loro, come le condizioni locali oppure il naturale comportamento di un materiale. L’obbiettivo di questo progetto era sviluppare una struttura che abbia la forma di una grid shell variabile basata su un semplice elemento costituito da una corda superiore ed una inferiore connesse da elementi distanziatori. Cambiando l’impostazione di questi elementi distanziatori, in questo caso barre filettate semplici, è possibile modificare la curvatura dell’elemento. Questa relazione tra l’impostazione distanziale e la geometria risultante viene parametrizzata e, una volta articolata in un sistema di griglia più grande, viene usato per il raggiungimento di una doppia curvatura all’interno della griglia che era inizialmente completamente piatta, azionando la struttura attraverso impostazioni riguardanti distanziatori differenziali. La parametrizzazione del comportamento locale consente il calcolo della forma complessiva sia in modo analogico nonché digitale. Così un’applicazione programmata ha permesso la generazione di diverse configurazioni di sistema che sono stati successivamente analizzati per quanto riguarda le loro specifiche capacità performative e le loro qualità spaziali. Il calcolo istituito ha anche fornito i dati di calcolo costruttivo necessari nonché le impostazioni specifiche per tutti gli elementi distanziatori. Ciò ha consentito la realizzazione di un prototipo in scala naturale. Inizialmente costruito come una griglia piatta,la struttura raggiunge la sua stabilità , attraverso una forma dalla doppia curvatura raggiunta tramite un processo incrementato poco a poco di azionamento degli elementi distanziatori locali. Il progetto è emblematico per la ricerca su un approccio di design integrale che npn punti solo a definire una forma particolare ma ad impiegare i modelli e le capacità comportamentali di un sistema materiale al fine di perseguire costruzione inerenti logiche e la naturale attitudine del materiale. 26
Achim Menges, Hybgrid, AA London, 2002-2003.
L’USO DELLA GRIGLIA NELLO SPAZIO E COME MATERIA Antoni Gaudí “Mi domandarono perché facessi delle colonne inclinate. Risposi loro: “Per la stessa ragione per cui il viandante stanco, quando si ferma, si appoggia sul bastone inclinato, dato che se lo mettesse in senso verticale non riposerebbe” Hanging Chain Model Per realizzare La Sagrada Familia che si trova a Barcellona Gaudì fa ampio uso dell’arco catenario, infatti, per realizzarla, aveva addirittura posto modellini di studio all’interno del cantiere. Per Gaudí un elemento chiave nel suo modo di concepire la struttura era l’arco parabolico o catenario, che usò come elemento più appropriato per sopportare le pressioni. Mediante il metodo sperimentale determinò la forma migliore che la struttura potesse avere per resistere alla pressione degli archi e delle volte, applicandola prima nella cripta della Colonia Güell e dopo nella Sagrada Familia. La simulazione consisteva nella costruzione di un modello in scala costituito da corde intrecciate con piccoli sacchi di juta sospesi che simulavano i pesi; in tal modo determinava le forze funicolari e quindi la forma della struttura. Partendo dallo stato dei carichi, simulati con i sacchi di juta, determinò sperimentalmente la forma idonea della struttura che denominò “stereostatica”: essa riproduceva la struttura ideale per lavorare in trazione e, ribaltandola, quella più adatta per lavorare in compressione. L’architetto utilizzava fondamentalmente due curve matematiche: la parabola e la catenaria e ogni possibile combinazione tra queste due. Sono anche due configurazioni di grande stabilità dal punto di vista dell’equilibrio che addirittura, se combinate insieme, aumentano la resistenza alle sollecitazioni. La grande innovazione che Gaudì introduce è quella della costruzione, attraverso l’uso combinato di questa due curve, di modelli statici dei quali controllava la stabilità progettandoli e costruendoli capovolti.
