Accademia di Belle Arti di Foggia Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate
Tesi di diploma accademico di primo livello in Graphic Design
COLŌRIS Percezione e applicazione del colore
Docente relatore Bartolomeo D’Emilio Docente di corso Moira Torresi Laureanda Giovanna Verardo Anno Accademico 2019/2020
SOMMARIO
Introduzione 6
PARTE PRIMA — Studi sul colore
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1. La valenza del colore nel tempo
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2. Osservazioni e teorie sul colore
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2.1 La teoria dei colori — Johann Wolfgang Goethe
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2.2 La sfera dei colori — Philipp Otto Runge
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2.3 Considerazioni sui colori — Ludwig Wittgenstein
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2.4 L’essenza spirituale del colore — Rudolf Steiner
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2.5 Effetti cromatici e contrasti di colore — Johannes Itten
48
2.6 La ricerca dell’armonia — Colori, suoni e forme
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3. Simbologia del colore
64
3.1 Il dibattito tra oggettivismo e soggettivismo
68
3.2 L’indagine semiotica
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3.3 L’identità dei colori
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PARTE SECONDA — Applicazioni del colore
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1. Il colore nella pittura
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1.1 L’Impressionismo e il Post-impressionismo 1.2 Le Avanguardie artistiche del Novecento
94 100
COLŌRIS
2. Il colore nel cinema e nella fotografia
112
2.1 Tre colori — Krzysztof Kieślowski
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2.2 The Giver. Il mondo di Jonas — Phillip Noyce
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2.3 Il colore sociale e culturale — Steve McCurry
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2.4 Il colore che rende visibile l’invisibile — Franco Fontana
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3. Il colore nella progettazione e nel marketing 128 3.1 Il sistema dei campioni di colore
132
3.2 Il ruolo del colore nel marketing
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4. Il colore nella moda
140
4.1 Bon Ton e tendenze
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4.2 Armocromia — Analisi del colore personale
148
5. Benessere a colori
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5.1 Il colore nella medicina alternativa
152
5.2 La meditazione cromatica
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Conclusioni
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Ringraziamenti
158
Bibliografia
160
Sitografia
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INTRODUZIONE
“
I colori stimolano alla filosofia. Sembrano darci da risolvere un enigma, un enigma che ci stimola senza inquietare. Ludwig Wittgenstein
COLŌRIS - PERCEZIONE E APPLICAZIONE DEL COLORE
Nei secoli passati la mancanza di una vera e propria scienza del colore ha spinto molti studiosi, sia scienziati che artisti, ad indagare i fenomeni naturali e le manifestazioni di colore: generalmente i primi per curiosità, mentre i secondi per necessità. Alcuni di essi attraverso sperimentazioni e osservazioni rilevanti sul colore, hanno elaborato vere e proprie teorie. Sebbene esse siano proiettate all’oggettività, poiché ogni teoria sostiene le sue impressioni e con esse colora il mondo, possono assumere un’impronta soggettiva, risultando in accordo o in disaccordo con le altre. Ne è esempio la nota contrapposizione fra la teoria di Newton e quella di Goethe. Non a caso Galileo sosteneva che i colori, proprio come gli odori e i sapori, si fondano sulla variabilità di chi li percepisce e perciò non possono essere considerati dei fenomeni oggettivi come la figura, il moto o il numero. I colori destano un profondo interesse nell’uomo, in quanto lo circondano e lo suggestionano continuamente, oltre a fornirgli informazioni utili sull’ambiente che lo circonda: si pensi al colore che in natura permette di conoscere lo stato di maturazione di un frutto oppure alle segnalazioni luminose e colorate ideate dall’uomo per trasmettere messaggi immediati e precisi. Secondo Goethe il colore è sempre apparso come spiegazione originaria dei fenomeni, ma al contempo anche come falsificazione della verità e del discorso interpretativo, per far credere alcune verità al posto di altre. Ogni studioso si è soffermato a considerare i colori: essi rappresentano le leggi della mutazione, della seduzione, della non verità… Tuttavia essi non possiedono una corporeità e nella considerazione che la natura stessa sia incolore, ma appaia colorata a uomini e insetti, per consentir loro di adempiere alle loro naturali funzioni di nutrimento e riproduzione, i colori possono divenire veri e propri strumenti utilitari e d’inganno. Oggigiorno più che mai, numerose sono le discipline che impiegano il colore, servendosi della forza intrinseca propria di ogni tonalità di colore. Così il colore è diventato un potente strumento, la cui applicazione segue regole precise nell’industria tessile e automobilistica, nello spettacolo televisivo e cinematografico, nel settore grafico e fotografico, nell’architettura e via dicendo. Con il progressivo sviluppo economico si è avvertita l’esigenza di stabilire precisi riferimenti, che permettessero di identificare con univocità un dato colore, attraverso una descrizione quantitativa e non qualitativa, indipendente dalle sensazioni che esso suscita in un particolare osservatore. La presente trattazione si apre con un’analisi storica che si sofferma sulla valenza del colore nel passato, sulle teorie e sulle riflessioni di alcuni pensatori come Johann Wolfgang Goethe, Ludwig Wittgenstein e Rudolf Steiner e sulle osservazioni di alcuni artisti come Philipp Otto Runge e Johannes Itten, che indagano la percezione e il significato del colore. La valenza significativa del colore è approfondita attraverso la semiotica visiva, grazie ai suoi modelli di analisi e alle sue categorie interpretative basate su sistemi e processi di significazione, ha fornito un compromesso all’eterno dibattito tra soggettivismo e oggettivismo, universalismo e relativismo. Dopodiché l’analisi si focalizza sull’applicazione del colore in ambiti specifici: nella pittura, nel cinema e nella fotografia, nella progettazione e nel marketing, nella moda, nella medicina e nelle attività legate al benessere.
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PARTE PRIMA Studi sul colore
1. LA VALENZA DEL COLORE NEL TEMPO
“
Dite quello che volete, ma i bachi da seta e il color nero sono le due cose più degne di onore che sieno al mondo. Gasparo Gozzi
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Il colore ricopre un ruolo importante sin dall’antichità, si pensi agli indigeni che ricorrono da sempre alla colorazione della propria pelle sia per distinguersi nel mezzo della natura vivente e dagli altri animali, sia per testimoniare la propria appartenenza a un limitato gruppo di individui. Essa può adottare colori con funzioni specifiche divenendo un abito identificativo a tutti gli effetti, come ad esempio il colore nero può indicare privazione di appartenenza alla comunità (temporanea o duratura), malattia, tradimento, lutto o schiavitù. L’importanza del colore diviene evidente ad esempio in caso di battaglia, dove i contrasti cromatici permettono di riconoscere i diversi schieramenti o ancora in una partita di football, dove grazie al diverso colore delle divise è possibile distinguere i componenti delle squadre avversarie, proprio come nel gioco degli scacchi. I colori dunque possono divenire il tratto distintivo di un popolo, di frazioni etniche o di partiti politici, a tal proposito il filosofo politico Empedocle (V secolo a.C) riteneva che il colore fosse come l’anima e le radici dell’intero mondo esistente, poiché diviene parte integrante di ogni singola cultura, proprio come un piccolo oggetto artistico e colorato può diventare la testimonianza di un popolo. La vita dell’uomo all’inizio della sua esistenza era scandita dall’alternarsi del giorno e della notte, della luce e del buio e i colori associati a questa alternanza erano il giallo e il blu scuro. Durante il giorno l’uomo si dedicava principalmente alla caccia per la propria difesa e conservazione — attività che può essere associata al rosso del sangue e al verde della vegetazione. Gli uomini primitivi adoperavano le terre colorate sia per rappresentare scene di vita e di caccia all’interno delle proprie caverne per decorarle, sia per dipingersi viso e corpo per sentirsi più forti e coraggiosi durante le azioni di caccia. Nell’antico Egitto il colore era assai importante in quanto rappresentava lo spirito e la sostanza delle cose. Il sacerdote, sommo conoscitore di tutte le cose, impiegava la tinta nera portatrice di vita e benessere per dare valore alle cose positive, al contrario utilizzava la tinta rossa per le cose negative; attraverso la tinta azzurra rappresentava il divino e la sacralità, poiché il cielo era considerato la casa dei Dei. Nell’Islam il bianco era il colore attribuito alla luce ed era considerato di buon auspicio, in contrasto il nero era giudicato funesto e identificativo degli animali per il colore del loro manto. Nella tradizione cristiana il colore assegnato al Padre era il bianco, simbolo di purezza, castità e fede; il blu era attribuito al Figlio; quello rosso era associato allo Spirito Santo in segno di amore e carità; infine il verde si considerava il colore della speranza, mentre il nero quello della penitenza. Anche i popoli africani adoperavano il colore come simbolo religioso, carico di significati e forza; al contrario il colore bianco simboleggiava i morti e veniva usato per allontanare la morte dagli ammalati. L’antico mondo greco aveva sviluppato una certa diffidenza nei confronti del colore, a causa del suo carattere immateriale, estrinseco e suggestivo non quantificabile scientificamente. Sebbene ideologicamente non fosse riconosciuto il valore del colore, nel territorio greco si affermò un ampio utilizzo da parte di religiosi e sovrani del color porpora e del rosso, sinonimi di fama e ricchezza; mentre il colore giallo era indossato dalle Dee. Non solo in Grecia, ma le intere coste mediterranee furono invase dal colore rosso-porpora dei Fenici, ricavato attraverso un lungo procedimento di estrazione da particolari murici e chiocciole marine 11
LA VALENZA DEL COLORE NEL TEMPO
(Murex trunculus, Murex brandaris, Purpura haemastoma). Così ben presto il rosso-porpora era diventato il colore occidentale per eccellenza, dotato di alto prestigio etnico-sociale da diffondersi anche nella Roma antica, dove il re Numa Pompilio riconosciuto il valore del colore, cominciò a tutelare il disagiato e sporco lavoro del tintore e di tutte quelle professioni artigianali affini. Successivamente il rosso-porpora divenne color officialis delle istituzioni dell’impero romano e fu imposta dagli imperatori la presenza del bianco marmoreo e statuario, sulle facciate dei monumenti di rilievo del territorio urbano. Nacque così la triade dei colori materiali — bianco, rosso e nero — che relazionava i valori terreni e corporei: il rosso con l’abbondanza, il bianco con la rarità e l’incertezza del fato, il nero con la schiavitù e pessimi auspici. Al color officialis romano si contrappose il colore barbarico blu scuro (caeruleus color) ricavato dalla pianta del guado, con cui i Britanni si tingevano prima di andare in battaglia per apparire come terribili eserciti spettrali. Il bianco dei marmi classicheggianti, che per la Grecia classica avrebbe privato ogni cosa del suo valore — a giudicare delle tracce di policromia del Partenone e delle protesi colorate e luccicanti delle statue di Olimpia — divenne nelle città ottocentesche un principio nobile e sociale, per edifici e suppellettili sia pubblici che privati. La civiltà borghese infatti aveva identificato con il bianco l’esteriorizzazione di un nuovo ethos, basato su principi rivoluzionari di libertà, eguaglianza e proprietà: il bianco invadeva lo spazio pubblico e privato per predisporre il nuovo ambiente, cancellando il tragico vissuto del passato per far spazio alle nuove energie e speranze di una vita migliore. Contemporaneamente il colore nero era diventato individuale e personale, proprio di un abbigliamento elegante e pieno di rispetto, mentre il colore rosso utilizzato dai militari e in battaglia, identificava le rivoluzioni popolari. Dunque nella società ottocentesca, nonostante non sia stato composto un campionario sui colori utilizzati, il colore aveva assunto una valenza propriamente simbolica: le bandiere tricolori rappresentavano l’unità degli ideali nazionali, al tempo stesso le divise colorate permettevano di riconoscere un insieme di individui come cittadini appartenenti ad un unico popolo. Nelle nuove città industriali il bianco e il nero erano diventati colori di riferimento proprio per la loro assenza di colore, in quanto i colori utilizzati seguivano precise regole e inducevano gli individui a compiere azioni e riflessioni, così che un colore poteva identificarsi con un determinato oggetto come la bandiera, la divisa, il prato o un dipinto. Proprio dal testo che segue, è possibile evincere quanto il semplice colore dell’abito potesse influenzare il comportamento e le relazioni tra individui estranei.
“Dite quello che volete, ma i bachi da seta e il color nero sono le due cose più degne di onore che sieno al mondo. Vadano a nascondersi le pecore e quanti altri animali vivono, o danno il pelo e le pelli agli uomini per vestirsi. Voi crederete ch’io sia impazzato a dirvi così all’improvviso queste parole; ma sono in un entusiasmo d’amore verso un mantello nero col quale vo mascherato. Il primo giorno ch’io sbarcai, mi posi in maschera con un mantello di panno d’un certo colore traente al marrone, perché tirava un certo tramontano che mi feriva le budella; ed 12
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
uscito di casa, comecché non vi fosse alcuno che s’arrestasse per dirmene né bene né male, m’accorsi che camminando per le vie non vi era uomo dabbene, né facchino che non volesse passarmi innanzi, e che passando non m’appuntasse i gombiti nel petto. Non vi potrebbe noverare un abbachista gli urti che mi furono dati, le male parole che mi furono dette, tanto ch’io ritornai a casa mezzo sbigottito, ed in più parti livido ed ammaccato. Pure accagionando di ciò la gran concorrenza delle genti che vanno e vengono, di su di giù, di qua di là, e ad un movimento perpetuo, uscii la mattina vegnente con un altro mantello tinto in scarlatto. Mi avvenne quasi il medesimo del passato giorno, e ritornai alla locanda in cui sono alloggiato, pesto e pigiato come l’uva in un tino. Sentendo il locandiere che nello spogliarmi io gittava qualche sospiro e guaio, come chi sente doglie, mi domandò quello che avessi. “Fratel mio,” diss’io, “ho fatto il mio conto di godermi il restante del carnovale in un buon letto e bene sprimacciato della tua locanda. Io trovo per tutte le vie una calca di genti che vanno e vengono con tanta furia, ch’io non so tanto guardarmi il corpo dalle urtate senza veruna discrezione, ch’io non ritorni all’albergo con parecchie lividure nelle coste e nelle braccia. Se tutti vanno alle case’loro a questa guisa, qui si dee consumare un pelago d’unguento.” Rise il locandiere, e mi rispose: “Signor mio, di tutto ciò è vostra la colpa; scusatemi, voi uscite con due mantellacci che invitano e traggono a sé tutti gli sgarbi del paese.” – “Come mantellacci?” diss’io. “Non sono essi forse nuovi e usciti dalle mani del sarto si può dir ieri?” “Fate pure a modo vostro,” ripigliò, “ma se voi non avete un mantello nero di seta, correte rischio di ritornare a casa dilombato o azzoppato.” Accettai il parere del mio buon locandiere, e fattomi tosto un mantelletto nero che risplende come uno specchio, uscii con quello indosso. Oh maraviglia! che non sì tosto fui nella calca delle genti, quelle ch’erano indietro, rimanevano indietro; quelle che mi erano ai fianchi, mi rasentavano leggermente, per modo che mi parea di esser solo; e da quel punto in poi mi vendico degli urti ricevuti contro a tutti quelli che non hanno il mantello come il mio. Egli è vero ch’io non sto così bene come co’miei primi mantelli, e che mi sono infreddato; ma non si può a questo mondo avere ogni cosa. Vi avviso di quanto mi è accaduto, sapendo che avete a venir in Venezia voi ancora, acciocché vi regoliate, e sono con vera amicizia e stima tutto di voi.” Gasparo Gozzi, L’osservatore veneto, a cura di N. Raffaelli, Rizzoli, Milano 1965
Nel corso dell’Ottocento mutò l’uso del colore anche in campo militare: in precedenza durante un conflitto armato l’intento era di evidenziare gli schieramenti coinvolti con colori lampanti, successivamente al contrario l’intento era quello di essere invisibili. Tutto ciò per seguire le nuove strategie di guerra proiettate all’imprevedibilità degli attacchi e alla mimetizzazione dei bersagli nell’ambiente, così il colore delle truppe che un tempo era bianco, azzurro o rosso diventa mimetico con tonalità variabili dal verdone al caki, al marrone e al grigio della terra, proprio per poter strisciare e confondersi, limitando gli avvistamenti avversari. Anche i veicoli impiegati negli scontri armati avevano necessariamente adottato il colore mimetico, abbandonando il consueto nero delle vetture urbane, conservando però i contrassegni di guerra e i dischi identificativi della bandiera nazionale. 13
LA VALENZA DEL COLORE NEL TEMPO
In termini di materialità, il colore ha acquistato maggiore importanza nella pratica pittorica, in quanto il valore di un quadro dipendeva in primis dall’autenticità e dalla qualità delle tinte impiegate per realizzarlo, mentre in secondo piano erano poste le abilità e il tempo di esecuzione del pittore. Inoltre nella pittura rinascimentale che seguiva precise regole prospettiche, si può osservare il dominio della forma sul colore, esso infatti è inscritto in contorni definiti: dunque la forma lo precede e lo concretizza. Il dominio del disegno prospettico sul colore era del tutto legittimo poiché mentre il disegno prospettico lineare si basava sulla geometria e su proporzioni oggettive, il mondo dei colori era basato sull’apparenza e sulla percezione soggettiva. Nello studio della composizione pittorica Leonardo Da Vinci (1452-1519) si era soffermato in modo particolare sulla percezione dei colori, in relazione alla luce e all’ombra: la sua intenzione era di affiancare alla prospettiva lineare, che regolava la rappresentazione dello spazio, una prospettiva cromatica formulando una teoria dei colori basata sulla percezione cromatica soggettiva, definendo così la prospettiva aerea. Malgrado l’ampio utilizzo del colore nei secoli passati, ancora non era stata fondata una vera scienza del colore, per cui aumentavano sempre più l’esigenza e il desiderio di indagare i colori e la loro percezione fisica. Così diversi studiosi, filosofi e pittori, basandosi sulle proprie percezioni e sensazioni, nonché su metodi analitici e sperimentali, nel tempo hanno sviluppato diverse teorie sul colore, spesso associando i colori all’ombra e alla luce, in relazione alla trasparenza e all’opacità, alla vicinanza e alla lontananza. La saggistica nel primo decennio dell’Ottocento si è focalizzata molto sulla trattazione del colore, raggiungendo forse il più alto picco d’interesse. Sono state analizzate le sue valenze simboliche, i suoi significati ideologici ed etici, le sue chiavi di lettura in relazione al mondo e all’uomo. Tra i tanti che si sono applicati allo studio del colore, ci sono letterati come Goethe, Novalis, Wackenroder, Tieck e Brentano, filosofi e scienziati come Schelling, Hegel, Shopenhauer e Steffens, pittori concettuali come i nazareni di Overbeck e Pforr; infine musicisti come Berger e Beethoven. Il maggior catalogo delle tinte antiche Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels (1864) è stato redatto da Eugène Chevreul (1786-1889), nel quale definisce i colori, le loro mescolanze e gli effetti del loro contrasto, includendo ben 14.400 tonalità cromatiche materiali, che precedono la nascita e la diffusione dei nuovi coloranti sintetici. Difatti l’innovativa chimica industriale del XIX secolo, oltre che a sostituire la coltivazione delle piante produttrici di materia colorante da cui poter ricavare la tinta, ha provocato la diffusione delle tinte piatte a discapito della ricca percezione cromatica propria delle tinte precedenti, ottenute dalle mescolanze di piante e insetti. Se da un lato filosofi e pittori si impegnavano per rendere oggettive le proprie osservazioni e percezioni dei colori, dall’altro i fisici nella loro indagine scientifica partivano dallo studio della luce — portatrice di informazioni sulla forma e sul colore dello spazio circostante — domandandosi se fosse composta da particelle o da onde. Secondo Isaac Newton (16431727) la luce era formata indubbiamente da particelle, in quanto considerava le onde solo dell’acqua e del suono. In realtà grazie a studi ed esperimenti recenti, oggigiorno si cono-
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
sce la duplice natura ondulatoria e corpuscolare di tali particelle energetiche e luminose: quando la luce si muove nello spazio può essere pensata sotto forma di onde, mentre quando incontra la materia si comporta come uno sciame di particelle che si sposta in linea retta. Inoltre è stato scoperto che di tutta la radiazione elettromagnetica dell’energia emessa dal Sole, è definita luce visibile la porzione che comprende le lunghezze d’onda tra i 380 e i 760 nanometri (FIGURA 1). Questa porzione definisce lo spettro visibile (FIGURA 2), percepito dall’occhio umano attraverso la successione cromatica dell’arcobaleno. In relazione allo spettro visibile sono state distinte le tinte spettrali, ovvero quelle contenute nell’arcobaleno, da quelle non spettrali come il viola o il magenta. Tuttavia è impossibile percepire le singole lunghezze d’onda, motivo per cui la tinta che ci appare corrisponde alla lunghezza d’onda dominante o risultante. Le diverse lunghezze d’onda sono complessivamente visibili grazie ai recettori della retina situati sul fondo dell’occhio, che le trasformano in un segnale elettrochimico attraverso cui il cervello elabora la percezione e la sensazione del vedere. La percezione dell’intensità luminosa è determinata dal numero di fotoni che sollecitano tali recettori: il segnale elettrico prodotto dalla retina è direttamente proporzionale al numero di fotoni assorbiti. A permettere tale meccanismo biologico sono le 4 tipologie di recettori della retina: i bastoncelli che entrano in funzione in condizione di scarsa illuminazione; e tre tipi di coni rispettivamente sensibili alle onde lunghe, medie e corte. FIGURA 1 Le radiazioni elettromagnetiche.
Lunghezze d’onda espresse in metri
10 -14
10 -12
Raggi cosmici
Raggi gamma
Raggi x
440
10 -10
Luce visibile
420
10 -8
10 -6
Infrarossi
380
Ultravioletti
10 -4
Satellitare
Telefono cellulare
Televisione
Radio AM
Radionavigazione
10 -2
1
10 2
10 4
FIGURA 2 Lo spettro visibile.
Lunghezze d’onda espresse in nanometri
460 480
500
520
540
560
580
600
620
640
680
720
760
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LA VALENZA DEL COLORE NEL TEMPO
Più nello specifico, l’elaborazione del colore avviene all’interno delle aree della corteccia visiva (FIGURA 3) in tre step: 1) nella corteccia visiva primaria V1 avviene la valutazione delle lunghezza d’onda; 2) in V4 è analizzata la costanza cromatica, confrontando con le tinte adiacenti; 3) l’attribuzione cromatica viene infine controllata coinvolgendo la corteccia temporale inferiore per la sfera semantica e l’ippocampo per la memoria.
V3 V2
Tratto ottico
V1
FIGURA 3 Aree della corteccia visiva nella sezione trasversale del cervello.
V2 V4
Così attraverso studi e osservazioni scientifiche, nell’universo dei colori sono state individuate le tinte fondamentali presenti e visibili nei fenomeni naturali. Successivamente tra di esse sono state definite le tre tinte primarie — rosso, giallo, blu — sostenendo che la loro mescolanza sia in grado di generare tutte le altre. È stato inoltre affermato che queste tre tinte sono reciprocamente complementari e contrastanti: ad esempio il viola è sia il risultato dell’unione di rosso e blu e sia il rispettivo complementare del giallo; osservazione valida anche per i complementari rosso e verde (ottenuto da giallo e blu) e blu e arancio (ottenuto da rosso e giallo). Ulteriori analisi hanno permesso di individuare i principi generativi del linguaggio dei colori, attraverso filtri classificatori: la tonalità (il colore dominante rispetto ai gruppi di materiali calorici di paragone), la brillantezza (la lucentezza o la quantità di luce che accompagna la tinta sfumata o sbiadita) e la saturazione (il tono deciso e carico dei colori pieni che richiamano quasi una maggior intensità e purezza della materia). Successivamente con la progressiva industrializzazione, sono stati definiti due processi cromatici, che partendo da tre colori basilari regolano la formazione di tutto gli altri, rendendo possibile la riproduzione e la trasmissione dei colori. Il primo processo è additivo (FIGURA 4) si attua nei colori trasmessi attraverso la luce e produce mescolanze luminose, mentre il secondo è sottrattivo (FIGURA 5) si basa sulla mescolanza o sovrapposizione materiale dei colori e genera appunto mescolanze materiali. Pertanto ogni pittore nella realizzazione della propria opera compie una sintesi sottrattiva per ottenere le tinte, ma la realtà che osserva grazie alla presenza della luce, si manifesta attraverso una sintesi additiva. Georges Seurat (1859-1891) che rifiutava le mescolanze tradizionali e accostava colori basilari nella convinzione di ottenere il fenomeno additivo a distanza osservando i suoi quadri, generava un contrasto consecutivo e simultaneo. La pittura impressionista e divisionista, dei fauves e dei futuristi, ha preso in ampia considerazione le teorie formulate
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
da Chevreul, mentre quella dell’astrattismo, del cubismo e del neoplasticismo ritrova nel colore un principio di percezione assoluta, in quanto la nuova architettura ha soppresso l’espressione individuale propria della pittura, facendo del colore un mezzo elementare per rendere visibile l’armonia tra rapporti architettonici. FIGURA 4 PROCESSO ADDITIVO Processo additivo.
Bianco
FIGURA 5 PROCESSO SOTTRATTIVO Processo sottrattivo.
Blu
Nero
Magenta
Ciano
Rosso
Verde
Giallo
Giallo Rosso
Verde
Magenta
Ciano
Blu
Nell’era industriale contemporanea si ricercano la lucentezza e la brillantezza proprie dei metalli e delle nuove tinte metallizzate, quasi a voler sottolineare la lucida coscienza del progresso. Si applicano trattamenti specifici e anticorrosivi per le leghe, per preservare la superficie degli oggetti e rendere il loro colore eterno, conservandone l’aspetto di fresca produzione di fabbrica. Metalli come rame, ottone, bronzo e piombo sono sostituiti da altri materiali non metallici che ne simulano l’aspetto e il colore superficiale, per un voluto effetto artistico e decorativo. Accanto all’estetica del lucido, nelle strade della città moderna si diffondono nuove tinte entro la gamma del grigio: sia per l’inquinamento dovuto all’attività industriale e al traffico automobilistico, sia per la diffusione di nuovi materiali costruttivi incolori, come l’asfalto e il cemento. Al grigio si contrappone il verde, colore indispensabile per la civiltà poiché richiama le speranze e le promesse rivolte ad un futuro migliore. Invece gli oggetti personali e di arredo interno sono invasi da una vasta gamma di tinte, ad eccezione di elettrodomestici e impianti sanitari che inizialmente erano necessariamente di colore bianco per le norme igieniche vigenti, ma successivamente anche questi ultimi con la biancheria personale sono declinati a tonalità diverse dal bianco. Nella società moderna l’ampio utilizzo di tinte e coloranti ha portato alcuni effetti collaterali, ad esempio la colorazione del cibo ha iniziato ad essere una minaccia per la salute: attraverso trattamenti di denaturazione dei prodotti — per scopi puramente estetici — i colori sono diventati veri e propri veleni. La smisurata produzione industriale di coloranti, si è trasformata in produzione di esplosivi e così nel corso di un secolo e mezzo, i prodotti dell’industria chimica sono diventati del tutto affini: tinture e colori, esplosivi, farmaci, alimentari.
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2. OSSERVAZIONI E TEORIE SUL COLORE
“
Il mondo dei colori non si può dominare con l’intelletto. Dobbiamo comprendere questa realtà con il sentimento. Rudolf Steiner
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Nel corso del XVI secolo ci furono diverse pubblicazioni relative al tema dei colori, tra le quali spiccano il trattato De coloribus (1528) di Antonio Telesio (1482-1534), un repertorio di dodici colori per il confronto e la concordanza delle tinte moderne con quelle antiche; e Il significato de’ colori (1535) di Fulvio Pellegrino Morato (1483-1548), un breve componimento poetico sul significato dei colori, definito oggettivamente nullo o ingannevole in quanto relativo al contesto in cui sono applicati. Dai secoli successivi in avanti si è verificata una netta distinzione tra arte e scienza sperimentale: entrambe hanno indagato il fenomeno cromatico, la prima prediligendo la percezione, la seconda ricercando la massima oggettività e ciò ha inevitabilmente portato alcune teorie a scontrarsi più di altre. Al Settecento, secolo della metrologia e dei modelli, risalgono i primi emblemi della colorimetria, tra cui la piramide (Farbenpyramide, 1772) di Johann Heinrich Lambert (1728-1777), che riassume la base del tricromatismo elementare, precedentemente affermato dal tedesco Le Blond (1679-1719). Tale piramide (FIGURE 6.7.8) tenta di spiegare le relazioni alternate tra i colori: il triangolo alla base è di colore nero al centro e di color cinabro, giallo e azzurro ai vertici. I sette strati della piramide aumentano gradualmente di luminosità fino alla punta che diventa bianca, raggiungendo il massimo grado di luminosità. Lambert credeva fortemente nell’utilità del suo sistema, destinato ad aiutare i commercianti di tessuti, i tintori e gli stampatori del suo tempo fornendo loro ispirazione per le loro miscele. Successivamente Tobias Mayer (1723-1792) ha individuato un principio di inversione cromatica attraverso una doppia piramide triangolare a contatto con la base (FIGURA 9), in cui il colore parte dal vertice superiore chiaro (brillanza) e termina nel vertice inferiore scuro (saturazione). Questo ha costituito un concetto base a cui hanno fatto riferimento tutti i solidi colorimetrici successivi, dalla mistica sfera di Philipp Otto Runge al campionario di tinte dalla forma a rocchetto di Albert Munsell, al doppio cono di Wilhelm Ostewald e fino al luminoso romboedro di Harald Küppers che il riassume tutti.
FIGURE 6.7 Farbenpyramide di Heinrich Lambert, 1772.
FIGURA 9 Doppia piramide di Tobias Mayer, 1745. 19
OSSERVAZIONI E TEORIE SUL COLORE
FIGURA 8 Farbenpyramide di Heinrich Lambert, 1772.
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
In molti hanno considerato lo studio di Isaac Newton un grande contributo per l’indagine scientifica sul colore. Egli nell’Optiks (1704) ha definito la sua analisi scientifica dei colori, con una teoria fisica, solida e coerente che associa al fenomeno della rifrazione della luce, tutte le manifestazioni legate ai corpi trasparenti. Newton nei suoi esperimenti dimostrativi ha impiegato mezzi sperimentali e semplici, affinché la sua indagine fosse il più assoluta possibile e riproducibile da qualsiasi uomo di cultura, anche non specialista. L’esperimento cruciale e di maggior rilevanza è stato dimostrare che la rifrazione di un raggio luminoso, non solo produce la scomposizione nello spettro dei colori, ma è anche in grado di ricomporre il raggio per ottenere nuovamente luce bianca, invertendo il meccanismo del processo. Così nell’ottica newtoniana il colore diventa un’emissione di luce, smettendo di essere una figura materializzata dalla produzione pittorica. Di conseguenza la sorgente luminosa adotta una posizione centrale poiché attraverso un’emissione di luce data e costante, la sorgente fissa il chiaro, l’oscuro e le varie tonalità basandosi su modelli e scale cromatiche. I diversi esperimenti di Newton hanno evidenziato la teoria corpuscolare della luce incentrata sulla materialità, rispetto alla teoria ondulatoria sostenuta da Robert Hook (1635-1703) e proiettata all’astrazione. Secondo tale teoria i corpuscoli che compongono la banda rossa sono di dimensione massima, mentre quelli che compongono la banda viola sono di dimensione minima. Inoltre Newton catalogando i sette colori dello spettro solare — rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto — secondo le relative proporzioni, ha composto il disco rotante che porta il suo nome, principalmente per mescolare i colori e ottenere la luce bianca: attraverso la rotazione il disco mescola la luce riflessa dai colori diversi, da cui si ricava un riflesso di luce biancastra. Si ottiene dunque l’illusione che i colori tendano ad uniformarsi e a diventare bianchi. Malgrado le dimostrazioni di Newton, alcuni studiosi hanno maturato considerazioni in contrasto con la sua teoria e tra di essi risalta la radicale opposizione di Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), che privilegiava la percezione cromatica soggettiva, in piena condivisione con il contemporaneo movimento romantico. Le due teorie sono in antitesi perché se da un lato Newton sosteneva che i colori fossero parte della luce dimostrando attraverso un prisma la manifestazione dello spettro luminoso, dall’altro Goethe pur riconoscendo il legame tra colore e luce, sosteneva che entrambi fossero parte dell’intera natura ed essa solo manifestandosi si svela al senso della vista, di conseguenza i colori sono visibili e conoscibili solo attraverso l’esperienza. Nella sua teoria Goethe ha distinto i colori fisiologici, fisici e chimici e ha preso in esame anche l’azione simbolica e morale del colore, soffermandosi sulle sensazioni che i colori e le loro figure sono in grado di suscitare nell’uomo, riscuotendo il consenso e l’ammirazione di personaggi influenti come Schopenhauer, Beethoven ed Hegel. In particolare con il pittore tedesco Philipp Otto Runge (1777-1810), Goethe ebbe un’importante corrispondenza epistolare al riguardo, poiché erano profondamente legati dall’interesse comune per lo studio sulla percezione del colore e Goethe considerava gli studi di Runge gli unici avvicinabili in qualche modo al livello dei suoi. Runge dal 1806 aveva intrapreso quasi ossessivamente lo studio sul colore, colpito dagli effetti cromatici 21
OSSERVAZIONI E TEORIE SUL COLORE
naturali si chiedeva come un pittore potesse riprodurre su tela quello stesso effetto, questo lo ha spinto a studiare e ricercare le proprietà e le forze dei colori. Così ha intrapreso la sua ampia riflessione artistica, che coinvolge temi e motivazioni culturali, intellettuali e sentimentali. Runge ha iniziato a scrivere sia per una sua semplice riflessione al riguardo, sia per confrontarsi con altri pensatori contemporanei che indagavano gli stessi suoi fenomeni, in quanto credeva fermamente che solo condividendo osservazioni e riflessioni fosse possibile comprendere la totalità dei fenomeni della manifestazione dei colori. Quei fenomeni tanto affascinanti quanto misteriosi, indagabili solamente attraverso la percezione dei singoli osservatori, che normalmente differisce da tutte le altre e proprio da questa consapevolezza, è nata la sua necessità di confronto con gli altri. Nel corso del Novecento Vasilij Kandinskij (1866-1944) ha studiato la corrispondenza tra la forma dei colori e i suoni musicali, mentre Paul Klee (1879-1940) seguendo le osservazioni di Philipp Otto Runge e Rudolf Steiner (1861-1925) ha elaborato una sua teoria sui colori, schematizzata ne il canone della totalità (FIGURA 10). Esso rappresenta in alto la luce e in basso l’oscurità, collegate da un rapporto di mutua interrelazione. A metà della loro distanza si forma il grigio, attorno al cui asse girano e si mescolano delle forme falcate parzialmente sovrapposte, che indicano i tre colori fondamentali — rosso, giallo, blu — gradualmente mescolati tra loro generano i colori intermedi — verde, viola, arancio. Tali mescolanze generano il fenomeno della dispersione cromatica nel cerchio a sei colori, nel quale i colori complementari e le loro coppie sono contrapposte diagonalmente (FIGURA 11).
FIGURA 10 Il canone della totalità di Paul Klee. Viola
Rosso
Azzurro
Arancione
Verde
FIGURA 11 Il cerchio a sei colori dei complementari.
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Giallo
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Sulla scia di Kandinskij e Klee, Johannes Itten (1888-1967) ha formulato la sua teoria sul colore, pubblicata ne Arte del Colore (1961), nel quale tratta il carattere mistico-psicologico dell’essenza e della spiritualità individuale delle espressioni cromatiche. In contemporanea agli studi di Klee, Koffka e Koehler hanno indagato il rapporto forma-colore nella percezione visiva, con intenti scientifici in relazione alla psicologia della Gestalt, ma l’indagine li ha ricondotti alle teorie fisiologiche di Goethe e spirituali di Kandinskij. Anche le riflessioni contenute nella pubblicazione Osservazioni sui colori (1950) di Ludwig Wittgenstein (1889-1951), si sono scontrate con il carattere scientifico delle teorie gestaltiche che connettono l’apparire con l’essere, mentre attraverso la percezione si connette l’apparenza con la sola apparenza. Wittgenstein con le sue osservazioni non ha definito una teoria del colore di carattere fisico, fisiologico o psicologico, ma si è soffermato sul concetto di colore, primeggiando la logica alla percezione cromatica. Ha così definito una grammatica del vedere, secondo cui i colori sono identificati in un contesto di regole e nell’ambito di usi e applicazioni, proprio come si riconoscono occhi sorridenti soltanto in relazione ad un volto. Wittgenstein inoltre ha considerato la teoria dei colori di Goethe inutile per un pittore o un decoratore, in quanto solo osservando non si impara nulla sulla natura e sul concetto di colore. Infatti sosteneva fermamente che una vera teoria dei colori dovrebbe focalizzarsi anche sulla ricerca e sullo studio della loro armonia, indicando le mescolanze e gli accostamenti cromatici da evitare e quelli da prediligere. In quest’ottica molto rilevanti sono risultati gli studi sul colore del pittore Johannes Itten, che ha definito ben sette tipi di contrasti cromatici, analizzandone le finalità estetiche e gli effetti nella percezione visiva. Nel maggio 1921 Rudolf Steiner, sollecitato da conoscenti e allievi, ha tenuto tre conferenze sul colore dove ha esposto alcune sue considerazioni fondamentali per la formulazione di una nuova teoria dei colori. Il suo punto di partenza è stato la teoria dei colori di Goethe, che ha indagato la natura con lo stesso principio della scienza dello spirito, secondo Steiner l’unica vera scienza in grado di studiare il fenomeno cromatico, rifiutando ogni tipo di indagine scientifica. In quest’ottica il colore assume una forte valenza spirituale nell’aura colorata, propria di ogni individuo, in grado di mostrarne attraverso il colore l’essenza, rivelandone attitudini e tratti caratteriali.
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2.1 LA TEORIA DEI COLORI — Johann Wolfgang Goethe
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) scrittore, poeta e drammaturgo tedesco, si colloca tra i più rilevanti teorici del colore. I suoi studi sui fenomeni cromatici sono stati ampiamente presi in considerazione da molti altri teorici, contemporanei e non. Egli stesso ha precisato ripetutamente che la sua teoria non era rivolta ai pittori benché affrontasse situazioni e fenomeni a loro utili e vicine, ma a scienziati e pensatori nella speranza che sulle sue orme essi avrebbero ulteriormente approfondito il suo studio, per giungere alla fondazione di una nuova scienza. La teoria di Goethe viene definita una fenomenologia empirica, in quanto muove dalla percezione e dall’esperienza che l’uomo ha del colore, compiendo una moltitudine di ricerche ed esperimenti necessari per giungere alla verità e alla comprensione dei fenomeni. Come Giulio Carlo Argan (1909-1992) sottolinea, Goethe ha affrontato la dibattuta questione dell’oggettività e soggettività del conoscere: la teoria del colore per l’appunto è formata da fenomeni ottici osservati personalmente. Goethe ha intrapreso la sua indagine sul colore principalmente per due motivi: in primo luogo perché i colori lo affascinavano profondamente, in secondo luogo per esprimere il suo disaccordo con la teoria corpuscolare di Isaac Newton che reputava falsa. Goethe considerava infatti assurdo definire che la luce bianca fosse costituita da raggi colorati scomponibili, ma riteneva ancor più assurdo partire dalla luce per studiare i colori, quando in realtà essa è soltanto una condizione necessaria per poterli vedere. Fatta questa premessa, Goethe ha iniziato la sua indagine cromatica partendo dallo studio dell’occhio, l’unico strumento di cui l’uomo naturalmente dispone per captare i colori e la loro reciproca relatività. Quando l’occhio percepisce un colore si attiva inconsapevolmente e necessariamente, in quanto per appagare sé stesso cerca accanto ad ogni spazio colorato, uno spazio incolore su cui produrre il colore richiamato, generando così una totalità che lo appaga. Egli definisce i colori azioni e passioni della luce, riconosce i colori e la luce come elementi appartenenti alla natura che si manifestano al senso della vista, catturandone l’attenzione. Così il colore è definito un fenomeno naturale elementare, tuttavia è bene notare quanto la luce sia indispensabile all’occhio per poter captare e distinguere sia i colori che le forme. Più precisamente l’occhio necessita della luce quanto del buio per poter scorgere i colori, ma la rètina modifica la sua azione: in caso di buio intenso possiede massimo grado di ricettività e rilassamento, mentre in caso di luce intensa registra il massimo grado di tensione e insensibilità — motivo per cui il passaggio tra luce e buio richiede un certo tempo di adattamento, variabile da soggetto a soggetto. Mentre il nero lascia l’occhio in condizione di quiete, il bianco lo pone in attività, perciò un oggetto scuro apparirà sempre più piccolo di uno chiaro della stessa grandezza: si definisce irradiazione l’apparente estendersi di superfici, figure o forme cromatiche oltre i limiti della loro estensione (FIGURA 12).