L’architetto catalano costruisce modelli con corde alle quali appende sacchetti di sabbia. A seconda della disposizione degli stessi, le corde assumono la configurazione di una parabola (se i sacchetti si distribuiscono uniformemente lungo la direttrice, cioè se i sacchetti presentano la stessa distanza da un piano orizzontale) oppure di una catenaria (se i sacchetti si distribuiscono uniformemente lungo la curva stessa). Nelle architetture dello spagnolo Antoni Gaudì, la forma parabolica costituisce un tema geometrico ricorrente. Per tracciare archi e volte egli parte da catenarie ottenute empiricamente con catenelle, a queste appende pesi proporzionali complessivamente al peso che la struttura dovrà sostenere. In tal modo la catenaria si muta in parabola, infine costruisce per simmetria il modello degli archi e ne modifica proporzionalmente le dimensioni. Ciò che è interessante è come, nel processo, Gaudí ha inventato in modo efficace una sorta di processo di progettazione “parametrico” molto prima dell’invenzione del computer. Una caratteristica del cosiddetto software di progettazione parametrica è che aggiornando un modello tridimensionale digitale completo di un edificio ogni volta vengono modificati dei parametri, permettendo alternative da studiare e confrontate nella ricerca di un modello che funzioni in modo ottimale. Le catene appese di Gaudí fanno esattamente questo: se il punto finale di una catena si sposta in modo da ingrandire o ridurre, ad esempio, il piano terra in un angolo, poi la forma di tutta la catena appesa cambia e per poi arrivare di nuovo la geometria di una catenaria ottimizzata. Naturalmente, il software di progettazione parametrica fa molto di più, ma alla radice concettuale, entrambi questi strumenti di modellazione, uno fisico e l’altro digitale, sono analoghi. Ti fa chiedere che cosa Gaudí sarebbe stato in grado di fare se avesse avuto un computer. O al contrario, se avesse realizzato modelli tanto geniali quanto ha fatto senza averne uno.
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Il “modello di catene appese” come metodo per modelli progettuali che consentono al progettista di determinare la forma ottimale di strutture portanti sottoposte a carichi puramente in compressione, particolarmente quelli costituiti principalmente da volte. Sebbene i modelli di catene appese di Gaudì sono gli esempi più noti, precedentemente, tentativi meno sofisticati sono state fatti da Heinrich Huebsch e Giovanni Poleni. La traduzione del diagramma delle forze in forma per alcuni dei progetti di Gaudì, come nella Sagrada Familia è stato guidato da due vincoli: Il processo di estrusione della costruzione nei modelli in gesso, e la tecnica di uno scalpellino di costruire superfici con linee rette dominanti. Pertanto, la Sagrada Familia di Gaudì combina due modelli di progettazione provenienti da estremità diverse. Uno è la geometria strutturale complessiva progettata per essere in equilibrio a solo compressione, l’altra è la modalità di costruzione utilizzando solo superfici rigate. C’è infatti stato un forte parallelo tra il lavoro degli stampi in gesso e l’effettiva realizzazione a grandezza della finestra. In entrambi i casi, le linee rette delle superfici rigate sono stati usati in modo simile per generare stampi. Tuttavia, “i modelli di catene appese” non implementano i vincoli della superficie rigata, e nemmeno le superfici rigate prendono in considerazione la distribuzione delle masse lungo la struttura. Si richiedeva l’intervento di un esperto per farli lavorare insieme. Gaudi infatti vedeva le forme e una volta immaginate, cercava i mezzi per trasformarle in oggetti fisici, edificabili.
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Antoni Gaudí, Hanging Chain Model-Sagrada Familia, Barcellona, 1882.
Frei Otto Attorno al 1970 Frei Otto ed il suo team all’istituto per strutture leggere di Stoccarda iniziarono una serie di esperimenti attraverso dei modelli simili a quelli già sviluppati da Gaudì e utilizzati nella realizzazione della Sagrada Familia, ma usando una più ampia varietà di materiali e studiando quelli che usavano definire “optimized path systems” , attraverso sistemi materici per dare origine ad una forma.
Gridshells L’innovativo architetto, Frei Otto, ha sviluppato il concetto di gridshells che potrebbe essere progettato con un metodo di modellazione funicolare e costruito da una maglia regolare di listelli di legno piegati nella forma prevista. Nel 1970 questa tecnica è stata utilizzata per costruire una struttura dal tetto curvo di 9000 m2 formato listelli di legno quadrati di 5cm.
La particolarità di questi modelli è l’intenzione di creare una forma attraverso l’intersezioni tra le parti del modello stesso. In modo tale da evidenziare il processo naturale della creazione della forma in opposizione al generico “Formgebung” che indica il generico atto di cambiare l’aspetto di un materiale semplicemente attribuendogli una forma. Nei modelli di Otto infatti, siccome i materiali sono gli agenti stessi della trasformazione, è essenziale che siano dotati flessibilità e di una certa dose di libertà di movimento. Le interazioni all’interno del materiale stesso danno spesso origine ad una geometria basata su il comportamento complesso del materiale collegato alla sua elasticità e variabilità.