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
FIGURA 12 Irradiazione e contrasto simultaneo di due figure di pari ampiezza. Fissando un punto sulla linea di separazione verticale tra i due cerchi in alto, si nota un leggero ingrandimento del cerchio bianco sul nero. Lo stesso accade in basso: il cerchio grigio sul nero appare più grande che sul bianco.
Attraverso il senso della vista Goethe ha individuato tre tipi di manifestazione del colore, che lo hanno portato alla distinzione tra colori fisiologici, fisici e chimici. I colori fisiologici sono stati definiti colores adventicii da Boyle, imaginarii e fantastici da Rizzetti, couleurs accidentelles da Buffon, colori apparenti da Sherffer, vita fugitiva da Hamberger, ocular spectra da Darwin, illusioni ottiche e inganni visivi da molti pensatori. Nell’opinione di Goethe invece appartengono alla percezione dell’occhio sano e costituiscono le necessarie condizioni per la vista, essi sono richiamati dalla rètina. Un’immagine grigia su fondo nero appare molto più chiara della stessa immagine grigia su fondo bianco: ponendo le due immagini una accanto all’altra è quasi impossibile convincersi che siano colorate dello stesso grigio. Goethe spiega questa osservazione sostenendo che sia una reazione della rètina, che richiama il chiaro quando ha davanti a sé lo scuro e viceversa, tale compensazione e ricerca di equilibrio genererebbe per ciascuna delle due immagini un grigio apparente e diverso dall’altro. Un’immagine abbagliante e incolore, genera un’impressione duratura che svanendo gradualmente provoca una manifestazione di colore: fissando un cerchio luminoso, quando si rivolge lo sguardo su una superficie più scura, il cerchio luminoso torna visibile di colore leggermente giallo e con il margine porpora, gradualmente il cerchio appare sempre più porpora, diventato interamente porpora il suo margine diviene azzurro. Quando infine la manifestazione diviene completamente azzurra il margine diviene scuro e incolore, così lentamente la rètina si ristabilisce dopo una forte impressione. Se invece si rivolge lo sguardo su una superficie più chiara e illuminata, il 25
LA TEORIA DEI COLORI - Johann Wolfgang Goethe
cerchio appare scuro e incolore con margini di colore verde, quando l’intero cerchio si tinge di verde i margini diventano di colore giallo e quando il giallo lo ricopre interamente il cerchio diviene incolore e svanisce. Osservando un’immagine colorata posta davanti una lastra bianca, si nota che rimuovendola sulla lastra appare il colore complementare rispetto a quello dell’immagine, individuabile sul cerchio dei colori nella posizione diametralmente opposta rispetto al colore dell’immagine — il giallo richiama il viola, il rosso richiama il verde e l’arancio richiama l’azzurro. Inoltre può accadere all’intera rètina di essere impressionata, ad esempio indossando degli occhiali con lenti di colore verde, una volta tolti l’intero spazio circostante appare rossiccio. La simultaneità di questi effetti e fenomeni cromatici, mostra da un lato le leggi della visione e dall’altro la necessità di una nuova considerazione dei colori: l’occhio sembra possedere al suo interno l’intero cerchio dei colori. Si fissi con lo sguardo il piccolo punto grigio presente nel riquadro centrale della FIGURA 13. Dopo qualche istante spostando lo sguardo in direzione del punto grigio sulla superficie bianca, appare lo spettro opposto: superiormente al posto del porpora appare il verde, inferiormente al posto del verde appare il porpora, sulla destra appare il violetto-azzurro opposto al giallo e sulla sinistra appare un rosso intenso che tende all’arancio. Successivamente, dopo aver riportato lo sguardo al punto grigio nel riquadro centrale per qualche istante, si rivolga lo sguardo al punto grigio sulla superficie rossa. Accade che i colori opposti si mescolano al colore rosso della superficie: sopra appare un grigio tendente al verde oliva, a destra appare un rosso purpureo, sotto appare un intenso rosso carminio e a sinistra un energico rosso intenso. Queste opposizioni risultanti che formano per compensazione l’immagine postuma, possono essere riscontrate o previste schematicamente nel cerchio dei colori.
FIGURA 13
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Nel mondo visibile si distinguono ombre colorate e incolori: un’ombra gettata dal sole che colpisce una superficie bianca è incolore, essa appare nera o semichiara; affinché essa abbia un’impressione cromatica è necessario che la luce sia colorata o che una luce ausiliaria illumini in parte l’ombra. Ad esempio se al crepuscolo, quando la luce del giorno è ancora in grado di gettare ombre, si pone una matita tra la luce del giorno e una candela accesa che giace su un foglio bianco, è possibile notare due ombre colorate: quella azzurra del crepuscolo e quella gialla della candela. La ombre azzurre, di frequente osservate all’aperto, avevano spinto molti ad ipotizzare che fossero provocate da una segreta qualità dell’aria, alcuni fisici sostenevano che il colore azzurro provenisse dai vapori dispersi nell’aria, in grado di trasmettere alle ombre particolari nuances. Mentre le ombre possono essere colorate o incolori, diverso è il discorso per la luce: quando è intensa appare completamente bianca, quando è debole è accompagnata da una manifestazione di colore, poiché si comporta come un’immagine che si dissolve gradualmente. Una luce che non splende troppo produce un alone, più buio è l’ambiente e più l’occhio riposato e ricettivo lo percepisce vivace ed esteso via via che la distanza dalla fonte luminosa aumenta. Ai colori fisiologici sono contrapposti i colori patologici, causati da un diverso funzionamento ricettivo dell’occhio, che ha come conseguenza una speciale percezione del colore. Goethe ha elencato alcuni casi patologici: due soggetti affetti da acianoblepsia con ottima vista ma incapaci di percepire il colore azzurro, vedono normalmente il paesaggio naturale come appare in autunno con tonalità dal giallo al rosso-marrone; malati di cataratta che dopo l’operazione vedono lampi di luce, invece in caso di cataratta grigia a causa del cristallino torbido i malati percepiscono una luminosità rossa; gli ipocondrici che scorgono figure talvolta nere o giallo-rosse come fossero fili; malati di cropsia vedono colorati i contorni delle immagini, al confine tra chiaro e scuro. Sono definiti colori fisici quelli prodotti dall’occhio per mezzo di oggetti incolori trasparenti, torbidi, traslucidi oppure opachi. Essi sono transitori, per questo chiamati anche colores apparentes, fluxi, fugitivi, phantastici, falsi, variantes, speciosi ed emphatici. A seconda dell’azione della luce si distinguono in: 1) colori catottrici quando la luce è riflessa da una superficie; 2) colori parottrici quando la luce sfiora il margine di un mezzo; 3) colori diottrici quando la luce attraversa un corpo traslucido o trasparente; 4) colori epottici quando la manifestazione avviene su superfici incolori. I colori diottrici necessitano di un mezzo incolore per manifestarsi e si distinguono a loro volta in due classi: appartengono alla prima classe quando sorgono attraverso mezzi torbidi o traslucidi, mentre appartengono alla seconda classe quelli che sorgono attraverso mezzi trasparenti. Il bianco è considerato il massimo grado della torbidezza, il riempimento spaziale più neutro e chiaro. La luce osservata attraverso un mezzo torbido appare di colore giallo, aumentando la torbidezza la luce gradualmente passa dal colore rosso-giallo fino al rosso rubino; invece se si osserva l’oscurità attraverso un mezzo torbido illuminato da una luce incidente appare di colore azzurro, aumentando la torbidezza il colore azzurro 27
LA TEORIA DEI COLORI - Johann Wolfgang Goethe
diventa gradualmente più pallido: il primo caso può essere meglio compreso guardando il sole attraverso una fitta nebbia, mentre il secondo guardando il cielo o le lontane e alte montagne attraverso i vapori. Goethe attraverso la teoria dei mezzi torbidi ha spiegato anche il fenomeno del quadro della meraviglia, il quale realizzato con una particolare vernice, in fase di pulizia e ritocco ha assorbito dell’acqua, che diventando torbida ha fatto apparire di colore azzurro il nero sottostante. La luce osservata attraverso un mezzo trasparente produce il fenomeno della rifrazione, che permette di conoscere le diverse densità dei mezzi trasparenti e altre loro proprietà fisiche e chimiche. Ad esempio un oggetto osservato attraverso un mezzo più o meno denso non appare dove lo collocano le leggi della prospettiva, così si intuisce la sua densità. Le leggi del vedere hanno come fondamento che tra l’organo visivo e l’oggetto visto sia condotta una linea retta, esplicata con la rifrazione. L’esperimento oggettivo si può compiere direzionando la luce del sole obliquamente in un recipiente vuoto e successivamente versando all’interno dell’acqua: si nota la rifrazione della luce dal lato di provenienza e l’illuminazione di una parte del fondo del recipiente. Laddove la luce incontra il mezzo con densità maggiore, subisce una deviazione e appare spezzata. Per compiere l’esperienza soggettivamente si sostituisce alla luce del sole il raggio visivo dell’occhio, cosi da osservare in diagonale una parete interna del recipiente escludendo il fondo. Versando dell’acqua diviene visibile una parte del fondo, sebbene si pensi che l’occhio continui a vedere in linea retta, in realtà il fondo sembra sollevato: dunque il fenomeno soggettivo è indicato con il nome di sollevamento. Tuttavia non sempre la rifrazione genera una manifestazione di colore: le superfici uniformi non generano alcun colore, invece i margini di delimitazione tra oggetti diversi producono delle manifestazioni. Ad esempio ponendo un cerchio chiaro A su fondo scuro ed estendendo il suoi margini verso l’esterno con l’ausilio di una lente convessa si provoca uno spostamento, che genera un secondo cerchio B con margine azzurro. Se invece si comprimono i suoi margini con l’ausilio di una lente concava, il cerchio C avrà margine giallo. Infine ponendo un cerchio nero D più stretto all’interno del cerchio A, con l’ausilio di una lente convessa, il cerchio D avrà margine giallo e azzurro insieme, in quanto si comprime la superficie chiara e si estende la superficie nera contemporaneamente. Alla luce di quanto osservato, si evince che la manifestazione di colore nei fenomeni della rifrazione dipende strettamente dallo spostamento dei margini di una data immagine. Per indurre lo spostamento di un’immagine, prevenendone la deformazione, si utilizzano i prismi. In caso di rifrazione il colore che si manifesta per primo è il più ampio e si definisce orlo, mentre quello che resta adiacente al confine è il più sottile e si definisce margine. Le immagini che possono subire una rifrazione, si distinguono in primarie e secondarie: le prime sono originarie e dirette, riprodotte nell’occhio dall’oggetto presente, le seconde sono derivate e indirette, immagazzinate nell’occhio in assenza dell’oggetto oppure riflesse da una superficie. In caso di immagini riflesse e raddoppiate, l’immagine rifratta è vivace se coincidono e debole se non coincidono affatto. Inoltre le manifestazioni prismatiche possono generare un’immagine attigua, ovvero un’immagine doppia inseparabile da quella principale, 28
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
sebbene tende ad allontanarsi da essa. In particolare il colore grigio scuro genera immagini attigue deboli su un fondo nero e intense su un fondo bianco, mentre il colore grigio chiaro genera immagini attigue deboli su un fondo bianco e intense su un fondo nero. In generale un tratto comune a immagini doppie e attigue, è la semitrasparenza. Dunque lo spostamento di un’immagine colorata genera un’immagine attigua, che conserva la sua originaria natura cromatica, ma al tempo stesso genera da un lato un azzurro e un rosso-azzurro, dall’altro un giallo e un rosso-giallo. Ne consegue che se il colore dell’immagine apparente, dell’orlo e del margine è omogeneo, l’immagine apparente corrisponde a quella vera e sembra essere ingrandita; se invece il colore dell’immagine apparente, dell’orlo e del margine è eterogeneo, l’immagine apparente diventa insudiciata e sembra essere ridotta. È possibile compiere questa esperienza osservando attraverso il prisma un quadrato rosso e uno azzurro, disposti l’uno accanto all’altro su un fondo nero: il quadrato rosso risultando più chiaro di quello azzurro, appare ingrandito verso l’alto, mentre il quadrato azzurro appare ridotto. Un osservatore poco attento considererebbe i due quadrati spostati: il rosso verso l’alto e l’azzurro verso il basso, cadendo nell’errore di un effetto ottico apparente. Affinché questo fenomeno si verifichi è necessario utilizzare per il quadrato rosso una carta colorata di cinabro o minio, mentre per il quadrato azzurro una carta colorata di indaco ben saturo. In passato si riteneva che la manifestazione del colore fosse del tutto casuale, poi è stata attribuita alla rifrazione in base alla densità dei mezzi coinvolti. Successivamente si è scoperto che due mezzi a uguale distanza possono originare orli di colori diversi attraverso la rifrazione, dunque bisogna considerare non solo le proprietà fisiche della rifrazione, ma anche le proprietà chimiche coinvolte. Per indagare questi fenomeni sono stati utilizzati il vetro di flint e il vetro di crown, dei quali il primo è il grado di produrre una manifestazione cromatica superiore di un terzo rispetto al secondo. In relazione alla rifrazione, Goethe ha distinto gli esperimenti compiuti in soggettivi e oggettivi: mentre i primi possono essere eseguiti qualunque luogo e momento della giornata, i secondi richiedono necessariamente la luce del sole, considerata come un’immagine luminosa. I colori catottrici sono definiti anche colori fisiologici obbiettivi e per questo motivo considerati appartenenti ai colori fisici. Essi si manifestano attraverso la riflessione e sono principalmente il porpora e il verde. Esponendo alla luce del giorno una sottile corda d’acciaio, si può notare come appaia illuminata senza assumere un colore preciso e anche nel caso in cui sia colpita dalla luce diretta del sole: la luminosità si concentra in un un unico punto dove l’occhio riesce a scorgere una piccola immagine che da vicino appare priva di colore, mentre indietreggiando appaiono molte piccole immagini colorate principalmente di colore verde e porpora, ma appaiono anche gli altri colori, come fossero aloni brillanti. Se si espone al sole una lastra d’argento levigata, essa riflette una luce abbagliante priva di colore, se invece la superficie della lastra è incisa con una particolare angolazione appaiono diversi colori, tra cui risaltano il verde e il porpora. Mentre in natura si possono osservare nella madreperla — dalle cui lamelle e fibre organiche hanno origine diversi colori tra cui porpora e verde — o nei colori mutevoli delle piume degli uccelli. 29
LA TEORIA DEI COLORI - Johann Wolfgang Goethe
I colori parottrici sono tutti quelli che si manifestano quando i raggi luminosi sfiorano i margini di un corpo non trasparente e incolore, producendo delle ombre. Essi sono distinti in oggettivi e soggettivi, in quanto si manifestano sia su superfici esterne che sulla rètina. Tutti gli esperimenti legati ai colori parottrici necessitano di una luce attenuata, affinché si presenti la manifestazione cromatica. È possibile osservarli impostando una piccola apertura della camera oscura e intercettando su un foglio di carta bianca la luce del sole: più piccola sarà l’apertura e più fioca apparirà tale luce. Osservando attentamente la luce, è possibile notare dei margini deboli e un orlo giallo — che appare maggiormente visibile quando la luce è tenue — e un secondo cerchio azzurro. I colori epottici si formano sulla superficie di corpi incolori e sono considerati passeggeri, tuttavia possono persistere anche quando le condizioni che provocano la loro manifestazione vengono meno. La manifestazione dei colori epottici si verifica in diverse condizioni: 1. con il contatto di due superfici lisce di corpi trasparenti solidi: se corpi di vetro, tavole di vetro, lenti sono premuti l’uno sull’altro; se in un corpo solido di vetro, di cristallo o di ghiaccio si produce un’incrinatura; se le lamelle di pietre trasparenti si separano le une dalle altre; 2. se una superficie di vetro o una pietra levigata vengono appannate con il respiro; 3. appannando la lastra di vetro e collocandone sopra un’altra; 4. bolle di fluidi diversi come sapone, cioccolata, birra, vino, sottili bolle di vetro; 5. pellicole assai sottili e lamelle di soluzioni minerali e metalliche, come le pellicole di calcare, la superficie di acque stagnanti o pellicole d’olio; 6. se dei metalli vengono arroventati; 7. se la superficie del vetro viene corrosa. La prima condizione genera dei cerchi colorati concentrici, che variano in base alla pressione e in base alla tipologia di superficie dei singoli corpi — convessa, concava o piana. In questo caso il centro della manifestazione è incolore, intorno ad esso si scorge uno spazio bianco argenteo e a distanza decrescente si formano diversi anelli isolati e composti da tre colori: ognuno di essi è giallo nella parte interna, porpora al centro e azzurro nella parte esterna. Gli anelli periferici tendono ad avvicinarsi sempre più e a congiungersi, generando in modo alternato i colori porpora e verde. Tuttavia una diversa pressione tra le due superfici a contatto genera manifestazioni diverse: una pressione lieve colora il centro di verde e tutti i centri concentrici di porpora e verde, una pressione intensa distanzia il primo cerchio e lo isola colorando il centro di azzurro, intensificando ancora la pressione il centro si colora di giallo con un margine porpora e azzurro. Accostando due superfici disomogenee, come ad esempio un cristallo levigato e una lastra di vetro, con una lieve pressione la manifestazione cromatica appare ristretta e discontinua, mentre con una forte pressione la manifestazione cromatica si annulla, poiché le due superfici unite formano apparentemente un unico corpo. La seconda condizione produce la manifestazione cromatica pulendo con un dito una lastra di vetro appannata, ripetendo per due volte consecutive l’operazione: i 30
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colori che si scorgono scompaiono con il vapore sul vetro, ma con la ripetizione appaiono più vivaci e più duraturi. I primi colori che si manifestano sono quelli fondamentali, con tutte le loro combinazioni, dopo i quali si manifesta una successione di colori e l’ultimo a scomparire è l’azzurro. Alcuni tipi di vetro generano una manifestazione cromatica con un solo vapore, altri necessitano l’azione del dito. La terza condizione si verifica combinando le prime due condizioni: presa una lastra di vetro appannata e accostata ad un’altra, si produce una manifestazione cromatica ma l’umidità del vapore causa delle interruzioni. La quarta condizione prevede che la manifestazione cromatica sia visibile all’interno delle bolle, quasi in tutte le bolle infatti è possibile osservare dei colori, in particolare nelle bolle di sapone. In questa circostanza si considera la pellicola della bolla come una superficie sottilissima, posta tra due corpi elastici ovvero l’aria interna che gonfia la bolla e l’aria atmosferica. Inizialmente la bolla è incolore, i colori sorgono nel mentre si gonfia. Inoltre se la bolla è piccola o rinchiusa tra altre bolle, i tratti colorati fluttuano sulla superficie, se invece la bolla è più grande o isolata dalle altre, si nota la formazione di un cerchio sul punto più alto della bolla, il cui centro è giallo, che si amplia e scende verso il basso mantenendo l’aspetto giallo all’interno e colorandosi prima di porpora e dopo di azzurro all’esterno. Sotto di esso si forma un nuovo cerchio con la stessa successione di colori e se i due cerchi sono abbastanza vicini, dalla loro vicinanza sorge il verde. Nella quinta condizione la manifestazione cromatica sorge su leggere pellicole che possono formarsi in modi diversi, ad esempio l’acqua in cui non sia stato sciolto del calcare si ricopre di una pellicola colorata. La sesta condizione si verifica quando dei metalli arroventati diventano inizialmente di colore giallo e dopo di colore azzurro, indicando anche i diversi gradi di temperatura. Arroventando dell’acciaio levigato, ad una certa temperatura si tinge di giallo e se viene estratto dai carboni conserva tale colorazione. Se invece non viene estratto e la temperatura aumenta, il giallo diviene dapprima più scuro e intenso, poi si trasforma in porpora e quasi immediatamente in azzurro intenso, dopodiché restando sul fuoco diviene azzurro chiaro definitivamente. La settima condizione provoca una manifestazione cromatica in presenza di una superficie di vetro corrosa, fino ad apparire torbida. Una superficie di vetro bianco si intorbidisce più facilmente rispetto ad una di vetro azzurro, mentre una superficie di vetro verde tende ad intorbidirsi meno di qualunque altra. Tutte le lastre di vetro sono costituite da due generi di lati, uno dei quali è chiamato specchio: esso è più liscio dell’altro e viene collocato negli interni, poiché subisce una corrosione minore rispetto all’altro. In ultima parte Goethe ha definito colori chimici quelli trasmissibili ad un corpo o alla sua superficie, su cui possono permanere per un intervallo di tempo più o meno breve e in base alla durata si può determinare la loro natura chimica specifica. Essi sono stati anche chiamati colores proprii, corporei, materiales, veri, permanentes, fixi. Attribuendo al colore giallo il Più e al colore azzurro il Meno, Goethe ha stabilito due poli chimici opposti orientando il giallo verso gli acidi e l’azzurro verso gli alcali, per analizzare più agevolmente le manifestazioni dei colori chimici poiché si presentano principalmente attraverso l’acidificazione dei metalli. A differenza del colore bianco che si può individuare in una proprietà atomistica 31
LA TEORIA DEI COLORI - Johann Wolfgang Goethe
della materia, ad esempio dell’acqua pura cristallizzata in neve appare bianca — sebbene allo stato liquido sia trasparente — oppure un vetro trasparente frantumato appare come una polvere bianca. Il colore nero è invece presente in natura in combustioni parziali e nel carbone, nei metalli si produce in seguito ad una semiossidazione, ad esempio il ferro con una debole acidificazione diventa nero. Qualunque colore minerale possieda una traccia di ferro, che facilmente si ossida, è in grado di assumere e trasmettere colori diversi. È noto che i metalli colorati allo stato raffinato risaltano a contatto con le terre pure perché possiedono ognuno la propria inclinazione per un determinato colore: l’argento per il bianco puro, l’acciaio e lo stagno per il grigio-azzurro, l’oro per il giallo puro, il rame per il rosso e in particolari circostanze per il porpora, lo zinco per il giallo e via dicendo. Tuttavia si distinguono metalli che possono assumere qualsiasi colore e altri che si presentano in un unico colore, ma di tutti i metalli fa eccezione lo stagno che non assume alcun colore. Tuttavia l’acidificazione dei metalli, che ne muta facilmente il colore apparente, è considerata piuttosto ingannevole dai chimici proprio perché rappresenta manifestazioni cromatiche instabili e per certi versi temporanee. L’intensificazione del colore di natura chimica mostra istantaneamente il cambiamento cromatico: nello specifico è possibile notare che l’intensificazione dal lato del Più — il giallo ocra che diventa rosso intenso — è assai frequente rispetto a quella dal lato del Meno — dall’azzurro a rosso-violetto. Un’intensificazione progressiva genera una culminazione: costituita ad esempio dal rosso privo di alcuna traccia di giallo o azzurro. Però un’intensificazione in prossimità della sua culminazione, può giungere ad un equilibrio grazie all’utilizzo di acidi e alcali: ad esempio il tornasole è una sostanza colorante in grado di condurre il colore al rosso-azzurro con gli alcali oppure al giallo-rosso con gli acidi. Inoltre in presenza dei colori chimici si può verificare il fenomeno dell’inversione: un dato colore richiama il suo opposto. Ne è esempio il camaleonte minerale, che contenendo un ossido di pirolusite quando è secco appare come polvere verde, ma a contatto con l’acqua diventa di colore porpora; oppure l’inchiostro simpatico, che appare come un liquido rossastro ma una volta essiccato su un foglio di carta appare di colore verde. O ancora è possibile ottenere una mescolanza apparente o reale che sia, ottenendo nuove sfumature dai colori fondamentali rosso, giallo e azzurro che mescolati tra loro generano i colori viola, arancio e verde. La pittura si basa propriamente sul principio della mescolanza: sulle infinite combinazioni colorate possibili. A tal proposito Goethe ha sottolineato che non è affatto vero che tutti i colori mischiati producono il bianco, ma come testimoniano gli occhi, conferiscono al composto la loro oscurità generando un grigio complessivo, più o meno vicino al nero in base alla chiarezza dei colori coinvolti. Attraverso una sostanza colorante è possibile trasmettere ad un corpo una colorazione di permanenza variabile, mentre attraverso la riflessone si verifica una trasmissione apparente e del tutto istantanea. Al contempo un corpo può essere privato del suo colore: dal un lato diversi studi ed esperimenti hanno permesso di scoprire tecniche di sbiancamento, dall’altro è l’azione della natura stessa a mutare o privare una superficie del suo colore — si
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
pensi alla luce, all’aria o all’acqua che agiscono con forza sulle superfici colorate, sbiancandole in misura maggiore o minore. Nello specifico ogni colore possiede una propria specifica deperibilità e durata, tra tutti i colori il giallo è quello che si dissolve per primo, per questo motivo la caccia ai pigmenti più durevoli è iniziata da tempo nel settore della tintoria, con lo scopo di giungere ad una durata omogenea dell’insieme dei colori. I colori dei minerali e dei corpi organici si possono considerare una derivazione di natura chimica: le piante che nascono nell’oscurità, inizialmente sono dei semi bianchi o gialli, su cui agisce la luce influenzandone sia il colore che la forma. Si prenda in osservazione un frutto: oltre alla sua forma e dimensione, muta il suo colore da verde al giallo e infine al rosso, determinando i diversi gradi di maturazione. La luce influenza anche la colorazione di animali, come gli insetti sotterranei che sono spesso incolori o i pesci e le creature marine la cui colorazione, oltre che dalla luce, è influenzata dalle temperature del clima e dalle acque in cui vivono. Considerando il calore della luce, si osservi come la luce diretta del sole abbia una temperatura maggiore rispetto alla luce che attraversa un vetro colorato, poiché esso lascia passare una quantità di luce minore: in particolare i vetri di colore giallo e rosso-giallo producono una temperatura più elevata rispetto ai vetri di colore azzurro e rosso-azzurro. Dunque Goethe nella sua teoria dei colori attraverso attente osservazioni ed esperimenti accurati, tenendo ben conto dell’influenza della luce sulla percezione visiva, ha compiuto una netta distinzione tra i colori intesi come azione e reazione dell’occhio e quelli considerati permanenti e appartenenti ai corpi.
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2.2 LA SFERA DEI COLORI — Philipp Otto Runge
Il pittore romantico tedesco Philipp Otto Runge (1777-1810) nell’elaborazione della sua teoria cromatica, ha preso in considerazione i cinque colori puri — bianco, nero, azzurro, giallo, rosso — dalla cui combinazione è possibile ottenere ogni tipo di mescolanza. Tuttavia ha separato il nero e il bianco dagli altri, in quanto i due rappresentano il contrasto tra chiaro e scuro, luce e oscurità. Mentre ha rappresentato graficamente l’azzurro, il giallo e il rosso allo stato puro con tre punti equidistanti, che uniti da una linea, formano un triangolo equilatero in grado di esprimere figurativamente il rapporto tra forze pure naturali (FIGURA 14). All’unità dei tre punti BGR, le diverse mescolanze dei tre colori generano il verde, il viola e l’arancio (FIGURA 15) che contrappongono una pluralità di innumerevoli gradazioni, formando a loro volta un triangolo equilatero nel mezzo del primo (FIGURA 16). Ogni singolo colore o mescolanza è in relazione con il bianco e con il nero: con il primo come rischiaramento e attenuazione, con il secondo come oscuramento e intorbidamento. Il bianco e nero esercitano in egual modo un’influenza sui colori, rappresentati anch’essi da due punti Bi e N equidistanti da tutti gli altri punti fissati precedentemente. Tale distanza può cosi essere significata attraverso la forma di una circonferenza perfetta, che comprende nella totalità sia i colori puri che le mescolanze semplici. All’interno di essa, i due triangoli equilateri BGR e VAVi formano un esagono equilatero, mentre i punti Bi e N si comportano come poli esterni alla superficie circolare e la loro distanza diventa l’asse che attraversa il centro del cerchio. L’esagono equilatero ottenuto contiene in ordine l’azzurro, il verde, il giallo, l’arancio, il rosso e il viola: ovvero i sette colori dell’arcobaleno, se si considera il viola scomposto in blu e rossastro ai due estremi (FIGURA 17).
Bi Vi
B
G
V Vi
R
FIGURA 17 Circonferenza che include colori puri e mescolanze semplici.
Vi
V
Bi N
V
g
N
Bi
B
A
A
R G
Vi
B V
g A
G N
Vi
R
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
B
FIGURA 14 Rappresentazione del rapporto tra forze pure naturali.
R
G
B
FIGURA 15 Rappresentazione delle mescolanze generate dai tre colori puri.
e
vio
la
rd ve
R
G
arancio
B
R
Rossastro
lo
Ro s
no
sa
log
ial
str o
VG
Vi
o
Az
rrin
zu
zu
rrin
o
Az
FIGURA 16 Rappresentazione di ulteriori mescolanze generabili.
A
Giallognolo
G 35
LA SFERA DEI COLORI - Philipp Otto Runge
La mescolanza di bianco e nero produce il grigio, il quale oscilla tra chiaro e scuro lungo la linea che li unisce e in particolare nel mezzo, nel punto di intersezione con la superficie del cerchio, c’è un punto di grigio assolutamente neutro. Anche la mescolanza di colori puri produce un colore risultante grigio, che dissolve l’apparenza colorata: le loro forze reciprocamente contrarie si annullano mescolando l’azzurro con l’arancio, il verde con il rosso o il giallo con il viola. Da queste considerazioni si definisce g il punto privo di colore, posto ad egual distanza da ogni altro punto dell’intera circonferenza e nel quale si annullano tutte le mescolanze e tutti i colori diametralmente opposti (FIGURA 18). Così da una uguale differenza, nasce una indifferenza totale, in cui tutte le qualità individuali dei singoli colori si dissolvono e il punto g diviene centro generale rispetto ai 5 elementi. Il complessivo rapporto dei 5 elementi, forma una figura sferica completa, la cui superficie li include tutti comprendendo le loro mescolanze (FIGURA 19).
B
Bi rag.
Vi
V R
g R
G A
FIGURA 18 Tutte le mescolanze si annullano nel punto g equidistante da ogni punto della circonferenza.
Vi
B V
g A
G N
FIGURA 19 Il punto g è il centro generale della sfera che include il complessivo rapporto dei cinque elementi puri.
Tagliando idealmente dall’esterno verso l’interno la sfera, si ottiene il disco dei colori, come se fosse una sezione dell’equatore. Prendendo in esame diverse sezioni parallele, esse avranno tutte un centro grigionero in direzione del polo nero o un centro grigiochiaro in direzione del polo bianco. Con nessuna altra figura geometrica sarebbe possibile esplicare in modo così completo ed esaustivo la totalità di questi rapporti, in quanto ogni sfumatura è relazionata con tutti gli altri elementi e la sfera è considerata come un prospetto generale e tridimensionale, come mostrato nella FIGURA 20.
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Runge inoltre ha descritto la duplice natura dei colori, che può essere distintamente trasparente oppure opaca. In particolare un corpo composto di materia opaca mostra il solo colore superficiale immobile, mentre un corpo composto di materia trasparente mostra sia la quantità che la qualità del colore in continuo divenire. Come si evince dalla sfera cromatica, il nero e il bianco sono in rapporto solo con colori opachi, mentre i colori trasparenti sono in rapporto con la luce e con il buio. Confrontando i cinque colori puri opachi e quelli trasparenti, si nota come il colore trasparente supera quello opaco in ogni tonalità, sia in chiarezza che in oscurità. Difatti una qualunque materia trasparente di colore scuro trapassata dalla luce appare rischiarata, poiché non trattiene i raggi alla superficie. La mescolanza omogenea dei tre colori opachi — rosso, giallo, azzurro — produce la loro dissoluzione e la produzione del grigio, mentre la mescolanza omogenea degli stessi tre colori trasparenti ne provoca la dissoluzione e la produzione di un’oscurità trasparente e profonda. Il colore grigio ottenuto dai colori opachi mostra in superficie la qualità, mentre il colore oscuro trasparente mostra sia la qualità che la quantità. FIGURA 20 La sfera dei colori di Runge.
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2.3 CONSIDERAZIONI SUI COLORI — Ludwig Wittgenstein
Il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (1888-1951) con lo studio del colore ha avuto un primo approccio di natura fisica, dovuto ai suoi studi d’ingegneria a Manchester e alla mancata formazione filosofica tradizionale. Ciò lo ha portato ad accettare la teoria fisica dei colori in un primo momento e a prenderne le distanze successivamente. La filosofia di Wittgenstein ha incontrato la scienza sul terreno comune dell’analogia nei processi logici e nella riflessione sul linguaggio. Nello specifico, la sua riflessione filosofica si è focalizzata sulla relazione tra segno e simbolo nelle categorie di spazio, tempo e colore, considerate forme degli oggetti. Poichè i colori possono essere rappresentati anche privi di legami con gli oggetti, occupano un posto nel linguaggio indipendente dai corpi e costituiscono asserzioni logiche. Un insieme di asserzioni forma un sistema di proposizioni, che viene confrontato con la realtà: ad esempio dire che un dato punto del campo visivo è blu, significa dire al tempo stesso che non è verde, rosso o giallo, poiché un singolo colore presuppone l’intero insieme dei colori, insito nella sintassi dello spazio a priori. Poiché il sistema dei colori si basa sulla sintassi logica e non dipende dall’esperienza — dai colori percepiti — Wittgenstein ha dichiarato che “guardando non s’impara nulla sui concetti dei colori” evidenziando i limiti dell’empirismo classico e dell’esperienza. Quest’ultima infatti, può affermare la veridicità di una proposizione, ma non coglierne il senso, perché è la sintassi del linguaggio a definire il senso di un’espressione. L’espressione cromatica è definita dai paradigmi del linguaggio, perciò l’esperienza diretta dell’osservatore è da considerarsi irrilevante. Secondo Wittgenstein il linguaggio dei colori stabilisce dei paradigmi ideali, che definiscono la tecnica per usare i concetti e le espressioni dei colori in determinate circostanze. Tuttavia il concetto di colore resta indeterminato, come è indeterminato il concetto di eguaglianza e comparazione tra colori diversi. A rigor di logica, non esiste nessun criterio universale che definisca cosa sia un colore, ciò significa che popolazioni diverse possono avere concetti di colore differenti, proprio come le persone affette da acromatopsia che vedono i colori in modo differente secondo le proprie percezioni. Wittgenstein ha definito la comparazione cromatica fra due oggetti — se uno è più chiaro o più scuro dell’altro, confrontando le tonalità di colore dei due — una proposizione atemporale e una relazione interna; invece la comparazione della lunghezza di due sbarre o di due numeri, definisce una relazione esterna e una proposizione temporale. Sebbene ci siano proposizioni limite tra logica ed empirica, quando ad esempio si parla di colore dell’oro, richiamando le proprietà di una superficie splendente e senza fare alcun riferimento al giallo. In un’annotazione risalente al 1948, Wittgenstein ha scritto che i colori stimolano alla filosofia, costituendo un enigma da risolvere. Le sue osservazioni sul tema dei colori si sono focalizzate sul linguaggio, sui fenomeni psichici, sulle percezioni, sulle esperienze degli
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
oggetti fisici per analizzare il rapporto tra la logica e l’esperienza, tra le regole definite e le osservazioni percettive. Nella sua indagine intellettuale, Wittgenstein predilige la logica, in quanto la sua filosofia si sofferma sui fenomeni linguistici — in ambito sia scientifico che quotidiano — e su tutte quelle dinamiche che li precedono e seguono, suscitando negli interlocutori inquietudini ed enigmi. Pone dunque a confronto il linguaggio, basato su proposizioni aprioriche, e la percezione del colore, sviluppando un’analogia tra paradigmi matematici e paradigmi dei colori: come il concetto di numero costituisce il paradigma dell’unità di misura degli oggetti fisici, il concetto di colore primario costituisce il paradigma per descrivere le proprietà cromatiche delle cose. Egli ha individuato quattro colori primari e ha chiamato questi simboli paritetici elementi della rappresentazione.
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2.4 L’ESSENZA SPIRITUALE DEL COLORE — Rudolf Steiner
Rudolf Steiner (1861-1925) teosofo austriaco e fondatore dell’Antroposofia, ha studiato il colore e la percezione cromatica attraverso la scienza dello spirito, considerandola l’unico strumento valido per comprendere la vera essenza del colore ed escludendo qualunque indagine scientifica. Dalla fine del XIX secolo la fisica ha compiuto grandiose scoperte nel mondo terrestre: attraverso il calcolo, la misura e il peso un corpo è riconosciuto come entità fisica; mentre tutto ciò che come colori, suoni, caldo o freddo non risulta quantificabile e resta indefinito, così le percezioni dei sensi sfuggono ai fisici. Esse vengono definite come movimenti vibratori che esercitano sull’uomo un’impressione chiamata colore o suono, a seconda se sono percepite dall’occhio o dall’orecchio, eppure sia il colore che il suono sono legati e provengono dal mondo fisico. La branca della fisica moderna dedita allo studio del colore è l’ottica, la quale ha definito il principio secondo cui un corpo appare di uno specifico colore: ad esempio un corpo rosso appare tale poiché assorbe tutti gli altri colori e riflette soltanto il colore rosso. Steiner sottolinea quanto la logica di tale principio non funzioni affatto, poiché applicando tale principio al resto della vita se ne vedrebbero delle belle: per esempio uno sciocco sarebbe tale per aver assorbito tutta l’intelligenza, irradiando all’esterno soltanto la stupidità. Chiaramente questa affermazione risulta alquanto assurda — nel tentativo di studiare la manifestazione cromatica la fisica si è sbizzarrita. E proprio dinanzi a tali principi gli artisti temono e rifiutano le teorie scientifiche, poiché essendo meramente materialistiche scacciano ogni senso artistico del colore, il quale appartenendo alla sfera animica può essere indagato solo attraverso la scienza dello spirito. Così Steiner ha posto da un lato il fisico che attraverso un procedimento esteriore studia i fenomeni luminosi e con il passaggio della luce attraverso il prisma individua le sette sfumature di colore, dall’altro lato l’investigatore spirituale che attraverso l’osservazione spirituale diretta individua le sette parti costituenti dell’anima, la quale nella percezione del colore possiede un ruolo fondamentale. Quando l’anima umana ha la sensazione di un colore innanzitutto determina un’impressione piacevole o spiacevole, a seconda di quale delle due forze fondamentali agisca. Un’impressione piacevole è determinata dalla forza attrattiva chiamata simpatia, quella spiacevole dalla forza repulsiva chiamata antipatia. Tutte le impressioni che l’anima riceve attraverso il corpo sono passeggere: l’occhio vede il colore della rosa solamente finché la rosa gli sta davanti, ovvero fino a quando l’oggetto è presente e tangibile fisicamente. Tuttavia l’anima ha la capacità di custodire il presente per il ricordo e di trasformare le impressioni transitorie in rappresentazioni durevoli: in sostanza l’occhio permette di vedere il colore azzurro, ma è l’anima che a permette di riconoscere e distinguere i diversi colori, conservandone il ricordo nella memoria.