Così come alle tensostrutture, alla fine del 1950 Otto si è interessato alle gridshell che possono essere formate usando il principio Hookean di invertire una rete appesa. Il metodo del formfinding suggerisce anche un metodo di costruzione utilizzando una maglia a griglia quadrata di assicelle di legno o di aste di acciaio abbastanza sottili da essere facilmente piegate per ottenere una forma. Una griglia quadrata può essere modellata in una superficie dalla doppia curvatura modificando la griglia dei quadrati in rombi. Tale struttura è descritta da Otto come una gridshell.
Ognuna di queste macchine materiche sono state ideate in modo che, attraverso numerose interazioni tra i suoi elementi in un certo lasso di tempo, la macchina come diceva Frei Otto, “trova la sua forma”. La maggior parte di essi sono costituiti da materiali che elaborano forze attraverso una trasformazione, che è una forma speciale di computing analogico. Poiché i materiali funzionano come “agenti”, è essenziale che abbiano una certa flessibilità, una certa libertà di agire. È anche essenziale comunque, che questa libertà sia limitata ad un certo grado costituito dalla struttura della macchina stessa. Le interazioni all’interno del materiale stesso spesso risultano in una geometria che si basa sul comportamento complesso del materiale e sulla sua elasticità e variabilità. Sabbia, palloncini, carta, bolle di sapone, colla, vernici, e infine fili di lana. Frei Otto,Mannheim Multihalle, Mannheim,Germania 1974.
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Frei Otto, Padiglione tedesco , Montreal, Expo 1967.
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Final Hanging Chain Model, Mannheim Nel gennaio 1970 è stato deciso di organizzare il Bundesgartenschau 1975 a Mannheim. La scala del modello era 1: 100 e la dimensione delle catene della griglia era di 1,5 cm e rappresentano ogni terzo listello nella struttura reale. Le estremità delle linee di collegamento sono collegate alla linea di confine con piccole molle che potrebbero essere regolate per ottenere una tensione ragionevolmente uniforme nella griglia. Senza tali molle è molto difficile ottenere forze ragionevolmente suddivise tra le due direzioni della griglia. Il principio di costruzione era che i listelli sarebbero disposti a livello del terreno e tutti i bulloni che costituiscono i nodi, inseriti, ma non serrati. I nodi sarebbero poi stati sollevati fino alla loro forma desiderata come un guscio dalla doppia curvatura. In questo processo i quadrati delle maglie sono distorte in parallelogrammi e le estremità dei listelli spostati fino a raggiungere il bordo. La griglia dovrebbe essere sorretta con questa forma finché i bulloni dei nodi non sono serrati e diventano abbastanza rigidi da sostenere il proprio peso. Quindi possiamo affermare che la flessibilità è necessaria per l’installazione e la rigidità per la sua tenuta.
Frei Otto, Final Hanging Chain Model, Mannheim, 1973.
Model load test on the Essen gridshell Nel 1962 Frei Otto ha costruito, con alcuni studenti di Berkeley, una struttura di prova di una cupola con una struttura che poggia su quattro punti, utilizzando aste di acciaio. Più tardi, quello stesso anno ha realizzato una struttura in legno di prova ad Essen con base ellittica di misure (15x15)m. Era richiesta la progettazione di due piccoli auditorium all’interno della Expo di Montreal del 1967 e questi sono stati realizzati utilizzando una costruzione grezza della gridshell. Le maglie della rete sono stati prefabbricate in Germania e inviate in Canada, dove sono state installate in loco. Le griglie sono poi state rivestite con fogli di compensato sottili per formare l’involucro.
Frei Otto, Model load test on the Essen gridshell, Berkeley, 1962.
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Soap Bubble Negli anni sessanta del secolo scorso un architetto tedesco che si chiamava Frei Otto si mise a sperimentare delle nuove strutture architettoniche che chiamò “Tensile Structures”. Compiva esperimenti utilizzando delle lamine di sapone. Immergeva delle strutture che simulavano il progetto architettonico, faceva uscire piano piano l’acqua saponata e otteneva delle strutture con lamine di sapone che venivano fotografate, misurate e servivano da modello alla grande architettura. Ovviamente non bisognava trascurare i calcoli strutturali. Le lamine di sapone non hanno praticamente peso, una struttura da costruire ha un peso rilevante e ovviamente i modelli con le lamine di sapone vanno adattati. E la più famoso realizzazione di Otto è proprio la enorme tenda sospesa sopra lo stadio olimpico di Monaco di Baviera. 1969-1971
Perforando una pellicola di sapone piana su cui sono appoggiati dei fili chiusi (cappi), si ottengono occhielli che hanno come bordo il contorno assegnato; se si spostano lentamente i cappi, la superficie si deforma mantenendo l’ottimalità rispetto alla tensione superficiale, dunque all’area, e diviene un modello effettivo di una superficie minima non planare, con proprietà di curvatura che la rendono stabile. Proprio così si è ottenuto un modello della struttura estremamente complessa ed elegante dell’Istituto di Stoccarda. lo spazio interno ai “fili”, in questo e in altri progetti di Frei otto, è occupato da grandi finestre di materiale trasparente ed estremamente leggero, “tracciate” quindi insieme all’edificio, come parte costitutiva di esso.
Un esempio di tale schema, in architettura, sono le famose tende sospese di Frei Otto che coprono gli spettatori nello stadio di Monaco. Le tende sospese di Frei Otto sono state realizzate sulla base di modelli di superfici minime. Queste ultime sono le superfici che possiedono due proprietà: corrispondono a punti stazionari dell’energia e sono stabili. Infatti, immergendo nell’acqua saponata un telaio di metallo, vengono a crearsi come per incanto forme che, per il principio di minima energia che la natura sceglie, sono le migliori possibili. Il progettista tedesco Frei otto ha studiato le forme ottimali delle superfici a contorno assegnato, utilizzando, nella fase preparatoria dei suoi progetti, le pellicole di sapone, variando il disegno dei contorni per ottenere forme estremamente innovative. Per la concezione della copertura dell’Istituto per le Strutture leggere dell’Università di Stoccarda, Frei otto e i suoi collaboratori hanno utilizzato modelli di lamine saponate ottenuti con tecniche particolari legate alle proprietà della tensione superficiale e alla struttura dei suoi punti di equilibrio.
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Frei Otto, Soap Membranes , 1970.
Wool Thread Anche se Otto usò questa tecnica in misura minore rispetto a quella per esempio delle bolle di sapone, la usò in maniera specifia per ideare la forma di modelli bidimensionali per le città . Otto definiva questo sistema “optimized path system” , simile ad un sistema vettoriale che tende ad economizzare su il numero e la lunghezza dei percorsi, in modo tale da creare una geometria formata da biforcazioni e nodi. Questa tecnica consiste in una procedura suddivisa in tre step algoritmici:
Riepilogando quindi il primo step consiste in una procedura puramente geometrica più che materica, poi invece la materia prende il controllo del sistema durante la fase di mutazione dello stesso, infine la procedura si arresta quando ritrova la sua dimensione geometrica ma questa volta non si tratta di una geometria che è stata imposta al materiale ma al contrario di una geometria che ha origine dalle intersezioni dello stesso tra le sue parti. L’arabesco risultato finale è un sistema rigido tanto quanto quello del primo step ma decisamente più intelligente, in quanto ottimizzato rispetto ad entrambi gli aspetti del sistema, le necessità degli individui e quelle economiche.
STEP 1: Per prima cosa dobbiamo individuare i nostri elementi di progetto su una tavola evidenzionadoli per esempio con delle forme circolari. Per assicurare la connessione del sistema in tutti i suoi elementi, sarà necessario collegare tutti gli elementi del nostro progetto tra loro con dei fili di lana. Per esempio possiamo considerare un sistema di abitazioni e individuare i percorsi tra le diverse abitazioni. STEP2: Nel secondo step, siccome è sempre necessario in una città che ci siano delle deviazioni nei percorsi, daremo ad ogni filo di lana un’estensione maggiore rispetto a quella necessaria. Possiamo per esempio considerare un’ulteriore estensione dell’8% ma può variare all’interno del sistema. STEP3: Ora è quindi necessario immergere l’intero sistema nell’acqua, agitandolo leggermente e infine estraendolo in modo tale da riportarlo al di sopra della superficie di acqua. I fili di lana essendo bagnati inizieranno a connettersi tra loro e dopo essersi connessi in un punto, inizieranno a perdere la capacità di farlo in altri punti; Fino ad arrivare alla completa eliminazione di quella estensione aggiuntiva che avevamo dato ai vari fili di lana. Il risultato sarà un sistema formato da vuoti di forma circolare e circondati da spessi nodi di fili.
Frei Otto, Minimal structural system-Wool thread technique.