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Nella sua opera Teosofia (1904) Steiner spiega come l’uomo per via della sua triplice natura — corpo anima e spirito — si relaziona al mondo in un triplice modo: grazie ai sensi di cui il suo corpo dispone entra in contatto momentaneo con le cose; con l’anima conserva in sé le impressioni piacevoli o spiacevoli che ha percepito; con lo spirito riflette sulle sue percezioni e acquista cognizioni attorno alle cose, cogliendo la rivelazione del mondo esterno e partecipando all’ordine superiore spirituale. Ad esempio di una pianta l’uomo ne vede i colori e ne percepisce il profumo, che può piacergli o meno, ma per coglierne la manifestazione della forza vitale gli è necessario lo spirito. Goethe a proposito della natura dell’uomo diceva: “Non appena si accorge degli oggetti intorno a lui, l’uomo li considera in relazione a sé stesso; e con ragione, poiché tutto il suo destino dipende dal fatto che essi gli piacciano o no, lo attraggano o lo respingano, gli giovino o gli nuocciano. Questo modo del tutto naturale di guardare e giudicare le cose sembra essere altrettanto facile quanto necessario, eppure espone l’uomo a mille errori che spesso lo umiliano e gli amareggiano la vita.” Ciò detto risulta evidente che per l’uomo, nella relazione con il mondo che lo circonda, l’anima ricopre un ruolo molto importante poiché attraverso le impressioni determina sensazioni e sentimenti, che a loro volta influenzano le sue azioni per mezzo della volontà. Tale continua fonte di attività viene definita anima senziente ed è in reciprocità d’azione con il corpo, con lo spirito e con l’incommensurabile forza del pensiero. Da un lato le impressioni sensorie permettono all’uomo di riconoscere le manifestazioni del mondo corporeo in ciò che è rosso, verde, chiaro, scuro, duro, molle, caldo, freddo; dall’altro il pensiero gli permette di riconoscere le manifestazioni del mondo spirituale: come senza l’occhio non ci sarebbero sensazioni di colore, così senza il pensare superiore del sé spirituale non ci sarebbero intuizioni. È dunque necessario vedere il colore attraverso l’occhio e lo spirito, solo così ogni sfumatura di colore diventa viva e percepibile per i sensi, cogliendone l’essenza. Inoltre nella sua opera Steiner parla dell’aura umana colorata, una nube dalla forma ovoidale che circonda l’individuo, composta da colori visibili all’occhio spirituale. Le dimensioni dell’aura sono diverse per ognuno, ma generalmente appare alta il doppio e larga il quadruplo dell’uomo fisico. In essa possono fluttuare i più svariati colori che mostrano un’immagine interiore dell’individuo, rivelandone sia emozioni e stati d’animo mutevoli che qualità durevoli come carattere, abitudini e attitudini. Chi si abbandona del tutto ai suoi istinti animali ha un’aura diversissima da chi vive molto nei pensieri: uomini molto intelligenti e riflessivi hanno molto verde nell’aura, mentre l’aura di uomini non intelligenti appare attraversata da correnti di bruno-rossastro o addirittura rosso cupo sanguigno, a differenza di uomini ricchi di dedizione e devozione che possiedono un’aura dai toni azzurri. In aggiunta inclinazioni, gioie, dolori e umori passeggeri trovano nell’anima la loro espressione, palesandosi nell’aura in fluttuazioni di colore: un’esplosione di ira violenta provoca onde rosse, un’offesa all’onore e il conseguente ribollimento provoca nuvole verdi, l’attesa ansiosa di un avvenimento provoca strisce rosso-azzurre aperte a raggiera dall’interno all’esterno.
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L’ESSENZA SPIRITUALE DEL COLORE — Rudolf Steiner
All’interno dell’aura i colori non appaiono solamente in forma di nuvole irregolari, ma anche in figure ben delimitate dalla struttura regolare. Si possono inoltre distinguere tre tipologie di manifestazioni colorate: la prima è formata da colori dal carattere opaco e smorto, la seconda è costituita dai colori che compongono la luce illuminando e riempiendo lo spazio, la terza comprende colori attivi che attraversano lo spazio con splendore e irradiazioni. All’interno dell’aura queste tre distinte tipologie non appaiono separate tra loro, anzi si mescolano e compenetrano. Esse rispecchiano la triplice natura dell’uomo: la prima aura è un’immagine riflessa dell’influenza che il corpo esercita sull’anima, la seconda caratterizza la vita propria dell’anima al di sopra degli stimoli dei sensi, infine la terza rispecchia il dominio dello spirito eterno sull’uomo mortale. Quanto più l’uomo si spoglia della sua natura impulsiva, tanto meno preponderante diviene la prima parte dell’aura. La seconda si accentua e sempre più completamente riempie della sua forza luminosa il corpo dei colori nel quale vive l’uomo fisico. Quanto più l’uomo si mostra servitore dell’eterno, tanto più appare meravigliosa la terza aura. Le tre parti dell’aura contengono colori delle più svariate sfumature e il loro carattere muta in relazione al grado di evoluzione dell’uomo. Nella prima parte dell’aura si può scorgere la vita non evoluta degli impulsi in tutte le gradazioni di colore, dal rosso fino all’azzurro con aspetto torbido e spento. Le sfumature spiccatamente rosse indicano le brame sensuali, i piaceri carnali e l’avidità volta alle soddisfazioni del palato e dello stomaco. I toni verdi appaiono nelle nature inferiori inclini all’indifferenza e all’ottusità, che si abbandonano avide ad ogni godimento, rifuggendo lo sforzo necessario a conseguirlo. Passioni violente e non adeguate producono nell’aura un colore verde brunastro o verde giallastro. Un istinto mosso dall’egoismo si palesa con toni dal giallo torbido al bruno, mentre impulsi altruistici naturali come quelli materni si esprimono in tonalità dal rosso chiaro al rosso roseo. Impressioni che provocano spavento o paura si palesano in colori bruno-azzurri o azzurro-grigi. Nella seconda parte dell’aura orgoglio e ambizione sono espressi da forme di colore bruno e arancione; la curiosità si palesa in macchie di colore giallo rossiccio; il giallo chiaro rispecchia intelligenza e nitido pensare; il verde esprime la comprensione per la vita e il mondo; il giallo verdognolo rappresenta una buona memoria; il rosso-roseo indica nature benevole ed affettuose; l’azzurro è il segno della devozione, tende al violetto in caso di devozione religiosa; idealismo e nobiltà si esprimono nell’indaco. Nella terza parte dell’aura i colori fondamentali sono il giallo, il verde e l’azzurro. Essi appaiono con gradazioni diverse e dotati di una sublimità senza alcun riscontro nel mondo ordinario e sensibile. Il giallo chiaro appare quando l’anima è ricca di idee alte e vaste, capaci di afferrare la cosa singola nel suo nesso con l’insieme dell’ordinamento divino. Il giallo assume splendore aureo quando il pensiero è intuitivo e perfettamente spoglio di ogni rappresentazione sensibile. Il verde esprime amore per tutti gli esseri, mentre l’azzurro indica l’altruistica capacità di sacrificio per tutti gli esseri. Se la capacità del sacrificio aumenta fino a trasformarsi in forte volontà che attivamente si pone al servizio del mondo, l’azzurro si schiarisce in violetto chiaro. Quando, nonostante un alto sviluppo dell’anima, orgoglio e ambizione sopravvivono quali 42
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
ultimi residui dell’egoismo personale, accanto alle gradazioni gialle ne appaiono altre tendenti all’arancione (FIGURA 21). Dall’osservazione dell’aura un veggente spirituale può apprendere quel che l’uomo ha fatto di sé nel corso delle sue incarnazioni, tuttavia non può intenzionalmente percepire e osservare l’aura di chiunque, infatti egli percepisce l’aura di un dato individuo solamente se nel mondo spirituale vi sono ragioni per cui essa gli si riveli. FIGURA 21 Rappresentazione dell’aura colorata.
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L’ESSENZA SPIRITUALE DEL COLORE — Rudolf Steiner
Nelle tre conferenze sul colore tenute da Steiner il 6, 7 e 8 maggio 1921, tra le altre cose è stata affrontata l’errata convinzione che solo la fisica possa definire oggettivamente il colore, a discapito dell’investigatore spirituale che ne coglie “la mera valenza soggettiva”. Steiner ha sottolineato quanto siano indispensabili le impressioni soggettive cromatiche: ”ogni impressione è un’esperienza necessaria per riconoscere l’essenza e l’oggettività del colore”. Difatti secondo Steiner il mondo dei colori non è affatto una realtà e solo indagando l’essenza del colore si può riconoscerne l’oggettività. Prese in esame 3 superfici dipinte di colore verde, Steiner ha supposto di dipingere uomini di colore rosso nella prima, uomini color fior di pesco nella seconda e uomini di colore blu nella terza. Immaginando che ogni superficie sia un prato verde, ha dimostrato che in ciascun caso si percepiscono sensazioni diverse: nel primo caso osservando gli uomini rossi il prato sembra prender vita con un’azione irritante, nel secondo gli uomini color fior di pesco risultano del tutto neutrali rispetto al prato, nel terzo caso con gli uomini blu il prato sembra smettere di essere verde assumendo una sfumatura azzurrognola. Tuttavia colte le diverse percezioni per ogni caso, si deve andare oltre l’osservazione e scovare l’essenza del colore. Generalmente si considera che il colore verde sia peculiare della pianta, quasi fosse la sua essenza visibile. In realtà grazie alla scienza dello spirito, si afferma che l’essenza della pianta è la vita e il colore verde ne è l’immagine. Per giungere all’essenza del colore fior di pesco, molto simile all’incarnato umano, si considera ciò che dell’incarnato si irradia verso l’esterno ovvero l’uomo che si sperimenta come anima, dunque il colore visibile dell’incarnato è l’immagine dell’anima. Mentre il bianco viene identificato con la luce e quando al mattino l’uomo appena sveglio è irradiato e avvolto dalla luce, si sente nel suo vero e proprio essere: l’io spirituale si sperimenta animicamente sentendosi pervaso di luce, così il bianco è l’immagine dello spirito. Al contrario il nero è un colore ostile alla vita, in cui l’anima viene meno e lo spirito fiorisce: dipingendo il nero su una superficie bianca si rappresenta lo spirito, così il nero è l’immagine spirituale di ciò che è morto. Seguendo questa logica, Steiner considera il colore un’immagine e definisce il circolo per l’essenza oggettiva dei colori. Percorrendo il giro il nero è l’immagine di ciò che è morto, il verde è l’immagine della vita, il fior di pesco è l’immagine dell’anima e il bianco è l’immagine dello spirito (FIGURA 22). morte nero
spirito
bianco
verde
fior di pesco anima
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vita
FIGURA 22 I colori immagine. 1) Il verde rappresenta l’immagine morta della vita; 2) il fior di pesco rappresenta l’immagine vivente dell’anima; 3) il bianco, inteso anche come luce, rappresenta l’immagine animica dello spirito; 4) il nero rappresenta l’immagine spirituale di ciò che è morto.
COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Successivamente Steiner ha distinto dai colori immagine — nero, bianco, verde e fior di pesco — i colori splendore — giallo, blu e rosso. Mentre primi sono immagini proiettate con aspetto di ombre, i secondi mostrano all’esterno la loro superficie risplendendo. Il giallo deve sempre irradiare, dipinto deve essere intenso al centro e attenuarsi progressivamente verso l’esterno, se fosse dipinto su una superficie con contorni apparirebbe repellente. Il blu per la sua essenza esige l’esatto contrario del giallo, cioè che lo si faccia irradiare dal margine verso l’interno, con una progressiva attenuazione dall’esterno. Invece il rosso si contrappone al giallo e al blu per la sua fermezza (FIGURA 23). Ogni colore possiede un carattere intimo, proprio della sua essenza naturale: il giallo ha in sé l’irradiazione centrifuga, il blu l’irradiazione centripeta e il rosso la radiazione uniforme . Si può ben immaginare una stella irradiante, ma è impossibile immaginare un ranocchio verde irradiante. Gli antichi pittori sentivano nel giallo lo splendore irradiante dello spirito e nelle opere figurative adoperavano il fondo dorato per dare allo spirito una dimora sulla terra. Giallo
Rosso
Blu
IRRADIAZIONE CENTRIFUGA
RADIAZIONE UNIFORME
IRRADIAZIONE CENTRIPETA
FIGURA 23 I colori splendore.
A distanza di qualche anno, ci sono stati dei tentativi pratici per sperimentare un nuovo modo di dipingere, in grado di rappresentare artisticamente fatti spirituali. Ciò ha portato alla nascita di un nuovo stile pittorico, secondo cui la forma deve essere creata dal colore e il colore deve essere sperimentato moralmente dall’artista. Steiner incitava i pittori a vivere animicamente con il colore, rallegrandosi con il giallo, sentendo la dignità del rosso e la calma del blu e a non dipingere senza questa comprensione spirituale per il colore. Solo vivendo con il colore si può sperimentare la sua intima forza vivente e attraverso l’anima se ne coglie la vera essenza, superando ogni simbolismo. L’intimo collegamento dell’anima con la scienza dello spirito è evidente nello sperimentare in sé stessi l’elemento vivente del fluire del colore, riuscendo ad uscire dal corpo e a partecipare della vita cosmica. Difatti il colore è l’anima della natura e dell’intero cosmo e l’uomo prendendo parte a 45
L’ESSENZA SPIRITUALE DEL COLORE — Rudolf Steiner
quest’anima, può sperimentare la vita del colore. Ma per giungere a tale comprensione, è necessario mettere da parte ogni cosa razionale perché sarebbe d’ostacolo all’esperienza dell’elemento del colore. In aggiunta Steiner suggeriva di affiancare alla prospettiva lineare e spaziale una prospettiva del colore, in grado di suscitare un avvicinamento e un allontanamento visivo cromatico, così da dipingere in giallo-rosso qualcosa di aggressivo e in blu-violetto qualcosa di tranquillo. Nella sua opera Scienza Occulta (1910) Steiner ha spiegato come il colore si fissa alla sostanza e il rapporto colore-materia, questione tralasciata da Goethe poiché non disponeva dei mezzi necessari per affrontarla. In precedenza agli inizi dell’evoluzione della Terra, il colore era liquido e fluttuante. Solo con la progressiva evoluzione della terra ogni cosa ha assunto una propria forma solida e colorata, a partire dalle piante in cui si è fissato il colore verde. Tuttavia tale colore può variare e assumere tonalità diverse con l’influsso della luce solare. Più precisamente, il distacco degli altri pianeti dalla terra è all’origine della colorazione interna degli oggetti inanimati: la separazione dei diversi pianeti, ha liberato la terra dalle forze presenti al suo interno e tali forze dal cosmo hanno agito sui corpi minerali colorati, facendo sorgere la forza interna della colorazione. Dunque Steiner sosteneva che fossero state le forze cosmiche, lunari e solari insieme, ad aver permesso al colore di fissarsi sulla superficie delle cose, oltre ad influenzarne le tonalità nel tempo. Chiaramente la fisica moderna ignora totalmente questo processo di colorazione poiché non considera le attività cosmiche in relazione allo studio del colore. Steiner ha sottolineato da un lato la necessità di scoprire tutti quei processi che rendono visibile un dato colore, ad esempio in che modo il fiore di girasole appare progressivamente giallo per azione del sole, dall’altro l’errore di Newton nel ritenere che il Sole fosse un sacco contenente tutti i colori. Peraltro accusa Newton perché nella sua scienza intelligente e artificiale ha ignorato completamente le due leggi fondamentali della teoria dei colori apprese dall’ambiente circostante, secondo cui la luce osservata attraverso l’oscurità appare rossa, mentre l’oscurità osservata attraverso la luce appare blu. Newton osservando la luce attraverso un foro con l’utilizzo di un prisma, ha creato un arcobaleno artificiale composto da sette colori — rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola — sostenendo che essi siano già presenti nella luce bianca (FIGURA 24). In realtà avrebbe dovuto dire che poiché il prisma è costituito da ben due facce di vetro formanti un angolo acuto, da un lato osservando la luce attraverso l’oscurità appare il rosso, dall’altro osservando l’oscurità attraverso la luce appare il blu e nel mezzo sono comprese tutte le altre gradazioni (FIGURA 25).
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COLŌRIS - STUDI SUL COLORE
Luce diretta
Luce rifratta
Luce solare
Schermo
so Ros cio n Ara o ll Gia de r e V Blu co a Ind la o i V
Prisma
FIGURA 24 I colori secondo la fisica, dimostrazione sperimentale di Isaac Newton nel 1676.
Spettro
La luce osservata attraverso l’oscurità appare rossa
L’oscurità osservata attraverso la luce appare blu
Luce solare
FIGURA 25 Rappresentazione delle due leggi fondamentali della teoria dei colori.
Prisma
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2.5 EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
Johannes Itten (1888-1967) più di ogni altro teorico, ha avvertito l’esigenza di definire una teoria di fronte alla crescente importanza dei colori nell’arte, nella fotografia, nella televisione, nell’abbigliamento, nell’arredamento, insomma complessivamente nella vita quotidiana. Nel 1944 al Museo d’Arte Industriale di Zurigo è stata allestita la mostra “Il Colore” nella quale Itten ha esposto ben 80 tavole realizzate dai suoi studenti, di cui si è servito per rappresentare la sua teoria del colore con i sette contrasti cromatici, le analisi cromatiche e gli esempi dei colori soggettivi. Nel 1961 Itten ha pubblicato Arte del colore, in cui illustra rigorosamente la sua teoria, elaborata nel corso della sua intera vita di studi dedicati al colore. Il significato della realtà cromatica, del pigmento o della materia colorante, è definito dalla percezione umana grazie all’occhio e alla mente. Essi percepiscono il colore per confronto o per contrasto e ne definiscono l’effetto cromatico. Per gli artisti gli effetti cromatici sono essenziali e la percezione visiva permette loro di controllarli. Sebbene il cromatismo non segua alcuna regola logica prestabilita, l’estetica del colore nell’arte è definita da leggi e principi che costituiscono insegnamenti e teorie, che Itten considerava imprescindibili. Così ha deciso di formulare una teoria del colore con un duplice scopo, sia per definire e dimostrare leggi e principi fondamentali aventi carattere di obiettività, sia per porre un limite al problema del giudizio soggettivo. Generalmente chiunque abbia a che fare professionalmente con il colore si lascia guidare dall’istinto e dalle preferenze soggettive, ma questo può finire per limitarne i risultati in quanto i lavori compiuti appaiono cromaticamente molto simili o nel peggiore dei casi provocano una disastrosa repulsione in chi non possiede le stesse preferenze cromatiche. Risulta evidente che tale problema è la causa di una mancata istruzione cromatica all’interno delle scuole, dove la conoscenza delle leggi compositive non deve essere un limite, ma al contrario deve guidare gli studenti a liberarsi dall’incertezza e dalla titubanza. Per la formazione personale di un pittore sono indispensabili sia le attitudini creative soggettive sia i principi cromatici oggettivi. In quest’ottica la conoscenza degli accordi cromatici soggettivi assume una grande importanza educativa, in quanto grazie ad esercizi individuali permettono al pittore di scoprire sé stesso, accingendo alle proprie attitudini e alla propria sensibilità. Poiché il temperamento e i lati più profondi della psiche si riflettono nei colori, interpretando le composizioni armoniche soggettive nella loro totalità — considerando le reciproche posizioni dei colori, il loro orientamento, la loro luminosità, lucentezza ed opacità, i vari rapporti quantitativi, di struttura e di ritmo — permettono di cogliere l’intima natura dell’individuo, il suo modo di pensare, sentire e agire. Se ad un allievo sono imposti temi estranei su cui lavorare, si sforzerà di risolverli mediante la riflessione con risultati discutibili, motivo per cui Il maestro deve guidare ogni suo allievo nella scoperta delle proprie tendenze cromatiche e al tempo stesso deve insegnargli le
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leggi oggettive del colore. Così che nonostante le proprie preferenze e predisposizioni, riuscirà a compiere esercizi elementari su tutti i sette contrasti di colore. Come un giardiniere crea le condizioni il più possibile favorevoli alla crescita delle piante, l’educatore dovrebbe creare le condizioni favorevoli allo sviluppo spirituale e fisico degli allievi. Le preferenze cromatiche soggettive possono avere corrispondenze con tratti fisici e caratteriali, ma il punto è che i colori scelti e accordati devono irradiare dall’individuo come se provenissero dalla sua aura. Gli accordi soggettivi possono essere semplici e includere due o tre colori, oppure possono includere una vasta gamma a base di giallo, rosso, blu in diversi gradi di intensità o due o più colori in numerosi valori tonali diversi. Itten fra i pittori individua tre atteggiamenti in relazione all’uso degli accordi soggettivi: definisce epigoni coloro che non possiedono un gusto personale del colore e realizzano opere assai simili ai loro maestri e modelli; chiama originali quelli che dipingono con spontaneità seguendo accordi cromatici sia formali che soggettivi, le cui opere però mantengono lo stesso timbro cromatico pur trattando temi differenti; infine considera universali gli artisti che applicano principi formali e oggettivi, differenziando il carattere cromatico delle opere per ogni tema rappresentato, ma affinché ciò sia possibile è necessario che essi abbiano un’ampia visione del mondo e che i loro accordi soggettivi includano l’intera gamma dei colori. La teoria impressionistica dei colori analizza gli effetti cromatici naturali, studiando le impressioni prodotte dagli oggetti colorati sul senso ottico. Essa sottolinea la grande utilità dello studio dal vero, inteso come rielaborazione e rappresentazione della realtà, mediante un’attenta analisi delle forme e dei colori necessari. Secondo Itten, uno studio dal vero efficace permette di interpretare la natura ampliando i sensi e l’intelligenza artistica. Nello studio dei colori naturali è essenziale tener conto del colore e dell’intensità della fonte luminosa, poiché la luce determina colore e qualità della materia dell’oggetto osservato. Il colore di un corpo viene percepito come riflesso dei raggi colorati nello spazio che lo circonda. Considerando che un corpo sia rosso, se i suoi raggi colpiscono un oggetto adiacente di colore bianco, esso appare con dei riflessi rossi. Nel caso in cui l’oggetto adiacente sia di colore verde, esso apparirà con dei riflessi grigio-neri; nel caso di un oggetto di colore nero, esso apparirà con dei riflessi bruno-neri. Chiaramente l’evidenza dei riflessi è determinata da quanto è lucida la superficie. Ciò detto si può affermare che lo studio del colore naturale deve assolutamente considerare quattro fondamentali elementi: il colore dell’oggetto, il colore della luce, il colore dell’ombra e il colore dei riflessi. Gli impressionisti hanno approfondito molto questo studio, soffermandosi sulle consecutive mutazioni cromatiche locali, provocate dalla variazione della luce nel corso della giornata. La teoria strutturale dei colori studia le leggi degli effetti cromatici, come risultano alla visione. Essa si basa sul cerchio cromatico a dodici parti, all’interno del quale i tre colori primari sono disposti in un triangolo equilatero ponendo il giallo in alto, il rosso in basso a destra e il blu in basso a sinistra. All’interno dello stesso cerchio sviluppando un esagono si ottengono i tre colori secondari. Dallo stesso cerchio in cui sono iscritti il triangolo e l’esagono,
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EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
si traccia un anello diviso in dodici settori uguali. In corrispondenza dei colori primari e secondari i settori vengono colorati, lasciando un settore vuoto ogni due per inserire i colori terziari ottenuti dalla combinazione di un primario con un secondario:
COLORI SECONDARI
COLORI TERZIARI
giallo + rosso = arancio giallo + blu = verde rosso + blu = viola giallo + arancio = giallo-arancio rosso + arancio = rosso-arancio rosso + viola = rosso-viola blu + viola = blu-viola blu + verde = blu-verde giallo + verde = giallo-verde
Si ottiene così un anello diviso in dodici parti uguali, nel quale i colori occupano posti irreversibili e si susseguono secondo l’ordine dell’arcobaleno e dello spettro, inoltre essi sono equidistanti fra loro e quelli diametralmente opposti sono complementari (FIGURA 25).
FIGURA 25 Il disco cromatico a dodici parti di Itten.
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Gli effetti cromatici possono essere intensificati o indeboliti dai contrasti di colore che li caratterizzano, poiché i sensi valutano sempre e solo mediante confronti. Si definisce contrasto di colore una differenza o un intervallo evidente tra due o più colori posti a confronto. Si parla di contrasti di polarità quando sono accostate differenze assolute e al massimo grado di opposizione. Studiando i principali caratteri ed effetti cromatici, Itten ha stabilito sette tipi di contrasto con apposita propedeutica per una corretta applicazione. Essi sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
contrasto di colori puri; contrasto di chiaro e scuro; contrasto di freddo e caldo; contatto di complementari; contrasto di simultaneità; contrasto di qualità; contrasto di quantità.
Il contrasto di colori puri è il più semplice, in quanto si ottiene accostando qualsiasi colore al più alto punto di saturazione. Richiede almeno tre colori nettamente distinti e produce un effetto sempre chiassoso, energico e deciso, che perde proporzionalmente forza man mano che le tinte utilizzate si allontanano dai colori primari, L’accostamento di giallo, rosso e blu rappresenta il massimo grado di tensione fra colori puri e sebbene tale accostamento possieda una forza superiore, tutti i colori puri non composti si possono avvicinare in energici contrasti. Inoltre modificando le relazioni quantitative dei colori si ottengono un numero infinito di variazioni e nuove possibilità espressive. Per ogni accordo è l’artista a decidere se includere anche il nero e il bianco, in modo più o meno rilevante. Poiché il bianco attenua la forza luminosa dei colori vicini e il nero ne esalta la luminosità, bianco e nero divengono elementi importantissimi in ogni composizione cromatica. Il contrasto di colori puri riproduce la vitale ricchezza della luminosità primordiale, difatti i colori primari e secondari possiedono una forza luminosa cosmica e originaria ma al tempo stesso esprimono una realtà tangibile e festosa. Non a caso le possibilità espressive di ogni singolo contrasto sono molteplici: il contrasto di colori puri può esprimere tanto la gioia chiassosa, quanto la profonda tristezza; tanto la primordialità terrestre quanto l’universalità cosmica. Ciò permette a tale contrasto di esser utilizzato sia per un’incoronazione della Vergine che per una natura morta realistica. Ampiamente utilizzato nell’arte popolare, è presente nei ricami variopinti, nei costumi e nelle ceramiche, soprattutto per la sua piacevole vivacità decorativa piuttosto che per la sua valenza spirituale. Artisti come Stefen Lochner, fra’ Beato Angelico, Botticelli, Matisse, Mondrian, Picasso, Kandinsky, Léger e Mirò hanno impostato i loro dipinti su contrasti di colori puri. Nel Compianto sul Cristo morto (1490-1495) Botticelli applica tale contrasto per sottolineare l’infinito significato e la portata cosmica dell’evento rappresentato. Tra i moderni, Matisse ha realizzato molte opere, nature morte e ritratti, giocando con gli effetti cromatici di questo contrasto. Ne è esempio il ritratto di donna Le collier d’ambre (1937) dove Matisse si è servito dell’accordo di rossi, gialli, verdi, blu, rosso-viola, bianco e
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EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
nero per rappresentare in modo espressivo la personalità di una giovane donna sensuale e intelligente. In aggiunta Itten ha suggerito che gli allievi eseguano gli esercizi sui contrasti cromatici servendosi di semplici schemi a strisce o a scacchiera, nei quali sviluppare il colore in due direzioni, acquistando così una maggior sensibilità per i rapporti reciproci fra le zone cromatiche. Ad esempio dando loro la possibilità di sviluppare schemi a scacchiera con giallo, rosso, blu, bianco e nero oppure con colori di maggiore intensità luminosa, con zone di colori più chiari e più scuri accostati a bianco e nero, come nella FIGURA 26.
FIGURA 26 Contrasto di colori puri.
Nel contrasto di chiaro e scuro il giallo e il viola, come il bianco e il nero, costituiscono il culmine, l’estremo punto di contrasto. Questi ultimi sono polari e sebbene esista un solo bianco e un solo nero, tra di essi è compresa una straordinaria quantità di gradi chiaroscurali del grigio, a cui si somma la vasta gamma dei colori. Il grigio neutro è un colore privo di carattere, spento e negativo ma altamente influenzabile dai colori adiacenti: diviene simultaneamente il complementare del colore accostato, indebolendolo e assorbendone vita e luminosità. Le quantità di gradazioni di grigio percepibili dipende dall’acutezza dell’occhio e dalla soglia sensoriale individuale, che chiaramente con l’esercizio possono migliorare. Sono proprio gli esercizi sulle gradazioni ad allenare e acuire la sensibilità tonale dell’artista. Itten ha consigliato in primo luogo di rappresentare una serie continua di grigi in dodici gradazioni tonali, dal bianco al nero. Successivamente in modo analogo, ha suggerito di ottenere per ogni colore puro la scala di gradazione tonale: nella serie del colore blu, in combinazione con il nero si scurisce fino ad ottenere il blu-nero e in combinazione con il bianco si schiarisce fino a raggiungere il bianco-blu. Quanto ai colori, consiglia di collocare all’interno della scacchiera del giallo, del rosso o del blu, giustapponendo al colore inserito combinazioni di eguale luminosità o oscurità (FIGURA 27). Sia nell’arte europea che in quella orientale, sono presenti molte opere impostate esclusivamente su contrasti di chiaro e scuro. Nella pittura cinese e giapponese a inchiostro, caratterizzata dalla scrittura ideografica a pennello. Tale scrittura sembra essere dettata da un automatismo interiore, che richiede talento compositivo, sensibilità ritmica e spontanea scioltezza di mano, oltre ad infinito esercizio imprescindibile. A tal proposito il cinese Chiang Yee ha scritto: “Come l’arciere mira fisso al suo bersaglio, tende l’arco e fa scoccare la freccia, chi scrive deve immaginare le
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forme concentrandosi; quindi condurre con energia e decisione il pennello e tracciare i segni con la più consapevole sicurezza”. Ma anche la xilografia, l’incisione su rame e l’acquaforte sono espressioni artistiche basate esclusivamente sul chiaroscuro. L’incisore attraverso l’intensità dei tratteggi e delle macchie ottiene le diverse gradazioni di chiaro e scuro, così Rembrandt nelle sue acqueforti ha trattato in modo personale i più svariati soggetti.
FIGURA 27 Contrasto di chiaro e scuro.
Il contrasto di freddo e caldo è basato sulla relazione tra la percezione ottica e la componente termica. Itten lo ha definito il più sonoro dei sette contrasti. Osservando il disco cromatico, a destra e a sinistra dell’asse giallo-viola si notano le due polarità di questo contrasto e cioè il rosso-arancio e il verde-blu. Il rosso-arancio o rosso di Saturno è il colore più caldo, mentre il verde-blu o ossido di manganese è quello più freddo. Mentre i poli possiedono un valore fisso, i colori compresi tra di essi possono assumere una valenza calda o fredda in base ai colori accostati. Per gli esercizi Itten ha raccomandato di eliminare ogni contrasto chiaroscurale, affinché i colori utilizzati nelle composizioni abbiano tonalità omogenee. In aggiunta di applicare una luminosità media e di selezionare i timbri cromatici senza superare i quattro gradi contigui del disco cromatico a dodici parti (FIGURA 28). Ha evidenziato anche che l’impiego di questo contrasto all’interno di una composizione a scacchiera con colori alternati, ne potenzia straordinariamente la forza. Il contrasto di freddo e caldo consente di creare effetti pittorici suggestivi, atmosfere irreali e ricche di musicalità. Le molteplici possibilità espressive di questo contrasto termico si possono intendere come polarità di ombreggiato-soleggiato, trasparente-opaco, riposante-eccitante, sottile-denso, celeste-terrestre, vicino-lontano, leggero-pesante, umido-asciutto. Ad esempio in un paesaggio gli oggetti lontani appaiono di colore più freddo a causa degli strato atmosferici interposti, diventa così possibile rappresentare cromaticamente vicinanza e lontananza. Grünewald nelle sue opere si è servito del contrasto di freddo e caldo per rappresentare il mondo celeste: nella costruzione cromatica del Concerto angelico dell’altare di Isenheim (1512-1516), in particolare nella scena della Madonna col Bambino e nella Resurrezione. Gli impressionisti hanno giocato con le modulazioni di caldo e freddo per rendere il contrasto dell’azzurro freddo e trasparente del cielo con le calde tonalità della luce solare. Monet dedicandosi alla pittura del paesaggio all’aperto, intraprende lo studio sulla mutevolezza
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EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
della luce e dell’atmosfera, in relazione a stagioni, ore del giorno e condizioni meteorologiche, sostituendo il chiaroscuro con il contrasto di freddo e caldo. La Belle Verrière di Chartres (XII secolo) utilizza simbolicamente il calore del rosso e la freddezza del blu: le vetrate policrome attraverso la loro magica luminosità trasportano i fedeli in contemplazione in un radioso aldilà. Quell’esperienza ottico-sensitiva li rende ricettivi ad una più elevata spiritualità. Un importante impiego del contrasto di freddo e caldo si riscontra nella tinteggiatura degli ambienti chiusi. Come ha confermato la scienza, in un locale di colore verde-blu le persone avvertono una temperatura inferiore di circa 3° centigradi rispetto ad un locale di colore rosso-arancio, poiché il verde-blu rallenta la circolazione sanguigna, al contrario il rosso-arancio la attiva. Per di più questo contrasto agisce anche sulla psiche: è stato dimostrato all’interno di una scuderia in seguito ad una corsa, i cavalli collocati in uno stallo blu si rilassano molto rapidamente, invece quelli collocati in uno stallo rosso rimangono agitati e irrequieti più a lungo. Le strutture ospedaliere che applicano la terapia cromatica, si servono proprio di queste caratteristiche psico-fisiche appartenenti alle tinte fredde e calde.
FIGURA 28 Contrasto di freddo e caldo.
Si definisce contrasto di complementari l’accostamento di due colori complementari, la cui mescolanza genera un grigio-nero neutro — o di due due luci che generano una luce bianca secondo la fisica. Per ogni colore esiste un solo complementare e all’interno del disco cromatico i complementari sono diametralmente opposti. Come esercitazione Itten ha proposto di creare delle strisce che rappresentino graficamente la progressiva addizione del complementare ad un colore dato, al cui centro compare sempre un tono grigio. Oppure di ottenere una scacchiera con una o più coppie di complementari, con inserti derivati dalle progressive combinazioni tra complementari (FIGURA 29). Questo contrasto è alla base di ogni composizione armonica, poiché permette di stabilire un perfetto equilibrio visivo. I colori complementari usati in giusti rapporti quantitativi esprimono una solida staticità utile soprattutto nella pittura murale. In molti dipinti basati sul contrasto di complementari si riscontra l’utilizzo di colori puri e dei loro composti in funzione mediatrice e di equilibrio. Anche in natura è assai semplice incontrare questo contrasto, ad esempio tra i rami e le foglie di un cespuglio di rose rosse prima che sboccino i fiori: il rosso dei boccioli si fonde con il verde dello stelo e delle foglie, generando sfumature di colore rosso-grigio e verde-grigio.
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ultaneità
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FIGURA 29 Contrasto di complementari.
Il contrasto di simultaneità si verifica quando l’occhio dinanzi ad un dato colore ne esige simultaneamente il complementare, ma non ricevendolo lo rappresenta da sé. Perciò il colore prodotto simultaneamente non esiste nella realtà, ma soltanto nella percezione cromatica dell’osservatore. Bisogna precisare che l’effetto di simultaneità non si verifica solo fra il grigio e un colore puro, ma anche tra due colori puri non esattamente complementari: quando ciò accade ognuno di essi cerca di spingere l’altro verso il suo complementare, perdendo entrambi il loro carattere reale. Itten ha illustrato questo tipo di contrasto con l’ausilio di un esperimento, declinato nei diversi colori: presi in esame sei quadrati di colori puri, si ponga al centro di essi un piccolo quadrato di colore grigio-neutro, controllando che abbia la stessa gradazione luminosa del fondo entro cui è inserito (FIGURA 30). Osservando le figure ottenute, si nota che ogni quadrato grigio assume il riflesso del complementare del colore di fondo. Un secondo esperimento prende in esame un rettangolo di colore arancio, nel quale si collocano tre quadrati grigi quasi impercettibilmente diversi: il primo mescolato al blu favorisce l’effetto simultaneo, il secondo neutro si modifica normalmente, il terzo mescolato all’arancio annulla l’effetto simultaneo. Questo esperimento dimostra come accentuare o ridurre il contrasto di simultaneità.
FIGURA 30 Contrasto di simultaneità.
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EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
Il contrasto di qualità è generato da colori intensi e luminosi e altri smorti ed offuscati. Per qualità cromatica s’intende il grado di purezza e saturazione dei colori. I colori possono essere modificati o tagliati in quattro modi diversi: 1) si può tagliare un colore puro con il bianco per renderlo più freddo, ad esempio il rosso-carminio col bianco acquista un aspetto azzurrognolo; 2) si può tagliare un colore con il nero, ad esempio il rosso-carminio in miscela con il nero assume una sfumatura che tende al viola, mentre il giallo perde il suo carattere irradiante e diventa subdolo e malaticcio; 3) si può tagliare un colore saturo mescolandolo con il grigio, ottenuto da bianco e nero per renderlo più smorto e neutrale; 4) si può offuscare un colore puro mescolandolo con il suo complementare, ottenendo toni intermedi. Gli esercizi sul contrasto di qualità si eseguono con uno schema di venticinque caselle: al centro si ponga un colore luminoso e ai quattro angoli dei grigi neutri aventi la stessa luminosità del colore puro posto al centro, combinando gradualmente il grigio e il colore puro si ottengono i toni intermedi progressivamente offuscati (FIGURA 31). È possibile sostituire qualità il grigio con il complementare del colore centrale, per ottenere una maggiore ricchezza cromatica. Ma in entrambi i casi è fondamentale evitare contrasti di chiaroscuro e ogni scacchiera deve possedere toni luminosi omogenei.
FIGURA 31 Contrasto di qualità.
Il contrasto di quantità è di tipo proporzionale, viene prodotto dal reciproco rapporto quantitativo di due o più colori. I colori possono essere accostati liberamente o in modo equilibrato, così che nessuno risalti più di un altro. In questi casi l’equilibrio è determinato da due fattori: dall’intensità luminosa dei singoli colori e dall’estensione della superficie che occupano. I rapporti di quantità validi per i complementari dei colori primari sono: giallo : viola = 1/4 : 3/4 arancio : blu = 1/3 : 2/3 rosso : verde = 1/2 : 1/2 Tali rapporti sono riportati nel disco cromatico illustrato, diviso in tre settori uguali ognuno dei quali suddiviso secondo il rapporto proporzionale dei due complementari (FIGURA 32). In modo analogo si possono stabilire i rapporti di tutti gli altri colori complementari. Chiaramente per ogni colore la variazione della luminosità ne muta le proporzioni, ciò dimostra
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la stretta connessione fra i due fattori citati, luminosità ed estensione. Ad esempio i colori rosso e verde sono complementari con pari grado di intensità luminosa, ne consegue che occupando superfici uguali comunicano grande armonia, ma se uno dei due occupa una superficie maggiore provoca un’irritante disarmonia (FIGURA 33). In questo tipo di contrasto, la quantità di un dato colore è significativa: ad esempio ne L’uomo dall’elmo dorato (1650) di Rembrandt è proprio la piccola macchia chiara sulla spalla a dare la giusta proporzione alla testa; nei dipinti di Mondrian sono le superfici gialle, rosse o blu a dare equilibrio; nel Passaggio con la caduta di Icaro (1558) di Bruegel è la piccola macchia rosso-arancio sulla manica e sul collo del contadino a contrastare i toni verde-azzurro, verde e marrone dell’insieme del dipinto. Citando questi esempi Itten ha voluto sottolineare che le forme e quantità le dimensioni delle macchie devono essere definite dal carattere e dall’intensità dei colori, perché definirle graficamente a priori condurrebbe in errore.
FIGURA 32 I rapporti del contrasto di quantità nel disco cromatico.
FIGURA 33 Armonia e disarmonia del contrasto di quantità.
Definiti i sette contrasti cromatici, Itten ha ripreso la sfera teorizzata in precedenza da Philipp Otto Runge per individuare le molteplici peculiarità dei colori, rappresentare la legge dei complementari ed evidenziare i reciproci rapporti tra i colori, compresi bianco e nero. Presa una sfera si tracciano sei paralleli e dodici meridiani equidistanti, dopodiché nei dodici settori ricavati si riportano i colori puri del disco cromatico, nel polo superiore si colloca il bianco e nel polo inferiore il nero. Lungo l’asse verticale che collega i due poli si sviluppa la gamma dei grigi, tra il polo superiore e la zona equatoriale si dispongono i toni dei colori puri progressivamente schiariti, mentre tra il polo inferiore e la zona equatoriale si dispongono quelli progressivamente oscurati. In entrambi i casi i toni si ottengono graduando ogni colore in base al proprio grado di luminosità. Vista l’impossibilità di rappresentare bidimensionalmente la sfera appena ottenuta, Itten ha ricavato la stella cromatica dalla sua proiezione: ne ottiene una rappresentazione grafica integrale separando con un intaglio i settori nella parte inferiore oscura. Nella zona centrale della stella ricavata troviamo il bianco, al quale seguono in ordine due zone di colori chiari, una di colore puro, due zone di colore scuro e il nero al vertice (FIGURA 34). Mentre per visionare l’interno della sfera è possibile sezionarla orizzontalmente lungo l’equatore e verticalmente lungo l’asse centrale. Dalla sezione orizzontale si nota la zona centrale di grigio neutro e un anello di colori puri all’e-
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EFFETTI CROMATICI E CONTRASTI DI COLORE — Johannes Itten
sterno, dalla sezione verticale si nota ugualmente la zona centrale di grigio neutro mentre all’esterno si trovano i toni dei colori puri graduati, verso il chiaro e lo scuro (FIGURA 35). Attraverso la sfera cromatica si possono individuare le direzioni di accordo fra colori complementari. Supponendo di voler giustapporre l’arancio e il blu, è necessario individuare dei toni che facciano da intermediari. Dopo aver localizzato i due colori sulla sfera si ricercano le possibili direzioni di connessione: lungo una traiettoria equatoriale, attraverso rosso e viola o giallo e verde; lungo il meridiano, attraverso arancio chiaro, bianco e blu chiaro o al contrario attraverso arancio scuro, nero e blu scuro; diagonalmente lungo il diametro della sfera, attraverso il grigio e i composti dell’arancio e del blu (FIGURA 36).
FIGURA 34 La stella cromatica a dodici parti.
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FIGURA 35 Prospetti e sezioni orizzontali e verticali della sfera cromatica.
Bianco
Blu
Arancio
FIGURA 36 Direzioni di accordo fra colori complementari.
Nero
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2.6 LA RICERCA DELL’ARMONIA — Colori, suoni e forme
Johann Wlfgang Goethe sosteneva che il colore e il suono non sono comparabili, eppure una formula superiore li lega: essi sono come due fiumi che nascono da un’unica montagna, ma che scorrono in direzioni completamente diverse, sebbene seguano la legge universale della divisione e dell’unione, del muoversi verso l’alto o verso il basso. Anche Philipp Otto Runge ha analizzato l’analogia del rapporto tra la scala musicale e la scala cromatica, notando come l’intera ottava è relazionata con l’alto e con il basso, così il cerchio dei colori è relazionato con il bianco e con il nero, con la luce e con il buio. Come la tensione di una corda produce un suono confuso quando è debole e stridente quando è eccessiva, allo stesso modo la tonalità rossa del tramonto è molto intensa se la si osserva frontalmente e molto più tenue se la si osserva di spalle, ma in entrambi i casi lateralmente il cielo appare di colore verde, poiché i raggi del sole contrastano la tensione dell’aria. Vasilij Kandinskij ha meditato sulla relazione tra la forma dei colori e i suoni musicali, rifacendosi ai colori fisiologici indagati e descritti da Goethe e sensibilizzandoli verso le armonie dei suoni musicali. Nella corrispondenza tra suono e colore, la tinta diventa il timbro, la brillantezza diventa l’altezza, la saturazione diviene l’intensità e l’ombra diviene una pausa muta. Nella sua breve opera Lo spirituale nell’arte (1912) analizza quattro contrasti cromatici: I. il giallo e il blu con la loro rispettiva forza centrifuga e centripeta richiamano sentimenti archetipici come il corporeo e lo spirituale; II. il bianco e il nero agiscono rispettivamente come un grande silenzio assoluto e un suono presente per la psiche umana; III. il rosso e il verde suscitano rispettivamente immobilità potente e impotente immobilità; IV. l’arancione e il viola si muovono rispettivamente in direzione centrifuga e centripeta, provenendo dal giallo e dal blu. Rappresentati graficamente con un cerchio concentrico che ruota fissamente separando ai propri estremi la diversità opposta del bianco e del nero, con il blu e il giallo ai poli alternati con rosso e verde, viola e arancio (FIGURA 37). Runge nelle sue osservazioni sul colore considera la dissonanza, l’armonia e la monotonia indispensabili per il significato di un’opera d’arte e definisce tre tipi di composizione cromatica: quella armonica è costituita dall’accostamento di colori complementari che provocano un contrasto vivace e piacevole; quella disarmonica invece è costituita dall’accostamento di colori puri che sollecitano l’occhio quasi in modo irritante; infine quella monotona è costituita da colori contigui ovvero accostati seguendo l’ordine del cerchio dei colori o dell’arcobaleno. Una composizione armonica può essere intensificata aumentando la tensione dei colori coinvolti rispettivamente verso il chiaro e verso lo scuro. Una composizione
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FIGURA 37 Rappresentazione dei quattro contrasti cromatici di Kandinskij.
I Giallo IV Arancione
III Verde
II Bianco
II Nero III Rosso
IV Viola I Blu
disarmonica può essere placata, ad esempio interponendo tra l’azzurro e il rosso un intervallo di grigio, esso separa i due senza tuttavia creare un legame armonico. Sostituendo il grigio con il giallo la disarmonia risulta intensificata, invece ponendo il viola tra l’azzurro e il rosso, si ottiene un effetto monotono poiché il viola congiunge i due colori in sé. Assai spesso le composizioni disarmoniche sono utilizzate per richiamare l’attenzione della vista, come ad esempio nelle bandiere e nelle uniformi. In generale si ottiene un effetto armonico quando i colori combinati sono in equilibrio, tuttavia ricercare tale equilibrio può significare produrre un’armonia priva di carattere: accostando colori nel pieno della loro energia si ottiene un effetto variopinto, invece accostando colori deboli si ottiene un effetto meno appariscente, sinonimo di insicurezza. Friedrich Nietzsche in Aurora e scelta di frammenti postumi (1964) afferma: “ogni pensatore dipinge il suo mondo ed ogni cosa con un numero di colori minore di quello che esiste in realtà ed è cieco verso particolari colori. Questo non è soltanto un difetto. In virtù di questo accostamento e di questa semplificazione egli vede dentro alle cose armonie di colori che hanno un grande fascino e possono costituire un arricchimento della natura”. Dunque sembrerebbe che l’armonia cromatica possa essere analizzata e definita, tuttavia conserva la sua indipendenza soggettiva. Il concetto di armonia dei colori ha aperto un ampio dibattito, poiché vuole dare un giudizio sull’effetto simultaneo di due o più colori vicini. Coloro che identificano armonico o disarmonico con piacevole o spiacevole secondo un criterio totalmente soggettivo, definiscono armonici solo gli accostamenti di colori con caratteri o tonalità simili e privi di forti contrasti. Johannes Itten seguendo un piano di rigorosa oggettività, ha definito l’armonia equilibrio e simmetria di forze con due semplici osservazioni. Ad esempio se si osserva per un po’ di tempo un quadrato verde chiudendo gli occhi si visualizza in automatico un quadrato rosso, mentre osservando un quadrato rosso si visualizza un quadrato verde. Ciò accade perché l’occhio produce da sé il colore complementare per ristabilire l’equilibrio e questo fenomeno è chiamato contrasto di successione. Se invece all’interno di un verde puro si inserisce un quadrato grigio di eguale luminosità, esso pare diventare grigio-rossiccio e
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LA RICERCA DELL’ARMONIA — Colori, suoni e forme
il grigio assume una sfumatura che è complementare al colore a cui è accostato. Questo secondo fenomeno è chiamato contrasto di simultaneità e con il precedente fenomeno osservato, dimostra che l’occhio umano ricerca e raggiunge il proprio equilibrio attraverso la legge dei complementari. Sul Nicolson-Jounal (1797) il fisico Rumford (1753-1814) è stato il primo a definire armonici tutti i colori la cui combinazione producesse il bianco. Egli basandosi sui colori dello spettro, considera che la combinazione di un colore con il suo complementare genera la totalità dei colori ossia il bianco, sebbene dal punto di vista pittorico tale combinazione produca il grigio scuro. Il fisiologo Ewald Hering (1834-1918) ha dimostrato che occhio e cervello esigono il grigio neutro, subendo turbamenti in sua assenza: osservando un quadrato bianco su fondo nero la retina produce l’immagine successiva di un quadrato nero e lo stesso si verifica con un quadrato nero che produce l’immagine di un quadrato bianco, invece osservando un quadrato grigio su fondo grigio la retina non produce alcuna immagine successiva. Questo significa che l’occhio non cerca di ristabilire la sua condizione di equilibrio psico-fisico, perché il grigio corrisponde allo stato di equilibrio richiesto dal sistema ottico umano. Dunque il grigio neutro corrisponde perfettamente alla totalità dei colori necessaria all’occhio per trovare il suo equilibrio armonico. Esso si può ottenere mescolando il bianco con il nero, due colori complementari oppure più colori formati dalla giusta proporzione di giallo, rosso e blu. Inoltre l’armonia cromatica è fortemente influenzata dai rapporti di quantità, dalla purezza e dalla luminosità dei colori combinati. In generale si definiscono armoniche tutte le combinazioni di colori complementari e tutti gli accordi a tre, i cui componenti possano essere congiunti da un triangolo equilatero o isoscele, da un quadrato o da un rettangolo, costruiti nel disco cromatico partendo da un colore primario (FIGURA 38). Ogni composizione cromatica adotta un’espressione tipica e caratteristica, poiché il carattere e l’effetto di ogni colore sono condizionati dalla sua posizione rispetto ai colori adiacenti. Motivo per cui un colore deve essere esaminato in relazione a tutto ciò che lo circonda. L’obbiettivo principale della composizione è di raggiungere l’equilibrio nella distribuzione dei colori, bilanciando il peso delle macchie di colore accostate e stabilendo se debbano agire in modo statico o in modo dinamico. In aggiunta Itten sosteneva che un maggiore equilibrio fosse dato dalla giusta combinazione di forma e colore. Le forme, proprio come i colori, hanno specifici valori espressivi di natura sensibile e concettuale, perciò forme e colori dovrebbero essere sincronizzati per potenziarsi reciprocamente. Ai tre colori fondamentali — rosso, giallo, blu — corrispondono le tre forme fondamentali — quadrato, triangolo, cerchio. Il quadrato è formato dall’intersezione di due segmenti verticali e due orizzontali della stessa stessa misura ed è il simbolo di materialità, pesantezza e rigorosa chiusura. Qualunque altra forma costituita da un simile schema di orizzontali e verticali che si intersecano, come ad esempio la croce, conserva il valore espressivo del quadrato. Al quadrato è associato rosso, colore simbolico della materia, che con la sua forza ed opacità potenzia la staticità e pesantezza del quadrato. Il triangolo si ottiene dall’intersezioni di tre diagonali e i suoi angoli acuti possiedono una
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valenza aggressiva e pungente. Condividono questo valore espressivo tutte le forme ricavate da diagonali come il rombo, il trapezio, lo zigzag e tutti i loro derivati. Il triangolo rappresenta il pensiero e il colore corrispondente è il giallo chiaro. Il cerchio è generato dalla rotazione di un punto a costante distanza dal centro ed esprime distensione e dinamicità. È simbolo dell’uniforme ed autonomo moto eterno dello spirito. Alla famiglia del cerchio appartengono tutte le forme curvilinee e circolari come l’ellisse, l’ovale, l’onda, la parabola e i loro derivati. In campo cromatico, al cerchio è attribuita la trasparenza dell’azzurro. Per determinare le forme corrispondenti ai colori secondari, basta combinare le forme corrispondenti ai colori primari, seguendo la mescolanza cromatica. Si ottiene così il trapezio per l’arancio, il triangolo sferico per il verde e l’ellisse per il viola (FIGURA 39). Questa peculiare corrispondenza tra forma e colore crea un parallelismo che gli artisti non dovrebbero mai trascurare: nella realizzazione di un dipinto basato sul colore, le forme dovrebbero nascere dal colore; al contrario in un dipinto basato sulle forme, il colore dovrebbe essere costruito sulle forme. A tal proposito si può notare come gli impressionisti hanno dissolto le forme a vantaggio del colore, mentre come con gli espressionisti e i futuristi forme e colori sono stati valorizzati allo stesso modo, diventando mezzi espressivi di rappresentazione. Tuttavia ogni individuo possiede specifiche preferenze e attitudini per l’uso delle forme, come per il colore, a confermarlo è la grafologia che studia il rapporto tra segno grafico e carattere. Risulta evidente quanto l’armonia possa essere tecnicamente ed intellettualmente ben definita da leggi e principi, sia in campo cromatico, sia in campo sonoro e musicale, sia in campo formale. Nonostante ciò la libertà d’espressione e la creatività spesso spingono l’artista a scegliere di metterle da parte, quasi in nome dell’originalità. Leonardo Da Vinci nel suo Trattato della pittura (1651) afferma: “ Se tu volessi adoperare le regole nel comporre non verresti mai a capo e faresti confusione nelle tue opere” sottolineando la libertà dal grave peso della scienza e incoraggiando a seguire le proprie intuizioni.
Giallo Giallo-verde
Giallo-arancio
Verde
rosso
arancio
giallo
giallo
verde
blu
blu
viola
rosso
Arancio
Bluverde
Rossoarancio
Blu
Rosso
Blu-viola
Rosso-viola Viola
FIGURA 38
FIGURA 39
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3. SIMBOLOGIA DEL COLORE
“
Gli uomini provano un grande piacere nel vedere i colori, hanno bisogno dei colori come della luce. Johann Wolfgang Goethe
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Le discipline interessate allo studio del colore sono molte e diverse: da un lato ci sono le cosiddette scienze esatte e tecniche — anatomia, fisiologia, fisica medicina, ingegneria, architettura — e dall’altro le scienze umane e sociali — psicologia, sociologia, antropologia, linguistica, storia letteraria e artistica. Le prime sostengono che il colore possa essere ricondotto a leggi naturali e necessarie e definito da griglie interpretative oggettive; le seconde considerano il colore in modo totalmente soggettivo ed impressionistico, a sostegno della percezione individuale e arbitraria. Dopo una lunga serie di studi, la teoria elementare dei colori è giunta alla definizione dei tre colori fondamentali (giallo, rosso, blu) e dei tre derivati (arancione, verde, viola) collocandoli in un cerchio, mentre tutte le altre innumerevoli variazioni proprie dell’applicazione sono affidate alla tecnica del pittore e del tintore. Secondo Goethe i veri artefici del colore sono proprio i tintori, in quanto lo producono e lo riversano a piene mani nel mondo, dove poi gli uomini se ne servono per esprimere sé stessi nella realtà, strumentalizzandolo per uso espressivo sensibile, morale o artistico. Il colore è alla base del piacere estetico, in quanto è in grado di rendere bella e suggestiva la natura e gli oggetti che riempiono lo spazio. Come scrive Goethe ”gli uomini provano un grande piacere nel vedere i colori, hanno bisogno dei colori come della luce” e ne hanno bisogno per comprendere le relazioni tra oggetti ed esseri nel mondo sensibile. A differenza di quasi tutti i mammiferi, l’uomo vede a colori proprio come i pesci, i rettili, gli uccelli e alcuni insetti come l’ape e la libellula. Da questa sensibile incertezza è partito lo studio di ogni teoria scientifica sull’essenza dei colori, volta ad analizzare la loro apparenza e la loro percezione, in relazione all’utilità e all’inutilità degli stessi. Johannes Itten riteneva che i colori acquistassero un valore significativo in modo reciproco, nel 1967 ha scritto: “Come una parola soltanto in rapporto ad altre parole ha un senso preciso, così i singoli colori raggiungono la propria espressione univoca e il proprio significato preciso soltanto in relazione ad altri colori”. Invece Goethe, sosteneva che un colore isolato — omogeneo, ben saturo, luminoso e circondato dal nero — fosse in grado di esercitare un’azione specifica sulla vista e sull’animo dell’uomo, ma ciò non accade se lo stesso è combinato con altri colori. Proprio questa peculiarità, ha reso il colore un importante elemento nell’arte, destinato sia a fini estetici che morali: ogni impressione di colore determina un’azione specifica e l’esperienza sottolinea il fatto che ogni singolo colore dona un particolare stato d’animo, influenzando al contempo occhio e spirito. I colori da un lato producono stati d’animo, dall’altro si adattano a stati d’animo e condizioni di vita, nel caso dell’abbigliamento si mette in relazione il carattere del colore col carattere della persona: per esempio le persone colte tendono a rifiutare il colore, nell’incertezza preferiscono evitare indumenti colorati e di alta visibilità — considerando che l’uomo tanto ama distinguersi quanto confondersi tra la massa. Ma dall’azione sensibile e morale, nasce l’azione estetica del colore: attraverso il chiaroscuro un corpo appare materiale e tangibile. In particolare la prospettiva aerea determina la chiarezza degli oggetti attraverso una sfumatura maggiore o minore, in relazione alla distanza. L’artista deve dunque collocare gli oggetti colorati in relazione ai colori
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SIMBOLOGIA DEL COLORE
dello spazio, tenendo in considerazione sia il suo scopo artistico sia l’azione dei colori sulla sensibilità umana, deve essere pienamente consapevole della valenza energica, blanda o splendida dei colori che applica nella sue opere. Nella percezione del colore, tenendo conto di condizioni precise, si possono individuare tre modi oggetto, ovvero come il colore si mostra materialmente negli oggetti: 1) Il modo superficie è quello di oggetti colorati come un pezzo di carta o di plastica, è un modo non isolato poiché è sempre collocato accanto ad altri colori; 2) il modo volume è quello di oggetti trasparenti, il cui colore è percepito grazie al passaggio della luce attraverso la massa dell’oggetto, come un bicchiere di vino; 3) il modo illuminante è quello di una sorgente luminosa come una lampada colorata, può risultare isolato nel caso di un semaforo nella notte o non isolato come le luci di un albero di Natale. In aggiunta si possono individuare 2 modi non oggetto: 1) il modo illuminazione è il colore attribuito alla luce di un dato ambiente, ad esempio di una stanza; 2) il modo riduzione è il colore omogeneo che appare guardando da un’apertura piccola, ad esempio attraverso un tubo. Oggi la percezione visiva sembra essere incentrata su due colori fondamentali: il rosso e il blu, che richiamano simbolicamente il colore femminile e quello maschile. Si parla di esteriorizzazione della sensibilità quando si considera la mole di significati che accompagna l’universo dei colori. Il colore può assumere un significato simbolico o un’interpretazione mistica, rinviando a rapporti originari appartenenti all’intuizione umana e alla natura. Come Philip Otto Runge scrive nel passo sulla simbologia dei colori: “La gioia che proviamo nel guardare i fiori è ancora la stessa del paradiso terrestre. Nel nostro intimo, associamo al fiore un significato, dunque una forma umana, e soltanto questo è il fiore vero, quello che pensiamo con gioia. In questo modo, se scorgiamo in tutta la natura nient’altro che la nostra stessa vita, è inevitabile che da questo scaturisca il vero paesaggio, inteso come opposizione totale alla composizione umana o storica. A questo punto i fiori, le piante e le forme ci si schiudono davanti e avremo compiuto un bel progresso verso il colore! Il colore è l’arte ultima, che è per noi sempre mistica e che tale deve restare, e noi dobbiamo intenderlo come in un meraviglioso presentimento, proprio come ci succede, ancora una volta, con i fiori. Alla sua base sta per intero il simbolo della trinità: la luce o il bianco e la tenebra o il nero, non sono colori; la luce è il bene e la tenebra è il male (mi riferisco nuovamente alla creazione); non possiamo comprendere la luce e non occorre comprendere l’oscurità, poiché agli uomini è stata data la rivelazione e sono apparsi nel mondo i colori, cioè: l’azzurro, il rosso e il giallo. La luce è il sole, che non possiamo guardare; ma quando esso inclina verso la terra o verso l’uomo, il cielo si arrossa. L’azzurro ci ispira un certo rispetto, è il padre, e il rosso è in genere il mediatore tra terra e cielo; quando ambedue scompaiono, allora nella notte sopraggiunge il fuoco, e questo è il giallo, il consolatore, che ci viene inviato — anche la luna è soltanto gialla.” Secondo Ludwig Wittgenstein alla domanda “che cosa significano rosso, blu, nero, bianco?” non si è in grado di rispondere spiegando i relativi significati, ma si tende ad indicare oggetti che hanno i colori in questione. Alla vista dei colori, l’occhio e il cervello umano producono processi ottici, elettromagnetici, chimici e psicologici. Le emozioni suscitate dagli effetti cromatici possono colpire l’uomo nel profondo, giungendo ai centri della psiche e 66
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della spiritualità, il più delle volte ciò avviene inconsapevolmente. Il colore infatti produce una sensazione che ha effetti notevoli sull’organismo e sull’atteggiamento psicologico degli individui. Tale sensazione ha una valenza emozionale che può essere piacevole o spiacevole in modo diverso per ogni essere umano e che può variare nel tempo in base all’umore. Tanto è vero che attraverso i colori è possibile apprendere informazioni sulla personalità e sullo stato d’animo di qualcuno, in quanto lo rende visibile e distinguibile dalla folla. Il foglio di carta bianco per l’artista è la superficie che diventa espressione della sua interiorità: per mezzo di matita e colori rappresenta il suo rapporto con il mondo esterno e con il mondo delle relazioni, le sue emozioni, i suoi sentimenti e le sue idee. In generale ogni individuo possiede una propria tavolozza dei colori, che percepisce in modo unico in base alla propria esperienza di vita, al contesto culturale e sociale in cui è nato e cresciuto, che lo condiziona in modo più o meno indiretto. La relazione tra le emozioni e i colori si può riscontrare in espressioni verbali quotidiane, come per esempio “sono arrabbiata nera”, “ti do carta bianca”, “sei verde d’invidia”, “diventi rosso dalla vergogna”, “mi fai vedere i sorci verdi”, “ho trascorso la notte in bianco” e così via. Lo studioso Carl Gustav Jung (1875-1961) ha elaborato alcuni test della personalità basati sul colore. Egli individua quattro funzioni dominanti nell’uomo: il pensiero, il sentimento, la sensazione e l’intuizione; di cui definisce razionali il sentimento e il pensiero, mentre la sensazione e l’intuizione sono frutto della percezione. Egli associa il colore blu del cielo al pensiero, il colore rosso del sangue e della passione al sentimento, il colore giallo della luce e del sole all’intuizione, infine il colore verde della natura alla sensazione, avanzando l’ipotesi che la preferenza individuale per determinati colori abbia corrispondenze con la funzione che caratterizza il proprio carattere psicologico. Il test cromatico dello psicologo e psicoterapeuta svizzero Max Lüscher (1923-2017) è basato su 7 tavole contenenti 23 tonalità differenti di colori, di fronte alle quali bisogna esprimere preferenze e rifiuti. In base alla preferenza o al rifiuto di un colore si scopre lo stato psicofisiologico del soggetto: se il colore è in sintonia il suo stato psicofisiologico gli risulta piacevole, se invece è in discordanza gli risulta spiacevole. Le combinazioni con cui i colori possono essere scelti sono numerosissime ed è dall’analisi delle varie interdipendenze che emerge l’individualità e l’unicità del soggetto: il significato emotivo dei colori è universale, ma cambia l’atteggiamento soggettivo verso le diverse tonalità, che viene espresso con la preferenza o con il rifiuto. Dunque ogni scelta cromatica è sempre dettata da una motivazione ben precisa, consapevole o inconscia che sia. Perciò l’influenza psicologica dei colori è studiata e applicata in numerosi ambiti lavorativi, nel campo della salute e in quello del marketing pubblicitario, per comprendere quali colori attraggono i consumatori e quali al contrario lo respingono e per prevenire eventuali errori comunicativi.
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3.1 IL DIBATTITO TRA OGGETTIVISMO E SOGGETTIVISMO
Sebbene ogni individuo vede, sente e giudica i colori in modo soggettivo, mediante i colori delle stagioni è possibile dimostrare che la percezione e la ricettività cromatica hanno un fondamento oggettivo. La splendida e rigenerante energia della natura primaverile è espressa da colori chiari e luminosi come giallo, giallo-verde, rosa, azzurro e lilla. Al contrario nella natura autunnale morente il verde si decompone dissolvendosi nel bruno smorto e nel viola. L’estate è caratterizzata da colori caldi, profondi e attivi al loro massimo grado di intensità: i numerosi toni verdi esaltano i rossi, il blu evidenzia il suo complementare arancione. Invece l’inverno è rappresentato da colori chiusi e freddi, irradianti in profondità, trasparenti e spiritualizzanti. Dunque per determinare nello specifico il contenuto espressivo psicologico e spirituale dei colori, è necessario esaminarli comparativamente, ma in generale si può dire che i colori chiari rappresentano il lato luminoso della vita, mentre quelli scuri ne simboleggiano le forze oscure e negative. Tuttavia più si medita sul valore espressivo dei colori e più essi sembrano divenire misteriosi. Questo è dovuto non solo agli effetti mutevoli dei colori — nel carattere cromatico, nel grado di saturazione, nei rapporti quantitativi, per effetto del contrasto di simultaneità — ma anche alla variabilità della ricettività soggettiva all’esperienza cromatica. Si consideri un pittore per il quale il colore costituisce la materia prima della sua professione, che in seguito ad un incidente e ad una temporanea perdita della memoria, scopre di non vedere più i colori pur ricordandoli perfettamente nelle diverse tinte e sfumature. Ai suoi occhi appare una nuova realtà caratterizzata da una lunga scala di grigi, che necessita di nuovi sistemi di senso: nuovi modelli di esperienza, nuove capacità, nuove griglie interpretative, nuovi schemi percettivi e cognitivi. Partendo dallo studio di questo caso clinico chiamato acromatopsia, appare evidente quanto il colore sia un fenomeno profondamente legato alla cognizione, alla cultura e alla conoscenza. Dunque la percezione del colore non costituisce soltanto una semplice esperienza visiva ma attribuisce valore e senso alle cose, le quali senza colore perdono il proprio significato. Così il mondo a colori è considerato vivo, ricco, sensato e bello; mentre il mondo incolore è considerato povero, orrendo e morto. L’artista David Batchelor (1955) sostiene che attualmente il colore sia sistematicamente bandito dall’arte, dalla moda e dal design perché considerato di cattivo gusto. Nell’epoca del minimalismo e della cromofobia il monocromatismo diviene la regola aurea, al contrario il variopinto diventa una forma di ironia trasgressiva. Nel passato i colori possedevano funzione estetica, decorativa e significativa, ma con il minimalismo assume rilievo il monocromatico — bianco, nero, blu. Tuttavia i colori appassionano chiunque e nel senso comune si crede di conoscere a fondo il colore, di conoscerne la provenienza, il significato e le reazioni che provoca. Più di ogni altra cosa si ritiene che sia legato all’emotività e alla sfera
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inconscia e irrazionale di ognuno, ciò spiega perché in parte resti avvolto dal mistero. Secondo il senso comune il rosso è simbolo di passione, il verde di speranza, il giallo di gelosia e il nero di tristezza. Questi significati seguono una psicologia generica e nascono da un carattere motivato da presunte ragioni neurofisiologiche: ad esempio il rosso risulta ansiogeno in quanto eccita gli organi della percezione cromatica, il blu al contrario li distende ed è quindi definito calmante, mentre il nero è riconosciuto come simbolo di tristezza perché al buio un individuo non vede e avverte insicurezza. Bisogna però sapere che seppur i colori provocano determinate reazioni psicologiche ed emotive, tali reazioni dipendono dal contesto complessivo in cui ogni colore è collocato: per esempio nessuno guardando il telegiornale si rilassa, nonostante il colore blu presente sullo sfondo. Il motivo è chiaro, i colori non seguono un simbolismo prestabilito valido sempre e comunque, al contrario la loro valenza simbolica e significativa varia in relazione ai contesti sociali, storici, culturali, alle abitudini individuali e collettive più o meno variabili nel corso del tempo e dello spazio. In contrapposizione al senso comune, diverse branche della scienza indagano i meccanismi e i processi della percezione del colore, sia a livello fisico nella conformazione del bulbo oculare, sia a livello cognitivo nelle aree cerebrali che interpretano i segnali percepiti. Così a monte dei fenomeni legati alla sensazione visiva, studiati da fisiologia e neurologia, si pongono i fenomeni prettamente fisici, legati alle leggi dell’ottica, ai modi in cui i colori si generano a partire dalla rifrazione della luce, nonché i fatti chimici che coinvolgono le sostanze colorate in quanto tali e le loro proprietà intrinseche, le tecniche di riproduzione artificiale a scopo artistico. Numerosi schemi visivi e analitici — tra cui i cerchi di Eugène Chevreul, il triangolo di Isaac Newton, le forme geometriche di Johannes Itten — hanno tentato di rappresentare oggettivamente i giochi di luce e la formazione ottica dei colori, ma i vari tentativi hanno sottolineato l’impossibilità di renderli oggettivi e validi in qualunque contesto di applicazione. Da qui è nata la necessità di uno studio del colore interdisciplinare, il quale ha appurato che qualsiasi simbolismo dei colori considerato universale sia in realtà un fatto convenzionale storicamente e culturalmente determinato, privo di basi neurologiche e fisiologiche. Accade che la forza culturale delle convenzioni fornisce all’arbitrarietà a priori del senso dei colori una motivazione a posteriori: sebbene non ci sia alcun motivo per attribuire un preciso significato ad un dato colore, quel significato si ritrova ad esser radicato nelle abitudini cognitive e percettive degli individui di un’intera collettività, così da esser considerato perfettamente razionale o addirittura naturale. L’importanza del colore è presente in ogni campo sociale: in precedenza permetteva di distinguere diverse classi sociali, professionali, ruoli pubblici e privati, orientamenti religiosi e filosofici; ancora oggi il colore possiede una funzione classificatrice nel mondo della politica, dei consumi, della moda e del design. Il senso del colore muta in epoche, popoli e paesi diversi. I colori sono parte integrante della cultura, la quale ne può determinare il significato e viceversa: ad esempio ci sono stati casi in cui è stata l’economia a dominare il colore per via degli alti costi di produzione, finendo per connotare la ricchezza di chi lo impiega.
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IL DIBATTITO TRA OGGETTIVISMO E SOGGETTIVISMO
Lo storico francese Michel Pastoureau (1947) ha individuato nella storia del colore occidentale le fasi di sviluppo del colore. Dalla più remota antichità al Medioevo feudale (secoli XI-XIII) domina la triade bianco-nero-rosso con valenza sociale nelle distinzioni gerarchiche. Con il feudalesimo si adotta un sistema di sei colori con l’aggiunta di giallo, verde e blu. Nel XV secolo con l’invenzione della stampa e dell’incisione, la nuova morale della Riforma protestante introduce un modello cromatico minimalista formato da bianco e nero. Successivamente grazie alla rivoluzione industriale si ha la possibilità di riprodurre qualsiasi tinta e sfumatura, ma il notevole aumento di utilizzo del colore, ha causato la perdita di gran parte del suo potenziale semantico. Inoltre Pastoureau sottolinea che la storia dei colori non si limita allo studio della storia dell’arte, ma costituisce una vera e propria storia sociale: i colori sono forme di classificazione della società e traggono questa loro potenzialità dalle loro caratteristiche percettive, dalle tecnologie impiegate nella loro riproduzione, dai costi di realizzazione, dalle credenze religiose ed ideologiche e così via. Mentre nel moderno Occidente i criteri di classificazione delle entità naturali e sociali sono intellettuali, basati su concetti e categorie astratte, per i primitivi essi derivano invece dalle qualità sensibili delle cose. Perciò i colori sono serviti — e ancora oggi si applicano in modo primitivo — per costruire tassonomie naturali e sociali, finendo per fuoriuscire dal loro ambito percettivo e assumendo una funzione conoscitiva. Attraverso il quadrato semiotico (FIGURA 40) è possibile associare ed opporre alcuni colori di base — bianco, rosso, blu, verde. Si tratta di uno schema che nasce dalle relazioni reciproche tra i colori, ricavate dall’indagine storica: il bianco è considerato la tinta unita per eccellenza, segno di purezza e continuità percettiva e cognitiva; il rosso al contrario tende a spiccare, producendo percettivamente ed intellettualmente una discontinuità; il blu che è stato definito il colore meno colore che ci sia, è segno di una non discontinuità; infine il verde per la sua tinta instabile è considerato un non colore, che assume il significato di una non continuità. Dunque da un lato bianco e rosso come verde e blu sono contrari, dall’altro bianco e verde come rosso e blu sono contraddittori. Tuttavia il quadrato semiotico costituisce uno schema limitato nel tempo e nello spazio, in quanto riassume i modi in cui la cultura occidentale ha utilizzato i colori elencati, senza alcuna valenza universale. Ciò che pone in rilievo è la costituzione del senso dei colori: essa nasce dalle relazioni reciproche fra i colori e mai in modo autonomo.
bianco continuità blu non discontinuità FIGURA 40 Il quadrato semiotico.
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rosso discontinuità verde non continuità
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La vista coglie tantissime cose — sembianze, dettagli, mezze tinte, sfumature — che al linguaggio risulta impossibile descrivere in modo completo ed adeguato. Il linguaggio comprende numerosi termini per designare i colori, anche molto precisi e raffinati, ma quando si cerca di descrivere tonalità o sfumature i nomi risultano insufficienti e si ricorre a paragoni di salvataggio oppure alla citazione di corpi dello stesso colore. Ma quale relazione esiste tra il sistema dei colori e la comunicazione linguistica? Di primo impatto sembrerebbe alquanto minima, da un lato ci sono i sensi che determinano la percezione e dall’altro i termini con cui le lingue chiamano i colori. Eppure la questione ha aperto un grande dibattito sul perché lingue diverse utilizzano termini diversi per indicare gli stessi colori. Ad esempio gli italiani distinguono il celeste, l’azzurro e il blu mentre i francesi li indicano tutti e tre con bleu: come si spiega che laddove gli italiani percepiscono tre colori diversi i francesi vedono un solo colore? Antropologi, sociologi e filosofi si sono a lungo domandati se persone appartenenti a popoli diversi riconoscono tinte e percezioni differenti. Si devono analizzare le relazioni tra lingua e percezione, lingua e conoscenza, lingua e pensiero, per comprendere quale delle due influenzi l’altro. Se tutti i colori, le lingue e le culture possono essere ricondotte ad un’unica matrice, significa che tutti gli uomini condividono la stessa origine di natura divina. Se invece vale il contrario e ogni cultura ha una propria base percettiva, cognitiva, linguistica ed ideologica allora non esistono criteri unitari. Nelle incongruenze dei termini linguistici bisogna tener conto che i nomi dei singoli colori sono cambiati molto nel corso delle epoche storiche e dei sistemi culturali, oltre che a cambiare a seconda delle lingue. Bisogna inoltre considerare che nel passato molte lingue come il latino e il tedesco non impiegavano termini per distinguere le tinte, ma davano assai più peso ai gradi di brillantezza, così gli stessi termini spesso finivano per designare tinte differenti. Secondo il positivista darwiniano William Ewart Gladstone (1809-1898) era sintomo di una mancata evoluzione dell’apparato fisiologico della vista da parte dei Greci, così da essere in grado di cogliere le diverse sfumature di luminosità senza riuscire a distinguere le varie tinte. Altri ricercatori come Hugo Magnus (1842-1907) hanno letteralmente invertito il ragionamento ritenendo che la mancata evoluzione fosse linguistica e non percettiva, sottolineando la carenza di termini e strutture linguistiche rispetto alla ricchezza dello spettro cromatico. Dunque è ben evidente che le categorie linguistiche non costituiscono lo specchio di quelle percettive e cromatiche. Alcuni esperimenti hanno evidenziato come in determinate zone un termine indichi ben più di un solo colore. Ad esempio gli Ashanti nell’Africa Occidentale distinguono nero, rosso e bianco, ma lo stesso termine che indica il nero comprende tutti i colori molto saturi, mentre il termine che indica il rosso copre l’intera gamma cromatica dal giallo all’arancione e al rosa. Invece presso i Bambara del Mali tutti gli oggetti verdi e blu rientrano nella categoria del nero, i gialli carichi e l’arancione stanno con il rosso, mentre il giallo chiaro è associato al bianco. Altre popolazioni della Nuova Caledonia attribuiscono al giallo, al verde oliva e al blu lavanda un medesimo termine, possedendo nella loro lingua quattro
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IL DIBATTITO TRA OGGETTIVISMO E SOGGETTIVISMO
termini totali per indicare il colore. Gli Inuit, uno dei due gruppi principali in cui sono divisi gli Eschimesi, distinguono una grande quantità di sfumature di bianco nel loro lessico; allo stesso modo i Maori nella Nuova Zelanda sono in grado di riconoscere un centinaio di rossi. Alla luce di questi risultati, è chiaro che queste discrepanze sono accentuate con i processi di traduzione, poichè la difficoltà diviene non tanto trovare il termine corrispondente, quanto considerare e comprendere il sistema complessivo del colore della lingua che si ha di fronte. Ad esempio in italiano si dice che gli occhi sono azzurri e che invece il colore del mare è blu, anche se il colore del mare appare identico per scala cromatica agli occhi in questione. Dunque che la relazione tra percezione e linguistica sia arbitraria o determinata da una precisa causalità, sembra confermata l’ipotesi relativista che nega alcuna relazione biunivoca tra i sistemi lessicali e le zone dello spettro cromatico. Ogni cultura con la propria lingua adotta una diversa divisione dello spettro cromatico, assegnando maggiore rilievo alle tonalità, alla luminosità o alla saturazione, in base alla percezione dei colori in precise situazioni dell’esperienza umana e sociale, che danno al colore un significato. In contrasto all’ipotesi relativista, una successiva ricerca empirica sul significato dei termini cromatici, ad opera dei due studiosi Berlin e Kay, ha rilevato che in tutte le lingue del mondo sono presenti undici termini fondamentali che formano un lessico di base definito. Esso segue una logica crescente di complessità, che parte dalle lingue più povere con due soli termini cromatici e raggiunge quelle più ricche con tutti gli undici termini. La FIGURA 41 mostra la gerarchia crescente di complessità basata su una serie di implicazioni indicate dal segno <. Ciò significa che tutte le lingue possiedono almeno due termini per indicare il bianco e il nero; se i termini di base sono tre il terzo è sempre il rosso; se sono quattro il quarto è sempre il verde o il giallo e così via, fino ad includerli tutti. Questa tesi riduzionista dimostra che il significato dei termini cromatici in tutte le lingue del mondo segue un sistema di regole semantiche uguali, a sua volta basato su una percezione universale.