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Frei Otto, Wool thread technique, 1980.
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Lars Spuybroek Lars Spuybroek é il fondatore del prestigioso ufficio di architettura NOX, a Rotterdam, dal quale ha eseguito ricerche riguardo la relazione che esiste tra architettura e computer. I suoi lavori hanno ricevuto moltevoli premi e sono stati esibiti in tutte le parti del mondo. Spuybroek ha inoltre tenuto molte conferenze ed ha una cattedra come professore universitario allúniversita’di Kassel in Germania, dove gestisce inoltre il dipartimento di CAD\ Digital deisgn techniques. Le tecniche Spuybroek nel corso delle sue ricerche ha sviluppato una serie di tecniche che usano la mobilitazione di un sistema e il suo consolidamento in una forma. Le prime tecniche che ha sviluppato erano prettamente basate su alcuni principi di deformazione, dove una geometria primitiva come quella di una sfera, un cilindro o simili, vengono piegati e curvati attraverso una serie di graduali movimenti. Anche se questi movimenti sono essenzialmente topologici, questo tipo di tecnica e’ essenzialmente basata sul rapporto che esiste tra essa ed il contesto in cui e’ sviluppata. Si tratta di una sorta di photographic freeze framing, come viene definita dallo stesso Spuyborek, nella quale anche se il tempo di mobilitazione del sitema e’piuttosto lungo,la fase di consolidamento e’un momento nel quale dopo che le parti della struttura vengono assimilate a determinate tipologie strutturali, vengono poi considerate come se fossero parti stesse del processo di mobilitazione. Al contrario, le tecniche sviluppate da Spuyborek in un periodo tardivo, per cominciare specialmente quella della wetGRID, che ha ideato dopo il suo incotro con Frei Otto nel 1998, sono differenti in quanto sono piu “construttiviste”, le parti strutturali sono prese in considerazione sin dall’inizio del processo e quindi l’ attezione e’ soprattutto posta sul processo di consolidamento. Queste tecniche sono basate su veri principi di trasformazione dove il consolidamento rende la struttura autoportante come un meccanismo ingegneristico aumatico del sistema. Il sistema non e dunque semplicemnte scosso o deformato sotto l’influenza dei movimenti, esso in realta passa attraverso una soglia critica dopo la quale si trasformera irremediabilmente.
Gli ultimi progetti della sua carriera hanno una sorta di configurazione naturale, dove la fase di movimento e sotituita da un numero limitato di figure variabili e la fase di consolidamento e’ sostituita dall’ atto di accoppiare queste figure tra loro, prima in coppie e poi in configurazioni piu complesse. Anche se basata sulla stessa nozione di rompere la simmetria, la configurazione basata sul combinare diverse figure permette di arrivare ad un maggiore equilibrio tra forma, struttura e informazioni programmatiche. Ma prima di considerare come il computer si relaziona con l’azione ( programmare), la percezione (forma) e la costruzione(struttura), bisognerebbe analizzare le quattro fasi del sistema, o morfologie. Inoltre nessuna geometria complessa puo essere completamente analizzata come geometria euclidea oppure elementare in quanto sono le relazioni che producono gli elementi, non il contrario. Quindi tutte le forme generate attraverso complessi processi possono essere considerate come forme di trasformazione con una geometria transitiva. I sistemi discussi sono generalmente sistemi lineari, le tecniche sono quasi sempre operazioni che si sviluppano da una linea ad una superficie e quasi tutte le morfologie si sviluppano da una superficie ad un volume. In termini architettonici possiamo dire che la trasformazione ha luogo da un generico, stato iniziale di un specifico piano dell’edificio ( prospetti, piante..) fino a diventare una struttura piu’complessa.
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In generale nei progetti di Lars Spuybroek emergono quattro diverse morfologie: a. Deep surface. Superfici su un sistema piano o curvo che sono modificate genericamente perpendicolarmente rispetto alla direzione principale della superficie. Possono essere semplicemente tubi deformati (OffTheRoad,H20expo) oppure avere origine dalla deformazione di superifici piane(V2_Lab,Maison Folie). Una sottocategoria e’ inoltre quella delle superifici porose, nella quale le deformazioni sono strutturalmente trasformate a causa di strappi locali o globali. b. Blisters. Singole superfici piane che vengono trasformate localmente per diventare volumi.Questa morfologia e’sia deformazionale come nel caso del primo gruppo di edifici, che trasformazionale (La tana di alice,D-Tower,wetGrid, De Gothic Stijl) c. Filo. Si tratta di un tipo di morfologia formata da un doppio strato nella quale alcune parti del sistema unendosi tra loro iniziando a condividere una parte della stessa curva (Son-O-House, Soft Office) oppure di una morfologia formata da molteplici strati dove le parti del sistema sono diagonalmente connesse attraverso strutture di tipo spugnoso( Pompidou Two). d. Sponges. Pura morfologia orientata in molteplici direzioni(FOAM HOME), talvolta allungata verticalmente( obiqueWTC)
Lars Spuybroek, Morfologia del progetto .