FIGURA 41
bianco nero
<
rosso
<
verde giallo
<
blu
<
marrone
<
verde giallo arancione grigio
Così da una parte si colloca l’ipotesi naturalista che ha elaborato una semantica globale del colore, dall’altra l’ipotesi culturista che sostiene l’arbitrarietà nelle forti differenze tra lingue e culture. Per di più Berlin e Kay sono stati accusati di aver messo da parte ogni riferimento storico e culturale nell’individuazione degli undici colori base, trascurando l’importante constatazione che le società antiche erano particolarmente attente e ricettive ai diversi gradi di brillantezza e saturazione. Successivamente Umberto Eco (1932-2016) ha definito un punto d’incontro fra culturalismo e naturalismo nella sua raccolta di saggi Dire quasi la stessa cosa (2003) sulla teoria della traduzione, dove appunto affronta la questione della
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traduzione dei termini di colore, mettendo insieme le istanze antropologiche e letterarie con quelle della ricerca empirica dei fisiologi e degli psicologi. Egli parte dalla constatazione che ogni lingua e cultura definisce in modo assolutamente arbitrario la stessa materia del contenuto: una stessa percezione viene giudicata e descritta con termini specifici, il cui significato difficilmente può essere tradotto in altre lingue. Quindi nella percezione cromatica, non importa quanto siano diversi i lessici cromatici poiché alla base è posto un unico spettro dei colori. Ciò detto, Eco sottolinea la necessità di distinzione tra discriminazione sensoriale e percettiva dei colori e l’individuazione cognitiva linguistica, in quanto i colori non sono né proprietà fisiche e né elementi sensoriali isolabili in un sistema a sé stante, ma entità che sono parte integrante di un assetto esperienziale al tempo stesso naturale e culturale, percettivo e simbolico.
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3.2 L’INDAGINE SEMIOTICA
Quando si parla di simbolismo delle tinte si può finire nello scontro fra universalismo e relativismo, soggettivismo e oggettivismo, ma ricorrendo alla teoria e metodologia della semiotica visiva basata su sistemi e processi di significazione, si giunge ad un punto d’incontro grazie ai suoi modelli di analisi e alle sue categorie interpretative. La semiotica è la scienza dei segni umani e sociali, che studia il modo e i processi attraverso cui le varie società in epoche diverse, parlano del mondo servendosi di elementi naturali o costruiti. Non si è propriamente occupata dello studio del colore, tuttavia è possibile applicare i modelli interpretativi e le categorie di analisi elaborati e adoperati nello studio di altri linguaggi, per comprendere il linguaggio del colore nel suo senso mutevole, sistematico e dinamico, così necessario all’ordine sociale e arbitrario dal punto di vista razionale. Seguendo la prospettiva semiotica, il linguaggio cromatico è caratterizzato da un meccanismo formale di dipendenze formato da regole che si reggono l’una sull’altra ed un singolo colore può essere paragonato ad una singola parola. Un termine linguistico si definisce al tempo stesso elemento composto ed elemento componente: sia perché può essere scomposto in parti più piccole, sebbene singolarmente perdano il loro significato; sia perché nessun termine linguistico ricorre mai in modo isolato nei processi comunicativi. Ad esempio il termine casa in sé significa tutto e niente, perché per assumere un preciso significato deve essere inserito in un adeguato contesto. Ciò si verifica esattamente allo stesso modo per un colore isolato: è un elemento componente in quanto non vale mai di per sé e necessita di essere parte di uno specifico contesto; è un elemento composto poiché al suo interno possiede molteplici dimensioni — tonalità, luminosità, saturazione — che ne determinano il significato. Questo duplice carattere del colore è indicato dal semiologo francese Jean-Marie Floch (1947-2001) con il termine tecnico di figura cromatica. La prima distinzione da compiere è tra il concetto di colore e quello di figura cromatica: il primo ricopre un valore esclusivamente percettivo nel senso comune, il secondo è parte di un linguaggio e assume un valore significativo nella cultura che lo utilizza. La letteratura nel corso del tempo ha fatto ampio uso delle figure cromatiche, si pensi al celebre e complesso gioco di luci presente nella Divina Commedia (1472), a quanto queste figure influiscano nella messinscena dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso di Dante Alighieri (1265-1321). Oppure ai contrasti cromatici presenti in Pinocchio (1881) — la Fata Turchina, il naso rosso di Mastro Ciliegia, la barba nera di Mangiafuoco, le monete d’oro, il pescatore verde. Mentre nelle fiabe popolari si ritrovano i tre colori dominanti nelle società antiche — il bianco, il nero e il rosso — che assumendo valori mutevoli e conservando una relazione reciproca costante: in Cappuccetto Rosso il mantello è rosso, la focaccia è bianca e il lupo è nero; in Biancaneve la neve è bianca, la mela è rossa e la strega è nera; ne La volpe e il
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corvo quest’ultimo è nero, la volpe è rossa e il formaggio è bianco. Lo stesso Floch attraverso un’analisi accurata mostra come lo scrittore tedesco Ernst Jünger (1895-1998) nel suo romanzo Sulle scogliere di marmo (1945) abbia attribuito ai contrasti cromatici un valore di verità, nei giochi fra verità e menzogna, falsità e segreto presenti nella narrazione del libro. La vicenda narrata è quella di due eroi che alla Forza preferiscono lo Spirito, scegliendo il sapere coscienzioso e rifiutando la forza bruta: una scelta importante ed esistenziale che esclude l’azione fine a sé stessa — intesa come il Male — a vantaggio dell’educazione civile basata sulla cultura e sulla scienza — intesa come il Bene. Jünger attraverso una serie di interpretazioni e decisioni, analisi e scelte, nella sua opera letteraria alimenta la dimensione cognitiva attraverso quella cromatica, legando in un’unica esperienza la conoscenza scientifica del mondo naturale con la comprensione critica dell’universo sociale. Inizialmente dominano tinte non luminose e non sature, tendenzialmente scure che acquistano il valore di testimoni della menzogna del mondo; seguono tinte sature ma non luminose, che rappresentano la falsità; poi arrivano tinte luminose e non sature, che simboleggiano il segreto; in conclusione a sciogliere l’intrigo del romanzo compaiono tinte luminose e sature che fanno emergere la dimensione euforica della verità. Le figure del mondo richiamate dal titolo del romanzo, le scogliere di marmo, divengono il simbolo riassuntivo del variare delle tinte e della loro fenomenologia interna, caratterizzata da progressive saturazioni, lampi di luminosità e riflessioni di luce. Tutto ciò ha valore solo all’interno dell’opera di Jünger e non può essere valido al di fuori di essa, sottolinea Floch. Difatti i colori acquistano significato non solo nella loro relazione reciproca, ma anche nel modo in cui esse sono inserite nel testo, diventando essenziali nel valore significativo dell’opera. Nell’analisi del colore, la semiotica parte da due tipi di pertinenze: quelle relative ai sistemi e quelle relative ai testi. Un sistema si definisce tale quando un colore specifico assume un valore sempre e soltanto in relazione a quello degli altri elementi presenti all’interno dello stesso sistema. A loro volta i sistemi si distinguono in paradigmatici e sintagmatici: i primi riguardano i modi in cui i colori si oppongono tra loro, secondo principi di mutua esclusione, ne è esempio la radicale opposizione di blu e rosso; i secondi riguardano le forme di combinazione fra i colori stabilite da regole, ad esempio nel campo dell’abbigliamento le tendenze di moda dettano e vietano determinati accostamenti. Un testo non indica un semplice prodotto linguistico scritto, ma include un qualsiasi insieme di sostanze in grado di produrre una serie di significati. Difatti è solo grazie al testo che un colore, un insieme di colori o una serie di elementi assumono un senso: il testo tesse la trama che collega diversi elementi e produce una nuova realtà significativa. Ed è proprio mediante la pertinenza che la semiotica oltrepassa le opposizioni di principio fra soggettività e oggettività dimostrando che il colore è soggettivo quando viene considerato in modo isolato, estrapolato dal suo contesto assume ogni tipo di significato perchè ognuno ci vede ciò che vuole. Al contrario diventa oggettivo quando viene considerato in relazione ad un preciso sistema culturale e ad un preciso testo che quel sistema riprende.
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L’INDAGINE SEMIOTICA
Ogni sistema cromatico viene definito da regole che mettono in relazione il piano espressivo fatto di luci, colori e forme e quello simbolico fatto di idee e concetti. Si definisce semisimbolismo quel particolare sistema semiotico che funziona come fosse un’analogia, nel quale i colori si definiscono semisimbolici poiché il loro significato simbolico è attivo solo in opposizione al simbolismo degli altri colori. Per esempio nel semaforo il rosso indica “non si può transitare”, al contrario il verde indica “si può transitare”; oppure si consideri il bianco-e-nero che in fotografia indica serietà e tradizione, invece il colore indica allegria e modernità. Per ovvie ragioni il semisimbolismo non possiede alcuna universalità, in quanto i valori simbolici valgono solamente nel testo in cui sono stati creati. Inoltre si possono distinguere due diverse forme di semisimbolismo: quello sintagmatico fra elementi combinati tra loro e quello paradigmatico fra elementi mutualmente esclusivi. I colori hanno valore significativo in quanto sono elementi visivi, ma per comprenderne le principali forme e come esse contribuiscono alla sua significazione nei processi comunicativi reali, è necessario ricostruire il ruolo del colore nel linguaggio visivo. Quest’ultimo si compone di due livelli, il primo chiamato linguaggio figurativo e il secondo linguaggio plastico. Essi permettono che ogni esperienza visiva sia doppiamente significativa sia per ciò che rappresenta nel mondo — linguaggio figurativo — sia per la produzione di ulteriori significati — linguaggio plastico. Ad esempio una fotografia significa innanzitutto per quel che riproduce, ma spesso contiene altri significati che svela attraverso scorci, primi piani, sfondi, luci e bianco-e-nero. Come lo scatto Nudo (1952) di Bill Brandt (FIGURA 42), aldilà di ciò che rappresenta quello che colpisce è il modo di vedere la forma come una linea-contorno, un ritaglio piatto e l’estensione delle zone nere pari a quelle bianche.
FIGURA 42 Nudo, Bill Brandt, 1952.
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Nel linguaggio figurativo il colore assume il proprio significato dai codici culturali, mentre nel linguaggio plastico è necessario individuare le categorie cromatiche che lo rendono significante. Perciò la semiotica individua nel linguaggio plastico due dimensioni: la dimensione discreta, che considera le tinte distinguendole nettamente l’una dall’altra; la dimensione graduale in cui le diverse tinte si manifestano in progressiva trasformazione, con sfumature e nuances che rendono impossibile distinguere l’una dall’altra. Queste due distinte dimensioni forniscono due diversi modi per considerare la medesima concretezza percettiva. Le categorie cromatiche graduali sono sostanzialmente tre: il tono, la saturazione e la luminosità. Il tono o tonalità riguarda la gamma di colorazione o di sfumature all’interno di una certa dominante cromatica. La saturazione e la luminosità sono spesso confuse in quanto il colore può essere più o meno chiaro o più o meno scuro per ragioni legate sia alla saturazione che alla luminosità, ma in realtà si tratta di fenomeni ben diversi. La saturazione determina la pienezza, la purezza e l’intensità della tinta, può essere definita in termini di maggiore o minore presenza di bianco, motivo per cui il rosa è un rosso desaturato, l’azzurro un blu desaturato e il grigio un nero desaturato. Mentre la luminosità indica una maggiore o minore presenza di luce, determinando la brillantezza o l’opacità della tinta. In aggiunta i colori possono essere definiti radicali cromatici, poiché grazie al loro carattere radicale si differenziano reciprocamente. Difatti una tinta è tale perché si distingue dalle altre che, insieme ad essa, costituiscono un unico e comune ordine di senso. Lo storico d’arte Felix Thürlemann (1946), ha proposto di articolare la lista delle undici principali tinte individuate da Berlin e Kay seguendo una logica percettiva che le colloca in un sistema di radicali cromatici, che non condividono la stessa natura. Definendo bianco, nero e grigio acromatici; il marrone come semicromatico; tutti i restanti cromatici, esclusi verde, blu, rosso e giallo che definisce primari, il viola e l’arancio che definisce complessi e il rosa che definisce desaturato per la sua provenienza dal colore rosso. La dimensione plastica è uno dei sottolinguaggi in grado di costruire i più complessi linguaggi visivi, consentendo alle immagini non figurative di essere profondamente significative, pur non rappresentando alcuna realtà esterna proprio come i quadri astratti della pittura d’avanguardia novecentesca. Ne è esempio la celebre opera Le rouge et le noir (1938) dell’artista tedesco Paul Klee (FIGURA 43), che nella sua povertà figurativa sostiene un vero e proprio discorso meta-pittorico sul ruolo significativo dei colori nelle pratiche artistiche, ponendo il colore non come un semplice strumento nelle mani dell’artista. Klee rappresenta un cerchio rosso e uno nero, colorati omogeneamente su una superficie biancastra e non uniforme che fa da sfondo. La tinta pura delle figure si oppone al cromatismo dello sfondo realizzato da una tinta impura di densità irregolare, che mette ulteriormente in evidenza le due figure colorate e dà equilibrio alla composizione. Il titolo del quadro cita esplicitamente il noto romanzo di Stendhal Il rosso e il nero (1830), nel quale i due colori sono relazionati in modo semisimbolico rosso : nero = passione : dolore = rivoluzione : restaurazione. Klee riprende questa opposizione cromatica traducendola nel linguaggio visivo, riuscendo a descrivere il significato dei due colori senza ricorrere ad alcuna figura del mondo. Thürlemann ha 77
L’INDAGINE SEMIOTICA
FIGURA 43 Le rouge et le noir, Paul Klee, 1938.
ipotizzato che con quest’opera Klee abbia ripreso anche quanto scritto da Vasilij Kandinskij riguardo questi due colori contrapposti: da un lato il rosso è caldo, senza limiti, vivace acceso, inquieto e in grado di suscitare tensione ed energia; dall’altro il nero è spento, senza speranza, inerte, privo di possibilità e portatore di eterno silenzio. Inoltre egli sosteneva che la radice più profonda di ogni composizione è da ricercare nella giustapposizione di almeno due elementi che siano emozioni, suoni interiori, colori, linee o movimenti. Sono le scelte cromatiche a determinare gli effetti di oggettività o di fantasia di un’immagine, in base al modo in cui i colori sono utilizzati nella riproduzione più o meno fedele della realtà, o per meglio dire dell’esperienza percettiva della realtà. In aggiunta assai rilevanti risultano anche le sollecitazioni sensoriali non visive — tattili, olfattive, gustative, sonore — prodotte attraverso i colori, che vanno a determinare gli effetti di senso, seppure in modo meno evidente. Differenti scelte cromatiche contraddistinguono diversi generi cromatici, al pari dei generi letterari, cinematografiici, pittorici e così via. È necessario comprendere come il colore riprodotto nei testi — film. annunci, spot, packaging, ecc. — contribuisce alla costruzione di una nuova realtà o alla riproduzione di quella esistente. Difatti uno stesso colore può essere impiegato per finalità diverse: per riprodurre il colore delle cose, per rappresentare una certa idea, per veicolare una passione. Il genere cromatico assume un valore relazionale e mai assoluto: uno stesso colore può avere diversi valori in differenti sistemi. L’importanza di ogni genere cromatico è legata alle strategie comunicative, sia per pianificarne la produzione che per la successiva valutazione. Uno schema elaborato in sede pubblicitaria, finalizzato alla comunicazione di una marca, ha distinto quattro tipi di colore: referenziale, mitico, obliquo e sostanziale, che impiegano rispettivamente il colore in modo rappresentativo, costruttivo, non rappresentativo e non costruttivo, attivando nel destinatario una dimensione pragmatica, affettiva, cognitiva o estetica (FIGURA 44). Ad esempio impiegando il verde per dipingere una prateria, la tinta è utilizzata in modo referenziale; scegliendo il verde per simboleggiare la natura o per promuovere l’ecologia e l’ambientalismo, la tinta è utilizzata in modo mitico; servendosi del verde in termini concettuali e astratti, ad esempio per significare il permesso di transito nel 78
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dimensione pragmatica colore referenziale (= delle cose) funzione rappresentativa
dimensione estetica colore sostanziale (= dei sensi) funzione non costruttiva
dimensione affettiva colore mitico (= delle passioni) funzione costruttiva
FIGURA 44 Schema dei quattro tipi di colore.
dimensione cognitiva colore obliquo (= delle idee) funzione non rappresentativa
semaforo o gratuità nel numero verde, la tinta è utilizzata in modo obliquo; adoperando il verde per designare in generale la salute e la sanità, la tinta è utilizzata in modo sostanziale. Questi diversi usi del colore sono molto presenti nel design, ad esempio quando un progettista realizza delle sedie in materiale plastico colorato con la tinta marrone tipica del legno, impiega il colore in modo referenziale, richiamando il tradizionale arredamento in legno. Quando la Apple ha prodotto un computer portatile di colore grigio, differenziandosi dalle tradizionali macchine informatiche bianche o nere in materiale plastico, ha focalizzato l’attenzione sul titanio impiegato e sulle sensazioni tattili in grado di suscitare, usando il colore in modo sostanziale e producendo una sinestesia, accostando all’esperienza visiva del grigio l’esperienza tattile della freddezza del metallo. L’uso sostanziale del colore spesso genera forme di sinestesia, intrecciando due distinte sensazioni. La sisnestesia può essere considerata una traduzione fra linguaggi diversi: come una traduzione interlinguistica di un termine si prefigge di conservarne il significato modificandone il codice di base, una traduzione intersemiotica in modo analogo traduce una percezione da un linguaggio visivo ad uno olfattivo o musicale. Un esempio significativo è quello di Kandinskij, che considera le opere pittoriche interpretabili come vere e proprie composizioni musicali, definendole sinfonie a colori. Egli ricercando nell’arte una dimensione spirituale, ha tentato di tradurre l’esperienza irrealistica e sonora della musica in quella materialistica del colore e viceversa, per giungere ad un’opera d’arte totale abolendo le differenze fra i due linguaggi. Per comprendere il processo delle traduzioni intersemiotiche è necessario analizzare i fenomeni sensoriali, i quali pur producendo percezioni individuali seguono alcune sintassi standard: per esempio aldilà dei sapori piacevoli o spiacevoli, il gusto implica sempre un’introduzione di cibo all’interno del corpo. Nella dimensione visiva i colori non implicano alcun contatto fra il corpo e l’oggetto sentito, ma subentra l’azione della sinestesia: la visione dà luogo a processi percettivi d’altro ordine come quello relativo alla temperatura, così il rosso viene definito caldo non perché è associato al colore del fuoco, ma perché può essere usato come tinta aptica che genera la sensazione del tatto e del caldo. Nella comunicazione relativa ai profumi sebbene sia impossibile evocare un’essenza profumata in termini visivi o uditivi, le pubblicità dei profumi sono prontamente ricorse ad escamotages visivi per rispondere a questa difficoltà in termini narrativi raccontando storie di seduzioni e trasgressioni; figurativi usando figure ricorrenti come acqua e vento; spaziali mostrando inglobamenti e aloni; plastici usando giochi di luce e colori. 79
3.3 L’IDENTITÀ DEI COLORI
Il viola Questo colore prende nome dal fiore della viola — dal latino viŏla-ae — una pianta che comprende alcune centinaia di specie, quasi tutte piante erbacee annue, biennali o perenni, delle regioni temperate e fredde. Il viola è nato in risposta alla necessità di una variazione significativa che si discostasse dal nero, per indicare una condizione di semilutto o una fine incombente non ancora giunta. La produzione di questo colore, ricavato dal muco delle lumache di mare, nella città fenicia di Tiro offriva occasioni di grandi commerci via nave. Probabilmente identificava l’età avanzata femminile per via dei coloranti per capelli utilizzati da donne anziane, ma ben presto divenne il colore liturgico per eccellenza, impiegato nei periodi di penitenza come Avvento e Quaresima. La regina Elisabetta I d’Inghilterra nel XVI secolo aveva vietato ai suoi sudditi di indossare abiti viola, affinchè questo nobile colore fosse indossato solo dai più stretti membri della royal family. Negli anni è ’70 diventata la tinta del Women’s Liberation Movement, il movimento di emancipazione femminile nato per reclamare il diritto al voto. Negli stessi anni il viola viene avvicinato alla cultura psichedelica e rock, come testimoniano la nota canzone Purple Haze (1967) di Jimi Hendrix e il gruppo rock dei Deep Purple. Inizialmente tra i colori meno amati e prediletti, è risultata una tinta respingente che con non poche difficoltà è stata impiegata nel settore della moda. Il viola puro simboleggia le tenebre, la morte, l’inconscio, il mistero, la devozione irrazionale e presente in grandi macchie può suscitare terrore. Goethe a tal proposito diceva: “Il diffondersi su un paesaggio d’una luce violetta ispira il terrore della fine del mondo”.
Il blu Il termine deriva dal germanico blao e dall’antica lingua indoeuropea bhlewas, che oltre a significare blu indicava il color della luce. Sebbene oggi il colore blu sia sinonimo di perfetta eleganza, grazie al suo carattere sobrio, raffinato ed ufficiale, in passato non era considerato un vero e proprio colore, poiché era difficile padroneggiare la sua produzione. Anticamente acquistavano rilievo solo i colori che possedevano significati sociali, ovvero il bianco, il nero e il rosso. Per i romani il blu era il colore dei barbari che si tingevano il corpo di blu prima delle battaglie, motivo per cui donne e uomini con occhi azzurri non erano mai visti di buon occhio. Al contrario gli antichi Egizi consideravano questo colore come simbolo di fortuna e benessere. Nel Medioevo con l’evoluzione progressiva della società, si è avvertita l’esigenza di un maggiore numero di colori, così da un sistema cromatico di tre colori — rosso, bianco, nero — si è passati ad un sistema di sei colori — rosso, bianco, nero, blu,
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giallo, verde. Il blu è diventato il colore del cielo e al contempo il nuovo colore del manto della Madonna. Inoltre ha assunto una posizione opposta al rosso: mentre quest’ultimo è considerato il colore del diavolo, il blu riempie gli smalti, i manoscritti miniati e le vetrate delle cattedrali gotiche per contrastarlo. È diventato il colore degli abiti dei re di Francia — Filippo Augusto e San Luigi — in segno di regalità e religiosità. A distanza di poco tempo anche i nobili hanno adottato il colore blu per i propri indumenti, così è stata incrementata la ricerca di nuove tecniche di produzione del colore. Con la riforma protestante accostato al grigio e al nero, ha cominciato ad assumere valore di sobrietà, rigore e moderazione, diventando colore ufficiale dell’abito maschile, anche nelle semplici divise da lavoro. Nella politica accanto al nero clericale e al bianco monarchico, ben presto il blu ha identificato il partito repubblicano, contrapposto al rosso socialista. In generale il blu è il colore ufficiale impiegato dalle istituzioni — ONU, Consiglio d’Europa, Unesco, ecc. — e da quelle aziende che vogliono veicolare serietà, tradizione, pace e fedeltà. Adotta così un carattere saggio, conservatore e discreto che lo rende il colore preferito in tutto l’occidente. In Europa è associato al rilassamento e alla sensazione di serenità, ma viene accostato anche al concetto di depressione con l’espressione anglofona having the blues, che significa appunto essere tristi. Il blu è un colore freddo e introverso, che appare scuro e ombreggiato anche al suo massimo grado di luminosità. Richiama la forza della natura invernale, che evolve nel buio e nella quiete; quando si scurisce richiama la superstizione, il trascendente, il timore, l’abbandono, il lutto, la capacità di concentrazione, la serena umiltà e la profonda fede. Nella realtà materiale assume un carattere passivo, nell’incorporea spiritualità assume un carattere attivo: simbolo di fede per i cristiani, simbolo d’immortalità per i cinesi. È il colore associato ai nervi, difatti le persone che prediligono accordi cromatici blu possiedono generalmente una carnagione pallida e una bassa pressione sanguigna, ma un ottimo sistema nervoso. Il blu è presente nell’atmosfera in tutta la sua gamma dal celeste più chiaro al nero blu scurissimo del cielo notturno.
L’azzurro Di derivazione persiana lāzward o lāǵward, il termine indica il colore del cielo sereno, ma era anche impiegato nell’espressione sangue azzurro o sangue blu per definire la nobile stirpe di qualcuno. Questo colore era il prediletto dalle civiltà antiche nell’architettura ornamentale arcaica, poiché trasferiva sulla terra il colore del cielo, considerato la residenza degli Déi. Nello spettro luminoso è posto tra il verde e l’indaco e ha una gamma di tonalità che va dal celeste al turchese. Questo colore aiuta a prendere sonno e combatte la pressione arteriosa, grazie al suo forte potere rilassante. Evoca pace, lealtà e fratellanza, motivo per cui la bandiera delle Nazioni Unite è azzurra, come pure le maglie degli atleti della Nazionale Italiana, spesso chiamati Azzurri. È caratterizzato da una carica energica e pacifica al tempo stesso, tuttavia può suscitare un senso di freddo e inquietudine quando tende al rosso.
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L’IDENTITÀ DEI COLORI
Il verde Termine di origine latina viridis derivato da virere “essere verde”, in natura è il colore caratteristico dell’erba e delle foglie nel periodo vegetativo. In passato era considerato un colore privo di carattere e instabile poiché la sua tinta, sia di origine vegetale che chimica, pur essendo facile da ottenere tendeva a trasformarsi nel tempo perdendo la sua vivacità cromatica. In particolare i coloranti chimici con il passare del tempo divenivano corrosivi e velenosi, questo ha portato il verde a diventare il colore identificativo del veleno e dell’instabilità, dell’incertezza e di tutto ciò che cambia. Messo in disparte nell’arte, con il Romanticismo ha iniziato ad esser identificato con la natura, che in precedenza era rappresentata mediante i quattro colori dell’aria (bianco), dell’acqua (blu), della terra (marrone) e del fuoco (rosso). Il verde è simbolo del gioco, del caso e del destino, dell’indeterminatezza, dell’ipocrisia, della buona e della cattiva sorte, della chance. Dal legame con il gioco d’azzardo deriva il suo duplice valore di speranza e cattiva sorte. Il verde smeraldo è noto per portare sfortuna e in genere il verde è bandito in teatro. Oggi è ampiamente utilizzato in campo medico e farmaceutico, in relazione alla libertà, alla giovinezza, alla permissività e alla gratuità. Numerosi sono i partiti politici e le aziende che inseriscono il colore verde nel proprio simbolo per sottolineare gli ideali naturali ed ecologisti promossi. Dunque da colore accessorio in passato, oggigiorno è diventato sinonimo di naturalità, ambiente, ecologia, pulizia, igiene e sanità. Ricavato dall’unione di giallo e azzurro, il verde suscita una profonda sensazione di equilibrio e di appagamento: alla sua vista l’occhio e l’animo riposano. Fecondità e soddisfazione, calma e speranza sono i valori espressivi del verde, che segna la coincidenza e la fusione di conoscenza e fede. È il colore della flora e della misteriosa clorofilla generata per fotosintesi: quando la luce colpisce la terra, l’acqua e l’aria per formare gli elementi, la sua forza diventando materia genera il verde. Quando il verde luminoso è offuscato dal grigio acquista un carattere di pigrizia e d’inerzia; quando sale verso il giallo, acquistando la forza del giallo-verde, si tramuta in un’immagine della natura primaverile.
Il giallo Dal latino galbinus, questo termine può essere ricondotto alla radice indoeuropea ghel che vuol dire “brillante” e “splendente”, ma anche al verbo inglese yell “urlare” proprio perché il colore giallo attiva e richiama l’attenzione. Nell’antichità il giallo è stato un colore particolarmente apprezzato: i romani lo impiegavano nelle cerimonie e nei matrimoni, in Cina era il colore dell’imperatore ed era molto valorizzato in Asia, in America del Sud e in Spagna. Ma dal Medioevo ha perduto la sua importanza, cedendo al dorato tutte le sue connotazioni positive — ricchezza, brillantezza, divinità, luce, vita, energia, gioia, potenza — e conservando per sé quelle negative — malattia, morte. Per di più la sua tendenza a schiarire e divenire pallido fino a sparire diventando un non colore, lo ha portato a diventare simbolo di tradimento e di menzogna, conservando a lungo questa sua valenza negativa. Successivamen82
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te gli impressionisti e i minimalisti ne hanno ripristinato il valore, grazie alle sue proprietà espressive e alla sua appartenenza ai colori primari. Ancora oggi il giallo è poco stimato e utilizzato, viene spesso applicato in sostituzione del rosso a contatto con l’arancione. Il giallo è il colore più vicino alla luce, nel suo stato più puro si contraddistingue per la sua natura chiara e possiede una qualità stimolante di serenità, vitalità, speranza e allegria. Al tempo stesso indica pericolo e richiama l’attenzione, perciò si tingono di giallo messaggi, segni e tutto ciò che deve apparire ben visibile. Dall’esperienza si evince che questo colore nella sua pura e chiara tonalità suscita un’impressione di calore e intimità, al contrario nelle tonalità più scure appare sporco e sgradevole, suscitando repulsione o disagio. In contrasto con toni scuri come nero, viola o verde scuro possiede uno splendore rasserenante, ma accostato a toni chiari come rosa o bianco perde ogni risalto luminoso. Al giallo puro e luminoso sono associati l’intelligenza e il sapere, mentre il giallo offuscato suscita invidia, tradimento, falsità, dubbio, diffidenza e demenza. Il giallo oro rappresenta la più alta sublimazione della materia ad opera della luce, in grado di irradiare una luminosità vibrante. È associato al denaro, alla prosperità, alla ricchezza e al successo. Utilizzato nei mosaici delle cupole bizantine e negli sfondi degli antichi maestri, l’oro richiama l’aldilà e il regno del sole e della luce. L’aureola dorata dei Santi simboleggia la luce spirituale.
L’arancione Questo colore prende nome dal frutto dell’arancio, la cui etimologia deriva dal sanscrito naranga-s che ne indicava l’albero, il termine passò poi al persiano narang, poi all’arabo naranj, fino a giungere in veneziano come naranza, divenuto in seguito narancia. Inizialmente questo colore era ricavato da un minerale vulcanico trovato nelle fumarole sulfuree, risultate però altamente tossiche per la presenza di arsenico. Successivamente era ricavato da un’essenza esotica proveniente dalle Indie chiamata brasile, unita al legno brasilium. Gli antichi romani utilizzavano questo colore per gli abiti nunziali, a simboleggiare l’unione dei sentimenti nel matrimonio. In occidente il termine arancione è giunto con le prime importazioni degli alberi di arancio nel XIV secolo, prima questo colore era definito genericamente rosso. Oggigiorno in Europa simboleggia la creatività, l’autunno, la mietitura e l’energia, quest’ultima in particolare è richiamata da diversi farmaci e integratori di colore arancione. In aggiunta rappresenta armonia, calore, avventura, vitalità ed economicità. Nei paesi Bassi è il colore simbolo della famiglia reale, in America richiama la merce low cost, in India è considerato il colore sacro per eccellenza, in Giappone è il colore dell’amore, in Ucraina è il simbolo della resistenza, della forza e dell’ambizione. L’arancio sta al centro della progressione giallo-rosso e rappresenta la più potente e rigorosa forma di sintesi della luce. Fisicamente possiede uno splendore solare, che nel calore del rosso-arancio raggiunge il vertice dell’energia attiva. Mescolato con il bianco perde il suo carattere festoso, offuscato con il nero assume un aspetto bruno arido e insignificante che schiarito genera sereni toni beige.
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L’IDENTITÀ DEI COLORI
Il rosso Dall’antica radice indoeuropea reudh, derivano i termini latini ruber e rufus tradotti con l’italiano rosso. Il colore rosso è segno di sregolatezza, dismisura, potenza e passione ed è considerato il colore più colore di tutti gli altri. In molte lingue il termine che designa “rosso” significa anche “colorato” o addirittura “bello”. Nel periodo paleolitico questo colore si otteneva dalla terra ocra, più avanti nell’era neolitica si ricavava dalle radici di una pianta chiamata robbia e successivamente da metalli come ad esempio l’ossido di ferro. Il popolo romano produceva il colore rosso porpora da una conchiglia presente nel Mar Mediterraneo, mentre nel Medioevo il si otteneva dall’essiccamento del guscio di un insetto, tuttavia questo pigmento era piuttosto costoso e perciò riservato ai signori benestanti, ricchi e potenti. Con la riforma protestante è stato bandito dall’abbigliamento poiché definito colore tentatore, in relazione alla storia narrata nell’Apocalisse della prostituta Babilonia, che con un abito rosso cavalca una bestia emersa dalle acque del mare. Così fino a metà Ottocento era riservato agli uomini di potere, mentre le donne lo impiegavano nell’abito nunziale. Il suo ampio impiego sin dall’antichità è dovuto sia alla sua semplice riproduzione, sia alle sue ambivalenze di fondo. Il rosso era associato al contempo al fuoco e al sangue, assumendo in entrambi i casi valenze positive e negative: nel primo caso quando il rosso colorava il sangue sacro e purificatore di Cristo oppure il fuoco della vita e dello Spirito Santo, nel secondo quando colorava il sangue di crimini e peccati oppure richiamava la morte e l’inferno. Il rosso è un colore che mette in evidenza qualcosa, sia percettivamente che socialmente, anche per questo motivo in passato rappresentava il potere e chi lo esercitava. È l’intramontabile colore dell’amore in tutte le sue forme platoniche o sessuali, delle feste, del lusso e di tutto ciò che è contrapposto a doveri e consuetudini quotidiane. Conserva dall’antica simbologia la rappresentazione dei segnali di divieto, della croce rossa e delle bandiere rosse marittime che segnalano i pericoli. Fondamentalmente oggigiorno il colore rosso è positivo quando indica eccezionalità e lusso, invece è negativo quando indica pericolo e divieto. Colore caldo e di natura particolare, dona un’impressione di gravità, dignità, clemenza e grazia. In Cina il rosso è impiegato dalle spose durante il giorno delle nozze e come colore bene augurante per le nascite, analogamente in India in segno di purezza. In Giappone rappresenta la vita, in Russia la bellezza, invece in Egitto e in Iran è un colore portafortuna. Nella realtà materiale assume un carattere attivo, nell’incorporea spiritualità assume un carattere passivo: il rosso puro simboleggia l’amore spirituale, il rosso-arancio al contrario arde di passione sensuale. Quest’ultimo collegato al pianeta Marte, è relazionato al mondo focoso della guerra e dei demoni.
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Il rosa Termine di origine latina rosa-ae indica il colore intermedio tra il bianco e il rosso, caratteristico dei fiori della rosa canina e di alcune rose coltivate, dalle quali prende il nome. Il rosa è un colore particolarmente amato oggi, anticamente era indicato con il termine di incarnato. Solo nel XVIII secolo con il Romanticismo ha assunto i significati di tenerezza, femminilità, dolcezza e felicità, che sovradimensionati adottano una valenza negativa di eccesso. Infatti nel periodo Rococò come tutte le altre tinte pastello, il rosa era un colore molto indossato indifferentemente da uomini e donne. Durante l’Ottocento questo colore era associato ai bambini, in quanto considerato fratello minore del rosso, considerato da secoli colore maschile per eccellenza; mentre alle bambine era riservato l’azzurro, considerato un colore più tranquillo e adatto alle femminucce. Dagli anni ’30 grazie alle aziende in grado di produrre tinte chimiche, si hanno a disposizione diverse tonalità di rosa, dalle più delicate alle più intense, tra le quali risalta il rosa shocking per la sua tonalità vibrante. Dagli anni ’40 negli Stati Uniti una scelta studiata di marketing attribuisce il rosa alle femmine e l’azzurro ai maschi, ma è nel decennio successivo che raggiunge il suo massimo splendore con gli abiti rosa indossati da Marylin Monroe. Con l’arrivo del femminismo viene ripudiato perchè definito simbolo di femminilità retrograda, ma oggigiorno ha riacquistato la sua connotazione femminile come simbolo della lotta al cancro al seno.
Il marrone Il nome di questo colore deriva dal francese couleur marron che significa color castagna: indica una varietà pregiata di castagna di forma ovale, più grossa e saporita. Dai sondaggi più recenti, è emerso che il marrone sia il colore più detestato. Difatti nonostante abbia un’origine naturale provenendo dal suolo e dai vegetali, questo colore evoca la sporcizia, gli escrementi, la povertà, la brutalità e la violenza. Ad eccezione degli ordini monastici che indossano tonache marroni, per i quali utilità e povertà divengono virtù.
Il bianco Il termine deriva dal latino albus e dal germanico blanch o blank, che significa bianco, splendente, brillante, scintillante ed era impiegato per indicare le armi, da cui deriva l’espressione italiana arma bianca per indicare gli strumenti di combattimento dotati di lame affilate, per colpire di punta o di taglio. Questo colore è presente nei disegni del periodo paleolitico sulle pareti delle caverne, ricavato da materie gessose per rappresentare scene quotidiane di vita e di caccia. Gli antichi persiani e cristiani lo associavano alla religione e tuttora nelle religioni monoteiste questo colore rappresenta Dio e la luce, al contrario in alcune culture dell’Asia e dell’Africa identifica il lutto. Nel corso dell’Ottocento ha assunto significato di 85
L’IDENTITÀ DEI COLORI
felicità, benessere e nobiltà: i nobili ricercavano la bianchezza della pelle, cospargendosi il viso di ciprie candide per distinguersi dai contadini abbronzati. Gli antichi greci lo indossavano per dormire serenamente, i faraoni portavano una corona bianca per simboleggiare il proprio dominio sull’Alto Egitto, mentre in epoca romana i candidati al Senato vestivano bianche toghe, in segno di purezza e onestà. Il bianco è divenuto simbolo di resa e di pace, con la bandiera bianca della guerra dei Cent’anni nei secoli XIV e XV; simbolo di verginità per le spose che indossano un abito bianco; colore dell’igiene in generale, della biancheria e di tutti gli indumenti a contatto con la pelle, sia per ragioni igieniche che per mantenere la tinta omogenea dopo numerosi lavaggi, sebbene oggi siano colorate con forti tinte. Il bianco per molto tempo è stato definito dalla fisica un non-colore, bensì la somma di tutti i colori nella luce. Materialmente adotta la definizione di incolore con lo sviluppo delle tecniche tipografiche, le quali impiegano la carta bianca come supporto di stampa, in sostituzione al marrone del legno, all’ecru della stoffa naturale e del grigio della pietra. Tuttavia nel tempo, questo colore conserva la sua valenza di innocenza, di purezza e di spiritualità. Poiché simbolo del Paradiso e dell’Eternità, gli abiti ecclesiastici e quelli indossati nei battesimi e dei matrimoni sono principalmente bianchi. È il colore che rappresenta la saggezza e la vecchiaia, ma anche l’eleganza con le camicie bianche indossate degli aristocratici. Simboleggia il silenzio e il freddo, la presenza della sua unica tinta nelle cose, crea unione e continuità visiva, cognitiva e percettiva.