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Son-O-House, a house where sounds live Public artwork for Industrieschap Ekkersrijt, In collaboration with composer Edwin van der Heide. Non si tratta di una vera e propria casa piuttosto di una struttura connessa alle abitudini di vita e ad I movimenti del corpo. Nella Son-O-House un generatore del suono aziona diversi suoni a seconda dei diversi movimenti dei visitatori. Paper Bends System Per prima cosa sono state posizionate delle telecamere per registrare i movimenti del corpo in situazioni abituali. Il computer ha poi analizzato i fotogrammi attraverso un programma che disegna contorni attorno ogni pacchetto di pixel che si muove. Dunque se posizioniamo la videocamera in una casa possiamo notare che i movimenti sono in realtá strutture complesse di tre elementi che cooperano in tre diverse scale: corpo, arti e estremitá. Quindi questo attentamente coreografato set di movimenti di corpo, arti ed estremitá, viene riportato su bende di carta come dei tagli, mentre l’area non tagliata corrisponde al movimento del corpo, un primo taglio centrale corrisponde al movimento degli arti e invece tagli sottili al movimento delle mani e dei piedi. Abbiamo unito insieme le paper bends precedentemente preparate, nel punto in cui hanno la maggiore potenzialitá di connessione,ovvero dove sono state precedentemente tagliate, in modo tale che il risultato diretto sia il raggiungimento di una curvatura, dato che i punti vengono sistematicamenye uniti tra loro quindi l’inter sistema si curva automaticamente. Si viene quindi a creare un sistema di curve differente su scale diverse, che dovrebbe essere letto come un complesso di nervature ed archi, dove gli archi assumono la progressiva forma di un cassetto, un letto, una stanza oppure una casa. Il risultato é un arabesco disegno di linee intrecciate tra di loro formate da strisce di carta, che rappresentano allo stesso tempo i movimenti del corpo in varie scale ma anche una struttura materiale, in quanto le strisce di carta si sostengono tra di loro.
Sará necessario poi spostare le strisce lateralmente in modo tale da unirle al terreno. Infatti l´arabesco modello di carta viene esteso laterlamente da altre strisce di carta colorate seguendo un piccolo algoritmo: le linee si separano lateralmente seguendo l’iniziale direzione delle strisce di carta bianche, provando a connetterle nel modo piú efficace al terreno. Infine riporteremo digitalmente il carta modello che viene poi rimodellato nella finale struttura formata da volte intrecciate tra loro, che si appoggiano tra loro e si tagliano tra di loro. Generalmente i fotogrammi vengono mappati su un piano e poi estrusi verticalmente per dare origine ad una struttura. In questo caso Spuybroek invece decide di rappresentare i movimenti su astratte strisce di carta che hanno la potenzialitá di diventare, piani, mura o entrambi. Quindi nel modello di paper bends di Spuybroek partendo da una superficie morbida come la carta, che si indurisce gradualmente grazie alla connessione con altri elementi di carta, formando infine un tutt’uno rigido. La tettonica emerge quindi da una tessitura fatta di intrecci.
Lars Spuybroek ,Cartamodello finale Son-0-House, 2000- 2004.
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Lars Spuybroek, Son-O-House, Son en Breugel, Olanda, 2000-2004.
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obiqueWTC design for a new World Trade Center, for Max Protetch Gallery, Variando la tecnica tridimensionale del wool thread sviluppata precedentemente da Frei Otto per generare un sistema ramificato di colonne, Spuybroek usö questo metodo per una serie di cuori strutturali flessibili, dove ogni filo di lana diventa il centro di una inclinata colonna strutturale.
N.B. L’oblique in realta’era un’invenzione architettonica di Paul Virilio e Claude Parent nel 1960. Voleva essere una critica alla norma dell’ortogonalitá ma anche un modo per proporre un nuovo modo di costruire, perché i diversi piani non erano semplicemente inclinati ma formavano diagonali. Il WTC proposto da Spuybroek andrebbe analizzato come una rete complessa sviluppata linearmente e non inclinata, una linearitá che parte dal basso e arriva verso l’alto, ma ció nonostante completamente construttivista.