Il nero Di origine latina niger-grum, che significa nero e scuro, in senso figurato questo termine può indicare anche il concetto di tetro, sfortunato, cattivo e simili. La duplice valenza del colore nero, di eleganza o di lutto, sembra avere origine nell’antichità: sdoppiato in niger (nero blillante) e in ater (nero opaco), era percepito come due colori propriamente diversi. Da un lato il nero indica il lutto e la morte, in quanto richiama la sepoltura dei morti, la profondità della terra e l’oscurità, l’inferno e il mistero; dall’altro il nero rappresenta l’umiltà e la temperanza, l’autorità e l’eleganza, la rigidezza morale in ogni campo. Nero era Anubi il dio della morte, il diavolo principe delle tenebre, come le toghe indossate dai magistrati per presenziare ai funerali nell’antica Roma. Il simbolismo diabolico di questo colore considerava il corvo nero un uccello maledetto da Noè, nemico di Dio e appartenente al diavolo, oltre ai pipistrelli e ai gatti neri; lo identificava come colore della magia oscura, dei rituali sabbatici e delle divinità vendicatrici femminili. Dalla fine del XIII secolo in Italia, Inghilterra e Francia ha riacquistato la sua popolarità, diventando una tinta elegante e virtuosa: diventa il colore distintivo degli abiti dei patrizi e del popolo, obbligati da leggi suntuarie ad indossare abiti neri e scuri per favorire una più netta distinzione tra classi sociali. In passato la riproduzione del nero era molto difficile, motivo per cui anche nell’arte era poco utilizzato, ma con l’introduzione delle tinte sintetiche ottenute da estratti di carbone e catrame viene ampia-
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mente utilizzato e successivamente con la stampa diviene il padrone incontrastato della comunicazione scritta. La fisica, in contrasto alla chimica, ha escluso il nero dalla paletta cromatica non considerandolo un vero e proprio colore. In aggiunta accostato al bianco forma una tinta fissa assai particolare che è appunto il bianco-e-nero (BN), che si contrappone al colorato. A supporre che questa tinta sia nata con la scacchiera si compirebbe un grande errore, poiché fino all’Ottocento essa era caratterizzata dai colori più disparati. Dunque il bianco-e-nero nasce dapprima con la stampa e si diffonde successivamente con la fotografia, il cinema e la televisione. La collocazione di questo colore nello schema del quadrato semiotico, risulta abbastanza complessa per la sua ambivalenza: da un lato il nero è considerato un non colore, come segno di continuità al pari del bianco; dall’altro è considerato il colore più forte che ci sia, che si ottiene dalla somma di tutti i colori e che simboleggia pura discontinuità. Dunque questo suo duplice carattere gli attribuisce il ruolo del termine complesso continuo + discontinuo.
Il grigio Il termine deriva dall’antico germanico gris, che indicava un colore nero unito al bianco, adoperato particolarmente nel trattamento dei capelli; corrisponde al termine tedesco moderno greis, che significa vecchio. Il colore grigio ha assunto nel tempo valenze diverse: evoca la tristezza, la melanconia, la noia e la vecchiaia, ma al tempo stesso la saggezza, la pienezza d’essere, la conoscenza e l’intelligenza definita anche materia grigia. Spesso è accostato al nero in piena opposizione, come qualcosa che non è cupo, che non è ostinatamente e definitivamente scuro, assumendo il significato di serenità e tranquillità. Johann Wolfgang Goethe sostiene che nel grigio è presente l’insieme di tutti i colori, motivo per cui lo considera il colore medio per eccellenza privo di eccessi, discreto e chic.
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PARTE SECONDA Applicazioni del colore
1. IL COLORE NELLA PITTURA
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I grandi autori, che siano artisti, designer o tutti e due, usano il colore per raccontare, non per decorare. Riccardo Falcinelli
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Spesso la pittura viene definita arte muta, nella convinzione che la sua fruizione si riduca al solo senso della vista. Di conseguenza le qualità di forma, colore e materia sono considerate forme fondamentali della conoscenza umana assoluta. Ma per vedere e rappresentare i fenomeni della natura, è necessario riconoscere i fenomeni di queste forme fondamentali nei loro rapporti ed effetti reciproci. In quest’ottica Philipp Otto Runge riteneva necessaria la comparazione delle diverse relazioni tra materie coloranti e teorie della luce e della formazione del colore. D’altronde il pittore ha la possibilità di conoscere la forma del corpo umano e lo spazio che lo circonda grazie alla prospettiva, allo stesso modo avverte la necessità di conoscere più a fondo la luce: di conoscerne la direzione, la riflessione e la rifrazione dei raggi luminosi. Secondo la scienza del disegno gli oggetti divengono visibili all’occhio proprio grazie alla conoscenza della forma, della proporzione, dei rapporti prospettici e dell’illuminazione. Tuttavia per riprodurre la natura non è sufficiente l’attenta osservazione di un dato fenomeno, è necessario analizzare anche la natura dei materiali e dei mezzi che s’intende utilizzare per la riproduzione. Oggigiorno i colori per uso sia artistico che industriale sono prodotti sintetici, ottenuti in laboratorio grazie a reazioni chimiche, ma in passato erano ricavati dai tre regni naturali: da quello minerale si estraevano terre, carbone e pietre da macinare; da quello animale in molluschi ed insetti da spremere; da quello vegetale nelle piante i cui succhi possedevano qualità coloranti. I colori così ottenuti si distinguono in pigmenti e coloranti: i primi sono sostanze che si sciolgono in un solvente come l’acqua e sono impiegati per colorare i cibi, per tingere i tessuti e per il disegno su carta; i secondi invece non si sciolgono ma si disperdono nel liquido e possono essere impiegati nella pittura mischiati con altre sostanze come gesso, uova e olio oppure come base nella produzione cosmetica. Tra i primi pigmenti artificiali si ricorda la fritta egizia chiamata anche blu egiziano, risalente al III millennio a.C. che è stato il blu più utilizzato per diversi secoli, insieme alla biacca utilizzata dall’età classica fino all’Ottocento, momento in cui se ne scopre la tossicità e viene tolta dal commercio. Quest’ultima era la tinta bianca ampiamente impiegata negli affreschi della Roma imperiale, nonostante la sua tendenza a scurire nel tempo: ne è esempio la Crocifissione di Cimabue ad Assisi (FIGURA 45), che a causa dell’umidità sembra esser diventata un negativo fotografico, poiché l’intonaco ha mutato il carbonato in solfuro di piombo nero. A partire dal Quattrocento gli impasti pittorici per ottenere i colori si ricavano a base di olio — in precedenza erano a base di acqua — sia perché l’olio inglobando il pigmento crea una pellicola dura e stabile, sia perché facilita le sfumature e riduce le reazioni impreviste. Esaminando da vicino la finitura di un dipinto classico rinascimentale, è possibile notare la matericità del colore che sembra penetrare la tela, come fosse una superficie organica. Mentre nella pittura ad olio con la tecnica delle velature, il colore viene steso in strati trasparenti e successivi, applicando mani fresche e diluite sulle campiture asciutte, ottenendo una pellicola pittorica che appare invetriata.
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IL COLORE NELLA PITTURA
FIGURA 45 Cimabue, Crocifissione, 1277-1283.
Il colore ha ricoperto un ruolo molto importante nel Quattrocento fiorentino, quando gli usurai per redimersi devolvono parte delle loro ricchezze in beneficenza e investono nella cultura. Così divengono abili committenti molto attenti nella scelta di materiali pregiati e artisti di talento, per la realizzazione delle opere e per ostentarne qualità e costi di produzione. In quel periodo il lapislazzulo era il pigmento più costoso, il quale conferiva alle opere un significato sia simbolico che culturale. Nel Polittico di Borgo Sansepolcro (1473) realizzato da Sassetta, San Francesco dona il suo mantello blu al soldato povero, rappresentando metaforicamente la sua rinuncia ai beni costosi. Questa tinta blu prestigiosa, ha riscontrato un ampio utilizzo nel Rinascimento, diventando il colore più nobile e apprezzato. Dalla metà del Settecento il colore ha riscosso interesse nei salotti illuministici insieme a politica, letteratura e filosofia, divenendo così argomento d’importanza mondana. Tutti ne parlano e ne maturano una propria opinione, ma solo grazie alla concezione scientifica di Newton — che ha definito il colore dentro la luce e non sulle cose — colori diversi raggiungono lo stesso valore economico. Inoltre la teoria scientifica della rifrazione dei raggi luminosi, ha fornito ai pittori una nuova considerazione del fenomeno naturale, ma al tempo stesso ha fatto sorgere il timore dell’insuperabilità dei mezzi espressivi. Da sempre la luminosità e il colore sono i pilastri nelle composizioni figurative delle arti visive, la predominanza dell’una o dell’altra definisce il maggiore o minore realismo della rappresentazione. Nelle opere di Caravaggio la luce è una qualità dello spazio attraverso composizioni chiaroscurali; mentre nei mosaici bizantini e nelle vetrate gotiche la luce è una qualità delle tinte contrastanti. In termini di percezione spaziale nella pittura di paesaggio, le tinte sono in grado di dare l’impressione di avanzare o di indietreggiare, in base alla differenza di luminosità fra esse e il fondo; di maggiore o minore profondità, in base alla differenza di intensità. Un esempio è la campagna rappresentata alle spalle della Gioconda
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di Leonardo Da Vinci (FIGURA 46), dove lo sfondo si opacizza progressivamente. In aggiunta l’esperienza insegna che le cose lontane oltre ad apparire meno intense e velate, sono anche più azzurre, così un’osservazione fisica è diventata una caratteristica espressiva dello stile pittorico del Seicento, con la cosiddetta prospettiva aerea. Con la rottura dei valori dell’Ottocento provocata dalla rivoluzione borghese — mossa da ragioni storiche, ideologiche, spirituali e culturali — l’arte e la letteratura moderna costituiscono lo specchio della società, rappresentando l’espressione attiva del popolo proiettata all’azione per la libertà. In questo nuovo scenario per gli artisti il colore diventa uno strumento espressivo con cui esprimere sia i sentimenti del tempo che la pripria visione del mondo. In Inghilterra William Turner (1775-1851) e John Constable (1776-1837), iniziatori della pittura romantica, hanno impiegato il colore come mezzo psico-espressivo. Da quel momento nella costruzione cromatica di un’opera, gli artisti compiono scelte compositive in funzione di ciò che vogliono raccontare. Ad esempio nella rappresentazione di Cappuccetto Rosso (FIGURA 47) Arthur Rackam (1867-1939) applica il contrasto di quantità per far spiccare la protagonista nel bosco imponente e monotono che domina l’intera scena, contrapponendo la vivacità della bambina alla natura tetra e minacciosa.
FIGURA 46 Leonardo Da Vinci, Gioconda, 1503.
FIGURA 47 Arthur Rackham, Cappuccetto Rosso, 1909.
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1.1 L’IMPRESSIONISMO E IL POST-IMPRESSIONISMO
L’impressionismo è una corrente pittorica nata in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, con una cerchia di artisti che rifiutano i canoni pittorici classici del tempo. La rivoluzione cromatica condotta dagli impressionisti vuole creare un nuovo stile pittorico basato sul modo in cui gli occhi percepiscono i colori e la luce. A favorire la nascita di questo nuovo stile pittorico è stata la teoria dei colori di Eugène Chevreul contenuta nell’opera De la loi du contraste simultané des couleurs et de l’assortiment des objects coloriés (1839), che ne ha costituito la base scientifica. Tendenzialmente gli impressionisti abbandonano i loro studi per dipingere en plein air — all’aria aperta — osservando i fenomeni naturali luminosi e gli effetti atmosferici che influenzano il colore delle tinte locali degli oggetti, al variare della luce solare. Di conseguenza gli artisti non solo mutano i soggetti delle proprie opere, ma focalizzano l’attenzione sul nuovo linguaggio usato per rappresentarli, caratterizzato da rapide pennellate di colore che rappresentano l’effetto cromatico e luminoso d’insieme, senza fissare i dettagli. Con l’Impressionismo il colore per la prima volta si presenta come un corpo denso, dalla tinta precisa che non ha profondità ma solo rilievo in fiocchi, in tocchi o in strisce. L’epoca degli impressionisti è inoltre contraddistinta dalla possibilità di acquistare nuovi pigmenti pronti all’uso, destinati a tutta la nascente società di massa oltre che agli artisti. Secondo alcuni a favorire la diffusione dell’Impressionismo è stata la commercializzazione del colore pronto all’uso ad opera del pittore americano John Rand, che nel 1841 ha ideato la vendita di colori ad olio già impastati e confezionati in una lamina di piombo chiusa da un tappo. La sua grande invenzione ha permesso ad artisti e non di dipingere facilmente all’aperto. Questo ha provocato da un lato la diffusione del dilettantismo, dall’altro la riduzione della qualità dei materiali cromatici perdendo progressivamente la raffinatezza tradizionale, sia per garantire dei costi d’acquisto bassi, sia per evitare che le tinte preconfezionate si seccassero restando a lungo sugli scaffali dei negozi. Nel tempo questi colori tagliati con la cera e con molto olio si sono rivelati molto instabili, per via della cera che li rende meno aderenti e dell’olio che tende a farli ingiallire. Claude Monet (1840-1926) è considerato il precursore di questa corrente pittorica che prende nome dalla sua opera Impressione, levar del sole (Impression, soleil levant) realizzata nel 1872 in cui è rappresentata l’alba nel porto di Le Havre (FIGURA 48). Questa opera è priva di volumi e di dettagli per enfatizzare la luminosità e l’immediatezza percettiva della scena, trasmettendo l’atmosfera, la foschia mattutina e l’evanescenza del paesaggio ritratto in modo smaterializzato. Le tonalità azzurre sono in contrapposizione con altre tendenti al rosso e all’arancione, creando una contrasto che pone in risalto maggiormente il paesaggio. L’unico elemento definito è il sole posto in alto, che sembra galleggiare in uno spazio dove si confondono cielo e mare e che si riflette sull’acqua. Monet era molto interessato
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FIGURA 48 Claude Monet, Impression soleil levant, 1872.
allo studio degli effetti di rifrazione e riflessione della luce sull’acqua e spesso lavorava contemporaneamente a più tele raffiguranti lo stesso soggetto, sostituendole al mutare della luce per ottenere una rappresentazione fedele di un particolare momento della giornata e dell’anno. Mentre Monet approfondisce lo studio della luce e della natura, Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) si sofferma sulla rappresentazione delle scene di vita quotidiana della borghesia parigina. Questa differenza può essere riscontrata nella loro intera produzione artistica, ma in particolare emerge dal confronto delle rispettive opere che ritraggono lo stabilimento balneare La Grenouillère sulla Senna, realizzate in contemporanea dai due artisti, adottando la stessa angolazione visiva (FIGURE 49.50). Nell’opera di Monet la luce è la protagonista con i suoi effetti sull’acqua e le figure umane presenti sono abbozzate sullo sfondo, invece nell’opera di Renoir le figure umane sono rappresentate con maggiore rilievo, più vicine e dettagliate. Una seconda notevole differenza tra i due artisti risiede nella scelta cromatica: Monet applica dei colori tenui, al contrario Renoir utilizza dei colori e dei contrasti molto più sgargianti e saturi. Tra gli artisti post-impressionisti Paul Cézanne (1839-1906) e Georges Seurat (1859-1891) hanno usato il colore strutturalmente, mentre Vincent Van Gogh (1853-1890) lo ha impiegato simbolicamente, anticipando per certi versi l’avanguardia espressionista. Paul Cézanne realizza nelle sue opere una composizione cromatica razionale, creata secondo una rigorosa logica di forme e colori. Egli contrappone modulazioni di zone chiuse di colori: variazioni di toni caldi e freddi, chiari e scuri, luminosi e opachi. Nel tentativo di ricostruire la natura ex novo ricorre principalmente al contrasto di toni freddi e caldi, per il loro effetto estetico musicale ed etereo (FIGURA 51).
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L’IMPRESSIONISMO E IL POST-IMPRESSIONISMO
FIGURA 49 Claude Monet, La Grenouillère, 1869.
FIGURA 50 Pierre-Auguste Renoir, La Grenouillère, 1869.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 51 Paul Cézanne, Le grandi bagnanti, 1906.
La tecnica puntinista di Georges Seurat nasce dalla teoria del colore di Chevreul e dal cromatismo di Eugène Delacroix. Essa è basata sulla capacità dell’occhio umano di percepire da diversi stimoli luminosi colorati un colore unico risultante, grazie alla mescolanza additiva visiva. Seurat sostiene che le mescolanza dei pigmenti distrugge la forza cromatica, perciò applica il colore puro in piccoli punti ricorrendo ad accostamenti cromatici complementari. Alle mescolanze materiali dei pigmenti sostituisce le mescolanze ottiche: per ottenere il viola anziché mescolare sulla tavolozza un pigmento blu ed uno rosso, accosta una miriade di punti blu e rossi che producono un viola assai più luminoso (FIGURA 52). A differenza del Puntinismo, nel Divisionismo i colori complementari sono accostati sulla tela in tratteggi, ampiamente impiegati nei disegni e nelle incisioni. Essi diventano una pennellata direzionale che segue e definisce le forme, anche avvolgendosi su sé stessa (FIGURA 53). Quando Van Gogh si trasferisce a Parigi nel 1886, influenzato dalla pittura impressionista, abbandona i colori scuri per sperimentare l’intenso accostamento dei colori complementari, sostituendo i temi di carattere sociale con nature morte e autoritratti. Soggetti assai ricorrenti sono i girasoli, che Van Gogh amava particolarmente per il loro colore abbagliante e che ritrae anche recisi ed essiccati, carichi di valori simbolici e psicologici (FIGURE 54.55.56). Il colore nelle sue opere è applicato con tratti veloci e istintivi, antinaturalistici e vorticosi, che non riproducono un’impressione visiva ma esprimono le sue inquietudini e suoi stati d’animo più profondi. Nell’opera Campo di Grano con Corvi esprime la tristezza e la solitudine che angosciavano il suo spirito, attraverso una prospettiva dilatata e delle pennellate caotiche, che amplificano l’aggressività dei contrasti cromatici (FIGURA 57).
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L’IMPRESSIONISMO E IL POST-IMPRESSIONISMO
FIGURA 52 Georges Seurat, Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte, 1883-1885.
FIGURA 53 Paul Signac, Le Port Soir Couchant rouge Saint-Tropez, 1906.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 54 Vincent Van Gogh, Girasoli, 1888.
FIGURE 55.56 Vincent Van Gogh, Due girasoli recisi, agosto-settembre 1887.
FIGURA 57 Vincent Van Gogh, Campo di grano con corvi, 1890.
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1.2 LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
L’arte d’avanguardia nasce da uno spirito rivoluzionario che ricerca nuovi mezzi espressivi, rifiutando le convenzioni artistiche tradizionali. La prima corrente ad emergere è quella espressionista, che si manifesta in diverse forme pur conservando gli stessi contenuti di anti-naturalismo e anti-impressionismo. Tutti gli artisti espressionisti sono accomunati dall’insofferenza alle leggi e al contempo dall’obbedienza alle pressioni emotive dell’essere. L’Espressionismo nasce in contrapposizione all’oggettività dell’Impressionismo ed è caratterizzato dalla rappresentazione soggettiva e non naturalistica della realtà: l’artista osserva il mondo circostante e lo rielabora attraverso la propria interiorità, trasferendolo sulla tela attraverso un cromatismo non realistico e una semplificazione delle forme. In Francia nel 1905 si afferma la poetica dei Fauves, tra i quali ci sono Henri Matisse (18691954) e André Derain (1880-1954). Matisse nonostante l’utilizzo di colori molto accesi e violenti, realizza opere dal carattere calmo e naturale di stampo impressionista, applicando il senso della misura e dell’ordine per ottenere un’armonia cromatica e musicale soggettiva (FIGURA 58). Al contrario Derain rifiuta ogni ordine compositivo e ogni funzione decorativa dell’arte, per esprimere liberamente e violentemente le emozioni sulla tela. In aggiunta definisce i colori “cartucce di dinamite”, per sottolineare l’esplosività e la brutalità delle sensazioni rappresentate attraverso i forti contrasti cromatici (FIGURA 59). In Germania a Dresda nel 1905 in contemporanea ai Fauves si forma il gruppo chiamato Die Brücke (Il Ponte), al quale prendono parte diversi artisti rivoluzionari legati dal desiderio di annientare le vecchie regole per seguire la libera ispirazione. Il loro stile pittorico risulta quasi mai gradevole, con accostamenti cromatici stridenti e forme ibride. Tra i fondatori del gruppo spicca Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938) che con il suo linguaggio secco e vibrante, composto da forme aguzze e colori acidi, rappresenta la vita artificiale nella città, con uomini rigidi e innaturali (FIGURE 60.61). Un altro artista rilevante del gruppo è Emil Nolde (1867-1956) contraddistinto dal suo interesse per il primitivo. Egli con tono drammatico rappresenta il caos della creazione dell’universo, l’unione di cielo e terra con esplosioni e bagliori colorati e una natura oscura dilatata. Nell’applicare il colore si lascia guidare dall’ispirazione senza alcuna riflessione o premeditazione, poiché secondo lui il colore vive di vita propria ed ogni sua macchia sulla tela deve espandersi liberamente (FIGURA 62). Nel 1911 a Monaco Vasilij Kandinskij (1866-1944) e Franz Marc (1880-1916) fondano il gruppo espressionista Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), con l’intento di ridare alla pittura un contenuto filosofico e spirituale. Il nome del gruppo nasce dall’amore di Kandinskij per la figura fiabesca dei cavalieri, dall’interesse di Marc per la bellezza dei cavalli e dall’amore di entrambi per il colore azzurro, simbolo di infinito, purezza e spirito — elementi ricorrenti
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 58 Henri Matisse, La danza, 1909-1910.
FIGURA 59 André Derain, L’Estaque, 1905.
FIGURE 60.61 Ernst Ludwig Kirchner, a sinistra, Potsdam Square Berlin, a destra, 5 donne per strada, 1913-1914.
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LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
FIGURA 62 Emil Nolde, Sole tropicale, 1914.
nella loro arte. Essi sono definiti espressionisti lirici, in quanto rifiutano la violenza esteriore della poetica del Die Brücke e promuovono uno stile pittorico raffinato in grado di cogliere l’essenza spirituale della realtà, liberando la forza del colore da ogni figurazione naturalistica. Le opere di Kandinskij inizialmente sono paesaggi che progressivamente diventano astratti, il cui significato è dato dal colore e dalle forme rappresentate (FIGURA 63). Secondo Kandinskij il colore è lo strumento che esercita un influsso diretto sull’anima e l’artista deve adeguare i colori alle necessità interiori. Per farlo analizza la complessa natura cromatica: divide i colori in due categorie fondamentali — caldo e freddo — ed elabora una simbologia psicologica, ad esempio identifica con il verde assoluto la borghesia — definita immobile e soddisfatta. Inoltre studia il dinamismo dei colori, la loro connessione alla forma che li delimita sulla superficie della tela e infine la profonda connessione con la musica che scandisce l’armonia nelle sue rappresentazioni, definite sinfonie cromatiche. La musica infatti è in grado di comunicare emozioni e sensazioni senza ricorrere a imitazioni naturalistiche, divenendo così parte del linguaggio visivo astratto (FIGURA 64). La riflessione estetica di Kandinskij riveste un carattere più sistematico rispetto alle opere di Marc, che tenta di “animalizzare l’arte”, analizzando e dipingendo prevalentemente animali, dando grande importanza al colore e impiegando prevalentemente il blu e il giallo (FIGURA 65). Anche Paul Klee (1879-1940) è definito un espressionista lirico, poiché applica uno stile definito e sobrio, al tempo stesso fantastico e naturale, fortemente caratterizzato dalla forza cromatica. Egli è interessato alle forze creative della natura e non ai fenomeni che genera, così diventa un medium che da voce a tali forze sconosciute. A differenza di Kandinskij, rifiuta l’astrazione assoluta, ricorrendo ad allegorie, analogie e simboli. Inoltre introduce elementi strutturali e geometrie compositive nelle sue opere, ponendo un limite alle leggi compositive per non annullare la ricchezza creativa (FIGURE 66.67). 102
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 63 Wasilij Kandinskij, Composizione VI, 1913.
FIGURA 64 Wasilij Kandinskij, Several Circles, 1926.
FIGURA 65 Franz Marc, La torre dei cavalli blu, 1913.
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LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
FIGURA 66 Paul Klee, Senecio, 1922.
FIGURA 67 Paul Klee, Il castello e il sole, 1928.
All’astrattismo lirico di Kandinskij prodotto dall’espressione dello spirito, è contrapposto l’astrattismo intellettuale di Piet Mondrian (1872-1944) basato su regole geometriche. Nel 1917 con Mondrian nasce il Neoplasticismo, presentato nella rivista De Stijl, con il suo rigore geometrico mette da parte le emozioni e i sentimenti per rappresentare la città futura e la conseguente spersonalizzazione dell’artista, intesa come liberazione dagli stimoli individuali. Lo pittura di Mondrian riduce ogni tipo di rappresentazione a linee ortogonali accostate ai colori primari, ottenendo una rigorosa schematizzazione della realtà (FIGURA 68). In termini di astrattismo, l’arte figurativa ha raggiunto l’astrazione assoluta con Kazmir Severinovič Malevič (1879-1935) fondatore del Suprematismo (1913), che dichiara di liberare l’arte dalla zavorra dell’oggettività, da ogni fine pratico ed estetico. Il nome Superematismo
FIGURA 68 Piet Mondrian, Composizione rosso, giallo, blu e nero, 1921.
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FIGURA 69 Kazimir Severinovič Malevič, Quadrato nero, 1915.
FIGURA 70 Kazimir Severinovič Malevič, Quadrato bianco su bianco, 1918.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
infatti ribadisce la supremazia assoluta della pura sensibilità plastica nelle arti figurative e la piena libertà da ogni tendenza sociale o materialistica. Malevič lo suddivide in tre fasi: il periodo nero, il periodo colorato e il periodo bianco in cui dipinge forme bianche su fondi bianchi (FIGURE 69.70). Nelle sue opere applica figure geometriche essenziali e colori vivaci. In Francia nel 1907 con Pablo Picasso (1881-1973), Georges Braque (1882-1963) e Juan Gris (1887-1927) si afferma il Cubismo, formato da 3 fasi progressive: quella del cubismo formativo (1907-1909) con forme geometriche semplificate; quella del cubismo analitico (19091912) in cui il soggetto viene analizzato, scomposto e ricomposto; infine quella del cubismo sintetico (1912-1914) con l’introduzione del collage per superare la bidimensionalità della tela. Il linguaggio cubista è incentrato sulla scomposizione della forma ad opera dell’artista, che prima seleziona le caratteristiche essenziali del soggetto da molteplici punti di vista e dopo le ricostruisce come una composizione astratta. Per dare profondità ai molteplici frammenti accostati, i cubisti utilizzano diverse gradazioni tonali di colore (FIGURA 71). Ad esempio nell’opera Violin and Checkerboard (1913) Juan Gris assegna colori diversi a forme particolari, disposte intorno al tessuto bianco al centro del dipinto, per guidare l’occhio dello spettatore in un movimento in senso orario intorno all’immagine (FIGURA 72).
FIGURA 71 Pablo Picasso, Donna con mandolino, 1909.
FIGURA 72 Juan Gris, Violin and Checkerboard, 1913.
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LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
Nel 1909 il poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) pubblica il primo manifesto che segna la nascita del Futurismo, che in opposizione all’arte ufficiale e al verismo umanitaristico, aspira alla modernità. A differenza delle altre avanguardie che hanno assunto una posizione rivoluzionaria, l’ideologia futurista si basa sull’anarchismo, sul socialismo e su un isterico nazionalismo. Tra i maggiori esponenti ci sono Umberto Boccioni (1882-1916) e Giacomo Balla (1871-1958). La poetica futurista di stampo politico, è rappresentata da Boccioni nella tela della Città che sale (FIGURA 73), il cui soggetto è l’arte sociale con operai, carrettieri e cavalli, muratori e carriole. Dai futuristi la guerra è considerata un’esperienza euforica, ma non da Boccioni che nel tempo ne percepisce il dramma, diventando inevitabilmente parte della sua poetica, alla cui base sono il concetto di dinamismo e di movimento, della realtà in continuo divenire. Nelle sue opere Boccioni rifiuta la rappresentazione semplicistica di dinamismo come ripetizione di movimenti, ricorrendo alle linee-forza per riprodurre i moti della materia e alla forma-colore per riprodurre l’influenza reciproca tra volumi colorati. Il linguaggio adottato dai futuristi è di stampo divisionista, un divisionismo dinamico in cui il moto è dato dalle rifrazioni luminose che coinvolgono i corpi, moltiplicandone le vibrazioni e dilatandoli nello spazio (FIGURA 74). FIGURA 73 Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-1911.
Nel 1924 a Parigi si afferma ufficialmente il Surrealismo, guidato dallo scrittore e critico francese André Breton (1896-1966), che nel manifesto ne illustra gli obbiettivi. Nato dalla frattura tra arte e società, tra mondo interiore e mondo esteriore, tra fantasia e realtà, l’arte surrealista cerca un punto d’incontro tra le due parti, anche per raggiungere la libertà materiale e spirituale dell’uomo in un’ottica totalmente moderna. La soluzione promossa dal Surrealismo è l’incontro tra sogno e veglia, che genera una realtà surreale dettata dal pensiero e senza alcun controllo esercitato dalla ragione. Così la pittura surrealista rappresenta 106
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 74 Giacomo Balla, Lampione, 1909.
immagini irreali con oggetti deformati e collocati in contesti difficili da comprendere, con particolari contrasti cromatici. René Magritte (1898-1967) nell’opera Empire of Light (19531954) rappresenta simultaneamente giorno e notte, contrapponendo ai colori scuri del buio i colori chiari della luce solare e annullando il fattore temporale (FIGURA 75). Al contrario Joan Mirò (1893-1983) utilizza nelle sue opere astratte surreali innumerevoli simboli e colori di forte impatto come rosso, blu, giallo, bianco e nero (FIGURE 76.77). A circa venti anni dalle premesse della poetica surrealista, in America nasce l’Action Painting, comunemente noto anche come Espressionismo astratto o pittura d’azione, con cui il colore smette di essere applicato con cura sulle tele. Jackson Pollock (1912-1956) lancia
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LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
FIGURA 75 René Magritte, Empire of light, 1954.
FIGURA 76 Joan Mirò, Figure e Cane davanti al Sole, 1949.
FIGURA 77 Joan Mirò, Figure di Notte dalla serie Costellazioni, 1940.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
un nuovo stile pittorico, basato sulla tecnica pittorica chiamata dripping che consiste nel lasciar cadere liberamente il colore direttamente sulla tela, dando libero sfogo all’istinto creativo (FIGURA 78.79). Viene chiamato pittura d’azione poiché dal colore è possibile individuare i precisi movimenti compiuti dall’artista, che spesso dipinge sulla tela stesa per terra affinché sia più vicino e diventi parte della pittura stessa. Così le tele “parlano” soltanto attraverso il colore, prendendo le distanze da tutto ciò che è razionale e lo stesso Pollock assegna alle sue tele dei semplici numeri identificativi. Sempre in America dopo la diffusione dell’Action Painting, nasce una nuova corrente pittorica astratta chiamata Color Field Painting, il cui massimo esponente è Mark Rothko (19031970). Definita anche pittura a campi di colore, rifiuta ogni forma e segno ed è caratterizzata da ampie tele in cui il colore steso in modo omogeneo diventa l’unico elemento compositivo. I dipinti possono essere realizzati con un solo colore o con più colori simili per intensità e tono, senza essere mai in forte contrasto. Rothko vuole sviluppare un nuovo concetto di spazio pittorico e visivo, traducendolo in uno spazio-colore nelle sue grandi tele verticali composte da due a quattro rettangoli colorati, dai contorni fluidi e trasparenti, concatenati e sovrapposti. Rothko si concentra sul valore puramente spirituale del colore, concepito come fonte percettiva ed emotiva (FIGURA 79).
FIGURA 78 Jackson Pollock, Number 8, particolare, 1949.
FIGURA 79 Jackson Pollock, Number 26, 1949.
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LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO
FIGURA 80 Mark Rothko, Violet, Black, Orange, Yellow on White and Red, 1949.
FIGURA 81 Mark Rothko, Blue Divided by Blue, 1966.
Tra gli anni ’50 e 60’ del Novecento si diffonde la Pop Art — popular art — la corrente artistica che mette in scena la società dei consumi, servendosi degli stessi elementi del linguaggio pubblicitario, della merce di consumo e dell’estetica tipografica popolare. Con la diffusione delle produzioni in serie di oggetti e non solo, la Pop Art cerca un metodo efficace per conservare il carattere esclusivo proprio dell’opera d’arte. Andy Warhol (1928-1987), tra i maggiori esponenti della corrente, seleziona le Brillo Box per dimostrare in termini cromatici l’unicità della sua opera d’arte rispetto all’oggetto industriale prodotto meccanicamente. Egli realizza delle scatole in apparenza uguali a quelle presenti nei supermercati delle spugnette insaponate Brillo. Le Brillo autentiche sono realizzate in cartone bianco, su cui è stampato il marchio attraverso una serigrafia a due colori; invece le scatole di Warhol sono costruite in compensato, leggermente più grandi e stampate manualmente in serigrafia. Dal confronto delle due scatole emerge che entrambe presentano sbavature e irregolarità, però nel caso della stampa industriale sono considerate parte integrante della tecnica e della realtà di quel linguaggio tecnologico, mentre le inesattezze di Warhol sono considerate intenzionali e pittoriche (FIGURA 82). Nella Pop Art sono ampiamente utilizzati i colori acrilici — risultando assai brillanti, resistenti su molteplici materiali e di rapida asciugatura — per ottenere rappresentazioni piatte dai contorni definiti, in stile fumettistico e pubblicitario (FIGURA 83). Warhol realizza le sue celebri serigrafie di Marylin Monroe rappresentando ripetutamente il volto della donna utilizzando colori diversi e contrastanti (FIGURA 84). 110
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 82 Andy Warhol, Brillo Box, 1969.
FIGURA 84 Andy Warhol, Marilyn Diptych, 1962.
FIGURA 83 Roy Lichtenstein, In the car, 1963.
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2. IL COLORE NEL CINEMA E NELLA FOTOGRAFIA
“
Il mio colore non è un’aggiunta cromatica al bianco e nero, ma diventa un modo diverso di vedere. Franco Fontana
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Oggigiorno la fotografia a colori si ottiene grazie ai sensori elettronici sensibili alla luce che registrano le informazioni del colore durante l’esposizione, analizzando lo spettro dei colori attraverso tre canali di informazione — uno per il rosso, l’altro per il verde e il terzo per il blu. Però quando Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1787-1851) nel 1837 ha inventato la fotografia con la tecnica della dagherrotipia — consentendo di produrre immagini grazie all’azione della luce sullo strato d’argento, applicato su una lastra di rame e reso sensibile mediante vapori di iodio — le foto ricavate in bianco e nero erano colorate a mano, con diversi procedimenti e materiali. Solo nel 1861 il fisico James Clerk Maxwell (1831-1879) è riuscito a produrre la prima foto a colori: una coccarda scozzese con tinte contrapposte (FIGURA 84). Per ottenerla Maxwell ha fotografato la coccarda tre volte con una normale lastra in bianco e nero, ponendo ogni volta dinanzi all’obbiettivo un filtro trasparente, ciascuno del colore complementare rispetto alla tinta che doveva ottenere, impiegando un filtro verde, uno rosso e uno blu. Dopodiché ha ricomposto le immagini ottenute proiettandole sovrapposte in un unico processo di stampa tipografica, ottenendo l’immagine finale. Successivamente grazie all’unione della litografia ai processi fotografici, si è riusciti a riportare sulla lastra di stampa qualsiasi tipo di immagine. Indubbiamente i primi a trarne vantaggi sono stati gli editori appartenenti alla moda, potendo finalmente mostrare le tinte dei vestiti sulle riviste e nelle pubblicità. Nel corso del tempo l’evoluzione tecnologica ha portato la diffusione di molteplici mezzi di produzione e riproduzione, indispensabili per la nascita della società delle immagini. L’anno di svolta per le tecnologie del colore è stato il 1935 per diversi aspetti: l’introduzione dell’inchiostro ciano nei processi standard di stampa in quadricromia; la comparsa della Kodachrome come prima diapositiva destinata al consumo di massa; il debutto al cinema di Becky Sharp (FIGURA 85) il primo film a colori realizzato grazie al Technicolor, una cinepresa dotata di tre comuni pellicole in bianco e nero che riprendono la scena in contemporanea, ciascuna filtrandola con uno dei tre colori primari. Il filtraggio è fatto con il rosso, il verde e il viola per ottenere in positivo il ciano, il magenta
FIGURA 84 James Clerk Maxwell, prima foto a colori, 1861.
FIGURA 85 Fotogramma tratto dal film Becky Sharp, 1935.
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IL COLORE NEL CINEMA E NELLA FOTOGRAFIA
e il giallo. Le tre pellicole sono ricomposte su un’unica pellicola positiva, aggiungendo una battuta di nero per contrastarle meglio nella fase finale d’impressione. Si tratta di un processo complesso e costoso, gestito interamente da Technicolor, che per ben vent’anni ha avuto l’esclusiva di occuparsi del cinema a colori, poiché i sistemi adoperati dai concorrenti impiegavano pellicole invertibili e uniche, sviluppabili senza la possibilità fare copie. Oggi più che mai il colore è profondamente legato alla tecnologia che consente di riprodurlo, diffonderlo e farlo conoscere, fino a condizionare il modo di pensarlo. Si pensi al National Geographics, il mass medium che più di ogni altro ha costruito l’immaginario naturalistico moderno, impiegando la diapositiva Ektachrome, ha diffuso l’idea che i mari esotici e lontani siano di colore azzurro e brillante. In realtà tale visione azzurra è dovuta ad un semplice fatto tecnico: la diapositiva Ektachrome, che permette di scattare in tempi veloci e perciò ampiamente utilizzata nei reportage, nei toni freddi tende al colore azzurro; mentre la Kodachrome, diffusa nell’utilizzo di massa, nei toni freddi tende al verde. Dunque lo stesso mare visto con pellicole diverse, appare di colori distinti, questo a sottolineare che la tecnologia non è mai neutra, ma suggerisce sempre un punto di vista sulle cose. Fotografi e registi consapevoli della valenza significativa del colore, hanno imparato ad adoperarlo, intervenendo sull’illuminazione sia in fase di scatto o ripresa sul set, che successivamente in post-produzione. Per esempio l’aggiunta di luce rossa ad un ritratto indica che quella persona possiede un carattere passionale o selvaggio, invece l’aggiunta di luce blu indica un carattere riflessivo o sofferente. Dunque il colore costituisce un vero e proprio strumento, al pari di un obbiettivo o di un riflettore, consentendo di rappresentare soggetti ed eventi con colori ben studiati, per influenzare l’interpretazione di chi guarda l’immagine finale. Nel cinema la dominanza colorica delle scene ricopre un’importanza fondamentale, poiché determina il tono del racconto. È evidente nel cinema americano, dove il cromatismo delle sequenze è alla base della struttura emotiva e la prima stesura della sceneggiatura è costituita dal color script. Esso include gli elementi colorici e luminicistici che definiscono lo stato psicologico ed emotivo del racconto, ancor prima di stabilire le dinamiche e i dialoghi tra i personaggi. Nella definizione dei toni cromatici è maggiormente impiegato il contrasto di complementari, applicato nel cosiddetto effetto di cangiantismo tipico del Rinascimento, con l’utilizzo di luci calde e ombre fredde o viceversa, come fosse un tipo di chiaro scuro. Ad esempio Stanley Kubrick nel suo ultimo film diretto Eyes Wide Shut (1999) (FIGURA 86), attribuisce al colore la virtù dell’illuminazione, contrapponendo all’arancione degli interni dell’appartamento e della prudenza, il blu dei pericoli esterni del buio e della notte; riuscendo a raccontare con un solo fotogramma il tema conflittuale della storia coniugale. Altri film come Alien (1979), Blade Runner (1982) o Minority Report (2002) hanno favorito la diffusione di tonalità fredde — con azzurri, blu, grigi e verdi scuri — nel cinema e nelle serie TV, ma anche nei fumetti e nei videogiochi (FIGURA 87). Si tratta di una scelta stilistica che racconta un freddo allegorico — tecnologico, industriale, metropolitano o notturno. Dunque nel linguaggio visivo contemporaneo la contrapposizione di toni caldi e freddi è una
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 86 Stanley Kubrick, fotogramma tratto da Eyes Wide Shut con Tom Cruise e Nicole Kidman, 1999.
FIGURA 87 Steven Spielberg, fotogramma tratto da Minority Report con Tom Cruise, 2002.
formula molto diffusa, in quanto grazie alla fotografia a partire dagli anni ‘60 è diventata l’equivalenza tra temperatura emotiva e quella cromatica. Nella fotografia il colore dipende principalmente dall’intensità e dal colore della luce ambientale, presente al momento dello scatto. Infatti una luce possiede sempre un suo specifico colore, definito dalla sua temperatura misurata in gradi Kelvin (K). Nella scala cromatica i colori caldi sono collocati nella fascia di temperatura bassa, mentre quelli freddi si trovano nella fascia alta: la luce di una candela misura circa 1800 K, la luce diurna può misurare tra i 5500 e 6500 K, invece un cielo azzurro e senza nuvole misura 8000 K (FIGURA 88). FIGURA 88 La temperatura del colore.
In fase di scatto per ottenere dei colori fedeli alla realtà si può intervenire sulla temperatura del colore sia impostando manualmente un corretto bilanciamento del bianco (WB), sia scegliendo uno dei preset di cui la macchina fotografica dispone per determinate condizioni di illuminazione — cielo nuvoloso, luce diurna, flash, luci fluorescenti, luci al tungsteno. Mentre per ottenere degli scatti creativi con luci e colori particolari, si può ricorrere ai filtri gel colorati in acetato colorato, da applicare direttamente sul flash; alla tecnica chiamata lighting layers (illuminazione a strati) illuminando il set con una somma di luci colorate, secondo le regole cromatiche della sintesi additiva e di quella sottrattiva; oppure si può intervenire arbitrariamente sul bilanciamento del bianco per ottenere particolari atmosfere. Inoltre durante la fase di post-produzione è possibile manipolare i valori di luminosità e saturazione ricorrendo ad appositi software, come ad esempio Lightroom che permette di valorizzare al massimo i colori di ogni scatto attraverso tre strumenti: la curva di viraggio che permette di regolare ombre, colori scuri, colori chiari e luci; la rimozione foschia che consente di eliminare o aggiungere foschia all’immagine; la calibrazione che dà la possibilità di accentuare il colore, modificandone l’intensità e la tonalità.
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2.1 TRE COLORI — Krzysztof Kieślowski
Nel cinema il colore spesso è utilizzato non solo per la sua funzione estetica e decorativa, ma anche per il suo valore significativo ed espressivo, proprio come nella trilogia Tre colori (1993-1994) ultimo lavoro del regista polacco Krzysztof Kieślowski (1941-1996). La trilogia è formata da tre episodi intitolati Film Blu, Film Bianco e Film Rosso (FIGURA 89) che richiamano rispettivamente i tre colori della bandiera francese e i relativi significati di libertà, uguaglianza e fraternità, che costituiscono i temi politici e sociali, intimi e privati, presenti nelle storie dei tre film. Diversi critici hanno interpretato questa trilogia in termini asimbolici, attribuendo al blu il ruolo della calma, della libertà e dell’infinito; associando al bianco l’idealizzazione e la purezza vuota; definendo il rosso simbolo di passione ed energia. FIGURA 89 Krzysztof Kieślowski, Tre Colori, 1993-1994.
In Film Blu (1993) Kieślowski racconta la storia di Julie, unica sopravvissuta in un brutto incidente d’auto in cui sia il marito che la figlia di sette anni hanno perso la vita. La protagonista per superare il dolore tenta di annullarsi provando a cancellare il suo tragico passato, ma scopre di non poter fare tabula rasa della memoria, così è costretta a confrontarsi con sé stessa e con gli altri che malgrado il suo rifiuto, la sostengono nell’elaborazione del lutto: Lucille la sua vicina spogliarellista, Olivier il collaboratore del marito con cui in seguito ha una storia e Sandrine l’amante del defunto marito. In questo scenario Kieślowski colora di blu gli oggetti, le persone e gli ambienti, per evidenziare in modo figurativo i legami affettivi (FIGURA 90). L’uso plastico del blu dà un forte impatto emotivo alla storia che elabora una riflessione sull’utopia della libertà, trattando l’idea di libertà per negazione: l’uomo non è mai completamente libero da ogni tipo di legame con tutto ciò che lo circonda. Il film mette in scena valori negativi e attraverso i contrasti cromatici: alla non libertà colorata di blu contrappone la non costrizione colorata di rosso. Le figure rosse sono la sua vicina che fa la
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prostituta per libera scelta, l’amante del suo defunto marito che scopre di essere incinta e si dice serena nonostante non volesse avere figli, infine la madre incosciente che è chiusa in una casa di cura e dice di stare bene. A completare lo schema cromatico ci sono anche il colore verde che rappresenta la libertà e appare come luce diffusa con la morte della madre di Julie e il colore giallo che rappresenta la costrizione e appare quando Julie è costretta ad apprendere la tragica notizia dell’incidente in ospedale. La storia narrata in Film Bianco (1994) affronta il concetto di uguaglianza in senso negativo, un’uguaglianza che diventa vendetta nel ribaltamento fra ingiustizie. Il racconto comincia in un tribunale con la separazione di due coniugi, Karol e Dominique, voluta dalla moglie. Così Karol cacciato di casa e vagabondo per le strade di Parigi, incontra Mikolaj un suo connazionale che lo aiuta a ritornare in Polonia. In cambio Mikolaj gli chiede di uccidere un uomo stanco di vivere ma che non può suicidarsi per rispetto alla famiglia, nella città di Varsavia. Karol accetta la richiesta e giunto a Varsavia scopre che l’uomo da uccidere è proprio Mikolaj, il quale dopo aver sfiorato la morte con un colpo di pistola ritrova la voglia di vivere, così i due diventano amici e soci in affari. In un secondo momento Karol chiede a Mikolaj di aiutarlo per vendicarsi di sua moglie, mettendo in scena la sua morte e i funerali. Il piano funziona e Karol riesce a sedurre la moglie nell’albergo polacco in cui alloggia, facendola innamorare nuovamente di lui e al contempo incastrandola ingiustamente per un omicidio. L’ultima scena ritrae Dominique dietro le sbarre del carcere che guarda intensamente Karol pronta a risposarlo, mentre lui la guarda immobile. Nel film attraverso l’alternanza di bianco e nero sono messi in scena il concetto di identità, di alterità, di diversità e di reciprocità: il bianco fa da sfondo, i personaggi sono vestiti di nero ad eccezione di Dominique che appare vestita di bianco nei ricordi idealizzati di Karol (FIGURA 91). La non uguaglianza è intesa come incomprensione e supremazia del più forte sul più debole tra i due coniugi. Film Rosso (1994) è ambientato a Ginevra e ruota intorno alla storia di due coppie: la modella Valentine (FIGURA 92) e il suo fidanzato Michel che vive a Londra, il neolaureato in legge Auguste e la sua fidanza Karin che lavora in un centro di previsioni meteorologiche. Ma il vero protagonista della storia è un giudice misantropo e ormai in pensione, che trascorre le giornate in solitudine ad intercettare le telefonate dei vicini, diventando una sorta di alter ego di Auguste e rivedendo in lui la sua vita passata. Per un avvenimento funesto il vecchio giudice e Valentine si incontrano e dopo l’iniziale sconcerto i due diventano grandi confidenti, condividendo lo stesso animo caritatevole. Film Rosso termina con la scena di un naufragio nella Manica, con un elevato numero di vittime e solo sette superstiti: Julie e il suo amante Oliver, Dominique e Karol, il barman della nave e Auguste e Valentine. Kieślowski relaziona le storie della trilogia con un fil rouge che lega i temi di carità, comprensione e fraternità sia nella trilogia che nella vita reale, alludendo ai legami che ogni uomo stringe con le relazioni e con le passioni. Così Kieślowski lascia un messaggio di speranza: “La vita è fatta di innumerevoli intrecci e relazioni, ma solamente nello slancio verso gli altri e nella compassione è possibile trovare il senso della realtà.”
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TRE COLORI — Krzysztof Kieślowski
FIGURA 90 Krzysztof Kieślowski, Film Blu, Julie in piscina, 1993.
FIGURA 91 Krzysztof Kieślowski, Film Bianco, Dominique vestita da sposa, 1994.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 92 Krzysztof Kieślowski, Film Rosso, la modella Valentine, 1994.
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2.2 THE GIVER. IL MONDO DI JONAS — Phillip Noyce
The Giver - Il mondo di Jonas (2014) è un film diretto dal regista australiano Phillip Noyce (1950), con attori protagonisti Brenton Thwaites (Jonas) e Jeff Bridges (Donatore). È un adattamento cinematografico ispirato al primo romanzo The Giver - Il donatore (1993) della quadrilogia fantasy di Lois Lowry, la cui storia è incentrata sul particolare compito del protagonista Jonas: custodire le memorie dell’umanità. La tematica affrontata è il ricordo e la sua importanza nella vita di ogni uomo, per custodire il passato e rendere immortali i momenti migliori dell’esistenza. In quest’ottica i ricordi sono un bene immateriale altamente prezioso da preservare, poiché arricchisce di colore una vita che altrimenti sarebbe grigia e cupa. Il film racconta le vicende di un mondo distopico dove dopo un terribile evento chiamato La Rovina, la società circoscritta entro un confine viene riorganizzata drasticamente, eliminando ogni forma di differenza per una convenzionale condizione di serenità assoluta, priva di conflitti e tensioni. La società è interamente composta da nuclei familiari standardizzati con una madre, un padre e due figli di sesso opposto, generati attraverso l’ingegneria genetica. Ogni cosa è rigidamente controllata e ogni individuo è costretto a sottoporsi ad iniezioni mattutine che inibiscono le sue capacità emotive e cancellano ricordi ed esperienze, dolori e sofferenze, affetti e libertà (FIGURA 93). L’unico legame con il passato è costituito dal Donatore (FIGURA 94), che custodisce segretamente tutti i ricordi del passato, tutte le gioie e le sofferenze, che gli permettono di percepire il mondo con i suoi colori e le sue emozioni. Jonas giunto all’età di dodici anni durante la Cerimonia di Designazione riceve l’incarico di Accoglitore di Memorie, diventando suo apprendista (FIGURA 96). Così gradualmente inizia a conoscere il mondo e a percepirne i colori, sospendendo le iniezioni quotidiane. Ricevendo poco per volta l’intero patrimonio di memoria dell’umanità, Jonas diventa sempre più consapevole del fatto che al suo mondo manca qualcosa e delle emozioni negate alla sua gente affinché il mondo sia un posto pacifico. Tutto ciò lo porta ad infrangere progressivamente le rigide regole, annullando per sempre l’ordine precostituito. Noyce mette in scena una società del futuro, scandita e controllata da regole che la privano di ogni emozione e libertà. Questa privazione viene espressa dalle tonalità di grigio che caratterizzano la prima parte del film (FIGURA 95), associando dunque i colori alle emozioni e ai ricordi che affiorano di pari passo con la progressiva interazione dei due protagonisti (FIGURA 97). I ricordi che il Donatore mostra al Jonas appaiono vividi, colorati e carichi di emozioni, che Jonas avverte nel profondo nonostante ne fosse stato sempre privato. Così quando scopre la verità e raggira le iniezioni mattutine, comincia a riconoscere gli stessi colori anche nella realtà che lo circonda e dentro di lui iniziano a crescere anche le emozioni. Così inizia ad agire arbitrariamente, ignorando le regole e sviluppa un particolare interesse per la sua amica Fiona, che tenta di risvegliare dal torpore dell’insensibilità. Quando alla fine
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
del racconto i colori diventano ben saturi e vividi Jonas è pronto a prendere la decisione giusta dettata dall’emozione, fuggendo per salvare la vita di Gabriel, un bambino destinato alla soppressione perché risultato inadatto al compito per cui era stato prescelto (FIGURA 98). La fuga è dettata da una duplice necessità: sia per salvare la vita di Gabriel, sia per oltrepassare il confine di contenimento delle memorie e restituire i ricordi all’intera società. Oltrepassato il confine, il colore si diffonde e ritorna visibile agli occhi di tutti gli uomini.
FIGURA 93 The Giver - Il mondo di Jonas, Capo Elder, 2014.
FIGURA 94 The Giver - Il mondo di Jonas, Donatore, 2014.
In questa pellicola il colore è applicato nella sua valenza simbolica emotiva, contribuendo alla costruzione significativa del linguaggio visivo. Per mostrare questo mondo distopico privo di sentimenti e di desideri, spento e monotono, Noyce priva a sua volta la realtà dei colori creando un parallelismo tra la mancanza di emozioni e quella dei colori. La realtà che inizialmente è rappresentata in bianco e nero e nel corso della storia ripristina il proprio colore, esplica in modo visivo il cambiamento interiore di Jonas, che avviene per gradi grazie alle conoscenze trasmesse dal Donatore.
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THE GIVER. IL MONDO DI JONAS — Phillip Noyce
FIGURA 95 The Giver - Il mondo di Jonas, Fiona e Jonas, 2014.
FIGURA 96 The Giver - Il mondo di Jonas, Il Donatore e Jonas, 2014.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 97 The Giver - Il mondo di Jonas, Il Donatore e Jonas, 2014.
FIGURA 98 The Giver - Il mondo di Jonas, Jonas e Gabriel in fuga, 2014.
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2.3 IL COLORE SOCIALE E CULTURALE — Steve McCurry
Steve McCurry (1950) è un fotoreporter statunitense, noto a livello mondiale grazie alla sua fotografia Ragazza Afgana (FIGURA 99), diventata la copertina del National Geographic Magazine dell’edizione di giugno 1985. Ritratta quando aveva 12 anni, al suo volto è stato dato il suo nome Sharbat Gula solamente nel 2002, anno in cui McCurry e il team del National Geographic sono riusciti rintracciarla. McCurry è un fotografo di frontiera e i suoi scatti sembrano raccontare storie leggendarie, che documentano il dramma nei paesi meno civilizzati. È sempre stato un grande viaggiatore, ma a guidarlo sono state la curiosità e la meraviglia per il mondo e i suoi molteplici abitanti, oltrepassando i confini culturali. La sua carriera è iniziata nel 1978 da fotografo freelance con la partenza per l’India, dove ha imparato ad osservare con pazienza la vita e i suoi soggetti, affinché possa riconoscere e mostrare negli scatti la loro vera anima. I temi rappresentati dai suoi numerosi reportage sono la guerra civile, la crisi ambientale, la crisi economica e culturale: McCurry mostra nel modo più fedele possibile le conseguenze della guerra, impresse sia sull’ambiente che sul volto delle persone coinvolte, i cui ritratti raccontano le storie più profonde.
FIGURA 99 Steve McCurry, Ragazza Afgana, 1985.
FIGURA 100 Steve McCurry, Mountain Men, Forte Bard, Tibet, 2000.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Nonostante abbia raggiunto il successo con la fotografia in bianco e nero, oggi è il maestro indiscusso del colore. Egli stesso sostiene che la vita è a colori e perciò la fotografia a colori risulta essere più naturale e fedele alla realtà. McCurry caratterizza i suoi scatti con forti contrasti cromatici che ne accentuano il valore espressivo (FIGURE 100.101). Il contrasto più ricercato per forza ed efficacia è quello dato dall’accostamento di tinte complementari, presente nel suo celebre scatto Ragazza Afgana in cui alla pelle e i capelli rossastri insieme al tessuto rosso che la avvolge, si contrappongono al verde del fondo e al colore del suo sguardo e lo stesso contrasto è presente anche nello scatto di Rajasthan, dove il giovane indiano completamente imbrattato di verde è innalzato dai suoi amici interamente colorati di rosso, durante l’Holi Festival. (FIGURA 102). Per McCurry intervenire sulla saturazione del colore in fase di post-produzione è un’operazione necessaria per rendere vivido il colore nella fotografia, così come lo percepiscono gli occhi. FIGURA 101 Steve McCurry, Ragazzo in fuga, Jodhpur-India, 2007.
FIGURA 102 Steve McCurry, Rajasthan, India, 1996
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2.4 IL COLORE CHE RENDE VISIBILE L’INVISIBILE — Franco Fontana
Franco Fontana (1933) ha avuto con la fotografia un primo approccio amatoriale e a distanza di alcuni anni ha fatto di questa sua passione la sua professione. Quando le foto a colori erano lasciate ai dilettanti e ai fotoamatori, ritenendo professionali solo le foto in bianco e nero, lui ha clamorosamente accolto l’uso del colore, per sperimentare i suoi effetti visivi e le sue potenzialità creative. Seguendo liberamente l’intuizione creativa, si è servito del colore per mostrare una nuova interpretazione della realtà e rendere visibile l’invisibile. La fotografia per Fontana è il frutto della cooperazione tra pensiero e cuore, che attraverso lo sguardo permette di creare una visione e un’interpretazione soggettiva della realtà, attribuendo un’identità a cose e paesaggi e al contempo consentendo al fotografo di esprimere sé stesso. I soggetti dei suoi scatti fotografici sono paesaggi rurali, industriali e urbani, ma a risaltare sono il colore e la geometria. Nel tempo il colore e la sua interpretazione sono diventati il tratto distintivo e il soggetto stesso della fotografia di Franco Fontana. Per rendere il colore significativo egli interviene sui contrasti, accostando due colori complementari o tre al più alto grado di saturazione in fase di scatto, oppure modificando i parametri di saturazione dell’immagine in fase di post-produzione. La natura mostrata nei suoi scatti si trasforma in una composizione satura e astratta, composta da elementi geometrici e da un’attenta organizzazione spaziale (FIGURE 103.104). In aggiunta alla scelta del colore, di fondamentale importanza sono le sue scelte di sintesi che gli permettono di identificare il contenuto più significativo, focalizzando l’attenzione sulle relazioni tra i soggetti che creano un contenuto indipendentemente dalla vastità dell’area inquadrata: ciò che risulta superfluo viene eliminato modificando l’inquadratura prima di scattare o apportando dei tagli dopo (FIGURE 105.106). FIGURA 103 Franco Fontana, Basilicata, 1987.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 104 Franco Fontana, Puglia, 1995.
FIGURA 105 Franco Fontana, Venice, 1990.
FIGURA 106 Franco Fontana, San Francisco, 1979.
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3. IL COLORE NELLA PROGETTAZIONE E NEL MARKETING
“
If a good color sells, the right color sells better! Neuromarketing Advice
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Oggi quasi tutto ciò con cui si ha a che fare è prodotto in serie, mediante processi industriali regolamentati da norme necessarie sia in fase produttiva che in fase di commercializzazione, innanzitutto perché per il mercato è più semplice vendere cose tutte uguali, con costi e tempi di produzione ben definiti. In questo modo l’industria plasma la percezione dei consumatori, che in maniera meccanica e inconscia compiono scelte di acquisto esattamente in risposta all’offerta del mercato: ad esempio molti frutti presenti nei supermercati, come mele e arance, sono selezionati affinché sugli scaffali siano tutti della stessa misura e tonalità di colore, finendo così per trattare un’arancia come fosse un artefatto. Nell’acquistare una Bic, se si nota un difetto di stampa nel tappo se ne sceglie automaticamente un’altra poiché un difetto visibile è indizio di qualcosa che non va. In questo senso l’industria ha spinto chi acquista a preferire sempre gli oggetti somiglianti e più uguali agli altri. Nelle grandi città europee è facile incontrare ambulanti che vendono statuine artigianali africane realizzate in legno: si tratta di oggetti virtualmente identici, proprio perché concepiti e realizzati secondo il meccanismo del mercato europeo. Questo sottolinea che la vera essenza del design è proprio nella serializzazione dei processi produttivi, più che nell’utilizzo di macchine. Il design progetta delle rappresentazioni attraverso idee e modelli, che si insinuano nella mente dei consumatori. Negli oggetti il colore non assume un ruolo esclusivamente simbolico, anzi l’accostamento di due o più colori può svolgere funzioni diverse: informative, seduttive, iconiche o retoriche. L’aspetto cruciale del rapporto colore-oggetto sta nel fatto che la tinta si deposita nella memoria collettiva, costituendo abitudini e convinzioni comuni considerate ovvie, ad esempio è assai comune definire il blu un colore freddo. Per di più in passato gli oggetti potevano essere soltanto di alcuni colori, rendendo la tinta una loro qualità consustanziale. Invece nella società attuale il colore non si limita ad essere una sensazione o un semplice attributo delle cose, ma generalmente esso costituisce un’idea o un’aspettativa, costruendo nell’immaginario del senso comune veri e propri archetipi e modelli mentali, secondo cui ad esempio una matita di colore giallo è considerata più matita di qualsiasi altra. Nel linguaggio industriale si parla quasi sempre in termini di tinta, dando per scontato che sia unita e uniforme in ogni punto di una data superficie. Ad esempio confrontando il cielo di un dipinto settecentesco con la tavola di un fumetto risulta evidente quanto il primo sia caratterizzato da innumerevoli variazioni e quanto il secondo sia completamente omogeneo. Il colore disomogeneo è caratteristico degli artefatti del passato, tuttavia negli ultimi anni ha riscosso un ampio interesse con lo stile vintage, che propone oggetti dall’aspetto vissuto, antico e consumato. Nel mondo antico era impossibile riprodurre una tinta unita, ma con la lavorazione industriale la questione si ribalta: la tinta unita diventa in primis una conseguenza inevitabile, oltre che una scelta dettata dal gusto e dal mercato. Questo ribaltamento fa riflettere molto se si considera che l’uomo si è evoluto in un mondo naturale dove l’uniformità cromatica è molto rara: pietre, terre, tronchi e vegetazione presentano sempre colori variegati. Eppure con l’industrializzazione la tinta unita è diventata un criterio
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IL COLORE NELLA PROGETTAZIONE E NEL MARKETING
base di definizione e di riferimento, rendendo il colore un’astrazione. Probabilmente la diffusione delle tinte unite è stata favorita dal fatto che esse diventano sinonimo di nuovo e di pulito per la società moderna. Le case, i muri e i tessuti infatti senza una superficie uniforme tendono ad apparire più vecchi, rovinati e sporchi, così la cultura ottocentesca spinge le classi emergenti della piccola e media borghesia a seguire la nuova logica del mercato volta al rinnovamento: “buttare ciò che è vecchio per sostituirlo con qualcosa di nuovo”. Oggigiorno invece da un lato l’uniformità di una tinta unita è sinonimo di bellezza, dall’altro invece si tende a ricercare quelle imperfezioni che rendono sporco e vivo il colore. L’ampio utilizzo delle tinte unite ha portato la grafica a ricercare una ricchezza cromatica alternativa e soprattutto esclusiva, giungendo all’uso delle sovrastampe. Nell’editoria ad alta tiratura un esempio significativo è il lavoro di Albe Steiner (1913-1974) nella prima pagina del Contemporaneo (FIGURA 107), dove la grande data 1917 si sovrappone sia al testo e sia alle fotografie, amplificando i significati e l’impatto dell’intero layout. Un altro esempio più recente è l’opera dell’illustratore francese BlexBolex (1966), nei suoi libri (FIGURA 1O8) la sovrapposizione degli inchiostri costituisce la sintassi con cui la storia viene rappresentata e raccontata, trasformando così una tecnica in elemento narrativo.
FIGURA 107 Albe Steiner, Il Contemporaneo, 1957.
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FIGURA 108 BlexBolex, L’imagier des gens, 2008.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Nel corso del Novecento la produzione industriale in termini di colore ha registrato radicali cambiamenti: i primi beni ad essere prodotti in più colori sono stati gli abiti e le automobili. Nel 1950 la nota marca di elettrodomestici Kenwood lancia sul mercato un frullatore bianco che per la prima volta permette di scegliere il colore dei dettagli, secondo le proprie preferenze. A seguire sono i modernissimi contenitori Tupperware in polietilene per alimenti, disponibili in svariati colori. Il design italiano del secondo dopo guerra è contraddistinto dall’utilizzo di materiali innovativi — lavabili, impilabili, componibili e flessibili — che grazie allo sviluppo tecnologico delle tecniche di produzione, producono oggetti fatti di materia colorata. Ne è esempio la macchina da scrivere Valentine, progettata nel 1969 da Ettore Sottsass (1917-2007), il cui colore rosso non è ottenuto attraverso una laccatura o una patina, ma è il colore stesso del materiale plastico con cui è stata prodotta (FIGURA 109). Si tratta dell’Abs, un polimero termoplastico che consente di ottenere oggetti rigidi e leggeri.
FIGURA 109 Ettore Sottsass, macchina da scrivere Valentine, 1969.
FIGURA 110 Jonathan Ive, Apple iMac Bondi Blue, 1999.
Le aziende capiscono ben presto che la nuova richiesta dei consumatori è la personalizzazione, così il colore diventa uno strumento di diversificazione personale, portando gli acquirenti a compiere scelte e pseudoscelte d’acquisto sempre più mirate. Nel 1999 la Apple lancia l’innovativo iMac progettato da Jonathan Ive (1967), chiamato Bondi Blue (FIGURA 110) in omaggio alla spiaggia australiana Bondi Beach a Sydney, caratterizzata da un mare cristallino e azzurro intenso. La relazione con la spiaggia è evidente per il colore azzurro brillante del nuovo iMac, in aggiunta il riferimento alla spiaggia richiama l’espressione inglese surfing the web — navigare in rete — poiché il suo lancio sul mercato promuove principalmente l’impiego di usare Internet. L’innovazione di Bondi Blue è nel fatto di essere un oggetto sportivo e personale, assumendo un valore identificativo per gli utenti che decidono di acquistarlo per impiegarlo nel tempo libero. Così Apple contrappone alle scocche elettroniche nere o metalliche tradizionali colori accesi e spontanei, che assumono un valore rappresentativo e identificativo in senso morale. 131
3.1 IL SISTEMA DEI CAMPIONI DI COLORE
È ormai consuetudine ricavare il colore dalla mescolanza di poche tinte, ad esempio gli schermi di computer, telefoni e televisori impiegano una tecnologia basata su tre colori (RGB) che in base all’intensità producono tutti gli altri colori. Si ricorre alla stessa miscela ottica anche nella stampa tipografica basata su quattro colori (CMYK) e nel campionario Pantone costruito con diciotto inchiostri, perciò in fase di stampa una buona gestione del colore è fondamentale per una resa ottimale degli effetti cromatici, ma ancor prima della stampa il colore è selezionato da un sistema di campioni. Oggigiorno sia nella progettazione che nel commercio, il colore è standardizzato mediante diversi sistemi di campioni, affinché chi vende e chi acquista, chi richiede e chi produce l’elaborazione di un progetto, abbia un’anteprima piuttosto fedele dell’effetto cromatico finale. A livello industriale le tinte per essere valutate sono osservate sotto una luce standard di 6500 kelvin, molto vicina a quella solare di mezzogiorno, ma si tratta di un accordo convenzionale per accordarsi telefonicamente a distanza. Per indicare con esattezza una tinta si ricorre a campioni concreti, come la scala Pantone o quella RAL. Difatti l’unico modo per individuare un colore è mostrarlo e i campioni sono definiti proprio per semplificare le trattative e per rendere più efficaci le comunicazioni. Alla domanda se sia possibile brevettare o registrare un colore non è semplice rispondere, in quanto la protezione di una specifica tinta affidata a questioni legali finisce per risultare vana. È certamente impossibile richiedere il copyright o il brevetto di una coppia di colori o di un singolo colore, a meno che esso sia ricavato da un particolare processo di produzione come l’International Klein Blue, un pigmento oltremare brillantissimo, di cui l’artista Yves Klein ha ottenuto la certificazione dall’ufficio brevetti o il Vantablack, una sostanza composta da nanotubi di carbonio che assorbendo il 99,9% delle radiazioni risulta il nero più nero mai visto prima. In questi due casi citati, ad essere brevettato non è stato il colore in sé ma la procedura tecnica da cui è prodotto. In quest’ottica anche se due colori appaiono visibilmente indistinguibili, per la legge sono due cose diverse perché realizzati con procedure differenti. Rilevante è il caso del famoso brand Tiffany & Co. che dal 1845 ha adottato il suo colore distintivo, un particolare turchese identificabile con il Pantone 1837, anno di fondazione dell’azienda, che però non compare nella mazzetta dei campioni. Questo perché in alcuni Stati è un diventato un marchio registrato prodotto in esclusiva per la gioielleria. Tra i più noti sistemi di campioni cromatici ci sono la scala RAL, il sistema NCS (Natural Colour System) e la scala Pantone. Il termine RAL è l’acronimo di Reichsausschuss für Lieferbedingungen, che negli anni ‘20 indicava la commissione incaricata di controllare la qualità e delle vendite, oggi invece indica la scala di colori usata nel settore di vernici e rivestimenti.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Inizialmente la scala RAL era composta da 40 colori, ora ha raggiunto ben duemila tinte, con l’aggiunta di diverse collezioni come RAL Design, RAL Effect, RAL Plastics. La scala si divide in due categorie: la RAL 840-Hr che comprende i colori opachi con 213 tinte e la RAL 841-Gl che include i colori brillanti con 196 sfumature. Per facilitare la scelta e gli abbinamenti dei colori sono state create diverse mazzette: la mazzetta RAL D2 che presenta 1625 colori di tipo semi-lucido; la RAL K5 che comprende 213 colori; la mazzetta RAL K7 che include 210 colori. Ogni colore RAL è identificato da quattro cifre: la prima indica il colore di riferimento, mentre le altre riguardano le ulteriori sfumature. NCS — Natural Color System è un sistema logico di ordinamento dei colori, basato sul modo in cui questi sono percepiti. È utilizzato da aziende produttrici di materiali, architetti e designer, consentendo di analizzare, scegliere e comunicare i colori. Conta sei colori elementari (bianco, nero, giallo, rosso, blu e verde) disposti graficamente in uno spazio tridimensionale (Spazio dei Colori NCS), dove è possibile rappresentare le relazioni tra tutti i colori, in funzione della loro maggiore o minore somiglianza con i colori elementari. Il modello a doppio cono è a sua volta scomposto in due modelli (FIGURE 111.112.113): il Cerchio dei Colori NCS (una sezione orizzontale che taglia nel mezzo lo Spazio dei Colori) e il Triangolo dei Colori NCS (una sezione verticale dello Spazio dei Colori): sul primo si individuano le diverse tinte somiglianti ai colori elementari, sul secondo si individuano le nuances dei colori.
FIGURA 111 Lo Spazio dei colori NCS.
FIGURA 112 Il Cerchio dei colori NCS.
FIGURA 113 Il Triangolo dei colori NCS.
La scala Pantone — chiamata anche PMS (Pantone Matching System) — è stata creata nel 1950 dall’omonima azienda grafica ed è impiegata principalmente a livello industriale e nelle attività legate alla stampa. Comprende più di mille colori, ciascuno identificato con il termine Pantone e sei cifre successive (es. PANTONE 17-5641). A contraddistinguere il sistema Pantone dagli altri è l’iniziativa strategica intrapresa dall’anno 2000, che nomina periodicamente il colore dell’anno. Nel tempo è diventato un evento particolarmente atteso, non tanto per l’influenza cromatica sulla moda e sul design, quanto più per l’azione e la promozione mediatica, che hanno reso Pantone l’autorità mondiale del colore industriale.
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IL SISTEMA DEI CAMPIONI DI COLORE
Color of the year 2000
Color of the year 2006
Colore del cielo e del mare, trasmette calma e tranquillità necessarie a contrastare l’ansia generalizzata all’inizio del nuovo millennio.
Colore neutro dai richiami naturali, che esprime le preoccupazioni per la situazione economica.
PANTONE ®
PANTONE ®
15-4020 Cerulean
13-1106 Sand Dollar Color of the year 2001
Color of the year 2007
È un colore allegro, deciso e accattivante, che porta entusiasmo, dopo le paure del passaggio di millennio.
È un colore che stimola i sensi, riflette lo spirito di avventura e l’atteggiamento sicuro di sé di tutti gli individui che iniziano ad esprimersi con i primi social network.
PANTONE ®
PANTONE ®
17-2031 Fuchsia Rose
19-1557 Chili Pepper Color of the year 2002
Color of the year 2008
Dopo gli attacchi terroristici dello scorso anno, il colore rosso ha un richiamo patriottico per gli USA ed esprime forza.
Un colore che per la sua componente blu calma, per quella viola induce alla spiritualità e al mistero, infondendo rassicurazione in un mondo complesso.
PANTONE ®
PANTONE ®
19-1664 True Red
18-3943 Blue Iris Color of the year 2003
Color of the year 2009
È un colore blu freddo e rilassante, scelto per ridare speranza. Versatile e adatto ad ogni utilizzo, necessita di essere affiancato a tonalità più calde.
Il giallo è il colore del sole e della vita. rappresenta l’ottimismo necessario in un anno di incertezza economica e cambiamenti politici.
PANTONE ®
PANTONE ®
14-4811 Aqua Sky
14-0848 Mimosa Color of the year 2004
Color of the year 2010
Un caldo arancio audace e rigenerante, che miscela punte di rosso e giallo, evocando l’uno il potere e la passione e l’altro la speranza.
Un colore rilassante per fuggire con la fantasia dai problemi di tutti i giorni e ristabilire così il senso di benessere.
PANTONE ®
PANTONE ®
17-1456 Tigerilly
15-5519 Turquoise Color of the year 2005
Color of the year 2011
Ritorna il colore blu, in una tonalità vivace e rilassante al tempo stesso.
Il rosa dei fiori in primavera, per celebrare la speranza che caratterizza l’inizio del decennio. Un colore forte, stimolante e che infonde ottimismo.
PANTONE ®
PANTONE ®
15-5217 Blue Turquoise
18-2120 Honeysuckle
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Color of the year 2012
Color of the year 2018
Un vivace colore che fornisce la carica di energia necessaria per rigenerarsi e andare avanti, affrontando i problemi quotidiani.
Una tonalità di viola drammaticamente provocante e riflessiva, che comunica originalità, ingegnosità e pensiero visionario, indicando la strada verso il futuro.
PANTONE ®
PANTONE ®
17-1663 Tangerine Tango
18-3838 Ultra Violet Color of the year 2013
Color of the year 2019
Un verde vivido e carico per ridare energia e rinnovamento. Trasmette chiarezza, equilibrio e armonia.
È un colore rassicurante che si manifesta nella natura circostante e che mostra al contempo una vivace presenza sui social media.
PANTONE ®
PANTONE ®
17-5641 Emerald
16-1546 Living Coral Color of the year 2014
Color of the year 2020
Tonalità moderna e versatile, dall’essenza sana ed energica Ottenuta da sfumature sia fredde che calde, è un colore accattivante per combinazioni distintive.
Colore semplice ed elegante dalle qualità rassicuranti. Mette in evidenza il desiderio di una base stabile, da cui partire per varcare la soglia di una nuova era.
PANTONE ®
PANTONE ®
18-3224 Radiant Orchid
19-4052 Classic Blue Color of the year 2015
Color of the year 2021
Tonalità calda ed elegante, incarna la sensazione di sazietà che accompagna un pasto delizioso, dal carattere sofisticato e naturale.
Un connubio di colori stabile nel tempo e incoraggiante che trasmette un messaggio di forza e speranza, con la positività del giallo e la stabilità del grigio.
PANTONE ®
PANTONE ®
18-1438 Marsala
13-0647 17-5104 Illuminating + Ultimate Gray Color of the year 2016
PANTONE ®
Un equilibrio tra un accogliente tono rosa più caldo e il tranquillo blu più freddo, che riflette connessione e benessere, un rilassante senso di ordine e di pace.
13-1520 15-3919 Rose Quartz + Serenity Color of the year 2017 Una tonalità di inno alla vita, rappresenta la natura che si risveglia e l’emblematica ricerca di passione e di vitalità.
PANTONE ® 15-0343 Greenery
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3.2 IL RUOLO DEL COLORE NEL MARKETING
Con la nascita della società di massa, il tempo libero assume un’importanza economica per le attività ricreative curate dalla pubblicità e dall’intrattenimento commerciale. Oggi la maggior parte delle immagini che si vedono sono luminose e questo ha influenzato il modo di percepire e valutare la brillantezza e la vivacità dei colori. Inoltre l’evoluzione tecnologica ha modificato il modo in cui il colore funziona, smettendo di essere una percezione o una qualità delle cose e diventando una categoria psicologica legata al modo di produrlo, di diffonderlo e di narrarlo. A definire le priorità cromatiche e le convenzioni produttive è stata l’industria, che ha fatto del colore uno strumento mentale determinato da contingenze economiche, più che storiche. Guardare è l’azione cardine nelle nuove pratiche sociali e il visual design, che lo sa bene, lo progetta con cura educando il pubblico mediante l’informazione, progettando teche ed esposizioni sia per le opere d’arte che per le merci da acquistare, diffondendo giornali e riviste illustrate. In un certo senso il mondo diventa una vetrina: uno schermo trasparente attraverso cui sono proposte nuove visioni del mondo, del presente e del passato, dei modi di essere e di vestire. Così gli oggetti inanimati divengono veicoli per la costruzione del sé, entità con cui stabilire rapporti significativi e l’individuo sceglie di affermare il proprio life style attraverso l’acquisto di beni di consumo. In questo scenario il colore diventa un modello d’identità da imitare e grazie alla produzione industriale su ampia scala e a basso costo, smette di essere un bene di lusso e diventa anch’esso un bene di consumo. Il colore diventa design, la copia di una matrice replicata in serie dalle masse: la scelta di un colore a discapito di un altro è dettata dal voler imitare qualcosa di visto in un contesto quotidiano o pubblicitario. La teoria del colore di Itten ha ampiamente influenzato le scelte cromatiche sia nel settore della moda che in quello dell’arredamento, poiché ha fornito dei suggerimenti utili per le tinte da scegliere, in relazione a personalità e all’aspetto fisico. Per di più bisogna tener conto che spesso i contrasti di colore individuati da Itten, interagiscono tra loro, fornendo una base cromatica complessa e adattabile in ogni situazione. Difatti le tinte compaiono quasi sempre in vicinanze cromatiche, che assumono una determinata valenza in relazione al contesto in cui sono inserite, ma quasi mai sono impiegate in maniera isolata. Nel linguaggio visivo della comunicazione di massa l’influenza tra le tinte assume un’importanza fondamentale e il concetto di armonia cromatica non può essere semplicemente associato a quello elaborato da Itten, in quanto le pubblicità molto spesso ricorrono ad accostamenti disarmonici sia per richiamare l’attenzione in modo immediato, sia perché possiedono una durata temporanea. L’efficacia e il successo di un artefatto risiede nella giusta scelta del contrasto cromatico che lo caratterizza e per questo motivo nell’ultimo secolo il settore grafico del design ha ampiamente impiegato due nuovi contrasti cromatici: il primo è il
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
contrasto di cromaticità, di tipo stilistico e di grande potere evocativo è formato dall’accostamento di un colore che spicca con il bianco e il nero (FIGURA 114); il secondo è il contrasto di coppia, che si ottiene dall’accostamento di due tinte piatte e omogenee (FIGURA 115). Mentre il primo nasce da una necessità tecnica della grafica novecentesca, che per risparmiare sulla quadricromia impiegava solo due inchiostri nel processo di stampa, il secondo nasce dalla necessità di ottenere una maggiore visibilità, specialmente laddove richiamare l’attenzione è questione cruciale. FIGURA 114 A sinistra, contrasto di cromaticità, Nike poster, 2016. FIGURA 115 A destra, contrasto di coppia, segnalazione di pericolo.