Il movimento orizzontale che avviene sotto l’acqua dovrebbe essere letto come la complessa interazione delle strade tra loro,tradotta nella verticolaritä della torre. Il progetto risulta dunque piü urbanistico che architettonico in quanto una rete di di ascensori ha la stessa funzione simbolica del sistema della metro in un piano urbanistico. In particolare Spuyborek usa un filo per ogni cuore strutturale del distrutto o danneggiato edificio dell’ex sito del WTC. Come un modello invertito i fili di lana cadono verticalmente a causa della forza di gravita. Quando vengono immersi nell’acqua per poi essere nuovamente tirati fuori, tutti i fli si riorganizzano in una rete complessa , con l ‘aggiunta al sistema gravitazionale della forza di coesione data dall’acqua, simile ad una struttura ossea. La struttura non e’formata semplicemente dall’estrusione della pianta ma al contrario appare come megastruttura ramificata nella quale il totale e’piu’grande della somma delle sue parti. In seguito i fili di lana sono stati addensati tra loro in diversi cuori strutturali che si uniscono e si separano andando verso l’alto. Questa particolarita’ puo renderla quindi sia una grande struttura con vuoti al suo interno oppure una serie di esili torri che cooperano tra loro per formare un’unica struttura.
Lars Spuybroek , ObliqueWTC, New York , 2001.
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SOFT WAVES BACHELOR THESIS, FINAL PROJECT Roma Tre University/Faculty of Architecture Spring 2017 A.A. 2015/2016 L’autostazione di Roma si trova in un sito strategico per il collegamento del centro storico al resto della città. Il progetto quindi mira a valorizzare e potenziare il network dei flussi che circondano e attraversano l’area, applicando un processo di bundling alla fitta rete di percorsi esistenti. L’obiettivo è creare uno spazio con funzione inclusiva in cui molteplici attività si articolino parallelamente al sistema infrastrutturale. La morbida e sinuosa continuità del design architettonico dell’intero organismo si contrappone al frammentato gioco di luci ed ombre generate da un pattern geometrico e regolare. L’idea di progetto è stata fin dall’inizio quella di valorizzare e potenziare il network dei flussi che circondano e attraversano l’area. E’ infatti un crocevia di percorsi differenti: pedoni, biciclette, automobili, autobus. Partendo proprio dall’analisi dei percorsi, ho stabilito alcuni punti focali che rappresentano la concentrazione dei diversi flussi, esterni ed interni all’area oggetto di intervento: ho così considerato sia i punti di accesso all’area, sia i punti indicanti zone di permanenza e stazionamento dei flussi. Successivamente ho creato tutte le connessioni possibili tra i vari punti focali, ottenendo così un fitto network di linee, che abbiamo trattato con due modalità differenti: - Prima ho inserito all’interno del network dei punti attrattori, che definivano i fulcri delle attività che volevamo nel nostro progetto. A questi ho dato carica negativa, in modo che fungessero da repulsori e modellassero le linee rendendole più fluide - Per quanto riguarda la seconda modalità ho applicato un processo di bundling che, prendendo come input i punti iniziali e finali delle linee di collegamento tra i punti focali, ovvero i punti focali stessi, fa in modo che questi attirino ed impacchettino le linee, dando loro un andamento più sinuoso e curvilineo. Tra le due modalità ho deciso di portare avanti la seconda per l’effetto più elegante che ne risultava. 40
Parallelamente a questo studio, ho focalizzato la mia attenzione sull’organizzazione degli spazi all’interno della nostra area e su come articolare i vari piani. La volontà è stata quella di lasciare la maggior parte dell’area pedonale. Per perseguire questo obbiettivo abbiamo deciso di far circolare i bus nella fascia affacciata sui viali, per farli entrare il meno possibile nel cuore dell’area. In particolare la zona destinata ai terminal con relativi servizi l’abbiamo pensata al piano -1 per essere il meno invasiva possibile. Per lo stesso motivo ho ubicato la zona parcheggi, attualmente al piano sotterraneo, nella parte più ad est: questa regione è quella in cui le auto entrano, escono, e sostano, in modo sempre da farle circolare il meno possibile. Il parcheggio si articola su due livelli, piano 0 e piano -1. Oltre a zone ristorazione, aree commerciali, hub e servizi, il tutto è permeato da zone verdi ben organizzate e collegate tra di loro e con la montagnola, fruibili per relax e sport. Combinando lo studio dei percorsi e dei punti focali con l’organizzazione degli spazi, sono passata alla fase del form finding: partendo dalle linee ottenute dal processo di bundling, e pensando a quali fossero per noi i percorsi più importanti, che collegassero le aree principali, abbiamo selezionato le linee o i raggruppamenti di linee che fungessero da forma base per i nostri volumi. Successivamente, ho trattato queste, modellandole verticalmente ed orizzontalmente.