In Inghilterra nel 1938 nel commercio alimentare debuttano le Smarties, dei confetti al cioccolato ricoperte di zucchero colorato in otto diversi colori, nonostante il sapore sia uguale per tutti. Sono nate dai confetti italiani e dai dragées francesi, ma mentre nei confetti il colore possiede una valenza simbolica — i confetti rosa o celesti celebrano i neonati, quelli rossi la laurea, quelli d’argento e d’oro rispettivamente i venticinque e i cinquant’anni di matrimonio — nelle Smarties il colore non ha alcun significato simbolico, ma assume un ruolo giocoso come fosse una scatola di pastelli o di Lego. La differenza è che mentre un colore simbolo sta per qualcos’altro — come il rosso per la laurea — il ruolo del colore conferisce all’oggetto un significato che lo colloca all’interno di un sistema, determinando la sua posizione nel sistema commerciale. Le ragioni che portano un oggetto ad assumere un colore preciso possono essere molteplici e non sempre rivela un significato, ma ricopre sempre l’importante ruolo di contraddistinguerlo dai suoi concorrenti all’interno del marketing.
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IL RUOLO DEL COLORE NEL MARKETING
Nel packaging dei prodotti per la cura personale il colore svolge un ruolo evocativo, cambiando in relazione alla fragranza. Per esempio il sapone normalmente non possiede un suo colore e perciò è definito neutro, ma molto spesso per scelte di marketing viene colorato con nuances che rimandano alle piante e ai fiori presenti nella formula di composizione del prodotto, per richiamare idealmente le loro possibili proprietà benefiche e curative. Negli elettrodomestici la plastica colorata ha una duplice funzione: proteggere i meccanismi elettrici di funzionamento e identificare il marchio di appartenenza. Ad esempio l’intera linea di utensili per bricolage della Bosch sono contraddistinti dai colori nero e verde, rispetto al rivale Black & Decker caratterizzato da arancione e nero. Ad assegnare alla merce un colore significante e distintivo ci pensa la comunicazione visiva: nel caso della Bosch è stato scelto il colore nero che rimanda alle armi da fuoco e il colore verde che richiama i paesaggi montani; scelte di marketing pensate per attrarre i consumatori dall’animo boscaiolo. La ricercatrice svedese Karin Ehrnberger (1977) ha condotto uno studio — Visualing Gender Norms in Design — per analizzare la natura convenzionale delle scelte cromatiche, realizzando due nuovi elettrodomestici ottenuti scambiando colori e forme del trapano e del frullatore (FIGURA 116). È emerso che il frullatore appare un oggetto guerresco, mentre il trapano sembra essere uno strumento medico, dimostrando che a veicolare il significato della merce è il colore e la sua idea psicologica creata dal brand. A tal proposito l’architetto e designer italiano Andrea Branzi (1938) ha affermato che nella percezione degli oggetti viene prima l’identità cromatica della forma e della funzione. Tuttavia tra gli acquirenti è possibile distinguere due categorie: da un lato coloro che fanno del colore una scelta personale, affezionandosi al brand che lo utilizza, dall’altro quelli che lo ignorano completamente, soffermandosi sul valore funzionale dell’oggetto da acquistare.
FIGURA 116 Karin Ehrnberger, Visualing Gender Norms in Design.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
I colori influenzano le scelte dei consumatori e perciò costituiscono un elemento indispensabile in ogni strategia di marketing. Attraverso il colore ogni azienda incrementa la sua brand recognition, ovvero la percezione emozionale che accresce il senso di fiducia, l’interesse e l’identificazione del consumatore. Inoltre il colore ha la capacità persuasiva di spingere all’acquisto e non a caso il colore predominante nel mondo del marketing è proprio il rosso, che oltre a richiamare l’attenzione, spinge all’azione (call to action). Il potere seduttivo del colore può essere riassunto nella guida emozionale del colore (FIGURA 117) che raggruppa per aree cromatiche i brand più noti, che hanno fatto del colore un uso identificativo: i brand che usano il rosso simboleggiano la forza, la vitalità e la leadership; il blu è un colore che evoca relax e comodità, colore del mare e del cielo è usato in zone dove la permanenza deve essere alta e in strutture dedicate al benessere e alla salute; i brand che usano il giallo vogliono incarnare ottimismo e dinamicità, quando è abbinato al nero crea un’aria di importanza e serietà, risulta efficace per attirare l’attenzione e segnalare il pericolo; i brand che usano l’arancione sono giovanili, energici e trasmettono un messaggio molto fresco e moderno; i brand che usano il verde sono per generalmente eco-friendly, ma viene usato anche da aziende tecnologiche che vogliono trasmettere stabilità; il nero è usato principalmente da brand di lusso, ma sempre più aziende tecnologiche e di consulenza lo utilizzano per simboleggiare l’autorità e la serietà; i brand che compiono la scelta del multicolore vogliono dimostrarsi aperti, multietnici ed inclusivi comunicando un forte messaggio etico oltre che professionale. In quest’ottica nella progettazione di un brand, di un messaggio promozionale o di un packaging, la scelta di un colore piuttosto che un altro diventa di fondamentale importanza. FIGURA 117 Guida emozionale del colore nel marketing.
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4. IL COLORE NELLA MODA
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Quando troverò un colore più scuro del nero, lo indosserò. Ma fino a quel momento, io mi vestirò di nero. Coco Chanel
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Nel 1793 viene promulgata la libertà di abbigliamento, ma prima di allora leggi suntuarie stabilivano quali abiti indossare in base alla classe di appartenenza, al ruolo sociale o al mestiere. In passato la maggior parte delle persone indossava abitualmente colori sbiaditi o naturali, come écru, beige, marrone e bianco sporco, i quali per secoli hanno costituito la norma del vestire popolare. Questo è stato in parte dovuto dal fatto che nelle società preindustriali l’origine eterogenea di coloranti e pigmenti non consentiva di mescolare i colori tra loro per ottenere una più ampia gamma di colori per tingere la stoffa. Ad esempio mescolando il succo rosso porpora con la polvere blu lapislazzulo non si sarebbe ottenuto il viola, ma un impasto dall’intruglio ingovernabile. Tutto ciò rendeva decisamente impossibile definire una teoria universale del colore, che contenesse tutte le tinte in modo ordinato come il cerchio cromatico o la mazzetta Pantone. Con la nascita della moda si diffonde il concetto di gusto e a quel tempo la principessa Eugenia in Francia e la regina Vittoria in Inghilterra diventano modelli incontrastati. Proprio la regina Vittoria indossando un abito viola in occasione del matrimonio di sua figlia, ha lanciato la moda del viola ottenuto dalla mauveina, il primo colorante sintetico della storia. A mutare le sorti dell’abbigliamento è stato William Henry Perkin (1838-1907) studente del Royal College of Chemistry, che mentre cercava di sintetizzare il chinino utilizzato in campo farmaceutico, ottiene una sostanza dal colore cupo che disciolta nell’alcol produce un effetto violaceo, da cui ipotizza di ottenere un colorante per tessuti. La grande intuizione di Perkin ha così consentito di sostituire i lunghi processi degradanti e puzzolenti per ottenere le sostanze coloranti, con procedimenti chimici assai più rigorosi e puliti. Il contributo della chimica nel Settecento ha cambiato profondamente il volto della società in generale, consentendo sia di colorare e modificare le cose, sia di curare le persone. Nel 1834 grazie all’invenzione della perrotine diventa possibile stampare ben cinque tinte sui tessuti in contemporanea, il cui sistema è tuttora alla base del design delle tappezzerie moderne, come i pattern floreali privi di imprecisioni di William Morris (FIGURE 118.119) che iniziano a sostituire il costoso damasco nell’arredamento.
FIGURA 118 William Morris, Birds pattern, 1834-1896.
FIGURA 119 William Morris, Fruit pattern, 1862.
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IL COLORE NELLA MODA
Oggigiorno si è liberi di scegliere cosa comprare e indossare, su incitazione delle pubblicità che suggeriscono a chiunque cosa indossare per essere sé stesso. Nella società moderna indossare un abito di un determinato colore diventa un’esigenza poiché assume un valore identificativo, sia per scacciare la paura di essere invisibili, sia per raccontare qualcosa. Per esempio indossando una t-shirt di Ozzy Osbourne si esprime una precisa preferenza musicale, ma scegliendo una t-shirt chiara e colorata si può esprimere gioia invece indossandone una scura si può esprimere un’emozione negativa, lasciando parlare il colore. Le persone che per libera scelta indossano sempre abiti identici per tipo e colore, si presentano come soggetti conservatori, che scelgono sempre tonalità simili nella convinzione che donano alla propria immagine o nell’insicurezza che le spinge a non osare il cambiamento. Dunque i colori che ognuno sceglie di indossare contribuiscono in maniera notevole a creare un’idea in chi osserva, lasciando un’immagine positiva o negativa. Per questo motivo ogni ambiente lavorativo impone l’outfit giusto, vietando ogni eccesso di colore: un manager che lavora in banca deve indossare un abito sobrio, grigio, nero o blu che rappresenti la serietà e la professionalità del lavoro, favorendo la fiducia del cliente. Quando un personaggio inventato o ritratto è vestito di un determinato colore, l’autore vuole comunicare qualcosa che trascende la sua descrizione immediata, spesso svelando un aspetto caratteriale in maniera indiretta. Per esempio Gustave Flaubert veste di blu Emma, la protagonista del suo noto romanzo Madame Bovary (1856), per darle una certa notorietà e per esprimere il suo desiderio di vivere una vita diversa, che superi le banalità quotidiane. Difatti il colore blu che nel Rinascimento era divenuto pregiato e spirituale, nell’Ottocento esprime un modo di sentire la vita. Tuttavia oltre a rappresentare gli ideali della Bovary, il blu assume una valenza dolorosa poiché di colore blu è anche il barattolo contenente l’arsenico che Emma prende per togliersi la vita. Circa un secolo prima Goethe aveva pubblicato il romanzo Dolori del giovane Werther (1774), nel quale il protagonista si era suicidato a causa di un amore impossibile, indossando una giacca blu ed un panciotto giallo. All’epoca il romanzo ha riscosso così tanto successo che l’accostamento di giallo e blu aveva fatto nascere una vera e propria moda, tanto che vestirsi alla Werther era segno di grande gusto. Eppure oggi vedere una donna con un abito blu non significa quello che significava in quell’epoca, in cui tingere una stoffa di quel colore richiedeva un procedimento complesso e costoso. In quel tempo il colore comunica, giudica e gerarchizza proprio come nel ritratto della Principessa De Broglie (FIGURA 120) di Jean Auguste Dominique Ingres, dove indossa un abito blu e giallo che vuole rappresentare lo sfarzo e i privilegi di cui gode. In aggiunta Ingres adotta una composizione classica e colloca la principessa al centro dello spazio formando una piramide: nella sua postura rigida l’occhio e l’anello posti sull’asse di simmetria centrale, sottolineano ulteriormente il profondo legame con le sue ricchezze. Nel settore della moda la scelte cromatiche sono ben ponderate, in quanto devono sempre prendere in considerazione sia ciò che piace oggi e sia quello che piacerà domani. Dunque le previsioni coloriche, che gli addetti al lavoro chiamano color forecast, diventano
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
fondamentali pur essendo incerte e imprevedibili. I colori della moda sono sempre studiati a tavolino, conservando ciò che ha avuto successo ed eliminando quello che ha stancato, valutando le tendenze del momento e del passato, riflettendo su temi e valori politici e sociali. Ma tutte queste attente analisi e riflessioni non possono prevedere l’imprevedibile e il successo di una tinta è determinato da una concatenazione di elementi fatali, motivo per cui la scelta del colore costituisce sempre una scommessa. FIGURA 120 Ingres, ritratto della Principessa De Broglie, 1851-1853.
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4.1 BON TON E TENDENZE
Le antiche leggi suntuarie scagliate contro lo sfarzo, consideravano il colore smodato e inopportuno, rispetto all’acromatico che invece era ritenuto misurato e sobrio. Oggi è il bon ton a dettare le regole: in occasioni eleganti è necessario vestirsi di nero e lo smoking diventa d’obbligo. Il bon ton suggerisce — o per meglio dire impone — un abbigliamento appropriato per ogni occasione, influendo inevitabilmente sulla scelta cromatica. In ambito lavorativo indossare il blu o il grigio detiene il primato di professionalità e affidabilità: il blu è un colore elegante e raffinato, in grado di trasmettere quiete e padronanza di sé; il grigio è sinonimo di equilibrio e di imparzialità, con grande capacità di prendere scelte. Anche il marrone indica imparzialità nel lavoro, ma è più indicato per il tempo libero. Il verde è il più conservativo dei colori, perciò è fortemente sconsigliato indossarlo per promuovere idee o innovazioni, in compenso ha un forte potere calmante. Il beige è considerato un colore molto raffinato e spesso è indossato in importanti occasioni lavorative e non, ma al tempo stesso è il colore informale più classico. Il colore nero è indubbiamente il più indossato di tutti, per il carattere discreto, modaiolo, elegante e minimalista, è la scelta di giovani e meno giovani in ogni tipologia di occasione, situazione e stagione. Oltre a snellire la silhouette, fa sentire al riparo dagli sguardi altrui quando si vuole passare inosservati. Il rosso è un colore aggressivo ed energico, assolutamente da evitare per un colloquio importante per non rischiare d’innervosire l’interlocutore. Se indossato dall’uomo con la semplice cravatta rossa cattura l’attenzione e manda un segnale di forza. Vestire di giallo è indice di forte personalità e grande senso d’identità, di vivacità e di energia ritrovata, ma è da evitare nell’ambiente lavorativo poiché può esprimere leggerezza e inaffidabilità. Indossare il bianco non è da tutti, ma risulta essere un colore fresco, energico e solare, che comunica sicurezza, orgoglio e fierezza, se indossato in maniera totale risulta altamente elegante. Indossare abiti rosa esprime dolcezza e complicità, a differenza del viola che esprime sensualità e spiritualità, equilibrio interiore e padronanza emozionale. Vestirsi di colore azzurro è indice di tranquillità e di riflessione, dunque è bene fare attenzione a quando indossarlo. Dunque i colori degli indumenti sono in grado di comunicare messaggi a livello inconscio, come sosteneva Sigmund Freud (1856-1939) i colori e la loro percezione costituiscono per l’uomo un sistema di comunicazione alternativo a quello verbale, perciò in particolari occasioni l’outfit deve essere selezionato con cura e cognizione partendo dal colore. Per una donna seguire lo stile bon ton è sinonimo di eleganza e raffinatezza, essendo un mood storico nato tra gli anni ‘40 e ‘50 per valorizzare il sex appeal, la classe e la femminilità. Con la sua sobrietà si contrappone ad uno stile sgargiante più sportivo e street-casual, basandosi sull’eterna regola del less is more. Tuttavia oggi con la libertà di indossare ciò che si vuole il bon ton è spesso identificato con il buonsenso, come ad esempio evitare di indossare un
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
abito rosso ad una cerimonia funebre. Così l’attenzione per la sobrietà e l’eleganza si sposta sulla libera scelta di esprimere sé stessi, con abiti e colori che facciano sentire a proprio agio, con il rischio che gli outfit siano spesso definiti inappropriati o volgari. Molto spesso anche la moda mette da parte i principi del bon ton per creare nuovi stili e tendenze. Difatti se da un lato le regole del bon ton sono ferree e intramontabili, dall’altro la moda stabilisce nuove regole di durata temporanea, con nuances colorate per diversi look stagionali. Nella storia della moda il colore ha ricoperto un ruolo importante, rispecchiando il sentimento di un determinato tempo e dando voce alla creatività degli stilisti. Tra le disparate tendenze si possono individuare cinque trend cromatici principali: il total black, il black and white, il bold colours, il colour block e il neutral tones. Nel total black a regnare indiscusso è il colore nero, simbolo di unicità e classe in ogni occasione, utilizzato da Coco Chanel (1883-11971) che per prima ha attribuito un radicato pensiero al colore, facendo del suo tubino un classico indumento di stile ed eleganza, unito alla semplicità di forma e colore (FIGURE 121.122). Il black and white è un binomio che non passa mai di moda ed è utilizzato da stilisti e designer di tutto il mondo per la sua incredibile eleganza (FIGURE 123.124). Il bold colours è utilizzato per creare look con colori forti e brillanti, come rosso, blu, giallo e rosa. Ne è esempio l’abito rosa shocking in raso con un grande fiocco sulla schiena, indossato da Marylin Monroe in Gli uomini preferiscono le bionde (FIGURE 125.126). Il block colours caratterizza look con l’accostamento di diversi colori, che producono forti contrasti (FIGURE 127.128). Infine il neutral tones si compone di colori tenui e naturali, come beige, panna e avorio (FIGURE 129.130).
FIGURA 121 Coco Chanel, Audrey Hepburn con tubino nero.
FIGURA 122 Total Black, Lavin, Parigi.
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BON TON E TENDENZE
FIGURA 123 A sinistra, Black and White, Versace. FIGURA 124 A destra, Black and White, Dolce & Gabbana.
FIGURA 125 A sinistra, Marylin Monroe, Gli uomini preferiscono le bionde, 1953. FIGURA 126 A destra, Max Mara, Milano.
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
FIGURA 127 A sinistra, Color block, Roksanda. FIGURA 128 A destra, Color block, Aquilano Rimondi.
FIGURA 129 A sinistra, Neutral tones, Dior. FIGURA 130 A destra, Neutral tones, Isabel Marant.
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4.2 ARMOCROMIA — Analisi del colore personale
Nel settore della moda e della bellezza le scelte cromatiche molto spesso sono affidate all’armocromia, la teoria del colore che studia il rapporto tra i colori e individua i gruppi di colori (palette) più armonici per ogni persona, in base all’effetto cromatico che essi producono. Ogni individuo possiede dei colori amici alleati di bellezza, in grado di valorizzare l’aspetto fisico, ma essi non sono scelti in base al gusto personale, bensì oggettivamente in funzione del fatto che essi siano in armonia con i colori naturali dell’individuo. La massima teorica sull’argomento è Rossella Magliaccio, curatrice di immagine ed esperta di colore, fondatrice dell’Italian Image Institute e autrice del libro Armocromia - Il metodo dei colori amici che rivoluzione la vita e non solo l’immagine (2019). L’armocromia ha origini negli anni ‘30, quando con l’avvento del cinema a colori le costumiste di Hollywood iniziano ad impiegare il colore come strumento di bellezza, per valorizzare le attrici con abiti, accessori e make-up. Nasce ufficialmente con il libro Color Me a Season (1982) della consulente di immagine e cosmetologa americana Bernice Kentner. La Kenter dopo aver studiato la luce naturale e i suoi cambiamenti in relazione all’alternanza delle stagioni, ha individuato diversi toni e sfumature e ha definito 4 palette naturali, che costituiscono le cosiddette stagioni dell’armocromia, studiate per esaltare caratteristiche individuali (FIGURA 131). La palette primavera ha colori caldi, chiari e brillanti ad alta intensità, come quelli che la natura assume nel periodo primaverile; le persone che appartengono a questa stagione hanno un incarnato particolarmente radioso. La palette estate è composta da colori freddi e soft più delicati, perché fa riferimento alla luce estiva che, essendo più forte, tende ad abbassare l’intensità dei colori circostanti. La palette autunno presenta i colori caldi e soft dei boschi nel periodo autunnale, è ricca di gialli e marroni delle foglie che cadono e dei rossi più caldi; l’intensità dei colori delle persone che appartengono a questa palette è bassa. La palette inverno è caratterizzata da colori freddi, profondi e brillanti con alta intensità, tipici della natura durante l’inverno, come il blu della notte che si fa più lunga e il bianco ottico. FIGURA 131 Palette delle stagioni dell’armocromia.
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Per scoprire la propria stagione di riferimento è necessario analizzare quattro parametri: il sottotono della pelle che corrisponde alla temperatura calda o fredda; il valore cromatico chiaro medio o scuro; il contrasto del mix di pelle, occhi e capelli; l’intensità intesa come brillantezza forte o attenuata. In aggiunta la predominanza di uno di questi parametri specifica l’affinità con uno dei 4 sottogruppi, che costituiscono ogni stagione. Per identificare velocemente ed efficacemente la stagione di appartenenza, si possono utilizzare le quattro sagome stagionali — contenenti i colori della relativa stagione cromatica — collocandole dinanzi al proprio viso e osservando con attenzione i contrasti prodotti (FIGURA 132). FIGURA 132 Le quattro cornici stagionali dell’armocromia.
SUMMER
WINTER
AUTUMN
SPRING
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5. BENESSERE A COLORI
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Ogni persona ha un suo proprio colore, una tonalità la cui luce trapela appena appena lungo i contorni del corpo. Una specie di alone. Come nelle figure viste in controluce. Haruki Murakami
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
Nella cultura antica e medievale il colore era applicato alla teoria dei quattro umori indicando il sangue, il flagma, la bile gialla e la bile nera. Secondo tale teoria, era la libera combinazione tra essi a determinare le qualità individuali di ogni personalità. Mentre l’alchimista e filosofo Agrippa di Nettesheim (1486-1535) aveva individuato i rapporti fra pianeti e colori, stabilendo attraverso l’astrologia un legame tra le diverse tinte e i caratteri umani. Nel pessimismo filosofico di Arthur Schopenhauer (1788-1860) a salvare l’uomo dalle illusioni e dal dolore del mondo fenomenico sono l’arte e la morale, ma in particolare sono le composizioni armoniche a confortare lo sguardo, ristabilendo la pace. Molte idee sviluppate dall’uomo in passato vertono sulle facoltà magiche e terapeutiche dei colori, è stata però l’influenza delle indagini scientifiche ad inserire il colore in un sistema astratto legato al benessere fisico e psichico. Già dalla fine del XIX secolo, in parallelo alle conoscenze artistiche e scientifiche, avanzano dottrine in cui medicina ed esoterismo si fondono. Nel 1890 il fisiologo Charles Féré ha iniziato a curare gli attacchi isterici sottoponendo i suoi pazienti a flussi di luce colorata, dando luogo alle prime pratiche di cromoterapia, con le quali il potere irradiante della luce dovrebbe ripristinare la pace psichica. Poiché alcune lunghezze d’onda risultano benefiche per l’organismo, come gli ultravioletti che giovano allo stato di salute della pelle, si è supposto che ogni singola lunghezza d’onda possa portare dei benefici specifici. Nel 1959 i neurobiologi David Hubel e Torsten Wiesel hanno intrapreso una ricerca sulla visione: dopo aver impiantato un elettrodo nel cervello di un gatto, hanno scoperto che le cellule della corteccia sono specializzate: ci sono quelle sensibili alle linee verticali e diagonali, quelle sensibili alle linee sottili e più larghe, quelle sensibili al movimento e all’immobilità, quelle che sono sensibili al colore rosso e via dicendo. Dimostrano così che ogni singolo neurone si eccita o si inibisce in presenza di uno stimolo che corrisponde o non corrisponde al compito per cui si è evoluto. In sostanza il cervello è attento a cogliere le discontinuità presenti nella visione — spigoli, bordi, contrasti cromatici e luminosi — che insieme alle superfici omogenee permettono di decifrare le forme e lo spazio. Da allora la percezione visiva è stata approfondita dalle neuroscienze, che hanno messo da parte la fisica per riscattare le intuizioni di Goethe. Esse hanno definito la percezione del colore come una costruzione, compiuta dal cervello partendo dall’esperienza dei dati fisici. Di questa costruzione chiamata costanza cromatica, si occupa un’area della corteccia cerebrale (V4) che elabora i dati ricevuti dalla retina in relazione agli elementi presenti nello spazio circostante, generando una visione d’insieme che permette di acquisire cognizione della realtà, grazie alla distinzione tra colori. Successivamente la neurobiologia ha supposto che l’acromatopsia sia causata da un danno alla corteccia, poiché priva la vista della percezione cromatica ma senza comprometterla, in funzione del fatto che le informazioni visive elaborate dal cervello usino due canali, chiamati la via del cosa e la via del dove. Il primo porterebbe le informazioni riguardo alla forma e all’identità degli oggetti comprendendo il colore, mentre il secondo elabora lo spazio e il movimento. Queste nuove intuizioni hanno permesso di indagare scientificamente le reazioni fisiche e psichiche alla vista del colore e di scoprirne i benefici. 151
5.1 IL COLORE NELLA MEDICINA ALTERNATIVA
Nel tempo l’uso del colore legato ai suoi benefici si è diffuso in diversi ambiti, tanto per favorire o inibire precise emozioni, quanto per rispondere a necessità tecniche come per esempio nelle sale operatorie dove il colore predominante è il verde sia per creare un’atmosfera riposante, sia per ridurre i disturbi dovuti alle immagini postume del rosso del sangue, assicurando ai chirurghi una concentrazione e una messa a fuoco assidua. A sottolineare l’influenza cromatica sul fisico e sull’umore dell’uomo hanno contribuito i recenti studi effettuati dall’Associazione Internazionale del Colore dell’Università di Padova, i quali hanno dimostrato che indossare abiti con tinte calde e chiare favorisce i sentimenti e le emozioni positive, in particolar modo gli abiti di colore giallo, arancio e rosso. Queste scoperte da un lato sono viste con l’occhio scettico dei medici tradizionali che considerano i benefici come semplice effetto placebo, dall’altro promuovono l’approccio alla medicina alternativa. Tra le terapie alternative impiegate attualmente, la cromoterapia è uno dei metodi curativi più remoti. Anticamente il Sole era considerato una divinità e ai suoi raggi venivano attribuite forze guaritrici sovrannaturali, perciò Aztechi, Maya, Egizi, Greci e Cinesi praticavano l’elioterapia con riti solari nei loro templi. Difatti a quel tempo la religione e la medicina erano profondamente collegate, al punto che i sacerdoti eseguivano pratiche sacre di guarigione. La tecnica della cromoterapia applicata oggigiorno è stata codificata da Christian Agrapart, medico, neuropsichiatra e agopuntore. È considerata una pseudoscienza poiché priva di studi e dimostrazioni scientifiche, rappresenta un metodo di medicina alternativa e olistica basato sulle proprietà benefiche veicolate dai colori, che influenzano positivamente corpo e psiche, ripristinando l’equilibrio continuamente minato da disturbi di origine psicosomatica — ansia, stress, rabbia, tristezza e tensioni corporee — che provocano malessere. Le tecniche di applicazione sono molteplici e possono avvalersi di speciali apparecchiature o filtri colorati: l’irradiazione luminosa consiste nell’esposizione per un determinato periodo di tempo a faretti elettrici di vari colori, in modo da irradiare tutto il corpo in veri e propri bagni di luce oppure specifiche zone interessate dal disturbo; la cromopuntura concentra l’irradiazione luminosa sui punti energetici del corpo più ricettivi, quali i chakra e i meridiani; i bagni cromatici praticati in acque colorate con luci speciali o essenze naturali; la cristalcromoterapia che utilizza i colori e l’energia dei cristalli, considerati una forma di luce condensata, che può essere assorbita dal corpo ponendo la pietra direttamente sulla parte affetta da disturbo oppure nell’ambiente in cui si vive o ancora bevendo l’acqua energizzata dall’immersione in essa del minerale; l’uso di lenti colorate, sostituibili in una particolare montatura di occhiali — le lenti rosse accrescono l’energia, arancioni la gioia di vivere, gialle la concentrazione, verdi l’armonia, turchesi la chiarezza interiore, blu il rilassamento, indaco la facoltà intuitiva, viola l’ispirazione e la spiritualità. Nei trattamenti la luce è indirizzata sulla
COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
zona del corpo che necessita di cure: sulla schiena in caso di mal di schiena, sulla caviglia in caso di distorsione, sugli occhi in caso di depressione. Una sessione di cromoterapia può durare da 5 a 45 minuti o essere più lunga in caso di trattamento dei punti di agopuntura. Dopo aver identificato il tipo cromatico di patologia da curare, si selezionano i filtri colorati da usare — che bloccano gli altri colori non necessari — e si colloca la luce colorata sulla parte del corpo da trattare (FIGURA 133). In caso di cromopuntura si utilizzano particolari penne dotate di una punta LED luminosa, che emette luce con specifica lunghezza d’onda, da avvicinare ai punti del corpo da trattare (FIGURA 134).
FIGURE 133.134.135 In alto a sinistra, strumentazione e filtri cromoterapia. In basso a sinistra, strumentazione cromopuntura. In alto, doccia emozionale.
Ogni colore possiede proprietà specifiche da applicare in relazione al disturbo da curare: il rosso stimola l’attività fisica e intellettuale, è euforizzante, migliora la circolazione e la produzione di globuli rossi, è antibatterico; il blu è calmante e rilassante, elimina il mal di testa, diminuisce la pressione sanguigna, è antisettico e attenua i dolori; il giallo stimola l’intelletto e la concentrazione, rafforza il sistema immunitario, agisce sul pancreas ed è depurativo; il verde allevia insonnia, mal di testa, problemi di stomaco e intestino, è antibatterico e agisce nei casi di esaurimento nervoso; il viola è rilassante, favorisce la concentrazione e la meditazione, combatte i dolori e la stanchezza, inoltre agisce sulla milza; l’arancione stimola il metabolismo, i polmoni, cura spasmi e crampi, ridona equilibrio al sistema nervoso per superare ansie e paure. Tuttavia è bene considerare che i colori possono essere assorbiti dall’organismo in diversi modi: attraverso l’utilizzo di strumenti e apparecchi particolari che diffondono radiazioni luminose; grazie alla luce del sole che irradia la pelle racchiudendo nella luce l’intero spettro di colori; con l’assunzione degli alimenti naturali; indossando vestiti colorati; ricorrendo a massaggi con oli e pigmenti colorati oppure a bagni con acque colorate e arricchite di essenze o ricorrendo alle docce emozionali (FIGURA 135).
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5.2 LA MEDITAZIONE CROMATICA
Il colore oltre a possedere proprietà energetiche assume per l’uomo un significato simbolico, che lo guida alla scoperta della propria natura. Ai tre colori primari fondamentali corrispondono gli elementi costitutivi dell’essere umano — corpo (rosso), mente (giallo) e spirito (blu) — che disposti all’interno dello schema triangolare (FIGURA 136) pongono alla base la componente psicosomatica e in cima quella spirituale. Le loro mescolanze generano i colori secondari, corrispondenti ai triangoli esterni che rappresentano le tre esperienze più importanti che caratterizzano il processo evolutivo della coscienza — sessualità (arancione), amore (verde) e trascendenza (viola). I colori attraverso l’aura colorata raccontano la storia di ogni individuo, mostrandone lo stato d’animo e le condizioni fisiche, i pensieri e le emozioni più immediate. Ma oltre a rappresentare le emozioni e i sentimenti, costituendo il linguaggio emotivo dell’inconscio (interpretazione psicologica), mostrano gli stadi evolutivi della coscienza e le qualità dell’anima (interpretazione spirituale) attraverso i chakra. I chakra sono vortici di energia (il cui termine sanscrito significa ruota) generati dalle due principali correnti energiche verticali, che seguono il percorso della colonna vertebrale. Poiché sono aree di concentrazione di frequenza elettromagnetica, sono influenzabili attraverso le frequenze di colori e suoni. Ad ogni chakra corrisponde un colore dello spettro solare e i rispettivi colori sono usati per curare la parte del corpo associata (FIGURA 137). Il rosso è il colore del chakra radice (Muladhara, “Sostegno della radice” - primo chakra), situato nella parte più bassa corrispondente alla zona del plesso coccigeo-perineale, rappresenta il radicamento stesso nella vita e l’elemento che gli è associato è la terra. Il giallo è associato al chakra dell’ombelico (Manipura, “Città dei gioielli” - terzo chakra) posto in corrispondenza del plesso solare, è considerato il livello maturo dell’io, quindi dell’autoaffermazione, della volontà e dell’intelletto e l’elemento corrispondente è il fuoco. Il blu è il colore del chakra della gola (Vishuddha, “Purificazione” - quinto chakra) che corrisponde alla tiroide e alla gola, considerata centro energetico del cambiamento e luogo della comunicazione e dell’ascolto. Rappresenta la dimensione spirituale e l’elemento associato è l’etere. L’arancione è il colore del chakra sacrale (Swadhisthana, “Dimora del proprio sé” - secondo chakra) corrispondente al plesso sacrale alla fine del midollo spinale, rappresenta l’Eros che apre la via alla dimensione dell’intelletto e della comprensione di sé (il chakra successivo, rappresentato dal giallo) e il suo elemento è l’acqua. Il verde è posto all’altezza del chakra del cuore (Anahata, Suono non battuto, continuo - quarto chakra), cioè del plesso cardiaco, rappresenta la matura capacità di relazionarsi e di amare e il suo elemento è l’aria. Il viola è associato al chakra corona (Sahasrara, “Loto dai mille petali” - settimo chakra) posto alla sommità del capo, che corrisponde al cervello ed è considerato sede del pensiero e della
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COLŌRIS - APPLICAZIONI DEL COLORE
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FIGURE 136 Gli elementi costitutivi della natura umana.
FIGURE 137 Rappresentazione e collocazione dei sette chakra.
coscienza cosmica. In quanto centro dell’amore divino, apre la via all’Assoluto e non ha un elemento corrispondente. L’indaco rappresenta il chakra della fronte (Ajna, “Centro del controllo” - sesto chakra) che corrisponde alla regione della mente, della conoscenza intuitiva e della chiaroveggenza, dove può essere recepita la voce del maestro interiore e realizzata la consapevolezza dello stretto legame che unisce tutte le creature. È il cosiddetto terzo occhio ed è associato alla luce. Nel percorso verticale dei chakra è possibile distinguere le esperienze del processo evolutivo, rappresentate dai colori secondari — di carattere relazionale-amoroso — e dagli elementi costitutivi dell’essere umano, rappresentati dai colori primari precedentemente descritti. Il benessere fisico e psichico è dato dall’equilibrio dei chakra e del flusso di energia nell’organismo, che viene raggiunto e preservato da diverse pratiche, tra cui lo yoga e la meditazione cromatica. Quest’ultima parte con il rilassamento iniziale, che costituisce lo stacco dalle occupazioni, dai pensieri e dallo stato d’animo del momento, dopo essersi seduti sul tappetino e aver fatto dei respiri profondi. Segue la respirazione consapevole secondo le regole tecniche del pranayama (controllo dell’energia vitale) — prana, “energia vitale + yama, “controllo” — per mezzo delle quali il respiro unisce il corpo allo spirito, sviluppando la capacità di controllare la forza vitale attraverso il pensiero. Dopodiché con concentrazione si focalizza il pensiero sul respiro, un’immagine, una parola, un chakra o un colore, richiamando la mente ogni volta che divaga. A questo punto la visualizzazione dei colori costituisce il momento centrale della meditazione cromatica, producendo un effetto psicologico e fisico in funzione del colore visualizzato. Si possono assumere diverse posture meditative (asana) o compiere esercizi dinamici lenti e dolci, che simbolicamente permettono di vivere il colore. Infine i mudra (gesti) costituiscono una forma di comunicazione non verbale tra la mente cosciente e l’inconscio, con suggestioni tattili che attribuiscono ad ogni dito un colore in base al suo legame con il chakra corrispondente e di conseguenza ogni singolo gesto assume una particolare valenza simbolica. 155
CONCLUSIONI
Il filosofo e scienziato greco Aristotele è stato uno dei primi studiosi a sostenere che i colori fossero il prodotto della relazione dinamica tra luce e buio. Non a caso l’esperienza insegna che è impossibile distinguere i colori in condizioni di troppa o troppo poca luce. Aristotele oltre a sostenere che tra i poli di luce e buio ci fossero sette tinte fondamentali, ha definito il colore un accidente, vale a dire qualcosa di aggiunto alle cose, che vi appartiene in modo casuale ma che non si identifica con la loro essenza. Nel corso del Novecento grazie a diversi studi neuroscientifici, si è scoperto che in realtà il colore è un accidente della psiche umana, che si costruisce nel cervello attraverso i dati forniti dalla realtà. Così diviene uno strumento mentale utile per entrare in relazione con il mondo e conoscere la realtà del tempo, poiché è profondamente legato alle circostanze storiche. Riccardo Falcinelli con una metafora relaziona il mondo del colore alla stampa di Hokusai (FIGURA 138) in cui è rappresentato un grosso elefante vecchio e decrepito, assediato da undici uomini ciechi che lo toccano, lo sfiorano e lo abbracciano. Ognuno di essi se ne fa un’opinione, ma nessuno riesce a coglierlo nella sua completezza, perché l’esperienza dei sensi fornisce loro solo dei frammenti parziali e non il tutto. Attraverso questa metafora sottolinea l’impossibilità di conoscere il colore nella sua totalità, in quanto il suo significato simbolico è sempre determinato da contesti culturali e temporali. Perciò la definizione dei colori primari deve essere circoscritta all’ambito in cui essi sono individuati, come in ogni sistema industriale ci sono tanti colori primari quanti ne servono per risparmiare in termini economici. I colori primari non devono essere definiti valori naturali, ma convenzioni variabili in base ad esigenze tecnologiche e culturali. Proprio per la sua variabilità nel tempo e nello spazio, risulta impossibile definire una teoria o un sistema del colore che sia universale. Difatti nel corso del tempo diversi sono stati i sistemi cromatici elaborati in risposta a precise esigenze, rivelandosi poi inevitabilmente inadatti ad altri contesti e situazioni: se la scala Pantone è utile nel graphic design, risulta inutile nella cosmetica basata sui contrasti simultanei; se la teoria di Itten è utile nella pittura, si rivela inutile per i sistemi digitali. In quest’ottica nello studio del colore diventa importante comprendere le finalità di ogni teoria elaborata, per acquisire maggiore cognizione sul colore e applicarlo in modo e fruttuoso, conoscendo i rapporti reciproci dei colori e la loro azione sull’uomo. Al tempo stesso bisogna esser consapevoli che il colore nella percezione soggettiva assume valori e significati altamente volubili in grado di infrangere ogni regola, soprattutto nelle attività legate alla libera espressione creativa. Tuttavia in ambito lavorativo regole e teorie che scandiscono l’equilibrio cromatico diventano fondamentali per compiere un utilizzo del colore più più consapevole e appropriato, laddove la libertà creativa non è concessa.
COLŌRIS - PERCEZIONE E APPLICAZIONE DEL COLORE
FIGURA 138 Hokusai Katsushika, I ciechi e l’elefante in Hokusai Manga, 1818.
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RINGRAZIAMENTI
Un incommensurabile grazie va alla mia super famiglia e al mio super cane, per avermi lasciata libera di seguire le mie ispirazioni e per l’ineguagliabile sostegno che mi ha permesso di giungere qui. Ringrazio immensamente i docenti Bartolomeo D’Emilio e Paola Iannarilli per avermi guidata nella realizzazione di questo elaborato, per l’estrema disponibilità e per i preziosi consigli. Ringrazio anche tutti i docenti e il personale accademico, per la cura e la dedizione al lavoro svolto insieme. Un grazie speciale lo devo anche ai miei amici e colleghi di corso e non, con cui abbiamo affrontato e superato ogni peripezia accademica e a tutti coloro che più e meno rumorosamente mi hanno sopportata e supportata, superando qualunque distanza! Per quanto ogni risultato sia il frutto dell’impegno personale, sono anche le dinamiche che ci circondano ad influenzarlo, sia in modo positivo che negativo. Perciò ringrazio anche tutti coloro che in maniera indiretta mi hanno affiancata in questo percorso. E infine ringrazio le difficoltà incontrate in questi anni e in questo particolare ultimo periodo anomalo e imprevedibile, per avermi permesso di allenare pazienza e perseveranza — oltre ad avermi fornito le migliori lezioni e riflessioni!
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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