Passiamo ora ad analizzare DOVE e COME ho deciso di illuminare il progetto. Per decidere dove illuminare naturalmente il modello, ho effettuato, attraverso il plug-in LadyBug di Grasshopper, l’analisi solare sulla nostra struttura, di cui ho rappresentato la radiazione media annua. Da questo risultato è emerso che le pareti esposte a Nord, verso il viale per intenderci, sono le meno esposte alla radiazione solare. La scelta è stata così quella di posizionare le maggiori aperture, tra cui anche gli ingressi, proprio nelle pareti esposte a Nord, per evitare eccessivo calore e conseguente effetto serra. Per quanto riguarda invece le aperture nelle fasce a Sud, per minimizzare la radiazione, che sarebbe eccessiva da questo lato, queste sono state concentrate nelle pareti più inclinate o riparate da aggetti. Dopo aver stabilito con l’analisi solare dove posizionare le aperture, ho studiato come realizzarle. Partendo da una forma base geometrica e simmetrica, per distaccarmi un po’ dal design curvilineo delle forme e dei volumi, ma comunque elegante: il rombo. Ho quindi effettuato una proliferazione di questi rombi su di una superficie regolare, e studiato come variava questa distribuzione in seguito all’inserimento di alcuni punti attrattori, che ne modificavano la dimensione e la distanza reciproca.
Questo design romboidale, oltre che per creare le aperture, è utilizzato anche per caratterizzare tutta la struttura del modello. Questa infatti è costituita da un sistema intelaiato in acciaio, consistente in una struttura primaria ed una secondaria che creano un fitto reticolo romboidale, sia in parete che in copertura, in maniera da riprendere l’andamento delle vetrature. Per concretizzare questo pattern sulle superfici ho pensato di adottare un rivestimento in pannelli GFRC (Glass Fiber Reinforced Concrete), molto innovativi in quanto materiale resistente e duraturo, che possono essere realizzati molto sottili, e adattabili perfettamente a superfici curvilinee in quanto modellabili a diverse curvature. Ogni pannello ha una propria geometria ed una propria curvatura, in dimensioni di massimo 6 metri di lunghezza, 3 di larghezza e 2cm di spessore. Sono stati scelti come materiale di rivestimento in quanyo consentono una forte plasticità e rispondono a differenti richieste funzionali, relative a vari situazioni: rivestimento esterno, rivestimento superficiale interno, rivestimento pavimentazione piazza. Per enfatizzare la relazione contiua tra esterno e interno dell edificio, l’illuminazione è stata attentamente considerata. Durante ol giorno la luce penetra all’interno dell’edificio cambiando costantemente il punto di ingresso in base all’ora del giorno e alla prospettiva di vista creando giochi di luce ed ombre perfetttamente in armonia col design strutturale.
Applicando questi passaggi alle superfici curvilinee e modellate, e ponendo i punti attrattori in corrispondenza degli ingressi e di dove volevo le aperture di maggiori dimensioni, ho ottenuto questo effetto finale. Questo design geometrico, oltre che per creare le aperture, è stato utilizzato anche per pianificare il terreno: tre differenti pavimentazioni si fondono e si intersecano degradando in forme che riprendono l’andamento del pattern delle superfici.
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SOFT WAVES
CONCEPT
BACHELOR THESIS, FINAL PROJECT Roma Tre University/Faculty of Architecture Spring 2017 A.A. 2015/2016
attraction points
focal points connection
pedestrain
car
bus
bundling
Solar Panels
Sunlight Openings Solar Panels Sunlight Openings
Sunlight Openings
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Sunlight Openings
PATTERN DEFINITION
3D MODEL
Entrance
Sunlight Openings
Solar Panels
Elementary Geometry
Proliferation on regular surface
Variation with attractor point
Proliferation and variation on molded surface
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